VITA Marco Giordano

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VITA Marco Giordano
esperıenze
VITA
13 MAGGIO 2011 - NUMERO 18
Pasquale Foggia: «Porto il sogno della Serie A nei vicoli di Napoli»
Il Mato Grosso nel cuore di Roma: il racconto di Giovanni Ricciardi
Marco Giordano
A scuola
di affido
A fine anni Novanta Marco e la sua
neosposa hanno dato vita a un’origi-
nale esperienza di accoglienza fami-
liare. Primo passo di quello che è diventato oggi Progetto Famiglia, la Federazione di enti
non profit per i minori che sostiene e accompagna la nascita di famiglie affidatarie in varie
zone d’Italia. Una rete di 130 nuclei, con 4 case d’accoglienza e 70 bambini e ragazzini accolti,
che esplora nuove modalità di solidarietà familiari. Partendo da un semplice doposcuola.
persone
13 MAGGIO 2011
VITA
esperıenze
Marco Giordano
Accoglienza
e affido.
Facciam famiglie
con doppia A
A
di Marina Moioli
Marco Giordano,
classe 1974, salernitano doc (nato per caso
a Bergamo dai genitori insegnanti “in trasferta”). Sposato da
13 anni, ha tre figli di 7,
11 e 12 anni e due
bambine in affido di 8
e 12 anni. Laureato in
Scienze dei Servizi sociali, si occupa di progettazione sociale e
lavora per un gruppo
di enti non profit. È
presidente della rete
di famiglie affidatarie
e solidali e vicepresidente della Federazione Progetto Famiglia onlus.
‘‘
CAPIRE CHE NON ERAVAMO CAPACI di “farci i fatti
nostri” io e mia moglie ci siamo arrivati subito,
da fidanzati, facendo i volontari in un brefotrofio. La nostra storia è cominciata così», dice
semplicemente Marco Giordano quando inizia
a raccontare l’impegno di Progetto Famiglia,
la Federazione di enti non profit per i minori
che sostiene e accompagna la nascita di famiglie solidali e affidatarie in varie zone d’Italia.
Una rete di cui oggi fanno parte 13 gruppi, 10
in Campania, uno a Frosinone, uno in provincia di Matera e uno addirittura in Ucraina.
Come è nata questa esperienza?
Dall’incrocio di due situazioni. Alla base c’è una
forte sensibilità, mia e di mia moglie, rispetto al
dramma dei bambini e dei ragazzi che all’epoca
crescevano negli istituti. Da ragazzo mi è capitato
di fare volontariato in un brefotrofio e ho conosciuto da vicino la situazione paradossale di questi piccoli che elemosinano un po’ di attenzione;
quando stai per andare via si attaccano ai pantaloni, ti chiedono di portarli a casa. Una cosa strana: tu arrivi e subito ti si buttano in braccio, cosa
che normalmente un bambino non fa mai con
uno sconosciuto. Ancora oggi ricordo in modo
chiaro gli occhi di alcuni di quei bambini! Questo
incontro ci ha segnato. Da allora abbiamo sempre
portato nel cuore, forte, questa disperata richiesta
di attivazione. Ma poi accanto a questo si è innestato un altro percorso...
Quale?
Quello del Progetto Famiglia, fondato all’inizio
degli anni Novanta da don Silvio Longobardi, un
sacerdote della diocesi di Nocera Sarno, a una
ventina di chilometri da Salerno. Lui stava facendo da tempo con le famiglie e con i giovani un lavoro importante di aiuto alla vita, di attenzione
alla maternità, un discorso culturale pro life, ma
anche tanto aiuto concreto, fino al punto che
qualche famiglia del paese aveva accolto a casa
propria delle ragazze in attesa. Don Silvio stava
anche cominciando a pensare di creare una rete
un po’ più solida di accoglienza familiare, fatta di
luoghi strutturati e animati comunque da una famiglia residente, non con gli operatori che fanno
i turni come succede di solito. Io e mia moglie, fidanzati prossimi al matrimonio, nel 1997 siamo
venuti a sapere di questa iniziativa, abbiamo incontrato per varie strade Don Silvio e ne nacque
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L’identikit
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L’affido vero secondo noi è quello che
non separa dai genitori, che interviene per tempo
prima che la situazione si incancreniscan
un idillio che ci ha portato per i primi anni del
nostro matrimonio ad andare ad animare, vivendoci, la prima casa di accoglienza familiare di questa associazione che intanto si stava sviluppando:
la Maria Madre della Vita a Sant’Egidio del Monte
Albino.
Quanto è durata questa vita comunitaria?
