Il tema del doppio - Il Ruolo Terapeutico

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Il tema del doppio - Il Ruolo Terapeutico
Varia umanità. 2
IL TEMA DEL “DOPPIO” NELLA CULTURA MODERNA E CONTEMPORANEA
Luciano Farmini*
Sul piano letterario il tema del “doppio” consiste nel rapporto molto particolare che vige
tra il protagonista del romanzo e un doppio che può essere un altro personaggio (come ne Il
compagno segreto di J. Conrad (1), un’ombra, una voce, un oggetto (come ne Il ritratto di Dorian
Grey di Oscar Wilde (2)).
In genere il dipanarsi della vicenda si svolge come se il protagonista e il suo doppio
facessero parte di un’unica realtà ontologica che è stata divisa e, per questo motivo, entrassero
in una sorta di conflitto anche interiore, che deve essere in qualche modo risolto.
In alcuni casi, non solo letterari, si può osservare come il doppio sia uno dei tanti mezzi
usati dall’essere umano per abbattere i limiti dell’uomo (ad es., nel romanzo di Oscar Wilde, lo
scorrere del tempo, l’invecchiamento, la morte). In genere il personaggio del doppio, nella
letteratura moderna e contemporanea, è spesso mosso da due istanze diverse e contrapposte:
una che lo porta a cercare di vivere la vita vera, a realizzare tutte quelle aspirazioni ‘normali’ che
si nutrono vivendo (amare, conoscere, sperimentare, crescere); l’altra, invece, che gli impedisce di
mettere in atto e realizzare tutte o alcune di queste esigenze. Dunque, pur dipanandosi come uno
strumento che scioglie i limiti, invero cerca il limite più grande consistente nel soffocare, in un
cero senso, la vita.
Il finale di un ‘romanzo del doppio’ dipende dalla conclusione del conflitto prima esposto.
Ci sono due tipi possibili di conclusione. Una sfocia nella tragedia: il protagonista e il suo doppio
muoiono senza essersi ricomposti, senza aver risolto il conflitto (è questo l’epilogo de Lo strano
caso del dottor Jekill e di Mr Hide (3)); la seconda è la riconciliazione delle due parti che può
avvenire in vari modi.
Per esempio, ne Il compagno segreto di J. Conrad il doppio semplicemente evapora,
svanisce liberando in tal modo il protagonista da quel limite che il doppio impone, mentre ne Il
visconte dimezzato di Italo Calvino (4), l’autore intende “combattere tutti i dimezzamenti
dell’uomo, auspicare l’uomo totale” (5).
Tra ambientazione realistica e sviluppo fantastico della trama, Calvino riflette sul
dimezzamento della personalità come vera identità dell’essere, dal momento che il protagonista
Medardo “intero dell’inizio, indeterminato com’è, non ha personalità né volto; del Medardo
reintegrato della fine non si sa più nulla; e chi vive nel racconto è solo Medardo in quanto metà di
se stesso” (6). Questa divisione diventa, per l’autore, allegoria dell’uomo contemporaneo,
“mutilato, incompleto, nemico a se stesso” (7), perché “tutti ci sentiamo in qualche modo
incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra” (8).
In ogni caso, non si può eliminare il doppio che ci cammina a fianco se non sopprimendo
noi stessi.
Che cosa accadrebbe a uno di noi se, camminando al sole, scoprisse di aver perso la
propria ombra? Le diverse reazioni si possono leggere nelle opere di Chamisso, Hoffmann, Paul,
Poe, Maupassant, Dostoevskij e, recentemente, in un libro di Tilde Giani Gallino: Il bambino e i suoi
doppi (9) dove non si guarda alla psiche come a una malattia da guarire, ma come a un paesaggio
irreale dove si racconta un’altra storia rispetto a quella che crediamo di vivere.
