Katiuscia Greganti
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Katiuscia Greganti
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO INTERFACOLTA’ IN EDUCAZIONE PROFESSIONALE DISSERTAZIONE FINALE IN VIAGGIO ALLA RICERCA DELL’ISOLA SCONOSCIUTA Un laboratorio orientativo nella scuola secondaria di primo grado Relatore: Katiuscia Greganti firma Candidata: Margherita Schirone matr. n° 200690 firma Anno accademico 2010 - 2011 Dimmi, o luna: a che vale al pastor la sua vita, la vostra vita a voi? dimmi: ove tende questo vagar mio breve, il tuo corso immortale? […] Spesso quand’io ti miro […] e quando miro in cielo arder le stelle; dico fra me pensando: a che tante facelle? Che fa l’aria infinita, e quel profondo infinito seren? che vuol dir questa solitudine immensa? ed io che sono? Giacomo Leopardi (1829, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia) 1 The Road Not Taken Two roads diverged in a yellow wood, And sorry I could not travel both And be one traveler, long I stood And looked down one as far as I could To where it bent in the undergrowth; Then took the other, as just as fair, And having perhaps the better claim, Because it was grassy and wanted wear; Though as for that the passing there Had worn them really about the same, And both that morning equally lay In leaves no step had trodden black. Oh, I kept the first for another day! Yet knowing how way leads on to way, I doubted if I should ever come back. 2 I shall be telling this with a sigh Somewhere ages and ages hence: Two roads diverged in a wood, and I-I took the one less traveled by, And that has made all the difference. Robert Frost (1916, dalla raccolta Mountain Interval) 1 2 Immagine tratta dal sito http://angoloriflesso.bloog.it/lisola-che-non-ce.html Immagine tratta dal sito http://endlessstream.blogspot.com/2011/10/road-not-taken.html Pag. 2 di 195 INDICE INTRODUZIONE......................................................................................................5 PRIMA PARTE: ASPETTI TEORICI..................................................................... 10 1 L’ORIENTAMENTO A SCUOLA.........................................................................11 1.1 Cos’è l’orientamento e perché è importante...........................................................................................11 1.2 Orientamento: breve excursus storico.....................................................................................................24 1.3 L'intervento orientativo nella scuola.......................................................................................................36 1.4 Preadolescenza e scelte per il futuro........................................................................................................53 2 DALLE IDENTITÀ POSSIBILI ALL’IDENTITÀ REALE ..................................... 57 2.1 Preadolescenza, adolescenza e costruzione dell’identità........................................................................57 2.2 Il progetto di sé: costruzione del sé come narrazione di sé....................................................................84 2.3 Decidere la propria vita............................................................................................................................ 88 SECONDA PARTE: IL LABORATORIO .............................................................102 3 METODOLOGIA, OBIETTIVI E CONTESTO....................................................103 3.1 Com’è nata l’idea del laboratorio e perchè. .........................................................................................103 3.2 Obiettivi e modalità di valutazione........................................................................................................104 3.3 Metodologia..............................................................................................................................................105 3.4 I soggetti....................................................................................................................................................114 4 REALIZZAZIONE E VERIFICA DEI RISULTATI ..............................................116 4.1 Verifica della qualità del processo......................................................................................................... 116 4.2 Verifica dei risultati.................................................................................................................................130 CONCLUSIONI.................................................................................................... 137 ALLEGATO A – SCHEMA DEL DIARIO DEGLI INCONTRI ............................. 150 ALLEGATO B – TABELLE MATERIALE EMERSO......................................... 151 Scuola A. Gramsci di Grugliasco (TO) - Classe 3° T................................................................................ 151 Scuola A. Gramsci di Grugliasco (TO) - Classe 3° V................................................................................156 Pag. 3 di 195 Scuola Palmieri di Torino - Classe 3° Z......................................................................................................160 ALLEGATO C – SCHEDE DI VALUTAZIONE ................................................... 164 Scheda di valutazione alunni.......................................................................................................................164 Scheda di valutazione professore................................................................................................................166 ALLEGATO D – IL LIBRETTO........................................................................... 169 BIBLIOGRAFIA................................................................................................... 183 Testi................................................................................................................................................................183 Siti Internet................................................................................................................................................... 196 Pag. 4 di 195 INTRODUZIONE Ogni individuo percorre la strada della propria vita e man mano che procede, crescendo e maturando, cadendo e rialzandosi, fermandosi a riposare o mettendosi a correre, tenendo altri per mano o stringendo i pugni, costruisce sé stesso. Ogni strada è un percorso unico e irripetibile, che si incrocia con innumerevoli altri percorsi. Ogni strada ha i suoi bivi, le sue deviazioni, i suoi sensi unici. Nessuno può percorrere la strada che appartiene a qualcun altro, né può tracciarne il percorso, anche se a volte può influenzarlo. Ogni incrocio che si presenta lungo il cammino impone una scelta. Two roads diverged in a wood, and I… I took the one less traveled by, And that has made all the difference3. Migliaia, milioni di scelte tracciano il percorso della vita di ognuno, alcune più importanti, altre secondarie, ma ciascuna porta con sé le proprie conseguenze. In un passato non molto lontano gran parte del sentiero era già deciso in base alla posizione sociale (nobile, contadino, operaio…), economica (ricco, povero) e familiare (primogenito, maschio, femmina,…) acquisita alla nascita. Pochi erano coloro che, per forza di spirito o per fortuna, riuscivano a deviare il corso del proprio destino, scegliendo, spesso a caro prezzo, chi diventare ed essere. Oggi, nella società occidentale attuale, non è più così. Innumerevoli possibilità ed opportunità di scelta sembrano aprirsi di fronte al giovane che, uscendo dal nido famigliare, si affaccia al mondo e si deve preparare a prendere definitivamente il volo verso l’autonomia e l’indipendenza. Non solo, ma anche per chi il “nido” l’ha già lasciato da un pezzo è possibile cambiare ancora percorso, inventare e re-inventare se stesso o parti di se stesso, cambiando lavoro, cambiando professione, disfando una famiglia e costruendone un’altra, cominciando una “nuova vita”. A ben guardare, però, non sempre si tratta di una scelta. La fluidità del mondo del lavoro, legata all’enorme progresso tecnico e scientifico, ha determinato continui e decisivi cambiamenti nel panorama professionale ed occupazionale: professioni una volta considerate “sicure” e di prestigio sono scomparse o quasi, gli artigiani sono in via di estinzione, il posto fisso è un miraggio difficile da concretizzare. Anche la famiglia è cambiata: se la donna non lavora raramente è perché ha scelto di fare la “casalinga”, più 3 Dalla poesia “The road not taken” di Robert Frost (1916). Traduzione: “Divergevano due strade in un bosco, e Io…/Io presi la meno battuta, / e di qui ogni differenza è venuta”. Pag. 5 di 195 spesso o è disoccupata o ha dovuto stare a casa per guardare i figli, visto che asili ce ne sono pochi, sono costosi e non sempre i nonni possono aiutare, anche perché talvolta lavorano ancora. Separazioni, convivenze, famiglie allargate: all’immagine tradizionale della famiglia nucleare, tipica del contesto urbano, che già aveva soppiantato quella della famiglia estesa contadina, si è oggi sostituita una miriade di immagini, di possibili combinazioni parentali che si mescolano e confondono come riflessi dai frammenti di uno specchio rotto. Non esiste più un momento in cui si possa dire “sono arrivato” e la precarietà, non solo lavorativa, è il sottofondo dominante alla vita di ciascuno. Scegliere non è mai semplice, richiede un insieme complesso di operazioni mentali: riconoscere le possibilità disponibili, valutarne le conseguenze, stabilire delle priorità, effettuare delle rinunce. Quando le opportunità di scelta si moltiplicano, mentre le conseguenze possibili divengono confuse e incerte, la situazione si fa ancora più difficile. Nella società contemporanea, complessa e in continua trasformazione, soprattutto i giovani si trovano immersi in un bombardamento di notizie, informazioni, sollecitazioni, suggestioni, in cui sembrano apparentemente muoversi a loro agio, circondati da televisori, cellulari, computer, videogiochi. “I giovani d’oggi hanno tutto”, si sente spesso dire, trascurando che quello che manca loro è lo spazio, non solo fisico (certo mancano anche i luoghi di incontro), ma soprattutto lo spazio mentale, il tempo per riflettere e scoprire sé stessi. Non fanno in tempo a desiderare qualcosa, perché c’è sempre qualcun altro (la moda, la televisione, gli amici, i genitori) che già li ha preceduti e “sa” cosa desiderano: la maglietta firmata, il cellulare ultima generazione, la moto, la macchina, le serate in discoteca. Manca il tempo del dialogo, il tempo del confronto, il tempo per stare un po’ con sé e raccontarsi la propria vita, capire chi si è, dove si è, dove si può e si vuole andare. Gli adulti, indaffarati e stanchi, anch’essi confusi e frastornati, non sempre riescono a fornire ai ragazzi sostegno e contenimento, esempio e guida. Riempiono il tempo dei propri figli di scuola, sport, attività, corsi vari, oppure li affidano alla televisione, al computer. Così, il giovane adolescente che si confronta con le prime scelte importanti della propria vita (quelle relative alla scuola, ma anche al proprio modo di porsi di fronte agli altri, ai divertimenti, alla droga, al fumo, allo sport) non solo fatica a conoscersi e a riconoscersi (condizione fisiologica per questa età), ma spesso non ha neppure gli strumenti per farlo, né trova facilmente validi punti di riferimento. Pag. 6 di 195 Diventa sempre più pressante la necessità di un’educazione che fornisca agli individui competenze orientative, ossia che li renda capaci di fare scelte, elaborare progetti, acquisire consapevolezza di sé e della realtà esterna. L’orientamento, che in passato ha assunto diverse funzioni e impiegato varie metodologie, oggi, superata la concezione diagnostica e assistenzialistica, posto il soggetto al centro del proprio processo, si pone l’obiettivo di aiutare le persone a sviluppare competenze utili a fronteggiare le situazioni di transizione, a compiere scelte responsabili in modo autonomo e competente, ad adattarsi in modo attivo alle diverse situazioni in cui si vengono a trovare o che scelgono di affrontare. Lo sviluppo di queste capacità e competenze inizia nei primi anni e prosegue per tutta la vita. Tuttavia l’adolescenza resta il periodo in cui maggiormente si fa sentire la necessità di un supporto orientativo, non solo perché i ragazzi si trovano a fare scelte che influenzeranno l’intero percorso della loro esistenza, ma anche perché è l’età in cui si definisce l’identità personale del soggetto. Sempre più simile alla formazione, con cui condivide alcune finalità, l’orientamento è entrato nella scuola, sia a livello di programmi che di legislazione, ponendosi come finalità la maturazione dell’identità personale e sociale degli studenti e della loro capacità decisionale, per la costruzione di un personale progetto di vita, al cui interno pianificare il proprio futuro professionale. Si tratta di aiutare i ragazzi a prendere coscienza della realtà esterna, delle opportunità e dei rischi che essa presenta: a questo scopo vengono attuati interventi di orientamento informativo. Si tratta però anche di fornire loro strumenti e competenze per interpretare criticamente tale realtà, per trovare personali risposte ai problemi, per conoscere se stessi: per questo sono necessari interventi di orientamento formativo, mirati allo sviluppo dell’empowerment dei soggetti. Tra questi si collocano le attività di orientamento narrativo. L’orientamento narrativo – una delle metodologie di orientamento che la scuola sta sperimentando in questi anni – attraverso specifici percorsi di lavoro individuali e di gruppo permette proprio di attuare un processo durante il quale le persone hanno la possibilità di intervenire sulla proprio identità, sull’autoefficacia, sull’immagine di sé nei differenti contesti e, inoltre, possono acquisire competenze progettuali a partire dall’utilizzo di materiali propri, provenienti cioè da attribuzioni di significato e da sistemi di valori che sono propri esclusivamente del soggetto in apprendimento, nel rispetto della centralità della persona. (Batini, Giusti, 2008, pag. 10) In questo ambito si inserisce il laboratorio “In viaggio alla ricerca dell’isola sconosciuta”, pensato, progettato e realizzato con l’obiettivo di stimolare lo sviluppo delle Pag. 7 di 195 competenze necessarie alla comprensione di sé e della realtà, anche attraverso il confronto con persone diverse da sé. Si è voluto creare uno spazio accogliente, aperto al dialogo, in cui i ragazzi potessero sentirsi liberi di esprimersi, di guardarsi dentro, di ascoltarsi e farsi ascoltare, uno spazio per riflettere sull’importanza dei sogni, dei desideri e sulla necessità di impegnarsi per realizzarli. Il presente lavoro è articolato in due parti. Nella prima sono delineati gli aspetti teorici relativi all’orientamento e alla costruzione dell’identità, mentre la seconda è dedicata al laboratorio. La prima parte è composta da sue capitoli. Nel primo, dopo una breve introduzione sul significato di orientamento e di autorientamento, si affronta il tema delle competenze orientative e dei diversi modelli di orientamento, per arrivare a una panoramica dell’attuale situazione delle attività in tale ambito in Italia. Come si vedrà, esiste una grande varietà di tipologie di azione orientativa, che si dispiega in molteplici contesti: questo rende difficile definire i precisi contorni della figura dell’orientatore, a cui è dedicato un apposito paragrafo. Si è quindi voluto tracciare il percorso attraverso il quale, a partire dalle prime formulazioni teoriche che risalgono all’inizio del XX secolo, passando attraverso rielaborazioni di teorie e sperimentazioni pratiche, si è giunti all’attuale definizione di orientamento. Infine l’attenzione si è focalizzata sull’intervento orientativo nella scuola, nel passato e oggi, in particolare sulle potenzialità che la metodologia narrativa può sviluppare in tale contesto. Il secondo capitolo è dedicato al tema dell’identità e del sé, con particolare attenzione all’aspetto processuale, di costruzione dell’identità stessa e all’adolescenza come momento critico di tale processo. Dopo alcuni brevi cenni all’origine del concetto di sé, si analizzano i diversi contributi dati dalla psicologia sociale in questo ambito, il concetto di compiti di sviluppo ed il punto di vista della teoria dell’attaccamento. L’importanza per l’uomo della ricerca di significato, relativamente alla realtà esterna ed alla propria vita, e l’importanza del pensiero narrativo, sono oggetto di un successivo paragrafo. Infine, si affronta più nel dettaglio il problema delle scelte, dal punto di vista del processo decisionale e dell’importanza dei valori che ad esso sottostanno. Nella seconda parte viene presentato il laboratorio “In viaggio alla ricerca dell’isola sconosciuta”, partendo dal racconto di come è nata l’idea di realizzarlo e di quali erano gli obiettivi prefissati, per passare poi alla metodologia e alle modalità usate per la valutazione Pag. 8 di 195 del processo e dei risultati. Viene quindi analizzato l’andamento globale del laboratorio: come si sono svolti gli incontri, il materiale raccolto durante le attività, il livello di partecipazione e coinvolgimento dei ragazzi. Sulla base di quanto emerso e delle valutazioni formulate dalla conduttrice, dalle insegnanti e dai ragazzi stessi, si traccia infine un bilancio del percorso fatto. Pag. 9 di 195 PRIMA PARTE: ASPETTI TEORICI Pag. 10 di 195 CAPITOLO PRIMO 1 L’ORIENTAMENTO A SCUOLA 1.1 Cos’è l’orientamento e perché è importante Nel film Robin Hood principe dei ladri, girato nel 1991 con Kevin Costner come protagonista, Azeem, compagno di viaggio di Robin e musulmano, sbarca sulle coste inglesi. I due arrivano da Gerusalemme, dove si combatte una delle crociate. Non appena sceso dalla nave, Azeem chiede con insistenza a Robin: “Dove sorge il sole in questo paese?”. Vuole pregare e per farlo deve rivolgersi verso la Mecca, ma non sa orientarsi. Ha bisogno di un punto di riferimento: il punto in cui sorge il sole può indicargli dove si trova l’Est. 1.1.1 Sapere dove si vuole andare e conoscere la strada Il termine “orientamento” deriva dal latino oriens, oriente, a sua volta participio del verbo orior, che vuol dire sorgere. Il significato rimanda quindi all’atto di trovare la direzione in base al riferimento dei punti cardinali, al nascere del sole. Orientarsi non è un’operazione semplice: occorre sapere dove ci si trova, conoscere l’ambiente circostante, scegliere la direzione in cui ci si vuole muovere, tenendo conto dei possibili ostacoli, delle difficoltà, del tempo disponibile, sapendo cogliere le opportunità e gli aiuti che si possono incontrare lungo la strada. La scelta non è mai definitiva, prima o poi si troverà un bivio, una deviazione, un ostacolo che costringeranno a ri-orientarsi. Questo è valido sempre, sia che ci si riferisca ad un ambiente fisico, sia che si parli di percorsi di vita. Dunque, vivere la vita, costruire consapevolmente il proprio percorso di crescita e di evoluzione richiede la capacità di orientarsi, che a sua volta implica impegno, volontà e competenze che non sono innate, ma si possono apprendere. In particolare nei momenti di transizione4, quando si affrontano cambiamenti importanti, è fondamentale saper operare 4 Il termine transizione deriva dal latino transitio (passaggio), che a sua volta deriva dal verbo transire (passare), ed indica un passaggio da una condizione all’altra o da una situazione all’altra. “La situazione di transizione rappresenta una situazione critica, non di per se stessa negativa, ma che comporta uno stato temporaneo di disorganizzazione, caratterizzato da una difficoltà dell’individuo nel fronteggiare l’evento utilizzando gli strumenti con cui abitualmente usa risolvere i problemi che gli si presentano. La capacità di gestire una situazione critica chiama in causa sia una componente emozionale, legata ai vissuti soggettivi dell’esperienza, sia una componente cognitiva, legata cioè all’adeguatezza delle mappe o degli schemi cognitivi utili per interpretare una situazione inaspettata o diversa rispetto a quelle sperimentate fino a Pag. 11 di 195 delle scelte e saper realizzare praticamente quanto deciso, in modo soddisfacente per sé e utile per la società. Momenti di transizione sono, per esempio, il passaggio dalla scuola al mondo del lavoro, il cambiamento di posto di lavoro o addirittura di mestiere, il passare dalla posizione di occupato a quella di disoccupato, l’andare in pensione, ma anche cambiare città, un lutto in famiglia, una malattia improvvisa. Orientarsi però non significa solo fare delle scelte, eliminare delle possibilità a favore di altre, ma significa anche progettare e progettarsi, tenendo conto del contesto sociale e lavorativo attuale, che è in continuo mutamento. Come vedremo nel prossimo paragrafo, il concetto di orientamento ha assunto nel corso del secolo scorso diversi significati. Il termine può infatti sottintendere a due azioni: l’orientarsi, ossia l’attivarsi del soggetto per affrontare e trovare una soluzione ad un problema che lo riguarda, oppure l’orientare, ossia l’azione di qualcuno che dirige, indirizza qualcun altro verso una direzione, un’attività. Esiste però una terza accezione del termine orientamento: l’azione di qualcuno volta ad aiutare, sostenere e accompagnare il processo mediante il quale gli individui imparano ad effettuare scelte consapevoli. In questa prospettiva l’individuo è artefice della propria storia e solo lui è al centro delle sue scelte, in questo modo viene superata la tendenza ad attribuire al soggetto dell’azione orientativa una situazione di dipendenza. L’orientamento così inteso conduce la persona a progettare sé stessa e a diventare gradualmente responsabile e protagonista della propria vita, tenendo conto di tutte le variabili che interagiscono reciprocamente nelle scelte: dall’orientamento si passa così all’autorientamento. (Batini, 2005, pagg. 14-15) L’autorientamento5 è, dunque, la capacità del soggetto di affrontare le diverse situazioni, i problemi, i momenti di transizione, in modo autonomo e competente, adattandosi alla realtà in modo attivo. Grazie ad una buona conoscenza della realtà esterna quel momento.” (Ramondino Roberto, dal sito http://www.psicopedagogika.it/view.asp?id=39). 5 Il termine autorientamento è composto dal prefisso “auto”, che significa “sé stesso”, “da solo” e dal termine “orientamento”: letteralmente quindi indica la capacità dell’individuo di orientare sé stesso. Nel documento Linee guida in materia di orientamento lungo tutto l’arco della vita allegato alla C.M. n. 43 del 15 aprile 2009, tra le azioni necessarie alla realizzazione di percorsi efficaci di orientamento è indicato “il potenziamento della capacità di auto-orientarsi dentro il sistema formativo e in relazione con la realtà sociale e con il mondo del lavoro” (http://www.professioneorientamento.it/download/Lineeguida.pdf). Varani A. individua come elementi fondamentali necessari per sviluppare un positivo atteggiamento di autoorientamento l’autonomia personale, la conoscenza di sé e la conoscenza del contesto. Partendo da questo presupposto disegna una mappa concettuale dell’auto-orientamento che si svilupperebbe attraverso l’uso di informazioni, la soluzione di problemi, l’organizzazione, l’abitudine a decidere, la capacità relazionale, la consapevolezza metaemozionale e l’atteggiamento metacognitivo. (Varani, 2006, pagg. 21-22) Pag. 12 di 195 e di sé stesso, delle proprie aspirazioni, desideri, bisogni, consapevole delle proprie risorse e limiti, così come delle possibilità e degli ostacoli presenti nell’ambiente in cui si muove, egli saprà effettuare le proprie scelte ed elaborare un progetto di vita che lo porterà a realizzare sé stesso e a dare il proprio contributo alla comunità in cui vive. Nella società complessa in cui viviamo oggi, dove non ci sono certezze e punti fermi univoci, dove non esistono più valori universalmente riconosciuti e strade già tracciate da seguire, la capacità di autorientarsi diventa fondamentale e orientare significa aiutare i soggetti ad acquisire questa capacità. L’orientamento è dunque un processo di empowerment6 delle persone. Nel contesto dell’apprendimento permanente, l’orientamento rimanda a una serie di attività che mettono in grado i cittadini di ogni età, in qualsiasi momento della loro vita, di identificare le proprie capacità, le proprie competenze e i propri interessi, prendere decisioni in materia di istruzione, formazione e occupazione, nonché gestire i propri percorsi personali di vita nelle attività di formazione, nel mondo professionale e in qualsiasi altro ambiente in cui si acquisiscono e si sfruttano tali capacità e competenze. L’orientamento, quindi, si configura come una serie complessa e unitaria di attività e azioni in grado di sviluppare, attraverso processi di apprendimento, l’empowerment delle persone, la loro capacità di definire obiettivi e di reperire risorse per raggiungerli. (Batini, Giusti, 2008, pag. 7) Lo sviluppo di queste capacità e competenze inizia nei primi anni e prosegue per tutta la vita, anche se il periodo più importante è forse quello dell’adolescenza, quando si definisce l’identità personale del soggetto. E’ quindi naturale che la scuola possa e debba ricoprire un ruolo rilevante nel processo di orientamento, che però non si esaurisce in essa o nell’ambito dell’apprendimento formale, ma trova nutrimento e sostegno nei diversi contesti7 e prosegue lungo tutto l’arco della vita. Al centro dell’intervento orientativo c’è dunque la persona, considerata nella sua globalità e in rapporto ai fattori sociali che influiscono sul suo sviluppo personale e professionale. L’orientatore non effettua le scelte, non dà consigli o suggerimenti, ma entra in relazione con il soggetto e ne favorisce lo sviluppo di competenze. La relazione che si stabilisce è interattiva ed educativa. L’orientamento inteso come processo educativo di costruzione dell’identità personale, sociale e professionale presenta tre fattori di complessità: non può essere isolato dalle 6 L’Empowerment, dall’inglese to empower (che si traduce con “dare pieni poteri”), rappresenta il processo attraverso il quale si possono “attivare risorse e competenze, accrescere nei soggetti individuali e collettivi la capacità di utilizzare le loro qualità positive e quanto il contesto offre a livello materiale e simbolico per agire sulle situazioni e per modificarle.” (Amerio, 2000) 7 E’ possibile individuare due dimensioni dell’apprendimento: la dimensione verticale (Lifelong learning), che accompagna tutta l’esistenza di un individuo, e la dimensione orizzontale (Lifewide learning), che valorizza le diverse esperienze del soggetto nei vari ambiti della vita. Entrambe sono importanti per l’orientamento. (Batini, Giusti, 2008, pag. 20) Pag. 13 di 195 dimensioni dello sviluppo globale (cognitivo, affettivo, relazionale) della persona, è influenzato da molti fattori intrapersonali (immagine di sé, interessi, valori) e dalla storia personale del soggetto, non può prescindere dai fattori del contesto. E’ necessario quindi che gli interventi siano progettati tenendo conto delle esigenze e delle caratteristiche del singolo, anche quando si svolgono in contesti che per loro natura si prestano a percorsi collettivi, come la scuola. Tre sono le dimensioni del processo di orientamento: la formazione, l’informazione, la consulenza.8 La formazione orientativa comprende le attività volte a favorire lo sviluppo di competenze utili a fronteggiare le situazioni di transizione e a compiere scelte responsabili, come ad esempio la didattica orientativa e le esperienze di alternanza scuola/lavoro. Poiché l’acquisizione di competenze orientative è lo scopo di ogni azione orientativa, è evidente che la dimensione della formazione non si esaurisce all’interno del percorso scolastico. L’informazione orientativa consiste nel fornire dati e informazioni sulla realtà circostante, in particolare sul mondo della formazione e del lavoro. La consulenza orientativa è una azione di sostegno individualizzato, rivolto a persone in difficoltà, che si trovano a dover pensare o ripensare il proprio percorso formativo o lavorativo e necessitano di un supporto per scegliere e progettare tale percorso. Le tre dimensioni qui descritte non sono tra loro separate o, peggio, alternative, ma si completano e integrano tra loro. Un approccio corretto all’orientamento deve considerarle tutte. Un’azione formativa può prevedere anche il passaggio di informazioni, così come un momento informativo può essere occasione per stimolare la ricerca autonoma di informazioni, fornendo indicazioni e strumenti per realizzarla. 1.1.2 Quali competenze per orientarsi? Occorre, a questo punto, specificare cosa si intende col termine competenza e quali siano le competenze orientative. Nell’allegato tecnico al DM n. 139 del 22 agosto 2007 si trovano le seguenti definizioni: “Conoscenze”: indicano il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Le conoscenze sono l’insieme di fatti, principi, teorie e pratiche, relative a un settore di studio o di lavoro; le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche. 8 Bellamìo, Cicciarelli, Scandella, Vimercati, 2002, cap. 4 Pag. 14 di 195 “Abilità”: indicano le capacità di applicare conoscenze e di usare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi; le abilità sono descritte come cognitive (uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) e pratiche (che implicano l’abilità manuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti). “Competenze”: indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale; le competenze sono descritte in termine di responsabilità e autonomia. Le competenze sono dunque relative all’esperienza concreta dell’individuo, al suo agire, al fare scelte e metterle in pratica. E’ possibile considerare la competenza come uno specifico compito lavorativo, scolastico, di vita che la persona sa svolgere, oppure come la caratteristica o l’insieme di caratteristiche personali che consentono al soggetto di svolgere un determinato compito9. Questo secondo approccio alla competenza è probabilmente il più utile nell’orientamento in quanto può essere applicato anche a persone che non hanno ancora mai lavorato o vogliono intraprendere un nuovo mestiere, permette di identificare capacità spendibili in ambiti e situazioni differenti, consente di considerare anche caratteristiche personali quali il carattere, gli interessi, i valori. E’ possibile così distinguere tre diversi tipi di competenze (Isfol10, 1998): - le competenze di base, intese come conoscenze di carattere generale e capacità tecniche fondamentali per poter svolgere una qualsiasi attività; - le competenze professionali, ossia l’insieme delle conoscenze e delle capacità connesse all’esercizio efficace di determinate attività professionali, ovvero i requisiti richiesti da un settore/comparto; - le competenze trasversali, che non sono connesse ad una specifica attività lavorativa, ma che possono essere applicate in più ambiti lavorativi e di vita. L’Isfol identifica come competenze trasversali: diagnosticare (la situazione, il compito, il problema, sé stesso), relazionarsi (con persone o cose), affrontare (ossia elaborare strategie di azione finalizzate ad uno scopo). Batini e Giusti (2008) parlano di competenze strategiche trasversali, che si distinguono in competenze relazionali (saper comunicare, saper interagire, saper lavorare in gruppo e confrontarsi), competenze decisionali (saper risolvere problemi, saper decide, saper scegliere) e competenze diagnostiche (saper analizzare, saper reperire e trattare informazioni, saper valutare una situazione in evoluzione). 9 Per un approfondimento sui due possibili approcci http://www.orientamento.it/orientamento/6d.htm 10 Isfol: Istituto per lo sviluppo della formazione dei lavoratori Pag. 15 di 195 alla definizione di competenza, cfr. Le competenze una volta acquisite devono essere mantenute attraverso un’opera di costante aggiornamento. Questo è particolarmente vero in una società come la nostra, basata sulla conoscenza e sull’informazione, in cui il panorama lavorativo e sociale subisce continui e rapidi mutamenti. L’Unione Europea propone e supporta da anni una politica tesa a garantire l’accesso all’istruzione e alla formazione a tutti i cittadini, senza distinzioni di nessun genere, neppure di età, al fine di consentire l’acquisizione e l’aggiornamento delle competenze necessarie ad una attiva partecipazione alla vita sociale. Il 18 dicembre 2006, il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno approvato una Raccomandazione relativa a competenze chiave per l'apprendimento permanente, in cui le competenze chiave sono definite come “quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione.”11 Esse dovrebbero essere acquisite al termine del periodo obbligatorio di istruzione o di formazione e si distinguono dalle competenze di base, che vengono intese come le capacità di base nella lettura, nella scrittura e nel calcolo. Le competenze orientative, ossia quelle necessarie ai soggetti in orientamento per poter fare con consapevolezza, responsabilità e autonomia le proprie scelte e attivarsi per realizzarle, sono molteplici e polivalenti. Sono quelle che aiutano a compiere con successo una transizione, a costruire o ricostruire un progetto di vita, fino ad attivarsi in un processo di autorientamento. Tali competenze si possono dividere in quattro aree: la conoscenza di sé (delle proprie risorse, dei propri limiti, bisogni, interessi, desideri), la conoscenza del contesto in cui si è inseriti, la capacità di connettere le due aree precedenti ai fini di una scelta, la capacità di progettare la realizzazione della decisione presa (Bellamìo, Cicciarelli, Scandella, Vimercati, 2002, pag. 65). Fondamentali sono l’autostima ed il senso di autoefficacia (self efficacy), soprattutto per acquisire la capacità di autorientarsi, che è l’obiettivo ultimo di ogni processo di orientamento. 11 Il quadro di riferimento delinea otto competenze chiave: 1) comunicazione nella madrelingua; 2) comunicazione nelle lingue straniere; 3) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; 4) competenza digitale; 5) imparare a imparare; 6) competenze sociali e civiche; 7) spirito di iniziativa e imprenditorialità; 8) consapevolezza ed espressione culturale. Pag. 16 di 195 1.1.3 Modelli di orientamento Nel corso del XX secolo, diverse discipline scientifiche hanno apportato il loro contributo all’evolversi del concetto e delle pratiche di orientamento, in particolare la psicologia, la pedagogia e la sociologia. Si sono dunque succeduti, sovrapposti ed a volte sommati diversi modelli teorici ed operativi, rendendo difficile un inquadramento organico dell’orientamento, sia a livello teorico che pratico. I principali metodi operativi dell’orientamento scolastico e professionale sono i seguenti: - Modello informativo, che consiste nel fornire al soggetto il maggior numero di informazioni che lo possano aiutare ad effettuare le proprie scelte e prendere le conseguenti decisioni. Questo modello presenta il grosso limite di non prevedere un aiuto al soggetto nell’elaborare le informazioni ricevute, nell’assumere un atteggiamento critico verso di esse. Inoltre una volta acquisite tutte le informazioni del caso nel modo corretto, per poterne fare buon uso sono necessarie competenze di tipo decisionale e capacità progettuali. - Modello psicodiagnostico, che si propone di valutare come un soggetto possa inserirsi in un contesto formativo o professionale attraverso un confronto tra le caratteristiche, capacità, abilità richieste da tale contesto e quelle rilevate nel soggetto. Attraverso strumenti quali test psicometrici, questionari, test proiettivi di personalità, vengono rilevate le attitudini, caratteristiche personali, intelligenza, interessi, inclinazioni, valori dell’individuo. Fondamentale è la validità degli strumenti utilizzati, la qualità dell’elaborazione dei dati, la preparazione degli operatori che effettuano l’intervento, i cui risultati possono influenzare notevolmente l’individuo e le sue scelte. - Modello educativo, che si propone di supportare lo sviluppo globale della persona, le cui scelte scolastiche e professionali si inseriscono in un percorso di vita, in un processo evolutivo individuale. Il soggetto deve essere aiutato a maturare una adeguata conoscenza di sé stesso e della realtà che lo circonda, ad acquisire le competenze di giudizio, di autovalutazione, di scelta. Così egli sarà in grado di decidere e progettare da solo la propria vita, in modo autonomo e consapevole. Si tratta di delineare veri e propri percorsi educativi. Non quindi un intervento limitato nel tempo e legato ad un momento specifico o ad una sola area della personalità del soggetto, ma un processo educativo finalizzato al sostegno dello sviluppo personale, Pag. 17 di 195 lungo tutto l’arco di vita. E’ evidente come la scuola, in tutti i suoi ordini e gradi, non possa non essere coinvolta in questo compito. - Modello del counseling, che, basato su un approccio non-direttivo 12 (centrato sul cliente), si propone di offrire alle persone una possibilità di aumentare il proprio livello di conoscenza e consapevolezza, la propria capacità di vedere e saper cogliere le opportunità. Il counseling è un’attività di orientamento psicologico, sociale e personale. E’ una forma di relazione di aiuto, che coinvolge due figure: l’orientatore (counselor) ed il cliente. Si svolge in una situazione di colloquio psicologico che è un parlare/ascoltare per conoscere e capire. Nei momenti di crisi, il soggetto è aiutato a vedere le diverse possibilità, positive e negative, che la situazione offre e ad aumentare la propria capacità di coping13. L’intervento di counseling si distingue dalla psicoterapia in quanto non ha intenti terapeutici, si concentra sulle parti sane, sulla salute del cliente, lavora sul “qui ed ora”. Di solito non si protrae per più di 6-8 incontri. Un tipo particolare di counseling è il career counseling, finalizzato a scelte di sviluppo professionale. - Modello psicosociale, che parte dalla constatazione che la vita di ogni individuo si svolge in un contesto (fisico, sociale e culturale) e all’interno di una fitta rete di relazioni interpersonali. Il modo in cui il soggetto percepisce la realtà esterna e sé stesso in relazione a tale realtà influenza notevolmente la costruzione dell’immagine, anzi delle immagini che egli ha di sé. Nello stesso tempo motivazioni, aspettative e bisogni del soggetto condizionano la sua percezione e interpretazione della realtà esterna. All’interno di questo modello si trovano due prospettive: quella binaria, che pone il soggetto che percepisce e l’oggetto che funge da stimolo soli uno di fronte all’altro, e quella ternaria, introdotta da Moscovici14, che evidenzia la presenza di un terzo 12 Secondo il metodo non-direttivo messo a punto da Carl Rogers (1902, 1987) il terapeuta, nel promuovere il processo di modificazione della personalità del paziente, si affida non a tecniche o all’interpretazione, ma all’empatia, ossia alla piena comprensione dell’altro priva però di identificazione. “La comunicazione nondirettiva illustrata da Rogers si fonda sul rapporto interpersonale centrato sul soggetto che chiede aiuto, al fine di facilitare la sua comunicazione spontanea con atteggiamenti di piena accettazione e comprensione.” (Simeone, 2004, pag. 144). Per un approfondimento, cfr. Rogers Carl R., 1970, Psicoterapia e relazioni umane: teoria e pratica della terapia non direttiva, Torino, Boringhieri; Rogers Carl R., 1982, Terapia centrata sul cliente, Giunti, Firenze 13 “Con coping si può intendere, […], la condizione di un soggetto nell’affrontare situazioni di difficoltà o di stress (le abilità di coping corrispondono dunque alle abilità di fronteggiamento).” (Batini, 2005, pag. 22) 14 Cfr. Moscovici Serge, 1961, La psychanalyse, son image et son public, Paris, PUF; Moscovici Serge, 2005, Le rappresentazioni sociali, Bologna, Il mulino Pag. 18 di 195 elemento: l’Altro, inteso come soggetto sociale. L’Altro funge da ponte tra soggetto e oggetto. L’ottica ternaria, quindi, considera l’individuo, con le sue caratteristiche e vocazioni, connesso all’ambiente sociale, inteso come scuola o ambito lavorativo, attraverso i valori del gruppo al quale appartiene, i quali determinano le rappresentazioni che spingeranno il soggetto a scegliere un dato ambiente piuttosto che un altro. (Petruccelli, 2005, pag. 19) Nel progettare un intervento orientativo è quindi necessario tenere conto delle caratteristiche dell’ambiente in cui il soggetto è inserito, valutare quale significato egli attribuisca all’appartenere ad un determinato gruppo sociale, quali immagini abbia di sé in relazione ad un dato ruolo e le sue aspettative. Acquisendo una maggiore consapevolezza dell’influenza che l’ambiente ha sulle sue opinioni e sui suoi valori, egli potrà valutare con maggiore obiettività e senso critico la propria situazione e le opportunità che in essa può cogliere. - Modello interdisciplinare, che integra al proprio interno i diversi contributi dei modelli fin qui descritti. L’orientamento è un processo continuo e considera la persona nella sua totalità, tenendo conto sia degli elementi personali che sociali. Scopo del processo è sviluppare la capacità di autorientarsi. Protagonista è il soggetto, attivo nel fare le proprie scelte. 1.1.4 Le attività di orientamento in Italia oggi Nell’ultimo decennio l’interesse per l’orientamento è andato notevolmente aumentando, parallelamente all’aumentare della complessità della società e ad un evolversi del sistema economico e lavorativo nella direzione di una sempre maggiore flessibilità e instabilità. I destinatari degli interventi non sono più solo i giovani, ma ha assunto sempre maggiore rilevanza l’orientamento dei lavoratori adulti. L’orientamento dei lavoratori adulti ha acquistato infatti, negli ultimi anni, una valenza particolare connotandosi sia come uno strumento per la realizzazione della piena occupazione e della lotta all’esclusione sociale, sia come “volano” per garantire pari opportunità nelle fasi di transizione di carriera. In questa direzione si spiega la ricca e articolata offerta di interventi orientativi per gli adulti messi in campo da enti di formazione, università e centri e servizi per il lavoro. Gli adulti esprimono bisogni di orientamento che si fanno più complessi al variare delle condizioni occupazionali (si pensi anche al target specifico delle donne che decidono di intraprendere un’attività lavorativa dopo aver assolto per anni attività di cura), e pertanto nel corso dell’esperienza lavorativa assumono una duplice connotazione a seconda che alla base della “richiesta d’aiuto” ci sia una motivazione intrinseca dell’adulto occupato che desidera uno sviluppo di carriera o un cambiamento professionale, oppure una condizione oggettiva di crisi a seguito della perdita del lavoro o di altri fattori esterni. Pag. 19 di 195 A usufruire dei servizi di orientamento sono prevalentemente i soggetti disoccupati, quelli in cerca di prima occupazione, quelli in mobilità o cassa integrazione e i soggetti attualmente in cerca di lavoro a prescindere dalla qualifica e dalla posizione lavorativa, ma anche le donne e i soggetti con un livello di istruzione elevata. (Isfol, 2011, pagg. 521-522) Con l’aumento della domanda si è avuto un conseguente aumento dell’offerta di orientamento, che ha portato ad un moltiplicarsi di proposte e attività pratiche, a cui non è corrisposta una adeguata riflessione teorico-culturale. L’offerta di orientamento in Italia negli ultimi anni è cresciuta vertiginosamente e senza regolamentazioni facendo aumentare il numero e le tipologie di strutture presenti nei diversi territori regionali ma senza una corrispondente conoscenza delle caratteristiche e dei profili organizzativi di tali strutture. Inoltre la molteplicità dei soggetti organizzativi, soprattutto di natura privata, che continuamente si aggiunge alla lista, rende molto difficile se non addirittura impossibile l’identificazione di un universo stabile e reale. (Isfol, 2011, pag 34). La necessità di affrontare tempestivamente le emergenze ha prevalso su quella di prevenire e di educare alla scelta. Attualmente le attività di orientamento si realizzano principalmente all’interno di cinque macrocontesti: - Istruzione Oltre alla funzione di orientamento connessa alla finalità istituzionale formativa realizzata dai docenti tramite la cosiddetta didattica orientativa, nella maggior parte delle scuole è presente uno sportello o un servizio di accoglienza per gli studenti, mentre meno diffusa è la programmazione legata a specifici progetti (percorsi/laboratori di educazione alla scelta). Sono previste attività per il gruppo classe, ma spesso anche per singoli studenti, generalmente su esplicita richiesta del soggetto. Altre attività sono: la valutazione iniziale delle conoscenze (test d’ingresso), colloqui di orientamento individuali o di gruppo, informazione(consultazione e autoconsultazione, sportello, bacheche, saloni dell’orientamento, job meeting, ecc.), giornate aperte, tirocini formativi di orientamento e stage aziendali, attivazione/raccordo con la rete locale. - Università e Alta Formazione Le attività ed i servizi offerti in questo ambito sono tipicamente: la realizzazione di materiale informativo di natura cartacea oppure veicolato via web; l’organizzazione di momenti di incontro con i giovani per presentare l’offerta formativa; i servizi Pag. 20 di 195 diretti rivolti all’utenza; la partecipazione della struttura a manifestazioni e convegni connessi all’orientamento. Tra i servizi diretti per l’utenza troviamo lo sportello informativo e di orientamento, le attività di preparazione ai test d’ingresso, le attività di accoglienza e accompagnamento, l’accoglienza/analisi della domanda, i percorsi/laboratori di orientamento al mercato del lavoro, i colloqui individuali di orientamento, i colloqui di orientamento di gruppo, i tirocini formativi di orientamento, gli stage aziendali, le attività di formazione e sviluppo competenze autorientative, i colloqui con psicologo, i percorsi di inserimento lavorativo. - Centri di Formazione Professionale Le attività di orientamento offerte dagli enti di formazione sono: l’accoglienza, gli stage aziendali, il counseling, l’informazione e il bilancio di competenze. - Centri per l’impiego (Centri di Orientamento e Servizi per il Lavoro) Le azioni orientative svolte in queste strutture sono molteplici. Le principali sono l’accoglienza/analisi della domanda, l’erogazione di informazione, il counseling e i tirocini formativi e di orientamento, ma vengono proposti anche percorsi/laboratori di orientamento alla scelta, laboratori sulle tecniche di ricerca attiva del lavoro, bilancio di competenze, accompagnamento all’inserimento e reinserimento lavorativo, attività di integrazione per soggetti disabili o con disagio sociale, stage aziendali. Altre azioni/attività orientative che risultano essere svolte in misura meno rilevante sono: percorsi/laboratori per il recupero della dispersione scolastica, azioni di outplacement/ricollocamento, percorsi/laboratori per il recupero delle competenze, oltre ad una serie di attività minori quali: aiuto alla compilazione dei CV, assistenza ad eventi culturali, convenzioni con agenzie lavoro, corsi per stranieri, consulenze, laboratori nelle scuole, attività di mediazione culturale, orientamento scolastico, preselezione per aziende, sportelli per disabili, tutoraggio, supporti ai progetti formativi. Infine più della metà delle strutture svolge attività di “attivazione/raccordo con la rete locale a cura del servizio/struttura di orientamento”. - Aziende. I progetti orientativi realizzati all’interno delle aziende hanno nella maggior parte dei casi come destinatari soggetti esterni, ma a volte sono rivolti anche ad utenti interni. L’attività orientativa prevalente realizzata nelle imprese è quella degli stage aziendali e dei tirocini formativi e di orientamento. Altre attività sono l’accoglienza, Pag. 21 di 195 l’analisi della domanda, il counseling, l’informazione, il bilancio di competenze, gli interventi di coaching/mentoring, l’analisi attitudinali, gli strumenti on-line e web game, la formazione. In alcune imprese vengono svolti interventi di outplacement/ricollocamento, conseguenza evidente della crisi economica attuale. 