Nostoi. Capolavori ritrovati: Ceramica attica a figure rosse

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Nostoi. Capolavori ritrovati: Ceramica attica a figure rosse
CERAMICA ATTICA A FIGURE ROSSE
9. Cratere a calice attico a figure rosse
con il trasporto del corpo di Sarpedonte
Firmato da Euxitheos come vasaio e da Euphronios come ceramografo, ca. 515 a.C.
H. 45,7; diam. 55,1
Già Metropolitan Museum of Art 1972, 11.10 (L.2006.10)
Il “cratere di Eufronio”, come lo si è detto quasi per antonomasia, è uno dei più
bei vasi attici pervenutici, il solo integro dei ventisette vasi dipinti dall’artista
greco, il più abile del cosiddetto Gruppo dei Pionieri, come furono denominati
i primi pittori attici tardo-arcaici che svilupparono la tecnica a figure rosse.
Vasaio e pittore, operò nei decenni 520-470 a.C; a partire dal 500 a.C. lavorò,
quasi certamente per l’indebolimento della vista, solo come vasaio. In
un’iscrizione dall’acropoli di Atene, su un monumento da lui dedicato, è
denominato come “il vasaio”.
Sul lato principale del cratere è raffigurata la morte di Sarpedonte, l’eroe figlio
di Zeus e Laodamia, che combatteva come alleato dei Troiani, un celebre
episodio della Guerra di Troia. Il dio Hermes, qui nella sua funzione di
messaggero di Zeus e conduttore delle anime dei morti, guida le personificazioni
del Sonno (Hypnos) e della Morte (Thanatos) che trasportano il corpo dell’eroe
caduto nella sua patria, la Licia, per il funerale.
Il lato secondario del vaso raffigura giovani che si armano prima della battaglia,
un’allusione al destino di morte che potrebbe accomunare questi giovani a
Sarpedonte.
La presenza delle firme associate del pittore e del vasaio, artigiano che di
solito firmava più raramente i suoi prodotti, indica che Euxitheos riconosceva
in questo cratere una delle sue opere migliori. Oltre alle firme degli autori il
vaso reca anche l’iscrizione “Leagros kalos”: Leagro è bello, che ha fornito
un prezioso elemento per la datazione, giacché l’adolescenza di Leagros, un
personaggio storico ateniese considerato uno dei più bei fanciulli greci del suo
tempo, è da collocare nel decennio 520-510 a.C.
Nella raffigurazione, Euphronios, pur nei vincoli imposti dalla parsimonia dei
mezzi cromatici consentiti dalla tecnica vascolare e dalle forzature obbligate
dalla morfologia della ridotta superficie pittorica, dispiega la sua abilità nella
perfezione naturalistica delle sue figure in cui si rileva l’ormai acquisita
padronanza dello scorcio, l’accurata resa anatomica, il senso della
composizione e la capacità di costruzione della spazialità, anche attraverso
il sapiente uso della vernice, ora diluita ora più densa, per dare il senso del
volume. Ma soprattutto l’artista, nella scena principale, riesce a conferire al
carattere di drammaticità dell’evento, anche attraverso una magistrale
composizione dei personaggi e delle relazioni tra di loro costruite sui rimandi
degli sguardi e una trama di richiami geometrico formali fra le figure,
un’atmosfera di dolente concentrazione e un tono di meditazione sospesa che
colloca la raffigurazione al di fuori del tempo e, per questo, in ogni tempo.
BIBLIOGRAFIA: J. Boardman, Attic Red Figure Vases: The Archaic Period, London, Thames
and Hudson, 1975, fig. 22; T. Hoving, D. von Bothmer, The Chase, the Capture: Collecting
at the Metropolitan, New York, The Metropolitan Museum of Art, 1975, p. 41, fig. 4; p. 121,
fig. 22; D. von Bothmer, Der Euphronioskrater in New York, AA, 1976, pp. 485-512;
Euphronios Peintre, 1992.
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10. Kylix attica a figure rosse con Ilioupersis
Firmata da Euphronios come vasaio e attribuita ad Onesimos come ceramografo,
ca. 500-490 a.C.
H. 20,5; diam. orlo 46,5
Museo Nazionale di Villa Giulia, inv. 121110; già J. Paul Getty Museum, Malibu,
restituita nel 1999, dopo che gli scavi in località S. Antonio ne hanno dimostrato, con
il ritrovamento di altri due frammenti combacianti, la provenienza da Cerveteri.
La kylix, parzialmente ricomposta, è decorata nel tondo interno dall’episodio più
drammatico della notte della presa di Troia, l’uccisione del vecchio re Priamo
alla presenza della figlia Polissena e del piccolo Astianatte, per mano di
Neottolemo, il figlio di Achille, nonostante il re avesse cercato protezione presso
l’altare di Zeus Herkeios, identificato da una scritta. Nel fregio che si sviluppa
intorno al tondo, molto lacunoso, si riconoscono altri episodi troiani e del ciclo
dell’Ilioupersis, fra i quali la liberazione di Aithra da parte dei nipoti Acamante
e Demofonte, la violenza fatta da Aiace Oileo a Cassandra, abbracciata al
Palladio; all’esterno si è identificato l’episodio di Briseide che viene condotta da
Patroclo ad Agamennone, e forse un duello tra Aiace ed Ettore.
