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XXXII CONFERENZA ITALIANA DI SCIENZE REGIONALI
CENTRI COMMERCIALI URBANI, VIRTUAL MARKET PLACES, POLITICHE
AZIENDALI DELL’IMMATERIALE E SVILUPPO DELLE GRANDI CITTÀ
Margherita CORNIANI1
SOMMARIO
Il lavoro illustra il ruolo dei centri commerciali fisici e virtuali nello sviluppo dei consumi
immateriali delle grandi città, con particolare riguardo alle politiche delle imprese che
gestiscono tali centri commerciali e che potenziano gli aspetti immateriali del consumo
definendone ampiezza, caratteristiche, innovatività e quindi la qualità.
Nei mercati globali, le componenti immateriali di offerta (dalla marca, design, servizi pre e
post vendita, ai prodotti immateriali stessi) costituiscono un fattore critico di concorrenza per
le imprese. Gli stessi consumi tendono ad essere indirizzati dalle diverse potenziali
combinazioni degli aspetti immateriali dell’offerta, mentre le componenti materiali sono
sempre più fungibili tra offerte alternative. Le imprese della intermediazione commerciale, ed
in particolare i centri commerciali “fisici” (naturali e pianificati) e quelli virtuali, in quanto
centri di aggregazione del consumo materiale e soprattutto immateriale, hanno grande
influenza nello sviluppo dei consumi immateriali delle grandi città.
1
ISTEI - Sezione di Economia e Gestione delle Imprese, Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali,
Università degli Studi di Milano - Bicocca, Via Bicocca degli Arcimboldi, 8 - 20126 Milano, e-mail:
[email protected].
1
1
Materialità ed immaterialità di offerte e consumi nei mercati globali
Da diversi decenni ormai, sia dal punto di vista sociologico (Kapferer, 1992; Aaker, 1996), sia
da quello della gestione delle imprese – management (Itami, Roehl, 1987; Brondoni, 20002001) si sono messi in evidenza gli “aspetti immateriali” quali determinanti della capacità
competitiva di offerte ed imprese. In questo senso, in particolare nell’ambito del management,
un’ampia serie di studi ha indagato il tema degli immateriali concentrandosi su due principali
punti di vista:
1) le risorse immateriali di impresa, cioè risorse non tangibili che le imprese possono
costituire per gestire le relazioni con l’ambiente e, più nello specifico, con il mercato.
Tra di esse si possono citare la cultura d’impresa, il sistema informativo e l’identità
aziendale;
2) i fattori immateriali di offerta che individuano la componente immateriale delle offerte
aziendali come distinta, seppur complementare rispetto a quella materiale e tangibile.
In questo caso, si tende a riferirsi a fattori come la marca, il design, i servizi pre e post
vendita.
Questa attenzione agli intangibili ed, in particolare, ai fattori immateriali di offerta, integra
naturalmente il tema della immaterialità che tradizionalmente negli studi di management è
stato pioneristicamente sviluppato con riguardo ai servizi dove si è concentrata l’attenzione
sulla non replicabilità, sulla non immagazzinabilità e sulla incapacità di valutazione ex ante,
prima dell’acquisto e della fruizione del servizio (Berry L., 1980).
In effetti, la componente immateriale di offerta che caratterizza tutte le offerte aziendali
costituisce per le imprese e per i loro clienti un aspetto di difficile valutabilità. È cioè difficile
pervenire ad una valutazione condivisa della qualità assoluta e relativa di una offerta
aziendale dove gli aspetti di intangibilità sono rilevanti nel processo di caratterizzazione del
bene e nel conseguente processo di scelta. Di norma, infatti, i sistemi di valutazione della
qualità sono stati sviluppati con riguardo agli aspetti “fisici”, e sono indirizzati a discriminare
tra performance oggettive di prodotti differenti: ad esempio potere sgrassante di una molecola
chimica alla base di un detersivo per i piatti, capacità idratante di una crema per il corpo,
grado di resistenza agli agenti atmosferici di una vernice per esterni, grado di resistenza di una
fibra tessile alla trazione ed alla torsione, ecc.
Tuttavia, per moltissime categorie di beni, la componente materiale di offerta tende ad
uniformarsi a standard comuni (il poter sgrassante delle molecole alla base della maggioranza
dei detersivi in commercio è analogo, anche perché analoghe -se non identiche- sono le
componenti chimiche dei prodotti) mentre i fattori distintivi di offerta si concentrano su
aspetti meno materiali come il design del package (aspetto, colore, ecc.) e la marca. Si pensi
ad un pc, un telefono cellulare, una lampada, un orologio, una penna, ecc. Per ciascuna di
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queste tipologie di prodotto, gli aspetti materiali sono sostanzialmente analoghi, laddove non
identici, tra offerte con marche diverse. Ciò che però distingue le diverse offerte è costituito
dal sistema degli immateriali (marca, design, modalità distributive, ecc.).
La sovrabbondanza di beni offerti e la sostanziale condizione di saturazione delle esigenze di
consumo della domanda, evidenziano numerosi mercati in condizione di eccesso di offerta,
nei quali i processi di acquisto e consumo non sono guidati tanto dalla necessità di un
prodotto, quanto dal desiderio di possedere proprio un determinato prodotto. Nei paesi
sviluppati, le motivazioni che portano una persona ad acquistare il quinto paio di blue jeans
non sono certamente legate alla funzione d’uso elementare associata ai pantaloni, cioè quella
di coprire le gambe e riparare dal freddo in certe stagioni, quanto il desiderio di possedere un
determinato paio di jeans con una certa tonalità di colore, uno specifico taglio e/o una definita
marca. Questo vale anche per i prodotti alimentari, gli accessori di abbigliamento, le
automobili, i telefoni cellulari, e così via. Si afferma cioè nei sistemi di offerta e nelle scelte di
consumo un generale e diffuso focus sulle componenti immateriali di offerta sulle quali le
imprese offerenti hanno incentrato i processi di differenziazione dei propri prodotti. Un
numero molto ridotto di acquirenti è in grado di discriminare tra marche alternative di
autovetture, con riguardo alle caratteristiche di qualità intrinseca connesse alle componenti
meccaniche ed elettroniche, tanto che nelle comunicazioni pubblicitarie diffuse dalle case
costruttrici per la promozione delle auto assumono un ruolo centrale aspetti che, spesso, non
hanno nulla a che vedere con queste dimensioni di qualità materiale. Si presenta la
compatibilità del sistema audio con i formati più diffusi di lettura di file musicali (ad esempio,
lettore MP3), oppure la possibilità di riprodurre suoni/immagini collegando senza fili un
telefono cellulare all’impianto audio o, ancora, il sistema delle garanzie di vendita del
prodotto (km o anni). Tutti fattori che solo lontanamente si collegano alle prestazioni tecniche
delle vetture che, del resto, sono molto simili tra loro a parità di tipologia di prodotto, tanto
che, in alcuni casi, sono anche prodotte sulla medesima scocca, con le medesime componenti
principali (gruppo cambio, freni, ecc.) e sono poi differenziate per design, marca, prezzo e
condizioni di vendita, come avviene per i modelli di vetture utilitarie come Aygo di Toyota,
C1 di Citroën e 107 di Peugeot, realizzati nello stabilimento (Toyota Peugeot Citroën –
TPCA) a Kolìn, a 60 km a est di Praga, nella Repubblica Ceca, costituito in joint venture
paritaria tra Toyota Motor Company (TMC) ed il gruppo francese Peugeot Citroën
Automobiles (PCA).
