Research meets diplomacy Europe as a Global Actor

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Research meets diplomacy Europe as a Global Actor
TITOLO
Research meets diplomacy: Europe as a
Global Actor
LUOGO E DATA
MADOU Auditorium, Place Madou 1, Brussels;
5 giugno 2014
ORGANIZZATORE
Commissione Europea, DG Research and
Innovation
Relazione
L’obiettivo della conferenza è stato verificare il rapporto tra ricerca e politica riguardo il ruolo che
l’Europa gioca o può giocare come attore globale. A Stefaan Hermans (Commissione Europea, DG
Research and Innovation, capo Unità B6 Reflective Societies) è spettato il compito di introdurre le
domande a cui tutti i relatori hanno poi dovuto rispondere:
• si può ridurre il gap fisiologico tra gli ambiti della ricerca e della politica?
• può il primo avere un impatto sul secondo, in particolare riguardo la politica estera
dell’Unione?
Cristina Marcuzzo e Simon Schunz (Unità B6 Reflective Societies) si sono incaricati poi di
inquadrare ulteriormente il tema della giornata all’interno di Horizon 2020 (H2020) e, in
particolare, del suo terzo pilastro, Sfide per la società. Questo è stato concepito per affrontare le
necessità che emergono dai cittadini e dalla società europea, nonché sostenere gli obiettivi delle
politiche europee attraverso la ricerca e l’innovazione, seguendo un approccio multidisciplinare.
L’Europa in un mondo che cambia – società inclusive, innovative e riflessive è la “sesta sfida”
individuata nel pilastro e il suo budget per il periodo 2014-2020 è di circa € 1,3 miliardi (su un
totale di € 29,7 miliardi per “Sfide per la società” e di € 77 miliardi circa per H2020).
Al fine di assicurare una più incisiva operatività, è stata sottolineata l’importanza di ripartire dai
risultati di FP7 (7 th Framework Programme for Research and Technological Development),
programma attivo sino il 2013 ed ora sostituito appunto da H2020. FP7 infatti è stato uno
strumento chiave per rispondere ai bisogni europei in termini di lavoro e competitività e per
mantenere la leadership economica a livello globale.
Dopo una prima sessione introduttiva, si è passati a un momento propriamente rivolto alle capacità
dell’Europa come attore globale. Sono intervenuti quindi esponenti sia del mondo della ricerca,
come Shaun Breslin (University of Warwick), Caterina Carta (Vesalius College Brussels) e Jan
Wouters (Leuven Centre for Global Governance Studies), sia personalità della politica, come Carl
Hartzell (Strategic Planning Division, European External Action Service). Quest’ultimo ha insistito
sulla necessità di una pianificazione di nuove strategie riguardo la politica estera e del
ripensamento della collocazione dell’UE nello scacchiere globale, con particolare attenzione al
problema della credibilità delle politiche estere europee. I tratti in comune invece delle analisi di
Breslin, Carta e Wouters sono il rischio di una rinazionalizzazione della politica estera
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(particolarmente avvertito ora in occasione delle recenti elezioni europee e della vittoria di partiti
antieuropeisti che osteggiano una comune politica estera forte) e l’unica risposta possibile a questa
eventualità: la promozione di una visione chiara, unitaria e visibile. Il possibile rilancio della
credibilità passa dunque attraverso una rinnovata visione olistica, in grado di confrontarsi con uno
scenario geo-politico sempre più articolato, in cui nuovi (o rinnovati) attori, quali la Russia e la
Cina, intrecciano tra loro legami politico-economici sempre più forti. Per quanto concerne invece
l’oggetto puntuale della conferenza, ovvero la ricerca di un rapporto proficuo tra ricerca e politica,
da parte di entrambi i punti di vista è emersa la necessità di sviluppare un linguaggio comune, che
riesca a soddisfare le esigenze della politica, superando quindi la cripticità talvolta tipica delle
analisi della ricerca, senza però perderne lo spessore.
Le sessioni successive sono state consacrate allo studio del ruolo dell’Europa in regioni di interesse
strategico, come il Mediterraneo, l’America Latina e i Caraibi (LAC) e il Pacifico.
La politica europea di vicinato nell’area mediterranea è stata presentata da Domenico Rossetti di
Valdalbero (Unità B6, Reflective Societies), il quale ha definito questa regione “emblematica”
dello stato attuale delle relazioni estere della Comunità e delle sue potenzialità. In questo contesto
è stata inoltre evidenziata la bontà del modello europeo, nonostante la crisi che lo sta mettendo in
discussione. Gli interventi di Rym Ayadi (Centre for European Policy Studies), Iván Martin
(Barcelona Centre for International Affairs) e Alar Olljum (Division for North Africa, Middle East,
Arabian Peninsula, Iran and Iraq) si sono focalizzati poi sulle nuove aree di ricerca e di intervento
concreto. Rym Ayadi ha messo in luce l’importanza di ricerche di medio-lungo termine in ambito
socio-economico. Iván Martin ha contribuito con un’analisi del problema della migrazione
giovanile e delle esigenze non corrisposte delle nuove generazioni. La situazione di instabilità che si
è venuta a creare nel Nord Africa infatti rischia di provocare dei flussi migratori ancora più ingenti
nei prossimi anni. Riallacciandosi a questa considerazione Alar Olljum ha voluto però sottolineare
oltre gli aspetti negativi anche il potenziale positivo per l’EU, qualora sia in grado di rilanciarsi
come interlocutore credibile ed effettivo in questa zona. La Palestina, la Siria, l’Egitto sono tutti
esempi dell’importanza della ricerca, della sua attuale insufficienza, dimostrata dall’incapacità di
ottenere l’impatto desiderato, e, al contempo, dei margini di miglioramento a disposizione.