1.1.5 L’esperto di orientamento: verso una nuova professione La sempre maggiore attenzione rivolta all’orientamento, il moltiplicarsi delle proposte in questo ambito, sia nel mondo scolastico che professionale, ha portato ad interrogarsi sulla figura dell’orientatore. Fino ad oggi, in assenza di un quadro normativo dedicato, diversi operatori hanno costruito sul campo il proprio know-out operativo, attraverso l’esperienza diretta, lo scambio di informazioni e le occasioni formative disponibili. Tra essi si trovano psicologi, educatori, insegnanti. In Italia, attualmente, non esistendo una prefigurazione condivisa sui ruoli professionali degli operatori di riferimento, accade che le figure preposte a tali attività siano professionalità differenti, a volte provenienti da settori completamente diversi, con competenze diverse, che devono adattarsi a ruoli e organizzazioni poco chiari e poco consolidati. Per questo spesso, nella realizzazione di attività che corrispondono a medesimi bisogni degli utenti, non esistono orientamenti condivisi, o, viceversa, con la stessa denominazione sono indicate attività diverse che richiedono anche diversi ruoli professionali. Sulla base di tali considerazioni emerge con forza l’urgenza di un modello di competenze e professionalità condivise su scala nazionale.15 Oggi si sente, dunque, l’esigenza di definire con chiarezza le specificità e i modelli di competenza che devono caratterizzare coloro che svolgono una funzione professionale in questo ambito, delineando di conseguenza standard formativi condivisi a livello nazionale. Nonostante a livello sociale non ci sia ancora una rappresentazione chiara e netta dell’orientamento, possiamo affermare che anche in questo settore è iniziato il processo di professionalizzazione16, ossia di individuazione professionale e differenziazione sociale del lavoro svolto dall’orientatore. Data la grande varietà di tipologie di azione orientativa e la molteplicità di ambiti in cui essa si dispiega, definire un’unica figura di orientatore potrebbe portare a delineare un profilo troppo generico e quindi non adeguato. Per questo motivo, l’Isfol17 nel proporre una 15 http://www.orientamento.it/orientamento/1c.htm ; per un approfondimento della situazione attuale cfr. Isfol, 2011, capitolo 8: “I professionisti dell’orientamento: dai dati del Rapporto alla valorizzazione delle competenze”. 16 Per una interessante riflessione sul processo di professionalizzazione in generale e sulla professionalizzazione nell’orientamento, cfr. Sarchielli Guido, 2000, Orientatore: una professione emergente. Rappresentazioni, esigenze del compito e sistemi di competenze in Soresi S.(a cura di), 2000; inoltre cfr. Isfol, 2011, pag. 287 e segg. 17 Cfr. Isfol, 2003 Pag. 22 di 195 sistematizzazione delle professionalità, ha identificato quattro funzioni principali dell’orientamento, che corrispondono a quattro profili lavorativi, come descritto nella seguente tabella: Funzione Profilo professionale Compiti specifici Informazione Operatore dell’informazione orientativa Accoglienza, erogazione di informazioni, attività per favorire l’apprendimento di abilità sociali. Accompagnamento Tecnico dell’orientamento Tutorato e monitoraggio orientativo nei percorsi di scolarizzazione, formazione, ricerca lavoro. Consulenza Consulente di orientamento Supporto ai processi decisionali Coordinamento dei diversi servizi Analista di politiche e servizi di orientamento Assistenza tecnica alle istituzioni e ai sistemi nella fase di definizione delle politiche di orientamento. Queste quattro professionalità sono accomunate dalla necessità di maturare competenze e conoscenze nelle seguenti aree: - area della comunicazione (capacità di ascolto, decodifica, attenzione, riconoscimento della specificità dei target, ecc,) - area della organizzazione (capacità di lavorare in team, cultura di rete, mediazione e negoziazione inter e intra-organizzativa, ecc.) - area della legislazione (conoscenze della normativa relativa ai sistemi scolastici, di formazione professionale, elementi di diritto del lavoro e di contrattualistica, ecc.) - area dell’informatica e delle nuove tecnologie (competenze di base nei settori) Gli insegnanti che intendono occuparsi di orientamento devono anch’essi sviluppare le competenze fondamentali in questo campo. Successivamente l’Isfol18 ha costituito un gruppo di lavoro che ha elaborato una proposta di percorsi formativi per operatori dell’orientamento, percorsi che hanno l’obiettivo di consentire “sia una acquisizione di skill e competenze valide ed efficaci, nonché condivise, a coloro che entrano per la prima volta nel sistema, sia un adeguato processo di qualificazione-perfezionamento a chi già vi opera.”19 18 19 Cfr. Isfol, 2006 Isfol, 2006, pag. 7 Pag. 23 di 195 1.2 Orientamento: breve excursus storico Il concetto di orientamento è cambiato nel tempo, parallelamente al mutare della società, dell’economia e del modo di considerare la persona. Nelle diverse fasi storiche l’importanza attribuita a determinati concetti o variabili connessi con l’orientamento è stata strettamente legata all’evoluzione delle scienze psicologiche e al contesto scolastico-professionale. La prima formulazione teorica e proposta operativa dell’orientamento risale al 1909, anno della pubblicazione negli Stati Uniti del libro di Frank Parsons dal titolo Choosing a vocation, in cui venivano affrontati problemi legati alla scelta professionale, alla preparazione e al collocamento nel mondo del lavoro. Prima dell’avvento dell’era industriale il mestiere veniva tramandato di generazione in generazione: erano i genitori e gli anziani che affiancavano i giovani e trasmettevano loro regole, informazioni e competenze necessarie ad affrontare la vita, anche quella lavorativa. In genere il luogo e la condizione di nascita determinavano i percorsi di vita e le possibilità di scelta erano assai limitate. Fino al XIX secolo, pertanto, si può parlare di orientamento semplicemente come pratica empirica ed intuitiva svolta a livello familiare. (Pombeni, 1990, pag. 12) Con l’avvento dell’era industriale e della nuova organizzazione del lavoro, aumenta la diversificazione delle professionalità e conseguentemente la possibilità di scegliere. La preparazione culturale e professionale dei lavoratori assume una sempre maggiore importanza e al mondo dell’istruzione viene richiesto di provvedervi. Nasce così il problema dell’orientamento professionale che assume subito una connotazione collettiva: si tratta di indirizzare i giovani a scegliere un lavoro che non solo sia adeguato alle loro aspirazioni e attitudini, ma sia soprattutto funzionale alla produttività del sistema economico. In sostanza, lo scopo dell’orientamento professionale è, in questa prima fase, non quello di rispondere ai bisogni di realizzazione professionale degli individui, ma di contribuire ad aumentare l’efficienza e la redditività del ciclo produttivo. Partendo dalle teorie e pratiche della psicofisiologia 20, si cerca di determinare la coincidenza tra le attitudini dell’individuo e i requisiti professionali richiesti per una 20 La psicofisiologia è la scienza che indaga la correlazione e le interazioni somatopsichiche. E’ lo studio obiettivo dei rapporti tra il corpo e la psiche. Pag. 24 di 195 determinata attività. Questa fase viene definita “diagnostico-attitudinale”. L’idea di base è che ogni persona abbia capacità e disposizioni congenite, non modificabili, rilevabili e misurabili grazie all’uso di prove attitudinali. Inizialmente si costruiscono test per osservare singole attitudini, successivamente vengono introdotti i metodi dell’analisi fattoriale. In questa ottica, l’orientamento viene a coincidere con la selezione e consiste nell’individuazione delle attitudini specifiche che ogni singola attività lavorativa richiede; questa congruità permette poi di raggiungere il successo professionale. (D’Alessio, Laghi, Pallini, 2005, pag. 33) Lo scopo è di trovare “L’uomo giusto al posto giusto”. Il primo modello d’orientamento fu elaborato su questi presupposti dal già citato Frank Parsons all’inizio del XX sec. Il merito di questo primo approccio all’orientamento è di aver richiamato l’attenzione sulla conoscenza dell’individuo, a cui tuttavia non viene riconosciuta la responsabilità della scelta: è l’esperto che, basandosi sui risultati dei test, ne valuta le capacità e indica la “giusta” professione. Negli anni trenta si fa gradualmente strada il concetto di interesse: la pratica dimostra infatti che a parità di attitudini, persone con un maggiore interesse per l’attività lavorativa in cui sono impegnate ottengono risultati decisamente migliori. Spesso l’interesse può anche compensare una carenza di attitudini. La riuscita scolastica o professionale è dunque legata ad aspetti della personalità non dipendenti esclusivamente dalle capacità. Si entra così nella fase dell’orientamento definita “caratteriologica-affettiva”, che si protrarrà fino agli anni cinquanta. L’obiettivo resta sempre quello di un incremento della produttività a parità di costi; nello stesso tempo si teneva in maggior conto il grado di soddisfazione individuale che poteva essere raggiunto nello svolgimento di una mansione ritenuta più congeniale alle proprie attitudini. (D’Alessio, Laghi, Pallini, 2005, pag. 35) Gli esperimenti condotti da un gruppo di studiosi guidati da Elton Mayo (1880-1949) tra il 1927 ed il 1932 presso gli stabilimenti della Western Eletric Company di Hawthorne21, mettono in evidenza il ruolo delle motivazioni, della collaborazione e della soddisfazione sull’incremento della produzione. Inizialmente l’obiettivo di Mayo e dei suoi 21 Per un approfondimento cfr. Elton Mayo, 1933, The Human Problems of an Industrial Civilization, New York, Viking Press Pag. 25 di 195 colleghi è di studiare la correlazione tra condizioni ambientali (luce, temperatura) e produttività, scopo ben in linea con l’idea meccanicistica e razionalistica del lavoro in voga in questi anni. Dall’osservazione di gruppi di lavoratrici e lavoratori all’opera in un reale contesto produttivo, emerge inaspettatamente come la produttività non sia legata a variabili strutturali, ma al contrario sia influenzata da elementi psicologici, in particolare dal senso di appartenenza al gruppo, da quanto gli operai sentano la situazione di lavoro gratificante e motivante di per sé. In conseguenza di queste considerazioni e scoperte, viene elaborata la teoria caratterologica, secondo la quale l’agire dei singoli individui è influenzato dal rispettivo carattere ed è l’atteggiamento individuale che attiva e potenzia le capacità. L’orientamento non si occupa più di studiare le attitudini come aspetto isolabile e a sé stante, ma rivolge il proprio interesse ad aspetti più complessi ed articolati della personalità, sforzandosi di andare oltre la semplice indagine esterna di capacità osservabili per cogliere aspetti più interiori, quali affetti, pensieri, volontà. Il lavoro non è più visto come un aspetto isolato della vita della persona, ma esiste un rapporto profondo tra la personalità dell’individuo e la sua riuscita professionale. Gli strumenti usati rimangono ancora i test. Oggetto di indagine sono soprattutto gli adolescenti: si ritiene infatti che l’adolescenza sia il periodo evolutivo in cui si formano gli interessi e si strutturano le inclinazioni personali. Il contesto in cui i soggetti vivono e si formano, così come l’influenza dei fattori sociali, non vengono ancora presi in considerazione. Nel secondo dopoguerra, il panorama delle scienze psicologiche è dominato dalla psicoanalisi, che mette in evidenza come, accanto a elementi coscienti, esistano elementi inconsci che guidano e motivano l’agire umano. Questi elementi inconsci, a carattere emozionale, affondano le proprie radici nella storia del soggetto, nelle sue esperienze e nel suo vissuto. Il modo in cui si svolge lo sviluppo del bambino, che si ritiene avvenga seguendo fasi prevedibili e descrivibili, è quindi considerato determinante per il formarsi della personalità e per la salute mentale dell’adulto. Un’analisi psicologica che indaghi esclusivamente la personalità del soggetto nel momento attuale si rivela insufficiente e inadeguata: lo studio del passato è essenziale per comprendere il presente, le tendenze e le motivazioni profonde delle persone. Pag. 26 di 195 In questi anni si diffondono le idee di Jean Piaget 22, che aveva sviluppato la teoria degli stadi dello sviluppo cognitivo e indicato l’intelligenza come la più alta forma di adattamento biologico all’ambiente. Il susseguirsi dei diversi stadi, secondo Piaget, trova la sua base in una matrice genetico-biologica, ma l’intelligenza è il risultato dell’interazione tra l’organismo e l’ambiente. Nello stesso tempo anche i lavori di Lev S. Vygotskij 23 sono sempre più studiati ed apprezzati. Egli aveva sottolineato la dimensione sociale della coscienza umana e affermato il primato del sociale sull’ideale, descrivendo le funzioni psichiche dell’uomo come strettamente dipendenti dalla rete di fattori sociali e culturali entro cui cresce e si sviluppa il bambino. In conseguenza al diffondersi di studi di ispirazione psicodinamica, l’orientamento volge la sua attenzione non più solo alle qualità e alle caratteristiche che rendono gli individui più o meno idonei alle diverse professioni, ma anche al vissuto, agli interessi, alle tendenze dei soggetti. Gradualmente si modifica anche la concezione del lavoro, a cui si chiede non solo più di soddisfare le esigenze produttive e aziendali, ma anche di rispondere ai bisogni e alle motivazioni esistenziali dei soggetti. In questi anni, un importante contributo viene dal lavoro dell’italiano Agostino Gemelli24, promotore dell’orientamento nel nostro paese. Egli distingue gli interessi dalle inclinazioni e ritiene che siano queste ultime a rivelare i bisogni veri e profondi della personalità umana. Mentre gli interessi, che indicano una generica preferenza per una professione, trovano origine in fattori esterni alla personalità del soggetto e sono variabili nel tempo, le inclinazioni si fondano su meccanismi inconsci e sono più stabili, essendo espressione della maturità della persona. Si inaugura dunque una nuova fase dell’orientamento, che viene definita “clinicodinamica” e che concentra l’attenzione sugli elementi profondi della personalità, 22 La teoria elaborata da Piaget (1896-1980) descrive lo sviluppo del bambino come diviso in quattro fasi o “stadi”: lo stadio dell’intelligenza senso-motoria (dalla nascita a 18 mesi circa), lo stadio del pensiero intuitivo (18 mesi-5 anni), lo stadio del pensiero reversibile e operatorio (6-11 anni) e lo stadio del pensiero formale o ipotetico deduttivo (da 12 anni). Il passaggio da uno stadio al successivo è sollecitato dalla maturazione biologica del soggetto, dal contatto con la realtà esterna, dalla pressione culturale e dalla tendenza della mente a cercare condizioni di equilibrio. L’intelligenza si sviluppa nell’interazione organismoambiente, attraverso l’equilibrio dinamico tra l’attività di assimilazione dei dati esperienziali in schemi mentali e l’attività di accomodamento degli schemi mentali stessi, ossia dei nuovi schemi con quelli preesistenti. Per una introduzione all’opera di Piaget, cfr. Piaget Jean, 2000, Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia, Torino, Einaudi. 23 Per un approfondimento delle teorie di Vygotskij (1896-1934), cfr. Vygotskij Lev Semenovič, 2009, Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, Firenze, Giunti; Vygotskij Lev Semenovič, 2010, Lo sviluppo psichico del bambino, Roma, Editori riuniti university press 24 Cfr. Gemelli Agostino, 1943, La psicologia a servizio dell’orientamento professionale nelle scuole, Bologna, Zanichelli Pag. 27 di 195 indagando inclinazioni e motivazioni inconsce. L’obiettivo diviene quello di individuare il percorso professionale che più soddisfa i bisogni profondi dell’individuo. Le tecniche prevalentemente utilizzate sono il colloquio clinico ed i reattivi proiettivi. Si ritiene che attraverso queste pratiche sia possibile fare emergere le diverse componenti psicologiche della personalità del soggetto e arrivare così alla conoscenza della sua personalità globale. In questo modo è ancora l’esperto che indica le scelte migliori che il soggetto può compiere in campo scolastico e professionale. Fino a questo momento, la psicologia, come scienza e come insieme di strumentazioni, ha svolto il ruolo di unica e indiscussa protagonista nell’ambito dell’orientamento, i cui esperti ed attori sono stati appunto gli psicologi. Critiche a questo tipo di approccio vengono in questi anni sollevate sia dalla sociologia che dalla pedagogia. I sociologi sottolineano la necessità di tenere conto dell’ambiente come importante fattore condizionante, che concorre alla formazione degli interessi ed in cui si concretizzano le reali possibilità di scelta. Evidenziano inoltre come l’orientamento abbia necessariamente una dimensione pubblica e politica. In particolare Naville (1945) critica la pratica orientativa a lui contemporanea perché isolata dal contesto sociale, in quanto non considera la diversa provenienza degli individui, né le strutture in cui essi si devono inserire. In pratica essa dipende esclusivamente dagli interessi della classe dirigente25. L’ambiente, la divisione del lavoro, fattori economici e sociali influenzano gli individui e le loro scelte. Non ci può essere contrapposizione fra persona e mondo del lavoro, né in una logica di adattamento dell’uomo al lavoro né in una logica di adattamento del lavoro all’uomo, ma è necessario, secondo Naville, comprendere l’unitarietà del processo di orientamento-formazione professionale, un processo in cui ambiente e individuo sono due realtà a sé stanti e su cui l’ambiente gioca ancora un ruolo fondamentale. (Pombeni, 1990, pag. 19) L’orientamento deve quindi rivolgersi alla collettività e non può ridursi a semplici consigli per singoli individui. Sul piano operativo Neville ritiene necessario costituire un servizio pubblico, gestito dallo stato, con personale appositamente preparato non solo in ambito psicologico. Anche in ambito pedagogico si fa strada una sempre maggiore attenzione all’importanza dei fattori ambientali, sociali e familiari, che influenzano l’intero sviluppo 25 Pierre Naville (1904-1993) fu uno scrittore e sociologo francese. Per approfondire il suo contributo al dibattito sul problema dell’orientamento professionale cfr. Naville Pierre, 1945, Theorie de l’orientation professionnelle, Paris, Gallimard Pag. 28 di 195 del soggetto, contribuendo al formarsi delle sue aspirazioni e della sua capacità di avere una visione realistica di sé stesso e del mondo. Nel 1957, Leon 26 afferma che l’orientamento deve divenire azione educativa, che coinvolga il soggetto nell’elaborazione dei suoi progetti scolastici e professionali. Scopo finale è l’adattamento attivo alla realtà. L’orientamento si realizza attraverso un’azione informativa, che si concretizza nel trasmettere all’individuo le informazioni utili sulla realtà sociale, economica e professionale, ed in un’azione educativa, volta a indirizzare la scelta professionale secondo interessi e scopi della collettività. L’individuo, da parte sua, è chiamato a collaborare in modo attivo a questo processo. Un importante contributo alla comprensione del processo di orientamento è stato dato dalla teoria dello sviluppo vocazionale, che trova la sua origine nelle teorie sviluppate da Donald Edwin Super alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso. Egli parte dal presupposto che la persona sia dotata di capacità di scelta e di autorealizzazione, capacità che essa sviluppa lungo un percorso evolutivo contrassegnato da diverse fasi, legate a determinati compiti da assolvere. Obiettivo di tale processo di sviluppo è la capacità di assumere decisioni in piena autonomia. Il soggetto, aiutato adeguatamente, può quindi decidere del proprio futuro. Lo scopo dell’orientatore è quello di promuovere la consapevolezza del soggetto e di facilitarne i processi di scelta nei momenti di transizione. Il centro dell’azione orientativa non è più l’esperto, ma il soggetto stesso, che non viene passivamente indirizzato in una direzione scelta per lui dall’esterno, ma viene sollecitato e aiutato a sviluppare competenze per autorientarsi27. Negli anni settanta avvengono importanti cambiamenti a livello sociale, dovuti al risveglio di una certa coscienza politica, a sua volta legata in primo luogo ai movimenti studenteschi. Nel 1968 la grande protesta studentesca dilaga in America ed in Europa, arrivando anche in Italia, dove però dura più a lungo e coinvolge anche gran parte del movimento operaio. Si diffondono, soprattutto tra i giovani, gli ideali della solidarietà, del 26 Cfr. Leon Antoine, 1957, Psycopédagogie de l’orentation professionnelle, Paris, Puf Dal modello elaborato da Super (1910-1994) deriva il metodo dell’Attivazione dello Sviluppo Vocazionale (ADVP), ideato inizialmente in Canada dall’Università di Laval, poi diffusosi anche in Italia negli anni Ottanta. Tale metodo ha lo scopo di aiutare la persona a raggiungere la maturità della decisione professionale sulla base dell’evoluzione dell’immagine di sé durante le varie tappe vocazionali dello sviluppo. La realizzazione dell’apprendimento e della comprensione è considerata fondamentale, di conseguenza è richiesto il coinvolgimento dei docenti, che devono realizzare una dettagliata programmazione collegiale. Per un approfondimento della teoria di Super, cfr. Super Donald Edwin, 1957, The psychologyof careers, New York, Harper 27 Pag. 29 di 195 pacifismo, dei diritti civili, dell’antiautoritarismo, della libertà di parola e di espressione. La scuola viene criticata come autoritaria e selettiva, si diffonde la cultura dell’uguaglianza, della socializzazione e dell’integrazione. Viene attuata la riforma del diritto di famiglia, approvata la legge sulla tutela della salute, vengono chiusi gli ospedali psichiatrici ed istituiti i consultori familiari. A partire dagli anni settanta inizia il declino delle grandi industrie tradizionali, a favore della nascita di molte aziende più piccole o di grandi stabilimenti fortemente automatizzati: si avvia il processo di deindustrializzazione e prendono sempre più piede nuove tecnologie, che modificano il modello di organizzazione del lavoro stesso. Questi grandi cambiamenti a livello economico e sociale si accompagnano ad un importante cambiamento anche nelle teorie e nelle pratiche orientative: l’individuo ed il problema della formazione della sua personalità complessiva ne divengono interesse principale. Segnale importante di questo cambiamento in atto è la definizione di orientamento data dall’UNESCO a sintesi del seminario tenutosi a Bratislava nel novembre 1970: “Orientare significa porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé e di progredire per l’adeguamento dei suoi studi e della sua professione alle mutevoli esigenze della vita, con il duplice scopo di contribuire al progresso della società e di raggiungere il pieno sviluppo della sua persona.” 28 Questa enunciazione resta ancora oggi un punto di riferimento importante. L’azione orientativa assume il significato di “educazione alla scelta” e come tale non si esaurisce in un “giudizio” o “consiglio” formulato dall’esperto in un momento di passaggio, ma accompagna la crescita ed il formarsi dell’individuo. L’orientamento viene visto come un processo evolutivo, continuo e graduale. Il soggetto viene aiutato ad acquisire consapevolezza di sé e della realtà circostante, ad usare il pensiero critico e creativo, a sviluppare senso pratico e organizzativo. Conoscendo le proprie attitudini, capacità e limiti, egli può “orientarsi” nel mondo in cui vive. L’individuo deve non solo imparare a operare scelte autonome e responsabili, affrontando il rischio di poter sbagliare, ma deve anche saper vedere e cogliere le alternative e opportunità che gli si presentano. Non si tratta dunque di adattarsi passivamente ad una situazione esterna immodificabile, ma di adattarsi e se necessario riadattarsi ad una realtà di cui si è parte attiva. 28 http://www.comune.torino.it/servizieducativi/or/or_or.htm Pag. 30 di 195 Perde significato la distinzione tra orientamento scolastico ed orientamento professionale. I destinatari degli interventi non sono più solo gli adolescenti, ma tutti i gruppi sociali. Giugni29 parla di “orientamento esistenziale”: al centro del processo educativo c’è la persona, con le sue caratteristiche e le modalità di progettare e pianificare la propria vita. L’esperto non è più solo lo psicologo, ma anche l’educatore e l’insegnante sono chiamati a partecipare attivamente al processo, lungo tutto l’arco del percorso scolastico, già a partire dalle prime classi. Giugni (1994) distingue tra autorappresentazione, ossia ciò che l’individuo pensa, immagina, sente di essere, e autoprogettazione, ossia ciò che l’individuo decide e si impegna a realizzare nella società e nel mondo del lavoro. L’autorappresentazione è fondamento della autoprogettazione. Pierre Benedetto (1987) paragona l’individuo ad un attore, che deve recitare un testo già scritto, ma può interpretarlo come meglio ritiene: nello stesso modo nel proprio processo orientativo ogni persona deve gestire due componenti, una soggettiva ed una oggettiva. Assumendo una dimensione soprattutto educativa, l’orientamento allarga la propria sfera di intervento ed acquista una maggiore valenza sociale, che si esplica in due direzioni: la prevenzione ed il recupero. In particolare la prevenzione non si limita al solo disagio scolastico, ma diviene prevenzione sociale e non si rivolge più solo agli adolescenti (che restano tuttavia i destinatari privilegiati degli interventi), ma anche ai soggetti disabili, alle donne, ai disoccupati, alle persone svantaggiate in generale. L’obiettivo prioritario dell’orientamento resta comunque, almeno a livello teorico, quello di essere un processo di supporto alla costruzione di un’identità sociale e professionale. La prevenzione operata tramite l’azione orientativa trova un proprio senso e utilità se inserita in una politica sociale di prevenzione più ampia, all’interno della quale essa si occupa dei disagi legati ai processi di transizione. L’individuo è chiamato a partecipare attivamente allo sviluppo della società e gli interventi orientativi devono guardare al contesto sociale non solo nei termini di possibilità lavorative o di realizzazione personale, ma devono anche tenere conto delle dinamiche e delle problematiche che lo caratterizzano. 29 Cfr. Giugni Guido, 1994, La dimensione pedagogica dell’orientamento in “Orientamento scolastico e professionale”, 1-2, pagg. 15-28; Giugni Guido, 1997, Formazione e ruolo degli insegnanti nelle attività di orientamento in “Orientamento scolastico e professionale”, 3, pagg. 193-199 Pag. 31 di 195 Tuttavia, nel corso degli anni ottanta del secolo scorso si assiste ad una esaltazione del momento informativo. L’enfasi sulla necessità di aumentare in ogni soggetto la consapevolezza di sé e della realtà circostante, di accrescere la comprensione della complessità sociale e del mondo del lavoro, porta a ritenere necessario, ed in una certa misura sufficiente, ridistribuire le informazioni disponibili, soprattutto tra le categorie più svantaggiate. Le attività e i servizi di informazione si moltiplicano, mentre vengono trascurati altri tipi di intervento, come per esempio il supporto alla programmazione orientativa nella scuola. Il momento informativo, che è fondamentale ma deve essere integrato in un processo orientativo più completo, diviene in alcuni casi l’unico intervento realmente attuato. Questo è dovuto principalmente a due fattori: informare è un’attività relativamente semplice da realizzare praticamente, che rende visibile e facilmente dimostrabile l’impegno nell’ambito dell’orientamento, inoltre il dibattito teorico, sviluppatosi in questi anni, non ha saputo fornire indicazioni su come tradurre in pratica le idee e i concetti elaborati. In realtà la pura e semplice attività informativa finisce per essere discriminante proprio nei confronti delle persone più svantaggiate, che non hanno le capacità e i mezzi per far proprie e utilizzare al meglio le notizie ricevute. Nel frattempo, sempre nel corso degli anni ottanta, la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie porta ad una vera e propria rivoluzione tecnologica, che contribuisce ad una notevole ripresa dell’economia mondiale e alla nascita del fenomeno della globalizzazione, sia in ambito economico, sia nell’informazione e nella comunicazione (soprattutto grazie alla nascita e diffusione di internet), sia in ambito culturale. La quantità di informazioni disponibili aumenta in modo esponenziale: attraverso la televisione ed i giornali, ma soprattutto utilizzando la rete internet tutti possono facilmente e rapidamente accedere ad una mole di informazioni mai avute prima. Il problema diventa saper discriminare ciò che è utile da ciò che non lo è, trovare quello che serve senza perdersi, riconoscere i dati attendibili e saperli interpretare in modo corretto. Condizione affinché la tecnologia sia strumento di supporto per chi deve orientarsi diventa quindi anche il possesso di competenze specifiche: per individuare le fonti, per raccogliere, analizzare e interpretare le informazioni, e ovviamente per usare lo strumento informatico (alfabetizzazione digitale). Le tecnologie dell’informazione possono essere utilizzate in orientamento per migliorare la qualità dei servizi, perché esse consentono di ampliare le fonti di informazione e gli strumenti a disposizione; ma anche a vantaggio degli operatori per stabilire contatti con altre strutture, con colleghi e professionisti che operano nell’orientamento allo scopo di identificare le risorse, scambiare esperienze e strumenti, fruire di consulenze e formarsi migliorando la propria professionalità. ( Bellamìo, Cicciarelli, Scandella, Vimercati, 2002, pag. 16) Pag. 32 di 195 Il mondo del lavoro cambia rapidamente. Individuare un mestiere che duri tutta la vita diventa quasi impossibile. La scuola cerca di tenere il passo dei cambiamenti, ampliando la propria offerta formativa, introducendo percorsi professionalizzanti 30, ma la distanza tra le richieste del mondo del lavoro e l’offerta formativa della scuola si fa sempre più ampia. Inoltre l’idea di una formazione scolastica iniziale che basti per tutta la vita lavorativa viene superata dalla necessità di una formazione continua o almeno a cicli. Imparare ad imparare diviene una necessità di base. Si aprono così nuovi spazi all’azione orientativa, che accompagna tutta la vita scolastica e lavorativa del soggetto. Nei momenti di maggiore difficoltà o incertezza diventa importante poter contare sull’aiuto di un esperto. E’ fondamentale saper vedere, scegliere e cogliere le opportunità, valorizzare le proprie capacità e svilupparne di nuove, essere in grado di affrontare gli imprevisti. Sempre più si parla di competenze trasversali: progettuali, relazionali, di adattamento. Dimensioni quali il coping, i vissuti emotivi, l’immagine di sé entrano a far parte degli interessi dei professionisti dell’orientamento. L’utenza si fa più ampia e diversificata: non più solo giovani o soggetti svantaggiati, ma anche adulti che cercano una nuova occupazione o che vogliono migliorare la propria situazione lavorativa o di vita. Si fa dunque urgente la necessità di monitorare la qualità e la quantità dell’utenza, per poter valutare e analizzare la domanda e proporre soluzioni e strumenti ad essa adeguati. La prospettiva dell’orientamento come processo che accompagna il soggetto lungo tutto il percorso di vita intreccia saldamente orientamento e formazione, nell’ottica dell’apprendimento permanente (lifelong) e della necessità di aiutare le persone a diventare autonome nelle decisione e nelle scelte. L’orientamento assume la funzione di empowerment del soggetto. I servizi offerti si differenziano, le modalità di intervento sono sempre più spesso personalizzate e vengono introdotte nuove pratiche, come il bilancio di competenze, il tutoraggio, il counseling, l’orientamento narrativo. Il concetto di orientamento, per quanto abbia poco più di un secolo di vita, è molto cambiato nel corso degli anni, facendo notevoli progressi. Ognuno dei diversi approcci qui descritti ha dato il proprio contributo sottolineando un diverso aspetto del problema. Il limite di ciascuno di essi è stato piuttosto quello di affrontare l’argomento privilegiando un 30 Riforma Moratti (Legge 28 marzo 2003, n. 53) Pag. 33 di 195 solo punto di vista. Attualmente il centro dell’azione orientativa è la persona nella sua globalità, inserita nel suo contesto di vita, personale, sociale e lavorativo. La tabella della Figura 1 riassume le caratteristiche dei diversi approcci all’orientamento nel XX secolo. Pag. 34 di 195 Figura 1 - L'orientamento nelle diverse fasi storiche31 Periodo 1910 1930 1945 Dal 1970 Fase storica Diagnosticoattitudinale Caratterologica-affettiva Clinicodinamica Educativa Costrutti analizzati Principale agente d’orientamento Abilità e attitudini Psico-fisiologo Interessi e valori Psicodiagnosta Motivazioni Psicologo clinico Autoregolazione Insegnante Strumenti di analisi Approccio Test psicometrici Inventari e questionari Test proiettivi, colloquio clinico Centrato sul sé adattivo (approccio eterodiagnostico) Focus tematico Finalità Ruoli e tipo di relazione Dimensione dell’orientamento Sé Conoscenza della predisposizione ad un ambito formativo/ lavorativo Utente: destinatario Operatore: protagonista (psicologo, tecnico psicometrista) Relazione: direttiva (prescrittivi) consulenza Materiali informativi a carattere generale o mirato Centrato sulla realtà esterna (approccio informativo) Realtà esterna Questionari, schede di autovalutazion e, test, griglie, giochi didattici, guide, materiale informativo, ecc. Centrato sul sé adattivo (approccio educativo relazionale) Negoziazione/connessione tra sé e la realtà esterna 31 Adeguamento al mercato Autorientamento Utente: destinatario Operatore: protagonista (docente, tutor, formatore, consigliere di orientamento, psicologo) Relazione: strumentale, adattiva Utente: protagonista (controllo del processo) Operatore: comprimario con funzione di facilitazione, aiuto, sostegno (docente, tutor, formatore, consigliere di orientamento, psicologo) Relazione: interattiva, dinamica informazione Approccio integrato (informazione, formazione, consulenza) La tabella presentata è frutto della rielaborazione di due tabelle tratte rispettivamente da D’Alessio, Laghi, Pallini, 2005, pag. 31 e Bellamìo, Cicciarelli, Scandella, Vimercati, 2002, pag. 47 Pag. 35 di 195 1.3 L'intervento orientativo nella scuola 1.3.1 Ancora un po’ di storia Le prime attività espressamente deputate all’orientamento all’interno della scuola risalgono agli anni settanta del secolo scorso. I soggetti istituzionali di riferimento per l’orientamento scolastico sono in questi anni i distretti scolastici, che, con poche risorse finanziarie a disposizione, devono basarsi sulla disponibilità e sulle capacità dei rappresentanti eletti. Si ha quindi una distribuzione poco omogenea delle varie iniziative sul territorio nazionale, col conseguente delinearsi di una situazione frammentata, con insufficiente interazione di soggetti e sistemi e scarsa ottimizzazione delle (poche) risorse disponibili. Le sperimentazioni32 in questo campo degli anni settanta e ottanta sono attuate principalmente all’interno dei bienni sperimentali delle scuole superiori. Fino agli anni novanta, a livello legislativo le linee guida per l’orientamento nella scuola si trovano all’interno dei programmi scolastici, in particolare per la scuola media 33 nel Dm del 9 Febbraio 1979 e per la scuola elementare il Dpr del 12 Febbraio 1985, n. 104. La scuola media deve concorrere allo sviluppo della personalità del soggetto, favorire “la progressiva maturazione della coscienza di sé e del proprio rapporto che intercorre fra le vicende storiche ed economiche, le strutture, le aggregazioni sociali e la vita e le decisioni del singolo”, consolidare la capacità decisionale. Essa si colloca all’interno di un processo unitario di sviluppo della formazione che inizia nella scuola primaria e pone le premesse per l'ulteriore educazione permanente e ricorrente. La scuola elementare deve svolgere un’attività didattica che ponga le basi per lo sviluppo della personalità del fanciullo e del suo essere cittadino attivo e consapevole. Nel 1991 sono presentati i programmi per i bienni e i trienni della scuola secondaria superiore messi a punto dalla Commissione Brocca, in cui l’orientamento è inteso come un lungo processo volto all’autorientamento. Vi si legge: “Le finalità generali dell’orientamento nella secondaria superiore sono sinteticamente riconducibili alle seguenti: la maturazione della identità personale e sociale e della capacità decisionale; la 32 Le sperimentazioni di questi anni trovano il loro fondamento legislativo nel Dpr del 31 maggio 1974, n. 419 (“Sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento culturale e professionale ed istituzione dei relativi istituti”), art. 3 33 Già nella Legge per l’ “Istituzione e ordinamento della scuola media statale” del 31 Dicembre 1962, n. 1859 si legge “La scuola media concorre a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione e favorisce l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività successiva”. Pag. 36 di 195 chiarificazione e la pianificazione del futuro professionale alla luce di un personale progetto di vita”. Nel biennio, strumento privilegiato della scuola per l’orientamento sono le discipline di insegnamento, a cui si affiancano le dinamiche emotivo relazionali, ossia le relazioni instaurate tra i soggetti che condividono l’esperienza educativa. Per il triennio viene sottolineata l’importanza della dimensione informativa dell’orientamento. Nel 1997 vengono pubblicati due importanti documenti: la Direttiva ministeriale sull’orientamento delle studentesse34 e degli studenti e il Documento congiunto del MPI e del MURST35 sull’orientamento. Essi affrontano il tema dell’orientamento in una visione sistemica e ampliano il campo d’azione della scuola. Pur ribadendo la valenza orientativa delle attività disciplinari, prevedono la realizzazione di interventi espressamente dedicati, soprattutto in prossimità dei momenti di transizione. Le sole risorse e competenze della scuola non bastano più, ma devono essere integrate con quelle di altri soggetti (pubblici e privati), detentori di specifiche competenze. Strumento dell’integrazione fra soggetti detentori di competenze diverse, per realizzare iniziative comuni e per reperire risorse, è senz’altro la rete di relazioni. L’orientamento svolge la sua funzione non solo nell’aiutare e supportare individui in difficoltà, ma deve essere proattivo, ossia operare per prevenire le situazioni di svantaggio. I successivi testi36 di riforma del sistema di istruzione e formazione introducono ulteriori contributi per l’orientamento scolastico e professionale: l’elevamento dell’obbligo di istruzione, l’obbligo formativo fino al compimento del diciottesimo anno di età, l’attuazione dell’autonomia funzionale delle istituzioni scolastiche. L’orientamento, attraverso lo sviluppo ed il potenziamento della capacità di scelta, ha il fine di combattere la dispersione scolastica, garantire il diritto all’istruzione e alla formazione, aiutare gli alunni ad effettuare le scelte più confacenti al proprio progetto di vita, agevolare l’eventuale passaggio tra diversi indirizzi della scuola secondaria superiore e verso percorsi formativi alternativi. Si profila dunque una nuova funzione dell’orientamento: quella di consentire percorsi di crescita e formazione nel rispetto dell’identità di ciascuno, mediante lo sviluppo di competenze coerenti sia con le 34 Direttiva MPI del 6 agosto 1997, n. 487 Con il Decreto Legislativo del 30 luglio 1999, n. 300 il Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (MURST) è trasferito con il Ministero della Pubblica Istruzione (MPI) nel MIUR Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca. 36 Legge 9/1999 “Disposizioni urgenti per l’elevamento dell’obbligo di istruzione”; DM del 9 agosto 1999, n. 323; legge 144/1999, art. 68; Dpr del 12 luglio 2000, n. 257; Circolare ministeriale del 7 aprile 2000, n. 109. 35 Pag. 37 di 195 attitudini e le scelte personali, sia con le esigenze di inserimento nel contesto sociale e nel mondo del lavoro: esigenze che possono estendersi alla revisione della propria professionalità ogniqualvolta se ne presenti la necessità o l’occasione. L’orientamento è insomma inteso come dispositivo che rende possibile una corretta connessione tra identità personale, percorsi formativi e occupabilità, con riferimento alle specifiche realtà territoriali. (Bellamìo, Cicciarelli, Scandella, Vimercati, 2002, pag. 40) I vari testi indicano numerose azioni di orientamento e riorientamento. Oltre alla scuola, le agenzie formative ed i servizi per l’impiego vengono chiamati a concorrere alle funzioni orientative. Viene affermato per ogni individuo il diritto di costruire il proprio percorso di crescita, di poter scegliere tra opzioni alternative ed equivalenti, di veder riconosciuti anche crediti formativi acquisiti in ambito lavorativo e nel tempo libero. Il 28 marzo 2003 viene approvata la legge n. 53 (riforma Moratti) per “la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale”, che all’articolo 2 afferma: è promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, anche con riguardo alle dimensioni locali, nazionale ed europea […] la scuola secondaria di primo grado, attraverso le discipline di studio, è finalizzata alla crescita delle capacità autonome di studio ed al rafforzamento delle attitudini alla interazione sociale; organizza ed accresce […] le conoscenze e le abilità, […]; sviluppa progressivamente le competenze e le capacità di scelta corrispondenti alle attitudini e vocazioni degli allievi; fornisce strumenti adeguati alla prosecuzione delle attività di istruzione e di formazione […]; aiuta ad orientarsi per la successiva scelta di istruzione e formazione Successivamente, anche in seguito alle indicazioni dell’Unione Europea37, nel sistema dell’istruzione italiano è stata affermata la centralità del concetto di competenza. In particolare viene introdotta la certificazione delle competenze alla fine della scuola secondaria di primo grado38. Nelle “Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo dell’istruzione” (2007), documento che delinea le finalità del processo formativo, le competenze da sviluppare e gli obiettivi di apprendimento, si legge: Educare istruendo significa essenzialmente tre cose: • consegnare il patrimonio culturale che ci viene dal passato perché non vada disperso e possa essere messo a frutto; • preparare al futuro introducendo i giovani alla vita adulta, fornendo loro quelle competenze indispensabili per essere protagonisti all'interno del contesto economico e sociale in cui vivono; 37 “Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio sulle Competenze chiave per l’apprendimento permanente” del 18 dicembre 2006. 38 Circolare Ministeriale del 15 marzo 2007, n. 28 Pag. 38 di 195 accompagnare il percorso di formazione personale che uno studente compie sostenendo la sua ricerca di senso e il faticoso processo di costruzione della propria personalità. […]ci ostiniamo a pensare a una scuola che non abbia come obiettivo solo l’essere in funzione della richiesta del mercato. Solo se non si rinuncia ad educare istruendo si può mettere veramente a frutto l’unicità e l’irripetibilità di ogni singolo individuo. Solo così ogni persona può essere protagonista e costruire il proprio futuro in modi plurali, diversi ed innovativi. • Oltre alla certificazione delle competenze effettuata al termine della scuola secondaria di primo grado, alla conclusione dei dieci anni dell’obbligo di istruzione gli alunni possono richiedere un’ulteriore certificazione delle competenze, che sarà comunque rilasciata al compimento dei diciotto anni di età. Viene così avviata la transizione dall’impianto curricolare di tipo disciplinare a quello basato sulle competenze e sui risultati di apprendimento. Nel già citato DM del 22 agosto 2007, n. 139 (vedi par. 1.1.2) sono elencati i saperi e le competenze per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione riferiti ai quattro assi culturali (dei linguaggi, matematico, scientifico–tecnologico, storico-sociale). Essi costituiscono “il tessuto” per la costruzione di percorsi di apprendimento orientati all’acquisizione delle competenze chiave che preparino i giovani alla vita adulta e che costituiscano la base per consolidare e accrescere saperi e competenze in un processo di apprendimento permanente, anche ai fini della futura vita lavorativa. Nell’allegato 2 del Documento Tecnico dello stesso DM vengono elencate e descritte le competenze chiave di cittadinanza, che sono: imparare ad imparare, progettare, comunicare (comprendere/rappresentare), collaborare e partecipare, agire in modo autonomo e responsabile, risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni, acquisire ed interpretare criticamente l’informazione. Nelle successive Linee guida del 27 dicembre 2007, l’orientamento viene indicato come strumento per lo sviluppo delle competenze chiave. Portare la logica delle competenze nella scuola ha come obiettivo quello di porre l’individuo al centro di ogni azione e di ogni intervento. Alunni e docenti sono prima di tutto persone e il loro incontro è un incontro tra persone che insieme fanno esperienze, imparano a conoscersi e a riconoscersi. Il momento della valutazione assume una diversa connotazione: da giudizio senza appello a certificazione, testimonianza utile per individuare i punti di forza e di debolezza dell’alunno. Il percorso didattico ed educativo deve tenere conto dei livelli di ingresso, dei diversi ritmi e stili cognitivi degli studenti, prevedendo sia attività di recupero che promozione dell’eccellenza. Pag. 39 di 195 Nonostante le dichiarazioni e le indicazioni operative fornite a livello normativo, nella pratica gli ostacoli ad una reale attuazione di un percorso didattico educativo ed orientativo sono ancora molti. Primo tra tutti il problema della formazione dei docenti, che devono apprendere un nuovo modo di insegnare, ma soprattutto devono rivedere il proprio ruolo, acquisire un nuovo modo di guardare agli allievi, di valutare il loro operato. Le risorse economiche sono poche, i metodi e gli strumenti orientativi poco conosciuti, la figura dell’orientatore come esperto non è definita a livello legislativo. Con il Decreto Dipartimentale del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca del 26 ottobre 2009, n. 54 viene costituito il “Forum nazionale per l’orientamento lungo tutto il corso della vita” con l’obiettivo di assicurare l’efficace cooperazione e coordinamento tra i Soggetti responsabili a livello nazionale, regionale e locale dell’offerta dei servizi di orientamento scolastico. Il Forum nazionale esprime, inoltre, pareri e formula proposte in ordine ad iniziative normative e amministrative finalizzate al coordinamento delle azioni del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca in materia di orientamento, considerato il suo carattere trasversale e permanente. Sempre nel 2009, dal 2 al 5 marzo, si svolge ad Abano il seminario nazionale “L’orientamento per il futuro”, a cui sono stati invitati a partecipare tutti i Soggetti istituzionali, competenti per legge (Ministro del Lavoro, Famiglia, Gioventù, Conferenza Stato Regioni, UPI, ANCI, Confindustria), al fine di delineare insieme le linee di un modello condiviso di coordinamento e di azioni per il prossimo futuro, nell’ottica di contribuire allo sviluppo e alla realizzazione del sistema formativo integrato. A questo seminario segue la Circolare Ministeriale del 15 aprile 2009, n. 43, intitolata “Piano nazionale di orientamento: Linee guida in materia di orientamento lungo tutto l’arco della vita. Indicazioni nazionali”, che ne sviluppa gli esiti, adottando una strategia che “assegna un ruolo significativo ai team regionali, designati dai rispettivi Uffici Scolastici Regionali, cui spetta il compito di realizzare la ‘rete territoriale’ di Soggetti e di rapporti, indispensabile presupposto per lo sviluppo di azioni coerenti, condivise e unitarie dal livello nazionale fino ad arrivare a quello locale.” In questo documento si sottolinea la necessità di proseguire la formazione degli operatori, con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza della funzione educativa dell’orientamento e per favorire il “passaggio da una prassi di orientamento di tipo quasi esclusivamente informativa e limitata ai momenti di transizione e decisione, ad un approccio olistico e formativo per cui l’orientamento investe il processo globale di crescita della persona, si estende lungo tutto l’arco della vita, Pag. 40 di 195 è presente nel processo educativo sin dalla scuola primaria ed è trasversale a tutte le discipline.” Nonostante l’importanza e la funzione dell’orientamento non siano più in discussione e le attività ed iniziative che ad esso fanno riferimento si moltiplichino dentro e fuori la scuola, attualmente l’organicità tra i diversi interventi e la costruzione di un sistema di orientamento restano ancora traguardi da perseguire. La figura professionale dell’operatore di orientamento non è ancora univocamente definita a livello legislativo e non c’è un percorso formativo ad essa dedicato. Il dibattito su quali competenze certificare e soprattutto come certificarle è ancora aperto. Il forte legame che esiste tra scuola ed orientamento ha poi creato qualche confusione e fraintendimento, anche tra chi di scuola e di orientamento si occupa a livello professionale. Già nel 1990, la Pombeni rilevava che L’opportunità di integrare la funzione formativa e quella scolastica della scuola, cioè di far rientrare l’orientamento in un processo formativo più ampio, ha fatto nascere ad un certo punto qualche confusione che ha rischiato di produrre un “ampliamento all’infinito”, fino alla sua vanificazione, del concetto di orientamento. In questo senso è necessario riaffermare che il processo orientativo ha una sua specificità rispetto a quello educativo in un’ottica di valorizzazione reciproca […] (Pombeni, 1990, pag. 118) Leonardo Evangelista, commentando la Circolare Ministeriale del 15 aprile 2009, n. 43 afferma che in tale documento viene definito “orientamento” ciò che in realtà è, secondo lui, “buona didattica”. Per esempio, sviluppare la capacità di ragionamento e facilitare i processi di apprendimento sono obiettivi della didattica, mentre le competenze orientative sono quelle che consentono di fare adeguate scelte formative e professionali e gestire il proprio percorso professionale. Le attività per sviluppare competenze di carattere generale […] appartengono all’istruzione e alla formazione, quelle per sviluppare competenze orientative […] appartengono all’orientamento. Questa distinzione non intende escludere gli insegnanti dallo svolgimento di attività di orientamento, ma solo chiarire che si tratta di campi diversi e che per svolgere attività di orientamento è necessaria una preparazione specifica. 