Naturalmente, componenti immateriali di offerta ed offerte immateriali non sono concetti
coincidenti, tuttavia ciò che giova evidenziare in questa sede è la centralità degli aspetti
immateriali che, sempre più spesso e per un numero sempre maggiore di prodotti ed attività,
hanno decisamente assunto un ruolo centrale nella differenziazione delle offerte aziendali. Sia
nella realizzazione di offerte materiali con componenti immateriali, sia nella realizzazione di
offerte immateriali (come musica, film, contenuti di un libro, ecc.) non si può prescindere
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dalla componente materiale, sia essa sostanziale (autovettura) per l’offerta, sia essa un
supporto (CD per la musica, supporto cartaceo per un libro, ad es.) per la veicolazione del
prodotto. Tale componente materiale, tuttavia, non rappresenta l’aspetto discriminante nel
processo di scelta dell’acquisto, pur costituendo una componente essenziale dell’offerta,
rispetto alla quale le imprese offerenti possono garantirsi specifiche economie di produzione
(scala, esperienza, scopo) e, quindi, definiti vantaggi competitivi di costo. In pratica, per
l’acquirente di un libro è del tutto irrilevante sapere se il prodotto cartaceo che ha in mano sia
stato realizzato con stampa offset o digitale e quale sia l’impresa che lo ha stampato. Ciò che
conta è che il libro contenga il contenuto cercato (uno specifico titolo di un certo autore) in un
formato adeguato (leggibilità dei caratteri, qualità della rilegatura, ecc.) e ad un prezzo
accettabile. Che poi l’impresa offerente (editore) riesca a trarne maggiori o minori margini in
quanto ha selezionato un fornitore più o meno competitivo per la stampa, e in quanto è capace
di negoziare in modo vantaggioso le condizioni economiche di stampa, naturalmente è del
tutto indifferente per il cliente, mentre non lo è per l’editore. Il diverso margine che l’editore
riesce ad ottenere dai libri che pubblica, però costituisce il fattore-cardine del potenziale di
sviluppo dei contenuti per l’editore che riesce ad acquisire maggiori titoli, attrarre maggiore
clientela, ampliare quota e conoscenza del mercato, realizzare maggiori profitti, accedere a
migliori condizioni alle risorse finanziarie, ecc., secondo un circuito virtuoso che dipende dal
complesso contesto competitivo in cui si colloca. Quello che è certo, tuttavia, è che la
realizzazione concreta della componente materiale di questa offerta sarà affidata nel mondo
da parte dell’editore ad un fornitore che sappia garantire specifiche tecniche, tempi e costi
ottimali, spesso indipendentemente dalla sua collocazione geografica nel pianeta.
Nei processi di caratterizzazione delle offerte aziendali, la componente immateriale è, dunque,
sempre più fungibile mentre meno fungibile è quella immateriale che guida invece le
alternative di scelta e l’apprezzamento da parte della domanda. In tal senso, per le imprese
diviene determinante la scelta delle tipologie di componenti immateriali da associare o su cui
fondare le proprie offerte e le modalità di commercializzazione delle offerte stesse.
La fungibilità delle componenti materiali di offerta mette perciò in evidenza la significatività
di quelle immateriali e la connotazione immateriale di molti consumi. Il progressivo
“distacco” dalla componente materiale porta in primo piano aspetti immateriali dei consumi
come la situazione di consumo, l’ambiente di consumo, ecc. che spostano l’attenzione dal
semplice contenuto del consumo alle modalità del consumo stesso e modificano radicalmente
le priorità per le imprese nella gestione della relazione con il mercato. Ciò che conta, ad
esempio, è sempre meno il cibo che si assume (che comunque deve essere buona, con una
filiera che ne garantisca la qualità e l’autenticità dei processi produttivi secondo parametri
stabiliti) quanto il contesto e le modalità secondo cui questo consumo avviene: il luogo di
ristorazione, il tipo di servizio, l’ambiente (sala e sue caratteristiche, giardino, terrazzo,
temperatura, rumore/silenzio, odori di contesto) raggiungibilità e serenità di accesso
4
(parcheggio, custodia della vettura, sicurezza personale, baby care, ecc.). In effetti, la stessa
identica pietanza può essere consumata ovunque, perciò la differenza nel consumo deve
essere ricercata nelle condizioni immateriali dello stesso, sulle quali si fonda la distinzione tra
consumi analoghi.
La capacità competitiva delle imprese di produzione e commerciali, quindi, si sposta dalla
semplice erogazione di offerte materiali, alla adeguata combinazione di fattori materiali ed
immateriali, realizzando sistemi di offerta caratterizzati da competitive customer value, cioè
da un valore percepito dalla clientela superiore rispetto alle offerte in concorrenza
(Riboldazzi, 2005).
Ne consegue che anche il luogo e le modalità di acquisto e consumo vadano considerati quali
componenti del sistema di offerta che contribuiscono a connotare sia per aspetti materiali che
per aspetti immateriali. L’esperienza di acquisto e consumo, quindi, è centrale nella
valorizzazione dei consumi immateriali che si sviluppano in un territorio, con ricadute
positive o negative per tutta la collettività.
2
I luoghi di acquisto e consumo immateriale
In particolare, con riguardo ai processi di acquisto e consumo immateriale, le città tendono a
caratterizzarsi per la concentrazione di occasioni di consumo numerose ed eterogenee che
possono essere caratterizzate da livelli assai differenti di qualità e modalità di accesso.
