Biografia linguistica di una nonna valdostana Questa testimonianza
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Biografia linguistica di una nonna valdostana Questa testimonianza
Éducation et Sociétés Plurilingues n°29-décembre 2010 Biografia linguistica di una nonna valdostana Hélène CHAMPVILLAIR Cet article retrace la biographie linguistique d’une grand-mère valdôtaine qui a été instruite durant l’époque fasciste. Les données recueillies à travers des entretiens informels et une interview sociolinguistique permettent de mettre en évidence quels sont les codes linguistiques spontanément acquis ou ceux appris à travers des parcours scolaires, quelles sont les compétences dans les différents systèmes linguistiques (et la correspondante perception du locuteur) et finalement quelle est l’attitude envers les langues appartenant au répertoire linguistique valdôtain. This article traces the linguistic biography of the author’s grandmother in the Aosta Valley, who grew up during the Fascist period in Italy. Information gathered through informal, sociolinguistic interviews show the language codes she learned spontaneously and those learned in school, as well as her competences in the different linguistic systems (and the way she herself perceives them). It ends with a presentation of her attitudes towards the languages that are part of the Valley’s linguistic repertoire. Questa testimonianza nasce dal desiderio di raccontare la biografia linguistica di mia nonna, nata e vissuta per un’intera vita nello stesso paese, ma in un contesto linguisticamente variegato come quello valdostano. I ricordi e gli avvenimenti raccolti e qui succintamente descritti sono il frutto di alcune conversazioni informali e di un’intervista più specificatamente linguistica (1) che hanno in qualche modo permesso di tracciare il suo profilo sociolinguistico. Ivonne viene alla luce nel 1926 a Saint-Christophe, un comune di circa 3000 abitanti situato sulla collina di Aosta a 614 metri di altezza. Questo paese nel corso degli anni ha subito un forte cambiamento economico e sociale: in passato era principalmente fondato sull’attività agricola mentre oggi è sostanzialmente legato allo sviluppo del terziario. L’andamento demografico ha visto un sensibile aumento, riconducibile per lo più al movimento migratorio di abitanti prima residenti ad Aosta; in particolare, tra il 1971 e il 1996 si è registrato un picco di crescita del 63%. Nei primi anni di vita cresce in una famiglia dialettofona all’interno della quale il patois rappresenta non solo la lingua madre, ma anche quella adoperata in tutti i domini d’uso della vita sociale, ad eccezione – come verrà specificato in seguito – dei contesti più formali. Ivonne è la terza di quattro fratelli che purtroppo perdono la mamma in tenerissima età, lei a soli 4 anni. A partire da allora si alternano periodi in cui vive in casa con il papà e i suoi fratelli ad altri, più frequenti, in cui risiede con la madrina che, per far fronte all’assenza del padre partito in Francia per lavorare negli H. Champvillair, Biografia linguistica di una nonna valdostana alpeggi, la accoglie in casa sua, dove inizia a collaborare nei lavori domestici e nei campi. All’età di 6 anni inizia il suo percorso scolastico e per la prima volta viene a contatto con l’italiano, una lingua fino a quel momento completamente sconosciuta. L’insegnante si esprime in italiano e pretende che i bambini utilizzino solo ed esclusivamente questo codice; non utilizza mai il dialetto, nemmeno per tradurre i vocaboli di difficile comprensione. I bambini, al contrario – anche nel contesto scolastico – parlano tra di loro solo in patois. Ivonne viene infatti scolarizzata nel ventennio fascista, periodo in cui – com’è noto– vi è il rigido divieto di utilizzare codici diversi dall’italiano che possano in qualche modo sostenere particolarismi culturali e sociali oltreché linguistici (2). Alcuni rari insegnanti sfidano il divieto imposto e continuano più o meno segretamente a far apprendere ai loro allievi il francese, lingua che rappresenta tradizionalmente in Valle d’Aosta la varietà alta utilizzata come lingua di cultura dagli intellettuali, dagli amministratori locali e dal clero (3), oltre che dalla scuola, che appunto con la sola eccezione del periodo fascista, ancora oggi ne veicola l’apprendimento. Ivonne non ha così l’opportunità di imparare il francese a scuola e soltanto successivamente avrà occasione di entrare in contatto con questo codice, e di impadronirsene in parte. Il suo contatto con il mondo scolastico, d’altra parte, è molto breve: consegue la licenza di quarta elementare in 5 anni in quanto in terza elementare dovrà ripetere l’anno, e successivamente si vede costretta ad abbandonare gli studi per lavorare nei campi ed occuparsi dell’allevamento dei bovini. Questa attività, in particolare quella della coltivatrice diretta, rappresenterà il suo mestiere anche nell’età