L’interesse della psicoanalisi per la figura del “doppio” nasce da un lavoro di Otto Rank,
pubblicato nel 1914 con il titolo di “Der Doppelgänger” (10), che poi fu tradotto con “sosia”, “alter
ego”, “compagno immaginario” impedendo all’espressione tedesca di dire semplicemente quel
che ha da dire: “il doppio che cammina a fianco” e che non si può sopprimere se non sopprimendo
noi stessi, quasi a ricordarci che la solitudine, quella vera, quella di Dio, è stata risparmiata agli
uomini.
Rank collega il doppio all’emergere delle più profonde angosce di distruzione dell’Io,
mettendolo in connessione con la morte; nell’improvviso pararsi innanzi a noi di un sosia (il nostro
‘doppio’), il rimosso riemerge con violenza, superando gli sbarramenti della censura, e l’Io viene
sopraffatto dall’angoscia.
E’ opportuno, però, precisare che il “doppio” di cui parla Rank non è solo inquietante e
patologico, ma è anche familiare e creativo. Secondo questa ottica, senza “il doppio che cammina
a fianco” non conosceremmo, in ogni caso, i desideri segreti e sempre repressi dell’anima; non
sapremmo, una volta rifiutate le nostre colpe, a chi addebitarle; non potremmo sentire quella
voce della coscienza che ci richiama e che senza un minimo di psicopatia ci seppellirebbe; non
potremmo parlare con i nostri morti che neppure ci ascoltano, turate come hanno le orecchie di
terra; non potremmo pensare come saremo domani, e, appiattiti sull’oggi, ci muoveremmo in uno
spazio senza rinvio.
Non potremmo amare perché senza “il doppio che cammina a fianco” non sapremmo che
esiste un altro simile eppur diverso da noi; non sapremmo far parlare la luna, perché la luna
sarebbe solo una frittata nel cielo; non sapremmo animare la terra e distinguere la patria
dall’esilio; il cielo sarebbe svuotato di dèi. Senza “il doppio che cammina a fianco” non avremmo
l’angelo custode, il sogno della notte, il ricordo lontano, il volto della morte che ci depriva
definitivamente dell’ombra, perché per sempre spegne per noi la luce.
Freud parla del doppio come del “Perturbante”. Altra parola che non traduce bene il
tedesco Unheimlich. Heim è la casa, Heimat è la patria, heimlich è ciò che è familiare. Unheimlich
è ciò che non è familiare, è l’in-solito, ciò che sopraggiunge a nostra insaputa e perciò, dice Freud,
“genera angoscia e terrore” (11). Ma, prosegue il testo freudiano, è anche ciò che costituisce
“un’energica smentita del potere della morte” (12). Certo noi morremo, ma il nostro sosia, che i
cristiani chiamano “anima”, ci sopravvivrà. L’anima ci difende dall’annientamento e così
costituisce la miglior rassicurazione per il nostro narcisismo che trova insopportabile
l’annullamento inevitabile dell’Io.
Tante nobili figure create dallo spirito umano rivelano quasi sempre il bassofondo
rassicurativo che le ha generate, ma la disconferma non tarda a sopraggiungere perché, dice
sempre Freud, “queste rappresentazioni sono sorte sul terreno dell’amore illimitato per se stessi,
del narcisismo primario che domina la vita psichica sia del bambino che dell’uomo primitivo, e, con
il superamento di questa fase, muta il segno del sosia: da assicurazione di sopravvivenza esso
diventa un perturbante presentimento di morte” (13).
Nello stesso periodo in cui Freud elaborava il concetto di Perturbante, Jung dava forma al
concetto di Ombra come parte non accettata della personalità, il lato oscuro e negativo di ogni
individuo. Eppure, scrive Jung, “incontro con se stessi significa anzitutto incontro con la propria
ombra. L’ombra è, in verità, come una gola montana, una porta angusta la cui stretta non è
risparmiata a chiunque discenda alla profonda sorgente” (14).
Incontrare se stessi significa allora incontrare ciò che non vorremmo essere, eppure siamo;
significa conoscere il Mr Hyde del dottor Jekill, il “compagno segreto” di cui parla Conrad, il “sosia”
di Dostoevskij, la nostra immagine allo specchio che non ci rassicura mai. Eppure, ragionando con
noi, il nostro doppio può farci cogliere il punto di vista degli altri, le loro intenzioni segrete, le
nostre contromosse difensive.
