A002130 FRA DUE FAMIGLIE: STORIA PERSONALE E

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A002130 FRA DUE FAMIGLIE: STORIA PERSONALE E
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FONDAZIONE INSIEME onlus.
Da PSICOLOGIA CONTEMPORANEA, del 1/4/2001, pag. 49 <<FRA DUE
FAMIGLIE: STORIA PERSONALE E RADICAMENTI NEI PENSIERI DEI MINORI
IN AFFIDO>> di Eugenia Scabini, (vedi nota a fine pezzo).
Per la lettura completa del pezzo si rimanda al periodico citato.
Il mondo psicologico nel quale si muove il ragazzo in affido è
del tutto peculiare e in gran parte ancora sconosciuto.
Nell’affidamento il minore si trova a vivere in una terra di
confine tra due appartenenze: quella antica, della famiglia
d’origine, e quella nuova, della famiglia affidataria.
Studi recenti cominciano a far luce sia sulle dinamiche
relazionali delle famiglie affidatarie sia sulle necessità dei
minori in affido.
I primi risultati stanno evidenziando come, a fronte di una
spesso inconsapevole tendenza della famiglia affidataria a mettere
in qualche modo in parentesi l’appartenenza del ragazzo alla sua
famiglia naturale, quest’ultimo evidenzi invece un bisogno
intenso, ancorché spesso inespresso, di proteggerla, così salvando
in qualche modo le proprie origini, la propria storia, il proprio
“patrimonio genealogico”.
L’affidamento familiare è una modalità particolare di aiuto a
bambini e ragazzi che si trovano in difficoltà per una condizione
di carenza del loro nucleo d’origine.
Attraverso il bisogno-diritto del bambino si attua così una
peculiare forma di aiuto tra famiglie.
Nei fatti, queste forme di aiuto sono sempre esistite.
Senza andare troppo indietro nel tempo è ancora vivo nella
nostra cultura il ricordo dell’accoglienza che, durante la seconda
guerra mondiale, alcune famiglie offrivano ai bambini rimasti
orfani o che, temporaneamente, non potevano disporre delle cure e
del sostegno di entrambi i genitori, specie nei casi di malattia o
di grave indigenza.
Era in genere un aiuto tra poveri, un mutuo soccorso,
direttamente concordato tra gli interessati.
La famiglia bisognosa chiedeva spontaneamente aiuto e questo
era l’inizio del processo solidaristico.
I bambini allevati in altre famiglie spesso conservavano i
loro rapporti con il nucleo d’origine, rapporti in diretta che
erano facilitati, data anche la scarsa mobilità sociale, dalla
contiguità territoriale.
È probabile che in tali condizioni i bambini, che pure
dovevano affrontare il dolore della separazione, non avvertissero
conflitti di lealtà nei riguardi delle due famiglie, poiché
l’allontanamento era palesemente causato da eventi esterni al
nucleo d’origine.
Diversa è la situazione in cui si verifica l’affido di un
minore ai nostri giorni.
Innanzitutto, l’allontanamento è originato da difficoltà
interne alle famiglie: in genere si tratta di tortuosi percorsi di
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vita dei genitori, segnati da droga, problemi psichiatrici,
delinquenza, carcere o altro.
Sono problematiche difficili da ammettere, perciò raramente la
coppia coinvolta arriva ad una spontanea domanda d’aiuto.
Di solito è un terzo (vale a dire l’apparato giudiziario e il
servizio sociale) a fare da tramite tra la famiglia in difficoltà
e quella disposta a fornire aiuto.
La relazione tra le famiglie e con il minore è così
regolamentata e sottoposta al giudizio e al controllo di altri.
Del resto, è in nome del diritto del minore ad avere
condizioni di vita positive per la sua crescita che scatta il
procedimento di affido.
Il mondo relazionale nel quale si muove il ragazzo in affido,
al confine tra due appartenenze (quella antica della famiglia
d’origine e quella nuova della famiglia affidataria) è del tutto
peculiare e in gran parte sconosciuto.
In Italia il fenomeno è discretamente diffuso, soprattutto in
alcune zone del Nord ed è stato oggetto di alcune interessanti
ricerche (Bramanti, 1991; Dell’Antonio, 1992; Greco e Iafrate,
1993; Zurlo, 1994; Sbattella, 1999).
Le informazioni che abbiamo riguardano quasi esclusivamente le
famiglie affidatarie.
Come emerge da una ricerca di Bramanti (1991), queste sono in
genere fondate sul legame stabile garantito dal matrimonio,
provengono in gran parte dal ceto medio hanno già figli propri,
coltivano molte relazioni amicali e sono attivamente inserite nel
contesto sociale, dove intrattengono una notevole quantità di
legami informali.
Si tratta quindi di famiglie che vivono una vita ricca di
relazioni e mostrano quasi una sovrabbondanza di risorse.