Abbiamo vissuto lì i primi cinque anni del nostro
matrimonio. Dopo un anno è nata la nostra prima
figlia, poi il secondo... Il cammino classico di una
giovane coppia, insomma, però inserito all’interno di un luogo più ampio, dove accoglievamo anche le mamme con figli. Abbiamo cominciato
dall’idea di accogliere le mamme, perché era questo il percorso dell’associazione, ma poi capitò
che un paio di loro ci lasciarono i bambini, poi
dati in adozione: così ci siamo trovati in una situazione che in qualche modo si collegava all’esperienza che avevamo fatto da fidanzati. Così
l’oggetto sociale del Progetto Famiglia si è allargato, da sostegno e accompagnamento alla maternità a un’attenzione forte nei confronti dei
bambini e dei ragazzi, che poi è diventato uno
dei pilastri dell’attività. Dopo i primi cinque anni
siamo tornati a casa nostra e siamo diventati una
semplice famiglia affidataria; un’altra famiglia ha
preso il nostro posto, ma nel frattempo anche
altri avevano maturato la disponibilità a mettersi
in gioco. Così è cresciuta la rete delle famiglie accoglienti, ed è nata una seconda casa, poi una
terza. Oggi ce ne sono quattro.
Quante sono oggi le famiglie coinvolte?
Negli ultimi anni la rete di famiglie si è sviluppata
molto, complessivamente sono 130, suddivise in
13 gruppi nati anche altrove e all’estero. Ci sono
due livelli di intervento, e da un’unica associazione con tanti volontari siamo diventati una federazione. Man mano ci è sembrato buono favorire lo sviluppo di associazioni locali. La scommessa non è tanto avere un’unica grande associazione strutturata, ma che ci si intenda e si
cammini insieme sui grandi obiettivi. Ci si incontra periodicamente, per fare programmazione comune, ma soprattutto per fare formazione e anche condivisione con don Silvio Longobardi, che
rimane il nostro riferimento spirituale.
Quanti sono i bambini e ragazzi accolti?
Oltre 70 bambini, una parte accolti a tempo pieno
e un’altra part-time, ed è questo il segmento che
stiamo cercando di sviluppare maggiormente,
perché l’affido vero secondo noi è quello che non
separa dai genitori, che interviene per tempo prima che la situazione si incancrenisca, che aiuta il
ragazzo a crescere ma permettendogli di tornare
Nela foto grande, Marco Giordano (primo a destra)
e la sua “famiglia” a Paestum. Nelle foto piccole, altri
momenti di vita in comune nelle famiglie affidatarie
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persone
13 MAGGIO 2011
esperıenze
Per una settimana accoglienza al centro
Secondo il rapporto sui “minori fuori famiglia” in Italia pubblicato a
febbraio dal Ministero del Lavoro e Politiche sociali, sono 23.100 i
minori italiani che non vivono né con i genitori né con i parenti. Di
questi 15.500 sono ospiti di strutture residenziali (il 67%) mentre
7.600 sono accolti in affidamento familiare (33%). Dunque su tre
minori “fuori famiglia” due si trovano in una struttura residenziale. La
forbice si allarga nelle regioni centro-meridionali, in molte delle quali il
rapporto minori in affido familiare/minori in comunità è di 1 a 5.
Se può essere complesso trovare famiglie disposte a prendere un
minore in affido familiare, più diffusa dovrebbe essere la disponibilità
delle famiglie ad aiutare un bambino o un ragazzo per alcuni pomeriggi
a settimana. Invece raramente vengono organizzate dai servizi pubblici
attività di sensibilizzazione e formazione per “famiglie solidali”.
Dal 9 al 15 maggio, con un messaggio chiaro
Questo il quadro della situazione che fa da sfondo alla Settimana del
Diritto alla Famiglia, evento promosso da Progetto Famiglia e che dal 9
al 15 maggio coinvolgerà 25 città (da Salerno a Roma, da Milano a
“Nomadelfia”) in una serie iniziative, appunamenti e convegni (info:
www.progettofamiglia.org)
Il messaggio che la federazione Progetto Famiglia vuole lanciare è
chiaro: bisogna spostare la ricerca delle “famiglie disponibili” dal
campo dell’affido a quello delle forme leggere di solidarietà familiare.
Forme che si potrebbero definire “di quartiere”. Servono famiglie
disponibili a fare un po’ di doposcuola ai compagni di classe dei propri
figli, a portare una volta a settimana qualche ragazzo a fare una
passeggiata o una partita di pallone (insieme ai propri figli). Alcune di
queste famiglie volontarie, se vorranno, potranno successivamente
anche diventare famiglie affidatarie.
‘‘
A 30 anni da don Zeno
Appuntamento
a Nomadelfia
nel segno del
Sovversivo di Dio
tu
Cosa puoi fare tu
Chi può accogliere bambini in affido. Il bambino o
ragazzo può essere affidato prioritariamente a coniugi,
preferibilmente con figli minori (per offrire una famiglia
il più possibile simile a quella dei suoi coetanei), oppure a coniugi senza figli o a persone singole.
Quali condizioni deve garantire la famiglia affidataria. La disponibilità deve essere di entrambi i coniugi
e non biosgna fare l’errore di acondiscendere alla scelta per “accontentare” l’altro coniuge.
Quale problemi possono sorgere. Occorre essere
preparati ad affrontare - con l’aiuto degli operatori sociali - i problemi che nascono dai rapporti con la famiglia del bambino: questi possono collaborare all’educazione del figlio e preparare il terreno per il suo rientro
nel nucleo d’origine, ma possono anche ostacolare interferendo pesantemente nell’andamento dell’affidamento con richieste e comportamenti errati.