Sotto il piede della coppa fu graffita, con i caratteri dell’alfabeto tipico di
Caere, un’iscrizione etrusca di dedica del vaso in un santuario di Hercle,
l’Eracle etrusco, che costituisce la più antica testimonianza epigrafica etrusca
di un culto a questo eroe.
BIBLIOGRAFIA: D. Williams, Onesimos and the Getty Ilioupersis, in Greek Vases in the J.P.
Getty Museum, 5, Occasional Papers on Antiquities, 7, Malibu, The J. Paul Getty Museum,
1991, pp. 41-64; MORETTI SGUBINI 1999, pp. 4-6; MORETTI SGUBINI 2001, pp. 150-153.
Per l’iscrizione, cfr. M. Martelli, Dedica ceretana a Hercle, AC, XLIII, 1991, pp. 613-621.
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11. Anfora attica a figure rosse con atleti
Attribuita al ceramografo Euthymides, ca. 515-510 a.C.
H. 43,5; diam. corpo 25,7
Già J. Paul Getty Museum, Malibu, 84.AE.63
Da scavi clandestini in Italia centro-meridionale
Una sola figura di atleta decora ogni lato di quest’anfora. Verso il 520 a.C.
i pittori di vasi ateniesi rinnovarono il loro modo di dipingere le figure di
atleti, valorizzando sport “leggeri” come il lancio del disco e del giavellotto e
i momenti di allenamento piuttosto che quelli della gara vera e propria.
L’enfasi data alla figura singola, esaltata nella muscolatura e nella resa
plastica del movimento, fu propria di quel gruppo di innovatori, dominato
da Euphronios, cui Beazley diede il nome-etichetta di Pionieri. Tra questi si
pone Euthymides, attivo sia come vasaio che come ceramografo tra il 515 e il
500 a.C., che usava firmare come “Euthymides figlio di Polias”, probabilmente
anche questi un artista, forse lo scultore Pollias.
Il discobolo raffigurato sul lato principale è identificato dal nome iscritto
accanto alla figura come Phayllos, probabilmente il celebre Phayllos di
Crotone in Magna Grecia che vinse tre volte ai giochi Pitici a Delfi, due nel
pentathlon (che comprendeva il lancio del disco e del giavellotto) e una volta
nella corsa dello stadio. Altri due vasi con analoghe iscrizioni mostrano
la preferenza del pittore per questo atleta, un’eccezione nella tradizione greca
del periodo che rifuggiva dalle rappresentazioni dei personaggi reali.
Sull’altro lato è una figura di lanciatore di giavellotto, probabilmente lo stesso
Phayllos.
BIBLIOGRAFIA: F. Villard, Les athlètes d’Euphronios, in Euphronios Peintre 1992, p. 38;
Handbook 2002, p. 64; NEER 2002, p. 94, fig. 45.
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12. Kylix attica a figure rosse con etera sdraiata
Attribuita a Epiktetos, ca. 520-510 a.C.
H. 14,5; diam. orlo 34
Già J. Paul Getty Museum, Malibu, 83.AE.287
Da scavi clandestini in Italia centro-meridionale
La coppa, quasi completa sebbene ricomposta da frammenti, è decorata nel solo
tondo interno con la figura di un’etera su un cuscino verso il quale si gira.
È di grande effetto decorativo il gioco dei piedi contro il bordo del tondo e
l’elaborata palmetta che fa da base. Un resto d’iscrizione (egrapse, dipinse)
è accanto alla testa.
Epiktetos, forse uno schiavo – il nome significa “il nuovo acquistato” – lavorò
per circa trent’anni, tra il 520 e il 490 a.C., dai primi tempi di introduzione
della nuova tecnica a figure rosse, ma produsse anche coppe bilingui secondo
la moda del tempo. Firmò circa una cinquantina di vasi lavorando per diversi
vasai, tra cui Hischylos e l’officina di Nikosthenes e Pamphaios. Il suo stile è
delicato, calligrafico, e si applica di preferenza a scene di vita quotidiana
piuttosto che a temi mitologici.
BIBLIOGRAFIA: A. Dierichs, Erotik in der Kunst Griechenlands, Mainz, von Zabern, 1993,
p. 57, fig. 95; M. Robertson, A Note on Epiktetos and Douris, in G. Capecchi (a cura di),
In memoria di E. Paribeni, Roma, Giorgio Bretschneider Editore, 1998, p. 362 ss., tav. CIII,
1-2.
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13. Kylix attica a figure rosse con scena di palestra
Attribuita al vasaio Pamphaios e al pittore di Nikosthenes come ceramografo,
ca. 510-500 a.C.
H. 13; diam. orlo 34
Già J. Paul Getty Museum, Malibu, 96.AE.97
Da scavi clandestini in Italia centro-meridionale
Nel tondo interno del vaso è raffigurato un giovane che, seduto su uno
sgabello, si allaccia un sandalo. L’aryballos e la spugna appesi di fronte a lui
ambientano idealmente la scena in un ginnasio, luogo per eccellenza della
paideia dei giovani nobili ateniesi.
All’esterno della coppa sono altre scene tipiche dell’immaginario dei
ceramografi ateniesi della fine del VI secolo a.C.: da un lato sono due giovani
con i loro cavalli e tre guerrieri; sull’altro una scena dionisiaca, con le Menadi
impegnate a respingere gli assalti dei Satiri.