La scelta dell’affido sembra pertanto provenire da motivazioni
prosociali elevate.
In queste famiglie è in genere la donna a dare avvio al
processo di affidamento e a coinvolgere il marito nell’avventura.
È lei che, in certo modo funge da vera e propria “regista delle
relazioni” lungo tutto il percorso dell’affido.
Più difficile è invece raccogliere informazioni sui minori in
affido.
Chi si è occupato di questo aspetto ha comunque colto la
complessità della sfida che la situazione dell’affidamento pone al
bambino.
Zurlo (1994), ad esempio, illustrando alcuni casi clinici,
mostra l’importanza vitale per quest’ultimo di alimentare entrambi
i legami familiari (quello primario, con la famiglia naturale, e
quello nuovo, con la famiglia affidataria).
Se il bambino infatti avverte che il legame con il proprio
nucleo d’origine è posto sotto inchiesta o attaccato, generalmente
reagisce idealizzandolo.
È dunque evidente che la riuscita dell’affido dipende molto
dal modo in cui si struttura la relazione tra minore e famiglia
affidataria.
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Un recente studio ha affrontato un nodo cruciale
dell’affidamento familiare: quello dell’abbinamento tra famiglie
affidatarie e minori (Sbattella, 1999).
Partendo dall’analisi di materiale documentativo relativo a
115 casi di affido conclusi, l’autore osserva che gli affidi più
riusciti sono quelli in cui si è verificato un abbinamento tra
minori che provengono da storie segnate da trascuratezza,
disabilità o malattia materna e famiglie affidatarie di status
medio-alto, molto motivate all’affido, nelle quali la coppia
genitoriale presenta un’alta qualità della relazione coniugale.
Più difficili appaiono invece quegli affidi in cui il minore
ha più di 10 anni, presenta problemi comportamentali,
maltrattamento materno e precedente affido interrotto, e in cui la
coppia affidataria mostra al suo interno modalità relazionali
ipercontrollate (“coppia fredda”), è segnata da conflitti
interfamiliari e dispone di poche risorse socioculturali.
Se tali risultati suggeriscono la necessità di un approccio
all’affido che tenga conto dei diversi protagonisti
dell’esperienza, occorre tuttavia osservare come nel panorama
della letteratura non si trovino ricerche che assumano questa
prospettiva autenticamente “familiare”, mettendo a confronto più
punti di vista e soprattutto osservando “in diretta” le
interazioni tra i membri familiari.
Del tutto assenti sono inoltre gli studi che si occupano anche
delle famiglie naturali dei minori.
A colmare questa lacuna hanno recentemente pensato alcune
ricercatrici (Greco e Iafrate, in corso di stampa) che hanno messo
a punto un complesso congegno di ricerca utilizzando un
questionario, un’intervista in profondità e il disegno graficoproiettivo della “Doppia luna” (Greco. 1999), un test che si è
rivelato molto utile nei casi in cui il soggetto si trova
implicato in una situazione di “doppia” appartenenza”, nella quale
può essere vissuto un “conflitto di lealtà” rispetto ai due poli
familiari coinvolti.
Questi poli possono essere entrambi presenti sul piano della
realtà (come avviene appunto, nell’affidamento, ma anche nella
separazione e nella famiglia ricostituita dopo un divorzio),
oppure uno può essere presente sul piano della realtà e l’altro
solo a livello simbolico (come avviene nel caso dell’adozione o
della famiglia ricostituita dopo una vedovanza).
Nel test della “Doppia luna” si chiede al soggetto di segnare,
in un rettangolo che rappresenta metaforicamente il suo mondo
psicologico, se stesso e gli altri significativi e,
successivamente di raggruppare mediante uno o più cerchi, tra le
persone disegnate, quelle che fanno parte di una stessa famiglia.
Il test permette così al soggetto di proiettare graficamente
la propria immagine di famiglia, tracciando i “confini familiari”
così come se li rappresenta.
Nella ricerca in questione la somministrazione del test
prevedeva l’esecuzione di tre disegni:
-1) un disegno effettuato separatamente dal ragazzo in affido,
-2) un disegno effettuato congiuntamente dalla coppia affidataria
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(colori diversi per i due),
-3) un disegno effettuato congiuntamente dal ragazzo in affido e
dalla coppia affidataria (colori diversi per i tre).
Col questionario è stato raggiunto un consistente numero di
coppie affidatarie (117) e di minori in affido (83).
Ad un sottocampione (17) è stato poi possibile applicare anche
l’intervista in profondità e il test della “Doppia luna”.
In 10 casi, infine, si è riusciti ad affiancare ai dati delle
famiglie affidatarie anche quelli provenienti dalle parallele
famiglie naturali.