A luoghi di vendita fisici come i negozi tradizionali e tutte le forme di vendita che
rappresentano declinazioni ed evoluzioni varie del dettaglio tradizionale (grandi magazzini,
superette, supermercati, ipermercati, category killer, discount, flagship store, centri
commerciali naturali, centri commerciali pianificati, ecc.) si affiancano anche market-places
virtuali tramite i quali possono essere effettuati acquisti di innumerevoli tipologie di beni
senza il contatto diretto con l’offerta aziendale, fino al momento del ritiro o della consegna –
come i noti siti di EPrice, Amazon, CDnow (Hoffman D. L., Novak T. P., 2000), ecc.-. Tutti
questi luoghi, fisici o virtuali che siano, consentono il contatto tra venditore ed acquirente e,
per entrambi, l’accesso a comunità di individui ampie, con differenti modalità di incontro e
relazione (Brynjiolfsson E., Smith M.D., 2000).
In entrambe queste tipologie di luoghi possono essere venduti ed acquistati i medesimi
prodotti, mentre diversi ed assai eterogenei da luogo a luogo sono gli aspetti immateriali del
consumo che si associano a questi processi commerciali, dimostrando nei fatti la sostanziale
fungibilità della componente materiale di offerta e consumo e la centralità di quella
immateriale sia nella esperienza di acquisto sia in quella di consumo. Elettrodomestici bianchi
e bruni, alimentari, libri, film, musica, abbigliamento, servizi, possono essere acquistati in
entrambe queste tipologie di luoghi e, nel complesso, gli stessi identici prodotti sono
accessibili in quasi tutti questi luoghi, ma differente è il contesto ed il sistema dei fattori
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immateriali che contraddistinguono i diversi processi di acquisto e/o di consumo che ne
derivano: spostamenti, parcheggi, custodia bambini, rumorosità, odori, affollamento, spazi di
riposo, modalità di pagamento, trasporto e consegna degli acquisti, ecc.
2.1 I centri commerciali come luoghi di aggregazione fisica della clientela
I centri commerciali, come luoghi di concentrazione di diverse attività commerciali in un
contesto destinato a favorire i consumi ed i confronti tra offerte alternative trovano origine nei
mercati locali che tradizionalmente si svolgevano –e tutt’ora si svolgono-, sia in forma
temporanea sia in modo stanziale, in diverse località del mondo, solitamente in luoghi che
favoriscono gli incontri tra domanda e offerta, come tipicamente avviene nei paesi e nelle
città. In molti paesi del mondo, le città hanno dedicato specifici luoghi e definite strutture ad
ospitare, ordinare ed agevolare i processi di vendita e consumo, nonché a controllare gli
operatori che vi si recano. In questo senso si possono ricordare i bazar diffusi nelle principali
città del Medio Oriente, del Nord Africa, ecc. come quelli di Istambul, Damasco, Aleppo, ecc.
dotati di copertura, cinzioni, porte, orari di apertura e chiusura, compresenza di tipologie
differenti di offerta (beni deperibili, beni di investimento, abbigliamento, arredamento,
gioielleria, servizi di ristoro e di cura della persona, ecc.) e servizi comuni come pulizia, ed
ordine. I processi di inurbamento che hanno caratterizzato numerose città del mondo
dall’inizio del secolo scorso hanno visto crescenti concentrazioni di persone in contesti
urbani, attratte dalle opportunità di lavoro garantite dalla presenza di attività manifatturiere
(Merts J. E., 1949). La grande concentrazione di domanda di varie tipologie di beni e servizi
ha quindi spinto investimenti mirati a concentrare in definiti luoghi naturali e pianificati anche
le attività commerciali che, prima, hanno occupato specifiche vie e zone delle città (le vie
commerciali, o centri commerciali urbani naturali) e poi, hanno scelto di occupare anche
luoghi espressamente pianificati per lo svolgimento delle attività commerciali, prima in città
(centri commerciali urbani pianificati) e poi, con l’allargarsi delle città, l’incremento della
capacità di attrazione delle città sulle aree territoriali periferiche ed il crescente costo del
metro quadro nelle aree urbane, anche nelle periferie delle principali città del mondo (centri
commerciali pianificati periferici e extra urbani) (Cohen L., 1996; Judd D. R. 1995).
Naturalmente, queste tipologie di centri commerciali differiscono tra loro per numerose
caratteristiche materiali ed immateriali (dimensioni, accessibilità, sicurezza, condizioni
ambientali/climatiche, servizi accessori, ecc.) che, in termini generali, possono essere fatte
risalire alla diversa origine dei vari centri commerciali. I centri commerciali urbani naturali
sorgono in località centrali o molto prossime al centro delle città e nascono dalla vicinanza di
diverse attività commerciali che si sono localizzate in determinate vie caratterizzate da
presenza di traffico, cioè dal frequente transito di potenziali clienti. Progressivamente, nel
tempo, in diversi casi, gli esercizi commerciali dei centri commerciali urbani naturali si sono
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associati tra loro per cercare di coordinare servizi comuni a tutti i negozi presenti, ad esempio
pulizia della strada, illuminazione, addobbi per le festività, ecc., come è accaduto in alcune
delle principali vie del commercio delle città del mondo (Zanderighi L., 2001).
A questi centri si affiancano i centri commerciali pianificati che vedono la presenza di un
soggetto promotore che effettua uno specifico investimento immobiliare destinato ad
accogliere una pluralità di esercizi commerciali, secondo criteri di assortimento destinati a
creare un complesso sistema di offerta capace di attrarre numerosi soggetti. Di norma (CNCC,
2011), i centri commerciali pianificati possono essere distinti in base alla dimensione,
evidenziando centri commerciali: di vicinato o di quartiere (GLA – Gross Leasable Area o
Superficie lorda affittabile- inferiore ai 5.000 mq); di piccole dimensioni (GLA tra 5.000 e
19.999 mq); di medie dimensioni (GLA 20.000-39.999 mq); grande centro commerciale
(GLA tra 40.000 e 79.999 mq); centro commerciale regionale di area estesa (GLA oltre
80.000 mq). Un altro importante criterio distingue i centri commerciali in base alla loro
localizzazione che può essere: urbana, nelle aree centrali delle città, ad alta densità
commerciale; periferica, cioè in zone semicentrali delle città o al limite dell’area urbana,
quindi a densità commerciale limitata; oppure extraurbana, con una attrazione sovra
comunale, in aree a densità commerciale bassa, ma ben servite da vie di comunicazione.