adulta. Ivonne non ricorda particolari difficoltà di apprendimento, nonostante fosse costretta ad iniziare l’anno scolastico un mese dopo gli altri e a terminarlo in anticipo per seguire le mucche fino all’alpeggio. Racconta che a volte riscontrava delle difficoltà nella risoluzione dei problemi di aritmetica, ma per fortuna ci pensava una sua compagna di banco ad aiutarla e a suggerirle come procedere; anche se sul quaderno ogni cosa veniva trascritta rigorosamente in italiano, la lingua veicolare, in quel caso, era senza dubbio il patois. Un piccolo episodio che ancora oggi la nonna ricorda riguarda proprio un’espressione in questa lingua, che le diede qualche grattacapo con la maestra. Un giorno una sua compagna di classe le fece un dispetto così lei, seccata, le disse “resta quéya croé montagnìa”, letteralmente “stai zitta piccola/insignificante montagnìa”, ovvero abitante della frazione chiamata “La Montagne”, situata nell’alta collina di Saint Christophe. A quel punto la compagna richiamò l’attenzione della maestra 16 H. Champvillair, Biografia linguistica di una nonna valdostana per dirle che Ivonne le aveva dato della “puttana”, così l’insegnante la sgridò e la fece mettere in ginocchio su delle assi di legno in un angolo della classe. Per fortuna i compagni che avevano assistito al diverbio informarono la maestra di ciò che era stato realmente detto, cosicché mia nonna poté tornare al suo posto. Nelle sue memorie scolastiche la nonna porta comunque un ricordo complessivamente positivo dei compagni e della maestra, che si occupava dei bambini a volte ben al di là dei compiti richiesti. Ricorda, ad esempio, che la maestra le medicava tutti i giorni una ferita al dito che si era procurata facendo i lavori domestici, e che furono proprio queste cure a far lentamente passare l’infezione e cicatrizzare la lesione. Una volta arrivò addirittura a casa per chiedere al padre se poteva mandare la figlia in colonia durante le vacanze estive, ma il papà non glielo permise per il troppo lavoro da fare: anche una bambina rappresentava un’importante risorsa per l’economia domestica. L’infanzia e l’adolescenza di Ivonne procedono quindi nel suo paese d’origine; le energie sono tutte dedicate ai lavori nei campi, al pascolo, nella stalla e in casa. Sono gli anni della seconda guerra mondiale in cui tutti devono lavorare molto: spesso le donne si vedono costrette a svolgere anche le attività lavorative più faticose e pesanti per far fronte alla mancanza delle forze maschili sottratte per la chiamata alle armi. All’età di 20 anni, finita la guerra, il padre prende contatti con una famiglia della vicina Svizzera che necessita di una “domestica”. Ivonne si reca così a Torino – per la prima volta nella sua vita – per fare il passaporto e parte per Bex, nel cantone del Valais. Si trasferisce quindi in una realtà francofona; le somiglianze tra il francese e il patois le consentono di capire qualche parola anche se all’inizio è davvero difficile riuscire a comunicare. Fortunatamente la signora da cui lavora conosce anche l’italiano (in quanto sua mamma era un’italiana che aveva sposato uno svizzero) per cui a volte le traduce vocaboli e/o espressioni. La nonna ricorda che chiedeva sempre in patois “Cenque fat-ë fére?” e veniva prontamente corretta con la frase “qu’est-ce qu’il faut faire?”. Dopo 6 mesi cambia famiglia e nella nuova casa, non lontana dalla prima, c’è una domestica svizzero-tedesca con cui impara i giorni della settimana e poche altre parole tedesche. In questo periodo la sua competenza in lingua francese migliora, riesce ad andare a fare la spesa da sola e a chiedere ciò che le serve in francese, la comprensione orale è piuttosto buona, anche se la produzione è chiaramente caratterizzata da numerose interferenze con il dialetto francoprovenzale. Per quanto riguarda invece lo scritto, le competenze 17 H. Champvillair, Biografia linguistica di una nonna valdostana rimangono quasi nulle, essendo pressoché inesistenti le occasioni di scrittura. Ivonne rimane in Svizzera per un anno e mezzo, e questa sarà l’unica parentesi della sua vita trascorsa fuori dal comune di residenza. Sebbene lei sostenga di aver completamente dimenticato il francese e di non saperlo affatto, in realtà questa lingua è per lei conosciuta, anche se con competenze linguistiche ridotte. In effetti, nonostante non l’abbia appresa in un processo educativo formale, le conoscenze acquisite in un contesto di immersione linguistica e in seguito stimolate dai mass-media locali – che utilizzano talvolta il francese come lingua veicolare – le permettono di capire il significato generale di testi in francese. Riguardo al francoprovenzale, possiamo dire che l’unica sua “lacuna” è l’incapacità di scriverlo e leggerlo, trattandosi di un codice che viene effettivamente utilizzato quasi esclusivamente nel parlato. Per quanto riguarda invece i domini d’uso, possiamo affermare che per l’intero