39 39 Evangelista Leonardo, 2009, Linee guida in materia di orientamento lungo tutto l’arco della vita. Reperibile sul sito www.orientamento.it all’indirizzo http://www.orientamento.it/orientamento/7g.htm Sullo stesso argomento vedasi: Evangelista Leonardo, 2002, L’orientamento come educazione alla vita e l’orientamento formativo. Reperibile sul sito www.orientamento.it all’indirizzo http://www.orientamento.it/orientamento/2c.htm Pag. 41 di 195 Una interessante distinzione a questo proposito è quella operata da Zanniello (1992): Logicamente si può operare questa distinzione tra educazione e orientamento: con l’educazione si punta direttamente a rendere il minore capace di agire con sempre maggiore libertà; con l’orientamento lo si aiuta ad esercitare quella libertà appena conquistata, chiarendogli le situazioni, facendogli prevedere le difficoltà e insegnandogli a superarle, indicandogli la direzione da seguire per crescere ulteriormente. Lo scopo dell’orientamento è che il minore, nell’esercizio iniziale della sua libertà, acquisita in virtù dell’attività educativa, agisca rettamente, cioè coerentemente con il suo stile personale di vita scelto in quanto visto come buono, e non perda la strada per il progresso verso ulteriori livelli di libertà. (Zanniello, 1992, pag. 11) Nonostante queste difficoltà nel dare definizioni precise e nel delimitare campi d’azione, c’è un relativo consenso sulla necessità di passare alla scuola delle competenze tra i professionisti e gli studiosi che si occupano di educazione, a cui si associano anche i rappresentanti del mondo del lavoro. Non tutti però sono d’accordo. Angélique del Rey (2009) ritiene che l’approccio per competenze sia di fatto una risposta efficace alla globalizzazione economica, in quanto prepara i giovani ad adattarsi al mondo d’oggi con l’obiettivo di creare una forza lavoro sufficientemente malleabile e flessibile, necessaria ad un sistema che muta sempre più velocemente. La mia ipotesi è che la scuola delle competenze non appaia come una “risposta” alla crisi della scuola se non ad un primo livello di analisi […]. In realtà, si trova in un’economia generale di potere che è quella dell’utilitarismo, economia che a sua volta trasformerà la scuola umanista (scuola al servizio dello sviluppo umano) in scuola “post-umanista”, scuola che si fonda su una società che mette le “risorse umane” al servizio dell’apparato di produzione e di scambio economico (in cui ogni uomo è considerato una microimpresa).[…] Ma dietro la scuola delle competenze si erige non solo la politica o l’economia, ma anche l’epistemologia, una ideologia, per la quale “l’uomo” non è più un entità al servizio della politica, dell’economia, dell’educazione, ma quello che ormai deve essere messo al servizio di tali dimensioni, come risorsa umana. (Del Rey, 2009, pag. 110) Secondo la del Rey, la scuola delle competenze non tiene conto di due dimensioni sempre presenti nel processo di apprendimento e insegnamento: la complessità ed il conflitto. Ad esempio, è normale riscontrare periodi di regressione dell’apprendimento, specialmente lavorando con adolescenti o con soggetti problematici, che non si spiegano se non ammettendo l’esistenza del conflitto. Certificare una competenza significa rilevare l’emergere di qualità concrete in una determinata situazione, emergere alla cui base c’è anche la motivazione e la condizione psicologica del soggetto in esame. Dietro l’ideale normativo della scuola delle competenze, esiste la concezione di un uomo astratto, quello che Musil definiva come un “uomo senza qualità”, anche detto tabula rasa, capace di acquisire le Pag. 42 di 195 “buone” competenze indipendentemente dalle qualità di cui dispone e alla situazione alla quale ci si trova di fronte. (ibidem, pag. 112) Guardando all’attuale crisi della scuola, l’autrice propone una prospettiva alternativa partendo dall’idea che i conflitti abbiano in sé una dimensione positiva 40 e che la scuola, come parte della società, debba “inventare e proporre ‘risposte’ situazionali prendendo in considerazione di volta in volta i conflitti che si presentano”. Tali risposte non possono che essere legate alle diverse situazioni. Una tecnica non può essere definita come efficace a priori. Gli insegnanti devono essere collegati con la situazione in cui insegnano e la scuola deve “esplorare, localmente, le nuove vie possibili di trasmissione e di legami”. L’emarginazione nasce dal “presupposto che tutto sia integrato anche se a livelli e sotto forme diverse”. 1.3.2 Il processo di orientamento nella scuola Come già rilevato (par. 1.1.1), è possibile identificare tre dimensioni del processo di orientamento: la formazione, l’informazione, la consulenza. I processi di formazione istituzionali hanno un proprio ruolo nel perseguire azioni orientative in tutte e tre queste aree. L’obiettivo di ogni processo orientativo è l’acquisizione di competenze orientative, che a loro volta possono essere classificate in quattro aree (par. 1.1.2): la conoscenza di sé, la conoscenza del contesto, la capacità di connettere le due aree precedenti ai fini di una scelta, la capacità di progettare la realizzazione della decisione presa. Ciascuna delle tre dimensioni del processo di orientamento concorre, in modo diverso, al raggiungimento di queste competenze (Figura 2)41. 40 Per un approfondimento di questa visione del conflitto cfr. Benasayag Miguel, Del Rey Angélique, 2007, Èloge du conflit, La Paris, Dècouverte (trad. it. 2008, Elogio del conflitto, Milano, Feltrinelli) 41 L’immagine “Il processo di orientamento nella scuola” è stata creata dall’autrice utilizzando Microsoft Word. Pag. 43 di 195 Figura 2 - Il processo di orientamento nella scuola La conoscenza di sé, l’autostima, il senso di autoefficacia (self efficacy), la capacità di autoanalisi, lo sviluppo di competenze per progettare il proprio futuro e per affrontare e risolvere i problemi sono i principali obiettivi della formazione orientativa, che possono essere perseguiti in ambito scolastico sia attraverso strumenti della didattica, sia mediante materiali e attività proposti da professionisti esterni. La scuola, inoltre, è formativa in quanto luogo di vita in cui l’alunno vive esperienze importanti per la costruzione della propria identità. La didattica disciplinare è orientativa, anche se questo non è il suo scopo primario, ogniqualvolta aiuta a imparare a riconoscere le risorse personali e ad autovalutarsi, a individuare e risolvere problemi, a valutare e riconoscere l’adeguatezza al compito, a individuare le capacità necessarie ma non ancora possedute, a conoscere la realtà esterna, a progettare e definire un piano di azione, a sviluppare competenze psicosociali (comunicare, negoziare, lavorare in gruppo ecc.), utili specialmente quando nel processo di transizione occorre sapersi inserire in un nuovo contesto organizzativo. E ancora, ogniqualvolta favorisce lo sviluppo dell’autostima. In particolare la didattica concorre all’orientamento se e nella misura in cui promuove lo sviluppo delle capacità per così dire più semplici, costitutive delle competenze […]. (Bellamìo, Cicciarelli, Scandella, Vimercati, 2002, pagg. 79-80) Inoltre, entrando in contatto con discipline diverse, l’alunno può gradualmente riconoscere i propri interessi, desideri e attitudini. La metacognizione, la riflessione e il controllo sui propri processi di conoscenza, oltre a favorire la qualità dell’apprendimento, svolge un ruolo importante nel raggiungere la capacità di autovalutazione, la consapevolezza delle proprie capacità, possibilità e limiti. La didattica che insegna a riflettere sul funzionamento della mente, sui diversi approcci ai Pag. 44 di 195 problemi, aiuta a sviluppare capacità di regolazione e controllo metacognitivo, ed è quindi una didattica orientativa. Anche l’attività di valutazione dell’alunno fatta dall’insegnante può avere valore formativo. Fino agli anni settanta del secolo scorso, tale valutazione si basava esclusivamente sull’assegnazione di voti a singole prestazioni degli studenti, che sostenevano varie prove volte a valutare conoscenze e capacità acquisite. Si calcolava poi la media dei voti, ed il risultato indicava il livello di preparazione dello studente. A questo valutazione, detta sommativa, si è successivamente sostituita (almeno nelle intenzioni) una valutazione formativa, volta ad analizzare tutto il processo di apprendimento, focalizzando l’attenzione sui progressi realizzati e su fattori come il coinvolgimento, la motivazione, le abilità sociali. Questo tipo di valutazione ha il vantaggio di evidenziare le capacità, i punti di forza, gli aspetti positivi, migliorando non solo la conoscenza di sé, ma anche l’autostima e il senso di potere interno (self empowerment). Inoltre attraverso di essa il docente può meglio comprendere gli interessi e le attitudini dei suoi alunni. Anche se gli insegnanti non somministreranno direttamente le prove di abilità, collaboreranno con gli specialisti psicologi nella formulazione del profilo di orientamento da restituire al ragazzo e soprattutto contribuiranno all’elaborazione delle successive indicazioni orientative. Gli psicologi possono indagare, infatti, le abilità cognitive dei ragazzi attraverso strumenti psicometrici mentre gli insegnanti utilizzano le prove di profitto. Dal confronto tra le due forme di valutazione potranno scaturire indicazioni il più possibile aderenti alle reali capacità e potenzialità dei ragazzi. (D’Alessio, Laghi, Pallini, 2005, pag. 63) Un importante contributo alla conoscenza di sé e delle proprie possibilità viene dalla valutazione delle competenze e dalla loro successiva certificazione. La natura stessa del concetto di competenza (vedi paragrafo 1.1.2) rende difficile individuare una modalità univoca o uno specifico strumento per la rilevazione delle competenze stesse. Alcuni strumenti attualmente in uso sono: l’osservazione sistematica, questionari, griglie di osservazione e autovalutazione, colloqui, prove scritte e orali, il portfolio ed il bilancio delle competenze (utile in particolare in caso di riorientamento). La didattica disciplinare non può da sola assicurare lo svolgimento di un adeguato percorso di formazione orientativa per tutti gli studenti. E’ dunque opportuno prevedere momenti espressamente dedicati all’orientamento, che possono essere gestiti dai docenti stessi (appositamente preparati) o da esperti coinvolti dalla scuola in base alle necessità. Le attività possono essere svolte all’interno della scuola, per esempio sotto forma di laboratori, oppure all’esterno, come nel caso degli stage o delle visite guidate. Pag. 45 di 195 L’informazione orientativa si declina in due direzioni: da un lato deve fornire dati e informazioni pertinenti al compito della scelta, dall’altro deve aiutare a sviluppare la capacità di reperire autonomamente le informazioni necessarie, di saperle leggere criticamente, selezionarle e utilizzarle. All’interno della scuola si caratterizza prevalentemente in attività inerenti l’accoglienza, la raccolta e gestione delle informazioni, la promozione e l’allestimento di iniziative per l’orientamento legate alle fasi di transizione, come le giornate aperte e i saloni dell’orientamento. Sono necessarie numerose informazioni atte a conoscere il contesto (scolastico ed extrascolastico) e i mezzi necessari per muoversi in tale contesto. Le informazioni devono essere attendibili, aggiornate e fruibili, ossia essere trasmesse con linguaggi e modalità comunicative adatte ai destinatari. Questo presuppone un’attività di raccolta, selezione e preparazione delle informazioni, compito che non spetta però agli insegnanti, che devono poter disporre di una adeguata documentazione mirata ai bisogni orientativi, come ad esempio guide per scelte postobbligo e post-diploma, opuscoli, repertori delle professioni, ecc. Oltre a materiale di tipo cartaceo, possono essere di supporto interventi di esperti che portano la propria esperienza e testimonianza ai ragazzi, esperti di orientamento, ma anche esperti in settori specifici (ad esempio, un professionista che si occupa di selezione del personale che fornisce consigli su come sostenere un colloquio di lavoro). Un ruolo importante nell’ambito dell’informazione è svolto da Internet, ormai accessibile alla quasi totalità degli studenti, che consente di accedere ad un enorme mole di dati in poco tempo. Le potenzialità di questo strumento sono altissime, a patto però che lo si sappia usare correttamente, imparando a riconoscere i siti che forniscono dati attendibili e aggiornati, a distinguere tra dati di realtà e opinioni di chi gestisce un sito, ecc. Occorre quindi non solo un’opera di alfabetizzazione informatica, ma lo sviluppo di vere e proprie competenze “informatiche”.42 La consulenza orientativa si configura come un intervento di sostegno individualizzato e in ambito scolastico trova la sua applicazione in situazioni di particolare difficoltà o disagio. Non sostituisce, ma si affianca ai percorsi di formazione orientativa e deve essere svolta da personale esperto. Il ruolo dei docenti è quello di individuare i soggetti che necessitano di un ulteriore aiuto e di indirizzarli a questo servizio, che può essere interno o esterno alla scuola. 42 Le competenze informatiche a cui si fa qui riferimento sono quelle previste dal modulo 7 della patente Ecdl, che riguarda l’uso delle reti informatiche. Per maggiori informazioni: www.ecdl.com Pag. 46 di 195 Il processo di orientamento deve accompagnare lo svolgersi di tutto il percorso scolastico. I momenti di passaggio da un ciclo ad un altro, così come l’ingresso nel mondo del lavoro costituiscono delicati momenti di transizione e meritano particolare attenzione, ma compiti e responsabilità nel campo dell’orientamento spettano a tutti i cicli scolastici, fin dalla scuola dell’infanzia. Le attività proposte devono tener conto della fase di maturazione dei soggetti. Attività comuni a tutti i cicli sono l’accoglienza e la didattica orientativa. Nella scuola secondaria di primo grado sarà necessario concentrare l’attenzione sullo sviluppo delle competenze orientative e informare sui possibili percorsi per la prosecuzione degli studi. Nella scuola secondaria di secondo grado si metteranno in atto anche attività di verifica della scelta effettuata, di riorientamento quando necessario, di informazione sul mondo del lavoro. Attività individualizzate proposte agli allievi potranno essere, oltre alla già citata consulenza, stage, alternanza scuola lavoro, particolari percorsi di orientamento (magari svolti per piccoli gruppi). Mancinelli43 (2002) sottolinea che “le componenti del processo orientativo sono numerose e fanno costante riferimento ai principi teorici e metodologici di discipline diverse come la psicologia, la pedagogia, la sociologia, l’economia. Solo tenendo presente l’interdisciplinarietà dell’orientamento è possibile superare quella visione spesso dogmatica, ristretta e personale dell’orientamento che porta l’operatore ad adottare sempre lo stesso tipo di intervento indipendentemente dalla situazione e dal bisogno della persona che ha davanti.” Per affrontare in modo adeguato problemi, contesti, persone diverse, l’operatore deve conoscere le variabili fondamentali implicate nel processo di orientamento, in modo da poterle scegliere e utilizzare nel modo migliore. Nell’ambito dell’azione orientativa rivolta ad adolescenti e giovani adulti, impegnati nella scelta del percorso di studi o nell’inserimento nel mondo del lavoro, Mancinelli 44 (2002) propone un elenco di variabili, psicologiche, psico-sociali e sociali, che può costituire un riferimento utile sia in caso di un intervento formativo a lungo termine, sia in caso di un intervento di consulenza orientativa. Tali variabili sono sinteticamente elencate nella tabella seguente. 43 44 Mancinelli M.R., Le componenti del processo di orientamento in Castelli, 2002, cap. 6 Ibidem, pagg.120 e segg. Pag. 47 di 195 Variabili psicologiche - Abilità cognitive: attitudini innate, abilità acquisite e consolidate con l’esercizio e la pratica - Apprendimento scolastico: conoscenze scolastiche di base, predisposizione all’apprendimento - Metodo di studio: saper apprendere concetti nuovi e saperli elaborare e integrare nelle conoscenze pregresse, essere costanti, saper usare le informazioni acquisite - Competenze trasversali: saper progettare, prendere decisioni, risolvere problemi, adattarsi positivamente a nuovi contesti, relazionarsi in modo adeguato - Momento evolutivo: caratteristiche del periodo di sviluppo che il soggetto sta vivendo - Storia personale - Interessi professionali - Motivazione - Caratteristiche della personalità: capacità impegnarsi per raggiungere un obiettivo, facilità relazionale, volontà e capacità di far fronte ai propri impegni e doveri, capacità di autocontrollo, apertura mentale - Autostima - Sentimenti relativi al problema orientativo: disponibilità del soggetto a mettersi realmente in gioco, ad essere sincero con sé stesso e con l’operatore, ad affrontare la fatica e le difficoltà che l’intervento orientativo può comportare 45 Variabili psico-sociali Variabili sociali - Valori professionali: ossia le - Percorsi formativi: conoscenza “caratteristiche o condizioni del lavoro rispondenti ad aspirazioni personali che si possono soddisfare più o meno indipendentemente dai diversi settori professionali” (Dupont, Laresche, 1981)45 - Rappresentazioni sociali, relative alla scuola ed al lavoro - Contesto familiare: influenza diretta o indiretta dei genitori sulle scelte dei figli, supporto della famiglia al processo decisionale Dupont, Laresche, 1981, citato in Castelli, 2002, pag. 137 Pag. 48 di 195 dei diversi percorsi scolastici e di formazione professionale - Sviluppo delle professioni: caratteristiche attuali delle professioni e prospettive per il futuro - Mercato del lavoro: opportunità occupazionali, consapevolezza della instabilità e variabilità del mondo del lavoro 1.3.3 L’orientamento narrativo Non solo alle elementari, ma ancor più con i preadolescenti e gli adolescenti il racconto abbatte muri di isolamento e conduce a una conoscenza reciproca più profonda e sincera. Le storie, si sa, sono strumenti didattici per eccellenza. Valentino Merletti, 1998, pag. 61 La fantasia non è in opposizione alla realtà, è uno strumento per conoscere la realtà, è uno strumento da dominare. L’immaginazione serve per fare ipotesi e di fare ipotesi ha bisogno anche lo scienziato, ha bisogno anche il matematico che fa dimostrazioni per assurdo. La fantasia serve per esplorare la realtà […]. Rodari, 1992, pag.39 Molte sono le metodologie che vengono utilizzate nell’ambito dell’orientamento. Alcune sono state messe a punto appositamente per orientare, come il metodo Advp e il bilancio di competenze, altre sono nate con finalità diverse, ma possono trovare un loro ruolo in un contesto di formazione orientativa. Tra queste ricordiamo il metodo narrativo, le cui prime sperimentazioni in Italia risalgono agli anni novanta del secolo scorso. Nel corso degli ultimi decenni molte discipline, come la letteratura, l’antropologia culturale, la ricerca storica e la sociologia, si sono interessate alla narrazione, studiandola e interpretandola da diversi punti di vista. Bruner 46 (1986, 1990) la considera come un modello mentale, ossia una modalità di percepire e organizzare la realtà interpretata. Egli sostiene l’esistenza di due diversi tipi di funzionamento del pensiero: il pensiero logicoscientifico (o paradigmatico) ed il pensiero narrativo. Il primo ha lo scopo di categorizzare la realtà, semplificandola e diminuendo il numero di variabili e di dati che se ne traggono, perseguendo l’ideale di un sistema descrittivo, esplicativo e formale. Cerca leggi universali, descrive categorie generali, a cui ricondurre i casi particolari. Il secondo ha come fine la comprensione della realtà, la ricerca di significato e produce racconti plausibili e ragionevoli, non necessariamente veri. E’ interessato al contesto, alle intenzioni, alle credenze, ai sentimenti, ai desideri, ai bisogni, alla singolarità del soggetto, oltre che ai rapporti di causa ed effetto. In sintesi il pensiero narrativo è quella forma di pensiero che ci consente di organizzare, interpretare e utilizzare la nostra esperienza in termini di successione di eventi ordinati nel tempo e orientati verso uno scopo. (Batini F., Giusti S., Del Sarto G., 2007, pag. 37) 46 Cfr. Bruner J.S. (1986, 1990). Pag. 49 di 195 La narrazione svolge molteplici funzioni. In primo luogo fornisce una struttura alla realtà: raccontando a noi stessi o ad altri un evento, descrivendo una situazione, ciò che prima appariva confuso e caotico gradualmente acquista chiarezza, linearità. Il reale viene diviso in unità temporali, dotate di senso autonomo, ma collegate tra loro e ordinate cronologicamente. Questo processo avviene continuamente sia a livello di singoli individui che di collettività: i racconti mitologici sono un esempio di narrazione collettiva. Organizzare la realtà consente di interpretarla. Per costruire una narrazione è necessario selezionare gli elementi che la compongono e ordinarli secondo una sequenza temporale. Per esempio, volendo raccontare una gita al lago sarà necessario identificare i momenti salienti della giornata, quelli più interessanti. Non avrebbe senso descrivere minuziosamente ogni istante trascorso: si perderebbe il significato dell’evento nel suo complesso. La capacità di interpretare è una competenza fondamentale in ambito orientativo in quanto consente di selezionare ciò che è importante da ciò che non lo è. Strutturare la realtà e interpretarla rende possibile attribuirvi un significato. Una stessa esperienza può essere vissuta e di conseguenza descritta, raccontata e ricordata in modo diverso: non esiste una esperienza oggettiva in quanto ogni esperienza è mediata dai significati. Nel dare un senso a ciò che accade ogni persona è influenzata dalle interpretazioni, dai significati che gli altri vi attribuiscono, dalla cultura di appartenenza, dagli stereotipi. Anche questa funzione della narrazione è fondamentale per l’orientamento. La motivazione ad agire, la determinazione a conseguire un risultato o a raggiungere un obiettivo sono strettamente legate al senso attribuito alle azioni necessarie per conseguirlo. La capacità della narrazione di riprodurre la realtà rendendola adeguata al vissuto personale del soggetto narrante, dandole un ordine e un significato, aumenta la possibilità di esercitare su di essa un controllo sia dal punto di vista cognitivo che emotivo, incrementando così la percezione di autoefficacia del soggetto stesso. Raccontare le proprie narrazioni ad altre persone ed ascoltare quelle che gli altri propongono è quindi forse l’unico modo di condividere la realtà, una realtà che non è neutra ma carica di significati. L’ascolto reciproco permette di cogliere diversi punti di vista e apre la mente a possibilità nuove, soluzioni diverse per uguali problemi, permette di socializzare e costruire relazioni. Si impara a negoziare i significati, ad accordarsi su una visione condivisa di una parte di realtà. Non solo la realtà esterna può essere interpretata attraverso la narrazione, ma anche il mondo interno, ossia la coscienza di sé. Ognuno di noi è il risultato della propria storia, Pag. 50 di 195 una storia di cui possiede un racconto interiore, che costruisce e vive, un racconto che è la nostra stessa identità. La costruzione di un’identità matura e consapevole passa attraverso forme di “bricolage identitario narrativo”, si verifica cioè un processo di accumulo di petits morceaux di storie udite, storie ascoltate, storie lette, ermeneutiche del visto e dell’accaduto, a noi e agli altri, interpretate non attraverso un processo di fissazione di un testo (ammesso e non concesso che esistano testi fissi), come può invece accadere con l’interpretazione di un libro, ma di un testo in movimento (noi stessi, le relazioni che abbiamo, la nostra prospettiva spazio-temporale…). (Batini F., 2005, pag. 216) Raccontarsi reciprocamente mette alla prova l’immagine consolidata di sé stessi e può dare l’avvio ad un processo di revisione e cambiamento di tale immagine. Infine, saper narrare, ossia saper organizzare il proprio pensiero, dare una sequenza precisa a idee, riflessioni e, di conseguenza, azioni è fondamentale per poter elaborare progetti e pianificare strategie d’azione. L’utilizzo della narrazione è quindi funzionale all’acquisizione di competenze fondamentali per l’orientamento. Batini (2008, pag. 32) sintetizza tali competenze nel seguente elenco: - essere capaci di dare una struttura alla confusa realtà in cui viviamo; - essere capaci di interpretare funzionalmente ciò che ci accade; - essere in grado di attribuire un senso e un significato a ciò che ci accade e a ciò che facciamo; - essere in grado di socializzare tutte queste competenze; - essere in grado di negoziare con gli altri i significati che attribuiamo agli eventi, a noi stessi, alla realtà che ci circonda; - esercitare un controllo sul reale e agire di conseguenza; - essere in grado di organizzare pensiero e azioni; - essere capaci di esercitare previsioni sul futuro e di progettare; - essere in grado di tenere insieme i differenti aspetti della nostra identità, anche in modo progettuale. La competenza narrativa è relativa sia alla capacità di raccontare una storia sia a quella di ascoltarla. I processi di orientamento narrativo si servono di strumenti quali l’utilizzo di narrazioni prototipiche (ad esempio poemi mitologici) o altre narrazioni (film, racconti, …), con le quali sollecitare l’emergere di interpretazioni personali e il dibattito all’interno Pag. 51 di 195 di un gruppo; la reiterazione della scrittura o del racconto di uno stesso evento; l’attribuzione di senso alle azioni dei personaggi e al racconto nel suo complesso; il modificare storie o inventarne di nuove (anche con l’utilizzo di strumenti quali foto, filmati, canzoni e canto); la lettura ad alta voce e l’ascolto di una narrazione; il brainstorming, l’autobiografia. L’orientamento narrativo di solito si realizza in un contesto di gruppo, all’interno del quale è possibile il confronto e il riconoscimento reciproco, ed è adattabile a utenti di qualsiasi età e condizione sociale. Il professionista dell’orientamento narrativo deve saper ascoltare, avere un atteggiamento empatico, essere disposto a mettersi in gioco, saper creare un clima di rispetto, saper improvvisare e affrontare gli imprevisti, senza mai dimenticare che l’obiettivo finale è l’empowerment e l’autonomia dei soggetti. Per una valutazione della qualità dell’intervento è fondamentale verificare il vissuto dei partecipanti, la loro percezione di fare un percorso e raggiungere dei risultati: è tale percezione che consentirà loro di sentirsi più o meno attivati e motivati. In particolare deve essere rinforzata l’autoefficacia percepita e la capacità di tradurre in azione un’idea o un progetto (agentività). Strumenti utili a tale scopo possono essere diari, quaderni, supporti multimediali compilati dai partecipanti nella varie fasi del percorso. 1.4 Preadolescenza e scelte per il futuro Non aveva niente in contrario a stare con gli altri quando era il caso. Ma la gente esagera. Anzi, secondo lui, se si fosse sprecato un po’ meno tempo a stare insieme e a convincere gli altri a fare lo stesso, e se ne fosse dedicato un po’ di più a stare da soli e a pensare a chi siamo e a chi potremmo essere, allora il mondo sarebbe stato un mondo migliore […]. McEwan, 1994, pag.11 Time present and time past Are both perhaps present in time future, And time future contained in time past. Eliot, 1984, pag.4 Con il mutare delle condizioni e della durata della vita, nelle società industrializzate il percorso di crescita che ogni individuo deve compiere per diventare adulto si è complicato e allungato. La scomparsa dei riti iniziatici che nelle società primitive segnavano il passaggio al ruolo attivo nella società, il prolungarsi del periodo degli studi, le difficoltà a trovare lavoro e quindi a conquistare la propria autonomia hanno contribuito a delineare l’adolescenza come tappa a sé stante del corso della vita. Pag. 52 di 195 Fino a non molti anni fa, l’inizio dell’adolescenza veniva fatto coincidere con la pubertà fisiologica che dava il via alla pubertà psicologica. Il tempo delle trasformazioni fisiche coincideva con il tempo dell’adolescenza. Oggi la situazione è decisamente cambiata. In seguito ad una migliore alimentazione, a maggiore igiene e al progresso delle scienze mediche, si è assistito ad un’anticipazione nello sviluppo fisico e sessuale. I ragazzi di oggi sono più alti, l’età della pubertà si è anticipata. Negli ultimi anni è andato crescendo l’interesse per la preadolescenza come periodo di transizione dall’infanzia all’adolescenza. Si tratta di un’età dai contorni non ben definiti, caratterizzata in primo luogo dall’ambiguità: i ragazzi che la attraversano mantengono ancora caratteristiche infantili, mentre appaiono già tratti tipici dell’adolescenza. Pollo47 paragona la condizione del preadolescente a quella del migrante che entra in una nuova terra, a cui ancora non sente di appartenere, portando ancora su di sé i segni di appartenenza ad un’altra terra. Lungo questo percorso quattro sono i principali processi di cambiamento che si verificano: il passaggio dal corpo infantile a quello adulto capace di generare, il passaggio dal pensiero logico-operativo a quello logico-formale, l’acquisizione di una certa autonomia, l’uscita dallo spazio protetto verso lo spazio aperto. Il preadolescente osserva il proprio corpo cambiare con attenzione, con curiosità, ma anche con ansia. Deve ridefinire l’immagine del proprio fisico, di sé e degli altri. Spesso non riesce a comprendere con chiarezza cosa gli stia accadendo e può percepire disarmonia tra sé e il proprio corpo. I primi tentativi di affermare la propria indipendenza e di creare un proprio spazio da cui i genitori siano esclusi, non corrispondono ancora ad un tentativo di affermare un’autonomia reale, che è ancora lontana, ma sono il modo con cui l’adolescente comincia a prendere le distanze dalla famiglia a cui però è ancora fortemente legato. In un certo senso mette alla prova il proprio legame con la famiglia, per verificarne la solidità e sentire se e quanto egli è importante all’interno della famiglia stessa. Le relazioni con i pari acquistano per il ragazzo sempre maggiore importanza: è forte il bisogno di sentirsi riconosciuto e accettato dai coetanei, di “far parte del gruppo”. Anche se non c’è ancora un pieno riconoscimento dell’altro come realtà distinta da sé, è in questo primo tentativo di socializzazione autonoma che egli gradualmente apprende a negoziare la propria differenza con quella degli altri. 47 Pollo Mario, La fine del determinismo delle età, in Magnoni U., Venera A. (a cura di), 2009. Pag. 53 di 195 Questa fase così delicata dello sviluppo della persona, fase di passaggio ma anche di prime consapevolezze e prime scelte, trova all’interno della complessità della società attuale un terreno insidioso, privo di punti di riferimento stabili, di indicazioni chiare, di adeguato supporto. La sempre crescente attenzione che i media ed una certa parte della società rivolgono ai preadolescenti (e agli adolescenti), ha alla base un interesse di tipo economico. L’importanza che la nostra società ha dato, prima agli adolescenti e adesso ai preadolescenti, è, anche in parte, legata al fatto che sono considerati importanti consumatori di beni, approfittando dell’emigrazione che il ragazzo compie dalla società familiare verso il gruppo dei pari, al quale chiede di essere riconosciuto e accettato e, quindi, “costretto” a omologarsi agli stili di vita e consumo di massa. (Magnoni U., Venera A., 2009, pag. 32) Il consumismo non è un problema solo per le attuali giovani generazioni, che al contrario trovano negli adulti che li circondano modelli di “consumatori” simili a quelli proposti dai media. In Diario di scuola (2008) Pennac parlando del marketing e paragonandolo al lupo cattivo delle fiabe, così descrive, in modo colorito ma efficace, questa situazione: Dalla metà degli anni settanta, funziona sempre meglio! Quelli che ti pappi oggi sono figli di quelli che ti pappavi ieri! Ieri miei studenti, oggi i loro figli. Famiglie intere che prendono i loro minimi desideri per bisogni vitali nella spaventosa mistura della tua digestione argomentata! Ridotti tutti, grandi e piccoli, alla stessa condizione di infanzia perennemente desiderante. Ancora! Ancora! Grida dal fondo del tuo stomaco il popolo di consumatori consumati, figli e genitori insieme. Ancora! Ancora! (Pennac D., 2008, pag. 189) L’idea di fondo che “tutto possa essere consumato”, unita alla mancanza di un sistema di valori forte e condiviso a livello sociale e alla relativizzazione dei sistemi di significato, hanno portato ad un diffuso senso di smarrimento e alla perdita di punti di riferimento, rendendo difficile la costruzione di identità stabili e la possibilità di prevedere l’esito delle proprie azioni. La frammentarietà rivela due caratteri della condizione giovanile attuale. Il primo è legato alla perdita del centro sociale che frantuma l’esperienza sociale da un tutto unitario in tanti piccoli mondi vitali. Il secondo è legato a un’esperienza di vissuto personale del giovane divisa in tanti frammenti, tra loro isolati, che non riescono a dar vita a una esperienza unitaria. Questo significa che ogni esperienza che il giovane vive ha un significato relativo che si esaurisce all’interno dell’esperienza stessa e che non riesce a collegarsi a un senso più generale. La frammentazione introduce il discorso sulla crisi dell’identità dei giovani. (Pollo, 1995, pag. 17) Il continuo bombardamento di informazioni e di possibilità, che costringono a fare continue scelte, il desiderio di sfruttare tutte le opportunità che la società offre e la Pag. 54 di 195 necessità di adattarsi ai continui mutamenti sociali, hanno portato a rinunciare alla dimensione progettuale della vita e allo smarrimento della coscienza del tempo. Il giovane vive in un presente che è un susseguirsi di frammenti di vita e di esperienza, slegati dal passato e privi di orientamento al futuro. Oltre agli aspetti ora descritti che caratterizzano la società attuale come società complessa e che rendono più difficile il già non semplice compito dei preadolescenti e degli adolescenti di conquista della propria maturità, c’è un altro punto da considerare. Nel passato non troppo lontano, fino all’epoca industriale, il mondo dell’infanzia era distinto dal mondo degli adulti, i ruoli educativi erano chiaramente definiti e il bambino doveva conquistarsi con fatica i propri successi, il proprio diventare “grande”. Oggi, nella società del consumismo, il bambino usa oggetti e indossa abiti equivalenti a quelli che usa l’adulto, accede alle stesse informazioni, vede gli stessi programmi in televisione. I videogiochi, internet, il cellulare, gli consentono di sentirsi “bravo”, efficace e soddisfatto senza dover fare particolare fatica, senza che nulla gli venga chiesto in cambio. Diventa difficile per lui comprendere lo scopo degli sforzi che gli vengono richiesti a scuola per studiare, l’importanza della cultura. Il desiderio di crescere, di diventare adulti per potersi realizzare, per poter vivere la propria vita si perde in questa confusione di ruoli e di desideri/bisogni. Viene così a mancare la principale e più potente spinta a prendere coscienza di sé, delle proprie capacità e potenzialità, a costruire un proprio progetto di vita. E’ quindi fondamentale che le varie agenzie educative agiscano in modo coordinato per aiutare i ragazzi a riscoprire un rapporto vero e diretto con la realtà, a sperimentare come le proprie azioni e scelte abbiano conseguenze pratiche, tangibili, che possono essere previste e quindi è possibile pianificare, progettare. E’ necessario recuperare le identità narrative dei ragazzi, affinché scoprano il valore del loro passato e abbiano voglia di guardare più lontano, verso un futuro che loro stessi possono costruire. E’ necessario educarli alla cittadinanza, alla scoperta della dimensione sociale della vita, che è rete di sostegno e fonte di risorse preziose per la realizzazione del proprio progetto esistenziale. In un processo educativo che si ponga questi obiettivi, l’orientamento (non solo scolastico o professionale, ma anche legato all’esistenza) può e deve svolgere la sua importante funzione. Pag. 55 di 195 CAPITOLO SECONDO 2 DALLE IDENTITÀ POSSIBILI ALL’IDENTITÀ REALE E voi, a che scopo volete una barca, si può sapere, domandò il re. Per andare alla ricerca dell’isola sconosciuta, rispose l’uomo. […] Sciocchezze, isole sconosciute non ce ne sono più. […] Sono tutte sulle carte. Sulle carte geografiche ci sono soltanto le isole conosciute. E qual è quest’isola sconosciuta di cui volete andare in cerca. Se ve lo potessi dire allora non sarebbe sconosciuta. Saramago J., 1998, pag. 8 2.1 Preadolescenza, adolescenza e costruzione dell’identità La preadolescenza è, come già delineato nel capitolo precedente, un’età di trasformazioni fisiche e cognitive, di cambiamenti, di decisioni e di scelte, di tensione verso l’autonomia e di messa in discussione dei modelli acquisiti da bambino. Il ragazzo abbandona le note “terre” dell’infanzia per avventurarsi in un’incerta “terra di mezzo”, iniziando un percorso per lui sconosciuto, la cui destinazione gli appare oscura e nebulosa, ma che sa di dover affrontare poiché è il solo che lo può condurre all’essere adulto. Ansia, stress, incertezza, che accompagnano ogni situazione di transizione, lo rendono più vulnerabile. Sa di non essere più quello di prima, ma non sa chi è ora, né chi sarà domani. Inizia così a riflettere su sé stesso, alla ricerca di un filo logico che leghi passato, presente e futuro. Inizia la ricerca della propria identità. 2.1.1 Sé e identità L’essere umano è un essere sociale. Nessun uomo o donna potrebbe sopravvivere completamente da solo, non solo per procurarsi il cibo o difendersi dai pericoli, quanto per un bisogno innato di relazione, di confronto con l’“altro”. Nel film Cast Away 48, il 48 Cast Away è un film girato nel 2000 dal regista Robert Zemeckis, con attore protagonista Tom Hanks. Racconta l’avventura di Chuck Noland, ingegnere di una nota azienda di spedizione merci, che in seguito ad un incidente aereo si ritrova su uno scoglio gigante a nord della Nuova Zelanda. Nessuna terra è visibile all’orizzonte. Chuck deve così affrontare le problematiche di una vita in totale solitudine e riesce a sopravvivere disegnando occhi, naso e bocca su un pallone trovato tra i rottami dell’aereo, che diviene così il suo “amico” Wilson. Per tutto il tempo che resta sull’isola (1500 giorni), Chuck parla con Wilson, gli racconta i suoi sentimenti, le sue paure, il suo amore per la fidanzata lontana che lo crede morto, il suo desidero di tornare a casa. Quando si avventura nell’oceano con una zattera da lui stesso costruita porta con sé il signor Wilson, che però perde in mare. Nonostante sappia che si tratta solo di un pallone, nel momento in cui le onde lo portano lontano da lui grida disperatamente “Scusami Wilson! Scusami!”. Recuperato fortunosamente da una nave di passaggio torna finalmente alla vita di tutti i giorni. Pag. 56 di 195 protagonista perso su un’isola deserta usa un pallone per “inventarsi” un compagno di sventura con cui confrontarsi e condividere emozioni e avventure. Ogni individuo è inserito in una rete di relazioni, di rapporti, di legami. Ogni individuo nasce, cresce, si sviluppa all’interno di un contesto, anzi in più contesti, tra loro connessi ed interdipendenti. La famiglia contribuisce a costruire un senso di identità nei suoi membri, attraverso l’esperienza dell’appartenenza e della differenziazione. […] Il senso di differenziazione e di individualità si forma con la partecipazione di ciascun membro della famiglia sia ai diversi sottosistemi, che a gruppi extrafamiliari. (Malagodi Togliatti, Lubrano Lavadera, 2002) Bronfenbrenner (1979) ha elaborato la teoria ecologica dello sviluppo, sottolineando come per studiare lo sviluppo di un individuo sia necessario considerare l’intero ambiente sociale in cui esso è inserito. Tale sviluppo infatti non avviene nel “vuoto”, non avviene allo stesso modo per tutti gli esseri umani, ma è legato all’esperienza e quindi al contesto sociale, che a sua volta è articolato e presenta diversi aspetti: familiare, scolastico, vicinato, cultura, caratteristiche ambientali, … L’individuo è dunque al centro di un insieme di diversi sistemi che si possono dividere in quattro sottoinsiemi: i microsistemi, i mesosistemi, gli ecosistemi e il macrosistema, tra loro strettamente collegati, come mostrato in Figura 349 Un microsistema è uno schema di attività, ruoli, e relazioni interpersonali (faccia a faccia) di cui l’individuo in via di sviluppo ha esperienza in un determinato contesto, e che hanno particolari caratteristiche fisiche e concrete. Un mesosistema comprende le interrelazioni tra due o più microsistemi (ad es., per un bambino le relazioni tra casa, scuola e gruppo dei coetanei; per un Figura 3 - Il modello ecologico di Bronfenbrenner adulto quelle tra famiglia, lavoro ed vita sociale). Un esosistema è costituito da una o più situazioni ambientali di cui l’individuo in via di sviluppo non è partecipante attivo, ma in cui si verificano degli eventi che determinano, o sono determinati da, ciò che accade nella situazione ambientale che comprende l’individuo stesso. (ad es. per un bambino il posto di lavoro dei genitori, per un adulto l’economia locale). Il macrosistema, infine, è formato dalla cultura, dalle norme, dalle 49 Immagine tratta dal sito http://physislog.net/wp-content/uploads/2011/05/modello_ecologico.jpg Pag. 57 di 195 rappresentazioni sociali in cui una famiglia è immersa: è un “meta-sistema” che comprende tutti gli altri sistemi. Secondo Bronfenbrenner, l’individuo non “è” ma “diviene”: lo sviluppo della persona avviene nel tempo all’interno di un contesto. D’altra parte è esperienza comune che ogni individuo nel percorso che svolge tra il momento della nascita e quello della morte cambia, si evolve, non solo fisicamente, ma anche nel modo di rapportasi con la realtà e con gli altri individui, nel modo di ragionare. Nel tempo ognuno deve prendere delle decisioni, assumere ruoli diversi. Cos’è dunque che gli permette di riconoscersi sempre come sé stesso, di dire “sono io”, di pensare ad un bambino che ora non c’è più e dire “ero io” o, ancora, di immaginare un uomo che non c’è ancora e dire “sarò io”? La parola identità deriva dal tardo latino identitas, a sua volta derivato da idem, che significava “stesso, medesimo”. La nostra identità è ciò che ci rende sempre noi stessi, che ci consente di riconoscerci come sempre “uguali” nonostante i cambiamenti. Cercando sul vocabolario50 troviamo che identità è “il complesso dei dati personali caratteristici e fondamentali che consentono l’individuazione o garantiscono l’autenticità”, ma anche “consapevolezza di un ente razionale di essere sempre il medesimo e distinto da tutti gli altri”. Sembra semplice, ma se proviamo a definire con più precisione i “dati personali caratteristici e fondamentali” di cui si parla, per meglio spiegare e capire come sia possibile identificarli nel concreto, le cose si complicano non poco. Il concetto di identità, insieme al concetto di sé, sono infatti tra i più studiati all’interno delle scienze psicologiche: sono e sono stati oggetto di molte ricerche, studi e teorie. La distinzione tra questi due concetti non è chiara, né univocamente riconosciuta. Alcune volte vengono trattati come sinonimi. Nell’ambito della letteratura internazionale, l’uso dei termini sé e identità sembra evocare la distinzione tra la psicologia sociale statunitense (ed in particolare il filone della Social Cognition) e la psicologia sociale europea. Una distinzione che […] sembra soprattutto riprodursi attraverso il prevalente uso della terminologia associata alla nozione di sé nel primo caso e di quella legata al concetto di identità nel secondo. […] ci sembra di poter definire la nozione di sé come un concetto più generale ed esteso del concetto di identità, quasi una sintesi delle diverse identità che le persone si trovano a sperimentare nella propria quotidianità. (Mancini, 2001, pag. 18) 50 Devoto Giacomo, Oli Giancarlo, 2007, Il Devoto-Oli. Vocabolario della lingua italiana 2008, Milano, Mondadori Pag. 58 di 195 La conoscenza di sé è uno dei più antichi interessi dell’uomo ed è stata oggetto di studi e teorizzazioni prima di tutto in ambito filosofico. Descartes 51 (1644) nei Principia philosophiae affermando cogito ergo sum, sostiene che l’uomo trova la prova del proprio esistere grazie alla potenza del proprio pensiero: poiché può dubitare, l’uomo è sicuro di esistere. Il primo ad elaborare il concetto di identità personale fu Locke 52 (1688). Partendo dall’idea che non esistano idee innate e che l’intera conoscenza dell’uomo derivi dall’esperienza, egli afferma che è proprio l’esperienza che costruisce il nostro mondo mentale nel suo fluire nel tempo e nelle diverse situazioni. L’unità e la continuità del senso di sé deriva all’uomo dalla consapevolezza delle proprie sensazioni, percezioni, emozioni. Pur nel fluire dell’esperienza, questa consapevolezza, che accompagna sempre il pensiero, è fondamento dell’io come coscienza di sé. La ricerca contemporanea sul sé trae origine dal pensiero di William James 53 (1890), che riprende il concetto di identità personale di Locke e lo elabora in una prospettiva più sociale. L’attività psichica è considerata da James come un flusso di coscienza (stream of feelings), frutto dell’interazione dell’organismo con l’ambiente circostante. La mente umana non è distinta dal mondo naturale, ma forma con essa un unico complesso in cui le due realtà interagendo si integrano. Il sé è l’elemento centrale di collegamento tra il mondo psichico e mentale dell’individuo ed il mondo esterno. James distingue all’interno del sé due componenti: l’Io conoscente ed il Me conosciuto. La prima, l’Io conoscente, è la parte attiva, l’elaboratore delle informazioni. La seconda, il Me, è l’insieme dei pensieri, credenze, caratteristiche che il soggetto riconosce come proprie, ossia di quegli elementi con cui il soggetto sviluppa un’identificazione emotiva. Il Me si forma e si modifica in base alle interazioni sociali, all’esperienza sviluppata negli eventi autobiografici, alle percezioni e valutazioni che il soggetto riceve dagli altri su sé stesso. James definisce tre dimensioni del sé: il sé materiale (il proprio corpo, la propria famiglia, i propri possedimenti), il sé spirituale (le facoltà e disposizioni 51 René Descartes (1596, 1650), filosofo e matematico francese, ritenuto fondatore della filosofia e della matematica moderna. 52 John Lockes (1632, 1704), filosofo e fisico britannico, considerato padre del liberalismo classico, dell’empirismo moderno e anticipatore dell’illuminismo critico. Per un approfondimento sul contributo dato da Lock alla riflessione sull’identità personale cfr. Allegra Antonio, 2005, Dopo l'anima. Locke e la discussione sull’identità personale alle origini del pensiero moderno, Roma, Studium 53 William James (1842, 1910) psicologo e filosofo statunitense. Per approfondire il pensiero di James cfr. Franzese Sergio, 2010, Darwinismo e pragmatismo. E altri studi su William James, Udine, Mimesis; Franzese Sergio, 2000, L’uomo indeterminato: saggio su William James, Roma, D’Anselmi; Riconda Giuseppe, 1999, Invito al pensiero di William James, Milano, Mursia Pag. 59 di 195 mentali, la volontà), il sé sociale (il riconoscimento altrui, gli affetti, le simpatie degli altri, i ruoli sociali). L’Io ed il Me insieme creano un senso coerente di identità. 