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2032 LIBRO IV - DELLE OBBLIGAZIONI 2026. Pegno. La costituzione in pegno di un titolo nominativo [2786] può farsi anche mediante consegna del titolo, girato con la clausola «in garanzia» o altra equivalente [2014]. Il giratario in garanzia non può trasmettere ad altri il titolo se non mediante girata per procura [2013, 2014]. 2027. Ammortamento. In caso di smarrimento, sottrazione o distruzione del titolo, l’intestatario o il giratario di esso può farne denunzia all’emittente e chiedere l’ammortamento del titolo in conformità delle norme relative ai titoli all’ordine [2016]. In caso di smarrimento, sottrazione o distruzione di azioni nominative, durante il termine stabilito dall’articolo 2016 il ricorrente può esercitare i diritti inerenti alle azioni, salva, se del caso, la prestazione di una cauzione [2018; c.p.c. 119]. L’ammortamento estingue il titolo, ma non pregiudica le ragioni del detentore verso chi ha ottenuto il nuovo titolo [1189, 2019]. TITOLO VI DELLA GESTIONE DI AFFARI 2028. Obbligo di continuare la gestione. Chi, senza esservi obbligato, assume scientemente la gestione di un affare altrui, è tenuto a continuarla e a condurla a termine finché l’interessato non sia in grado di provvedervi da se stesso. L’obbligo di continuare la gestione sussiste anche se l’interessato muore prima che l’affare sia terminato, finché l’erede possa provvedere direttamente. 2029. Capacità del gestore. Il gestore deve avere la capacità di contrattare [1425]. 2030. Obbligazioni del gestore. Il gestore è soggetto alle stesse obbligazioni che deriverebbero da un mandato [1703, 1710 ss.]. Tuttavia il giudice, in considerazione delle circostanze che hanno indotto il gestore ad assumere la gestione, può moderare il risarcimento dei danni ai quali questi sarebbe tenuto per effetto della sua colpa [789, 798, 1176, 1223, 1812, 1821]. 2031. Obblighi dell’interessato. Qualora la gestione sia stata utilmente iniziata, l’interessato deve adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunte in nome di lui, deve tenere indenne il gestore di quelle assunte dal medesimo in nome proprio e rimborsargli tutte le spese necessarie o utili con gli interessi [1284] dal giorno in cui le spese stesse sono state fatte [1720, 1914]. Questa disposizione non si applica agli atti di gestione eseguiti contro il divieto dell’interessato, eccetto che tale divieto sia contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. 2032. Ratifica dell’interessato. La ratifica [1399] dell’interessato produce, relativamente alla gestione, gli effetti che sarebbero derivati da un mandato [1703 ss.], anche se la gestione è stata compiuta da persona che credeva di gestire un affare proprio. 1. Locazione di cosa comune da parte di un solo comproprietario. Contrasto giurisprudenziale; 1.1. Primo orientamento maggioritario. Il comunista che loca il bene in comunione agisce in qualità di rappresentante; 1.2. Secondo orientamento, condiviso dalle Sezioni Unite. La locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell’ambito di applicazione della gestione di affari. 1. Locazione di cosa comune da parte di un solo comproprietario. Contrasto giurisprudenziale. 1.1. Primo orientamento maggioritario. Il comunista che loca il bene in comunione agisce in qualità di rappresentante. Sugli immobili oggetto di comunione concorrono, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari, in virtù della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri. Ne con- segue che il singolo condomino può stipulare il contratto di locazione avente ad oggetto l’immobile in comunione e che un condomino diverso da quello che ha assunto la veste di locatore è legittimato ad agire per il rilascio del bene stesso (senza che sia necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini), purché non risulti l’espressa ed insuperabile volontà contraria degli altri comproprietari, la quale fa venire meno il presunto consenso della maggioranza. Si presuppone, pertanto, un reciproco rapporto di rappresentanza tra i comunisti sottostante agli atti di ordinaria amministrazione compiuti dal singolo comproprietario e la presunzione del