L’anonimo ceramografo che prende il nome dal vasaio Nikosthenes con cui
collaborò in almeno tre vasi, è essenzialmente un pittore di coppe, e non
dimostra, se non in poche occasioni, un particolare talento. Lavorò poi, insieme
ai suoi contemporanei Oltos e Epiktetos, per il vasaio Pamphaios (se questo
nome non indica piuttosto un marchio) che tra il 510 e il 480 a.C. prese la
guida dell’officina orientandola verso l’innovazione delle forme e delle
decorazioni e le esportazioni in Etruria; questa coppa appartiene probabilmente
a questa fase della sua attività.
Tra le preferite del pittore le scene di atleti, guerrieri e i temi dionisiaci.
BIBLIOGRAFIA: Passion for Antiquities 1994, pp. 94-96, cat. n. 39; J. B. Grossman (ed.),
Athletes in Antiquity: Works from the Collection of the J. Paul Getty Museum (February 1
to April 15, 2002), Utah Museum of Fine Arts, Salt Lake City, University of Utah, 2002,
p. 26, n. 2.
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14. Psykter attico a figure rosse con giovani cavalieri
Attribuito a Smikros, ca. 510 a.C.
H. 12,5; diam. max. 27,5
Già Metropolitan Museum of Art, New York, 1985.11.5 (L.2006.11.4)
Mancante di gran parte del collo, della bocca e di tutta la parte inferiore
Questa forma particolare di vaso, con un corpo cilindrico, era utilizzata per
raffreddare il vino dei banchetti, riempiendolo di neve o acqua ghiacciata e
inserendolo dentro il cratere. Questo esemplare è decorato con una teoria di
cavalieri; tra le figure sono nomi iscritti.
I cinque cavalieri, che portano le lance e indossano identici copricapo (petasoi)
e corte casacche colorate d’ispirazione tracia, rappresentano la gioventù
aristocratica di Atene, la classe di cittadini che poteva permettersi di possedere
e mantenere un cavallo.
BIBLIOGRAFIA: Sotheby’s, London, Sale Catalogue, December 13-14, 1982, lotto 220;
Annual Report 1984-1985, New York, The Metropolitan Museum of Art, 1985, p. 38;
VON BOTHMER 1985, p. 38; VON BOTHMER, ANDERSON 1985, pp. 8-9; sulla forma,
S. Drougou, Der attische Psykter, Beiträge zur Archäologie, 9, Würzburg, Konrad Triltsch,
1975.
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15. Lekythos attica a figure rosse con l’uccisione di Egisto
Attribuita al Pittore di Terpaulos, ca. 500-490 a.C.
H. 37
Già Museum of Fine Arts, Boston 1977.713
Acquisita sul mercato antiquario, non se ne conosce la provenienza, ma si
tratta certamente di un vaso molto raro per la presenza della decorazione
figurata sulla spalla. La scena costituita da due gruppi di personaggi
parzialmente sovrapposti che raffigurano la morte di Egisto accoltellato da
Oreste e Clitennestra con la doppia ascia che si scaglia contro lo stesso Oreste,
mentre Telamede cerca di fermarla.
Pur in uno spazio tanto ridotto, l’artista ha saputo rappresentare, attraverso la
sapiente composizione dei personaggi le cui sagome si incrociano in opposte
direzioni, la violenta dinamicità della vicenda mitologica.
La concitazione dell’evento è ottenuta attraverso la disarticolazione degli arti,
raffigurati in gestualità esasperate, eppure governate da precisi rapporti di
rispondenza simmetrica e dalla resa fluttuante delle vesti e dei capelli di
Clitennestra; è soprattutto la sua espressione a connotare la drammaticità della
scena, suggellata e racchiusa, emotivamente e formalmente, entro lo spazio
costruito dagli sguardi dei due amanti che si incrociano per l’ultima volta.
BIBLIOGRAFIA: Münzen und Medaillen A.G., Malzgasse 25, Basel, Switzerland, Auction 51,
March 14-15, 1975, lot 150; Aspects of Art and Science, National Museum of History and
Technology, Smithsonian Institution, February 1- September 1978, Washington 1978; R.M.
Gais, s.v. AIGISTHOS, in LIMC, I/1, 1981, p. 372, n. 6a; p. 373, ill. p. 378.
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16. Anfora attica a figure rosse con citarista
Attribuita al Pittore di Berlino, ca. 490 a.C.
H. 57,8; diam. 36,8
Già Metropolitan Museum of Art, New York 1985.11.5 (L. 2006.11.4)
Questa forma d’anfora, prediletta dal Pittore di Berlino, ben si adatta alla
decorazione limitata esclusivamente a personaggi isolati, uno su ciascun lato
del vaso, che il ceramografo amava rappresentare nelle sue opere, talvolta di
modo che i contorni delle figure stesse sembrano richiamare volutamente
il profilo dei vasi, probabilmente modellati nella sua stessa officina.
Le singole figure che decorano l’anfora, un suonatore di cetra da un lato e
un giovane che ascolta attento, sono isolate pur costituendo tematicamente
un insieme; il medium che le unisce è lo spazio, vuoto di decorazione, del
vaso; la forma si integra con la decorazione, esemplificando il peculiare gusto
per la composizione di questo maestro che nelle sue opere poneva al di sopra
di tutto l’eleganza e l’armonia.
