aUTENTIcO MaESTRO DEL bUONGUSTO

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aUTENTIcO MaESTRO DEL bUONGUSTO
MAESTRI
aUTENTIcO
MaESTRO DEL
bUONGUSTO
Gianfranco
Bolognesi
Ho sempre detto ai miei
ragazzi: conoscete le
materie prime, e poi
divertitevi e reinventate
di Luca Bonacini
I
ncontrare i grandi “Maestri” della cucina e dell’ospitalità italiana, è un’esperienza davvero unica. Un
affascinante viaggio che ci porta nei grandi ristoranti della penisola che hanno fatto la storia degli
ultimi trent’anni, luoghi simbolo dell’ ospitalità, e del
più fine artigianato gastronomico, storie appassionanti
fatte di amore vero per una professione, e di enormi sacrifici, che il più delle volte portano al successo e alla
massima realizzazione, ma anche no. Storie che raccontano di sogni realizzati, a patto di duro lavoro, sveglie
all’alba e notti insonni, esistenze votate a un progetto, a
un’idea, che si manifesta in straordinarie individualità,
come quelle di Nadia Santini, di Niko Romito, e in questo numero di Gianfranco Bolognesi. Erano i primi anni
‘70, la sonda americana Mariner atterrava su Marte, Jim
Morrison veniva trovato senza vita a Parigi, il programmatore statunitense Ray Tomlinson inventava l’e-mail, e
in Italia si imponeva l’IVA, mentre nel cuore della Ro-
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magna, sulle colline di Castrocaro, tra la Rocca medievale e le terme
centenarie, apriva La Frasca, il ristorante di Gianfranco Bolognesi. Sarà
l’inizio di un ascesa verso meritati successi professionali, fatta di cappelli, forchette, stelle a non finire, una notorietà sempre crescente che
porterà il locale romagnolo ad affermarsi come punto di approdo e di rilancio, della cucina italiana, e il grande anfitrione Gianfranco Bolognesi
ad essere riconosciuto come un precursore dallo stile elegante e incisivo:
È stato ed è, un riferimento importantissimo per la ristorazione italiana,
cosa sta facendo ora Gianfranco Bolognesi?
“Ho condiviso un pezzo di strada con uno staff eccezionale e con tanti
colleghi straordinari, come Alfonso Iaccarino e Nadia Santini, loro hanno
continuato, io invece dopo quarant’anni di attività ho lasciato, e mi sono
preso una pausa, sono tre anni che sono parzialmente in pensione, anche
se do una mano a mia figlia più grande, Melania, nella Trattoria Bolognesi
che ha aperto, a Castrocaro. In cucina ci sono sempre le mani esperte e la
creatività di Angelo Asirelli, uno dei
cuochi con me da sempre, con cui rivivono i piatti tradizionali del territorio e quelli della storica Frasca, che
continua anche nella sede di Milano
Marittima, con l’altro mio chef storico Marco Cavallucci, ma senza di
me, sono in pensione, e ho lasciato il
testimone alla società gerente”.
Come è iniziata l’avventura della
Frasca?
“A vent’anni ero una promessa del
calcio, poi dopo un brutto incidente,
mi ritrovai a ripensare il mio futuro, un diploma della Scuola Alberghiera in tasca, alcune esperienze in
locali primari, anche al Baglioni di
Bologna, con un occhio particolare
al vino. Poi nel 1971 apro La Frasca,
con la precisa volontà di far nascere
qualcosa di unico, dove si incontrino
una grande cucina, e una formidabile cantina con 400 etichette, e una
delle prime carte dei vini. Bisogna
pensare al periodo in cui eravamo,
allora ai piatti si abbinava una caraffa di bianco o di rosso, mentre da noi
c’erano il Romanèe Conti a 35.000
lire e il Krug e Dom Perignon a
7.000 lire. Nel ’74 divento primo
sommelier d’Italia, e nel ‘75 arriva
la prima stella Michelin, in cucina c’è un giovanissimo Marco Cavallucci,
i nostri piatti si evolvono e diventano più creativi, si ristruttura il locale,
rendendolo ancora più elegante e accogliente e nel 1985 ecco la seconda
stella, conservata fino a quando abbiamo ceduto l’attività, rappresenta
un record, mi hanno detto, siamo gli unici ad aver mantenuto due stelle
per 26 anni consecutivi. Poi ho detto basta, il mondo stava cambiando”.
Gli incontri da non dimenticare di Gianfranco Bolognesi?