È stato così possibile mettere a confronto i punti di vista
dei diversi protagonisti di questa insolita e sfidante avventura
relazionale.
Alcuni dati, in particolare, ci fanno riflettere e ci
forniscono interessanti spunti per l’intervento.
Li
sintetizziamo.
La coppia affidataria si presenta compatta, con una percezione
buona, ma non enfatica, della comunicazione con il minore e con un
atteggiamento discretamente positivo nei confronti della sua
famiglia di origine.
È soprattutto la madre quella che è disposta a non giudicarla
in modo ostile e sono soprattutto le famiglie che hanno alle
spalle precedenti esperienze di affido quelle più disposte a
comprenderla.
I ragazzi in affido valutano come buona la comunicazione con
le famiglie affidatarie.
Al riguardo, i loro indici sono significativamente più elevati
di quelli dei genitori affidatari.
Tale dato è in
controtendenza: sappiamo infatti da altre ricerche sulla famiglia
“normale” (Carrà e Marta, 1995) che sono i genitori, e non i
figli, ad avere una distorsione percettiva in senso positivo
relativamente alla valutazione della reciproca comunicazione.
Perché i minori affidati deformano positivamente la
comunicazione con i genitori affidatari?
Da un lato, si può ipotizzare che sui ragazzi in affido
influisca una sorta di “pressione sociale”, secondo la quale la
famiglia affidataria è comunque, al di là dell’atteggiamento che
essa può assumere, una famiglia “capace” e “adeguata”.
Dall’altro, è plausibile che i minori che hanno sperimentato
carenze di diverso tipo nelle proprie famiglie d’origine tendano a
ridurre il loro tasso di criticità verso i “nuovi genitori” e
siano spinti ad enfatizzare il desiderio “affiliativo” nei
confronti delle famiglie affidatarie.
Sintomatico, a tale proposito, è il fatto che questi ragazzi
evidenziano alti indici in una scala che misura il desiderio di
essere inclusi nella famiglia affidataria (<<Vorrei che questa
famiglia affidataria fosse la mia famiglia per sempre>>).
Ma questa è solo una faccia della medaglia.
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Dalle interviste in profondità e dai test della “Doppia luna”
emerge un quadro molto più articolato.
I genitori affidatari, infatti, molto spesso disegnano il
ragazzo in affido entro la loro famiglia e tengono a debita
distanza, e in molti casi non segnano affatto, la famiglia
d’origine del minore (Figura 1).
Figura 1 -’Test della "Doppia luna": disegno congiunto eseguito dalla coppia dei genitori
affidatari. La madre affidataria (blu) e il padre affidatario (rosso) segnano fuori dal
rettangolo e molto distante la madre naturale della figlia in affido (Carlotta).
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Il ragazzo in affido, nella maggioranza dei casi, si segna
invece come appartenente alla famiglia naturale (Figura 2).
Figura 2 - Test della “Doppia luna”: disegno individuale eseguito dalla figlia in affido
(Carlotta). Carlotta (verde) segna se stessa nel cerchio con la madre naturale e mette
lontani da sé ed in un altro cerchio la famiglia affidataria.
Nel disegno congiunto, la raffigurazione eseguita dai genitori
affidatari non subisce quasi mai variazioni rispetto alla
precedente, mentre il minore, in presenza degli affidatari, spesso
modifica il disegno, includendoli o cercando soluzioni che
visivamente connettano i due nuclei (Figura 3).
La famiglia affidataria tende quindi a mettere tra parentesi
un’appartenenza che il minore non può in alcun modo eludere.
È dunque il ragazzo in affido, ben più che gli adulti che
l’hanno in consegna,quello che tenta di legare insieme, o quanto
meno di collegare, le due famiglie, quella d’origine e quella
affidataria, segnalando con ciò a quest’ultima il suo bisogno di
“salvare”, anche al di là dei dati di realtà e delle condizioni
sfavorevoli, le sue origini.
A ulteriore conferma di tale bisogno, la ricerca evidenzia
anche che i ragazzi con minori indici di disagio e maggiore
livello di autostima sono quelli che vivono in famiglie
affidatarie comprensive e solidali nei confronti della famiglia
naturale.
Ancora una volta tocchiamo con mano che il nucleo
dell’identità passa dalle relazioni primarie: ognuno di noi riceve
dalla famiglia d’origine, accanto ai tratti somatici e a quelli
del proprio volto, lineamenti e radici psicologiche.
Queste
costituiscono la nostra base, la nostra “terra d’origine”.
Da questa ci possiamo staccare, distanziare.
Con gli anni, se si fanno incontri fortunati (e l’occasione
dell’affido può essere una), possiamo vederne le mancanze e i
difetti, ripararne gli errori.
Ma questa terra fa parte del
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nostro paesaggio interiore.
Non potremmo rappresentarci senza di
essa, a meno di essere senza volto.