Il Pittore di Berlino (attivo tra il 490 il 460 a.C. circa) – il nome convenzionale
fu attribuito dal Beazley, da un’anfora a Berlino – è considerato generalmente
come un rivale del Pittore di Kleophrades. La prima produzione del
ceramografo si colloca ancora nello stile tardo arcaico, da cui poi si svincolò
contribuendo notevolmente – in parallelo con quanto facevano scultori e
pittori – allo sviluppo dello stile classico delle figure rosse. Gran parte della
sua produzione fu destinata all’esportazione e i suoi vasi sono stati recuperati
soprattutto nelle necropoli della Magna Grecia, a Vulci, Nola e a Locri.
BIBLIOGRAFIA: VON BOTHMER 1985, p. 38; VON BOTHMER, ANDERSON 1985, pp. 8-9.
90
17. Kalpìs attica a figure rosse con Apollo sacrificante
Attribuita al Pittore di Berlino, ca. 485 a.C.
H. 40,2
Già Museum of Fine Arts, Boston 1978.45
Apollo, il dio della luce e della musica è presso un altare in compagnia di
altre divinità. Nella sinistra tiene una cetra e con la destra fa una libagione
versando una bevanda da una phiale. Lo assiste Iris, la dea dell’arcobaleno,
con una brocca. Dietro di lei è Ermes, con i calzari alati e il caduceo. Dietro
l’altare è Latona, madre di Apollo, con i capelli biondi disegnati in vernice
diluita, e sua sorella Artemide, con arco e faretra. Dietro di loro avanza
Atena con elmo e lancia. Il significato di questa assemblea di dei non è
chiara, ma la presenza di Latona suggerisce una relazione col culto del dio
a Delo. Le figure statuarie hanno la qualità monumentale caratteristica del
Pittore di Berlino.
La kalpìs è una variante arrotondata dell’hydria che venne di moda tra il 505
e il 475 a.C.
BIBLIOGRAFIA: cfr. Beazley Archive: 84; M. Robertson, The Berlin Painter at the Getty
Museum and some others, in Greek Vases in the J. Paul Getty Museum, Occasional Papers
on Antiquities, I, Malibu, The J. Paul Getty Museum, 1983, p. 66 ss.; E. MathipoulouTornaritou, s.v. APOLLON, in LIMC, II/1, 1984, p. 289, n. 860.
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18. Cratere a calice attico a figure rosse (frammenti)
con battaglia sul corpo di Achille
Attribuita al Pittore di Berlino, ca. 490 a.C.
Il vaso è frammentario, lacunoso
Già J. Paul Getty Museum, Malibu, 77.AE.5 (1, 6, 7, 9,10, 11, 12)
Da scavi clandestini in Italia centro-meridionale
I frammenti più significativi mostrano una scena di battaglia con Aiace con
il corpo di Achille. Altri mostrano uno scudo con l’iscrizione Ampharaus,
armi oplitiche, un elmo calcidese, parti di corpi e di decorazione accessoria.
Sul Pittore di Berlino, attivo tra il 490 e il 460 a.C., cfr. scheda n. 16.
BIBLIOGRAFIA: J. Frel, The Kleophrades Painter in Malibu, JPGMJ, 4, 1977, p. 76 ss., n. 26;
M. B. Moore, The Berlin Painter and Troy, in Greek Vases in the J. Paul Getty Museum, 6,
Occasional Papers on Antiquities, 9, Malibu, The J. Paul Getty Museum, 2000, pp. 158-186,
figg. 1a-f; 5a-1.
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19. Kalpìs attica a figure rosse con Fineo e le Arpie
Attribuita al Pittore di Kleophrades, ca. 480 a.C.
H. 39; diam. corpo 32,5
Già J. Paul Getty Museum, Malibu, 85.AE.316
Da scavi clandestini in Italia centro-meridionale
Alla ricerca del Vello d’oro, Giasone e gli Argonauti salvarono il vecchio
veggente e re trace Fineo. Gli dei lo avevano punito per aver rivelato i loro
segreti. Non appena Fineo si apprestava a mangiare arrivavano le Arpie, orridi
mostri alati, che rovesciavano a terra, rubavano o imbrattavano di sterco il
cibo. Giasone trovò il re quasi morto di fame e fece con lui un accordo. Se
Fineo gli avesse rivelato come raggiungere il Vello, lo avrebbe liberato dalle
Arpie. Su questa elegante kalpìs vediamo a sinistra Fineo seduto davanti a
una tavola colma di cibo, sulla quale si precipitano dall’alto tre Arpie, in
verità qui in figura di graziose fanciulle alate. Il re tuttavia leva le mani in un
gesto di spavento.
Pittore prolifico – gli si attribuiscono oltre 100 vasi – il pittore di Kleophrades
fu probabilmente un allievo di Euthymides, e usò sia la vecchia tecnica a
figure nere, specialmente per le anfore panatenaiche, sia, più regolarmente,
quella a figure rosse. Come Euthymides preferì la decorazione di grandi vasi,
con scene tradizionali d’ispirazione mitologica, e con una preferenza per
i temi troiani.
BIBLIOGRAFIA: Handbook 1986, p. 50; L. Kahil, s.v. PHINEUS, in LIMC, VII/1, 1994, p. 388,
n. 4; S. Woodford, Images of Myths in Classical Antiquity, Cambridge, Cambridge University
Press, 2003, pp. 132-133, fig. 100.