“Oggi mi godo il tempo, e coltivo i miei hobby, l’arte contemporanea, la
musica jazz, qualche buona lettura, e do una mano a mia figlia. Guardando indietro, sono tante le soddisfazioni, e i ricordi piacevoli, tanti gli
incontri straordinari, e molte le persone e gli amici che devo ringraziare
per ciò che mi hanno dato. Ricordo con piacere un cliente facoltoso della
Frasca, che oggi non è più con noi, un importante industriale dei dintorni
di Castrocaro, che produceva orchidee, un gentiluomo, affabile, colto, e
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grande gourmet, mi volle con sé in un tour nei grandi
ristoranti di Francia, ero giovane allora, fu grazie a lui
che conobbi la Tour D’Argent, mitico tre stelle e gli altri
grandi, mi ha stimolato nell’ambito della cucina e della
ricerca. C’era Luigi Veronelli, dopo un anno che avevo
aperto, fu lui a farmi conoscere, con due interi servizi,
sui settimanali Panorama ed Epoca, fu lui a scoprirmi,
poi nel ’75 mi invitò in Rai a Torino, a partecipare ad alcune puntate di un programma televisivo di cucina, condotto da lui e da Ave Ninchi, dove parlavo di abbinamenti cibo vino. Il terzo grande incontro fu quello intenso,
profondo, emozionante, con il Santo Padre, preparai per
Papa Giovanni Paolo II, nel 1986, un grande pranzo”.
Quale è stato il rapporto con i suoi collaboratori?
“Ho avuto sempre collaboratori fedeli, che rimanevano
con me tanti anni e con cui riuscivo a creare un rapporto
speciale. Una persona non fa il ristorante, ma è l’equi-
pe il segreto del successo, occorre costituire un gruppo
affiatato sia in sala che in cucina. Ho avuto la fortuna di
tirare su fin da giovani i miei collaboratori, i due principali chef della cucina sono stati con me a lungo, Marco
fino al 2001 per 33 anni; Angelo è ancora con noi, nella
trattoria di mia figlia; anche il mio storico maître, Bruno
Renna, che è andato in pensione, è stato per decenni una
solida colonna, e oggi ci frequentiamo ancora, al di fuori
del lavoro. A tutti loro devo molto”.
Cosa ha lasciato ai suoi collaboratori, l’incontro con
Gianfranco Bolognesi?
“Ho sempre creduto nella valorizzazione delle eccezionali
materie prime, di cui dispone il nostro ricco territorio ,
ogni comune, città, regione, dispone di prodotti che vanno
utilizzati, e piatti meravigliosi che vanno proposti, reinterpretando mettendo qualcosa di proprio, il piatto deve
essere quello che il cliente non trova da nessun altra parte. Tra le ricette storiche della Frasca c’erano le tagliatelle
gratinate con i fegatini di pollo, rivisitando le tagliatelle
al ragù, che è un piatto buonissimo, ma si mangia un po’
dappertutto; facevamo il savarin di riso con funghi porcini, e non il risotto ai porcini; c’era la quaglia farcita al
foie gras, spugnole e tartufo nero, piuttosto che la versione classica; c’erano i passatelli asciutti, ad esempio, con
sugo di scorfano, vongole e pesto leggero, che proposi per
primo, e non in brodo, come si mangiavano in tutte le trattorie; per me la cucina doveva essere continua emozione,
preparata con il meglio che offriva la regione. Ho sempre
detto ai miei ragazzi: imparate a conoscere i nostri prodotti, e poi divertitevi e reinventate. In sala invece la mia formazione di sommelier, e la disponibilità di una formidabile cantina, favoriva gli allievi che potevano formarsi come
in pochi altri locali, alla fine degli anni ’80 L’Espresso ci
diede il premio di miglior cantina. Ho tanti allievi in giro per
il mondo, che mi onoro di aver
iniziato al mestiere, due per tutti: Andrea Spada che è diventato
primo sommelier d’Italia; Vincenzo che è sommelier da Andrea
Crippa, nel ristorante Duomo di
Alba, tre stelle Michelin. Essere
ottimi sommelier in un locale che
non ha disposizione una cantina
importante non aiuta a costruirsi
una solida professionalità. Aprire
queste bottiglie cosi importanti è
un autentica emozione, un operazione che impone cautela, e
riempie di orgoglio, dopo se ne
parlerà per intere settimane, questi momenti aiutano tantissimo la
formazione”.
Qualcosa che le manca?
“Devo dire l’eccezionale cantina della Frasca, un estesissima
quantità di grandi bottiglie, che
garantivano emozioni infinite.
Mi manca quella disponibilità di
grandi etichette. Anche se devo
dire che le più grandi soddisfazioni forse le ho ricevute
dalle mie selezioni, da piccole cantine che scoprivo e
che proponevo al ristorante, alcuni clienti rimanevano
colpiti dalla qualità di quei vini e ne facevano scorta
prima di ripartire, come accadeva con Clara Agnelli e
il Conte Nuvoletti, che venivano a fare le cure termali a
Castrocaro. Clienti assidui a cui piacevano i miei vini, e
prima di ripartire, ne volevano sempre nel baule alcune
casse, per me era una grande soddisfazione perché allora erano i proprietari di Chateau Margaux, e sapere che
una mia proposta era preferita a uno dei migliori vini del
mondo, era impagabile. Una carriera piena di soddisfazioni, forse non dal punto di vista economico, ma quanti
incontri, quante esperienze, e segretamente mi auguro
con il mio lavoro di aver reso felice qualcuno, di aver
offerto qualche attimo di gioia e serenità”.
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