Il pomeriggio invece è stato occupato dai rapporti tra l’UE e il LAC e L’EU e il Pacifico.
Nel primo caso hanno preso la parola ancora una volta esponenti di entrambi i settori. Da una
parte, per quanto riguarda la politica, Susanne Gratius (Foundation for International Relations
and Foreign Dialogue) e Francisco Acosta Soto (Presidente del Gruppo di Lavoro sull’America
Latina e sui Caraibi). Dall’altra, come rappresentanti del mondo accademico, Barbara
Hogenboom (Centre for Latin American Research), Maria del Mar Delgado Serrano
(Universidad de Cordoba) e Consuelo Uribe Mallarino (Vice-rettore per la Ricerca, Pontificia
Universidad Javeriana, Bogotá). I primi due interventi hanno ribadito come, al di là dell’evidente
centralità della dimensione commerciale, i punti di contatto tra l’America Latina e l’Europa tocchino
anche una dimensione di valori condivisi, in cui i principi della democrazia e dei diritti umani sono
fondanti. Tuttavia, ancora una volta, si è ricordato che, a fronte del credito di credibilità e di
relazioni commerciali preferenziali di cui gode l’Unione, si sta imponendo sempre più l’influenza
cinese. Il rischio è quindi quello di perdere il contatto con un continente che tradizionalmente è
sempre stato prossimo: o si rimette quanto prima in agenda il l’America Latina o altri lo faranno al
posto nostro. La voce della ricerca invece ha voluto portare all’attenzione la necessità che l’Europa
divenga sì attore protagonista, ma di una politica sostenibile e responsabile, sia a livello regionale
che locale. È fondamentale infatti che l’Unione riduca il gap che sussiste tra i valori europei e gli
interessi economici, poiché questo scollamento pregiudica l’efficacia dell’azione comunitaria. Si è
insistito nuovamente inoltre sulla lontananza e l’incomunicabilità che troppo spesso colpiscono il
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mondo politico e quella accademico, sovente influenzato da pregiudizi negativi che lo portano a un
rifiuto della politica.
L’ultima sessione, infine, è stata dedicata al Pacifico. Come nelle precedenti, si sono alternati
ricercatori e politici, ad esempio tra i primi Edvard Hviding (University of Bergen), Andrew
Hardy (Ecole Française d’Extrême Orient), mentre tra i secondi Ranieri Sabatucci (Capo della
Divisione Southeast Asia). Il punto maggiormente innovativo rispetto quanto detto prima è
l’insistenza riguardo il cambiamento climatico e i rischi connessi per gli ecosistemi di queste zone.
Le ricerche promosse in collaborazione tra le università e l’UE hanno il merito di rendere evidenti le
trasformazioni in atto e di metterci nella condizione di agire tempestivamente per trovare una
soluzione. Inoltre, se per il Mediterraneo o l’America Latina erano evidenti le affinità, nel caso del
Pacifico invece si è sono messe maggiormente in luce le differenze che intercorrono tra i sistemi
culturali. Sotto questo punto di vista allora diviene ancora più centrale il ruolo della ricerca in
quanto favorisce la comprensione reciproca, punto fermo di qualsiasi cooperazione.
In conclusione, la conferenza ha avuto il merito di raccontare non soltanto esempi positivi di
collaborazione tra la politica e la ricerca, ma anche di mostrare dove e perché questa non è
avvenuta. Facendo ciò, ha acuito la sensibilità verso il bisogno di trovare un linguaggio comune,
che sappia coniugare anche due tempistiche eterogenee (medio-lungo termine la ricerca, breve
termine la politica). Se la ricerca deve impegnarsi per essere maggiormente comprensibile, dal
canto suo la politica deve riuscire a fornire una risposta unitaria e incisiva, per poter fronteggiare
tutte le sfide che il complesso scacchiere geopolitico attuale le pone.
LINK
Horizon 2020
Europe in a changing world – Inclusive, innovative and reflective societies
Eseguito da:
Irene Dal Poz
UNIONCAMERE DEL VENETO
Delegazione di Bruxelles
Av. de Tervueren 67 - B - 1040 Bruxelles
Tel. +32 2 5510490
Fax +32 2 5510499
e-mail: [email protected]
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