2.1.2 Il punto di vista della psicologia sociale Nell’ambito della psicologia sociale, possiamo distinguere tre diverse prospettive (Mancini, 2001) attraverso cui è stato affrontato lo studio del sé e dell’identità: la prospettiva cognitiva, la prospettiva sociale e la prospettiva motivazionale. Nella prospettiva cognitiva, l’individuo è considerato come un attivo “costruttore” delle informazioni rilevanti relative al proprio sé, che è rappresentato come una rete di conoscenze e di informazioni correlate tra loro. Le componenti o aspetti di cui il sé è formato possono essere definite come strutture di conoscenza organizzate attorno a specifici nuclei tematici o a differenti tipi di situazioni. Il sé non può essere considerato come una singola struttura cognitiva, ma piuttosto come una gerarchia di concetti, definiti in base alle impressioni di sé che il soggetto ha nelle diverse situazioni e nei diversi contesti. Ad esempio, una persona può avere un concetto di sé in base a come pensa di essere nell’ambito della propria famiglia, un’altra in base a come pensa di essere nell’ambito lavorativo. Kihlstrom e Cantor (1984) e Kihlstrom et al. (1988) rappresentano il sé come struttura di conoscenze utilizzando un modello “a rete”, in cui i nodi simboleggiano i concetti e i legami le relazioni tra essi. La Markus (1977) usa il concetto di schema di sé per indicare un insieme di conoscenze legate a specifici domini comportamentali o campi di competenza di un individuo. Gli schemi di sè si formano sulla base delle esperienze vissute e sono concezioni complesse, stabili e articolate. Ad essi si affiancano le concezioni di sé, che sono invece relative al contesto in cui sono attivate e quindi più variabili. Il sé risulta così essere un insieme di schemi e concezioni tra loro correlate. Indipendentemente dal modo in cui viene rappresentato, secondo l’approccio cognitivo il sé è considerato frutto dell’esperienza, costruito attivamente dal soggetto attraverso fasi di rilevazione, organizzazione e memorizzazione delle informazioni ritenute rilevanti per il sé. In particolare le persone possono “conoscersi” osservando il proprio comportamento nei diversi contesti, ma soprattutto interpretando i propri stati psicologici interni, le proprie cognizioni, emozioni e motivazioni. Il risultato di questo processo di costruzione del proprio sé non sarà mai un prodotto finito e stabile, così come non Pag. 60 di 195 esisteranno mai due sé tra loro identici, anche se individui diversi possono condividere alcuni schemi di sé. Oltre a rappresentare sé stessi nel presente, le persone possono costruire immagini di sé proiettate nel futuro. Markus e Nurius (1986) definiscono tali immagini come sé possibili, che a loro volta possono essere distinti in sé desiderati, come il soggetto vorrebbe diventare, il sé temuti, come non vorrebbe essere, il sé ideale, come il soggetto vorrebbe essere, ed il sé normativo o imperativo, come il soggetto dovrebbe essere (Markus, Wurf, 1987; Cross, Markus, 1991; Higgins, Klein, Strauman, 1987). Poiché il sé si costruisce e matura all’interno di un contesto che è necessariamente connotato culturalmente, anche tale connotazione gioca un suo ruolo sul modo in cui esso si struttura. Triandis (1989) parla di collettivismo culturale, quando le necessità del gruppo prevalgono su quelle individuali, e di individualismo culturale, quando al contrario sono le necessità individuali a prevalere. Markus e Kitayama (1991) suggeriscono di distinguere tra sé interdipendente, tipico del collettivismo culturale e dalla struttura più fluida e mutevole, e sé indipendente. Tutti gli schemi di sé che un individuo possiede sono immagazzinati nella memoria. Una costellazione di concezioni di sé viene di volta in volta attivata e resa operativa in base al contesto e allo stato motivazionale in cui si trova il soggetto. Markus e Nurius (1986) definiscono tale costellazione come sé operativo. Le motivazioni che ne influenzano l’attivazione possono essere molteplici: il desiderio di conservare un’immagine positiva di sé, di mantenere un senso di coerenza e continuità, di modificare il proprio sé o di rafforzarlo, ecc. Con la nozione di sé operativo, la Markus e le sue collaboratrici sostengono l’ipotesi di un concetto di sé fluido che tende a fluttuare in funzione degli aspetti resi attivi dalla situazione sociale. Nello stesso tempo però, queste autrici ipotizzano anche l’esistenza di un nucleo concettuale stabile, formato da strutture di conoscenza delle quali le persone sono consapevoli per la maggior parte del tempo. Questo “nucleo” rappresenta una sorta di punto di riferimento che garantisce un senso di continuità e di identità, almeno a quelle persone che, avendo stabilizzato una identità sociale e personale, sono in grado di distinguere gli aspetti permanenti da quelli mutevoli delle loro concezioni di sé. (Mancini, 2001, pag. 40) Il sé così delineato svolge nella vita delle persone due importanti funzioni (Mancini, 2001), una nell’ambito dell’elaborazione delle informazioni (sé come schema anticipatorio) ed una nella regolazione dell’azione (sé come regolatore del comportamento). Il concetto che un individuo ha di sé stesso influenza il modo in cui elabora le informazioni autoriferite, sia che vengano recuperate dalla memoria, sia che Pag. 61 di 195 provengano dall’esterno, ed il modo in cui percepisce e valuta gli altri. Inoltre influisce sulle previsioni riguardo il proprio comportamento e sulle attribuzioni causali relative ad esso. Gli approcci cognitivi considerano l’individuo come dotato di intenzionalità, capace di valutare le situazioni e gli eventi e di regolare le proprie azioni in base a obiettivi predefiniti. In quest’ottica il concetto di sé, incidendo sui fattori cognitivi ed affettivi che regolano la condotta umana, ne influenza i processi di auto-regolazione. 54 In particolare, la definizione degli scopi da perseguire può essere condizionata dall’insieme di credenze e aspettative circa la capacità di controllo e l’efficacia personale (Markus, Wurf, 1987), ossia da quella che Bandura55 (1986) definiva “sentimento di efficacia personale”. Dal punto di vista affettivo, saranno i bisogni, i motivi, i valori di riferimento ad influenzare l’agire del soggetto. Infine, i sé possibili (desiderati o temuti) possono modificare gli scopi da perseguire, così come il desiderio di dare agli altri una certa immagine di sé (autopresentazione56) o il bisogno di esprimere la propria autenticità (autoespressione). Riguardo alle strategie scelte per portare a compimento le azioni intraprese, il concetto di sé svolge un suo ruolo sia rispetto alle strategie di coping che il soggetto conosce e sa attivare, sia riguardo alla capacità di scegliere tra esse la più adatta in base alla situazione. Le teorie elaborate nell’ambito della prospettiva sociale sottolineano l’importanza del contesto per la formazione e lo sviluppo del sé, anche se tale contesto viene studiato e valutato in modo differente dai diversi autori. Alcuni ritengono fondamentale il livello delle relazioni interpersonali (prospettiva interazionista), altri quello ideologico 54 In biologia, il termine autoregolazione indica “il potere che ha il protoplasto di accelerare o ritardare i propri processi vitali in risposta a stimoli interni o ambientali. Con l’irritabilità e la plasticità è una delle proprietà che distingue la materia viva dal mondo inanimato.” (www.treccani.it). Nell’ambito della psicologia cognitiva corrisponde alla capacità di stabilire obiettivi e di valutare le proprie azioni facendo riferimento a standard interni di prestazione. 55 Albert Bandura, nato nel 1925, psicologo canadese di matrice comportamentista, è stato un autore fondamentale nel passaggio verso il cognitivismo. Ha elaborato la teoria dell’apprendimento sociale, secondo la quale gli individui apprendono non solo tramite l’esperienza diretta, ma anche attraverso l’osservazione di altre persone che fungono da modello. L’apprendimento è un processo di acquisizione attiva e gli individui mantengono con l’ambiente un rapporto di interazione reciproca. Centrale nell’analisi dell’agire umano è per Bandura il concetto di self-efficacy (senso di auto-efficacia), ossia la fiducia nelle proprie capacità e possibilità, che influenza le scelte, le aspirazioni, i livelli di sforzo, di perseveranza, la resilienza, la vulnerabilità allo stress ed in generale la qualità della prestazione. Cfr. anche Bandura (1997; 2009) 56 “L’autopresentazione può essere definita come il processo attraverso il quale le persone manipolano la propria immagine ed il proprio comportamento all’interno delle interazioni sociali al fine di determinare le impressioni volute dall’interlocutore.” (Laghi Fiorenzo, Baiocco Roberto, Di Pomponio Ileana, D’Alessio Maria, L’autopresentazione nella pratica orientativa: fattori di rischio e di protezione in adolescenza, in Petruccelli F., D’Amario B., Giordano V., 2011, pagg. 219- 234) Pag. 62 di 195 (prospettiva socio-costruzionista) , altri ancora quello delle relazioni intergruppo (teorici dell’identità sociale). Precursore dell’origine sociale del sé fu, come già accennato, William James, alle cui riflessioni si ispirarono, tra gli altri, Cooley 57 (1902) e Mead58 (1934). Secondo Cooley ogni persona costruisce il proprio concetto di sé osservando le immagini di sé stesso che gli altri gli rimandano, ossia, in un certo senso, guardando sé stesso “riflesso” negli altri come in uno specchio (specchio sociale). Cooley parla di auto-rispecchiamento (looking glass self). Mead riprende la distinzione operata da James tra Io e Me, indicando con Io la parte attiva del soggetto, la sua capacità di agire in modo creativo, di modificare la società. Il Me invece è il frutto dell’interiorizzazione degli atteggiamenti, delle idee, della morale della società, ossia di quello che Mead chiama l’“altro generalizzato”. Il sé emerge dall’interazione, dal dialogo tra Io e Figura 4 - Sè e società in interazione dinamica Me. Inoltre il sé e la società si costruiscono secondo la teoria di Mead reciprocamente, nell’ambito di un processo dinamico che coinvolge l’individuo e gli altri (Figura 4)59. Nell’ambito della prospettiva socio-costruttivista viene data maggiore enfasi alla dimensione costruttiva dell’Io nei processi di identificazione sociale. Greenwood (1994) parla di “identità intesa come progetto”, progetto che si basa su idee e risorse forniti dal contesto sociale. L’identità è quindi, secondo questo autore, un fenomeno sociale sia perché nasce come conseguenza di processi di identificazione sociale, sia perché rappresenta il risultato dell’investimento personale nella costruzione di un’identità scelta tra quelle considerate possibili nel contesto sociale di appartenenza. Un altro modo di affrontare il problema della definizione dell’identità è quello di operare una distinzione tra identità personale, che comprende gli attributi che rendono 57 Charles Horton Cooley (1864, 1929), sociologo statunitense, fu uno dei principali teorici dell’interazionismo simbolico. Per approfondire cfr. Marshall J. Cohen, 1982, Charles Horton Cooley and the Social Self in American Thought, New York, Garland Publishing 58 Gorge Herbert Mead (1863, 1931) è stato un filosofo, sociologo, psicologo statunitense, considerato tra i padri fondatori della psicologia sociale. 59 L’immagine “Sé e società in interazione dinamica secondo la teoria di Mead” è stata creata dall’autrice utilizzando Microsoft Word. Pag. 63 di 195 unico l’individuo, e identità sociale, ossia l’insieme delle caratteristiche possedute in conseguenza all’appartenenza a categorie o gruppi sociali (Gordon, 1968). A queste due classi di concetti che una persona può usare per autodefinirsi, si deve aggiungere ancora l’identità di ruolo, ossia le immagini che le persone hanno di sé in base ai ruoli che interpretano nei contesti della loro vita quotidiana (Stryker, 1987; Thoits, 1991). A partire dagli anni settanta del secolo scorso, Tajfel 60, muovendosi dai risultati emersi da una serie di ricerche sperimentali61 condotte sui gruppi minimi62, elabora la teoria dell’identità sociale (Social Identità Theory, SIT). L’obiettivo delle ricerche era quello di capire il motivo per cui gli individui nel momento in cui sentono di appartenere ad un gruppo, tendono sistematicamente a mettere in atto un atteggiamento discriminatorio a favore dell’ingroup e a sfavore dell’outgroup. Tajfel parte dal presupposto che, almeno nella nostra società, gli individui cercano di creare e mantenere un’immagine positiva di sé stessi. Una parte di questa immagine deriva dal sentirsi parte di determinati gruppi o categorie sociali. Ogni individuo per trovare il proprio posto nella società e orientarsi al suo interno compie un’opera di categorizzazione, ossia divide l’ambiente sociale in categorie in base alle quali definisce sé stesso e gli altri. Il bisogno di differenziare positivamente il proprio gruppo rispetto agli altri è legato quindi alla necessità di cercare per esso una specificità positiva, valorizzando di conseguenza gli aspetti positivi della propria identità sociale. Per Tajfel l’identità sociale è infatti la parte dell’immagine di sé che l’individuo costruisce in base alla consapevolezza di appartenere a uno o più gruppi sociali, unita al valore che egli attribuisce a tale appartenenza. Proseguendo gli studi di Tajfel, di cui era collaboratore, John C. Turner (1987) concentra la propria attenzione sui processi cognitivi che portano le persone a definirsi come appartenenti a determinate categorie sociali ed arriva ad elaborare la teoria della categorizzazione del sé (Self Categorization Theory, SCT). Secondo tale teoria, quando le persone categorizzano sé stesse e gli altri possono utilizzare diversi livelli di astrazione, di cui i principali sono tre: livello sovraordinato o interspecie (human identity), livello intermedio o intergruppi (social identity), livello personale (personal identity). Il 60 Henri Tajfel (1919, 1982), psicologo britannico di origine polacca. Nei suoi studi ha indagato le basi relazionali e sociali della discriminazione intergruppi, della formazione degli stereotipi e del pregiudizio sociale. Fu tra i principali fondatori dell’EASEP (European Association of Experimental Social Psychology) 61 Per una descrizione dettagliata di questo programma sperimentale cfr. Tajfel, 1981. 62 I gruppi minimi (o gruppi minimali) sono gruppi in cui la categorizzazione ingroup/outgroup viene effettuata in base ad un criterio debole. Inoltre, tra i due gruppi mancano le condizioni che di solito sono associate al conflitto intergruppi. (http://www.fscpo.unict.it/sda/slides/RelazioniIntergruppi.ppt). Sono gruppi artificiali, costruiti dal ricercatore in base a criteri casuali. Pag. 64 di 195 comportamento, l’atteggiamento del soggetto dipendono dal livello di categorizzazione che in un dato momento viene attivato. In particolare, il livello intermedio corrisponde ad una accentuazione del carattere prototipico e stereotipico del gruppo di appartenenza e ad un aumento della somiglianza percepita tra sé e gli altri membri del gruppo, che produce un effetto di “depersonalizzazione della percezione di sé dell’individuo”, ossia il soggetto non si percepisce più come individuo unico e differente, ma come elemento intercambiabile all’interno del gruppo. L’attivazione di un livello di astrazione piuttosto che un altro dipende dal contesto di riferimento. Secondo la SIT e gli studi ad essa connessi, l’elemento motivazionale alla base dei processi di identificazione sociale è la stima di sé. Secondo altri autori è però necessario considerare anche altri elementi motivazionali. Hogg e Abrams (1993) hanno elaborato un modello basato sul principio della “riduzione degli stati di tensione”: tutte le possibili motivazioni possono essere considerate come derivate dal processo di riduzione degli stati di incertezza. Poiché l’interpretazione della realtà sociale è in gran parte legata al consenso sociale e poiché l’incertezza genera uno stato di disagio dal quale le persone cercano di allontanarsi, il bisogno di ridurre l’incertezza stessa si accompagna a quello di individuare altri significativi, tendenzialmente simili a sé, con i quali raggiungere accordo e consenso sul versante dell’interpretazione della realtà. La riduzione dell’incertezza produce, secondo Hogg ed Abrams, sentimenti di “efficacia”, di controllo personale e aumenta la stima di sé. (Mancini, 2001, pag. 137) Secondo altri autori non è però possibile spiegare i molteplici motivi che possono spingere le persone a scegliere un’identità sociale con un unico bisogno. Deaux et al. (1999) hanno individuato sette diverse categorie di bisogni, alcuni di natura individuale (come ad esempio la conoscenza di sé e l’autostima), altri di natura interpersonale, altri di natura collettiva. Non tutte le identità sociali soddisfano gli stessi bisogni, mentre una singola identità può soddisfarne più di uno. Nell’ambito della prospettiva motivazionale vengono principalmente indagati i processi motivazionali che sono alla base della formazione e dello sviluppo del sé. Mentre al contesto e ai processi cognitivi viene riconosciuta la capacità di facilitare o inibire tale sviluppo, sono i bisogni psicologici e sociali che sono ritenuti responsabili delle condotte umane. Una particolare attenzione viene dedicata allo studio della “stima di sé”, considerata un costrutto centrale nei processi di cambiamento e dello sviluppo individuale. Secondo Pag. 65 di 195 alcuni autori la stima di sé deve essere considerata come un costrutto unitario e globale, secondo altri invece come un costrutto composto da più dimensioni legate ai diversi ambiti rilevanti per la costruzione dell’immagine di sé. Come si costruisce una buona stima di sé? A questo fine è importante la percezione che il soggetto ha della propria competenza ed efficacia (Greenwald, 1980), ma anche la percezione degli atteggiamenti degli altri significativi nei propri confronti (Mancini , 2001). Harter (1990) ha identificato otto specifici domini di competenza importanti per la valutazione di sé che comprendono competenze scolastiche/lavorative, competenze relazionali, capacità atletiche e la percezione del proprio corpo. Per l’adolescenza, in particolare, varie ricerche (Speltini, 1993; Bariaud, RodriguezTomè, 1994) hanno dimostrato come in questa fase della vita sia particolarmente importante per la stima di sé l’aspetto fisico, essendo alto il contrasto tra l’immagine del sé fisico attuale e l’immagine del sé fisico desiderato o normativo, mentre altri autori (Wallace-Brouscious, Serafica, Osipow, 1994; Mancini, 1999) hanno sottolineato la rilevanza dell’accettazione da parte dei pari, della riuscita scolastica e sportiva. La costruzione di una buona autostima è importante perché contribuisce a mantenere alto l’impegno che le persone investono nel raggiungimento dei propri obiettivi (Breckler, Greenwald, 1986), mentre una bassa stima di sé induce a scegliere obiettivi irrealizzabili, a reagire in modo negativo di fronte alle difficoltà e agli ostacoli, a impegnarsi poco e senza costanza (Kernis, Brockner, Frankel, 1989; Seiffe-Krenke, 1990). Un importante contributo allo studio delle motivazioni che sono alla base dei processi di costruzione dell’identità è stato quello apportato da Erikson (1950, 1968, 1982) che, partendo da una prospettiva psicoanalitica, descrive la vita come una serie di stadi, ognuno caratterizzato da un dilemma cruciale che deve essere risolto per poter passare allo stadio successivo. In tutto gli stadi sono otto e si susseguono in una sequenza invariante e gerarchica: ciascuno si struttura in base all’esito dei precedenti, riorganizzandolo e arricchendolo in modo da costruire qualcosa di nuovo. Il quinto stadio corrisponde all’adolescenza e la crisi che lo caratterizza è costituita dalla conflittualità relativa all’opposizione tra identità e confusione di ruoli. Nella concezione di Erikson l’identità è una componente di tutti gli stadi del ciclo di vita dell’uomo. Fondata sulla fiducia e sulla sicurezza infantile, l’identità è in gioco anche nel conflitto Integrità vs Disperazione della vecchiaia. La formazione dell’identità durante l’adolescenza chiarisce Pag. 66 di 195 l’orientamento allo sviluppo di tutti gli stadi precedenti del ciclo di vita e costituisce la base per gli sviluppi successivi della personalità. (Palmonari, 1993, pag.52) L’identità si configura quindi come “la sintesi dinamica di un processo di integrazione tra il passato infantile e il futuro in cui aspettative e valori personali si confrontano con le attese sociali.”63 Le influenze storico-sociali, l’ambiente culturale, la maturazione psicofisica e l’attività del soggetto nell’organizzare l’esperienza personale concorrono insieme allo sviluppo dell’individuo. Per Erikson l’identità è dunque un “fenomeno psico-sociale riferito al fatto che il soggetto si sente lo stesso nel tempo anche se si vede cambiato per molti aspetti esteriori o di carattere. Tale fenomeno è radicato sia nei processi intrapsichici dell’individuo, sia nel contesto culturale che l’individuo stesso condivide con gli altri.”64 Mentre l’infanzia è caratterizzata dalla messa in atto di processi di introiezione e di identificazione, durante l’adolescenza il soggetto deve divenire in grado di effettuare una selezione tra le proprie identificazioni infantili, scegliendone alcune e scartandone altre, in base ai propri interessi, valori e capacità. Fondamentali per l’acquisizione dell’identità sono quindi la fedeltà verso le scelte effettuate e l’impegno per la loro realizzazione. Il traguardo da raggiungere è una identità stabile, coerente e separata dagli altri, dove le identificazioni con gli altri vengono sostituite dal sentimento cosciente di essere sé stesso, in continuità nello spazio e nel tempo, e di essere come tale riconosciuto dagli altri. Non si tratta di un obiettivo facile da raggiungere: l’adolescente deve abbandonare le garanzie e le certezze dell’infanzia per avventurarsi nel mondo adulto, che lo incuriosisce e lo attrae, ma che appare anche come sconosciuto e inquietante. L’incapacità di effettuare delle scelte e di mantenerle può portare a situazioni di ambivalenza personale e sociale e alla mancata acquisizione dell’identità, o alla costruzione di un’identità negativa, basata su un senso di inferiorità e di inadeguatezza rispetto ai compiti della vita. Erikson definisce “diffusione dei ruoli”, la situazione che consiste nel passare da una identificazione all’altra, senza riuscire a costruire una sintesi originale delle esperienze vissute. La “diffusione dei ruoli” è una condizione accettata e riconosciuta come tipica dell’adolescenza, ma deve essere poi superata. La fedeltà verso le scelte effettuate e l’impegno per realizzarle sono dunque, secondo Erikson, le competenze essenziali per l’acquisizione dell’identità. 63 64 Mancini T., 2001, pag. 161 Palmonari, 1993, pag. 47 Pag. 67 di 195 Il modello di Erikson ha costituito un importante punto di riferimento per i successivi studi sui processi di formazione dell’identità in adolescenza, tra i quali uno dei più importanti è stato quello condotto da Marcia (1966, 1980, 1993, 1994), che ha elaborato la teoria degli stati di identità. Marcia (1993) distingue tre diversi livelli di significato nel costrutto di identità: livello esperienziale (fenomenologico), che corrisponde alla definizione di identità data da Erikson, ossia il senso di coerenza interna, di continuità nello spazio e nel tempo, livello astratto (intrapsichico), relativo all’organizzazione dinamica di energie, abilità, credenze, storie personali, che costituiscono la struttura identitaria, e livello comportamentale. Crescendo ogni individuo diviene gradualmente consapevole di sé stesso e del proprio posto nel mondo, formando così la propria identità. Alcuni però, attraverso processi di decisione e di scelta, mettono in atto un processo attivo di costruzione dell’identità, selezionando tra le varie alternative possibili, scegliendo quelle che ritengono migliori per sé stessi. Quindi due sono i percorsi possibili: formazione oppure costruzione dell’identità. Solo il secondo consente al soggetto di avere la consapevolezza di poter controllare o almeno influenzare i cambiamenti che lo riguardano. A livello comportamentale, l’identità si manifesta attraverso due indicatori: l’esplorazione delle possibili alternative identitarie e l’impegno nei confronti delle scelte effettuate. Ne conseguono quattro diversi stati relativi all’identità: - acquisizione dell’identità, quando un valido impegno segue ad un processo esplorativo attuato positivamente - blocco o chiusura di identità, quando l’individuo è costretto ad assumere impegni seri troppo precocemente, senza una adeguata fase di esplorazione - diffusione dell’identità, in seguito ad una esplorazione incerta o assente, il soggetto non assume impegni - moratoria dell’identità, l’esplorazione continua senza pervenire ad una assunzione di impegni e l’individuo si trova in una situazione di stallo La costruzione dell’identità inizia, secondo Marcia (1966), in seguito ai cambiamenti fisici, cognitivi e sociali che si verificano nell’adolescenza e che danno il via ad una “crisi d’identità”, ossia alla rottura dell’equilibrio interno costruito nel corso dell’infanzia e alla conseguente necessità di una riorganizzazione interna di bisogni, abilità, valori, piani, storie personali. Quando tale riorganizzazione si conclude, termina la fase di esplorazione e la nuova struttura dell’identità (livello astratto) si manifesta attraverso gli impegni assunti Pag. 68 di 195 (livello comportamentale). Questo rende possibile comprendere lo stato di identità in cui si trova un soggetto osservandone il comportamento. Il paradigma degli stati di identità ha quindi reso possibile affrontare attraverso la ricerca empirica il concetto di formazione dell’identità. Tra gli altri, ricordiamo gli studi di Kroger (1992), che ha sottolineato come i processi di individuazione e separazione dai genitori, il sentirsi sicuri e pronti ad affrontare i cambiamenti e l’apertura al conflitto siano fattori coinvolti nella formazione dell’identità. Altre ricerche (Meeus, Dekovic, 1995), mostrano come, sempre per lo sviluppo dell’identità, in adolescenza sia più rilevante il supporto dei coetanei rispetto a quello dei genitori. Bosma (1985, 1994) ha rielaborato il modello degli stati di identità di Marcia, sottolineando come sia riduttivo parlare di esiti diversi per una crisi, in quanto ogni adolescente affronta più crisi e non tutte con le stesse modalità e lo stesso esito. Gli ambiti e i contenuti di impegno sono molteplici (scuola, professione futura, famiglia, amici, ecc.). Soggetti diversi attribuiscono diversa importanza ai vari ambiti, mentre per ogni individuo l’importanza di uno stesso ambito varia nel corso del tempo. Varie ricerche condotte da Mancini (1996, 1997, 1999) hanno evidenziato le aree tematiche che più interessano i preadolescenti. Tali aree si differenziano rispetto a quelle tipiche dell’adolescenza più matura e sono la famiglia, gli amici, i rapporti con le persone dell’altro sesso, la scuola, il tempo libero, alcune caratteristiche personali. L’interesse per le scelte professionali è ancora vago, così come per i ruoli sessuali. Se con il crescere dell’età aumenta l’importanza che i preadolescenti attribuiscono al tempo libero, ai rapporti di amicizia e alle relazioni con l’altro genere, mentre diminuisce quella attribuita alla scuola e alle scelte professionali future, è comunque il passaggio dal prevalere dell’identificazione (chiusura) alla ricerca di nuovi elementi identitari (moratoria) la caratteristica peculiare del processo di formazione/costruzione dell’identità nella preadolescenza. (Mancini, 2001, pag. 182) 2.1.3 Adolescenza o adolescenze? I compiti di sviluppo Il capitano rilesse il biglietto del re, poi domandò, Potete dirmi il motivo per cui volete una barca Per andare alla ricerca dell’isola sconosciuta […] voi, se ho ben capito, andate alla ricerca di una dove non sia mai sbarcato nessuno Lo saprò quando ci arriverò Se ci arriverete Sì, a volte si naufraga strada facendo, ma, se mi dovesse capitare, dovreste scrivere negli annali del porto qual è stato il punto in cui sono arrivato Volete dire che quanto ad arrivare si arriva sempre Non sareste chi siete se già non lo sapeste Saramago J., 1998, pag. 14 Pag. 69 di 195 La psicologia, la psicanalisi, la pedagogia e la sociologia iniziano a studiare sistematicamente l’adolescenza come periodo della vita umana a partire dall’inizio del XX secolo, sia in Europa che negli Stati Uniti. Relativamente alla psicologia particolarmente importante è il lavoro di Stanley Hall 65 (1904), che definisce l’adolescenza come una “nuova nascita”, espressione basata sulla constatazione della profonda differenza che intercorre tra la vita mentale del bambino e quella dell’adolescente. Hall descrive questa fase della vita come caratterizzata da sentimenti molto intensi, da tensioni estreme e spesso contraddittorie, fenomeni che egli considera come attributi costanti dell’adolescenza, biologicamente determinati, indipendenti dal contesto e dalla cultura. Negli stessi anni Sigmund Freud (1905) descrive l’adolescenza come il momento in cui la vita sessuale infantile raggiunge la sua forma definitiva, ma è soprattutto Anna Freud (1936) che sviluppa la riflessione psicanalitica sull’adolescenza. Sostenendo che la vita sessuale inizia nella prima infanzia, la Freud definisce la pubertà come la prima ricapitolazione del periodo sessuale infantile (la seconda sarà nel climaterio). Tale ricapitolazione del conflitto edipico provoca instabilità emozionale, umore depresso, conflitti con i genitori, talora può portare a comportamenti asociali o criminali. La spinta libidica, dovuta al riaffiorare della sessualità infantile, che assume ora uno spiccato investimento genitale, impegna l’Io (rafforzato dal periodo di latenza) ed il Super-Io in una strenua difesa per tenere a bada la forza dell’Es. L’adolescenza è, di conseguenza, un periodo di “tempesta e passione” (storm and stress) e le gravi problematiche che l’accompagnano sono un fenomeno universale, senza alcun legame col contesto ambientale, con le influenze culturali, con le differenze individuali. Questo punto di vista viene condiviso anche da Blos (1962), psicoanalista considerato tra i più lucidi teorici dell’adolescenza. L’autore ritiene che sia questo il periodo in cui si struttura il carattere, inteso come aspetto della personalità che modella le risposte dell’individuo agli stimoli che provengono sia dall’ambiente che dal sé. Il carattere inizia a formarsi nell’infanzia ma assume una struttura stabile solo al termine dell’adolescenza. Soggettivamente il carattere è vissuto come una sorta di senso di sé. Quattro sono le sfide che il ragazzo deve affrontare per formare il proprio carattere: portare a termine il secondo processo di individuazione (il 65 Granville Stanley Hall (1844, 1924) fu uno psicologo e pedagogista statunitense. Si occupò principalmente di psicologia dello sviluppo. Fondò il primo laboratorio di psicologia sperimentale degli Stati Uniti. Nel 1892 fondò, insieme ad altri 25 soci, la American Psychological Association, di cui fu il primo Presidente. La sua opera più nota è Adolescence (1904), in cui affronta lo studio di questa fase dell’esistenza in modo scientifico. Pag. 70 di 195 primo si completa verso la fine del terzo anno di vita), rielaborare e controllare i traumi infantili, stabilire una continuità storica dell’Io, formare la propria identità sessuale. Una prospettiva diversa è quella adottata da Margaret Mead66 (1928), che descrive le tempeste emotive e lo stress che si manifestano in adolescenza non come inevitabili e universali, ma come determinate e influenzate dal contesto sociale, dalla cultura di appartenenza. La Mead condusse una ricerca con il metodo dell’osservazione partecipante67 tra le ragazze dell’isola di Tau nell’arcipelago di Samoa (Pacifico meridionale), verificando come in quella popolazione l’adolescenza, pur essendo considerata un momento di passaggio tra l’infanzia e l’età adulta, non era caratterizzata da conflitti e tensioni. Per gli abitanti di Samoa le norme comportamentali erano ampiamente condivise, basate su conoscenze e simboli noti a tutti, la divisione del lavoro era limitata e la gerarchizzazione per età chiaramente stabilita. Nella società occidentale invece la divisione del lavoro è complessa, la cultura è legata ai diversi ruoli sociali e lavorativi, non ci sono risposte univoche per i problemi che si presentano, le modalità del passaggio dall’infanzia all’età adulta non sono definite con chiarezza, l’ambiente familiare è spesso carico di conflitti emotivi, il legame genitori-figli è molto stretto e a volte genera dipendenza. Il giovane che sente emergere il bisogno di esprimere la propria sessualità si trova ad affrontare scelte e a prendere posizione rispetto a norme, prescrizioni, precetti morali e religiosi a volte tra loro discordanti. A causa di queste diversità, le tempeste emotive e i conflitti negli adolescenti sono molto più frequenti nei paesi occidentali rispetto a quanto avviene nelle culture preindustriali. Successive ricerche, in particolare nell’ambito della scuola antropologica denominata “cultura e società”, condotti in diversi contesti culturali, hanno confermato la stretta dipendenza tra la cultura di appartenenza e i contenuti, le modalità di manifestarsi, la durata dell’adolescenza. Anche gli studi condotti in ambito sociologico hanno portato ad analoghe conclusioni. Hollingshead (1949), in seguito ad una ricerca condotta nella cittadina di Elmtown, nel Midwest, definisce il comportamento adolescenziale come un comportamento di 66 Margaret Mead (1901, 1978), etnologa statunitense, è stata una delle più importanti figure nel campo dell’antropologia. 67 L’osservazione partecipante è una tecnica di ricerca etnografica incentrata sulla prolungata permanenza e partecipazione alle attività del gruppo sociale studiato da parte del ricercatore. Per un approfondimento cfr. Semi Giovanni, 2010. Pag. 71 di 195 transizione dipendente dalla società, in particolare dalla posizione che gli individui occupano nella posizione sociale. Antropologi e sociologi concordano però anche nel ritenere che le caratteristiche della cultura e della società occidentale rendono l’adolescenza un’età difficile, problematica, in cui si manifestano comportamenti trasgressivi e a volte dissociali68. Nell’ottica psicanalitica, antropologica e sociologica l’adolescenza appare dunque, almeno nella cultura occidentale, come un periodo dello sviluppo umano caratterizzato da problemi e tensioni. Questi orientamenti di fondo, uniti all’influenza sull’opinione pubblica dei mass media, che tendono a sovrastimare la diffusione di comportamenti dissociali adolescenziali quali il vandalismo, l’assunzione di droga, la micro-delinquenza, contribuiscono a rafforzare una rappresentazione dell’adolescenza come età piena di tempeste e passioni, per certi versi romantica, per altri portatrice di minaccia all’ordine sociale. (Montuschi, Palmonari, 2006, pag.26) Una serie di ricerche, portate avanti a partire dagli anni sessanta in ambito psicologico, hanno però messo in discussione questa immagine di adolescenza e gli stereotipi ad essa collegati.69 Si è cominciato a centrare l’attenzione sui diversi ambiti e situazioni concrete in cui gli adolescenti si sperimentano. In linea con questa esigenza, l’adolescenza può essere vista come un periodo in cui il soggetto, in rapporto con la propria storia personale, con l’appartenenza a specifici gruppi familiari e sociali, con l’inserimento in un dato contesto economico e culturale, elabora delle modalità di risposta ai problemi che gli si pongono di fronte. Tali problemi sono generalmente connessi: - alle trasformazioni fisiche e pulsionali che caratterizzano il secondo decennio di vita; - al modo diverso in cui, a causa di tali mutamenti, il soggetto si sente percepito e trattato dagli altri, assumendo un nuovo modo di considerare se stesso e nuovi criteri di condotta; - all’allargamento degli interessi cognitivi che si connettono con l’esigenza di ogni soggetto di affermare la propria diversità nei confronti della famiglia e dell’ambiente di socializzazione in cui è cresciuto. Da ciò deriva l’interesse ad esplorare l’ambiente circostante contrassegnato da molteplici novità. (Montuschi, Palmonari, 2006, pagg 27-28) Coleman (1974) propone il “modello focale” dell’adolescenza, che evidenzia la possibilità di uno sviluppo adolescenziale senza crisi drammatiche. Egli afferma che l’adolescente si trova a fronteggiare, nel suo cammino verso il divenire adulto, numerosi problemi e che non potrebbe certo farvi fronte se dovesse affrontarli e risolverli tutti insieme. Oltre ad una serie di problemi “normali”, esperienza comune di tutti i ragazzi (ad 68 Il termine “dissociale” in psicologia sociale indica un individuo incapace di adattarsi ad un ambiente (www.treccani.it) 69 Per un approfondimento, cfr. Coleman John C., Hendry Leo, 1990. Pag. 72 di 195 esempio le preoccupazioni per il proprio cambiamento fisico), alcuni si trovano impegnati anche in ulteriori difficoltà legate a situazioni particolari, come potrebbe essere la morte di uno dei genitori. Gli adolescenti possono affrontare in modo produttivo e senza tensioni drammatiche questi problemi, anche quelli più gravi, purché possano affrontarli uno o pochi per volta, avendo la possibilità di recuperare la propria forza psicologica tra uno e l’altro. Se invece i problemi si presentano tutti insieme, mescolati tra loro, il ragazzo potrebbe non avere abbastanza forze per farvi fronte e non riuscire più ad uscire dalla situazione di disagio in cui si viene a trovare. Coleman, in pratica, mette in evidenza che, nel corso dell’adolescenza esistono vari periodi in cui il soggetto è posto di fronte a diverse alternative e deve scegliere assumendo un impegno preciso. (Palmonari, 1993, pag. 57) L’adolescenza non è più considerata come un unico processo di crisi che può avere esito positivo (formazione dell’identità) o negativo, ma come un percorso, un susseguirsi di crisi e conflitti, necessari per la formazione delle diverse componenti dell’identità. Questo porta la necessità di introdurre la nozione di compiti di sviluppo, mutuata dalla psicologia dello sviluppo, e la nozione di far fronte ai compiti di sviluppo, mutuata dalla psicologia della personalità. Secondo Havighurst (1953), che per primo ha usato il concetto di compiti di sviluppo, la vita di ogni essere umano è costituita da una successione di compiti che devono essere affrontati e risolti al momento opportuno, altrimenti lo sviluppo dell’individuo ne risulta compromesso. I compiti variano in rapporto all’età del soggetto e possono essere ricorrenti (ossia che si manifestano per un lungo periodo o per tutta la vita) o non ricorrenti (specifici di un’età, come per esempio imparare a camminare), universali o specifici, biologicamente determinati o legati alla cultura di appartenenza. Differenze si riscontrano anche tra classi sociali o gruppi diversi. Relativamente all’adolescenza, Havighurst individua dieci compiti di sviluppo, aventi la ricerca dell’indipendenza come elemento costante. Alcuni di questi compiti si manifestano specificamente durante l’adolescenza, altri sono presenti nell’adolescenza ma devono essere affrontati già nel periodo precedente. I compiti di sviluppo descritti dall’autore risentono del periodo storico in cui sono stati formulati e “di una sorta di pregiudizio positivo dell’autore nei confronti della propria Pag. 73 di 195 classe sociale di appartenenza: quelli indicati sono […] compiti di sviluppo tipici degli adolescenti bianchi di classe media americana anni ’50.” (Palmonari, 1993, pag. 60). Compilare una unica lista di tutti i compiti di sviluppo di un adolescente è impossibile, soprattutto in una società complessa e pluralista come la nostra, proprio perché essi variano in base al contesto ed alle situazioni di vita. La nozione di compiti di sviluppo è tuttavia utile per indicare i diversi e molteplici problemi che un adolescente deve affrontare per costruire la propria identità e conquistare la propria autonomia. Vediamone alcuni. Abbiamo già sottolineato come l’adolescente si trovi a transitare in una sorta di “terra di mezzo”: sa di non essere più bambino e non ancora adulto, che ci sono alcune cose che non può più fare e altre che non può ancora fare, sa che gli altri (in particolare gli adulti per lui significativi) nutrono delle aspettative nei suoi confronti e vorrebbe essere in grado di soddisfarle. Spesso però non sa come fare. Da questa esperienza di nuove possibilità e di incertezza possono derivare comportamenti pieni di ansia così come di spavalderia, caratterizzati dalla paura di sbagliare o dalla ostentata e rigida sicurezza di sé. Quanto questi fenomeni comportamentali siano interdipendenti appare chiaro se vengono riferiti alla loro comune origine. Variazioni di classe sociale e di cultura possono accentuare, a loro volta, la tendenza del soggetto ad elaborare, in una direzione o nell’altra, le esperienze di incertezza proprie della condizione che sta vivendo. Sono perciò comprensibili, in rapporto a ciò, le difficoltà che ragazze e ragazzi incontrano in ogni transizione da un contesto ad un altro […]. Tali difficoltà saranno ancora più rilevanti qualora ragazzi e ragazze debbano inserirsi in un contesto in cui si parla una lingua diversa da quella natia e in cui i significati degli stili di vita e delle norme di comportamento non sono immediatamente comprensibili nemmeno agli adulti più prossimi come i familiari. (Montusci, Palmonari, 2006, pag.42) Uno dei compiti di sviluppo più importanti per l’adolescente è dunque quello di imparare ad orientarsi nell’ambiente socio-psicologico in cui è inserito e per farlo deve interessarsi ad esso, esplorare attivamente il mondo intorno a sé, saper vedere e cogliere le opportunità che offre. Gli adulti che lo accompagnano devono consentirgli questa libera esplorazione, offrendo il proprio supporto ma senza soffocarlo con una eccessiva pretesa di controllo. Far fronte alle trasformazioni fisiche e alla comparsa delle pulsioni sessuali è un altro compito di sviluppo che impegna tutti gli adolescenti, anche se, anche in questo caso, il significato che la società e la cultura di appartenenza attribuiscono a tali cambiamenti ha una forte influenza sui problemi che essi possono comportare. Speltini70 (1993) sottolinea che bisogna distinguere tra pubertà, che è il “passaggio dalla condizione fisiologica del bambino alla condizione fisiologica dell’adulto”, e 70 Speltini Giuseppina, Dall’infanzia all’adolescenza: pubertà e sviluppo fisico in Palmonari A., 1993. Pag. 74 di 195 adolescenza, che è il “passaggio dallo status sociale del bambino a quello dall’adulto”. Il corpo umano cambia continuamente, dalla nascita alla morte. Mentre però il bambino piccolo non è in grado di crearsi una rappresentazione mentale di tali mutamenti, l’adolescente è consapevole dei cambiamenti che rapidamente e profondamente lo trasformano. Egli deve trovare un senso di continuità e di stabilità di sé pur nel variare del proprio aspetto fisico. L’immagine corporea, relativamente alla percezione della propria piacevolezza fisica, può influenzare positivamente o negativamente la stima di sé del soggetto, così come può fare anche l’efficacia fisica, ossia il sentimento di poter incidere attraverso le proprie abilità e competenze fisiche sull’ambiente circostante (Thornton, Ryckman, 1991). Riguardo alla sessualità, si assiste oggi, nella società occidentale, ad una sempre più anticipata maturazione del sistema riproduttivo71, che si accompagna ad un sempre più ritardato riconoscimento della piena maturità sociale degli individui. L’adolescente si trova a dover ristrutturare la propria identità corporea72 e contemporaneamente a integrare la sessualità nell’immagine di sé, nella ricerca di un ruolo sessuale definito. Egli deve stabilire relazioni nuove e più mature con i coetanei di entrambi i sessi. Uno dei compiti di sviluppo più importanti per l’adolescente è quello di trovare la propria autonomia dalla famiglia di origine e costruire la propria indipendenza: questo è necessario per l’acquisizione di un’identità positiva e stabile di adulto. Non si tratta, ovviamente, di rompere i rapporti con i familiari, ma di trasformarli, rendendoli più paritari e reciproci; così come essere indipendenti non significa fare tutto quello che si vuole, ma assumersi la responsabilità di ciò che si fa, saper fare delle scelte, costruire nuove relazioni. Lutte (1987) sottolinea che l’autonomia da raggiungere non è solo esterna, ma anche interna: occorre imparare a scegliere senza costruirsi sensi di colpa, a giudicarsi in base a criteri propri e non in base a quelli attribuiti ai propri genitori. Contemporaneamente a questo processo di emancipazione e differenziazione dalle figure adulte, l’adolescente sente un sempre maggiore bisogno di rapportarsi con i propri coetanei, che diventano l’oggetto più prossimo di identificazione. A partire dagli studi di 71 Con tendenza secolare si intende un processo grazie al quale l’età della pubertà dei nostri adolescenti si è notevolmente abbassata nell’ultimo secolo, in maniera progressiva in tutti quei paesi che hanno conosciuto un periodo di sviluppo positivo, soprattutto economico; questo può trovare una spiegazione plausibile se si pensa alle conseguenze che spesso un migliore tenore di vita porta con sé, come una migliore e più ricca alimentazione, una migliore igiene etc. (Palmonari A., dal sito www.psicopedagogika.it) 72 Per identità corporea si intende “l’insieme di caratteristiche, elementi, conoscenze, qualità che l’individuo attribuisce al proprio corpo e che hanno una connotazione affettiva.” (Spelini G., 1993, cit.) Pag. 75 di 195 Sherif (1964), numerose altre ricerche hanno confermato l’influenza del gruppo di coetanei sulla formazione del concetto di sé in età adolescenziale. Nel gruppo, attraverso il rapporto ed il confronto con i coetanei, l’adolescente trova un luogo di identificazione, un punto di riferimento affettivo e cognitivo, un sostegno strumentale ed emotivo. Qui può sperimentare relazioni con l’altro sesso, esplorare nuovi spazi, valutare il proprio comportamento in modo autonomo. Insieme agli altri componenti del gruppo può cercare e costruire nuovi modelli e valori generazionali73. Di solito si tratta di gruppi informali 74, che si riuniscono abitualmente una o più volte alla settimana, per parlare e confrontarsi su vari argomenti. In che rapporto si trovano gruppo dei pari e famiglia? Sono gruppi in competizione o collaborativi? Da numerose ricerche sembra emergere che il sentimento di integrazione nella famiglia è presente nell’adolescente, ed è sempre più forte del sentimento di integrazione nel gruppo di pari, anche se diminuisce progressivamente in funzione dell’età a favore di un maggiore sentimento di individuazione. Inoltre gli adolescenti considerano i loro pari e i loro genitori delle guide ugualmente competenti, ma in campi differenti: ai genitori ci si rivolge in modo particolare per problemi morali e materiali, progetti e scelte future; al gruppo di amici per problemi sentimentali e per discutere su aspetti valoriali. (Malagodi Togliatti, Lubrano Lavadera, 2002, pagg. 116-117) Inserirsi positivamente nel gruppo di coetanei è dunque uno dei compiti di sviluppo dell’adolescente. Costruire un’identità sociale e professionale, comprendere il valore dell’esperienza scolastica e l’importanza di porre, grazie ad essa, basi solide per il proprio futuro, sono ulteriori compiti di sviluppo. Ogni adolescente dunque deve affrontare una serie di compiti e può farlo contando sulle risorse proprie e dell’ambiente, in base alla situazione e al contesto in cui è inserito. Alcuni faranno più fatica in alcuni ambiti, altri in altri. Gli adulti possono essere di sostegno e di aiuto, ma è necessario che sappiano valutare la vera natura del problema, distinguendo tra (Maggiolini, 1997): - difficoltà strettamente collegate ai compiti di sviluppo, che sono ostacoli da affrontare e non costituiscono un reale sintomo di disagio psicologico; - difficoltà che sorgono nell’affrontare tali compiti e che sono segnali di un disagio più profondo o di disadattamento; 73 Per un approfondimento, cfr. Freddi Cesare, 2005, La funzione del gruppo in adolescenza. Il gruppo di pari, terapeutico e di classe. I seminari di Area G, Milano, FrancoAngeli 74 “Il termine gruppi informali riguarda le aggregazioni di adolescenti formatesi in modo spontaneo o naturale che non perseguono attività specifiche; la coesione del gruppo si fonda sull’intensità della relazione e della comunicazione fra i vari membri e sulla condivisione del tempo libero, del divertimento, dell’impegno nei confronti della realtà.” (Palmonari, 1993, pag. 228) Pag. 76 di 195 - disturbi più gravi, sintomo di una vera e propria psicopatologia. Fu Lazarus (1966, 1974) il primo a introdurre il concetto di “far fronte” e a iniziare gli studi sulle modalità con cui le persone fanno fronte (are coping with) alle emozioni e allo stress. Egli parte dalla visione dell’uomo come essere pensante, in grado di valutare le situazioni, le risorse a disposizione e di decidere come farvi fronte, risolvendo, padroneggiando o tollerando i problemi incombenti. Il processo di coping consiste in una attività cognitiva che procede ad una doppia valutazione della situazione: nella prima di tali valutazioni la persona apprezza quanto siano rilevanti il rischio e la minaccia da affrontare, da dove derivino e quanto siano imminenti; nella seconda valutazione la persona apprezza che cosa può eventualmente fare per superare il pericolo e per migliorare le probabilità di ottenere un vantaggio. (Palmonari, 1993, pag. 62) Lazarus distingue tra due diverse modalità di coping: centrate sul problema (ad esempio, modificare la situazione) e centrate sull’emozione (ad esempio, prendere le distanze dalla situazione). Per il coping possono essere attivate risorse di tipo materiale e sociale o di tipo personale. Diverse ricerche sono state condotte per valutare in che modo gli adolescenti fanno fronte ai compiti di sviluppo. Tra queste ricordiamo quella di Seiffge-Krenke (1984), che ha costruito una lista di venti strategie di coping e l’ha verificata in otto ambiti problematici indicati dai ragazzi stessi (scuola, insegnanti, genitori, coetanei in genere, coetanei di sesso diverso, tempo per il divertimento, il futuro, sé stessi). La ricerca ha permesso di ricondurre le venti strategie iniziali a tre maggiori dimensioni: svolgere attività positive (ad esempio, cercare informazioni, chiedere consiglio, leggere testi pertinenti); sforzarsi per cercare una soluzione personale al problema; attivare difese (ad esempio, negare la situazione o fuggire). Quest’ultima dimensione è disfunzionale per lo sviluppo ed il benessere della persona. 