96
20. Anfora attica a figure rosse
con Eracle e Apollo in contesa per il tripode delfico
Attribuita al Pittore di Geras, ca. 480-470 a.C.
H. 56; diam. corpo 26
Già J. Paul Getty Museum, Malibu, 79.AE.139
Da scavi clandestini in Italia centro-meridionale
Su quest’anfora, che conserva eccezionalmente anche il suo coperchio, è
raffigurato al centro Eracle, identificabile per il mantello ricavato dalla pelle
del leone nemeo (leontè), che fugge dopo aver rubato a Delfi il tripode dal
santuario di Apollo, irritato per non aver ricevuto subito l’oracolo che aveva
chiesto. Il dio, a destra, lo insegue armato d’arco, mentre all’estremità sinistra
Atena guarda la scena e protegge l’eroe a lei caro.
Rappresentazioni di questo mito avevano una lunga tradizione nell’arte greca,
ma divennero specialmente popolari ad Atene nell’età della tirannide di
Pisistrato, al volgere del VI secolo a.C.
Il lato secondario del vaso presenta la scena di un guerriero che compie una
libagione alla presenza del padre e della moglie, al momento di partire per
la guerra.
Sul lato A è dipinta in caratteri minuti l’acclamazione al giovane efebo
Haisimedes HAISIMEDES KALOS: Aisimede è bello; sul lato B la più generica
HO PAIS KALOS: il ragazzo è bello.
Il Pittore di Geras (il nome deriva da un vaso del Louvre con Eracle che
lotta contro Geras, personificazione della Vecchiaia), fu un artigiano di
livello non eccezionale, ma vivace nelle sue immagini, che operò all’inizio
del V secolo a.C. specializzandosi nella decorazione di pelikai oltre ad altre
forme vascolari.
BIBLIOGRAFIA: F. Brommer, Herakles und Theseus auf Vasen in Malibu, in Greek Vases in
the J. Paul Getty Museum, Occasional Papers on Antiquities, 3, Malibu, The J. Paul Getty
Museum, 1985, pp. 183-228, fig. 13; H. Immerwahr, A Corpus of Attic Vase Inscriptions.
Preliminary Edition, part VI, Supplement, 2001, n. 4939; sulla figura del ceramografo, cfr.
E. Paribeni, s.v. Geras Pittore di, in EAA, III, p. 840 e fig. 1046.
98
21. Cratere a colonnette attico a figure rosse con Dioniso
Attribuita al Pittore di Geras, ca. 480-470 a.C.
H. 28,6; diam. orlo 27,5
Già Royal Athena Galleries, New York
È raffigurato su un lato Dioniso che regge un kantharos, seguito da un satiro
che sorregge uno scranno sulla testa; sull’altro lato un satiro con un rythòn
in mano.
BIBLIOGRAFIA: cfr. scheda precedente.
102
22. Kylix attica a figure rosse con Zeus e Ganimede
Firmata da Douris come ceramografo, attribuita al vasaio Python, ca. 480 a.C.
H. 13,3; diam. 32,4
Già J. Paul Getty Museum, Malibu, 84.AE.569
Da scavi clandestini in Italia centro-meridionale
Il tondo interno della coppa mostra una figura maschile barbata seduta davanti
a un altare con un bastone nella destra e una phiale nella sinistra.
Un fanciullo, Ganimede, gli versa vino da una oinochoe.
All’esterno sono due scene di divinità che inseguono i loro amanti mortali.
Su un lato tre uomini barbuti osservano Eos, l’alata dea dell’alba, che insegue
il giovane cacciatore Kephalos; sull’altro lato, il re degli dei, Zeus, insegue il
principe troiano Ganimede.
Anche questo vaso, come la kylix a occhioni e l’askòs etrusco del Gruppo
Clusium, è stato restaurato con un frammento di un altro vaso, forse del
ceramografo Makron.
Il pittore, Douris, nel periodo della sua attività (500-460 a.C.), fu uno dei più
prolifici ceramografi noti degli inizi del V secolo. Firmò almeno 40 vasi, per
lo più coppe, mentre gliene sono attribuiti oltre 300, il che, se accettiamo per
buona la stima che gli studiosi moderni hanno fatto, ossia che i vasi greci
pervenutici rappresentano circa lo 0,5% di quelli realmente prodotti,
porterebbe la sua produzione globale a circa 78.000 vasi! Collaborò con i
vasai Kleophrades ed Euphronios, ma soprattutto con Python, uno specialista
nella produzione di coppe.
BIBLIOGRAFIA: Acquisitions 1984, JPGMJ, 13, 1985, p. 169, fig. 23; Handbook 1991, p. 47;
BUITRON-OLIVER 1995, pp. 27, 32, 39, 54; cat. n. 120, p. 80, pl. 46.
104
22. Kylix attica a figure rosse con Zeus e Ganimede
Firmata da Douris come ceramografo, attribuita al vasaio Python, ca. 480 a.C.
H. 13,3; diam. 32,4
Già J. Paul Getty Museum, Malibu, 84.AE.569
Da scavi clandestini in Italia centro-meridionale
Il tondo interno della coppa mostra una figura maschile barbata seduta davanti
a un altare con un bastone nella destra e una phiale nella sinistra.
Un fanciullo, Ganimede, gli versa vino da una oinochoe.
All’esterno sono due scene di divinità che inseguono i loro amanti mortali.