Infine, i centri commerciali, possono essere distinti a seconda che il loro utilizzo sia singolo,
cioè quando il centro sia inserito in un complesso immobiliare destinato ad ospitare solo il
centro commerciale, oppure multiplo (anche detto complesso polifunzionale) quando il centro
commerciale sia inserito in un complesso immobiliare polifunzionale, ad esempio
residenziale, direzionale, a funzioni pubbliche, hotel, impianti sportivi, ecc.
Solitamente, i centri commerciali si caratterizzano per essere costituiti intorno ad una attività
commerciale trainante che rappresenta il punto focale della attrazione della clientela. Di
norma, l’attività trainante sulla quale più comunemente si incentra il centro commerciale è
costituita da un supermercato ma, sempre più spesso, si stanno affermando i cosiddetti centri
commerciali a tema, dedicati a specifici target di mercato, dove le attività trainanti possono
essere costituite da multiplex, attività di entertainment, fitness, oltre, naturalmente, ad un
significativo numero di attività di ristorazione -ad es. Disneyland, Gardaland, Amsterdam
Arena (Markerink, Santini, 2004), ecc.-.
Per lo più, questi centri sono realizzati in complessi immobiliari coperti con servizi comuni
per le imprese partecipanti e la clientela che vi si reca: parcheggi, facilitazioni alle operazioni
logistiche come spazi di carico e scarico, magazzini, ascensori, riscaldamento e
condizionamento, pulizia, sicurezza, servizi igienici, intrattenimento dei bambini, ecc. (Gruen
V., 1943; Bernard J. F., Sagalyn L. B., 1989). Vi sono però anche centri che si sviluppano
all’aperto, con diverse strutture immobiliari tra loro collegate, che costituiscono una sorta di
piccola città con vie, piazze, accessi controllati, sicurezza, ecc. solitamente localizzati in aree
extraurbane (Pleskach J. S., 1974; Rubenstein H. M., 1992). Spesso, questa ultima forma di
7
centri commerciali viene scelta dai Factory Outlets che nascono come aggregazione di punti
vendita dei produttori dove poter smerciare rimanenze, resi, linee sperimentali, eccedenze di
produzione della propria marca.
Tutte le strutture indicate, sia i centri commerciali naturali, sia quelli pianificati, hanno in
comune l’obiettivo di attrarre clientela affinché si generino le condizioni di vendita per gli
esercizi commerciali presenti nel centro. I servizi collegati sono quindi da considerarsi come
fattori immateriali del complesso sistema di offerta che serve ad attirare pubblico. In effetti, la
rilevanza dei fattori immateriali nel processo di acquisto e consumo potenziano enormemente
il ruolo dei centri commerciali nello sviluppo delle città, in particolare delle grandi città. I
tradizionali luoghi di aggregazione sociale che hanno portato alla crescita delle città per area
coperta, popolazione e ricchezza prodotta e consumata, che tipicamente originavano da
commistioni di attività economiche e religiose (la piazza principale, della vita commerciale e
religiosa e le vie del commercio) tendono ora ad essere sostituiti in forme più o meno evidenti
dai centri commerciali. Il consumo -e l’attività di acquisto ad esso propedeutica- tendono a
divenire centrali nei mercati globali e, con esso, divengono luoghi di aggregazione economica
e sociale i centri dell’acquisto e del consumo, come i centri commerciali. Ciò che è però
significativo in questi luoghi, non è tanto l’aspetto materiale dei prodotti disponibili che sono
appunto fungibili, quanto il sistema dei fattori immateriali che caratterizzano l’esperienza del
consumo, legata sia alle componenti immateriali di offerta (ad es. presenza di prodotti di
marca nota), sia ai contenuti immateriali di offerte di determinate qualità (accesso ad uno
spettacolo cinematografico, spa, attività di fitness, spazi di intrattenimento ed incontro come
le attività di ristorazione).
Naturalmente, l’assortimento dell’offerta di un centro commerciale dipende da numerosi
fattori, primo di tutti il bacino commerciale di riferimento, le sue caratteristiche economiche
(capacità di spesa della domanda, età media, cultura, capacità di spostamento, densità
commerciale, sistema infrastrutturale locale, ecc.) ma anche dal percorso di sviluppo che si
pensa di poter garantire ad una determinata area in termini economici, sociali e culturali. Il
progetto di istituzione di un centro commerciale e la scelta degli esercizi commerciali e delle
attività di intrattenimento da coinvolgere nel centro stesso, non possono infatti prescindere
dalla capacità di prevedere le evoluzioni prospettiche di un territorio urbano e circostante,
quindi dalla capacità di progettare il tipo di sviluppo che si intende garantire ad un’area
territoriale in rapporto alle aree limitrofe. Si tratta di definire con anticipo il livello di consumi
che una determinata area potrà sostenere, e capire quale spazio di sviluppo qualitativo
(normalmente, associato a sviluppo economico e maggiore ricchezza commerciale e culturale
dell’area stessa) potrà essere raggiunto, in quali tempi, da specifiche aree territoriali, per
capire il tipo di investimento da realizzare e le caratteristiche del ritorno economico che ne
deriverà.
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In questo senso, l’Italia tende a muoversi in modo rallentato rispetto agli altri paesi europei ed
al resto del mondo, dove gli investimenti in centri commerciali urbani e non, sono da tanto
tempo considerati centrali per lo sviluppo economico di un paese (Dalmiglio, 2011; Tassinari,
2010).
Grafico 1 – Italia: volume di transazioni in investimenti diretti di immobili retail
Fonte: Dalmiglio, 2011, p. 38.
In effetti, in Europa nel 2010 gli investimenti diretti in immobili retail hanno superato i 20,6
miliardi di Euro, con un aumento del 68% rispetto ai dati del 2009 (€ 12,3 miliardi), mentre in
Italia questo non è avvenuto.
Tabella 1 – Italia: Centri commerciali censiti, Dicembre 2010, GLA > 5.000 mq
Very
Large Large Medium Small Leisure Factory
(a)
(b)
(c)
(d)
Center Outlet N. Tot GLA Tot
New
Mq GLA
openings
per 1000 ab.
2010
Nord Ovest
0
16
56
202
9
5
288
4.932.869
308
4
Nord Est
0
8
41
144
2
6
201
3.147.322
272
3
Centro
2
4
26
127
6
6
171
2.600.560
219
1
Sud e Isole
0
6
63
129
4
5
207
3.613.692
173
5
Note: (a) GLA > 80.000 mq, (b) GLA 40.000-79.999 mq, (c) 20.000-39.999 mq, (d) 5.000-19.999 mq
Fonte: Panu, 2011, p. 34-35.