2.1.4 Stili di attaccamento e sviluppo del concetto di sé in adolescenza Essere stati amati tanto profondamente ci protegge per sempre, anche quando la persona che ci ha amato non c’è più. Rowling, 2002, pag. 284 Pag. 77 di 195 Negli anni trenta/quaranta del secolo scorso, in ambito psicoanalitico furono compiuti numerosi studi sullo sviluppo della personalità del bambino e sulle conseguenze dell’assenza della figura materna. I risultati di queste ricerche e gli studi compiuti in ambito etologico da Lorenz influenzarono il lavoro di John Bowlby75, psicoanalista britannico che elaborò la teoria dell’attaccamento, che rappresenta oggi uno dei principali framework di riferimento nello studio della dimensione relazionale dello sviluppo del Sé. Gli sviluppi più recenti della teoria dell’attaccamento, a partire dalla cosiddetta “svolta rappresentazionale”(Main, Kaplan, Cassidy, 1985), hanno esplorato le configurazioni e i significati che i legami d’attaccamento assumono dall’infanzia all’età adulta, evidenziandone l’importanza nello sviluppo del Sé. (Arace, 2006, pag. 11) Secondo la teoria dell’attaccamento76, le modalità di accudimento del bambino, la qualità del rapporto che si stabilisce tra il piccolo e chi si prende cura di lui (in genere la madre) costituiscono una determinante fondamentale per uno sviluppo sano ed equilibrato. Il bisogno di protezione, impellente per la sopravvivenza del neonato, si manifesta come bisogno di vicinanza e conforto. La necessità di avere una base sicura da cui partire per esplorare il mondo e a cui tornare quando se ne sente il bisogno è fondamentale non solo per il bambino, ma è presente per tutta la vita. Tuttavia è nei primissimi anni che si pongono le basi per la costruzione di un attaccamento sicuro. In base alle modalità con cui la madre risponde ai richiami del bambino, egli gradualmente si costruirà un “modello operativo interno”, ossia una rappresentazione mentale della figura di attaccamento, del proprio sé e della relazione. Questo modello influenzerà lo sviluppo del bambino, in quanto è determinante della qualità dell’immagine di sé che il bambino interiorizza (e di conseguenza dell’autostima, della sicurezza e fiducia 75 John Bowlby nacque a Londra nel 1907 e morì nel 1990. Fu un importante psicoanalista britannico. Egli integrò il modello psicoanalitico classico con osservazioni comportamentali del mondo animale di stampo etologico, in particolare riguardo le interazioni madre-cucciolo e madre-bambino. Pose al centro del comportamento e della psiche umana il sistema d’attaccamento, come principale sistema motivazionale. 76 Per un approfondimento sulla teoria dell’attaccamento, cfr. Ainsworth, Mary, 1967, Infancy in Uganda: infant care and the growth of love, Baltimore, Johns Hopkins University Press; Bowlby, John, 1983, Attaccamento e perdita. 1: L'attaccamento alla madre, Torino, Boringhieri (ed. or. 1969); Bowlby, John, 1983, Attaccamento e perdita. 2: La separazione dalla madre, Torino, Boringhieri (ed. or. 1973); Bowlby, John, 1983, Attaccamento e perdita. 3: La perdita della madre, Torino, Boringhieri (ed. or. 1980); Bowlby, John, Una base sicura,1989, Milano, Cortina (ed. or. 1988); Crittenden, Patricia M., Nuove prospettive sull’attaccamento, 1994, Milano, Guerrini; Holmes, Jeremy , La teoria dell'attaccamento: John Bowlby e la sua scuola, 1994, Milano, R. Cortina; Cassidy Jude, Shaver Philip R. (a cura di), Manuale dell’attaccamento. Teoria, ricerca e applicazioni cliniche, 2002, Roma, Fioriti; Arace, Angelica, Attaccamenti, separazioni, perdite, 2006, Milano, Unicopli. Pag. 78 di 195 in sé stesso), dell’immagine degli altri (possibilità di avere fiducia negli altri, capacità di chiedere aiuto) e della possibilità di costruire relazioni positive e solide. I modelli operativi interni determinano il modo in cui il soggetto, divenuto adulto, interagisce con la realtà, sono una sorta di lenti attraverso cui osserva il mondo e le persone che lo circondano. Nel momento in cui si trova a costruire una relazione importante, come quella col partner o con i propri figli, ogni persona si pone in modo diverso a seconda della fiducia che ha sviluppato nei confronti di sé stesso, degli altri, della possibilità di costruire relazioni positive e sincere. Il modello di attaccamento che garantisce maggiori possibilità di uno sviluppo sano e corretto (l’attaccamento non è però l’unica variabile che influisce sulle modalità di crescita) è l’attaccamento sicuro. Quando la madre è sufficientemente vicina al bambino, si mostra attenta e sensibile ai suoi bisogni, ha un comportamento responsivo, il piccolo acquista fiducia in sé stesso e negli altri. Potrà tranquillamente esprimere i propri stati d’animo, sicuro che sarà ascoltato e accolto. Per chi ha sviluppato uno stile di attaccamento sicuro: Nell’adolescenza è più facile fidarsi, aver voglia di incontrare gli altri, esprimere con spontaneità i propri sentimenti. Andare incontro ai cambiamenti tipici dell’età credendo in sé, condividendo con i coetanei leggerezza, riflessioni, sogni e timori, tenerezza e intimità. Non trovarsi “disarmati” davanti alla tristezza e al dolore. Affrontare da soli o con la vicinanza di altri, ad esempio, la delusione o sofferenza per la fine di un rapporto. […] Sia la complicità che l’autonomia, la libertà, restano tutelate. C’è spazio per la differenza. (Verlato, 2011, pagg. 30-31) I modelli di attaccamento insicuro (ambivalente o evitante) non precludono tuttavia uno sviluppo “normale” del bambino, anche se ne comportano una maggiore fragilità. L’attaccamento evitante è legato ad una modalità di accudimento rifiutante: la mamma (o la persona che si prende cura del bambino) tende a evitare il contatto fisico, manifesta insofferenza o indifferenza verso i bisogni e le richieste del figlio, è soddisfatta quando il bambino è tranquillo e “si aggiusta da solo”. I bambini evitanti appaiono eccessivamente autonomi, ma in realtà sono rassegnati: sanno che è inutile chiedere aiuto, pensano che esprimere le emozioni possa portare ad una rottura del legame, ad essere rifiutati. Nell’adolescenza il desiderio di vicinanza e di amore si trova a lottare con la paura: paura di deludere, di non essere degni d’amore, dell’invasione, di perdere la libertà, paura delle emozioni (Verlato, 2011). Pag. 79 di 195 L’attaccamento ambivalente deriva da un atteggiamento imprevedibile della madre, che risponde in modo diverso alle richieste del bambino a seconda del proprio diverso stato d’animo: a volte ne ignora i segnali di richiesta di vicinanza, altre volte interviene senza bisogno, togliendo spazio alla sua spontaneità. Di conseguenza il bambino manterrà costantemente attivo il sistema di attaccamento, cercando continuamente l’attenzione della madre, sapendo che prima o poi riceverà la risposta che aspetta. Quando i genitori sono troppo soffocanti, iperprotettivi, temono il distacco e l’autonomia del figlio, egli impara a sentirsi amato solo quando risponde alle aspettative altrui ed evita tutto ciò che il genitore non approva o rifiuta. Durante l’adolescenza, il ragazzo continua a svalutare ciò che sente dentro di sé, tende a prendere come modello il modo di pensare degli altri, di cui è in grado di comprendere i bisogni che cerca di soddisfare. “Tende a dare più importanza al giudizio degli altri, ad adattarsi alle loro aspettative; la misura del suo valore è data dall’interesse che le mostrano, da una rubrica del cellulare piena di indirizzi, dal ricevere molti messaggi.” (Verlato, 2011, pag. 38) Più grave è la situazione dei bambini che, in seguito ad una modalità di accudimento che può definirsi traumatica (maltrattamento, abuso, trascuratezza, psicopatologie del genitore), sviluppano un attaccamento atipico di tipo disorganizzato o ambivalente/evitante. L’attaccamento atipico porta gravi conseguenze quali: deficit nella regolazione emotiva, nella capacità riflessiva e di mentalizzazione, maggiore vulnerabilità psicoaffettiva, bassa autostima, comportamento antisociale ed aggressivo. Se crescendo il bambino non ha la possibilità di sperimentare relazioni positive, di acquisire maggiore fiducia in sé e negli altri, sono alte le probabilità che da adolescente o da adulto manifesti disturbi di personalità (borderline) e patologie dissociative. C’è però una situazione ancora più pericolosa per lo sviluppo: quando il bambino non ha la possibilità di costruire un legame di attaccamento, perché abbandonato a sé stesso per la maggior parte del tempo o perché accudito da persone sempre diverse. In questo caso si verifica l’assenza di attaccamento, un problema definito nel DSM77-IV come “disturbo reattivo dell’attaccamento”, che può portare all’incapacità di instaurare relazioni significative, o ad una eccessiva e indiscriminata socievolezza verso adulti estranei. 77 Il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), noto con l’acronimo DSM, è uno dei sistemi nosografici più utilizzato da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo, sia nella clinica che nella ricerca. Pag. 80 di 195 I legami di attaccamento costruiti durante l’infanzia e la fanciullezza tendono a permanere negli anni successivi, specialmente se l’ambiente educativo rimane stabile (Bowlby, 1998), anche se possono subire trasformazioni e reintegrazioni. Una modificazione importante nel funzionamento può verificarsi con l’emergere della pubertà (Ainsworth, 1991), che dà l’avvio alla maturità fisica e sessuale. Sebbene la necessità di affermare il proprio bisogno di autonomia e individualità porti l’adolescente a manifestare comportamenti di fuga attiva e intenzionale dalle relazioni di attaccamento con le figure genitoriali (Allen, Land, 1999), anche per l’adolescente un attaccamento sicuro verso il padre e la madre è importante per affrontare i propri compiti di sviluppo (Rice, 1990). Egli, mentre da un lato ristruttura i propri modelli operativi interni, dall’altro avvia il proprio processo di cambiamento partendo dai presupposti creati dalle relazioni significative della sua infanzia. Un’altra caratteristica distintiva del sistema di attaccamento in adolescenza è il fatto che proprio a partire da questo momento transizionale dello sviluppo, grazie al sorgere del pensiero formale e di una più chiara percezione della differenziazione fra sé e l’altro, si assiste allo strutturarsi di un singolo «modello di attaccamento». Esso integra e sintetizza le più diverse esperienze relazionali passate e funge da intelaiatura per i legami successivi […]. Un altro aspetto fondamentale è che durante l’adolescenza il rapporto con i pari viene ad assumere le caratteristiche di una relazione di attaccamento […]. Esso soddisfa infatti quel bisogno di intimità e di sostegno che l’adolescente tende a non manifestare più con le figure genitoriali. 78 Secondo Armstden e Greenberg (1987) la qualità dell’attaccamento degli adolescenti verso le figure genitoriali può essere valutata in base alla fiducia riposta in tali figure, alla qualità e quantità dello scambio comunicativo e al sentimento di isolamento e disaffezione (alienazione), secondo il seguente schema: - livelli medi o alti di fiducia e comunicazione e livello medio o basso di disaffezione: attaccamento sicuro - livelli medi o bassi di fiducia e comunicazione e livello alto di disaffezione: attaccamento insicuro - livello medio o basso di fiducia e livelli medi o alti di comunicazione e disaffezione: attaccamento insicuro ambivalente Vari studi79 hanno dimostrato che in adolescenza l’attaccamento alle figure genitoriali diminuisce, pur mantenendosi su livelli alti. 78 Arace A., 2001, pag. 72 Cfr. Buist, Deković, Meeus, van Aken, 2002; San Martini, Zavattini, Ronconi, 2009; Fermani, Crocetti, Pojaghi, Meeus, 2010 79 Pag. 81 di 195 Un attaccamento sicuro ai genitori sembra essere, in adolescenza, correlato positivamente ad un più alto livello di autostima, maggiore benessere psicologico e sociale, migliori strategie di coping, adeguate competenze sociali e scolastiche (Crocetti, Rubini, Palmonari, 2008; Laible, Carlo, Raffaelli, 2000; Noom, Deković, Meeus, 1999; Vivona, 2000). Anche il processo di costruzione dell’identità personale sembra essere agevolato da un attaccamento sicuro (Arseth, Kroger, Martinussen, Marcia, 2009). Una recente ricerca (Fermani, Crocetti, Pojaghi, Meeus, 2010), ha mostrato come la chiarezza del concetto di sé80 degli adolescenti è associato positivamente alla percezione di fiducia riposta nel padre e nella madre e negativamente alla percezione di disaffezione nei confronti di entrambi i genitori. Inoltre durante l’adolescenza il concetto di sé tende a farsi più chiaro per i maschi e più incerto per le femmine, che si mostrano più attivamente impegnate nella ricerca della propria identità, più riflessive e più disposte a mettersi in discussione. “L’esplorazione, la riflessione e l’approfondimento possono, dunque, produrre condizioni di disagio, incertezza e confusione nel raggiungimento della chiarezza del concetto di sé”. Inoltre, mentre per i ragazzi delle scuole secondarie di primo grado il rapporto con il padre e con la madre sembrano avere la stessa importanza per la chiarezza del concetto di sé, durante le scuole superiori per le ragazze diventa rilevante solo il rapporto con la madre e per i ragazzi solo quello col padre. Questo, secondo gli autori, può essere legato al fatto che, mentre “durante la prima adolescenza i ragazzi e le ragazze possono vedere in entrambi i genitori modelli a cui rifarsi per la definizione della propria individualità”, successivamente, “durante la media e tarda adolescenza, la necessità di definire il proprio concetto di sé assumendo ruoli rilevanti in vari ambiti, tra cui spiccano le scelte legate al proprio ruolo di genere e al modo appropriato di vivere la sessualità […], possono spingere gli adolescenti a ricercare maggiore sostegno nel genitore dello stesso sesso, in modo da potersi confrontare con lui/lei.” I modelli operativi interni riguardano non solo il sé, ma anche l’altro e la qualità della relazione. Basandosi su schemi ripetuti di esperienze interattive, il bambino costruisce una quantità di modelli di sé stesso e dell’oggetto relazionale che influenzano il suo comportamento, le sue aspettative nei confronti degli altri e la qualità delle sue interazioni. 80 Gli autori della ricerca, mutuando il concetto da Campbell (1990), definiscono la chiarezza del concetto di sé come ciò che “indica la misura in cui le percezioni che un individuo ha di sé stesso sono chiaramente definite e temporalmente stabili.” Pag. 82 di 195 La ricerca condotta da Arace (2001) mostra come lo stile di attaccamento dell’adolescente ne influenza la rappresentazione di sé sia nella dimensione dell’identità personale che in quella dell’identità relazionale. “Un adolescente che ha sperimentato un attaccamento sicuro tende a percepire le relazioni interpersonali come fonte di sostegno per il Sé, manifestando un buon livello di reciprocità nel rapporto. Un attaccamento insicuro tende invece a favorire lo sviluppo di un modello di sé come non degno di cure e di attenzioni, e un modello degli altri come inaffidabili […].” Le ricerche fin qui citate sembrano dunque dimostrare che il tipo di legame di attaccamento sviluppato nell’infanzia influisce sullo sviluppo individuale dell’identità e della capacità relazionale in adolescenza. 2.2 Il progetto di sé: costruzione del sé come narrazione di sé Un giorno, nella notte dei tempi, un narratore iniziò a raccontare una storia. Da quel giorno nacquero i ricordi e, come per incanto, comparvero eroi, dei, donne e uomini da imitare. Le storie si diffusero per tutto il mondo e, oltre a narrarlo, contribuirono a formarlo. (Batini, Del Sarto, 2005, pag. 35) Identità è un concetto che più passa il tempo e più mi disturba perchè identità con che cosa? Oppure identità con chi? E nel caso dell’identità con sé stessi mi verrebbe da dire identità con sé stessi chi? E anzi mi sembra bello del mettersi a scrivere che uno trova sempre qualcos’altro. Trovare qualcos’altro mi sembra bello, perché uno esce dalla sua noia. (Cornia Ugo, Epistolario elettronico minimo su identità e narrazione, in Batini, Zaccaria, 2002, pag. 138) Nel capitolo precedente, parlando di orientamento narrativo, si è già accennato all’importante ruolo che la narrazione svolge nei processi di organizzazione, interpretazione e comprensione della realtà e nella costruzione dell’identità personale. Riconoscere che l’individuo utilizza un insieme di narrazioni per dare senso alla sua esistenza nel mondo, significa riconoscere che la mente umana funziona, appunto, attraverso le narrazioni. Nell’ambito della social cognition, l’individuo che attraverso l’osservazione della realtà, raccogliendo e interpretando informazioni dall’ambiente, cerca di comprendere il mondo circostante e sé stesso e di individuare le strategie di comportamento più efficaci, è stato nel tempo descritto in modi diversi. In un primo tempo (anni cinquanta-sessanta del secolo scorso) è stato definito “ricercatore di coerenza”, ossia come un soggetto interessato a mantenere uno stato di coerenza tra atteggiamento, credenze e sentimenti (Festinger, Pag. 83 di 195 1957; Heider, 1958). Lo stato di incoerenza è la motivazione che lo spinge a cercare di ritrovare lo stato di coerenza, modificando il proprio comportamento oppure attraverso una ristrutturazione cognitiva. Successivamente è stata introdotta le definizione di “scienziato ingenuo”: l’individuo, dotato di capacità logico-razionali e motivato a spiegare le cause degli eventi per poterli prevedere e sapere come agire, raccoglie i dati necessari alla conoscenza di un certo oggetto e giunge a conclusioni logiche (Kelley, 1967). Nella visione dell’uomo come “economizzatore di risorse cognitive” (Taylor, 1982) il soggetto è descritto come impegnato a risparmiare tempo ed energie grazie all’uso di “scorciatoie di pensiero” (euristiche), che però portano a distorsioni ed errori nel ragionamento e nel giudizio. Dagli anni ottanta si è diffuso il modello dell’individuo come “tattico motivato” (Fiske, Taylor, 1991). Egli possiede diverse strategie cognitive a cui fa ricorso in base agli scopi ed ai bisogni che si presentano in una determinata situazione: può pensare ed agire rapidamente oppure decidere di ragionare con calma, ponendo attenzione alle informazioni raccolte nella realtà. La motivazione assume un ruolo fondamentale ed è la base dell’attività di conoscenza. Parallelamente Bruner (1990) pone nuovamente in risalto l’importanza della “ricerca di significato” come scopo principale della psicologia umana. Egli sostiene che occorre analizzare come l’individuo, impegnato in tale ricerca, interpreta la realtà, gli altri e sé stesso. Infatti, secondo Bruner (1986, 1990), sia il mondo che il sé sono frutto di una costruzione intersoggettiva, sono prodotti dell’azione e della simbolizzazione umana. Gli individui vivono in un contesto e condividono esperienze e realtà con altri individui, con i quali partecipano a scambi di significati. La psicologia culturale 81, di cui Bruner è il fondatore, assume come punto di partenza il concetto di cultura: è infatti proprio la cultura che da significato all’azione, fornendo un sistema interpretativo alla luce del quale comprendere gli stati intenzionali propri e altrui. Tale sistema può essere meglio identificato in quella che Bruner definisce “psicologia popolare” (folk psychology) o più semplicemente “senso comune”. Le persone ritengono il mondo organizzato secondo certe modalità, giudicano coerenti le proprie idee, hanno credenze e desideri sulle base delle 81 Per un approfondimento sulla psicologia culturale, cfr. Inghilleri Paolo, 2009, Psicologia culturale, Milano, Raffaello Cortina editore; Groppo Mario, Ornaghi Veronica, Grazzani Ilaria, Carruba Letizia, 1999, La psicologia culturale di Bruner: aspetti teorici ed empirici, Milano, Cortina; Cole Michael, 1996, Cultural Psychology: a once e future discipline, Cambridge, Harvard University press (trad. it. 2004, Psicologia culturale: una disciplina del passato e del futuro, Roma, Carlo Amore) Pag. 84 di 195 quali agiscono con l’obiettivo di raggiungere determinati fini. Per sua natura la psicologia popolare è organizzata su base narrativa piuttosto che logica o categoriale82. Proprio per la naturale struttura narrativa della mente in letteratura è emerso il cosiddetto principio di Don Chisciotte, riferendosi a quel processo attraverso il quale la lettura e l’ascolto di storie contribuiscono a plasmare l’identità della persona, grazie a forti meccanismi identificatori. Così emblematicamente successe a Alonzo Quesada che dopo aver letto molti libri sui cavalieri erranti si immedesimò così tanto in loro da diventare Don Chisciotte della Mancia. (Farello, Bianchi, 2007, pag. 25) Bruner (1990, 1996) ha sottolineato come il significato che il soggetto attribuisce ad un evento influisce sul modo in cui tale evento viene memorizzato: tenendo traccia di alcuni aspetti e non di altri, evidenziando alcune cause piuttosto che altre, strutturando così il ricordo. Il mondo in cui viviamo è dunque costruito più dai significati attribuiti che dagli eventi. Una stessa esperienza può essere interpretata, vissuta e ricordata in modo diverso da persone diverse, che di conseguenza l’affronteranno in modo tra loro differente. Poiché le narrazioni costituiscono la realtà vissuta dagli esseri umani, la socializzazione delle narrazioni è un processo fondamentale di condivisione della realtà. Narrare è dare un senso alle cose. In particolare, la narrazione autobiografica è il racconto che una persona fa del proprio vissuto, richiamando alla memoria fatti, eventi, emozioni, scegliendo di cosa parlare, stabilendo un ordine nell’esposizione, attribuendo significati. Posto al centro della scena, protagonista assoluto del proprio narrare, il soggetto esamina sé stesso, attribuisce significati alla propria esistenza e, in questo modo, porta avanti il processo di autoformazione. Lo stretto legame che esiste tra dimensione narrativa e costruzione del sé ha massima espressione proprio nel resoconto autobiografico, prodotto dal pensiero narrativo, che rappresenta uno strumento attraverso il quale attribuiamo un senso a noi stessi e alla nostra storia per presentarci e inserirci nei canoni del sistema simbolico culturale a cui apparteniamo. (Carruba Letizia, in Castelli, 2002, pag. 210) Molti autori descrivono la struttura narrativa del sé come costituita da un certo numero di imago (Farello, Bianchi, 2007), che funzionerebbero in modo simile agli schemi del sé (cfr. paragrafo 2.1.2), essendo però anche associate a vissuti ed esperienze emotive. “Il Sé, dunque, viene considerato dotato di una struttura narrativa organizzata per schemi, ed è su questa base che la persona conosce sé stessa.” (ibidem, pag. 26) 82 E’ già stata accennata nel precedete capitolo la distinzione che Bruner fa tra due diversi tipi di funzionamento del pensiero: il pensiero logico-scientifico (o paradigmatico) ed il pensiero narrativo. Pag. 85 di 195 Infatti, grazie a questi schemi narrativi il soggetto riconosce sé stesso e gli altri ed è in grado di prevedere come si svolgeranno determinati eventi, elaborando soluzioni ai possibili problemi che possono sorgere. Il concetto di Sé narrativo comprende, secondo Smorti (1994) tre livelli di analisi: la narrazione sul sé (i fatti e gli eventi rilevanti per una persona), la rappresentazione narrativa sul sé (gli episodi importanti della vita di una persona sono organizzati in una trama narrativa che li connette), gli schemi narrativi sul sé (tipo specifico di conoscenza generale in base al quale le narrazioni sul sé possono essere create, archiviate, ricostruite). Nel trasformare i propri ricordi in racconti, l’individuo deve trasformare il linguaggio interiore, deve “linealizzarlo” (Smorti, 2007), trasporlo in fonemi e quindi in parole in successione. Deve cioè tradurlo in un linguaggio esteriore, che deve seguire delle regole culturali ed essere comprensibile per l’ascoltatore, adeguato al contesto in cui sarà esposto. Nel racconto autobiografico, il contenuto della memoria, trasformato in storia, assume una configurazione nuova, in cui un protagonista (l’individuo stesso) agisce o subisce su una scena, segue uno scopo, utilizza mezzi e risorse. Non si tratta solo di una riorganizzazione dei ricordi: Quando la memoria autobiografica si trasforma in narrazione autobiografica questa nuova forma che il ricordo assume non è come il vestito buono che mettiamo per uscire di casa. I nostri ricordi risultano sostanzialmente trasformati. Infatti la narrazione autobiografica funziona come ristrutturazione dei processi di memoria. Quando noi torneremo a ricordare, attraverso la memoria autobiografica, noi ricorderemo qualcosa che è stato trasformato dalla narrazione autobiografica e la storia della nostra vita starà dentro di noi pronta ad una nuova trasformazione per opera di un successivo racconto. (Smorti, 2007). Bruner (1990) ha scritto che nell’autobiografia un narratore, presente qui e ora, descrive il procedere di un protagonista là e allora, protagonista che porta il suo stesso nome. Deve quindi legare passato e presente, congiungere narratore (nel presente) e protagonista (nel passato), dimostrare che, pur essendo distinti, essi sono una persona sola. Deve coniugare tra loro il sé narrante e il sé narrato e, per fare questo, l’autobiografia deve contenere una qualche teoria narrativa sul cambiamento e sull'identità. Infine, le ricerche condotte in diversi ambiti (Spence, 1982; Pennebaker, 1990), hanno dimostrato come narrare i propri ricordi e le proprie esperienze produca una profonda trasformazione del sé, del mondo interno, influenzando così i successivi processi di pensiero, ricordo, immaginazione. Pag. 86 di 195 La costruzione delle narrazioni avviene nel tempo, nell’interazione con l’ambiente sociale, ed è alla base delle scelte, dei desideri, delle aspirazioni che emergono proprio dall’interpretare gli eventi passati, presenti e futuri. Il soggetto immagina scenari futuri e possibili percorsi per realizzare i propri progetti, da solo o collaborando con altri. Ricerche su adolescenti hanno dimostrato che l’utilizzo di modalità narrative di pensiero facilita, in ambito scolastico, un adattamento soddisfacente, in quanto il soggetto si colloca in un contesto di senso che ha un inizio e una fine, le emozioni vengono canalizzate in una trama e per questo seguono un ordine costruttivo. La narrazione permette di giungere a un buon livello di completezza e di chiusura in senso psicologico, favorendo una visione più definita dei compiti da portare a termine. Pensare in modo narrativo sembra favorire la capacità di collaborazione con gli altri per realizzare i propri progetti. (Farello, Bianchi, 2007, pag. 27) Aiutare un soggetto a crescere, a prendere consapevolezza di sé, delle proprie capacità e possibilità, a impegnarsi nella costruzione attiva della propria identità e della propria vita significa, dunque, sostenerlo nel processo di costruzione di “mappe” della realtà, mappe che gli consentano di orientarsi, di trovare un senso al proprio procedere, al proprio agire nel mondo e di scegliere una direzione da seguire. Gran parte del lavoro degli educatori possiamo allora dire che consiste nel modificare le storie che le persone raccontano su sé stesse, sulle persone che hanno accanto, sul proprio lavoro e sulle relazioni che legano questi diversi mondi della vita; nel conferire potere alle persone e nel renderle consapevoli del controllo che possono avere sulle proprie vite o sulle proprie professioni mettendole in grado di riscrivere e riprogettare le storie familiari, le storie professionali in maniera tale che ognuno venga investito del potere di cambiare le situazioni e mettere in atto mutamenti positivi. (Rossi, Fabbri, 2005, pag. 59) 2.3 Decidere la propria vita Il battente di bronzo tornò a chiamare la donna delle pulizie, ma la donna delle pulizie non c’è più, ha fatto il giro ed è uscita con il secchio e lo spazzolone da un’altra porta, quella delle decisioni, che viene usata di rado, ma quando viene usata, lo è per davvero. Saramago J., 1998, pag. 11 L’identità è dunque ciò che permette a ogni individuo di riconoscere sé stesso nonostante il passare del tempo, il mutare delle situazioni, il succedersi delle esperienze vissute. Passando da una fase all’altra della vita egli si riconosce come essere unico, distinto da tutti gli altri, e percepisce la propria continuità. Anche se alcune sue componenti non possono essere scelte, come ad esempio il nome, il sesso e la razza, l’identità chiama in gioco le possibilità, le capacità e l’intenzionalità del Pag. 87 di 195 soggetto ed, essendo in continuo mutamento, presenta le caratteristiche di evolutività, incompiutezza e plasticità. In una prospettiva costruttivista, l’identità può essere concettualizzata come un insieme di diverse dimensioni e di più livelli interpretativi, come un sistema che non si consolida quasi mai, ma resta invece sempre fluido, suscettibile al contesto, al tempo, agli stati emotivi, alle esperienze pregresse. Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, Bruner (1986, 1990) ritiene che le varie parti che compongono l’identità siano tenute insieme, assumendo una forma unitaria e caratteristica, grazie al processo di significazione attraverso cui si costruisce l’identità stessa. Il soggetto costruisce e ricostruisce il significato delle proprie azioni, emozioni, esperienze utilizzando il pensiero narrativo. Mediante il linguaggio si rappresenta la realtà del mondo e la realtà di sé e può condividere tali rappresentazioni con le persone con cui si trova a interagire. La narrazione non ha però solo la capacità di organizzare la realtà e consentirne l’interpretazione, ma anche quella di permetterne il controllo, di facilitare l’agentività dei soggetti. Nominare la realtà, “tenerla a mente” in un insieme coerente e ordinato dà la sensazione di controllo, di ordine, di tranquillità. Se gli eventi hanno un senso, una posizione definita nel quadro complessivo della vita, è possibile esercitare su di essi un controllo sia dal punto di vista cognitivo che emotivo. Avere la percezione di sapere come stanno le cose e come muoversi al loro interno aumenta il senso di autoefficacia del soggetto, contribuendo di conseguenza allo sviluppo del suo empowerment. Il procedimento di riconoscimento del senso, della coerenza e della continuità del racconto, della sua adeguatezza, si configura come narrazione sulla propria narrazione. Si tratta di un procedimento tipicamente metacognitivo, e come la metacognizione costituisce un procedimento di controllo sulla propria conoscenza, così la narrazione interna consente l’esercizio del controllo sulla realtà. (Batini, Giusti, 2008, pag. 43) L’identità è frutto di un processo di costruzione, di crescita, di maturazione, che chiede di mettere in campo le capacità progettuali e direzionali dell’individuo, il quale si trova a fare i conti con la necessità di interagire con gli altri e con il mondo, interazione in cui l’identità si costruisce e consolida, ma che può essere anche luogo di difficoltà ed ostacoli. Realizzare sé stessi non è solo un diritto, ma è anche un compito (Batini, Del Sarto 2005), compito reso oggi più difficile dalla complessità della società in cui viviamo, dalle continue spinte al conformismo e al consumismo che provengono dai media, che si Pag. 88 di 195 sforzano di persuadere un pubblico a volte ingenuo e disarmato che “acquistare” è sufficiente per “divenire” e che “apparire” è sinonimo di “essere”. Elaborare un progetto di sé è dunque un compito di primaria importanza. Non si tratta ovviamente di predisporre un dettagliato piano d’azione da realizzare passo a passo, quanto piuttosto di scegliere una direzione, delineare possibili percorsi, fare delle scelte. Ancora una volta le caratteristiche che devono contraddistinguere il progetto di vita sono flessibilità, dinamicità, capacità di revisione e di adattamento. De Pieri (2000) identifica le seguenti competenze come necessarie per poter elaborare un realistico progetto di vita (life-planning), saperlo attuare e riadattare quando le circostanze lo richiedano: - conoscere e accettare sé stessi: accettare i propri limiti, il proprio passato (successi e insuccessi), superare il condizionamento del giudizio altrui e formare un positivo concetto di sé - saper programmare e programmarsi: immaginare il futuro, calcolare risorse e opportunità, prevedere azioni e obiettivi a breve, medio e lungo termine - farsi un quadro di valori, distinguendo tra i valori che riguardano le cose possedute e quelli che riguardano il modo di essere della persona - saper decidere, basandosi sugli obiettivi del progetto di vita e non su istinti e pregiudizi Abbiamo visto come l’individuo definisca sé stesso nella relazione con l’altro, sia rispecchiandosi nel suo sguardo (Cooley, 1902), sia confrontandosi con ciò che “non è” e guardando a ciò che “potrebbe essere”. L’altro con cui rapportarsi non è sempre esterno al soggetto, ma si può configurare anche come un altro sé, come un sé possibile (Markus, Nurius, 1986). Il soggetto utilizza nella costruzione di sé anche la dimensione del futuro e del realizzabile, immaginando possibili modi di essere, sia in una prospettiva temporale (chi sono, chi sarò), sia in una prospettiva basata su diversi livelli di realtà (chi sono, chi potrei diventare, chi vorrei diventare). Il futuro, che per sua natura è ignoto, porta con sé speranze e apre le porte ai desideri, ai sogni, alle aspettative, ma anche alla paura, al timore di non farcela, al dubbio. All’immagine di ciò che verosimilmente si potrebbe diventare si affiancano anche le immagini dei sé desiderati e dei sé temuti, che concorrono alla costruzione dell’identità e sono fortemente influenzati dalle aspettative che il soggetto ha su se stesso, sul contesto in cui vive e sulla possibilità di agire attivamente in tale contesto, eventualmente modificandolo. Pag. 89 di 195 In particolare l’adolescente, che non è più un fanciullo e non è ancora un adulto ma è sostanzialmente alla ricerca di sé, esercita la sua mente al desiderabile e al possibile (Palmonari, 2001). Se il sé attuale è in continua evoluzione ed i sé possibili si proiettano nel futuro, la dimensione temporale del sé comprende anche il passato, la memoria di sé. La possibilità di costruire il proprio futuro affonda le radici nel terreno dei ricordi e del significato che a tali ricordi viene attribuito, si nutre del presente, che non è mai statico e rapidamente diviene passato. I sé possibili emergono dalle esperienze sociali passate, ma instaurano anche un legame dal presente al futuro (Dunkel, 2000, pag. 522). I sé possibili sono mediatori di una motivazione a lungo termine capaci di fornire una direzione per il raggiungimento dell’obiettivo desiderato (Wurf, Markys, 1991). Guardare al futuro come qualcosa da creare o inventare implica necessariamente la disponibilità al cambiamento, a modificare il proprio modo di essere, ad andare “oltre”. Dunkel (2000) paragona l’individuo ad uno scienziato che, partito all’esplorazione della propria identità, formula ipotesi da verificare. Tali ipotesi prendono la forma di sé possibili. Dopo aver immaginato i vari percorsi, resta ancora da scegliere quale intraprendere, progettare il cammino e avviarsi nella direzione scelta. 2.3.1 Il processo decisionale Prendere una decisione è un’operazione complessa, difficile, che richiede di combinare insieme aspettative, bisogni, possibilità concrete. Secondo il principio della razionalità, ci si potrebbe aspettare che gli individui tendano a fare sempre la scelta “migliore”, ossia quella che ha maggiori probabilità di produrre le migliori condizioni possibili. In realtà, nell’ambito dello studio dei processi decisionali, le teorie razionalistiche si sono rivelate inadeguate a descrivere il comportamento umano (Tversky, Kahneman, 1974). L’uomo tende a ricorrere a strategie che producono risultati soddisfacenti, anche se non ottimali, al fine di risparmiare le proprie energie cognitive (Simon, 1981). Nell’effettuare delle scelte l’individuo è condizionato dai propri limiti (per esempio di memoria e attenzione), dalle conoscenze a cui può accedere, dalla complessità dell’ambiente, dal tempo disponibile. Simon parla di “razionalità limitata”. Pag. 90 di 195 Anche nel valutare le situazioni e formulare giudizi la mente umana non si comporta seguendo un modello razionalistico. Si è già accennato alle euristiche (scorciatoie di pensiero), utilizzate per semplificare le operazioni da svolgere per calcolare la probabilità degli eventi. Inoltre la mente umana tende al conservatorismo (Edwards, Phillips, 1964) e fatica a prendere in considerazione dati nuovi, specialmente se contrastano con quelli di cui è già in possesso e che sono consolidati. Lo scarto tra modelli matematici fondati sulla teoria della probabilità e comportamento umano dovrebbe rivelare la limitatezza dei modelli scientifici rispetto alla complessità della mente umana piuttosto che orientare a ritenere “inadeguata” la capacità personale di ragionare e decidere. La conoscenza delle strategie euristiche permette così di elaborare nuovi modelli di sostegno alla dimensione cognitiva della scelta, modelli che partono dall’accettazione dell’uomo, così come egli è […]. (Sbattella, 2002) Le capacità decisionali, in particolare quelle necessarie per elaborare progetti di sviluppo personale, cambiano nel corso del tempo. Ginzberg et. al (1951) hanno elaborato un modello per rappresentare la sequenza di fasi che segnano la maturazione delle capacità decisionali, fasi che sarebbero influenzate da fattori sociali, economici, familiari, dalla formazione scolastica, da pressioni a decidere, dai valori e dall’assetto emotivo del soggetto. Anche se la concezione stadiale dello sviluppo appare oggi superata, tuttavia le ricerche hanno constatato che tra i 12 e i 18 anni la capacità di prendere decisioni aumenta (Lewis, 1981) e già intorno ai 14-15 anni gli adolescenti sono in grado di identificare più soluzioni possibili per un problema e di rappresentarle in termini astratti (Mann et al., 1989; Nota, 2001). Successivamente aumenta il numero di alternative che i soggetti sono in grado di individuare, cresce l’attenzione alle conseguenze delle proprie scelte e diviene più frequente il ricorso ai consigli e alle informazioni che persone più esperte possono fornire. Nel processo decisionale non entrano però in gioco solo fattori cognitivi, ma anche fattori emotivi, come la capacità di controllare l’ansia, lo stile di coping, gli atteggiamenti generali, oltre alla capacità di tollerare lo stress derivante dalla possibilità di insuccesso e dalle possibili implicazioni negative legate alla scelta (Goffman, 1971). La teoria del conflitto decisionale di Janis e Mann (1977) rappresenta un tentativo per comprendere come le persone gestiscono i conflitti psicologici e per individuare le condizioni in cui utilizzano i diversi stili di coping. In particolare tale teoria descrive le Pag. 91 di 195 modalità, adattive e non, con le quali le persone affrontano decisioni difficili e si occupa di come fattori quali l’autostima e la fiducia influenzano tali decisioni. Identifica le seguenti strategie usate per far fronte al conflitto decisionale: - Compiacenza, che si può manifestare come adesione non conflittuale (la persona decide di continuare a fare ciò che sta facendo, ignorando le informazioni sui rischi e sulle perdite) o cambiamento non conflittuale (decisione acritica di adottare qualsiasi nuovo corso di azione che venga consigliato e indicato da altri) - Ipervigilanza, quando si effettua una scelta impulsiva (in genere si attua quando non c'è tempo sufficiente per valutare o per ponderare una serie di opzioni) - Evitamento difensivo, descrive la tendenza ad evitare la presa di decisione. Tre sono i tipi di evitamento: il procrastinare (rimandare senza necessità una riflessione, riluttanza a risolvere compiti o problemi); lo scaricare la propria responsabilità su altri (trasferire la responsabilità ad un’altra persona e accettare acriticamente la sua scelta); il razionalizzare (ignorare le informazioni disponibili su alcune alternative e alterare dati di realtà) - Vigilanza. È la strategia di decision-making più efficace e vantaggiosa. Questo stile adattivo di comportamento richiede che vengano realizzate le seguenti sette fasi: individuare i valori e gli obiettivi importanti; vagliare una serie di opzioni che permettano di perseguire i propri obiettivi; condurre una ricerca accurata di informazioni; valutare le informazioni senza pregiudizi; assimilare nuove informazioni; riesaminare tutte le informazioni; scegliere ed implementare quanto deciso. Nella società contemporanea, contrassegnata dalla complessità, il compito di pensare e organizzare il proprio progetto di vita, una volta ritenuto tipico dell’adolescenza, diventa il motivo dominante di tutta l’esistenza. In questo ambiente lavorativo moderno, incerto e mutevole, andremo più d’accordo con le persone indipendenti, vigilanti e proattive che sanno gestire le incertezze e assumersi dei rischi, con le persone che imparano in fretta e che comunicano bene. […] I giovani che hanno un forte bisogno di sicurezza e di stabilità troveranno il nuovo ambiente molto difficile. In questo ambiente, la persona con un problem-solving e con uno stile di decision-making attivi e vigili si troveranno bene, la persona con uno stile di decision-making passivo, evitante e procrastinatore avrà sicuramente dei problemi. (Mann, 2000, pag. 69) Pag. 92 di 195 Mann (2000) ritiene che l’evitamento difensivo, diffuso in tutta la popolazione, sia particolarmente problematico in adolescenza, proprio perché in tale periodo “il giovane si trova di fronte ad importanti decisioni relative alla propria autonomia e indipendenza, alle pressioni del gruppo e all’accettazione sociale, allo studio, al lavoro e alle scelte che hanno a che fare con la sessualità, all’uso di droghe e di alcolici e ad altre scelte riguardanti la salute e il benessere psicologico.” La procrastinazione può essere determinata da molteplici fattori e pertanto si esprime in modi diversi (frequente distrazione, trovare scuse, ma anche eccesso di perfezionismo). Spesso i procrastinatori si trovano a completare il compito all’ultimo minuto, freneticamente e talvolta con un aumento di eccitazione e adrenalina. La procrastinazione è spesso accompagnata da sentimenti di inadeguatezza personale e di frustrazione, da insoddisfazione, nei casi più gravi può assumere la forma di una psicopatologia. Talvolta, quando il problema da risolvere è particolarmente difficile e/o le informazioni a disposizione sono insufficienti, la procrastinazione può essere “costruttiva” (Janis, Mann, 1977), in quanto diventa attesa di un aiuto, di un evento che possa cambiare la situazione Si può inoltre distinguere (Mann, 2000) tra: - procrastinazione come risposta ad un particolare problema, che può essere basata sul conflitto o sul compiacimento - procrastinazione abituale di fronte alle decisioni, che può essere abitudinaria, o dovuta a carattere/personalità, oppure basata sulla sicurezza o sullo stile cognitivo o sulla coercizione (quando la persona si prefigge di raggiungere standard e aspettative eccessivi) La strategia più adattiva tra quelle elencate è la vigilanza, che è l’unica ad essere associata a livelli di stress moderati e che sembra portare a prendere le decisioni più efficaci. L’ansia, tenuta sotto controllo, non ostacola le operazioni cognitive necessarie alla scelta, piuttosto le sostiene. 