Su un lato tre uomini barbuti osservano Eos, l’alata dea dell’alba, che insegue
il giovane cacciatore Kephalos; sull’altro lato, il re degli dei, Zeus, insegue il
principe troiano Ganimede.
Anche questo vaso, come la kylix a occhioni e l’askòs etrusco del Gruppo
Clusium, è stato restaurato con un frammento di un altro vaso, forse del
ceramografo Makron.
Il pittore, Douris, nel periodo della sua attività (500-460 a.C.), fu uno dei più
prolifici ceramografi noti degli inizi del V secolo. Firmò almeno 40 vasi, per
lo più coppe, mentre gliene sono attribuiti oltre 300, il che, se accettiamo per
buona la stima che gli studiosi moderni hanno fatto, ossia che i vasi greci
pervenutici rappresentano circa lo 0,5% di quelli realmente prodotti,
porterebbe la sua produzione globale a circa 78.000 vasi! Collaborò con i
vasai Kleophrades ed Euphronios, ma soprattutto con Python, uno specialista
nella produzione di coppe.
BIBLIOGRAFIA: Acquisitions 1984, JPGMJ, 13, 1985, p. 169, fig. 23; Handbook 1991, p. 47;
BUITRON-OLIVER 1995, pp. 27, 32, 39, 54; cat. n. 120, p. 80, pl. 46.
104
23. Kantharos attico a figure rosse
configurato a maschera dionisiaca
Attribuito al Pittore della Fonderia come ceramografo, e forse ad Euphronios come
vasaio, ca. 480 a.C.
H. 14,7; diam. 17,4
Già J. Paul Getty Museum, Malibu, 85.AE.263
Da scavi clandestini operati in Italia centro-meridionale
Uno dei lati del vaso reca applicata una maschera di Dioniso, modellata
a parte, l’altro una maschera di Satiro. Sul corpo della coppa sono delle scene
figurate che mostrano atleti che si puliscono dopo gli esercizi.
Attivo nel primo trentennio del V secolo a.C., il Pittore della Fonderia è stato
così denominato dalla scena di una fonderia di statue di bronzo che dipinse
su un vaso ora a Berlino. Allievo del Pittore di Brygos e a un certo momento
collaboratore di Onesimos, lavorò con i vasai Brygos ed Euphronios,
specializzandosi nella decorazione di coppe su cui sperimentò uno stile più
realistico dei suoi contemporanei.
BIBLIOGRAFIA: Acquisitions 1985, JPGMJ, 14, 1986, p. 192, n. 155; Handbook 1991, p. 48;
NEER 2002, p. 14, fig. 1; COHEN 2006, pp. 274-275, cat. n. 82, fig. 82.1-82.3.
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24. Phiale mesonfalica attica a figure rosse (frammenti)
con varie scene mitologiche
Firmata da Douris come ceramografo, e forse da Smikros come vasaio, ca. 490-480 a.C.
H. 13,3; diam. 32,4
Già J. Paul Getty Museum, Malibu, 81.AE.213
Da scavi clandestini in Italia centro-meridionale
All’interno del vaso si riconoscono varie scene, di divinità sedute, di un
combattimento, e figure in corsa, forse una scena d’inseguimento.
All’esterno sono due scene distinte raffiguranti Eracle, forse nella preparazione
della gara con Eurytos, e nella gara vera e propria.
Sul ceramografo, vedi anche supra la scheda n. 22.
BIBLIOGRAFIA: M. Robertson, A Fragmentary Phiale by Douris, in Greek Vases in the
J. Paul Getty Museum, 5, Occasional Papers on Antiquities, 7, 1991, pp. 75-98; BUITRONOLIVER 1995, pp. 15-17, 22, 51, 53, 67, catalogo n. 29, pl. 19-20.
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25. Cratere a calice attico a figure rosse
con l’uccisione di Egisto per mano di Oreste
Attribuito al Pittore di Egisto, ca. 470 a.C.
H. 58,2; diam. orlo 61,6
Già J. Paul Getty Museum, Malibu, 88.AE.66
Da scavi clandestini in Italia centro-meridionale
La decorazione di questo grande cratere, uno dei più grandi noti ma purtroppo
molto frammentario, riflette forse una tragedia greca perduta. Sul lato
principale, a destra, Oreste vendica la morte del padre Agamennone
immergendo la spada nel petto di Egisto, l’amante della madre Clitennestra
che sulla sinistra accorre con un’ascia a difendere l’amato. In mezzo, una
nutrice, con un bambino in braccio, assiste inorridendo alla scena. Sull’altro
lato del vaso due donne (forse Elettra e Crisotemi) fuggono verso destra dietro
tre uomini che tengono dei bastoni.
La morte di Egisto è un tema poco frequente nell’arte greca, e compare solo
nel periodo 510-460 a.C., evidentemente in relazione con la propaganda
antitirannica del governo democratico. Alcuni elementi della raffigurazione
suggeriscono che questa scena abbia tratto origine da una perduta tragedia
anteriore al più noto dramma messo in scena da Eschilo nel 458 a.C.
Il Pittore di Egisto, attivo tra il 480 e il 460 a.C., fu un ceramografo che visse
la transizione dallo stile arcaico a quello classico decorando di preferenza
grandi vasi con scene complesse. Il suo nome, di creazione moderna, deriva
dal tema di un vaso conservato nel Museo Civico Archeologico di Bologna.