Questo quadro della situazione dei centri commerciali in Italia evidenzia i limiti del nostro
sistema di offerta soprattutto se confrontato con i più grandi centri commerciali del mondo,
tutti realizzati in paesi non europei.
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Tabella 2 – Confronto tra i più grandi centri commerciali del mondo
Shopping Mall
South China Mall
Dongguan, Cina
Jin Yuan
Beijing, Cina
SM Mall of Asia
Pasa City, Filippine
Dubai Mall
Dubai, Emirati Arabi Uniti
West Edmonton Mall
Edmonton, Alberta, Canada
Cevahir Istambul
Istambul, Turchia
SM City North Edsa
Quezon City, Filippine
SM Megamall
Mandaluyon City, Filippine
Berjaya Times Square
Kuala Lumpur, Malesia
Beijing Mall
Beijing, Cina
Zhengjia Plaza
Guangzhou, Cina
SM City Cebu
Cebu City, Filippine
Mall of America
Bloomington, Minnesota, USA
South Coast Plaza
Costa Mesa, California, USA
Millcreek Mall
Erie, Pennsylvania, USA
Central Commercial Santafe
Bogotà, Colombia
Aricanduva Mall
San Paolo, Brasile
Chia Tai Square
Shanghai, Jiangsu, Cina
Siam Paragon
Bangkok, Tailandia
Del Amo Fashion Center
Los Angeles, California, USA
Anno Apertura
GLA mq
Area totale mq
2005
660.000
892.000
1.500
2004
560.000
680.000
1.000+
2006
386.000
2008
350.000
550.000
1.200
1981
350.000
490.000
800
2005
348.000
420.000
280
1985
332.000
900
1991
332.000
600
2005
320.000
700.000
2005
320.000
440.000
2005
280.000
420.000
1991
267.000
1992
260.000
1967
250.000
280
1975
242.000
142
2006
250.000
485
1991
242.000
2005
240.000
2005
230.000
1975
230.000
390.000
342.000
N. Negozi
1.000
520
535
380.000
300
Fonte: Shopping Center Studies at Eastern Connecticut State University, http://nutmeg.
easternct.edu/~pocock/Malls.htm, giugno 2011
In particolare, tornando all’Italia, la fotografia del nostro paese come emerge dal censimento
dei centri commerciali pianificati del 2010 (Tabella 1) ed, in particolare, dall’esame dei mq di
superficie lorda affittabile per 1000 abitanti evidenzia livelli assai disomogenei di densità
commerciale e, quindi, di competitività tra imprese e formati alternativi. Tale situazione,
certamente non giova allo sviluppo di offerte competitive che consentano la valorizzazione
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dei consumi immateriali, anche se, in questo senso sempre più attive sono le offerte
commerciali on line che determinano l’aggregazione di grandi masse di persone, coincidenti e
non con i clienti dei centri commerciali “fisici”.
2.2 I Virtual Market-Places come luoghi di aggregazione virtuale della clientela
Nei mercati globali, tuttavia, l’acquisto ed il consumo non si esauriscono nelle tradizionali
forme “fisiche” come i centri commerciali, bensì possono svolgersi anche in luoghi virtuali
che negli ultimi venti anni hanno attratto e mantenuto i contatti con un numero molto elevato
di clienti e di visitatori. I primi “luoghi” virtuali di acquisto e consumo si sono sviluppati nella
forma di market-places virtuali nei quali venditori e clienti possono incontrarsi per vendere e
comprare, sia con il meccanismo della fissazione tradizionale del prezzo, sia con quello
dell’asta nelle sue varie forme e varianti (al ribasso, al rialzo, ecc.) (Reinartz, 2002). Un noto
esempio globale di questa realtà è costituito da E-bay, il sito di aste on line dove è possibile
acquistare e vendere di tutto, nuovo ed usato, a qualsiasi livello di prezzo. Accanto queste
forme di incontro tra offerta e domanda (molte delle quali si sono sviluppate nell’ambito dei
mercati B2B), si sono affermati altri “luoghi” virtuali come siti di vero e proprio e-commerce.
Le prime forme di acquisto on line sono state create dalle imprese di produzione che, dopo
avere aperto un sito internet di presentazione della propria attività, hanno cercato di affiancare
al canale di vendita tradizionale (negozi monomarca, boutiques, grande distribuzione, ecc.)
quello elettronico, creando vetrine on line e sviluppando portali di e-commerce per gestire
nuovi e diversi modi di porsi in relazione con la propria clientela.
La gestione delle relazioni con la clientela è stata poi utilizzata anche da altre imprese che
hanno preferito la strada della intermediazione on line, sviluppando relazioni con selezionati
fornitori e promuovendone le offerte presso un parco clienti registrati nel sito ed interessati a
specifiche tipologie di offerte e condizioni economiche. Questa ultima forma di luogo di
vendita corrisponde, per molti aspetti, ai centri commerciali tradizionali, seppure se ne
differenzi per numerosi fattori. Certamente, però, contribuisce allo sviluppo dei consumi
immateriali, addirittura a partire da meccanismi immateriali di acquisto e pagamento dei beni,
con significative ricadute sulle città servite.
La formula di business su cui si basano i siti di intermediazione on line si fonda sulla capacità
di stabilire relazioni con specifici fornitori (di solito imprese produttrici di prodotti con
marche note in diversi ambiti merceologici come high-tech, abbigliamento, accessori, ecc.),
negoziare vantaggiose condizioni di fornitura, quindi promuovere i prodotti di marca presso la
propria clientela che, normalmente, coincide con un pubblico auto selezionato e registrato su
specifici siti internet. In particolare, il vantaggio offerto da questi siti è costituito dall’offerta
di prodotti con sconti molto rilevanti (anche nell’ordine del 70% sul prezzo di mercato) e
11
dalla consegna a domicilio o in determinati luoghi di prelievo degli acquisti realizzati dal
cliente.
Si tratta cioè di gestire la combinazione tra sistema di relazioni di fornitura e sistema di
relazioni di clientela, disegnando combinazioni di offerte in grado di attrarre la clientela,
stimolandola ad acquistare e a ritornare con frequenza sul sito. Sul fronte delle relazioni di
fornitura queste imprese stabiliscono rapporti di esclusiva di impresa, di marca o di prodotto,
concordano lotti di specifiche dimensioni che il fornitore si impegna a tenere a disposizione
presso i propri magazzini per un definito periodo di tempo, per altro molto ridotto (spesso
inferiore alla settimana) e che, normalmente, sono riferiti a linee di produzione realizzate ad
hoc, non destinate ai canali tradizionali di vendita, oppure a prodotti della collezione
precedente non più presenti (o non più centrali) nell’assortimento dei canali tradizionali. Date
queste condizioni è allora possibile, per un tempo definito, garantire ai clienti una elevata
percentuale di sconto rispetto a prodotti analoghi venduti dal canale fisico tradizionale.