2.3.2 Volere quel che si fa Ma cos’è che spinge a decidere? Alla base di ogni decisione ci sono delle motivazioni, che svolgono sia la funzione di attivare (componente energetica) il comportamento, sia quella di orientarlo (componente direzionale). Pag. 93 di 195 Le motivazioni si dicono primarie quando sono tese al soddisfacimento di bisogni naturali e istintivi, secondarie quando soddisfano bisogni di carattere sociale e culturale. La motivazione da sola non è però sufficiente affinché un soggetto riesca a portare a termine un compito che si è prefissato: occorre che abbia anche la volontà di farlo. Alla fase motivazionale deve seguire la fase volitiva, che richiede impegno, attenzione, organizzazione, regolazione emotiva. L’attenzione implica la capacità di selezionare percettivamente gli elementi rilevanti rispetto all’obiettivo; l’organizzazione si riferisce alla strategia che il soggetto utilizza per aggiungere in modo efficiente ed efficace lo scopo che si è proposto; la regolazione Figura 5 - Processi motivazionali e volitivi emotiva consente di gestire le proprie emozioni rilevanti rispetto al compito e all’obiettivo posto (D’Alessio, Laghi, Pallini, 2005, pag. 170, da cui è tratta anche la Figura 5). Tornando agli aspetti motivazionali, resta ancora da chiederci cosa guida un individuo nella scelta degli obiettivi da perseguire. Come illustrato nella Figura 5, alla base di tale scelta troviamo gli interessi, i bisogni ed i valori. Il termine “interesse” deriva dal latino: inter (tra) e esse (essere), ossia significa “essere tra”. Gli interessi sono elementi cognitivo/affettivi che si frappongono tra i bisogni da soddisfare e gli oggetti che noi riteniamo possano costituire una risposta ai nostri bisogni. (D’Alessio, Laghi, Pallini, 2005, pag. 112) Viglietti (1988) ritiene che l’interesse si collochi tra il bisogno (inteso come generica manifestazione di mancanza di qualcosa) ed il valore (ossia ciò che soddisfa il bisogno). L’interesse è quindi la tendenza, che coinvolge aspetti emotivi e cognitivi, ad agire per raggiungere l’oggetto condizionante il valore. Attraverso gli interessi si struttura il proprio sistema di valori. Pag. 94 di 195 I valori si distinguono dai bisogni perché permangono anche se sono soddisfatti e si distinguono dagli interessi, per il loro aspetto normativo. E’ possibile definire i valori come: principi ideali da cui derivano norme e condotte. (D’Alessio, Laghi, Pallini, 2005, pag. 123) La motivazione è stata oggetto di numerosi studi e ricerche. Secondo l’approccio comportamentista, l’agire umano può essere spiegato come reazione ad uno stimolo e come risposta al rinforzo positivo o negativo presenti nell’ambiente in cui il soggetto è inserito. Gli sviluppi più recenti di questo orientamento hanno riconosciuto il ruolo dell’attività cognitiva e delle emozioni del soggetto come mediatori tra lo stimolo e la risposta. Maslow83 (1954) ha sottolineato l’importanza dei bisogni, che sarebbero alla base dell’agire umano. Egli stabilisce una gerarchia di bisogni costruendo quella che è stata definita la “piramide di Maslow” (Figura 6)84. Al livello più basso della piramide ci sono i bisogni fisiologici, seguiti dai bisogni di sicurezza, di appartenenza, di stima (bisogni dell’Io), fino ad arrivare ai bisogni di autorealizzazione o meta-bisogni. Il Figura 6 - Piramide di Maslow soddisfacimento dei bisogni a livello più basso è necessario per poter affrontare quelli di livello più alto e, parallelamente, nel momento in cui si è soddisfatto un livello si attivano i bisogni di livello superiore. I processi motivazionali sono fondamentali per la vita umana: essi sono presenti in tutte le culture e in tutti i popoli del mondo. I bisogni degli uomini sono universali, ma vengono soddisfatti in modo diverso nelle varie culture. A partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, due concetti sono stati ripetutamente utilizzati nello studio della motivazione: motivazione intrinseca e motivazione estrinseca. L’uso di questo concetto può essere così riassunto: un comportamento può essere definito motivato intrinsecamente quando avviene in virtù di sé stesso, oppure, in altri termini, quando un individuo agisce sulla base del proprio impulso. Un comportamento viene invece definito motivato estrinsecamente quando il suo movente è posto all’esterno dell’azione vera e propria, oppure, in altri termini, quando un individuo sembra guidato da fuori. (Rheinberg, 1997, pag.139) 83 Maslow (1908-1970), psicologo statunitense, fu un esponente di spicco della psicologia umanistica. Per approfondire il suo pensiero, cfr. Goble Frank G., 2004, The Third Force: The Psychology of Abraham Maslow, Chapel Hill (NC), Maurice Bassett 84 L’immagine “La piramide di Maslow” è tratta dal sito www.lucianogiustini.org Pag. 95 di 195 In realtà vari autori hanno nel tempo elaborato diverse teorie che si occupano della distinzione tra intrinseco ed estrinseco. Deci e Ryan (1985) sostengono che si può parlare di motivazione intrinseca se il comportamento è autodeterminato e autonomo. Alla base della condotta autodeterminata c’è il bisogno di competenza ed efficacia. I contesti sociali favoriscono un atteggiamento motivato intrinsecamente se soddisfano tre bisogni: il bisogno di competenza, di autonomia e di relazione. Un esempio relativo ad attività in sé stesse soddisfacenti riguarda l’esperienza flow (flusso), descritta da Csikszentmihalyi (1993). Si tratta di esperienze in cui l’individuo è assorbito in modo completo e irriflesso da un’attività che fluisce senza ostacoli. In tali esperienze di flusso, azione e consapevolezza si fondono insieme con una totale concentrazione che determina un’absorption totale. In tali esperienze vi è una perdita della dimensione temporale e una focalizzazione attentiva che esclude tutti gli stimoli non connessi col compito. (D’Alessio, Laghi, Pallini, 2005, pag. 136) Sia le teorie del rafforzamento del comportamento che le teorie dei bisogni hanno descritto le azioni motivate delle persone come reazioni a pressioni, aventi origine da incentivi estrinseci oppure da bisogni sentiti internamente. Gradualmente, le teorie della motivazione hanno cominciato a riconoscere che le persone, oltre a essere sollecitate in questo modo, sono talvolta più proattive nel decidere cosa vogliono fare e perché vogliono farlo. Considerando questa evoluzione, la maggior parte dei teorici della motivazione ha mutato orientamento: dai bisogni delle persone è passata a parlare degli obiettivi delle persone. Uno dei primi e più importanti esponenti della teoria degli obiettivi è Martin Ford (1992), che ha considerato tre processi interrelati nell’ambito motivazionale: le convinzioni sulle proprie capacità d’azione, l’arousal emotivo, l’individuazione di obiettivi personali. Wentzel (1999) definisce un obiettivo come un insieme integrato di convinzioni, attributi, affetti e sentimenti che guidano le intenzioni comportamentali. Pag. 96 di 195 Le variabili motivazionali sono influenzate dalla percezione della propria autoefficacia, ossia dal giudizio sulle proprie capacità, dal concetto di sé e dall’autostima 85, intesa come giudizio circa il proprio valore. Si è già accennato (paragrafo 2.1.2) al concetto di self-efficacy elaborato da Bandura, che gli attribuisce un ruolo centrale nella regolazione del comportamento e nella scelta di obiettivi ed azioni da intraprendere. Le credenze di autoefficacia consentono di anticipare una serie di “scenari” in cui, se tali credenze sono buone, l’individuo si immagina impegnato con successo in varie attività, altrimenti si prefigura difficoltà e fallimenti. Inoltre esse influenzano gli stati emozionali, per esempio aumentando il livello di stress, depressione, ansia, che a loro volta influenzano la quantità e la qualità delle azioni di fronteggiamento che l’individuo riesce a mettere in atto. Le aspettative di efficacia influenzano e “controllano” il comportamento umano attraverso una serie di processi di mediazione che sarebbero particolarmente attivi: • nell’individuazione e selezione degli obiettivi personali; • nella determinazione della quantità di persistenza che può essere profusa nei tentativi di raggiungimento dei propri obiettivi; • nella caratterizzazione delle emozioni che si sperimentano quando vengono avanzate richieste di prestazione o quando ci si trova impegnati nella risoluzione di situazioni “difficili”; • nella scelta di compiti e situazioni. (Nota, Soresi, 2000, pag. 17) Al concetto di autoefficacia è collegato quello di locus of control, ossia al fatto che un individuo ritenga gli eventi della propria vita prodotti dai propri comportamenti e azioni (locus of control interno), oppure da cause esterne indipendenti dalla propria volontà (locus of control esterno). Il costrutto di locus of control fu elaborato per la prima volta da Rotter (1954, 1966, 1990). Successivamente Weiner (1979, 1986) ha sottolineato che la percezione delle persone circa le cause dei risultati che riescono ad ottenere è influenzata da tre diverse dimensioni: il locus, la stabilità attribuita alle cause stesse e la controllabilità, ossia quanto esse si ritengano responsabili dei propri comportamenti. In generale, persone che hanno un locus prevalentemente interno hanno più fiducia in sé stessi, sono in grado di 85 L’autostima “può essere considerata come la componente valutativa del concetto di sé, caratterizzandosi come l’insieme dei sentimenti di autoaccettazione, di autopiacevolezza e di autorispetto che la persona nutre nei propri confronti.” (Nota, Soresi, 2000, pag. 37) Pag. 97 di 195 padroneggiare meglio le situazioni stressanti, intraprendono compiti più difficili e persistono nonostante gli insuccessi86. 2.3.3 Sapere quel che si vuole Poi, poco dopo il sorgere del sole, l’uomo e la donna andarono a dipingere sulla prua dell’imbarcazione, da un lato e dall’altro, a lettere bianche, il nome che ancora bisognava dare alla caravella. Verso mezzogiorno, con la marea, L’Isola Sconosciuta prese infine il mare, alla ricerca di sé stessa. Saramago J., 1998, pag. 29 Nel progettare il proprio futuro i ragazzi hanno bisogno di avere principi guida a cui far riferimento e di costruire gradualmente un proprio sistema di valori. L’adolescente, confrontandosi e mettendo in discussione i modelli che la famiglia e la scuola gli hanno trasmesso nell’infanzia, conferma più consapevolmente valori prima accolti in modo acritico, oppure ne individua di propri. Il sistema di valori così abbozzato si stabilizzerà nel corso del tempo, contribuendo alla costruzione dell’identità del soggetto. L’adolescente ha fame di relazioni verticali con adulti competenti e desidera porre ai genitori domande cruciali per la sua crescita. Perciò le idee e i valori genitoriali giocano un ruolo fondamentale nella formazione dell’identità e nei processi di scelta. Proprio nell’ambito familiare e scolastico vengono sollecitate le prime aspirazioni, incoraggiati comportamenti, favorite o impedite le scelte. L’adolescente si confronta comunque con il sistema di valori del proprio gruppo di appartenenza, sia per prenderne le distanze sia per identificarsi. . (D’Alessio, Laghi, Pallini, 2005, pag. 126) Si è già accennato nel capitolo precedente (paragrafo 1.4), come nella società occidentale attuale manchino per i giovani stabili punti di riferimento valoriali e come, di conseguenza, ci sia una tendenza a rinunciare alla dimensione progettuale della vita. Verlato (2011), in base alla sua esperienza come psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva, rileva come sempre più spesso nei racconti degli adolescenti si ritrova rabbia, collera, aggressività, una visione competitiva dei rapporti, angoscia e confusione, che emergono non tanto nei momenti di conflitto o in seguito a esperienze destabilizzanti, quanto proprio nei momenti in cui i ragazzi potrebbero apparentemente stare tranquilli e ascoltarsi dentro. 86 Per un approfondimento sulla teoria dell’attribuzione causale, cfr De Grada Eraldo, 1988, L’attribuzione causale: teorie classiche e sviluppi recenti, Bologna, Il Mulino; Hewstone Miles, 1989, Teoria dell’attribuzione: estensioni sociali e funzionali, Bologna, Il Mulino; Zamperini Adriano, 1993, Modelli di causalità. Introduzione alla teoria dell’attribuzione con glossario dei concetti chiave, Milano, Giuffrè; Forsterling Friedric, 2001, Attribution: an introduction to theories, reseach, and applications, Hove, Psychology Press; Tilly Charles, 2007, Perché? La logica nascosta delle nostre azioni quotidiane, Milano, Rizzoli Pag. 98 di 195 Ma, in un momento della vita in cui lo specchio interiore “come un caleidoscopio non riflette mai un’immagine unitaria, stabile” di noi stessi, “come fare senza che nessuno aiuti a integrare la complessità in un’unica identità con le sue tinte variegate e sfumate?” L’autrice descrive la sensazione provata da questi adolescenti come “vuoto”. E’ molto di più del dolore legato ad un abbandono o a una perdita. Più della noia e del non senso. Un grande senso di mancanza… Vuoto lancinante come una ferita aperta per cui non c’è sollievo, o vuoto di sé, lo smarrimento nella paura, nell’angoscia che non si riesce a fermare, vuoto che fa perdere i propri contorni, come una spirale che risucchia, fa implodere, un abisso in cui si precipita, in cui non si trova il senso di quello che accade attorno. Vuoto di speranza, di futuro. […] Vuoto di valori, di buoni motivi per andare avanti. […] La mancanza di desideri e sogni lo amplifica. (Verlato, 2011, pag. 75) Tomolo (1999) sottolinea come la decisione, non essendo un semplice calcolo di vantaggi e svantaggi fra alternative diverse, “esige un’educazione appropriata” (pag. 241). Educazione che non può e non deve tradursi, da parte degli adulti, in un semplice voler proteggere a tutti i costi i ragazzi da pericoli e sofferenze, concedendo loro tutto quello che chiedono nel timore che si sentano diversi o inferiori ai loro coetanei. Neppure può essere un semplice affiancarsi a loro come amici un po’ “stagionati”, ma sempre pronti a battere una pacca sulla spalla o peggio a chiedere di essere capiti e sostenuti da loro, in una tragica inversione di ruoli. E’ invece importante che gli adulti trattino i ragazzi (ed i bambini) come persone, imparando ad amarli e ad accettarli per come sono, aiutandoli a valorizzare le loro doti e a correggere i difetti, sorreggendoli nella fatica e nello sforzo di cercare sé stessi, fornendo loro una base sicura da cui partire per esplorare il mondo e a cui tornare a prendere fiato nei momenti più difficili. Una base che, una volta interiorizzata, sarà per loro un porto sicuro in tutte le tempeste che la vita gli riserverà. Occorre che gli adulti trovino risposta al senso del proprio vivere/morire e che insegnino ai minori a cercare risposte proprie, educandoli «al» desiderio, costruendo una forza interiore che spinga «oltre» e non lasci seduti, anche se in alcuni momenti non si sa perché si vuole di più. (Mariani, 2008, pag. 75) Ma non basta. L’educazione è tale se è educazione «del» desiderio, perché spesso non si sa quel che si vuole. Occorre, infatti, insegnare come desiderare e cosa scegliere. […] E’ questo il dilemma grande dell’educazione: dover suscitare desiderio e motivazione, già questo è difficile, e nei confronti, oltretutto, di qualcosa che il soggetto in formazione non è ancora in grado di comprendere se e quanto sia in sé buono. (ibidem) Pag. 99 di 195 Per volare non è sufficiente avere le ali, bisogna saperle dispiegare, avere un punto stabile da cui spiccare il volo e aver imparato come orientarsi nel cielo dell’esistenza. Siamo convinti del fatto che nessun’autocostruzione produce guadagni effettivi in termini di incremento della personalità se non è guidata da una «filosofia dello sviluppo», cioè da un complesso di idee, ideali, tensioni, aspirazioni nel cui nome far sì che il personale divenire sia orientato e non si disegni al contrario come casualistico e opportunistico e che, in definitiva, l’autorealizzazione s’identifichi in una esperienza di valori. Di ogni processo autorealizzativo non è possibile ignorare il significato morale. (Rossi, Fabbri, 2005, pag. 45) Pag. 100 di 195 SECONDA PARTE: IL LABORATORIO Pag. 101 di 195 CAPITOLO TERZO 3 METODOLOGIA, OBIETTIVI E CONTESTO 3.1 Com’è nata l’idea del laboratorio e perchè. Nella complessità della società in cui viviamo orientarsi è difficile. Trovare sé stessi e la propria strada nel labirinto di esperienze, informazioni, possibilità, pressioni, condizionamenti a cui tutti siamo continuamente esposti non è semplice. Inventare la propria voce e qualcosa di personale da dire in un mondo dove il silenzio è merce rara e preziosa richiede grande impegno, fatica e consapevolezza di sé. D’altra parte questa consapevolezza, la capacità di osservare, comprendere e giudicare in modo critico non sono innati, ma vanno costruiti giorno per giorno, coltivati già nei bambini. Non si diventa adulti responsabili e maturi da un giorno all’altro, per anzianità anagrafica. In quest’ottica l’azione orientativa non si può limitare a risolvere specifici problemi di scelta, ma deve essere volta principalmente a stimolare lo sviluppo ed il cambiamento personale, a fornire strumenti e suggerire strategie affinché gli individui imparino a conoscersi e a conoscere, acquisendo gradualmente la capacità di auto-orientarsi. Nella scuola si parla molto di orientamento, ma spesso questo si riduce a trasmettere agli alunni una serie di informazioni (quali scuole, quali possibilità di impiego, ecc.) e a valutarne le attitudini in base alle osservazioni fatte dagli insegnanti o tramite l’applicazioni di test. Si trascurano così due aspetti importanti: il ruolo della motivazione e l’importanza della consapevolezza di sé, dei propri limiti e delle proprie capacità. Questi due aspetti sono tra loro strettamente interconnessi, infatti per stabilire i propri obiettivi e impegnarsi a raggiungerli si deve prima sapere ciò che si vuole, ciò che realmente si desidera, quali possibilità si ha di farcela e quali ostacoli si dovranno affrontare, si deve imparare a distinguere i desideri propri da quelli indotti. Solo così le informazioni sulle scuole, sulle strade formative o lavorative disponibili potranno essere fruite nel modo migliore. Nel rumore assordante che televisione e media impongono come sottofondo alla vita di oggi, tra adulti sempre indaffarati, spesso stressati, a loro volta disorientati e incerti del futuro, costretti in città povere di parchi, di spazi aperti adatti a contenere il loro bisogno di socializzare, di muoversi, frastornati dal crollo di valori morali che tutti esaltano ma pochi Pag. 102 di 195 davvero seguono, i ragazzi, oggi più di ieri, hanno bisogno di momenti per fermarsi, guardarsi dentro, ascoltarsi, riconoscere la propria voce e provare ad esprimersi. Hanno bisogno di luoghi di incontro, di scambio, di condivisione, per poter guardare l’altro per quello che è, come essere umano, indipendentemente da quello che indossa o da quello che possiede, e sentirsi guardato nello stesso modo. L’idea di questo laboratorio è nata proprio dal desiderio di offrire ai ragazzi uno spazio per riflettere su sé stessi, sulle proprie capacità e possibilità, sulle proprie fantasie e desideri per il futuro. Uno spazio dove poter far sentire la propria voce, vederla ascoltata e riconosciuta e contemporaneamente poter ascoltare quella dei propri compagni. Gli incontri sono stati pensati e organizzati basandosi sulla metodologia dell’orientamento narrativo che, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, ha come obiettivo lo sviluppo delle competenze necessarie per comprendere sé stessi e la realtà che ci circonda attribuendole un senso, per organizzare i propri pensieri ed azioni, per fare progetti realistici e confrontarsi con persone diverse da sé. La metafora della vita come viaggio su una nave, che ha fatto da filo conduttore di tutti gli incontri, aiuta a comprendere l’importanza di determinare una rotta, di scegliere una meta o almeno una direzione, per non finire in balia dei venti e naufragare sugli scogli o arenarsi su una spiaggia deserta. La fatica di tenere il timone, scrutare l’orizzonte, evitare i pirati, gli scogli e le sirene, è sostenuta dal desiderio, dalla volontà, dal sogno dell’isola sconosciuta, dal sogno di noi stessi. Per potersi realizzare un sogno deve prima essere sognato. La presenza dell’insegnante durante le attività del laboratorio ha avuto lo scopo di consentire di ascoltare i ragazzi, vederli da un diverso punto di vista e valutare il livello di consapevolezza che essi hanno delle loro capacità e possibilità attuali e future 3.2 Obiettivi e modalità di valutazione Gli obiettivi di questo laboratorio sono stati: - incoraggiare i ragazzi a guardare a sé stessi riconoscendo i propri pregi e le proprie capacità, anche aiutati dallo sguardo dei compagni, - far riflettere i ragazzi sull’importanza di avere dei sogni, dei desideri e di impegnarsi per realizzarli, Pag. 103 di 195 - consentire all’insegnante che ha partecipato agli incontri di osservare i ragazzi in un diverso contesto relazionale, ascoltarne i pensieri, i desideri, le difficoltà e rilevare le dinamiche di classe. La valutazione del percorso si è articolata in due parti: verifica della qualità del processo (basata sull’auto-valutazione effettuata dalla conduttrice) e verifica dei risultati (schede di valutazione compilate dai ragazzi e dagli insegnanti). Al termine di ogni incontro la conduttrice ha redatto un breve diario 87 in cui, oltre alle proprie osservazioni personali, ha annotato i seguenti aspetti: - livello di partecipazione della classe - gradimento dell’attività svolta da parte dei ragazzi (si sono divertiti? Erano a loro agio? Si sono manifestate difficoltà particolari?) - qualità delle interazioni tra i ragazzi - qualità delle interazioni tra i ragazzi e la conduttrice - materiale emerso Terminati gli incontri previsti, è stata valutata con gli stessi parametri, ma a livello globale, l’attività svolta, basandosi sui diari degli incontri e sui questionari compilati dalle tre insegnanti. 3.2.1 Strumenti per la verifica dei risultati Per la verifica è stata effettuata l’analisi dei questionari compilati dai ragazzi nell’ultimo incontro i quali hanno fornito informazioni utili ad evidenziare alcuni degli effetti più immediati che le attività hanno prodotto in loro. 3.3 Metodologia Il laboratorio è stato pensato e progettato utilizzando i metodi tipici dell’orientamento narrativo. Questa metodologia permette di mantenere il soggetto in orientamento sempre al centro del processo, lavora per la costruzione dell’identità personale e, attraverso i lavori di gruppo, dell’identità sociale. Il soggetto partecipa attivamente sia quando ascolta le narrazioni altrui, elaborandole, interpretandole ed eventualmente facendole proprie, sia quando produce i propri testi. 87 Lo schema seguito nella compilazione del diario degli incontri è riportato nell’allegato A. Pag. 104 di 195 Il percorso, anche se definito nelle sue linee principali, è individualizzabile e flessibile: ogni incontro nasce e cresce dall’incontro tra le storie, tra le persone e tra le storie e le persone, ed è pertanto imprevedibile, personalizzabile nel suo svolgersi a seconda delle necessità, dei bisogni e dei desideri che nascono nel momento. L’orientamento narrativo si pone come obiettivo l’autonomizzazione del soggetto, lavorando nella logica dell’empowerment, ed è particolarmente adatto ad essere applicato nel contesto scolastico in quanto utilizza strumenti e materiali familiari agli alunni e vicini alla loro cultura, inoltre agisce sul gruppo classe, creando un clima di collaborazione e dialogo, di scambio e reciproca conoscenza. I percorsi di orientamento narrativo, quindi, permettono importanti acquisizioni primarie (lavoro sull’identità, sull’immagine di sé, sull’autostima, ecc.) e secondarie (saper comunicare, saper lavorare in gruppo, ecc.), attraverso attività di gruppo piacevoli, facilmente realizzabili in ambito scolastico e che non richiedono risorse costose. Il laboratorio è stato ideato per ragazzi della classe terza delle scuole secondarie di primo grado. Sono stati previsti quattro incontri per ogni classe: tre della durata di centodieci minuti l’uno (due ore scolastiche) ed un quarto più breve, di conclusione e restituzione del percorso fatto. Ognuno dei primi tre incontri è stato così strutturato: - momento iniziale, con una duplice funzione: sottolineare il distacco tra lo spaziotempo della seduta e quello al di fuori di essa; creare un’atmosfera di gruppo, all’interno della quale ciascuno ha la stessa importanza e tutti collaborano - momento di ascolto di un brano, una fiaba o un racconto - momento creativo e di riflessione - momento di scambio, discussione, condivisione di idee - momento di chiusura Nell’ambito di una medesima forma, ogni incontro è stato dedicato ad un tema specifico: il primo all’identità personale (chi sono io?), il secondo all’importanza di guidare la propria vita, di fare le proprie scelte in modo consapevole (dove vado?), il terzo al percorso che ciascuno deve scegliere e poi compiere per realizzare i propri desideri (il viaggio). Il filo conduttore ed il collegamento di tutto il lavoro svolto è stata la metafora del “viaggio”, in particolare il “viaggio alla ricerca dell’isola sconosciuta”, da cui il titolo del Pag. 105 di 195 laboratorio88. All’inizio del primo incontro è stato spiegato ai ragazzi che la conduttrice si trovava lì con loro perché inviata da un uomo, capitano di una nave, che aveva bisogno di un equipaggio per partire alla ricerca dell’isola sconosciuta. Loro stessi avrebbero potuto entrare a far parte dell’equipaggio e partire con lui. Poiché però quest’uomo non si accontentava di un equipaggio qualsiasi, ma voleva per compagni gente motivata, decisa e consapevole, dovevano sottoporsi ad alcune prove. Le attività svolte nei diversi incontri sono diventate così le prove da superare per mettersi in viaggio, per cercare la propria isola sconosciuta, ossia per cercare sé stessi e ciò che vorranno diventare. Uno strumento importante utilizzato è stato il cartellone dei “Pensieri in movimento”, consegnato ai ragazzi completamente bianco, tranne che per il titolo, all’inizio del laboratorio. I ragazzi sono stati invitati a scrivervi frasi, pensieri, parole di canzoni, poesie o altro che venissero loro in mente e che ritenessero attinenti con quanto si stava facendo o, semplicemente, interessanti. Il cartellone è stato lasciato appeso nell’aula per tre settimane e nell'ultimo incontro si è letto quanto vi era stato scritto, commentandolo tutti insieme. Gli strumenti narrativi utilizzati sono stati il libro Il racconto dell’isola sconosciuta di Josè Saramago (1998), che è stato letto quasi integralmente, e alcune fiabe. Il libro di Saramago, bellissimo e molto intenso nella sua apparente semplicità, è a sua volta una sorta di fiaba per adulti. I racconti, le storie e le fiabe in particolare, parlano non solo alla parte razionale dell’ascoltatore, che ne decodifica il codice linguistico e studia la trama, ma anche a parti più profonde, attraverso simboli ed immagini. La fiaba si esprime con un linguaggio semplice, descrive i problemi in modo chiaro e conciso, disegna personaggi tipici, privi di ambiguità, immediatamente classificabili come buoni o come cattivi e, proprio grazie a queste sue caratteristiche, aiuta a riconoscere le proprie emozioni, i propri istinti e sentimenti, a dargli un nome e a verificare che è possibile affrontare e risolvere i problemi che nella vita inevitabilmente si incontrano. Le fiabe sono uniche, non solo come forma di letteratura ma anche come opere d’arte che sono totalmente comprensibili per il bambino, come non lo è nessun altra forma d’arte. Come avviene per tutta la grande arte, il significato più profondo della fiaba è diverso per ciascuna persona, e diverso per la stessa persona in momenti differenti della sua vita. (Bettleheim, 2008, pag. 18) 88 Cfr. Batini, Del Sarto, 2005, pagg. 77-78 Pag. 106 di 195 Nel secondo e nel terzo incontro, è stato proposto l’ascolto di una canzone inerente al tema: la musica piace molto ai giovani e, quando è di qualità, parla un linguaggio molto simile a quello della poesia. I momenti di condivisione di quanto creato dai ragazzi stessi, di confronto su quanto letto, di discussione e scambio di idee, sono stati organizzati in modo da lasciare loro la possibilità di esprimersi il più liberamente possibile, di trarre le proprie deduzioni e conclusioni da soli, senza forzature o pressioni da parte degli adulti presenti. La conduttrice assumeva il semplice ruolo di moderatrice dell’incontro, anche se ogni tanto lanciava spunti di riflessione, suggerimenti, o anche provocazioni. Se un ragazzo faticava ad esprimersi gli lasciava tempo per organizzare i pensieri, per tentare di capirsi e farsi capire. Unica regola imprescindibile era il rispetto reciproco, la libertà di pensiero e opinione. Al termine del laboratorio, ogni ragazzo ha ricevuto un libretto contenente un breve estratto degli argomenti affrontati e i testi da lui stesso prodotti. Lo scopo non era solo quello di lasciare un ricordo tangibile del percorso fatto, ma anche dare importanza ai loro scritti, posti così sullo stesso piano dei testi delle canzoni, delle storie ascoltate. La pergamena per il messaggio nella bottiglia, la scheda dei tre desideri e la petizione da presentare al re, sono storie, sono racconti che parlano di loro stessi a loro stessi. Agli incontri era presente anche l’insegnante di lettere della classe, che ha potuto osservare i propri studenti in un diverso contesto relazionale. Tutto il materiale utilizzato (schede, immagini da proiettare, CD per le canzoni, testi da leggere, cartellone, libretti con i testi dei ragazzi) sono stati forniti dalla conduttrice. La scuola ha messo a disposizione l’aula e, quando possibile, la Lavagna Interattiva Multimediale (LIM). Nei prossimi paragrafi è riportata una breve descrizione di come sono stati progettati i singoli incontri. 3.3.1 Primo incontro: chi sono io? Questo incontro aveva l’obiettivo di aiutare i ragazzi a guardare agli aspetti positivi di sé stessi, alle proprie capacità e potenzialità. Momento iniziale Pag. 107 di 195 Presentazione del laboratorio ai ragazzi. La conduttrice si presenta e spiega brevemente cosa si andrà a fare. Introduzione del cartellone “Pensieri in movimento” e della metafora del viaggio: la conduttrice parla di un uomo, capitano di una nave, che ha bisogno di un equipaggio per partire alla ricerca dell’isola sconosciuta. Gioco di inizio: ogni ragazzo si presenta dicendo “Io sono … e sulla nave vorrei essere …”. Momento di ascolto La conduttrice legge un breve brano tratto dal libro L’inventore dei sogni di Ian McEwan (1994): la descrizione di Peter all’inizio del primo capitolo. Momento creativo/di riflessione Attività “Il messaggio nella bottiglia”89. La conduttrice spiega che quando si viaggia è sempre meglio essere preparati per ogni evenienza! Ogni ragazzo è invitato a immaginare di naufragare su un’isola deserta e di avere con sé solo un foglio di carta, una penna e una bottiglia. L’unica speranza di essere salvati consiste nello scrivere una lettera da infilare nella bottiglia e affidare alle onde del mare. Nella lettera ciascuno dovrà descrivere sé stesso meglio che può, cercando di apparire “interessante” a chi lo leggerà e deciderà così di venire a salvarlo. E’ però necessario non mentire, altrimenti il potenziale salvatore, accorgendosene, non vorrà più portarlo con sé. Si tratta di valorizzare sé stessi senza inventare ciò che non si è. Ai ragazzi viene distribuito un foglio su cui scrivere la propria lettera e lasciato il tempo necessario per farlo. Verrà messa una musica in sottofondo (Giovanni Allevi). In caso sia disponibile la Lavagna Interattiva Multimediale (LIM), verrà proiettata l’immagine di una bottiglia col messaggio galleggiante sull’acqua. Momento di scambio I ragazzi sono invitati a condividere con gli altri quanto hanno scritto. Nessuno è obbligato a farlo, ma chi vuole può leggere ad alta voce la propria “lettera” o chiedere alla conduttrice di farlo al posto suo. Viene incoraggiato il dialogo e la discussione: è possibile commentare (in modo costruttivo!) quanto scritto dai compagni, indicare eventuali aspetti positivi dimenticati o commentare quelli elencati. 89 Liberamente tratto da Batini, Del Sarto, 2005, pag. 99 Pag. 108 di 195 Momento di chiusura La conduttrice fa una breve sintesi di quanto emerso nel corso dell’incontro, consegna ai ragazzi la scheda “Fare i bagagli”90: per il viaggio ognuno può portare con sé dieci oggetti, che possono avere qualsiasi forma e misura. Questi oggetti devono però essere, per chi li sceglie, di particolare importanza e devono essere sistemati in tre sacche: - la sacca della vita personale - la sacca della vita scolastica - la sacca degli interessi Dopo questa divisione si deve indicare quale è l’oggetto più importante di tutti quelli scelti e perché. Questo lavoro lo faranno a casa, riportando il foglio compilato per il prossimo incontro. La conduttrice, infine, scrive una frase sul cartellone dei “Pensieri in movimento”: “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi” (Marcel Proust, 2005, Alla ricerca del tempo perduto). Saluti: “Ciao e buona continuazione di viaggio!”. 3.3.2 Secondo incontro: dove vado? Questo incontro voleva aiutare i ragazzi a riflettere sull’importanza di essere artefici delle proprie scelte e a meditare sui propri desideri e sogni, che, per restare nella metafora del viaggio, sono il vento che soffia sulle nostre vele. Momento iniziale Recupero della metafora del viaggio. Gioco di inizio: ogni ragazzo si presenta leggendo uno solo degli oggetti scelti (il più importante) e spiega in due parole perché lo porterebbe con sé. “Bene, ma dove andiamo? Abbiamo parlato di un’isola sconosciuta: dove potremo trovarla? Forse non siamo gli unici a cercarla…” Ascolto della canzone “L’isola che non c’è” di Edoardo Bennato. Se disponibile la lavagna LIM, verrà proiettata l’immagine del mare sotto un cielo stellato e il testo della canzone. Momento di ascolto 90 Cfr. Batini, Del Sarto, 2005, pag. 92 Pag. 109 di 195 La conduttrice racconta la fiaba “Alba”91. Se disponibile la lavagna LIM, verrà proiettata l’immagine di un cavallo. Momento creativo/di riflessione La protagonista della fiaba ha un desiderio e questo desiderio è viaggiare. Immaginando di aver trovato la magica lampada di Aladino, di averla strofinata e di avere i fronte a sé il famoso genio, i ragazzi sono invitati ad esprimere tre desideri, che scriveranno su un foglio appositamente distribuito. Non è possibile esprimere un desiderio che comporti: - resuscitare i morti - costringere qualcuno a fare cose o provare sentimenti che non sono suoi - uccidere, ferire o fare del male Quando tutti avranno finito, ognuno dovrà scegliere uno solo tra i desideri espressi e scrivere un breve testo in cui descriverà cosa succederebbe se il desiderio venisse esaudito. Momento di scambio I ragazzi sono invitati a condividere con gli altri quanto hanno scritto. Anche questa volta, nessuno è obbligato a farlo, ma chi vuole può leggere ad alta voce il proprio testo o chiedere alla conduttrice di farlo al posto suo. Viene incoraggiato il dialogo e la discussione: è possibile commentare (in modo costruttivo!) quanto scritto dai compagni. Se il tempo a disposizione lo consente, la conduttrice inviterà i ragazzi a riflettere sul fatto che ci sono persone che, pur avendo molti bisogni, non hanno più desideri, perché non sanno sperare o pensano di non poterlo fare 92. Chi sono? Cosa si prova a trovarsi in una simile condizione? Come si potrebbe aiutarli a sentirsi autorizzati a fare tutto il possibile per ottenere ciò che desiderano? Se disponibile la lavagna LIM, verrà proiettata l’immagine del quadro L'heureux donateur di René Manritte. Momento di chiusura La conduttrice fa una breve sintesi di quanto emerso nel corso dell’incontro e scrive una frase sul cartellone dei “Pensieri in movimento”: “- Come possiamo fare qualcosa di impossibile? – 91 92 La fiaba “Alba” è stata scritta dalla conduttrice ed è attualmente inedita. Zipes, 2005, pagg. 181-182 Pag. 110 di 195 - Con entusiasmo. -” (Paulo Coelho93). Saluti: “Ciao e buona continuazione di viaggio!”. 3.3.3 Terzo incontro: il viaggio In questo incontro si è affrontato ancora il tema del desiderio. Si è parlato di ostacoli e di strategie per superarli. I ragazzi sono stati incoraggiati a scoprire ciò che è davvero importante nel viaggio che ciascuno di noi compie: partire e viaggiare. L’approdo è solo una sosta, un nuovo punto di partenza. Momento iniziale Recupero della metafora del viaggio: “Dunque cerchiamo la nostra isola sconosciuta, ma proprio perché è sconosciuta non esiste un percorso, un itinerario già scritto da seguire.” Ascolto della canzone “L’isola non trovata” di Francesco Guccini (testo tratto dalla poesia “La più bella” di Guido Gozzano, 1913). Se disponibile la lavagna LIM, verrà proiettata l’immagine di una mappa marittima con isola e il testo della canzone. Momento di ascolto La conduttrice legge la prima parte del testo de Il racconto dell’isola sconosciuta di Josè Saramago (1998) (fino a quando l’uomo ottiene la barca e la donna delle pulizie esce dalla porta delle decisioni, pag 12). Il testo viene introdotto riprendendo il gioco dell’uomo che cerca un equipaggio: “Possiamo partire con una persona che non conosciamo e di cui non sappiamo nulla? Leggiamo dunque la storia dell’uomo che voleva una barca per cercare l’isola sconosciuta.” Momento creativo/di riflessione “Cosa chiedereste al re?” Ogni ragazzo risponde a questa domanda su una apposita scheda, poi scrive un breve racconto/dialogo in cui descrive le difficoltà che pensa di incontrare, le obiezioni che il re solleverà e come lui pensa di poter superare questi ostacoli94. La conduttrice sottolineerà che la richiesta al re verrà presentata quel giorno stesso, devono dunque chiedere qualcosa che desiderano ricevere e di cui possono usufruire nel presente. 93 94 Coelho, 1998, pag. 210 Liberamente tratto da Batini, Giusti, 2008, pag. 162 Pag. 111 di 195 Momento di scambio I ragazzi sono invitati a condividere con gli altri quanto hanno scritto. Come sempre, nessuno è obbligato a farlo, ma chi vuole può leggere ad alta voce il proprio testo o chiedere alla conduttrice di farlo al posto suo. Viene incoraggiato il dialogo e la discussione: è possibile commentare (in modo costruttivo!) quanto scritto dai compagni. Momento di chiusura La conduttrice racconta/legge la parte restante del testo de Il racconto dell’isola sconosciuta di Josè Saramago (1998). Se disponibile la lavagna LIM, verrà proiettata l’immagine della caravella “Isola Sconosciuta”. La conduttrice scrive una frase sul cartellone dei “Pensieri in movimento”: “L’Isola Sconosciuta prese infine il mare, alla ricerca di sé stessa” (Josè Saramago95) Saluti: “Ciao e buona continuazione di viaggio!”. 3.3.4 Quarto incontro: restituzione Questo incontro, previsto come più breve dei precedenti, voleva essere un momento di “restituzione”: restituzione da parte della conduttrice verso i ragazzi e viceversa. La lettura della fiaba serviva ad aggiunge al percorso fatto una “lieve” riflessione sul valore della perseveranza. In realtà leggere le frasi sul cartellone e discuterle insieme ha impegnato molto più tempo del previsto e l’incontro ha avuto la stessa durata dei primi tre. Momento iniziale Saluti e recupero della metafora del viaggio (come procede la navigazione?). La conduttrice proietta sulla LIM, se disponibile, o scrive alla lavagna la frase: “C’è un tempo in cui credi che il sogno dell’isola riguardi un approdo, e un altro in cui scopri che è invece partenza.” (Stefania Mola96) Viene lasciato un po’ di spazio perché chi vuole possa fare commenti, domande, osservazioni sul percorso fatto. Spiegazione di come si svolgerà l’incontro. Lettura delle frasi sul cartellone dei “Pensieri in movimento” e scambio 95 96 Saramago, 1998, pag. 29 Dal sito: http://squilibri2.wordpress.com/2008/10/11/lisola-sconosciuta/#more-731 Pag. 112 di 195 La conduttrice legge le frasi che i ragazzi hanno scritto sul cartellone nei giorni passati. L’autore della frase può, se vuole, spiegare perché l’ha scelta e cosa voleva dire, poi i ragazzi sono liberi di commentarla e dire la propria opinione. La conduttrice fa da moderatrice, cercando di intervenire solo per aiutare gli alunni ad esprimere le proprie idee e pensieri o per dare spunti di riflessione. Momento di ascolto La conduttrice legge la fiaba “Tranquilla Piepesante” 97. Se disponibile la lavagna LIM, verrà proiettata l’immagine della tartaruga (disegno tratto dal libro). Questionario La conduttrice chiede ai ragazzi di compilare una breve scheda di valutazione del laboratorio e consegna all’insegnante un breve questionario. L’insegnante, se preferisce, potrà compilare il questionario anche in un secondo tempo. Momento di chiusura La conduttrice consegna ad ogni ragazzo un libretto in cui saranno state raccolte le schede da lui compilate, i testi delle canzoni ascoltate e i riferimenti ai brani letti. Ringraziamenti e saluti. 3.4 I soggetti Il laboratorio è stato svolto in tre classi terze di due scuole secondarie di primo grado: due classi della scuola A. Gramsci di Grugliasco, che per ragioni di riservatezza chiameremo 3° T e 3°V, ed una della scuola P. Palmieri di Torino, che indicheremo come 3°Z, coinvolgendo complessivamente 64 ragazzi. Gli incontri si sono svolti separatamente nelle singole classi e vi hanno preso parte le rispettive professoresse di lettere, a cui era stato preventivamente consegnato il progetto del laboratorio con la descrizione delle attività che sarebbero state svolte. La scuola di Grugliasco si colloca in un contesto suburbano, in una zona tranquilla. Nelle classi sono presenti alcuni ragazzi stranieri: nella 3° T una ragazza marocchina, nella 3° V una ragazza marocchina, una rumena ed una di origine tunisina. L’atmosfera in classe 97 Tratta dal libro Fiabe e favole di Ende Michael (2004) Pag. 113 di 195 è relativamente tranquilla. I ragazzi salutano educatamente chi entra in aula, in 3° V la prima volta che la conduttrice è entrata in aula si sono anche alzati in piedi. La professoressa della 3° T descrive la sua classe (composta da ventidue alunni, dieci femmine e dodici maschi) come tranquilla, non particolarmente brillante né molto unita. Ritiene i ragazzi e le ragazze ancora molto infantili. La professoressa della 3° V (composta da ventidue alunni, tredici femmine e nove maschi) parla dei suoi alunni con orgoglio: a suo parere è la classe migliore della scuola, i ragazzi sono svegli, educati, partecipano attivamente alle attività, sono in grado di affrontare anche argomenti più complessi. Si tratta di una classe molto unita. La scuola di Torino si trova in una zona molto frequentata, vicino al nuovo tribunale, piena di uffici. Non si tratta di un quartiere popolare, ma neppure di un quartiere di lusso. Nella classe ci sono due ragazzi di origine rumena. La professoressa descrive la 3° Z (composta da venti alunni, otto femmine e dodici maschi) come una classe difficile, soprattutto perché i ragazzi sono sempre piuttosto “agitati”: chiacchierano in continuazione, si alzano dal posto, si prendono in giro. In particolare, un gruppetto di tre ragazzi disturba continuamente il resto della classe con scherzi e risatine. Nei due anni precedenti era presente in classe un ragazzo, che ora sta ripetendo la classe seconda, particolarmente disturbato e disturbante. La sua assenza ha migliorato un po’ l’atmosfera in classe, anche se il gruppetto di cui sopra ne ha accolto in un certo senso “l’eredità”. La scorsa primavera è morto improvvisamente il padre di uno degli alunni, che non ha ancora elaborato il lutto ed è spesso agitato, a volte parla o canta da solo durante le lezioni, oppure si alza dal posto senza motivo. Pag. 114 di 195 CAPITOLO QUARTO 4 REALIZZAZIONE E VERIFICA DEI RISULTATI Il laboratorio si è svolto nel mese di Novembre 2011. Gli incontri hanno avuto cadenza settimanale. Prima di iniziare, la conduttrice ha incontrato, separatamente, le tre insegnanti coinvolte per spiegare loro gli obiettivi, le attività programmate e le modalità di svolgimento del laboratorio e per avere informazioni utili sulla classe e sui ragazzi. Gli incontri si sono svolti nelle tre classi secondo le modalità previste dal progetto. Nella scuola di Grugliasco è stato possibile utilizzare la LIM per tutti gli incontri, mentre in quella di Torino solo per i due centrali (il secondo ed il terzo). Nel prossimo paragrafo viene analizzato l’andamento globale del laboratorio ed i principali elementi emersi, mentre in quello successivo sono valutati gli esiti dell’intero processo. 4.1 Verifica della qualità del processo L’analisi che segue è basata sulle osservazioni svolte dalla conduttrice, raccolte nel diario compilato al termine di ogni incontro, e sul materiale emerso durante le attività svolte98. Il laboratorio è stato realizzato seguendo le indicazioni delineate nel progetto iniziale. Le attività previste, i testi da leggere o raccontare, i tempi ipotizzati sono stati in linea di massima rispettati. I ragazzi sono stati coinvolti, interessati, hanno partecipato e contribuito notevolmente allo svolgersi degli incontri, come testimonia il materiale raccolto e descritto di seguito in questo paragrafo. La metafora del viaggio alla ricerca dell’isola sconosciuta ha fatto da filo conduttore, fornendo una struttura di base e numerosi spunti di riflessione. Le insegnanti sono state parte attiva nel processo, soprattutto nel ruolo di osservatrici ma talvolta anche intervenendo direttamente, facendo domande ai ragazzi o commentandone le osservazioni. Se qualche volta la conduttrice ha dovuto mitigare la loro insistenza nel voler sentire il parere di tutti gli allievi (il patto era che condivideva i propri pensieri solo chi si sentiva di farlo), la loro conoscenza degli allievi e delle dinamiche 98 Per una esposizione schematica dei principali elementi emersi dall’analisi delle schede compilate dai ragazzi vedere l’allegato B. Pag. 115 di 195 interne alla classe è stata una risorsa preziosa, sia in fase di avviamento del progetto sia in alcune situazioni createsi nel corso dei dibattiti più accesi, in particolare quando si è discusso dei problemi relazionali interni ad alcune classi. Il livello di partecipazione alle proposte e alle attività del progetto è stato alto in tutti gli incontri. I ragazzi hanno dimostrato curiosità ed interesse. La maggior parte di loro ha saputo cogliere l’occasione per esprimersi, per fare sentire la propria voce. Tuttavia in ogni classe ci sono stati alcuni alunni (due o tre per sezione), che hanno parlato solo se sollecitati, spesso con difficoltà, si sono isolati e hanno faticato a compilare le proprie schede. L’impressione è stata che il problema non fosse semplice timidezza, ma piuttosto una sorta di disinteresse basato sulla sfiducia, in sé prima di tutto, e sulla rinuncia. La conduttrice ha più volte tentato di coinvolgerli, sia rivolgendosi direttamente a loro direttamente durante i momenti di condivisione, sia parlando con loro singolarmente sottovoce, in “privato”, mentre compilavano le schede. Il tempo a disposizione per il laboratorio non era sufficiente a prevedere attività specifiche mirate a coinvolgerli, né ad organizzare alcune attività in gruppi più piccoli. Il clima interno a ciascuna classe ha influenzato l’andamento degli incontri, in particolare la maggiore o minore disponibilità dei ragazzi a leggere i propri scritti, esporre le proprie idee, mettersi in gioco. La lettura dei brani ed il racconto della fiaba sono stati accolti sempre con curiosità e seguiti in silenzio e con attenzione, in tutte e tre le classi. Anche i ragazzi più turbolenti e agitati hanno ascoltato senza disturbare, senza distrarsi, fare commenti o risatine inopportune. Le due fiabe proposte contenevano, come spesso accade, eventi che si presentavano più volte, frasi ripetute come una sorta di filastrocca, che alcuni ragazzi hanno subito fatto proprie e ripetuto insieme alla conduttrice. Non tutti hanno gradito questi momenti o il contenuto di quanto letto, come testimoniano alcune dichiarazioni da loro fatte nei questionari finali, ma il fascino del racconto, dell’ascoltare una storia ha creato ogni volta un’atmosfera particolare. Compilare le schede è stato per tutti i ragazzi il momento più impegnativo, non tanto per difficoltà legate allo scrivere un testo, pur presenti in alcuni casi, ma soprattutto perché si trattava di parlare di sé stessi, di svelare pensieri molto personali, come l’immagine di sé, i propri desideri e bisogni. Poiché la conduttrice ha da subito assicurato che nessuno sarebbe stato obbligato a leggere in pubblico il suo scritto e di fatto così è stato, la difficoltà riscontrata non è esclusivamente legata allo svelarsi agli altri, ma forse riguarda il Pag. 116 di 195 guardarsi dentro, il rivelarsi a sé stessi. Anche il sapere che un adulto (la conduttrice) avrebbe successivamente letto le schede può avere suscitato un senso di disagio, il timore del giudizio. La scheda del messaggio nella bottiglia, su cui ognuno doveva descrivere i propri lati positivi, le proprie capacità e doti, è stata quella che ha creato meno problemi: tutti l’hanno compilata, alcuni con un po’ di difficoltà, magari dichiarando di non saper cosa scrivere o tracciando pochissime righe sul foglio. Nonostante questo, come vedremo nell’analisi del materiale emerso, le descrizioni sono rimaste a livello superficiale, si sono limitate ad una ridottissima descrizione fisica (spesso assente) e ad un elenco di sport praticati o di caratteristiche generiche come la simpatia. Neppure la scheda dei bagagli ha comportato troppi problemi. Anche se hanno dovuto compilarla a casa praticamente tutti i ragazzi l’hanno consegnata, a testimonianza del fatto che l’attività li ha interessati. La scheda dei tre desideri ha invece creato un po’ di difficoltà in tutte le classi. Alcuni ragazzi si sono limitati ad esprimerne uno o due, oppure hanno fatto richieste generiche, vaghe. La scheda del re, infine, è quella che più ha messo in crisi i ragazzi. Dovevano fare una richiesta al re, una sola richiesta che doveva essere riferita al presente: il re poteva esaudirli ora, non nel futuro. Mentre esprimere i desideri di fronte al genio della lampada aveva un sapore di magico e remoto, con la petizione al re si è scesi più nel concreto, nel qui ed ora. Molti ragazzi si sono lamentati di non sapere cosa scrivere, in particolare nella 3° Z della Palmieri per i primi cinque minuti pochissimi sono riusciti a scrivere qualcosa e la conduttrice ha dovuto incoraggiare, stimolare, suggerire, passando tra i banchi e parlando a volte con i singoli alunni. La fatica e le resistenze emerse nella compilazione delle schede testimonia che le attività proposte sollecitavano riflessioni forse non familiari per i ragazzi o comunque ponevano domande a cui essi non avevano ancora saputo rispondere. D’altra parte, l’interesse ed il trasporto con cui la maggior parte di loro ha partecipato al momento di scambio e confronto, le vivaci discussioni che si sono accese affrontando alcuni argomenti, dimostrano che le resistenze incontrate nella compilazione dei testi non erano legate a disinteresse o noia, ma a reali difficoltà. Pag. 117 di 195 Mentre i ragazzi compilavano le schede in sottofondo è stata sempre messa una musica diversa, utile per creare un clima disteso, favorire la concentrazione e scoraggiare i chiacchieroni. Avere uno spazio per parlare di sé di fronte agli altri, per esprimere la propria opinione e per ascoltare i pensieri dei compagni è stato certamente uno degli aspetti del laboratorio che maggiormente ha coinvolto i ragazzi. La conduttrice ha cercato di creare un’atmosfera in cui ogni idea, ogni pensiero potesse essere accolto con rispetto e attenzione. L’importante era il confronto, lo scambio. Poiché uno degli obiettivi era quello di consentire ai ragazzi di esprimersi si è lasciato spazio anche ad argomenti non strettamente pertinenti ma evidentemente di loro interesse, come ad esempio nella 3° T quando nel primo incontro si è affrontato il tema dell’eccessiva competizione oggi presente in alcuni sport. I ragazzi erano inizialmente un po’ imbarazzati, restii a svelarsi e parlare di sé, ma gradualmente si sono aperti, soprattutto nell’ultimo incontro, quando sono state lette le frasi scritte sul cartellone dei “Pensieri in movimento”. All’inizio del primo incontro la conduttrice aveva spiegato cos’era e a cosa serviva il cartellone, ma negli incontri successivi più volte si è trovata a rispiegarlo e le professoresse hanno dovuto sollecitare i ragazzi a scriverci sopra. La maggior parte delle frasi sono comparse tra il terzo ed il quarto incontro. Anche se molte erano frasi tratte da canzoni o da internet o da agende, tuttavia erano state scelte da loro, che alla fine non vedevano l’ora di leggere tutti insieme. Il dibattito dell’ultimo incontro è stato molto interessante in tutte e tre le classi: si sono affrontati temi cari ai preadolescenti, come l’amore, l’amicizia, la vita e la morte, il tempo che si declina in passato, presente e futuro. Nelle due classi in cui i rapporti tra compagni non sono sereni ma presentano tensioni ed a volte conflitti, è venuto naturale affrontare questo problema ed i ragazzi hanno avuto modo di spiegare i propri diversi punti di vista, di evidenziare le ragioni del malumore e di cercare insieme delle possibili soluzioni. Nel secondo e terzo incontro gli alunni sono stati invitati ad ascoltare una canzone, rispettivamente L’isola che non c’è di Bennato e L’isola non trovata di Guccini. Si trattava di testi per loro “antichi”, la canzone di Bennato molti la conoscevano, quella di Guccini nessuno l’aveva mai ascoltata. Nonostante questo le hanno accolte con interesse, soprattutto la prima, forse perché la melodia è più vicina ai loro gusti musicali. La proiezione del testo sulla LIM ha aiutato molto a catturare la loro attenzione. Pag. 118 di 195 Infine, al termine dell’ultimo incontro, la consegna ad ogni ragazzo del libretto creato apposta per lui, in cui erano stati inseriti i testi da lui prodotti, è stato un momento bello di riconoscimento e restituzione da parte della conduttrice. I ragazzi lo hanno apprezzato molto. Nel complesso il laboratorio si è quindi svolto in modo soddisfacente, le attività previste sono state realizzate nei tempi e nelle modalità indicate sul progetto. I ragazzi sono stati stimolati a riflettere e a confrontarsi su argomenti che li riguardano direttamente. Le professoresse presenti hanno potuto osservare ed ascoltare i loro alunni da un diverso punto di vista. Dall’esperienza vissuta come conduttrice di questo laboratorio ho imparato molto, sia in termini di competenza relazionale, per esempio saper intuire il momento giusto per intervenire e i contenuti da portare, sia in termini di progettazione del percorso e di gestione delle singole attività. Analizziamo ora più nel dettaglio gli elementi emersi nell’ambito dei diversi incontri. Messaggio nella bottiglia La consegna era di descriversi nel miglior modo possibile, evidenziando le proprie qualità, capacità, caratteristiche positive, affinché chi avesse raccolto la bottiglia fosse invogliato ad andare a salvarli. In realtà pochi hanno saputo dare un’immagine davvero positiva di sé, tanto che alcuni hanno sentito la necessità di promettere una ricompensa in cambio dell’aiuto ricevuto, mentre altri hanno parlato esplicitamente anche di alcuni propri difetti. I messaggi riflettono sia l’immagine che i ragazzi hanno di sé stessi, sia il clima presente nella classe: dove maggiori erano le tensioni e i dissapori maggiore è stata anche la paura di esporsi. Questo fenomeno si evidenzia in particolare riguardo l’aspetto fisico, argomento delicato e di grande interesse in preadolescenza99. Nella classe 3° V della Gramsci, in cui il clima è più disteso e amichevole, molti hanno elencato alcune delle proprie caratteristiche fisiche e, anche se una sola ragazza si è descritta come carina nello scritto, durante il dibattito ogni ragazza parlando delle compagne le definiva “carine” o “belle”, ma se a sua volta veniva definita tale negava e si schermiva. 