Figura 3 - Test della “Doppia luna”: disegno congiunto eseguito dai genitori affidatari e
dalla bambina in affido. Il padre (rosso) e la madre (blu) affidatari replicano il disegno
eseguito nella somministrazione di coppia ( Figura 1), mentre Carlotta (verde) cerca una
soluzione che connetta la famiglia affidataria e la madre naturale.
Che dire, allora, alle famiglie affidatarie?
Queste, a volte realisticamente, non riescono a non vedere nei
genitori naturali aspetti di grave carenza, persino di pericolo,
per quanto riguarda il tipo di accudimento e di educazione che
possono dare ai figli.
È sufficiente appellarsi al fatto che i genitori naturali sono
importanti per il minore?
Che sono la sua “terra d’origine?
Forse, almeno in alcuni
casi, dovremmo andare più in là.
I genitori naturali possono essere un anello debole, ma sono
pur sempre l’anello di una genealogia che, in qualcuno dei suoi
rami, può avere qualche elemento nobile e riuscito.
Padre e madre si collegano e ci collegano a due stirpi.
L’atteggiamento, se non solidaristico, almeno non ostile nei
confronti dei genitori naturali è importante non tanto e non solo
per salvare le loro figure agli occhi dei ragazzi, ma anche perché
apre una porta, consente l’accesso alla propria genealogia.
Aiutare i ragazzi a ricostruire la storia delle generazioni
passate, poterne comprendere i drammi, forse poter scoprire
qualche tesoro nascosto: ecco un possibile spazio per le famiglie
accoglienti che accettano l’avventura dell’affido.
Esse sono chiamate a rispondere al registro dell’accudimento
fornendo cura e uno stabile contesto educativo ai ragazzi, al
tempo stesso consentendo loro di “salvare” simbolicamente il
proprio patrimonio genealogico e promuovendo tale strada.
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L’affido è un’avventura di fiducia, come lo stesso termine
suggerisce.
I genitori affidatari si muovono e rispondono a un appello
solidaristico e fiduciario.
La fiducia, quella di base, spinge
ad andare al di là dei comportamenti ingiusti o deficitari, ad
attingere al serbatoio della speranza nel legame che è iscritto
nell’uomo (Boszornienyi-Nagy e Spark, 1973; Boszormenyi-Nagy, e
Krasner, 1986), a rintracciare segnali della sua presenza nella
storia delle generazioni.
Far parte di una storia è, per l’essere umano in crescita, più
importante che avere buoni genitori.
Riferimenti bibliografici
Boszornienyi-Nagy I., KRASNER B. R. (1986), Between give and
take. A clinical guide to contextual therapy, New York, Brunner &
Mazel.
BOSZORMENYI-NACY I., SPARK G. (1973), Invisibles loyalties,
New York, Harper Row.
BRAMANTI D. (1991), Le famiglie accoglienti, Milano, Franco
Angeli.
CARRÀ E., MARTA E. (1995), Relazioni familiari e adolescenza,
Milano. Franco Angeli.
DELL’ANTONIO A. (a cura di, 1992), Avere due famiglie,
Unicopli.
GRECO O. (1999). La Doppia luna, Milano, Vita e Pensiero.
GRECO O., IAFRATE R. (1993), Tra i meandri dell’affido. Un
percorso di ricerca, Milano, Vita e Pensiero.
GRECO O., IAFRATE R. (in corso di stampa), Figli al confine.
Una ricerca multimetodologica sull’affidamento familiare, Milano,
Franco Angeli.
SBATTELLA E. (1999), Quale famiglia per quale minore: una
ricerca sull’abbinamento nell’affido familiare, Milano, Franco
Angeli.
ZURLO M. C. (1994), Mal di affidamento. L’idealizzazione come
difesa infantile nell’affido familiare, Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli.
----------------- ooooooooooooooo ----------Eugenia Scabini è Ordinario di Psicologia sociale della
famiglia e Preside della Facoltà di Psicologia dell’Università
Cattolica di Milano.
Presso la stessa Università dirige il Centro studi e ricerche
sulla famiglia.
Cura, con G. Rossi, la collana Studi interdisciplinari sulla
famiglia, edita da Vita e Pensiero.
Sul tema della famiglia ha pubblicato in questa Rivista: La
famiglia lunga" del giovane adulto (n. 104, 1991); Equilibri di
distanze (n. 11, 1, : 992); Generazioni familiari in una società
multietnica (n.121, 1994); La rivoluzione paradossale (n. 136,
A002130, 9
1996); Il primo figlio (n. 145, 1998); Il figlio venuto da
lontano: l’adozione internazionale (n. 147, 1998); Il paese dei
cocchi di mamma (n. 150, 1998), Il dilemma della famiglia giovane
(n. 163, 2000).