Dall’altro lato, la clientela, venuta a conoscenza del sito e dei vantaggi potenziali, si registra
fornendo all’intermediario i primi elementi di profilazione (elementari dati socio-economicodemografici), entra così nella “community” e può navigare nel sito alla ricerca delle offerte e
delle proposte di acquisto quando meglio crede, oltre a ricevere via mail le informazioni su
offerte e novità. Naturalmente, la conoscenza del profilo del cliente da parte
dell’intermediario si arricchisce di tutte le informazioni che il cliente stesso trasmette
navigando con la propria login nel sito ed effettuando acquisti nel tempo. Il patrimonio
informativo che ne deriva serve all’intermediario per definire il proprio assortimento, le aree
geografiche da coprire, i prezzi da proporre, e la tipologia di comunicazione da effettuare, in
definitiva le bolle di domanda da creare (Corniani, 2002). “Such a system creates value for a
business as a consequence of the value it delivers to users – personalized purchase
recommendations, connections between buyers and sellers of hard-to-find items, new personal
or business relationships, lower prices, membership in a community, entertainment,
information of all kinds.” (Cook, 2008, 63).
D’altro canto, il patrimonio di iscritti al sito rappresenta per l’intermediario non solo un parco
clienti potenziali noto e raggiungibile a costo zero, ma anche un prodotto da vendere alle
imprese fornitrici, cioè un fattore-chiave del processo di negoziazione per ottenere esclusive,
sconti e condizioni di fornitura.
Non tutti i siti di intermediazione on line operano tuttavia con il medesimo criterio. Alcuni
scelgono la forma della associazione, per cui è necessaria una registrazione gratuita per poter
accedere alle informazioni sulle condizioni vantaggiose del sito (ad esempio Privalia), altri
invece, sono di consultazione aperta a tutti e prevedono la registrazione solo per i clienti (ad
esempio Eprice). Nel primo caso, in particolare, l’accesso mediante registrazione esclude che
le informazioni presenti sul sito siano analizzate e riportate dai motori di ricerca, consentendo
la difesa di due mercati paralleli: quello, noto a tutti, delle offerte tradizionali a prezzi “di
12
mercato”; e quello on line, con sconti e condizioni vantaggiose, aperto solo agli iscritti. Nel
secondo caso, cioè per i siti di intermediazione aperti a tutti, le informazioni presenti sul sito
sono registrabili anche dai motori di ricerca che inducono quindi una forte competizione tra
siti alternativi che, comunque, presentano condizioni economiche vantaggiose rispetto
all’acquisto tradizionale.
Il sistema di vendite on line realizzato dai siti di intermediazione sopra indicati può
naturalmente essere sviluppato su scala globale (come fanno, ad esempio Amazon, CDnow e
moltissimi altri siti), cioè in modo indipendente dalla localizzazione geografica fisica di
imprese fornitrici e utenti/clienti. Questo però avviene grazie ad un sistema di relazioni di
fornitura di prodotti (editori, librerie, e singoli) e di servizi logistici esteso su tutto il pianeta.
Numerosi siti di intermediazione, tuttavia, scelgono di gestire un’area territoriale in modo
specifico, cioè con relazioni di fornitura e rapporti con la clientela mirati, che non hanno una
evidenza in altri paesi del mondo. Questo è quanto avviene con siti come Eprice, Privalia,
Yooks e molti altri che, pur essendo virtuali nelle loro offerte, hanno un rapporto molto stretto
con i luoghi serviti. Le ricadute sul territorio di queste formule di intermediazione sono quindi
localizzabili e circoscrivibili ed, in questo senso, è rilevante considerarle nel novero delle
strutture che generano consumi immateriali i cui effetti si ripercuotono sulle città.
Tabella 3 – I primi 30 gruppi multicanale europei per fatturato, 2010
Impresa
Otto
Tesco
PPR (Fnac.com, Laredoute.fr)
Home Retail Group
3 Suisses
Cdiscount
Neckermann Gruppe
Dixons Stores Group (di cui Pixmania)
Carrefour
Vente-privee.com
Sainsburys
MediaShopping.it
Next
ASDA
Ocado
Shop Direct Group
John Lewis
Marks & Spencer
eBuyer UK
Misco
Conrad Holding
Play.com
The Carphone Warehouse Group
Darty.com
Wehkamp
Paese
Germania
Regno Unito
Francia
Regno Unito
Francia
Francia
Germania
Regno Unito
Francia
Francia
Regno Unito
Italia
Regno Unito
Regno Unito
Regno Unito
Regno Unito
Regno Unito
Regno Unito
Regno Unito
Regno Unito
Germania
Regno Unito
Regno Unito
Francia
Olanda
13
Fonte: Internet Retailer, in Liscia R., Le nuove tendenze degli acquirenti on line, Netcomm
Forum 2011.
In particolare, la formula di business di queste strutture di intermediazione si fonda spesso
sulla assenza di magazzini e sulla capacità di gestire il rapporto tra fornitore e cliente,
evitando il trasferimento della proprietà e della fisicità delle merci nelle mani
dell’intermediario. Tuttavia, come accadde anche per Amazon, la pressione competitiva sui
tempi di consegna e sulla garanzia di rispetto di specifiche e tempi, ha indotto molti di questi
intermediari a scegliere una soluzione mista, facendosi carico di alcuni magazzini ed
acquistando lotti da fornitori per poter poi avere maggiori margini di manovra nella fissazione
di prezzi e tempi di durata delle condizioni di offerta. Questa scelta logistica, ad evidenza, ha
accresciuto ulteriormente il legame tra sito di intermediazione e territorio servito.