99 “Il rapporto con il proprio corpo rappresenta il problema centrale e dà l’impronta all’insieme degli eventi anche psicologici che si compiono nel soggetto, sia nelle condizioni fisiologiche sia nella patologia. L’attenzione al corpo è, di conseguenza, primaria per il ragazzo ed è rinforzata dall’ambiente esterno, che ne percepisce la crescita e gli rimanda un’immagine di sé modificata.” (Marocco Muttini, 2007, pag. 3) Pag. 119 di 195 Nella classe 3° T quasi tutti hanno inserito nel messaggio una qualche descrizione del proprio corpo, ma nel dibattito l’argomento non è mai stato sfiorato: nessuno ha fatto commenti né in positivo né in negativo, né sul proprio aspetto né su quello degli altri. Infine, nella classe 3° Z della Palmieri, in cui i conflitti interni sono molto sentiti, sono stati di più i maschi a parlare del proprio fisico, principalmente per evidenziarne la prestanza, utilizzando aggettivi quali “forte”, “atletico”, “alto”, “agile”. Nessuno ha fatto commenti sull’aspetto fisico delle ragazze (neppure le altre ragazze), che invece hanno definito “carini” due ragazzi, tra risatine e imbarazzi. Quando parlano dell’aspetto fisico, le ragazze sembrano dunque dare importanza all’estetica, all’essere carine. Desiderano essere belle, ma spesso non si piacciono o non si sentono sicure si sé stesse. Dicendo delle proprie compagne “è bella!” in qualche modo esprimono il desiderio di essere a loro volta rassicurate su questo aspetto, ma tutto ciò è possibile solo in un ambiente in cui si sentono a proprio agio, tra amici, altrimenti l’argomento non viene neppure sfiorato. I ragazzi invece sembrano apprezzare del proprio corpo maggiormente le abilità, le capacità fisiche e, specialmente in un ambiente in cui si respira tensione e a tratti ostilità, fanno sfoggio delle proprie doti.100 In ogni caso, in tutte e tre le classi le doti maggiormente gradite per sé stessi e nei propri compagni sono state la simpatia, il saper far ridere o consolare, la generosità, cosa che evidenzia l’importanza dell’ambito relazionale per i preadolescenti, sia maschi che femmine. Raramente nel definirsi hanno parlato di intelligenza, dote che veniva riconosciuta ai compagni solo in base ai meriti scolastici. Molto ammirata è parsa l’indipendenza, il saper ragionare con la propria testa, doti che però sono riconosciute quasi esclusivamente negli altri e desiderate per sé stessi. L’onestà è una caratteristica che è stata valutata positivamente in particolare nella classe 3° Z della Palmieri. Quando la conduttrice esortava a spiegare cosa intendevano per generosità, onestà e attenzione agli altri, le spiegazioni che i ragazzi davano erano sempre legate al ristretto ambito della classe o degli amici: è generoso chi aiuta i compagni nei compiti o condivide la merenda, l’attenzione agli altri si manifesta nel saperli ascoltare quando sono in crisi, l’onestà è dire quello che si pensa, non essere falsi. 100 “I maschi risultano ancora più bambini, meno profondi e ragionatori, più impegnati ad acquisire abilità di movimento e controllo delle energie.” (Marocco Muttini, 2007, pag. 7) Pag. 120 di 195 I bagagli Esaminando il “contenuto” dei sacchi della vita personale che i ragazzi hanno preparato per il viaggio si rilevano alcune differenze tra quelli dei maschi e quelli delle femmine. Le ragazze hanno scelto prevalentemente di portare con sé oggetti legati alla sfera famigliare, affettiva: foto, pupazzi, il proprio letto, armadio, cuscino, diario segreto, vestiti. Per i ragazzi, invece, l’ambito personale sembra coincidere maggiormente con il tempo libero, il divertimento, le amicizie: hanno infatti privilegiato oggetti come il computer, il cellulare, la televisione e i videogiochi. Dalle loro scelte emerge inoltre un certo senso pratico, una maggiore concretezza: cibo, acqua, razzi di segnalazione, armi, bussola, materie prime o soldi possono essere certamente utili durante un viaggio in mare, anche se non sono realmente oggetti personali. Probabilmente l’attività del messaggio nella bottiglia svolta nell’incontro precedente, mettendo in evidenza la possibilità di un naufragio, ha influenzato alcune delle loro scelte, come per esempio quella di portare del cibo per sopravvivere. Tuttavia è possibile che il bisogno di assicurarsi il nutrimento possa essere un riflesso del bisogno di affetto e accudimento di cui in fondo sentono ancora la necessità. L’idea di partire per un lungo viaggio, lasciare la propria casa, i propri affetti e sperimentare la propria autonomia sembra nello stesso tempo affascinare e spaventare i ragazzi. Il fatto che le ragazze sentano più forte la necessità di portare con sé parti del proprio presente, ricordi della propria famiglia, potrebbe indicare una minore autonomia e indipendenza rispetto ai compagni maschi. Potrebbe però anche dimostrare una maggiore attenzione a quegli aspetti della propria vita legati alla costruzione dell’identità (infanzia, passato, famiglia, danza, amici). Al contrario i ragazzi paiono maggiormente proiettati verso l’esterno e verso le attività ludiche, in particolare videogiochi, televisione, sport. Nel riempire i “sacchi della vita scolastica” i ragazzi non hanno dimostrato particolare fantasia o interesse: vi hanno inserito poche cose, quasi esclusivamente tipico materiale d’uso come i quaderni, le penne, i fogli. Qualcuno ha preso con sé il libro di geografia o le cartine geografiche, utili per la navigazione. Uniche eccezioni: due ragazze della 3° V della scuola Gramsci che hanno scelto di portare foto e dediche dei compagni, oggetti appartenenti alla sfera affettiva e relazionale, ed una ragazza della 3° T, che ha scelto di Pag. 121 di 195 portare la chitarra, oggetto che richiama alla mente il canto, l’allegria di stare insieme ai coetanei. Nonostante lo scarso interesse dimostrato per questo “sacco”, alcuni hanno scelto il proprio oggetto più importante al suo interno, principalmente per poter scrivere e documentare il proprio viaggio. Che ruolo ha la scuola nella vita dei ragazzi che hanno partecipato al laboratorio? Certamente non è sufficiente questo semplice esercizio per capirlo. Tuttavia la sensazione che se ne ricava è che in essi manchi ancora la consapevolezza di quanto la scuola può dare loro, di quanto sia importante quello che vi imparano e le esperienze che essa offre. La scuola come “dovere”, il sapere come zavorra da mettersi sulle spalle o sotto i piedi per poter salire i gradini della vita, piuttosto che come strumento per crescere, per maturare, acquisire capacità e competenze, sono solo per saper fare ma anche per “divenire”. Questo può essere un problema dal momento che tra meno di due mesi dovranno scegliere come proseguire i propri studi. Relativamente agli interessi, nei sacchi delle ragazze troviamo molta tecnologia: musica, cellulari, televisione, computer, macchina fotografica. I libri sono citati solo da una ragazza nella 3° T, così come anche nella 3° V, mentre nella 3° Z della Palmieri li troviamo inseriti in quattro sacchi e “battono” il cellulare, che compare solo due volte. Un certo successo hanno anche le scarpe da danza, che è un interesse condiviso da alcune ragazze della 3° V della scuola Gramsci. Se si esclude la chitarra indicata da una ragazza della 3° T, gli oggetti inseriti rimandano tutti ad attività che si svolgono da soli oppure permettono di mantenere il contatto con gli amici in modo virtuale (computer) o a distanza (cellulare). I sacchi degli interessi dei ragazzi non sono molto diversi da quelli delle loro coetanee, solo contengono più spesso oggetti legati ad uno sport (quasi sempre il calcio, ma troviamo anche una canna da pesca ed un fucile da caccia) o al gioco (videogiochi, gioco delle costruzioni). Pag. 122 di 195 La lampada di Aladino e i tre desideri “Hai trovato la lampada di Aladino, l’hai strofinata ed ora il genio è davanti a te. Puoi esprimere tre desideri! Puoi chiedere qualunque cosa tu voglia, eccetto che di resuscitare i morti, costringere qualcuno a fare cose o provare sentimenti che non sono suoi, uccidere, ferire o fare del male ad altri.” Di fronte a questo invito a giocare con l’immaginazione i ragazzi, in tutte e tre le classi, si sono mostrati imbarazzati, confusi e con poche idee. “Non so cosa chiedere!”, “Cosa devo dire?”, “E’ giusto se chiedo…” sono state le esclamazioni più frequenti. Prima di proporre questa attività la conduttrice aveva raccontato una fiaba, la cui protagonista aveva un forte desiderio: viaggiare per poter vedere posti nuovi e conoscere nuove storie. Un cavallo magico l’aiutava a realizzarlo. Alla fine tutti hanno espresso le loro richieste, anche se con un po’ di fatica, evidente soprattutto nella classe 3° Z della scuola Palmieri, dove il clima di gioviale presa in giro che domina tra i maschi della classe ha reso più difficile per alcuni di loro esporsi rivelando i propri desideri. Una buona percentuale degli alunni ha chiesto la pace e/o la giustizia nel mondo. In una classe sette ragazze su undici hanno espresso questo desiderio. Nel dibattito si è cercato di approfondire l’argomento, stimolando i ragazzi a descrivere un mondo realmente giusto e soprattutto a riflettere su cosa ciascuno può fare per contribuire a renderlo tale, portando il discorso da un livello astratto (giustizia nel mondo) ad un livello concreto e vicino (giustizia qui ed ora anche perché possa esserci più giustizia nel mondo). Il desiderio di un mondo più equo e accogliente per tutti ha origine forse in un nascente senso sociale, ma più probabilmente è legato al bisogno di sentirsi buoni, di dare un’immagine positiva di sé, non accompagnato però ancora da un concreto proposito di azione. Forse influenzati in parte dalla fiaba ascoltata, alcuni hanno chiesto di poter viaggiare, nel mondo o nell’universo, esplorando nuovi pianeti. Altri hanno chiesto di avere il potere di volare, per andare in tutto il mondo, per osservare cose mai viste, oppure semplicemente per provare l’emozione di andare sospesi. I desideri per il proprio futuro hanno riguardato in alcuni casi la professione (diventare avvocato, ingegnere, archeologa,…) ma più spesso sono stati molto generici: avere una vita senza complicazioni, un futuro felice, realizzarsi, diventare famoso. Pag. 123 di 195 Tra le ragazze è diffuso il sogno di diventare una ballerina famosa o una star, tra i ragazzi di avere successo come calciatori, per guadagnare molti soldi divertendosi. Soprattutto tra i maschi è frequente infatti il desiderio di essere ricco o di possedere oggetti che rimandano all’idea di benessere (una Ferrari, una villa) e di conseguenza di potere. Un ragazzo ha chiesto di diventare Dio. L’immortalità è il desiderio espresso in tutto da sette ragazzi e due ragazze. Solo nella classe 3° Z della scuola Palmieri, dove si trova il ragazzo che da poco ha perso il padre, in due hanno allargato la propria richiesta anche alle persone amate. L’importanza dell’ambito relazionale e del rapporto con i pari emerge nel desiderio di avere amici, addirittura di andare a vivere con loro, oppure di essere belli e simpatici. Nella 3° T due ragazze ed un ragazzo hanno dichiarato di non volere nulla dal genio in quanto vogliono costruirsi da soli il proprio futuro oppure, per una ragazza, hanno già quello che desiderano. In generale, i desideri espressi al genio pur mostrando una discreta varietà di contenuti, di idee e di interessi, rivelano l’immaturità che si nasconde dietro i tentativi che i ragazzi fanno per apparire già grandi. La loro visione del futuro è ancora vaga, come di un sogno lontano: non emergono idee e propositi concreti, progetti da realizzare, obiettivi definiti a cui mirare nel definire un percorso. Il bisogno di autonomia, di crescere emerge tuttavia sotto diverse forme, dal rifiuto dell’aiuto del genio, al voler volare, viaggiare nello spazio, nell’universo alla ricerca di quanto ancora è ignoto. In generale i maschi appaiono più pratici e forse più spontanei, ma spesso ancora legati al mondo dei giochi, dei film, telefilm e fumetti. La proiezione dell’immagine del quadro “L'heureux donateur” di René Magritte ha consentito, in tutte le classi, di affrontare l’argomento dei sogni e delle utopie, della loro fondamentale importanza come motori che spingono in avanti il progresso, che sollecitano a fare e migliorare non solo l’umanità nel suo complesso, ma anche ogni singolo individuo. Può essere interessante notare che solo un ragazzo tra tutti sapeva il significato della parola “utopia”. Il re Scrivere la petizione al re ha avuto lo scopo di calare più nel presente il discorso del desiderio, già affrontato nell’incontro precedente, e di introdurre il tema dell’impegno Pag. 124 di 195 necessario per realizzarlo. Il mandato era di preparare una richiesta da portare al re quel giorno stesso e di immaginare un modo per convincerlo ad esaudirla. L’esercizio è risultato difficile per tutte le classi, ma in particolare per la 3° Z della Palmieri, dove più della metà degli alunni non ha saputo scrivere nulla finchè non è intervenuta la conduttrice che li ha stimolati, incoraggiati, dato loro suggerimenti ed in alcuni casi fatto degli esempi. Nonostante le istruzioni date insistessero molto sul fatto che la richiesta sarebbe stata esaudita nel presente, alcune domande sono risultate anacronistiche o infantili: sposare il principe, avere una macchina (non possono ancora guidarla), possedere la base spaziale della NASA. Nella 3° della Gramsci la maggior parte degli alunni ha chiesto ricchezze, mentre nelle altre due classi poter viaggiare è la domanda che ha riscosso maggior successo. Un certo numero di ragazzi ha chiesto di poter possedere degli oggetti, di solito scegliendo tra quelli che maggiormente simboleggiano il benessere e la moda: un I-phone, una villa per dare feste, una Ferrari. Due ragazzi hanno chiesto di avere uno scudo e la spada, uno dei due spiegando che vorrebbe usarla per combattere i draghi. In effetti i draghi che un adolescente affronta per diventare adulto sono davvero impegnativi da sconfiggere! Un solo ragazzo ha chiesto di avere un castello, anzi proprio il castello del re, il quale re può essere simbolo della figura genitoriale e volerne il castello può indicare il desiderio di assumere il ruolo adulto, diventare a propria volta capo del castello, diventare “comandante” di sé stesso. Un alunno della 3° Z della Palmieri (uno dei più agitati), ha desiderato di avere più campi da calcio in città, esprimendo così un bisogno concreto, reale ed attuale. Ancora una volta dal materiale raccolto emerge l’immagine dell’adolescente confuso di fronte a sé stesso, diviso tra il mondo dell’infanzia e l’essere adulto. La consapevolezza di sé nel presente, delle proprie capacità e opportunità, dell’importanza delle proprie scelte e delle conseguenze che ne derivano è ancora vaga, nebbiosa. Il livello di maturità varia da soggetto a soggetto, ma tutti condividono il disagio di voler essere grandi, di sentirsi non più bambini e non ancora adulti. Vorrebbero partire per il viaggio della vita, ma non sanno da che parte andare, non sanno di cosa hanno bisogno né di cosa già dispongono. Si sentono come viaggiatori in attesa sul molo, incerti su quale nave salire, confusi sulle rotte da seguire e, in fondo, con un vago timore di non saper navigare. In realtà sono già in Pag. 125 di 195 viaggio, sono già ognuno in piedi sulla propria nave che cercano di scrutare l’orizzonte per vedere dove stanno andando, senza però sapere ancora usare il timone. Riguardo ai metodi usati per convincere il re ad esaudire la propria richiesta, i ragazzi hanno mostrato una discreta fantasia. La consegna era di trovare argomenti e spiegazioni che potessero persuadere il re a concedere il proprio aiuto. Alcuni hanno semplicemente insistito finché il re non ha ceduto per “sfinimento” (una ragazza ha dichiarato che è il metodo che usa anche con sua mamma), altri hanno offerto servigi o doni in cambio di quanto chiesto, altri hanno argomentato la propria petizione, altri ancora hanno, infine, usato metodi un po’ più “violenti”, quali il ricatto o le minacce. Spesso il re acconsentiva ad esaudire le richieste purché il richiedente se ne andasse e promettesse di non farsi più vedere. Le argomentazioni addotte per convincere il re sono state molto generiche e vaghe, le più frequenti sono state: “perché sarei felice”, “perché ne ho bisogno” o ancora “perché lo desidero tanto”. Alcuni hanno fatto leva sul senso del dovere e sugli obblighi del sovrano, che “deve” pensare alla felicità del suo popolo, altrimenti sarà chiamato “tirchio”. Le richieste di viaggi (molto frequenti) hanno spesso trovato una giustificazione nella possibilità di conoscere nuovi posti, popoli, usanze e di imparare meglio le lingue. Riguardo ai ricatti e alle minacce, un ragazzo ha dichiarato di aver nascosto una bomba nel castello e di essere pronto a farla esplodere, un altro ha promesso torture basate sul solletico, una ragazza ha detto di essere pronta a rivelare alla regina tutti i tradimenti del re, e così via. Può essere interessante notare come il ricatto e la minaccia siano stati gli strumenti più frequentemente utilizzati nella classe in cui le richieste di denaro sono state più numerose, mentre nelle altre due classi hanno prevalso l’argomentazione e l’offerta di servigi. Pag. 126 di 195 Il cartellone Leggere le frasi che loro stessi avevano scritto sul cartellone dei “pensieri in movimento” è stato il momento più entusiasmante e coinvolgente per i ragazzi, che si sono sentiti protagonisti. In entrambe le classi della scuola Gramsci le frasi erano davvero molte, a volte tratte da canzoni o testi, ma spesso create dai ragazzi. Nella 3° Z della Palmieri sul cartellone le frasi erano meno numerose e meno personali, probabilmente sempre a causa del clima interno alla classe, che rende faticoso esporsi. In tutte le classi il dibattito, la condivisione di idee e pensieri, il confronto svoltisi durante la lettura dei “pensieri in movimento” sono stati accesi, sentiti, partecipati. I ragazzi hanno saputo esprimere le proprie idee, convinzioni, ma anche ascoltare quello che gli altri avevano da dire. Sollecitati da domande, a volta volutamente un po’ provocatorie, che la conduttrice ha loro rivolto, si sono sforzati di capire e dare risposte, dimostrando in alcuni casi una profondità di pensiero che negli altri incontri non era emersa. La conduttrice si è limitata a dare pochi spunti, sotto forma di domande, e a fare da moderatrice della discussione. Gli argomenti affrontati sono stati suggeriti dai ragazzi tramite le frasi che avevano scritto e le considerazioni espresse a voce durante l’incontro. In tutte le classi si è parlato molto di amicizia e di amore, ma anche del tempo che passa, della necessità di dare una direzione alla propria vita, dell’importanza dei sogni e dei desideri, della morte e dell’eredità che ogni uomo lascia a chi rimane, ai discendenti. Nella 3° V della Gramsci ci si è chiesti se la vita sia predeterminata, ossia esista un destino già scritto per ognuno di noi, o se invece ognuno sia artefice della propria fortuna; ci si è impegnati in considerazioni sull’importanza del passato, sul filo che lega passato-presente-futuro. Sia nella 3° T della scuola Gramsci che nella 3° Z della scuola Palmieri, classi in cui si riscontrano conflitti e dissapori interni, è stato affrontato il problema delle relazioni interne alla classe. Gli alunni hanno avuto la possibilità di chiarire i diversi punti di vista e di spiegarsi. In alcuni momenti la discussione ha assunto toni polemici e le rispettive insegnanti sono intervenute per dare il loro contributo offrendo un punto di vista esterno, anche se non neutro. Si è trattata di una buona occasione di confronto e verifica, che le insegnanti volendo potranno riprendere e sviluppare ulteriormente in un secondo momento. Pag. 127 di 195 Il punto di vista delle insegnanti Al termine degli incontri è stato chiesto alle insegnanti di compilare un breve questionario (il cui schema è riportato tra gli allegati) per la valutazione dello svolgimento del laboratorio e dei risultati da esso raggiunti. Le insegnanti hanno concordato sul fatto che il laboratorio sia stato utile per i ragazzi, in quanto ha fornito loro l’opportunità di riflettere su aspetti della propria persona sui quali raramente si soffermano. Il laboratorio è stato giudicato coinvolgente, soprattutto perché ha utilizzato modalità e strumenti diversi da quelli tradizionali. Tutti i ragazzi hanno partecipato. Secondo la professoressa della 3° Z, della scuola Palmieri, anche gli alunni che di solito sono esclusi dal gruppo hanno potuto essere ascoltati senza pregiudizi. La libertà di rivelare o meno i propri aspetti più intimi ha fatto in modo che nessuno si sentisse a disagio, anche se la professoressa della 3° Z ha rilevato tra i suoi allievi un po’ di imbarazzo nel leggere le proprie riflessioni dovuto, a suo parere, alle dinamiche esistenti all’interno della classe. Le insegnanti hanno trovato interessante assistere agli incontri in quanto hanno potuto osservare i ragazzi da un diverso punto di vista, cogliendone aspetti nuovi. La conduzione del laboratorio è stata giudicata adeguata. Non sono state rilevate carenze particolari, anche se la professoressa della 3° T ha suggerito di approfondire maggiormente la parte riguardante le capacità di ciascuno e di affrontare anche il tema delle paure personali. I punti di forza del laboratorio sono stati identificati principalmente nell’ascolto, nella lettura delle fiabe, nella possibilità del confronto senza giudizio e nell’aver affrontato temi che sono cari agli adolescenti ma sui quali essi non riflettono quasi mai. La professoressa della 3° Z ritiene che, potendo, sarebbe meglio svolgere il laboratorio in un’aula vuota, senza troppa “scuola” intorno. Pag. 128 di 195 4.2 Verifica dei risultati Gli esiti del laboratorio In viaggio alla ricerca dell’Isola Sconosciuta possono essere misurati da tre diversi punti di vista, a seconda degli attori che vi hanno preso parte: gli alunni, le insegnanti e la conduttrice. Le considerazioni e i risultati riportati di seguito sono basati sul materiale raccolto durante gli incontri e sulla rielaborazione dei questionari compilati dai ragazzi e dalle insegnanti101. Gli alunni I principali obiettivi di questo laboratorio erano relativi al fornire ai ragazzi che vi hanno preso parte strumenti utili per orientarsi e, in prospettiva, per imparare ad autorientarsi. In particolare si voleva incoraggiare i ragazzi a guardare a sé stessi riconoscendo i propri pregi e le proprie capacità, anche aiutati dallo sguardo dei compagni, e farli riflettere sull’importanza di avere dei sogni, dei desideri e di impegnarsi per realizzarli. L’analisi del materiale emerso, fatta nel precedente paragrafo, rivela che negli scritti e soprattutto nei dibattiti i ragazzi si sono trovati a riflettere su sé stessi, su aspetti della propria personalità, sulle proprie aspettative e desideri per il presente e per il futuro. E’ altresì evidente come molti di questi argomenti non fossero stati da loro affrontati in precedenza, se non ad un livello molto superficiale. Il laboratorio ha quindi dato loro la possibilità di guardarsi dentro e intorno, si spera sollecitandone la mente e la coscienza (non quella morale, ma quella legata alla consapevolezza di sé), dando il via ad un potenziale svolgersi di successivi ragionamenti da farsi con sé stessi o con i genitori o con gli insegnanti o, ancora, con amici e compagni. Le risposte fornite dagli alunni nei questionari consegnati al termine dell’ultimo incontro sembrano confermare queste impressioni. Alla domanda “Cosa hai imparato da questo laboratorio?” le risposte sono state leggermente differenti nelle tre diverse classi, come mostra il grafico riportato nella Figura 7102. 101 102 I questionari sottoposti ai ragazzi e alle insegnanti sono riportati nell’allegato C. I dati riportati nel grafici seguenti sono espressi in percentuale (numero di alunni sul totale classe) Pag. 129 di 195 In tutte le classi i ragazzi dichiarato meglio 60 hanno di aver compreso l’importanza 50 40 di 3°T Gramsci 3°V Gramsci 3°Z Palmieri 30 riconoscere i propri desideri e bisogni, di avere delle 20 10 aspirazioni personali e di ragionare con la propria testa. 0 CAPIRE, CONOSCERE GLI ALTRI IMPORTANZA DEI DESIDERI RAGIONARE CONOSCERSI MOLTE COSE ALTRO Figura 7 - Grafico "Cosa hai imparato da questo laboratorio?" Nelle classi dove si è discusso dei problemi di relazione esistenti tra i ragazzi è stata alta la percentuale di chi ha affermato di avere imparato a comprendere meglio gli altri, a capire come possano coesistere diversi punti di vista, diversi modi di interpretare un atteggiamento, un comportamento, un evento e l’importanza di confrontarsi e rispettarsi. Riguardo alle difficoltà (Figura 8) la maggior parte dei ragazzi ha dichiarato di non averne incontrate. Un certa fatica si evidenzia nel fare delle scelte, sia riguardo ai “bagagli” da portare con sé che ai 90 desideri da 80 esprimere, fatto 70 che rende 60 la 50 necessità di un 40 orientamento 30 non solo basato 20 sulla 10 evidente trasmissione di 3°T Gramsci 3°V Gramsci 3°Z Palmieri 0 NESSUNA informazioni, COMUNICARE CON I COMPAGNI STARE ATTENTO/CAPIRE LE PAROLE SCRIVERE I TESTI SCRIVERE LA FRASE SUL CARTELLONE FARE DELLE SCELTE Figura 8 - Grafico "Hai incontrato delle difficoltà?" ma che preveda anche un’adeguata attenzione alla reale capacità dei ragazzi di elaborare le informazioni ricevute ed operare delle scelte. Pag. 130 di 195 Ancora una volta nelle classi più conflittuali si manifestano disagi nell’ambito della comunicazione tra coetanei, che vengono evidenziati dai ragazzi sia direttamente tra le difficoltà riscontrate sia, alla domanda “cosa ti è piaciuto di meno”, segnalando come elemento meno gradito il dover esprimere le proprie idee di fronte ai compagni (Figura 9). Molti hanno indicato tra le 70 60 cose che sono piaciute di meno lo scrivere i testi, 50 40 3°T Gramsci 3°V Gramsci 3°Z Palmieri 30 attività che è forse stata interpretata 20 10 come una sorta 0 NIENTE, NESSUNA RISPOSTA di compito, un tipico RACCONTI CANZONI SCRIVERE I TESTI ESPORRE I PROPRI ESSERE TRATTATI PENSIERI DA BAMBINI ALTRO Figura 9 - Grafico "Cosa ti è piaciuto di meno?" lavoro scolastico. Compilare le schede scrivendo dei testi è però essenziale perché consente ai ragazzi di riflettere, prendere tempo, chiarire i propri pensieri e tradurli in frasi sensate per sé e per gli altri. La conduttrice ha spiegato bene che gli elaborati non sarebbero stati giudicati, che la forma era poco importante, ma per alcuni l’esercizio è risultato ugualmente faticoso. Nel grafico 40 che riassume le 35 risposte dei 30 ragazzi alla 25 domanda “Cosa 20 ti è piaciuto di 15 più?” (Figura 10 10) si nota che 5 in 0 assoluto l’attività che ha 3°T Gramsci 3°V Gramsci 3°Z Palmieri RACCONTI IL CARTELLONE PARLARE E ED IL CONFRONTARSI CONFRONTO CONSEGUENTE UNO DEGLI INCONTRI PER RAGGIUNGERE QUALCOSA BISOGNA CREDERCI CANZONI ALTRO riscosso Figura 10 - Grafico "Cosa ti è piaciuto di più?" maggiore successo è stata quella dell’ultimo incontro, quando si sono lette le frasi da loro Pag. 131 di 195 scritte sul cartellone e le si è commentate tutti insieme. Il motivo di questo successo è solo parzialmente dovuto al fatto che questo esercizio non richiedeva lo sforzo di produrre un testo scritto, mentre l’aspetto fondamentale è che si è trattato di uno spazio di espressione davvero libera. Negli incontri precedenti infatti il tema della discussione era guidato e predeterminato dalla conduttrice, mentre nell’ultimo incontro erano le frasi da loro stessi scelte o inventate e trascritte a guidare il discorso, che loro stessi poi sviluppavano. I ragazzi hanno dichiarato di aver gradito l’ascolto dei racconti, mentre poco entusiasmo hanno suscitato le canzoni, probabilmente perché si trattava di musiche distanti da quelli che sono i loro gusti e dalle tendenze del momento, specialmente la canzone di Guccini. D’altro canto probabilmente proprio questa loro caratteristica ha permesso che l’attenzione fosse concentrata sulle parole e sul significato del testo, che veniva proiettato sulla LIM. L’ultimo grafico, che riassume le risposte al quesito “Cosa hai imparato dagli altri?” (Figura 11), mostra come lo scambio e il confronto aperto tra i ragazzi all’interno della classe ha stimolato la riflessione sul fatto che gli altri possono avere un’opinione diversa dalla mia o motivazioni non evidenti per comportarsi in un determinato modo, che pur non concordando su tutto si può comunque convivere pacificamente se si impara a rispettarsi vicendevolmente. 90 80 70 60 50 3°T Gramsci 3°V Gramsci 3°Z Palmieri 40 30 20 10 0 BISOGNA SEGUIRE I PROPRI SOGNI CONFRONTARMI, CAPIRE GLI ALTRI E ME STESSO I MIEI PREGI ESSERE FELICI DI CIO' CHE SI HA ALTRO Figura 11 - Grafico "Cosa hai imparato dagli altri?" Pag. 132 di 195 In conclusione, si può affermare che dei due principali obiettivi prefissati, quello di stimolare i ragazzi a riflettere sull’importanza di avere dei sogni, dei desideri e di impegnarsi per realizzarli è stato raggiunto in modo soddisfacente. Avendo più tempo a disposizione si sarebbe potuto approfondire ulteriormente la questione, magari coinvolgendo maggiormente gli alunni che ancora si sono tenuti un po’ in disparte, e affrontare in modo più specifico il tema della scelta di un percorso di formazione e del loro futuro lavorativo. Minor successo ha invece avuto l’impegno per aiutare i ragazzi ad acquisire maggiore consapevolezza dei propri pregi e delle proprie capacità, scopo a cui è stato dedicato il primo incontro. L’attività del messaggio nella bottiglia ha permesso una breve riflessione su sé stessi e un confronto tra l’immagine che ognuno aveva di sé e l’immagine che ne avevano i compagni. Il fatto che questo aspetto fosse stato affrontato nel primo incontro e il questionario somministrato al termine del quarto, a tre settimane di distanza, dopo due incontri dedicati ai desideri e un coinvolgente dibattito con i compagni, potrebbe avere influenzato le risposte. Tuttavia su questo aspetto sarebbe indubbiamente stato opportuno soffermarsi un po’ di più, possibilmente aggiungendo un ulteriore incontro. A conferma di questo troviamo il suggerimento dato dalla professoressa della 3° T, che compilando il questionario finale per le insegnanti segnala l’opportunità di approfondire “la parte riguardante le capacità di ciascuno” oltre ad affrontare anche il “tema delle paure personali”. Le insegnanti Uno degli obiettivi del laboratorio era di consentire all’insegnante presente durante gli incontri di osservare i ragazzi in un diverso contesto relazionale, ascoltarne i pensieri, i desideri, le difficoltà e rilevare le dinamiche di classe. Nonostante gli incontri si siano svolti in aula con i ragazzi seduti ognuno nel proprio banco, quindi in una situazione tipicamente scolastica, lo svolgersi delle attività, le modalità con cui sono stati introdotti gli argomenti e la libertà di parola e di pensiero che è stata adottata, hanno reso l’atmosfera informale ed i ragazzi hanno potuto esprimersi o non esprimersi come meglio ritenevano. In ogni caso hanno parlato di sé stessi, o con le parole o con l’atteggiamento. Alla domanda del questionario “Prendere parte agli incontri è stato per Lei interessante”, le insegnanti hanno risposto in modo affermativo, adducendo le seguenti motivazioni: Pag. 133 di 195 “Ho avuto modo di scoprire, con meraviglia, aspetti dei ragazzi che spesso sfuggono ai docenti, restando sorpresa della profondità di qualcuno” (professoressa della classe 3° T della scuola Gramsci). “Ho potuto osservare le reazioni dei ragazzi da un’altra prospettiva” (professoressa della classe 3° Z della scuola Palmieri). “Sono venuti fuori dei lati che conoscevo poco di loro o solo marginalmente” (professoressa della classe 3° V della scuola Gramsci). La conduttrice Il laboratorio è stato un’esperienza intensa, coinvolgente e istruttiva, che ha consentito di sperimentare nella pratica le teorie apprese dai libri ed elaborate autonomamente, sulla base delle quali i quattro incontri sono stati progettati. Tenere un diario, compilato al termine di ogni incontro, è stato uno strumento utile di riflessione, che ha consentito di apportare piccole modifiche e aggiustamenti di rotta in corso d’opera, di evitare confusione tra quanto emerso in una classe piuttosto che in un'altra, oltre a rendere possibile la verifica finale dell’intero laboratorio. Purtroppo il tempo a disposizione era limitato, perché la sensazione che fosse necessario dilatare il tempo dedicato alla scoperta di sé si è fatta sentire da subito, così come anche per la scheda dei bagagli che, se le si fosse dedicato un incontro, avrebbe potuto offrire l’opportunità per parlare di sé nel presente, nel passato e nel futuro. Considerando il tempo a disposizione, i risultati ottenuti sono comunque stati soddisfacenti. Più di tante parole e degli stessi questionari compilati, sono stati gli sguardi attenti, i toni interessati e partecipi, i discorsi pertinenti, le provocazioni, l’entusiasmo dei ragazzi a confermare che la direzione presa era giusta. I dialoghi, le discussioni, i momenti di condivisione e scambio hanno stimolato le riflessioni che potenzialmente possono generare cambiamento. Si può dire che, per ogni ragazzo, è stato come gettare un sasso in un lago: l’acqua si è mossa, piccole onde hanno increspato la superficie, i cerchi si sono allargati: quali conseguenze questo potrà avere, quali eventuali cambiamenti nel profondo possa aver prodotto si potrà vedere solo in seguito. Sarebbe interessante progettare un laboratorio di più ampio respiro, un percorso che iniziando nella classe prima della scuola secondaria di primo grado, accompagni i ragazzi fino alla terza, fino al momento di fare la propria scelta scolastica. Si potrebbe così Pag. 134 di 195 predisporre un sistema di verifica dei risultati basato sul confronto tra gli studenti coinvolti nel percorso e un gruppo di controllo. Pag. 135 di 195 CONCLUSIONI Ogni bambino è il principe della propria vita, così come ogni bambina ne è la principessa. Ogni adolescente è un principe o una principessa che lotta per diventare re o regina di sé stesso e diventa adulto quando ci riesce. Per questo le fiabe parlano di noi, ci riguardano tutti. E’ ormai trascorso più di un secolo da quando, sotto la spinta di esigenze produttive e industriali, si è cominciato a parlare di orientamento, inteso inizialmente come lo strumento più idoneo a trovare “l’uomo giusto” per una determinata mansione lavorativa. Durante questa prima fase, definita “diagnostico-attitudinale”, l’orientatore, che è tipicamente uno psicofisiologo, si pone l’obiettivo di rilevare le capacità, disposizioni e attitudini innate del soggetto per poterle confrontare con i requisiti richiesti per le diverse professioni. Negli anni trenta del secolo scorso, in seguito a diversi esperimenti condotti sul campo, si riscontra l’importanza dell’interesse che il soggetto nutre per l’attività lavorativa svolta, interesse direttamente correlato con il conseguimento di buone prestazioni. Questa fase, definita “caratteriologica-affettiva”, si protrarrà fino agli anni cinquanta. L’orientatore è ora uno psicodiagnosta, i suoi strumenti sono inventari, questionari e test, il suo obiettivo è indagare affetti, pensieri, volontà dell’individuo. In seguito alla diffusione del pensiero psicoanalitico, delle teorie di Piaget e di Vygotskij, a partire dal secondo dopoguerra, l’attenzione degli studiosi si sposta verso gli elementi più profondi della personalità, verso le emozioni ed i vissuti del soggetto, ritenuti fondanti delle sue motivazioni e del suo agire. Agostino Gemelli (1943), promotore dell’orientamento in Italia, sottolinea la differenza tra interessi e inclinazioni: poiché affondano le proprie radici nell’inconscio sono le inclinazioni che possono indicare la giusta direzione lavorativa da intraprendere. L’orientatore è ora uno psicologo clinico, che utilizzando test proiettivi e colloqui clinici, si sforza di individuare il percorso professionale migliore per il singolo individuo. Nonostante il maggior interesse per il benessere dei soggetti, nella fase “clinico-dinamica” l’approccio è ancora di tipo direttivo e l’utente mantiene il ruolo di destinatario passivo dell’intervento. Non viene tenuto in alcun conto l’importanza che i fattori ambientali, sociali e familiari hanno sullo sviluppo del soggetto e delle sue inclinazioni. Sociologi e pedagogisti contestano all’orientamento questa mancanza. Pag. 136 di 195 Negli anni cinquanta Super (1957) elabora la teoria dello sviluppo vocazionale, secondo la quale ogni individuo può sviluppare le proprie capacità decisionali e l’attività di orientamento deve essere di sostegno a tale evoluzione, favorendo il conseguimento dell’autonomia da parte del soggetto. L’utente diviene attivo costruttore del proprio percorso. Gradualmente l’azione orientativa assume il significato di “educazione alla scelta”, al pensiero critico. Non solo il soggetto può costruire il proprio futuro, non solo è in grado di valutare le proprie capacità e limiti, di individuare le risorse e i vincoli dell’ambiente, ma può anche intervenire sulla realtà, di cui è parte attiva. L’orientatore è ora non solo più psicologo, ma anche educatore o insegnante. L’orientamento acquista una propria valenza sociale, attraverso attività volte alla prevenzione ed al recupero, non solo in ambito scolastico e non solo più per gli adolescenti. Negli corso degli anni ottanta si ritiene necessario rendere disponibili a tutti, soprattutto alle categorie più svantaggiate, il maggior numero di informazioni possibili. Si moltiplicano così le attività e i servizi di informazione. Ben presto però appare evidente, anche in seguito all’avvento della globalizzazione e alla rapida diffusione di internet, che fornire innumerevoli dati a persone a cui mancano gli strumenti per interpretarli correttamente, per discriminare l’utile dal superfluo, genera solo maggiore confusione e disorientamento. Nel frattempo i rapidi cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro portano a parlare sempre più insistentemente della necessità di una formazione permanente. Per muoversi in un mondo così complesso e in continua trasformazione è necessario non solo acquisire specifiche abilità, saper cogliere le opportunità disponibili, valorizzare le proprie capacità, ma bisogna essere in grado di affrontare i momenti critici, gli imprevisti, di mettere in atto adeguate strategie di coping, imparando a progettare, a relazionarsi, ad adattarsi, ossia si devono sviluppare quelle che vengono definite competenze trasversali. L’azione orientativa accompagna tutta la vita scolastica e lavorativa ed assume la funzione di empowerment del soggetto. L’individuo è considerato artefice del proprio destino, attivo costruttore della propria vita, di cui è il protagonista, in grado di assumersi la responsabilità delle proprie scelte. L’orientatore si pone al suo fianco come aiuto e sostegno nel processo che porta l’utente ad essere in grado di autorientarsi, al fine di realizzare se stesso e dare così il proprio contributo alla comunità in cui vive. Strumento privilegiato dell’azione orientativa è di Pag. 137 di 195 conseguenza la relazione che si stabilisce tra orientatore e utente, relazione che è interattiva ed educativa. Gli interventi devono tenere conto delle esigenze e delle caratteristiche dei singoli individui. Il fine è la costruzione dell’identità personale, sociale e professionale del soggetto. La scuola, come ente formativo ed educativo, è chiamata a fare la propria parte ed è coinvolta in tutte le dimensioni dell’orientamento: la formazione, l’informazione e la consulenza, che insieme concorrono all’acquisizione di competenze orientative. Queste ultime possono essere classificate in quattro aree: la conoscenza di sé, la conoscenza del contesto, la capacità di connettere le due aree precedenti ai fini di una scelta, la capacità di progettare la realizzazione della decisione presa. Le prime attività espressamente deputate all’orientamento all’interno della scuola risalgono agli anni settanta del secolo scorso, hanno carattere sperimentale e si svolgono principalmente nelle scuole superiori, per allargarsi poi gradualmente (con finalità diverse) alle elementari e alle medie. Gli strumenti utilizzati sono le discipline di insegnamento e specifici momenti informativi. Verso la fine degli anni novanta, si riconosce la necessità di integrare tali strumenti con interventi formativi espressamente dedicati, gestiti da soggetti (pubblici e privati) detentori di specifiche competenze. All’orientamento viene chiesto di essere proattivo, ossia operare per prevenire le situazioni di svantaggio e combattere la dispersione scolastica. Successivamente, anche in seguito alle indicazioni dell’Unione Europea (2006), nel sistema dell’istruzione italiano è avviata la transizione dall’impianto curricolare di tipo disciplinare a quello basato sulle competenze e sui risultati di apprendimento. Cambia così la prospettiva della valutazione scolastica, che da giudizio unilaterale diviene certificazione, attestazione dei punti di forza e di debolezza dell’alunno. Si viene sempre più concretizzando l’idea di orientamento come processo evolutivo, al cui centro c’è la persona ed il cui scopo è duplice: personale e sociale. Infatti se il soggetto sarà in grado di realizzarsi, di vivere pienamente la propria vita, potrà di conseguenza dare il suo massimo contributo al progresso e al benessere della società in cui è inserito. Restano tuttavia molti problemi da risolvere e nodi da sciogliere. Nonostante siano stati fatti e siano attualmente in corso vari sforzi (tra cui la definizione di un piano nazionale per l’orientamento) per la realizzazione di un sistema integrato, di una rete territoriale che consenta di ottimizzare le risorse e rendere omogenea a livello nazionale la distribuzione degli interventi orientativi, nella pratica questo obiettivo Pag. 138 di 195 appare però ancora lontano. Manca un’univoca definizione della figura professionale dell’operatore di orientamento e deve essere ancora delineato il percorso formativo ad essa dedicato, mentre la preparazione degli insegnanti in questo ambito appare ancora inadeguata. L’avere introdotto l’orientamento all’interno del processo formativo ed educativo scolastico ha avuto come conseguenza il crearsi di una certa confusione tra processo orientativo e processo educativo, mentre il dibattito su quali competenze certificare e soprattutto come certificarle è ancora aperto. Nell’ultimo decennio, in relazione alla difficile situazione economica e occupazionale, ha assunto una sempre maggiore importanza l’orientamento degli adulti, in particolare per i soggetti disoccupati, in mobilità o cassa integrazione. L’aumento della domanda e l’urgenza dei problemi da affrontare, ha portato al moltiplicarsi di proposte e attività pratiche, volte a tamponare situazioni contingenti, prive di finalità realmente educative e preventive. In ambito scolastico, la perenne scarsità di risorse finanziarie a disposizione è stata resa ancora più drammatica dalla grave crisi economica attualmente in corso: mancano i soldi persino per acquistare il normale materiale di consumo e per pagare il personale che sarebbe necessario ad un buon funzionamento della struttura (bidelli, insegnanti di sostegno, supplenti). Di conseguenza si rinuncia in primo luogo a tutto ciò che non è strettamente indispensabile, poi a ciò la cui necessità non è così evidente o non produce effetti immediatamente riscontrabili e dimostrabili. L’orientamento ricade in questa seconda categoria, con l’eccezione delle attività di orientamento informativo, dove il passaggio di notizie e dati ha un immediato e pratico riscontro. Finisce così che, benché ne sia stata sottolineata l’importanza sia per i singoli individui che per la collettività da studiosi di diverse discipline (psicologi, sociologi, educatori) e benché la legge ne solleciti l’utilizzo, di fatto (come testimonia il Rapporto orientamento 2010 redatto dall’Isfol) nella scuola l’attività di orientamento si risolve spesso in una semplice azione informativa, oppure in un supporto psicologico per i casi più problematici, a cui si affiancano stages aziendali e tirocini formativi. Certo non mancano sperimentazioni e tentativi di tradurre in metodologie operative e interventi concreti le indicazioni fornite dai vari teorici, che restano però esperienze più o meno isolate, legate alla buona volontà e all’impegno dei singoli comuni, se non delle singole scuole. Pag. 139 di 195 Un filone importante in quest’ambito è quello dell’orientamento narrativo, i cui primi esperimenti risalgono agli anni novanta del secolo scorso. L’aspetto peculiare di questa metodologia orientativa è quello di riuscire a coniugare insieme l’aspetto più profondo della conoscenza e ricerca di sé, con quello conseguente ma più evidente della costruzione del proprio percorso di vita. L’utilizzo del pensiero narrativo, utilizzando la terminologia suggerita da Bruner, per legare insieme i vari fili del proprio essere, della propria storia, per dare ordine e senso a ciò che è accaduto e accade, a ciò che è stato, è o potrebbe essere, consente di tessere una tela ordinata della propria vita, di scorgervi l’emergere di un disegno che, seppure ancora e sempre in costruzione, tuttavia ha un suo significato, segue una direzione. Da quando ha smesso di essere una scimmia, l’uomo si interroga su se stesso, sulla propria identità, sul proprio destino e rifiuta l’idea di essere cieca materia nelle mani del caso. Il viaggio di Ulisse è il viaggio di ogni uomo, che come il mitico eroe greco, cerca la propria strada, destreggiandosi tra pericoli e ostacoli, e quando infine crede di essere ad un punto di arrivo scopre che si tratta di una nuova partenza. La narrazione svolge molteplici funzioni: fornisce una struttura al reale, consente di interpretare gli eventi, attribuendovi un senso, rende possibile la condivisione di tali interpretazioni, delle emozioni provate e dei progetti. Una visione chiara e definita