Può impadronirsi di noi e innescare quel cerchio paranoico dove le ombre si allungano
come ogni sera al tramonto, per vedere in ogni cosa e in ogni altro quel profilo pericoloso e
inquietante che poi organizza il nostro mondo di sospetti che ci affogano. Allo stesso modo il
nostro doppio può scindersi da noi e distribuire noi stessi in due personalità che, giocandosi nella
tesi e nell’antitesi, costringono a quell’immobilità da cui usciamo solo con la crisi di noi stessi, la
nostra incrinatura, e qui l’Io si spezza in preda a sé e al suo doppio.
Eppure senza doppio che ne sarebbe del nostro immaginario? Come impareremmo a
parlare con gli altri se un doppio non ci allenasse prima all’ininterrotto dialogo tra noi e con noi?
Che ne sarebbe dell’amore, se è vero come è vero che nell’altro noi amiamo il doppio che è in noi?
Come potremmo tollerare il dolore senza quel fitto dialogo che ognuno di noi instaura con il male
che lo abita e che distrattamente lo accompagna a quel “non più” che è la morte?
Un doppio che non è mai lo stesso, perché gli altri ce lo modificano e, modificando lui,
modificano noi, producendo quella confusione di noi stessi che gli psicologi chiamano “crescita”.
Verso dove? Verso che cosa? Verso la morte naturalmente, dove con il doppio ce ne andiamo
anche noi.
Questo è lo sfondo ricco, drammatico, inquietante e anche positivo, piacevole e spiazzante
da cui Tilde Giani Gallino prende le mosse per discutere del bambino e i suoi doppi, per vedere
come siano utilizzabili in ordine alla conoscenza, alla crescita emotiva, alla produzione
dell’immaginario, alla creatività, alla socializzazione, ma soprattutto per ricordare che l’Inquietante
non si congeda, anche se ogni volta che lo diciamo fingiamo di dimenticare che a fianco, sotto o
sopra quell’Io, c’è in realtà una popolazione che ogni notte, appena l’Io dorme, inscena il suo
teatro.
NOTE
1. J. Conrad: Il compagno segreto, in Racconti di mare e di costa.
Ed. Mondadori, Milano, 1958.
2. O. Wilde: Il ritratto di Dorian Grey, Ed. Feltrinelli, Milano, 1991.
3. R. L. Stevenson: Lo strano caso del dottor Jekill e di Mr Hyde, Mondadori, Milano, 1975.
4. I. Calvino: Il visconte dimezzato, Ed. Einaudi, Torino, 1978.
5. Id.: Nota ai nostri antenati (1960), ora in Romanzi e racconti, vol. I,
Ed. Mondadori, Milano,1991, pp. 1212-1213.
6. Ivi, p. 1213.
7. Ivi, p. 1211. E Calvino prosegue: “(…) Marx definì ‘alienato’ l’uomo a lui coevo; Freud
‘represso’; uno stato di antica armonia è perduto, a una nuova completezza s’aspira”.
8. I. Calvino: Il gusto dei contemporanei, Quaderno n. 3, Pescara, 1987, p. 9.
9. T. Giani Gallino: Il bambino e i suoi doppi. L’ombra e i compagni immaginari nello sviluppo
del Sé, Ed. Bollati Boringhieri, Torino, 1993.
10. O. Rank: Il doppio. Il significato del sosia nella letteratura e nel folklore (1914),
Ed. SugarCo, Milano, 1987.
11. S. Freud, Il perturbante, in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio,
Ed. Bollati Boringhieri, Torino, 1991, p. 269.
12. Ivi, p. 286.
13. Ivi, p. 287.
14. C.G. Jung: Gli archetipi dell’inconscio collettivo (1934-54),
Ed. Boringhieri, Torino, 1974, p. 79.
*Luciano Farmini: Linguista, Psicologo e psicoterapeuta
71043 Manfredonia (FG)
e-mail: [email protected]