Il legame tra molti di questi siti e territorio è però ancora più profondo in quanto si collega
allo spazio di notorietà delle marche vendute ed alla loro capacità di attrarre clientela. Perché
determinati soggetti siano interessati all’acquisto di un definito prodotto di marca, è cioè
necessario che l’impresa di produzione sia stata capace di affermare proprio presso quei
soggetti la propria offerta, cosa che avviene mediante la presenza dei prodotti di marca nei
canali tradizionali di vendita (vetrine dei negozi di moda, o ad alto traffico di clientela) e nei
principali veicoli di comunicazione aziendale (advertising, publicity, ecc.) e che alla clientela
potenziale sia noto il prezzo di vendita “di mercato” per poter apprezzare il vantaggio
dell’acquisto scontato on line. Il nesso tra siti di intermediazione on line e i punti vendita
tradizionali (specializzati, flagship stores, ecc.) è quindi essenziale per potenziare il valore
delle offerte on line e, ovviamente, riporta i siti di intermediazione a specifici territori locali,
in particolare a luoghi centrali di affermazione della notorietà e della immagine di marca,
quali sono i sistemi ad elevata densità commerciale come le grandi città.
I siti di e-commerce in Italia, come nel resto del mondo, hanno avuto nell’ultimo decennio un
enorme sviluppo con importanti tassi di crescita per diversi anni consecutivi. Anche settori
come l’abbigliamento hanno visto un ampio spazio di sviluppo per le vendite on line,
soprattutto per i prodotti di marca nota, confermando la rilevanza del complesso sistema di
azioni messo in opera dalle grandi imprese produttrici nel promuovere la notorietà e
l’immagine delle proprie offerte, attraverso l’utilizzo di molteplici canali di distribuzione e di
comunicazione aziendale.
Grafico 2 – Europa: Fatturati on line per paese, 2010, Miliardi di Euro
14
Fonte: Fevad, www.fevad.fr
Tra i siti più noti si ricordano Yoox, impresa italiana, quotata alla borsa valori, che vende le
marche più note del mondo di abbigliamento e accessori via internet con un fatturato nel 2010
di 214,3 Milioni di Euro, realizzato prevalentemente in Italia, con una crescita del 122% sul
2009 e con un numero di utenti unici (dati Audinet) di 8,6 milioni (+34% rispetto al 2009).
Un concorrente importante di Yoox è costituito in Europa dal francese Vente Privée che,
attivo dal 2000, nel 2010 ha fatturato 700 milioni di Euro con un + 11% rispetto al 2009,
realizzato all’82% in Francia e in misura nettamente inferiore negli altri paesi europei come
Spagna circa (54 milioni di Euro), Germania (51 milioni), Italia (15 milioni di Euro) e Regno
Unito (5,4 milioni).
Tra i principali gruppi di e-commerce operanti in Italia si può ricordare anche Banzai con
un’offerta differenziata di siti a seconda del target o del tipo di prodotti trattati (donna con
Pianetadonna, cucina con Giallozafferano, giovani con Studenti, high-tech con E-price, ecc.)
che vanta nel complesso più di 12 milioni di utenti unici e che si basa su di “un nuovo
modello di produzione industriale di contenuti sul web, che coniuga insieme forti community
verticali tematiche, piattaforme di crowdsourcing e tecnologie innovative di analisi dei
contenuti” (A. Santagata, Responsabile Area Media Banzai, www.banzai.it, giugno 2011).
La pervasività dell’offerta rappresentata dai siti di e-commerce ed il loro legame con il
territorio sono sempre più significative nei mercati globali, ma certamente le principali
ricadute del loro business possono essere verificate con riguardo alle grandi città, rispetto alle
quali si determinano il massimo grado di movimentazione di merci trattate e di persone
servite. In effetti, la consegna delle merci acquistate on line rappresenta uno degli aspetti
essenziali nella valutazione di efficacia ed efficienza dell’intero processo di e-commerce da
parte della clientela (Collier, Bienstock, 2006). Dove la densità commerciale è maggiore,
quindi, là la maggioranza di questi siti si colloca con la proposta di servizi innovativi e
15
convenienti di acquisto e consumo, stimolando il complessivo sistema degli attori presenti sul
territorio ad incrementare gli aspetti immateriali della propria offerta.
3
Grandi città e fattori competitivi di sviluppo dei centri commerciali di aggregazione
dei consumi
I centri commerciali di aggregazione degli acquisti e dei consumi, quindi, tendono ad avere un
impatto considerevole sulle città su cui insistono, sotto una molteplicità di aspetti, alcuni
strettamente materiali e di immediata verifica e misurazione, altri meno materiali ed i cui
effetti sono verificabili solo nel tempo.
Con riguardo ai primi aspetti, cioè a quelli più strettamente materiali, i centri commerciali
“fisici” e quelli virtuali generano movimentazione di merci e persone sia con riferimento al
sistema di logistica in entrata, cioè nelle relazioni con il sistema di fornitura, sia con riguardo
ai processi di vendita, cioè nelle relazioni con il sistema della clientela. La scelta di una
determinata localizzazione geografica determina per un centro commerciale fisico, ma in
modo parziale anche per un retailer virtuale, un definito bacino di domanda potenziale, con
una capacità di acquisto e consumo ben definite in termini quantitativi e qualitativi. D’altro
canto, proprio questa clientela potenziale costituisce il presupposto per la determinazione
dell’assortimento da proporre. La clientela è cioè giudice e causa delle scelte di assortimento
effettuate dalle imprese, dove per assortimento si intende l’insieme complessivo dell’offerta
che ciascuna delle diverse aziende che insistono sul territorio intende proporre. Nel caso degli
intermediari virtuali, l’assortimento è costituito dall’insieme delle referenze trattate da ciascun
sito, mentre nel caso dei centri commerciali naturali e pianificati, esso individua l’insieme dei
negozi inseriti nel centro commerciale, con il loro specifico assortimento di insegna. La
clientela raggiungibile dalla localizzazione in un definito centro commerciale, o dalla apertura
di un sito internet che intende servire determinate aree geografiche, costituisce quindi il
parametro di riferimento per il business ed è ciò che il gestore del sito di intermediazione
virtuale o del centro commerciale fisico possono vendere ai propri fornitori.
Naturalmente, la clientela di un definito territorio è però esposta agli stimoli commerciali di
tutti i centri commerciali fisici o virtuali che su quel territorio insistono, pertanto anche il
sistema competitivo e la densità commerciale che lo caratterizzano hanno grande influenza
sulle scelte di assortimento di ciascun centro commerciale.
Dall’altro canto, gli aspetti intangibili (o meno tangibili) dell’impatto dei centri commerciali
fisici e virtuali su di un territorio sono meno facilmente misurabili nel breve termine, ma sono
anch’essi assai rilevanti con effetti che tendono a protrarsi nel medio-lungo termine. La
componente immateriale dell’acquisto e del consumo, infatti, non si esaurisce nel momento
dell’acquisto o del consumo stesso, ma tende a scatenare un effetto di contagio che stimola le
nuove offerte e prepara a nuovi e più articolati consumi la domanda stessa. Si crea cioè una
16
abitudine ed un gusto per un determinato tipo di aspetti immateriali del consumo che tende a
richiamare e richiedere nuovi elementi immateriali e ad incrementare l’immaterialità stessa
dei consumi.