della realtà permette di muoversi al suo interno con maggiore facilità e quindi di esercitare il proprio controllo su di essa. Organizzare il proprio pensiero è il primo passo per poter organizzare e pianificare le azioni, prevederne gli esiti e di conseguenza elaborare piani e progetti per il futuro. Il racconto interiore della propria storia, del proprio vissuto è ciò che fornisce a ogni individuo l’impressione della propria continuità e gli permette di scorgere nella vita vissuta una direzione, un “senso”. Questo raccontarsi e ri-raccontarsi continuamente a se stessi e agli altri contribuisce alla costruzione dell’identità. Bruner (1986, 1990) ritiene che sia il mondo che il sé siano il prodotto dell’azione e della simbolizzazione umana: gli individui muovendosi all’interno della propria cultura di appartenenza, interagendo tra loro, scambiando significati, mettono in atto un processo continuo di costruzione intersoggettiva della realtà. Scelte, desideri, aspirazioni, progetti per il futuro traggono nutrimento da queste narrazioni, dal modo in cui il soggetto interpreta gli eventi passati, presenti e futuri. Nel processo di costruzione dell’identità, l’adolescenza rappresenta un momento particolarmente critico. Secondo il modello stadiale dello sviluppo psicosociale dell’individuo delineato dallo psicanalista tedesco Erik Erikson (1950, 1968, 1982), Pag. 140 di 195 compito specifico dell’età adolescenziale è l’acquisizione dell’identità personale, mentre l’eventuale fallimento di questo traguardo conduce alla confusione di ruoli, ovvero ad un’identità non pienamente coerente ed integrata, in cui persistono bisogni, comportamenti, atteggiamenti meno maturi insieme a quelli propri dell’età. L’adolescente si trova a camminare su un terreno sconosciuto e dai contorni non ben definiti, non più fanciullo e non ancora uomo osserva il proprio corpo cambiare, la propria mente aprirsi a nuovi modelli di pensiero, acquista una nuova consapevolezza di sé e pressanti domande si affacciano alla sua mente: chi sono? Chi vorrei essere? Cosa si aspettano gli altri da me? Chi sarò domani? Il bisogno di distaccarsi dai genitori si accompagna alla necessità di sentirsi riconosciuti dai pari, che divengono veri e propri punti di riferimento, a cui rivolgersi per essere rassicurati sulla propria adeguatezza, normalità, accettabilità, con i quali condividere nuove esperienze, preoccupazioni, conquiste, con i quali allearsi per contrapporsi agli adulti e al loro mondo. L’allungarsi del percorso scolastico, le difficoltà a trovare un’occupazione stabile e che garantisca una reale indipendenza economica, ha dilatato i limiti temporali di questa fase della vita, che inizia con una pubertà sempre più precoce e la cui conclusione si sfuma nel passaggio dalla tarda adolescenza allo stadio del giovane adulto. La mancanza di un sistema di valori stabile e condiviso, l’individualismo esasperato, il consumismo, il bisogno di apparire come e “più” degli altri, sono i tratti caratteristici dell’attuale società occidentale. La globalizzazione non ha portato all’elaborazione di un sistema di valori comuni, anzi paradossalmente si riscontra un ritorno al localismo, forse come ricerca di un rifugio dalla confusione e dalla sovrabbondanza di informazioni e possibilità, in cui è difficile districarsi e orientarsi. Immersi nel vortice delle continue novità, del relativismo morale e culturale, si vive alla giornata, cercando di tenere insieme le diverse immagini della realtà e di se stessi. Costruire un’identità matura e consapevole è quindi impresa difficile per gli adolescenti di oggi, che sono necessariamente ancora più disorientati e confusi degli adulti, in cui faticano a trovare stabili punti di riferimento a cui ancorarsi o a cui contrapporsi. La narrazione, dunque, può anche oggi essere uno strumento utile a facilitare la costruzione attiva di significato da parte dei soggetti. Pur nella crisi delle “metanarrazioni”, condivise a livello sociale e in passato schema di riferimento per le narrazioni individuali, resta vivo il bisogno di guardare alla realtà come ad un’unità significativa e comprensibile, in cui e su cui è possibile agire, per affermare e costruire se stessi e la propria storia. Pag. 141 di 195 Da queste considerazioni è nata l’idea del laboratorio “In viaggio alla ricerca dell’isola sconosciuta” basato sulla metodologia dell’orientamento narrativo, il cui obiettivo è favorire lo sviluppo di competenze utili a fronteggiare le situazioni di transizione e a compiere scelte responsabili, favorendo l’autonomizzazione del soggetto, nella logica dello sviluppo di empowerment. Ricordando le tre dimensioni del processo di orientamento (formazione, informazione e consulenza), questo laboratorio si colloca quindi nell’ambito dell’orientamento formativo. Il laboratorio è stato ideato per ragazzi della classe terza delle scuole secondarie di primo grado, ragazzi che nel transitare dalla preadolescenza all’adolescenza si trovano a dover fare, più o meno autonomamente, la prima scelta veramente importante per la loro futura vita sociale e lavorativa: come proseguire il proprio percorso scolastico e formativo. L’obiettivo del laboratorio è stato quello di stimolare nei ragazzi la riflessione su se stessi, sull’importanza dei sogni e di impegnarsi per guidare la propria vita, offrendo a ciascuno di loro uno spazio in cui potersi esprimere, sentirsi ascoltato e nello stesso tempo potersi confrontare con le immagini di sé restituitegli dai compagni. L’insegnante che ha partecipato agli incontri ha così avuto modo di osservare i ragazzi da un diverso punto di vista, ha potuto ascoltarne pensieri, desideri, cogliere le difficoltà dei singoli e nelle relazioni di classe. Questo è particolarmente importante in quanto, trattandosi di classi terze della scuola secondaria di primo grado, quest’anno l’insegnante è chiamato a dare il suo parere sulle scelte dei ragazzi nell’ambito dell’orientamento scolastico. Filo conduttore degli incontri è stata la metafora della vita come viaggio, metafora antica come la civiltà umana, presente in molte narrazioni mitologiche, fiabe e racconti, non solo della nostra cultura. Ispirandosi al bellissimo testo di Josè Saramago Il racconto dell’isola sconosciuta, che è stato quasi integralmente letto durante il terzo incontro, si è proposto ai ragazzi di usare l’immaginazione e la fantasia. La conduttrice si è presentata come inviata da un uomo, un uomo con una barca a disposizione e con la necessità di reclutare un equipaggio: loro stessi potevano aspirare a farne parte ed a questo scopo dovevano sottoporsi ad alcune prove. Le attività svolte nei diversi incontri sono diventate così le prove da superare per mettersi in viaggio, viaggio la cui meta si è andata delineando gradualmente, sino a che è stato chiaro che si trattava per ognuno di cercare la propria isola sconosciuta, ossia se stesso. Pag. 142 di 195 Elaborare un progetto di vita è indispensabile per non procedere a caso, rischiando di finire alla deriva, di perdersi nel labirinto di specchi a cui sempre più assomiglia la realtà contemporanea. Come ogni buon viaggiatore, l’adolescente deve cominciare a delineare un itinerario di viaggio, una direzione da seguire, valutando le possibilità disponibili e le proprie capacità, preparando i bagagli necessari e studiato una strategia da seguire. Impossibile sapere in anticipo tutti gli ostacoli che si incontreranno e probabilmente sarà necessario ridefinire la rotta più e più volte lungo il cammino, ma questo non fermerà il viaggiatore adeguatamente preparato e che avrà saputo portare con sé gli strumenti necessari. La destinazione è sconosciuta e non può che essere immaginata, ma è proprio il pensarla che le conferisce la prima scintilla di reale esistenza. Non si può procedere a caso: il primo passo deve essere verso se stessi, per guardarsi, conoscersi, accertare e accettare le proprie capacità e i propri limiti, il proprio passato ed il proprio presente, imparando a riconoscere e distinguere tra loro bisogni e desideri. Allargando lo sguardo al mondo esterno si scoprono poi i percorsi possibili e issate le vele della motivazione, spinti dal vento dei desideri, dei sogni e dei valori, si può finalmente prendere in mano il timone della propria vita e partire. Se la vita è il viaggio, ogni arrivo è solo un nuovo punto di partenza.103 Anche l’adolescenza può essere considerata un punto di arrivo, in quanto conclusione del percorso definito “infanzia”, un percorso il cui andamento influenza ma non determina rigidamente il resto del viaggio. Da qui comunque il giovane ri-parte. Il primo dei quattro incontri previsti, che potremmo intitolare “chi sono io?”, ha avuto come obiettivo quello di aiutare i ragazzi a guardare agli aspetti positivi di se stessi, alle proprie capacità e potenzialità. Il secondo, “dove vado?”, voleva essere di stimolo a 103 “Una sera del 1987 il poeta russo Josif Brodskij si ritrovò in una bella sala del Municipio di Stoccolma a pronunciare il suo discorso di accettazione. Gli era toccato il Premio Nobel, a meno di cinquant’anni, nel pieno del suo esilio. In fondo al suo breve intervento disse: “E’ maledettamente lunga la strada per arrivare da Pietroburgo a Stoccolma, ma, dopo tutto, per uno che fa il mio mestiere, l’idea che una linea retta rappresenti la distanza più breve tra due punti ha perduto da un pezzo la sua attrattiva”. Questo pensiero può essere utile a dei giovani che da un loro perpetuo punto di partenza non vedono l’ora di essere già arrivati a qualche traguardo, a qualche preziosa stazione della loro giusta ambizione. Cercano la linea retta, la più breve, mossi dall'impazienza dell’età e persuasi da un’idea lineare dei tragitti. Non è così. Tra quei due punti, scorre la vita, che è una continua digressione, un imperterrito divagare, che ha bisogno di ostacoli, rinunce, buona sorte, anche disgrazia per compiersi. Solo da un arbitrario punto di arrivo si può credere a un percorso, dare questo nome all’intrico dei propri giorni. Stoccolma non è il capolinea di Pietroburgo, ma solo un’occasione per voltarsi indietro. Dal guazzabuglio del passato emerge allora non la linea tratteggiata di un disegno, ma la forza posseduta dal punto di partenza, l’energia contenuta nella premessa. Allora da un arbitrario punto di arrivo: un letto d'ospedale, una cella di prigione o una cena, al Municipio di Stoccolma, pretesto per voltarsi indietro, ognuno può riconoscere la saggezza di un destino, che divaga sempre e per compiersi non insegue rotta, ma deriva.” (De Luca, 1997, pag. 122) Pag. 143 di 195 riflettere sull’importanza di essere artefici delle proprie scelte e a meditare sui propri desideri e sogni. Nel terzo incontro, “il viaggio”, si è affrontato ancora il tema del desiderio, dei possibili ostacoli e delle strategie per superarli, cercando di mostrare come ciò che davvero conta è proprio partire e “viaggiare”. Infine il quarto incontro ha voluto essere un momento di “restituzione” di quanto emerso durante il percorso: restituzione da parte della conduttrice verso i ragazzi e viceversa. Cuore di ogni incontro è stata la parte di riflessione e di scambio. Dopo un breve momento introduttivo la conduttrice leggeva un brano o raccontava una storia, quindi i ragazzi erano invitati, attraverso la compilazione di una scheda, a riflettere sull’argomento proposto in modo creativo, per esempio scrivendo una lettera di richiesta d’aiuto da inserire in una bottiglia da affidare al mare oppure esprimendo tre desideri al genio della lampada. Successivamente chi voleva poteva leggere il proprio testo, che si commentava tutti insieme, discutendo e confrontando i diversi punti di vista. Intimiditi e reticenti ad esporsi solo nei primi momenti, i ragazzi hanno saputo usare lo spazio a loro offerto, hanno partecipato con entusiasmo, esposto dubbi, fatto domande, cercato risposte. Non si è parlato direttamente di scelte scolastiche, ma delle loro aspirazioni e desideri, del rapporto con sé stessi e di relazioni interpersonali, di come ogni azione abbia delle conseguenze che devono essere se possibile previste e comunque affrontate, di come ogni azione debba essere frutto di una scelta. La conduttrice ha cercato di creare un’atmosfera in cui ogni idea, ogni pensiero potesse essere accolto con rispetto e attenzione, anche se il clima interno a ciascuna classe ha influenzato l’andamento degli incontri. In particolare dove maggiore era la conflittualità tra compagni, minore era la disponibilità dei ragazzi a leggere i propri scritti, esporre le proprie idee, mettersi in gioco. Tuttavia proprio la discussione e lo scambio attivato dal laboratorio ha permesso di far emergere apertamente alcuni dei motivi di divisione e contrasto interno, aprendo così uno spiraglio per un successivo dialogo che le insegnanti si sono ripromesse di sfruttare. Riflettere individualmente sul tema proposto compilando le schede è stato, per tutti i ragazzi di tutte e tre le classi, il momento più impegnativo. Oltre all’oggettiva difficoltà di tradurre in testo scritto il proprio pensiero, da un lato si è evidenziata la fatica, forse l’imbarazzo, di parlare di sé, di svelare i propri pensieri, dall’altro era evidente che i temi toccati sollevavano domande a cui essi non sapevano rispondere e che forse non si erano ancora poste. Pag. 144 di 195 Per la verifica e la valutazione del laboratorio sono stati utilizzati il diario degli incontri, compilato dalla conduttrice, ed i questionari compilati dai ragazzi e dalle insegnanti. E’ stato inoltre esaminato il materiale prodotto nei diversi incontri. Stimolati a parlare di sé i ragazzi hanno manifestato i tratti tipici della loro età: scarsa autostima, bisogno di relazionarsi con i coetanei, di essere accettati, difficoltà nel riconoscere il proprio corpo che cambia. Nella classe in cui i rapporti tra compagni erano più amichevoli e distesi si è parlato di aspetto fisico soprattutto in relazione alla bellezza per le ragazze, mentre dove maggiori erano le tensioni i maschi hanno dato importanza alla prestanza fisica (quasi uno sfoggio verbale di muscoli e forza), mentre la parte femminile della classe non ha toccato l’argomento. Infine nella classe in cui i rapporti non erano né particolarmente amichevoli né particolarmente tesi, si è parlato di fisico solo a livello di descrizione, senza aggettivi o commenti. Preparando i propri bagagli per il viaggio, i ragazzi sono apparsi, coerentemente con la loro età, ancora non pronti per la partenza, per il distacco dalla famiglia. I loro interessi si concentrano soprattutto sugli affetti, sulle amicizie, sulle attività ludiche o sportive. La scuola pare occupare uno spazio marginale nei loro interessi, così come il sapere e la conoscenza, anche se qualcuno indica il libro di geografia come uno strumento utile per orientarsi viaggiando. Meno scontato è invece quanto emerge nel momento in cui viene chiesto di esprimere dei desideri. Di fronte al genio della lampada o, ancora di più, a cospetto del re, i ragazzi restano senza idee e senza parole. Non sanno cosa chiedere. Nessun desiderio? Troppi desideri o troppo confusi? Paura di osare o mancanza di immaginazione? Imbarazzo ad esporsi di fronte ai compagni? Forse un po’ tutte queste cose. Tra le richieste avanzate di fronte al genio della lampada, compaiono le prime riflessioni a sfondo sociale: viene auspicata la pace nel mondo, la giustizia, l’eliminazione della fame e della povertà. Richieste vaghe, sicuramente utopiche, ma soprattutto la cui realizzazione viene delegata ad altri, ad un potere magico fuori dalla propria portata. Anche quando parlano per se stessi i ragazzi restano nel generico: chiedono di poter viaggiare, di essere felici, di diventare ricchi… Manca un progetto di fondo, un’idea a cui ancorare richieste più specifiche, più concrete. Parlando con loro appare ancora più evidente come “ricchezza”, “felicità”, “successo” sono per loro termini dal significato vago, che non rimandano ad una immagine concreta e definita di realtà. Pag. 145 di 195 Interessi, bisogni e valori cominciano ad emergere, ma ancora in modo confuso e indistinto e questo rende le loro motivazioni ad agire instabili, la loro visione del futuro limitata a poco più del presente, oltre al quale il panorama si fa misterioso e quasi fiabesco. Potendo chiedere un solo favore ad un re potente, un re che li avrebbe accontentati nel presente, alcune ragazze hanno chiesto di poter sposare il principe, come cenerentola nella fiaba, mentre alcuni ragazzi hanno chiesto automobili potenti, senza considerare che per ora non le possono neppure guidare. Molti hanno chiesto di poter viaggiare, richiesta che è sicuramente legata anche al tema trattato nel laboratorio (il viaggio, appunto), ma che forse è anche legata al desiderio, non ancora completamente cosciente, di uscire dal nido. Accanto a questo segni di una immaturità ancora evidente, i ragazzi hanno tuttavia saputo in alcuni momenti esprimere pensieri più riflessivi, di una profondità maggiore, che ben testimonia il sorgere del pensiero formale. Così si è parlato del senso del tempo, del presente che fugge e che nel momento in cui si realizza è già passato, si è parlato di cosa significhi essere vivi, giungendo a definire come non-viva una persona schiava della droga o comunque priva di ogni speranza, si è parlato di amore e dei diversi modi in cui questo sentimento si manifesta, si è parlato della morte, che chiude la nostra avventura e ci spinge a non rimandare il nostro agire. Possiamo quindi concludere che il laboratorio ha realizzato gli obiettivi che si era prefissato? Compilando la scheda di valutazione del laboratorio consegnata loro dalla conduttrice al termine dell’ultimo incontro, i ragazzi hanno dichiarato che attraverso le attività svolte hanno meglio compreso l’importanza di avere dei sogni e di impegnarsi per realizzarli, di pensare e riflettere sulle cose con la propria testa, hanno potuto inoltre “conoscere meglio gli altri” e un pochino anche se stessi. Quello che del laboratorio hanno più apprezzato è stata la possibilità di confrontarsi, di parlare con i compagni, di potersi esprimere e ascoltare diversi punti di vista, scoprendo così che timori, dubbi e fatiche degli altri sono molto simili ai propri. Alla domanda “Cosa hai imparato dagli altri?” quasi tutti hanno risposto di aver potuto capire meglio sé stessi e gli altri, così da dichiarare che “non bisogna avere pregiudizi”, né “giudicare senza conoscere bene una persona” e che “non tutti pensano la stessa cosa”. In tutte e tre le classi, alcuni ragazzi hanno ammesso di aver trovato difficile fare delle scelte, benché si trattasse di scelte simulate, inserite nel contesto giocoso del “facciamo come se…” e prive di reali conseguenze. Anche se la maggior parte dei ragazzi nel Pag. 146 di 195 questionario ha dichiarato di non avere incontrato alcuna difficoltà, di fronte al genio della lampada ed ancora di più davanti al re moltissimi di loro sono rimasti muti ed è stato necessario l’incoraggiamento e l’aiuto della conduttrice per dare loro un po’ di parola, a volte “presa a prestito” dal vicino di banco o da una frase detta da qualcuno. Questo testimonia in modo evidente la necessità di quella educazione del desiderio di cui si è parlato al termine del secondo capitolo, affinché i ragazzi imparino prima a desiderare e a scegliere, per poi poter decidere e agire di conseguenza. Dal punto di vista delle insegnanti, basandosi sulle risposte da loro fornite nel questionario, il laboratorio è stato un’opportunità per conoscere meglio i ragazzi, scoprendone lati che nel quotidiano scolastico restano nascosti. Infine, per la conduttrice l’esperienza vissuta è stata stimolante, istruttiva e molto interessante, sia come concretizzazione di teorie, ipotesi e idee, sia come possibilità di apprendere dalla pratica. Come già detto, dal materiale emerso e forse ancor più dall’osservare i ragazzi ragionare, confrontarsi, agire, è stato possibile constatare i tratti, le caratteristiche di questo particolare stadio della vita che è la preadolescenza, così come si delinea nell’attuale contesto storico e culturale. Oltre al bisogno di esprimersi e di essere ascoltati, i ragazzi hanno dato prova di saper ascoltare se interessati, soprattutto se si affrontano argomenti che sentono importanti per sé stessi. Posti di fronte alla richiesta di immaginare alternative alla realtà, di esprimere i propri sogni, hanno rivelato un panorama piuttosto banale e piatto, privo di idee e spunti originali. Forse questo aspetto è un po’ fisiologico nella preadolescenza, dove i sogni infantili del bambino non trovano più posto e ancora non c’è il materiale adatto a costruire le aspirazioni del giovane adulto. Tuttavia lo stimolo a sentire il vuoto lasciato da questa mancanza ed il desiderio di riempirlo sono necessari per scongiurare il pericolo, oggi più che mai reale, che sia qualcuno dall’esterno a riempirlo. Dal punto di vista pratico, l’esperienza di progettare e realizzare un percorso laboratoriale ha permesso di verificare ipotesi di lavoro e scelte metodologiche, che si sono rivelate adeguate allo scopo. Anche se la scelta di proporre delle fiabe è stata criticata da qualche ragazzo, che si è sentito trattato “da bambino”, è stato sufficiente introdurne l’esposizione con un commento sulla storia delle fiabe, su come nel passato non fossero riservate solo ai bambini, per tranquillizzare i più orgogliosi. Il racconto di Saramago, testo non facilissimo e non scritto appositamente per i ragazzi, è stato letto quasi integralmente e, nonostante non fosse Pag. 147 di 195 brevissimo, in tutte le classi è stato ascoltato con attenzione e partecipazione. Tuttavia i momenti più efficaci e importanti sono stati quelli della produzione personale, attraverso la compilazione delle schede e nel confronto verbale. Il tempo a disposizione per i singoli incontri era adeguato, in quanto un tempo più lungo sarebbe stato dispersivo. Tuttavia avere la possibilità di realizzare ancora almeno altri due incontri sarebbe stato utile per approfondire alcuni aspetti e lasciare maturare le idee nei ragazzi con più calma. Volendo riproporre questo laboratorio in altre classi, sarebbe opportuno tenere presenti alcuni aspetti che potrebbero renderlo ancora più efficace. Si potrebbe introdurre la possibilità di svolgere alcune attività in piccoli gruppi e creare le condizioni affinché i ragazzi possano scrivere i loro pensieri senza chiacchierare troppo e influenzarsi a vicenda. È molto importante il modo in cui le attività vengono presentate: la spiegazione deve essere esauriente ma semplice, meglio astenersi dal fare esempi o limitarli al massimo, per evitare la tentazione nei ragazzi di seguirli pedestremente, evitando fatica e paura di “sbagliare”. Bisogna tenere conto che tutto quanto viene letto o proposto dal conduttore influenzerà il flusso di pensieri degli alunni. Per esempio l’avere scritto il messaggio nella bottiglia da usare in caso di un possibile naufragio ha fatto si che nei sacchi dei bagagli molti ragazzi mettessero cibo, fogli per scrivere messaggi o altri oggetti utili per la sopravvivenza. Possiamo quindi concludere che nei limiti del tempo e delle risorse a disposizione il laboratorio è riuscito a raggiungere i risultati prefissati. Non si tratta di prodotti tangibili o di esiti immediati, ma sono stati forniti stimoli e gettati semi. Un piccolo contributo ad un processo educativo che si auspica lavori sempre per aiutare i ragazzi ad esprimere se stessi, a “tirar fuori” le proprie potenzialità e capacità e ad imparare ad usarle al meglio, sia per sé, per la propria realizzazione personale, che per la crescita ed il positivo sviluppo della società, della cultura e dell’umanità di cui fanno parte. Pag. 148 di 195 ALLEGATO A – SCHEMA DEL DIARIO DEGLI INCONTRI Subito dopo la conclusione di ciascun incontro la conduttrice ha compilato una scheda in cui ha registrato come si era svolto l’incontro stesso, i principali avvenimenti, il materiale emerso durante le attività svolte con i ragazzi, le proprie sensazioni ed impressioni, eventuali idee e suggerimenti utili per gli incontri successivi. Lo schema base di tale scheda era il seguente: Scuola e classe Titolo e Data dell’incontro Diario Basato sull’osservazione oggettiva dei ragazzi e delle situazioni. Descrizione di: - attività svolte - clima interno alla classe - livello di partecipazione dei ragazzi - modalità di interazione dei ragazzi tra loro - modalità di interazione dei ragazzi con la conduttrice Materiale emerso Descrizione del materiale emerso durante le attività e nel corso dei dibattiti, con distinzione tra il contributo dei ragazzi e quello delle ragazze, basata sull’analisi delle schede da loro compilate in aula e sul diario compilato dalla conduttrice stessa. Note della conduttrice Basate sull’osservazione delle proprie sensazioni ed riflessioni: - impressioni sull’andamento dell’incontro - sensazioni ed eventuali intuizioni - appunti, note, considerazioni utili per la successiva valutazione del laboratorio - appunti, note, considerazioni utili per la programmazione degli incontri successivi. Pag. 149 di 195 ALLEGATO B – TABELLE MATERIALE EMERSO Scuola A. Gramsci di Grugliasco (TO) - Classe 3° T PRIMO INCONTRO – Martedì 8 Novembre 2011 Scheda “pergamena” (messaggio nella bottiglia) 20 ragazzi presenti, 2 ragazzi assenti M/ F Dico di me… Aspetto Carat fisico -tere Senti menti F Neutro P F P P P F Neutro P P P P P P P P P P P F F F F F M P/N Neutro M Neutro P M Neutro P M Neutro P M Neutro P M Varie Determinata, ama leggere Creativa, ama le storie “amorose” Sport, arte e matematica Curiosa Onesta Intelligente - - - - P P Troppo buona - - - - - P P P - Karate Sincera P P P P P P M I miei compagni dicono di me… Aspetto Carat Senti Varie fisico -tere menti Si adatta a luoghi e lavori diversi Bravo a suonare Karate, internet P P P M Neutro P M Neutro P M Neutro P P M Neutro P/N P M N P/N P P Cucina Sport, musica, cucina Cucina, manualità, intelligente Sicuro si sé, coraggioso, tranquillo Sport, recita, dice battute P Sa adattarsi alle persone Sport, ottimo amico Si impegna per migliorare Tenace - - - - - - - - - - - - P Dice battute, bravo nelle relazioni P Sensibile, tenace Tenace, all’antica P P P - Pag. 150 di 195 - Risata contagiosa Rispettoso, cerca di superare i suoi limiti Si interessa alle persone Ragionevole - - Promessa ricompensa SI SI SECONDO INCONTRO – Martedì 15 Novembre 2011 Scheda “Facciamo i bagagli” Consegnate al termine del primo incontro e compilate a casa L’hanno messo nei bagagli: Person. Oggetto Basket Bici Bussola Calcolatrice Cannocchiale Cartina geografica Cellulare/telefono Chitarra Cibo, acqua Coltellino Computer Coraggio Cuscino, coperta, sacco a pelo Diario di viaggio F M Interes. F M F M 1 1 2 1 3 2 3 7 1 1 4 2 6 1 1 1 6 2 5 2 1 1 1 1 1 2 (F/I) perché adoro ascoltare la musica 5 1 (M/P) Perché mi serve a sopravvivere (M/P) senza non potrei vivere (M/P) cibo (M/P) l’acqua per vivere (M/P) sono indispensabili per vivere (F/?) per vivere (F/P) perché senza non si può vivere (M/I) ha un significato affettivo 2 4 Libro/libri Macchina fotografica Medicine 1 Musica/mp3 1 Quaderni/fogli/penne/diari o F Perché… 1 Foto/album foto Occhiali da sole Orecchini Orologio Pallone M Scolast. Di cui, come + importa nte: (M/P) perché sono le persone che mi appoggeranno sempre e che mi vogliono bene. 1 3 5 1 1 1 7 (F/I) mp3, perché mi fa star bene con la musica 6 1 1 1 4 1 9 9 4 Pag. 151 di 195 3 (M/S) con la bottiglia, perché se mi perdo posso chiedere aiuto (M/S) per prendere appunti (F/S) così potrei scrivere a persone lontane (F/S) per annotare quello che si fa nel corso della giornata (F/S) perché voglio disegnare i luoghi che incontrerò (F/S) per scrivere (M/I) perché posso scrivere ciò che immagino Scarpe da ballo 1 Soldi Trucchi TV Vestiti, biancheria, scarpe Videogiochi Zaino 1 1 2 6 6 (F/I) perché per me ballare è una cosa essenziale 1 1 1 2 4 Scheda “La lampada di Aladino” 21 ragazzi presenti, 1 assente (10 femmine e 11 maschi) Desiderio Andare a Dubai/fare un viaggio/viaggiare nel mondo Andare bene a scuola Avere il dono di curare le persone e Aiutare le razze animali in via di estinzione Avere tanti amici Avere un robot (che faccia le cose al posto mio) Avere una bella vita senza complicazioni Avere una casa in cui vivere con gli amici Avere una fabbrica di cioccolato Capire cosa pensano veramente le persone Conoscere i miei idoli/conoscere le persone famose che preferisco Dare cibo a tutti i poveri nel mondo/eliminare povertà Diventare famoso Diventare ricco Diventare un avvocato di successo Diventare un calciatore (di seria A) Diventare una brava ballerina Eliminare la gelosia Essere bella e con un buon carattere/essere simpatico Essere totalmente indipendente (fare quello che voglio) Non perdere gli amici Pace in famiglia e nel mondo Pace nel mondo/l’uguaglianza Pace nella mia famiglia Parlare tutte le lingue del mondo per essere uguale a tutti Rimanere nella storia per avere fatto qualcosa Riuscire bene a scuola senza studiare Visitare altri pianeti/andare nello spazio Vivere per l’eternità con un animo “pulito” e buono Voglio la mia vita così perché le cose importanti le ho già Voglio la mia vita così senza cambiamenti (voglio costruire il mio futuro da solo/a) Volare per un giorno/avere le ali Pag. 152 di 195 F 1 1 M 3 Scelto per primo F M 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 5 1 1 1 2 1 1 1 1 1 1 3 1 1 1 1 2 1 1 1 1 2 1 5 2 1 1 1 4 1 3 1 1 2 1 1 1 Vorrei la giustizia nel mondo 1 Pag. 153 di 195 1 TERZO INCONTRO – Martedì 22 Novembre 2011 Scheda “il re” 20 ragazzi presenti: 9 femmine e 11 maschi (assenti 1 ragazzo e 1 ragazza) Richiesta Abitazioni per il popolo Andare a Miami/andare a Dubai/viaggiare/viaggio in Argentina/soldi per viaggiare/motocicletta e tenda per girare il mondo/macchina velocissima per viaggiare e trovare posti nuovi e trovare l’amore Casa grande per divertirsi Cibo Famiglia più unita/soldi per aiutare la famiglia Il castello del re I-phone Organo a canne super Soldi per me Terreno e due macchine Una Ferrari Villa per dare feste ogni giorno per far divertire tutti F Metodo di persuasione usato Argomentazione Argomentazione e scambio Offerta servigi o baratto Ricatto F 4 1 3 1 Pag. 154 di 195 5 1 M 1 3 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 M 4 3 3 1 Scuola A. Gramsci di Grugliasco (TO) - Classe 3° V PRIMO INCONTRO – Giovedì 3 Novembre 2011 Scheda “pergamena” (messaggio nella bottiglia) 21 ragazzi presenti, 1 ragazza assente M/ F F F Dico di me… Aspetto Carat fisico -tere N P N P/N F F Neutro Neutro Usa sempre la sua testa P Sognatrice, una persona come le altre Neutro P/N F P Gioca a pallavolo P P Sa far ridere, confortare P P Intelligente P P F Neutro M M Neutro P M P M P P M M Intelligente P P F F P P F F P Varie Timida, ama pensare P F F Senti menti P Neutro P M P M P/N M P P I miei compagni dicono di me… Aspetto Carat Senti Varie fisico -tere menti P P P P E’ una brava P P P ballerina Intelligente, P P brava a studiare - - - P P P P P P Indipendente, sportiva - - - - P P P P/N P P - - - - - - - SI P P P P Corre veloce e sa nuotare Intelligente indipendente E’ forte, è un ginnasta SI Nuota bene Soffre a stare solo Un po’ introverso Cucina, ama l’avventura Audace, bravo con i videogiochi Promessa ricompensa P SI P P SI N - - - - - - - - P P P Pag. 155 di 195 SECONDO INCONTRO – Giovedì 10 Novembre 2011 Scheda “Facciamo i bagagli” Consegnate al termine del primo incontro e compilate a casa Un ragazzo non ha indicato il “bagaglio” più importante Un ragazzo ha indicato gli stessi oggetti nel sacco della vita personale e in quello degli interessi. Li ho segnati nel primo. L’hanno messo nei bagagli: Oggetto Amici Armadio/bagno Letto/camera da letto Armi Barca/gommone /bussola/bottiglia Bibbia Cartina/mappamondo Casa mia Cellulare/telefono/carica batterie/ricariche Person. F M 1 8 F M 1 (M/P) Perché mi sentirei solo 2 1 1 3 (F/I)In caso la barca dovesse fare un incidente 1 1 1 2 5 1 Computer 4 Crema Cuscino con foto amica del cuore Diario (personale) Disegni (i miei) Film e lettore DVD Fornelli, padelle 1 Foto della mia infanzia 1 Foto di classe e dediche amici Interes. F M Perché… 1 1 Cibo, frigorifero pieno e acqua Collana/bracciale di mio padre Scolast. F M Di cui, come + importa nte: 6 4 2 3 1 1 1 3 1 1 1 1 1 5 2 2 1 2 (F/I) Per sentire tutte le persone a cui tengo (F/P) perché posso chiamare e fare le foto (M/P) l’acqua perché è indispensabile per vivere (M/I) Il depuratore per l’acqua così posso prendere l’acqua dal mare e depurarla (M/I) Computer con connessione a internet illimitata perché è più utile (M/P e I) Perché voglio scrivere un libro riguardante il nostro viaggio (F/P) puoi contattare tutti – connettermi a facebook 1 1 1 1 1 2 Pag. 156 di 195 (F/P) mi ritraggono nei momenti più belli della mia vita Foto famiglia Fumetti La mia tartaruga/ghe Libro ricette Libro/libri Macchina fotografica /videocamera Materie prime Materie scolastiche varie 4 2 1 1 1 4 3 1 1 4 1 (F/I) Per intrappolare i momenti più importanti 1 (F/I) se devo proprio scegliere, l’mp3 perché senza musica mi sento triste 1 1 2 Orologio Palestra Pallone/palla Peluche preferito/pupazzi Penna/portapenne Quaderni/fogli Razzo segnalatore /lampada solare Scarpe Scarpe e varie danza 1 2 1 5 3 1 2 1 (M/I) Perché amo il basket 1 (M/P) senza soldi non posso fare niente 5 6 5 5 2 1 1 1 3 Soldi 1 Strumenti musicali Televisione 2 Videogiochi Zaino (vuoto)/cartella 1 2 Musica/CD/radio Vestiti 2 (M/P) per non soffrire di nostalgia (F/P) così sarei lontana solo fisicamente ma non con il cuore (F/P) così se mi dovesse succedere qualcosa mentre sono via posso volgere l’ultimo sguardo alle persone a me più care 1 1 4 3 3 (F/P) Perché senza i vestiti non ti puoi vestire 1 2 6 1 1 Scheda “La lampada di Aladino” 20 ragazzi presenti, 2 ragazze assenti Scelto per primo Desiderio Avere una bella automobile Avere tutti gli oggetti della Microsoft Avere un peluche che costa 319 euro Avere la vista a raggi X Avere una casa “enorme” Avere i fantagenitori Che si sistemasse la situazione in Italia Dimenticare una persona Diventare Dio Diventare il miglior calciatore/giocatore di basket/ballerina Diventare ingegnere informatico Diventare pilota di elicotteri Diventare una star e andare a vivere a new york Diventre direttore generale della Microsoft Eliminare guerre e povertà/pace nel mondo/aiutare altri Pag. 157 di 195 F M 1 1 F M 1 1 1 1 1 1 1 1 2 1 2 1 1 1 1 1 1 7 1 2 1 4 Essere brava a scuola Essere immortale Essere una brava persona Essere uno jedi Fermare il tempo/rimanere bambina Incontrare il mio cantante/attore/scrittore preferito Non affezionarsi alle persone sbagliate Pace nella mia famiglia Potersi teletrasportare Realizzare tutti i miei sogni Ricchezza/benessere Ritrovare e decodificare il manoscritto della Divina Commedia Saper respirare sott’acqua Saper volare Stare con i miei amici Suonare nella mia band preferita o come il musicista Trovare persone con cui essere felice Usare il 100% del mio cervello Viaggiare Viaggiare nel tempo 1 2 1 2 1 1 1 1 1 3 1 2 1 1 1 3 1 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 1 1 1 1 1 TERZO INCONTRO – Giovedì 17 Novembre 2011 Scheda “il re” 21 ragazzi presenti, 1 ragazzo assente 2 ragazzi hanno cambiato il finale dopo aver ascoltato quello dei compagni. Ho tenuto conto del primo finale scritto. Un solo ragazzo ha parlato degli studi, chiedendo 2700 euro al mese di cui 600 euro per gli studi ed il resto per sé e per la famiglia. Richiesta Armatura con spada e scudo Biglietto vincente della lotteria Conoscere/sposare il figlio del re Il trono La base spaziale della NASA Materasso morbido per dormite spettacolari Motorino/macchina Ricchezze Tablet della Apple Un enorme negozio di scarpe Vivere in Germania F Metodo di persuasione usato Argomentazione Insistenza/sfinimento Minaccia (torture, solletico, morte, bomba nel castello) Offerta servigi o baratto Per sfinimento e offerta servigi Ricatto (svelare segreti del re o perdere il trono o essere un peso) F 3 2 Pag. 158 di 195 M 2 1 3 1 1 1 2 4 1 1 1 3 2 3 3 M 1 1 4 1 1 Scuola Palmieri di Torino - Classe 3° Z PRIMO INCONTRO – Mercoledì 9 Novembre 2011 Scheda “pergamena” (messaggio nella bottiglia) 18 ragazzi presenti, 2 ragazze assenti M/ F F Dico di me… Aspetto Carat fisico -tere Senti menti I miei compagni dicono di me… Aspetto Carat Senti Varie fisico -tere menti Varie Disegnare, senso dello orientamento Neutro - - - Sa ascoltare Risata contagiosa, buona amica,onesta F P P P P F P P P P F P P P P - - - - - - - - P P P F P P F P P M Manualità fine, parrucchiere M M Neutro M Neutro M Neutro M M Ha la barba (ha 15 anni) Uomo sportivo P Neutro P M P M P M Neutro P M P P M Curiosa, ottimista Trova cose positive in ogni avvenimento Sport, forza fisica, matematica P P - - - P P Sorriso contagioso Buona memoria, sa ascoltare - P P P Simpatico Alto, robusto, onesto Simpatico, sport Forte, coraggioso, cucina Intelligente, sportivo Modesto, cucina Agile, nuota bene - - - P P P P Carnagione scura - - - P P P Pag. 159 di 195 SI Onesto, tranne che nello sport! Forte fisicamente, rispetta chi lo rispetta Forte, alto - Promessa ricompensa SI SI SECONDO INCONTRO – Mercoledì 16 Novembre 2011 Scheda “Facciamo i bagagli” Consegnate al termine del primo incontro e compilate a casa Un ragazzo non ha indicato l’oggetto più importante. Un ragazzo non ha inserito nessun oggetto nel sacco degli interessi. Un ragazzo non ha inserito nessun oggetto nel sacco degli interessi e non ha scelto l’oggetto più importante. L’hanno messo nei bagagli: Oggetto Autografi Juve Canna da pesca Cappello Person. F M 1 Foto/album foto, ricordi 1 M 1 (F/S) perché in questo modo non perdo mail la rotta 2 (F/?) perché non posso farne a meno e lo posso usare per molte cose: foto, musica, gioco, comunicare (F/I) per foto, musica e immagini 2 1 4 2 2 1 4 1 4 1 2 2 2 1 7 9 1 1 (F/P) me l’ha regalato mia mamma (M/P-S) penna e bottiglie per inviare messaggi 1 3 Fucile da caccia Fumetti Lavagna, gesso,banchi Lettere F 1 Carte da gioco Chitarra Collana, cavigliera, orecchini Computer Costruzioni (lego) Cuscino, coperta Diario segreto Fogli, penne, quaderni, diario Forbici Interes. F M Perché… 1 Carta geografica Cellulare, telefono Scolast. F M Di cui, come + importa nte: 3 (F/P) perché non mi farà mai dimenticare i momenti più belli della mia vita 1 1 1 1 2 Libro/libri Macchina fotografica 1 1 1 Musica 1 3 Occhiali da sole Padella 1 2 5 6 4 2 2 1 7 1 1 1 Pag. 160 di 195 2 (F/P)per me sono importanti ed è un ricordo molto speciale (M/I) per rilassarmi nel tempo libero (F/I) vorrei ricordare il viaggio (F/I) perché la musica mi rassicura e mi emoziona (M/I) non riesco a stare senza sentire le canzoni (M/I) IPOD, perché posso farci di tutto Palla, racchetta da tennis Piscina gonfiabile Portafortuna Profilattici Pupazzo Radio Regali Riviste Sedia Televisione Trucchi, specchio, piastra per capelli, gel, profumo Vestiti, indumenti, scarpe Vino, alcolici Z.B. Zaino 1 1 7 4 (M/I) per me è una cosa molto importante (M/I) è l’oggetto che mi rappresenta di più e mi piace giocare col pallone (M/I) non riesco a stare senza calciare il pallone (M/I) perché così posso giocare 2 1 (M/P) per restare sempre informato 1 1 2 2 1 2 2 1 1 3 2 2 1 1 1 3 2 Scheda “La lampada di Aladino” 19 ragazzi presenti: 8 ragazze e 11 ragazzi Un ragazzo ha espresso solo due desideri e non ha scelto il preferito. Scelto per primo Desiderio Andare a Londra Arrivare all’età di 30 anni e non invecchiare più Avere altre quattro braccia Avere successo al liceo e nel lavoro Avere un cane Avere un futuro felice e diventare ciò che desidero/ Riuscire a realizzarmi da grande/vivere bene Avere una bella ragazza come Belen Avere una lavagna Che i cani parlassero Che l’uomo potesse volare/saper volare Che le persone non si uccidano più a vicenda Che non ci fosse la scuola Che tutti si aiutassero a vicenda Che vengano cancellate le ingiustizie/uguaglianza tra i popoli Comprare una bella villa Comprare una Ferrari Desidero poter viaggiare sempre Diminuire le guerre nel mondo/pace nel mondo Diventare un playboy Eliminare barriere tra maschi e femmine Essere giocatore professionista (calciatore) Essere immortale Essere l’uomo più intelligente del mondo Essere un grande caccia tesori Essere una brava archeologa Fare lo stilista Pag. 161 di 195 F 1 M F 1 M 1 1 1 2 2 1 1 1 1 1 1 2 1 1 1 2 2 1 1 2 2 1 2 1 1 4 2 1 1 2 1 2 1 1 1 1 1 Fare un cammino dignitoso Fare un viaggio in un paese lontano Fare una partita a calcio col calciatore preferito Guadagnare molti soldi/essere il più ricco del mondo Io e il mio cantante immortale/io e le persone care diventare immortali Mantenere un’amicizia speciale negli anni Poter diventare invisibile Sapere tutte le lingue Viaggiare in tutto il mondo 1 1 1 1 1 3 2 1 1 2 3 1 1 2 TERZO INCONTRO – Mercoledì 22 Novembre 2011 Scheda “il re” 19 ragazzi presenti: 8 femmine e 11 maschi Due ragazzi non hanno scritto il dialogo col re. Richiesta Cane Casa con campi di grano/ fattoria vicino al mare/Villa Conoscere Ligabue/Venditti Essere personal trainer di una squadra di football americana/squadra di calcio Nave per cercare tesori Più campi da calcio in città Posto di lavoro come cacciatore Soldi Viaggio in America/conoscere nuove terre/viaggiare/mongolfiera Aereo con pilota/yatch/casa a New York(per vedere posti nuovi) F 1 1 Metodo di persuasione usato Argomentazione Argomentazione e servigi Insistenza Offerta servigi o baratto (di cui 2 ragazze offrono i racconti dei loro viaggi) Ricatto e servigi F Pag. 162 di 195 6 4 3 1 M 2 2 2 1 1 1 1 1 M 3 4 2 ALLEGATO C – SCHEDE DI VALUTAZIONE Scheda di valutazione alunni In viaggio alla ricerca dell’isola sconosciuta Laboratorio di orientamento narrativo Scuola Classe Le domande Le tue risposte Cosa hai imparato da questo laboratorio? Hai incontrato delle difficoltà? Quali? Cosa ti è piaciuto di meno? Cosa ti è piaciuto di più? Pag. 163 di 195 Cosa hai imparato dagli altri? Puoi fare degli esempi? Pag. 164 di 195 Scheda di valutazione professore In viaggio alla ricerca dell’isola sconosciuta Laboratorio di orientamento narrativo Scuola Classe Grazie per la collaborazione! 1) Pensa che il laboratorio sia stato utile per i ragazzi? SI Perché? NO Perché? 2) Pensa che il laboratorio sia stato coinvolgente per i ragazzi? SI Perché? NO Perché? 3) Ritiene che alcuni ragazzi possano essersi sentiti esclusi? SI Perché? NO Perché? 4) Ritiene che alcuni ragazzi possano essersi sentiti a disagio? SI Perché? NO Perché? 4) Prendere parte agli incontri è stato per Lei interessante? SI Perché? Pag. 165 di 195 NO Perché? 5) Ritiene che la conduzione del laboratorio sia stata adeguata? SI Perché? NO Perché? 6) Quali ritiene siano stati gli eventuali punti deboli, le carenze del laboratorio? 7) Quali invece gli eventuali punti di forza? 8) Cosa suggerirebbe per rendere più utile o più interessante il laboratorio? Eventuali note aggiuntive… Pag. 166 di 195 Pag. 167 di 195 ALLEGATO D – IL LIBRETTO Pag. 168 di 195 Ci prepariamo per partire… Un uomo cerca ragazzi e ragazze per formare un equipaggio e andare con la sua barca alla ricerca dell’Isola Sconosciuta… vorresti partire con loro? Cosa vorresti fare sulla nave? Per prima cosa scriviamo un messaggio sulla pergamena: in caso di naufragio potremo inserirlo in una bottiglia da affidare alle onde. Ci servirà per chiedere aiuto! Ora prepariamo i bagagli! Fu solo quando era ormai già grande da un pezzo che Peter finalmente capì. La gente lo considerava difficile perché se ne stava sempre zitto. E a quanto pare questo dava fastidio. L’altro problema era che gli piaceva starsene da solo. Non sempre naturalmente. Nemmeno tutti i giorni. Ma per lo più gli piaceva prendersi un’ora per stare tranquillo in qualche posto, che so, nella sua stanza, oppure al parco. Gli piaceva stare da solo, e pensare i suoi pensieri. Ian McEwan, L’inventore di sogni Pag. 169 di 195 Pag. 170 di 195 Pag. 171 di 195 Pag. 172 di 195 … ma dove stiamo andando?… Abbiamo parlato di un’isola sconosciuta… ma come sarà quest’isola? Come la immaginiamo e come sarà davvero? Ognuno di noi ha una sua propria, personale, unica, isola sconosciuta… L’isola che non c’è – Edoardo Bennato Seconda stella a destra questo è il cammino e poi dritto, fino al mattino poi la strada la trovi da te porta all'isola che non c'è. Forse questo ti sembrerà strano ma la ragione ti ha un po' preso la mano ed ora sei quasi convinto che non può esistere un'isola che non c'è E a pensarci, che pazzia è una favola, è solo fantasia e chi è saggio, chi è maturo lo sa non può esistere nella realtà!.... Son d'accordo con voi non esiste una terra dove non ci son santi né eroi e se non ci son ladri se non c'è mai la guerra forse è proprio l'isola che non c'è. che non c'è Son d'accordo con voi niente ladri e gendarmi ma che razza di isola è? Niente odio e violenza né soldati né armi forse è proprio l'isola che non c'è.... che non c'è Seconda stella a destra questo è il cammino e poi dritto, fino al mattino poi la strada la trovi da te porta all'isola che non c'è. E ti prendono in giro se continui a cercarla ma non darti per vinto perché chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle forse è ancora più pazzo di te E non è un'invenzione e neanche un gioco di parole se ci credi ti basta perché poi la strada la trovi da te Pag. 173 di 195 Tutti noi abbiamo dei desideri che vorremmo realizzare. Per farlo ci impegniamo ogni giorno, a volte con gioia ed entusiasmo, a volte con fatica. Nei momenti più difficili l’aiuto di qualcuno che ci vuol bene e che ha più esperienza di noi può essere prezioso. Sarebbe bello avere la lampada magica e un genio pronto ad esaudire i nostri desideri! Eppure nessun genio potrà mai regalarci la gioia e la soddisfazione che si prova quando con impegno e fatica raggiungiamo una meta che ci eravamo prefissati. Se riusciamo a conquistare la vetta della montagna scalandola con scarponi e piccozza, allora la montagna sarà anche un po’ nostra. L’avremo conquistata, appunto. Se arriviamo in cima con un elicottero… beh, il panorama è comunque molto bello, ma la montagna non la conosciamo. “- Come possiamo fare qualcosa di impossibile? – - Con entusiasmo. –“ Paulo Coelho, Monte Cinque Pag. 174 di 195 Immagina di aver trovato la magica lampada di Aladino! L’hai strofinata e di fronte a te c’è il famoso genio: esprimi I TUOI TRE DESIDERI! ATTENZIONE! Il genio non ti può esaudire se chiedi di: - resuscitare i morti - costringere qualcuno a fare cose o provare sentimenti che non sono suoi - uccidere Pag. 175 di 195 Pag. 176 di 195 …in viaggio… Siamo pronti per partire! I bagagli sono pronti e l’isola ci aspetta! L’isola non trovata - Francesco GuccINI Ma bella più di tutte è l’isola non trovata, quella che il Re di Spagna s’ebbe da suo cugino il Re del Portogallo con firma suggellata e bulla del pontefice in gotico Latino. Il Re di Spagna fece vela cercando l’isola incantata, però quell’isola non c’era, e mai nessuno l’ha trovata. Svanì di prua dalla galea, come un’idea; come una splendida utopia è andata via e non tornerà mai più. Le antiche carte dei corsari portano un segno misterioso, ne parlan piano i marinari con un timor superstizioso. Nessuno sa se c’è davvero od è un pensiero; se a volte il vento ne ha il profumo è come il fumo che non prendi mai! Appare a volte avvolta di foschia, magica e bella, ma se il pilota avanza, su mari misteriosi è già volata via, tingendosi d’azzurro, color di lontananza. Pag. 177 di 195 Un uomo cerca ragazzi e ragazze per formare un equipaggio e andare con la sua barca alla ricerca dell’Isola Sconosciuta… ascoltiamo la storia di quest’uomo: leggiamo insieme Il racconto dell’isola sconosciuta di Josè Saramago. Un uomo andò a bussare alla porta del re e gli disse, Datemi una barca. Pag. 178 di 195 L’Isola Sconosciuta prese infine il mare, alla ricerca di sé stessa C’è un tempo in cui credi che il sogno dell’isola riguardi un approdo, e un altro in cui scopri che è invece partenza. IL RE Se fosse il tuo turno alla “porta delle petizioni”, cosa chiederesti al re? Scrivi un breve racconto o dialogo in cui parli delle difficoltà che credi di poter incontrare, le obiezioni che credi il re solleverà e come pensi di convincerlo a darti quello che desideri. Pag. 179 di 195 Pag. 180 di 195 “Dopo che ebbe riflettuto tutto il giorno e tutta la notte seguente, prese una decisione irrevocabile. Appena spuntò il sole si mise in marcia, passo dopo passo, lenta ma inarrestabile.” Tranquilla Piepesante, in Michael Ende , Fiabe e favole “Si, a volte si naufraga strada facendo, ma, se mi dovesse capitare, dovreste scrivere negli annali del porto qual è stato il punto in cui sono arrivato, Volete dire che, quanto ad arrivare, si arriva sempre, Non sareste chi siete se già non lo sapeste.” Il racconto dell’isola sconosciuta di Josè Saramago Pag. 181 di 195 BIBLIOGRAFIA Testi Ainsworth Mary, 1967, Infancy in Uganda: infant care and the growth of love, Baltimore, Johns Hopkins University Press Ainsworth Mary, 1991, Attachment and other affectional bonds across the life cycle, in Parkes C. M., Stevenson-Hinde J., Marris P. (e cura di), Attachment across the life cycle, New York, Routledge, pagg. 33-51 Allegra Antonio, 2005, Dopo l'anima. 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