BIBLIOGRAFIA: E. Simon, Early Classical Painting, in AA.VV., Greek Art, Archaic into
Classical, Leiden, Brill, 1985, pp. 66-82, pls. 67-68; Acquisitions 1985, JPGMJ, 17, 1989,
p. 113, n. 20.
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26. Kantharos gianiforme attico raffigurante la testa di Eracle
Classe M, Classe del Vaticano, ca. 470 a.C.
H. 19,1; diam. 13,9
Già J. Paul Getty Museum, Malibu, 83.AE.218
Da scavi clandestini in Italia centro-meridionale
Il kantharos gianiforme (il termine deriva da Giano, il dio latino bifronte),
una coppa formata da due teste realizzate a stampo e attaccate una all’altra,
fu una delle forme più comuni dei vasi attici configurati antropomorficamente.
Uno dei lati di questo esemplare rappresenta Eracle, con i baffi bianchi, la
leontè decorata a punti, la barba nera. L’altro lato rappresenta una donna, la
cui identità, dato il numero delle eroine che ebbero relazioni con l’eroe, resta
incerta (Ebe?).
Sul collo del vaso una corona d’edera a foglie bianche richiama il mondo
dionisiaco.
Su questa classe di vasi attici è raffigurato un limitato numero di soggetti:
africani, donne, satiri, oltre a Eracle. È possibile che essi siano stati inventati
per il mercato etrusco dove esisteva un’antica tradizione di vasi antropoidi.
BIBLIOGRAFIA: COHEN 2006, pp. 272-273, n. 81, fig. 81.1-3.
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27. Cratere a calice attico a figure rosse con scena di divinità
(Igea, suo figlio Oceano e Dioniso)
Firmato dal Pittore Syriskos, 470-460 a.C.
H. 43; diam. orlo 55
Già J. Paul Getty Museum, Malibu, 92.AE.6
Una solenne scena di divinità raramente raffigurate, una finestra su un Olimpo
minore decora questo cratere. Al centro del lato principale è seduta infatti Ge,
la Terra, qualificata, da un’iscrizione dipinta accanto, come Pantaleia (colei
che dà tutto), con uno scettro e una coppa da libagione nelle mani. Accanto, a
sinistra, le sta il figlio, il Titano Oceano, anch’egli identificato da un’iscrizione,
con uno scettro in mano a indicarne la maestà divina. Davanti, sulla destra,
è il solo dio olimpico presente, Dioniso, coronato d’edera, con un ramo spoglio
– che mostra alla dea – e un tralcio d’edera nelle mani a indicarne forse il
potere sui cicli della vegetazione. Accanto al dio una pantera, simbolo della
natura selvaggia, che è una delle componenti dell’identità del dio.
L’altro lato del vaso presenta al centro, in piedi, Themis, figlia di Ge e dea
della giustizia, simile nelle vesti a Ge, con accanto gli eroi Balos (figlio di
Poseidone e di Lybia e padre di Aegyptos, Damno e Danao) ed Epaphos (figlio
di Zeus ed Io), entrambi muniti di scettro. Tutti i personaggi sono identificati
da iscrizioni. La dea porge una coppa in cui ha versato del vino da
un’oinochoe al primo, seduto a sinistra, mentre l’altro guarda sulla destra.
Purtroppo di queste scene, molto rare e certamente fondate su un preciso
messaggio iconografico, ci sfugge il significato.
Il ceramografo e vasaio Syriskos (il piccolo Siriano, forse uno schiavo) lavorò
ad Atene negli anni 70 e 60 del V secolo a.C. decorando vasi a figure rosse,
ma anche a fondo bianco. In vasi successivi compare la firma Pistoxenos
Syriskos (lo straniero fededegno, il piccolo Siriano), e infine solo la firma
Pistoxenos, forse corrispondente al momento in cui il ceramografo acquisì uno
status da liberto.
Sono da segnalare anche alcuni graffiti incisi sotto il piede di questo vaso.
Di notevole interesse quello che ne dichiara il prezzo: uno statere,
corrispondente alla paga di due giorni di un soldato del tempo.
BIBLIOGRAFIA: Acquisitions 1992, JPGMJ, 21, 1993, pp. 104-105, n. 5; Masterpieces
1997, p. 46; Handbook 2002, p. 78.
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28. Pelike attica a figure rosse con Fineo e i Boreadi
Attribuita al Pittore di Nausicaa, ca. 450 a.C.
H. 21,3; diam. corpo 16,3
Già Museum of Fine Arts, Boston 1979.40
La pelike, proveniente dall’Etruria, è decorata con pitture che ricordano il
mito di Fineo e i Boreadi. Fineo, figlio di Agenore e di Cassiopea e marito di
Cleopatra figlia di Borea, ebbe da lei due figli. Questi si innamorarono
di Idea che li accusò di averle fatto violenza e per questo Fineo non esitò
ad accecarli, suscitando lo sdegno di Borea, loro avo, il quale a sua volta
accecò Fineo per punirlo. Infine, per aver dato ospitalità al troiano Enea,
suscitò le ire di Era e Poseidone che, come punizione, gli inviarono le Arpie,
mostri alati con sembianze femminili, a contaminargli le mense.