Chi aiuta nel percorso di affidamento. Progetto Famiglia sostiene e accompagna la nascita di “gruppi di
famiglie solidali e affidatarie” in varie zone d’Italia.
Chiunque fosse interessato, anche solo a conoscere
meglio le possibili forme della solidarietà familiare, può
contattare Marianna Mura (numero verde
800.03.42.27, [email protected]).
Tra le altre associazioni di famiglie affidatarie segnaliamo Anfaa (www.anfaa.it) e Famiglie per l’accoglienza
(www.famiglieperaccoglienza.it).
a vivere a casa sua. Questo evita tutta una serie
di problemi di cui oggi l’affido in Italia è malato.
In che senso?
In Italia per un verso si stanno facendo passi in
avanti significativi rispetto al diritto dei bambini
a crescere in famiglia. Ed è vero che da alcuni
anni esiste una cabina di regia istituzionale (“Un
percorso nell’affido”) promossa dal ministro delle
Politiche sociali. Però c’è un limite: è a livello attuativo, nei territori: qui si trova una situazione a
macchia di leopardo, perché esistono contesti altamente sviluppati, dove si fanno affidi all’avanguardia, e altri nei quali c’è il vuoto totale. Un
vuoto presente in modo più marcato al centro
sud, ma anche al centro nord ci sono sacche di
grave carenza. Quindi oggi il diritto dei bambini
a crescere in famiglia è tutelato solo formalmente:
devi essere fortunato, dipende da dove stai. L’
obiettivo è di renderlo certo dovunque.
Che fare allora?
Ci sono battaglie ovviamente da fare. La prima è
di stimolo e di sensibilizzazione nei confronti delle Regioni, che sempre più hanno un ruolo centrale nelle politiche sociali. La maggior parte ha
disciplinato l’affido con linee guida, quasi sempre
ben fatte, il problema è che poi i Comuni non le
applicano. Ma a dire il vero facendo i conti, la spesa che i Comuni affrontano per l’inserimento dei
minori nelle strutture residenziali è talmente alta
che anche soltanto per motivi economici sarebbe
giustificata un’attenzione verso un tipo di affido
inserito in un percorso più ampio di solidarietà e
di vicinanza. Sarebbe una scelta più economica,
ma soprattutto più giusta. Perché un bambino seguito con attenzione ha molte più probabilità di
diventare un adulto sano.
‘‘
È
DAVVERO UNA SCELTA GIUSTA quella del Progetto Fami-
glia che ha deciso di chiudere la sua Settimana del
Diritto alla Famiglia, maratona di eventi che dal 9
al 15 maggio 2011 toccherà venticinque comuni di
otto regioni italiane, a Nomadelfia. In questo modo,
un’esperienza di fraternità e di accoglienza nata
negli ultimi decenni si collega e rende omaggio al carisma di don Zeno a trent’anni dalla sua morte. Con un
obiettivo comune, quello rilanciare il tema dell’accoglienza familiare dei minori “fuori famiglia” che fu
preoccupazione costante di don Zeno, nono di dodici
figli sin da quando, nominato vice parroco della chiesa
di San Giacomo Roncole, frazione di Mirandola, fondò
l’Opera dei Piccoli Apostoli, dedita all’accoglienza degli
orfani di guerra e dei bambini abbandonati.
È bello l’abbraccio tra queste due fraternità nel segno
dei minori e di un bisogno ancora così grande, come è
quello dei 25mila minori italiani che non vivono né in
famiglia né con i parenti.
Questo incontro tra i figli spirituali di don Zeno Saltini e quelli don Silvio Longobardi, avviene tra l’altro
poco dopo l’annuncio della Chiesa cattolica dell’avvio
del processo di beatificazione di don Zeno, “il sovversivo di Dio”, che dal 1952 al 1962 fu ridotto allo stato
laicale per il fuoco delle sue dichiarazioni e battaglie. È
bello ricordare in queste settimane quanto avvenne poco prima della sua morte. Era il 12 agosto 1980 e i nomadelfi furono invitati da Giovanni Paolo II, nella villa
di Castelgandolfo, il Papa beato disse loro: «Se siamo
vocati ad essere figli di Dio e tra noi fratelli, allora la regola che si chiama Nomadelfia è un preavviso e un
preannuncio di questo mondo futuro dove siamo chiamati tutti».
Un concetto ribadito recentemente dal presidente
della Cei, cardinal Bagnasco, che a gennaio durante una
vista a Nomadelfia ha sottolineato che: «La vostra realtà,
intuizione felice e provvidenziale di don Zeno, arricchisce la moltitudine dei carismi con i quali lo Spirito
abbellisce il volto della Chiesa: la fraternità evangelica,
la coscienza vivissima della centralità della famiglia,
l’accoglienza di chi ha bisogno di genitori, qualificano
la vostra vita e fanno della vostra parrocchia non qualcosa di estraneo ma di familiare, un segno della nostra
origine e del nostro futuro». [Riccardo Bonacina]