arco della sua vita e con l’eccezione del periodo trascorso all’estero il patois ha ricoperto la quasi totalità degli scambi comunicativi della nonna. In effetti, secondo i suoi stessi racconti, Ivonne l’ha sempre utilizzato in famiglia, con i vicini di casa, con gli amici, con gli amministratori locali, con il parroco, con il medico di famiglia, con i compaesani, con il negoziante dell’alimentari vicino a casa e addirittura con gli insegnanti dei propri figli che lo conoscevano. Ivonne pensa, sogna, conta, scherza,… si esprime in senso lato in patois. Utilizza invece l’italiano esclusivamente con chi non conosce il francoprovenzale, ciò che costituisce un’esigua fetta dei suoi contatti sociali. Nelle sue produzioni orali in italiano si possono trovare frequenti esempi di commutazione di codice e di enunciazione mistilingue di cui sicuramente lei non è consapevole. Se dovessimo tracciare un quadro del suo idioletto potremmo dire che è caratterizzato da un bilinguismo fortemente sbilanciato a favore del francoprovenzale, a cui viene subordinato l’italiano, e a cui si aggiunge una ridotta conoscenza del francese. Dal punto di vista di Ivonne in patois si può dire qualunque cosa; in effetti il mondo in cui ha vissuto – caratterizzato dalla vita agricola – è interamente descrivibile con quel codice. Chi scrive, nonostante dialettofona, non potrebbe dire la stessa cosa poiché la realtà di oggi non è sempre traducibile in dialetto e, per colmare le lacune lessicali, ricorre al repertorio linguistico dell’italiano o preferibilmente del francese (che da un punto di vista morfologico e fonetico gli assomiglia maggiormente). La nonna crede d’altra parte che il francoprovenzale, sebbene stia vivendo una piccola ripresa di vitalità, sia comunque molto meno attivo e diffuso 18 H. Champvillair, Biografia linguistica di una nonna valdostana rispetto al passato, quando era parlato in modo esclusivo da tutti i valdostani. La causa del fenomeno è a suo avviso da attribuire al forte movimento migratorio che ha caratterizzato l’ultimo secolo, ma anche al fatto che a volte dei genitori patoisants preferiscano parlare ai propri figli in italiano, così come hanno scelto di fare molti suoi compaesani. Ivonne non condivide questa scelta e sostiene che sia fondamentale apprendere il dialetto in famiglia affinché possa diventare un codice conosciuto ed utilizzato. Per quanto concerne la percezione rispetto alla propria competenza linguistica nei diversi codici, Ivonne ritiene di conoscere bene il francoprovenzale, abbastanza bene l’italiano e poco il francese, lingua che tuttavia le sarebbe piaciuto apprendere a scuola e che ritiene essere fondamentale per chi vive in Valle d’Aosta. Ritiene che anche il francoprovenzale sia un codice che i valdostani dovrebbero conoscere, sebbene si renda conto che oggigiorno sarebbe impensabile esprimersi solo ed esclusivamente in dialetto. Oltre ai tre codici caratterizzanti il repertorio linguistico valdostano, d’altra parte, la nonna crede che la lingua maggiormente utile sia l’inglese. Alla domanda “ti senti più italiana, valdostana o cretoblentse (abitante di Saint-Christophe), lei risponde cretoblentse, ciò che sottolinea il suo senso d’appartenenza alla realtà locale, quella in cui ha sempre vissuto e che rappresenta il suo punto di riferimento e la prospettiva attraverso la quale guarda il mondo e le sue lingue. La biografia linguistica qui brevemente narrata rappresenta quella di numerosi anziani di quella stessa generazione, che ha subito il triste condizionamento delle leggi fasciste e che in ambito scolastico non ha avuto l’opportunità di apprendere altre lingue al di fuori dell’italiano. Fortunatamente, le successive generazioni di scolari valdostani sono cresciute in una dimensione educativa sempre più plurilingue, prima con la re-introduzione del francese, poi con quella della lingua minoritaria walser nella Valle del Lys, con il più recente inserimento dell’inglese e infine addirittura – secondo gli auspici della Legge Regionale n. 18 del 1° agosto 2005 – con le azioni di promozione della “conoscenza della lingua e della cultura franco-provenzale” in un’ottica di apertura “alla cittadinanza europea e finalizzata anche al rispetto delle diversità culturali e linguistiche”. 19 H. Champvillair, Biografia linguistica di una nonna valdostana Note (1) Le domande proposte ricalcano i consueti punti d’indagine delle inchieste sociolinguistiche (ad esempio, per l’ambito valdostano: PASVA, Plurilinguisme Administratif et Scolaire en Vallée d'Aoste, Fondazione “Emile Chanoux” 2001 in http://www.fondchanoux.org/site/pages/sondages.asp). (2) L’insegnamento del francese è bandito dalla scuola valdostana a partire dal 1925. (3) Saranno infatti i rappresentanti di queste tre categorie sociali a rendersi protagonisti della lotta finalizzata alla difesa delle tradizioni e delle lingue locali sin dall’Unificazione dello stato italiano. 20