Fu liberato da questo flagello solo molto più tardi a opera di Giasone e altri
due Argonauti, Calaide e Zete. Il re vecchio e cieco è raffigurato sul lato
principale tra i due Boreadi, alati e in costumi traci (i venti del nord est
spiravano appunto dalla Tracia).
Sul lato secondario, un uomo calvo con bastone.
Il Pittore di Nausicaa, attivo verso la metà del V secolo a.C., fu uno degli
esponenti più attardati del Gruppo detto dei Manieristi; discontinuo nella sua
produzione di grandi vasi, unì a una certa felicità inventiva nelle composizioni
un tratto frettoloso, duro e poco duttile (cfr. E. Paribeni, s.v. NAUSICAA,
Pittore di, in EAA, V, p. 369).
BIBLIOGRAFIA: K. Schefold, s.v. BOREADAI, in LIMC, III/1, 1986, p. 128, n.17, p. 132;
T. Mannack, The Late Mannerists in Athenian Vase-Painting, Oxford Monographs on
Classical Archaeology, Oxford University Press, 2001, pp. 94, 148 (UI.23).
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29. Cratere a campana attico a figure rosse con cacciatori traci
Attribuito al Pittore della Centauromachia del Louvre, ca. 440-430 a.C.
H. 35,3
Già Museum of Fine Arts, Boston 1999.735
Il cratere, proveniente dall’Etruria, è abilmente dipinto con scene di cacciatori
traci, facilmente riconoscibili dalla minuziosa definizione degli abiti e dei
copricapi. Un cacciatore con mantello e berretto a lunga coda, con due lance
in mano, conversa con un altro trace, similmente vestito, seduto su una roccia
a sinistra. A destra un giovane accompagnato da un paio di cani, con indosso
un mantello, un elmo a pilos e una spada, porta una bisaccia sulla spalla.
Sul lato posteriore, tre figure maschili ammantate.
Il ceramografo, noto con la denominazione moderna di Pittore della
Centauromachia del Louvre, attivo durante l’età di Pericle, fu pittore
prevalentemente di crateri, quasi tutti destinati all’esportazione in Magna
Grecia, Sicilia ed Etruria: pochissimi da Atene, Rodi e Delo. Predilesse le figure
di atleti e guerrieri, senza trascurare i temi mitologici (cfr. M. Cagiano de
Azevedo, s.v. CENTAUROMACHIA DEL LOUVRE, Pittore di, in EAA, II, p. 473).
BIBLIOGRAFIA: inedito. Acquistato presso Sotheby’s Londra (Sotheby’s auction, December
14, 1995, lot 95).
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30. Cratere a campana attico a figure rosse con scena dionisiaca
Ca. 420 a.C.
H. 25,4; diam. corpo 33. Piede moderno
Già J. Paul Getty Museum, Malibu, 81.AE.149
Da scavi clandestini in Italia centro-meridionale
Il vaso è stato ricostruito da frammenti; il piede è di ricostruzione. Sul lato A
è Dioniso, con una corona in testa, una veste al ginocchio e un tirso in mano.
Alla sua destra è un satiro che offre cibo o acqua in un bacino ad un asino.
Sullo sfondo, dietro l’asino, un silos cui è appoggiata una scala. Sul lato B
sono tre figure ammantate.
Al di sopra della testa di Dioniso è un’iscrizione lacunosa col nome del dio
[…]ysos; sulla testa del satiro si legge k[…]lumns; sopra un elemento circolare,
nel campo, kallas.
BIBLIOGRAFIA: ELSTON 1990, pp. 53-68, fig. 15; D. Lanza, Lo Stolto, Torino, Einaudi,
1997, fig. 3; M.J. Padgett, The Stable Hands of Dyonisos: Satyrs and Donkeys as Symbols
of Social Marginalization in Attic Vase Painting, in B. Cohen (ed.), Not the Classical Ideal.
Athens and the Construction of the Other in Greek Art, Leiden, Brill, 2000, p. 64, fig. 2.8.
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31. Cratere a calice attico a figure rosse
con scena teatrale da Gli Uccelli di Aristofane
Ca. 415-410 a.C.
H. 18,7; diam. orlo 23
Già J. Paul Getty Museum, Malibu, 82.AE.83
Da scavi clandestini in Italia centro-meridionale
Sul lato principale un flautista, con un vestito riccamente ricamato, sta al
centro della scena tra due danzatori, vestiti con costumi da uccelli, forse
coristi di una scena della commedia di Aristofane (448-386 a.C.) Gli Uccelli,
rappresentata nel 414 a.C., evidentemente negli stessi anni in cui veniva
realizzato questo vaso.
Sul lato secondario è la raffigurazione di un giovane nudo al centro; di fronte a
lui è un altro giovane in himation. A sinistra, una donna in chitone e himation.
BIBLIOGRAFIA: J.R. Green, A Representation of the “Birds” of Aristophanes, in Greek
Vases in the J. Paul Getty Museum, 2, Occasional Papers on Antiquities, 3, Malibu, The J.
Paul Getty Museum, 1985, pp. 95-118, figg. 1-3, 22; O. Taplin, Phallology, Phlyakes,
Iconography and Aristophanes, “Proceedings of the Cambridge Philological Society”, 33,
1987, pp. 92-104; M. Schmidt, Komische Arme: Teufel und andere Gesellen auf der
griechischen Komoedienbuehne, AK, 41,1, 1998, pp. 19-20, 21, pl. 4.1.
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