Quando nell’acquisto di una autovettura non sono più le componenti materiali di offerta a
determinare la scelta, ma quelle immateriali come la marca, i servizi pre vendita, il design, le
garanzie, l’assistenza e gli altri servizi post-vendita, ecc., si tende ad evidenziare la sostanziale
fungibilità delle componenti materiali di offerta e la rilevanza ed unicità invece della
combinazione di quelle immateriali. La domanda, quindi, impara ad apprezzare le alternative
immateriali delle offerte presenti sul mercato e si aspetta dal sistema degli offerenti espliciti
investimenti in questa direzione, naturalmente dando per acquisiti i fattori qualitativi materiali
della componente tangibile di offerta. Il sistema competitivo di produzione e vendita, quindi,
deve essere in grado di offrire prodotti che sono ormai sempre più standardizzati,
personalizzandone la componente immateriale e, nel fare questo, deve riuscire a realizzare
economie rispetto sia ai fattori materiali sia a quelli immateriali della propria offerta.
Attraverso i fattori immateriali di offerta, i centri commerciali fisici e virtuali attirano e
aggregano pubblico e sviluppano una relazione che è sempre più duratura nel tempo.
L’investimento in questa relazione poggia sulla capacità delle imprese di creare competitive
customer value per la propria clientela, investendo sui fattori competitivi immateriali di
relazione. Con riguardo all’offerta, diviene quindi essenziale essere presenti dove si
coagulano i processi di acquisto e di “passaggio”, con offerte competitive in un sistema dove
il confronto competitivo è potenziato o, addirittura, sistematizzato. Ne consegue l’imperativo
di raggiungere economie di scala sulla componente tangibile di offerta, ma anche con
riguardo alla dimensione immateriale dei consumi, sia essa intrinseca all’offerta, sia essa
invece relativa alle peculiarità del processo di acquisto e consumo. Con riguardo alla
domanda finale di consumo, i nuovi modelli di aggregazione da un lato favoriscono la ricerca
delle informazioni ed evidenziano i fattori distintivi delle diverse soluzioni di offerta
disponibili, dall’altro lato cambiano le abitudini dei processi di consumo che si aggregano in
luoghi fisici o virtuali prima che su marche o offerte specifiche. Si determinano quindi
sostanziali spostamenti dei comportamenti di fedeltà dalla brand al “site brand” che si
riferisce a specifiche location fisiche come centri commerciali, outlet, ecc. sia a luoghi virtuali
come virtual market-places dove la clientela prende l’abitudine di navigare alla ricerca di
interessanti soluzioni di offerta, perché ha sperimentato nel tempo il valore del sistema
immateriale che circonda le offerte materiali.
Nel caso dei virtual market-places, in particolare, il potenziale di aggregazione di offerta e
domanda consente di potenziare: da un lato, le economie di scala nelle relazioni di fornitura e
nella gestione delle relazioni con la domanda, accrescendo la competitività di un sistema di
offerta; dall’altro lato, si accresce il sistema dei contatti con la domanda, incrementando i
sistemi di profilazione della clientela, accentuando le relazioni a due vie tra offerta e domanda
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secondo un modello che influenza la customer satisfaction e la customer loyalty al “site
brand”, nella minimizzazione dei costi di mantenimento e gestione della relazione.
I centri commerciali fisici e virtuali, quindi, divengono luogo centrale dei consumi
immateriali ed improntano il livello dei consumi stessi, scegliendo le combinazioni di fattori
immateriali da offrire secondo un meccanismo di relazione a due vie che informa e forma il
mercato, per l’acquisizione di capacità e bisogni che evolvono e si sviluppano grazie alla
presenza di offerte competitive. Sono quindi sempre più le offerte delle imprese ad indirizzare
l’immaterialità dei consumi e ad improntare il tipo di sviluppo che una città può perseguire,
secondo un principio per cui non esiste limite allo sviluppo della componente immateriale dei
consumi, soprattutto nel sistema di azione e reazione competitiva che si genera tra imprese nei
contesti ad alta intensità commerciale, quali sono le grandi città. In questo senso, si può
cogliere il principio degli effetti di lungo periodo che la componente immateriale di offerta è
in grado di generare, alimentando consumi immateriali che evolvono e crescono grazie alla
presenza di alternative che formano l’humus per lo sviluppo delle grandi città e dei consumi
che in esse possono essere realizzati.
4
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19
ABSTRACT
In global markets, intangible features of products are becoming more and more important in
buying behaviour. People’s consumptions are driven by tangible components of supplies (i.e.
materials, shape, and other physical aspects) but also by non-tangible ones (like brands,
colours, style, design, pre and post sales services, etc.). Due to fast innovation imitation and to
agile information exchanges all over the world, most part of tangible products are becoming
the same, and often they are also produced by the same companies, or at least they are
realized with the same production processes that are able to grant to the producer the best cost
advantages. So, differentiation processes of supplies are mostly centred on intangible features,
which, in fact, are company specific. In nowadays markets the choice of a new car is the
result of a long comparison between many supplies in the same market segment; but the final
choice is generally made on services, accessories, style, design and, of course, price. Very few
people indeed are able to recognise and evaluate mechanical and electronic aspects of a
vehicle, so the intangible aspects remain as the principal ones to be considered for a choice.
Moreover, intangible features are defining buying and consumption behaviour in most part of
our lives.
In this context, shopping malls are becoming important agents in defining kind and quality of
intangible features of supplies, not only establishing assortments, but also working on the
consumption behaviour atmosphere that they determine in all its aspects (style, colours,
sensations as noise, silence, smells, relaxing spaces, and all the services like parking,
merchandise picking, children care, payments, etc.). In this way, shopping malls are
responsible of the quality of intangible consumption process which has deep impact on people
and on the community people lives in. That’s why shopping malls, both physical and virtual
ones (i.e. e-commerce sites and other kind of virtual market-places), are significant in big
cities, where commercial density is high.
By defining intangible aspects of consumptions, shopping malls determine the development
of a particular geographical area (normally surrounding a big city) because they are able to
aggregate demand, learn from buyer’s behaviour and play an active role in establishing the
choice alternatives, which means forging the consumption habits and expectations of
populations and cities.
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