consenso fondata sul modello del mandato presunto o tacito. Cass. 13 maggio 2010, n. 11589; conforme Cass. 22 giugno 2009, n. 14530. Contra: Desta perplessità la prospettazione dei rapporti tra comunisti in termini di mandato disgiuntivo presunto, da escludersi in un sistema fondato sulla regola organizzativa opposta dell’amministrazione congiun- – 349 – 2033 CODICE CIVILE tiva; così come il ricorso al mandato tacito risulta inappagante in quanto nell’ipotesi, molto frequente, della locazione stipulata da uno dei comunisti all’insaputa degli altri, non vi è alcuna possibilità di identificare il comportamento concludente di questi ultimi rivolto a consentire la stipula della locazione. In particolare, tale orientamento muove dal fatto noto, costituito dalla stipulazione del contratto di locazione da parte di un solo comproprietario, per risalire, quale conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, al fatto ignoto, costituito dalla esistenza di un mandato tacito conferito dagli altri condomini. Orbene, una simile presunzione non appare adeguatamente motivata, atteso che la stessa è destinata ad operare in presenza di una norma che per gli atti di ordinaria amministrazione, tra i quali rientra la stipulazione di un contratto di locazione infranovennale della cosa comune, richiede una deliberazione dei partecipanti alla comunione e quindi una manifestazione espressa di volontà. Cass., Sez. Un., 4 luglio 2012, n. 11135. 1.2. Secondo orientamento, condiviso dalle Sezioni Unite. La locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell’ambito di applicazione della gestione di affari. La locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell’ambito di applicazione della gestione di affari ed è soggetta alle regole di tale istituto, tra le quali quella di cui all’articolo 2032 del Cc, sicché, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore potrà ratificare l’operato del gestore e, ai sensi dell’articolo 1705, comma 2, del Cc, applicabile per effetto del richiamo al mandato, contenuto nel citato articolo 2032, potrà esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni corrispondente alla quota di proprietà indivisa. Cass., Sez. Un., 4 luglio 2012, n. 11135. Sussiste, infatti l’animus aliena negotia gerendi, nel caso in cui chi sia nella disponibilità di un bene in parte di altri ne disponga concedendolo in locazione, essendo siffatta iniziativa contrattuale, in assenza di opposizioni da parte degli altri comproprietari, chiaramente riferibile anche all’interesse di questi ultimi. D’altra parte, non può non rilevarsi che l’art. 2032 cod. civ., nel consentire la ratifica dell’operato del gestore da parte dell’avente diritto, anche se la gestione è stata compiuta da persona che credeva di gestire un affare proprio, vale a ridimensionare seriamente la rilevanza del requisito soggettivo con il quale il gestore ha proceduto alla gestione. Quanto all’absentia domini e all’utiliter coeptum, la loro ricorrenza è senz’altro verificabile nel caso del contratto di locazione, trattandosi di atto di disposizione in genere di ordinaria amministrazione destinato a far fruttare il bene comune e rispetto al quale deve ritenersi sussistente anche l’interesse del comproprietario non locatore che non abbia manifestato opposizione. Cass., Sez. Un., 4 luglio 2012, n. 11135. Quanto al presupposto della absentia domini, inoltre si osserva che sussiste non solo allorché l’interessato versi in una condizione di impedimento, che si traduca in una impossibilità materiale rispetto alla cura dei propri affari, ma anche qualora l’interessato stesso non manifesti, espressamente o tacitamente, il divieto a che altri si ingerisca nei propri affari. Cass., Sez. Un., 4 luglio 2012, n. 11135. TITOLO VII DEL PAGAMENTO DELL’INDEBITO 2033. Indebito oggettivo. Chi ha eseguito un pagamento non dovuto [1189] ha diritto di ripetere ciò che ha pagato [1185 comma 2, 1463, 1952 comma 3]. Ha inoltre diritto ai frutti [820 ss.] e agli interessi [1284] dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede [1147], dal giorno della domanda [1148, 2036; L. fall. 39]. 1. Profili generali; 2. Decorrenza degli interessi e delle somme dovute per maggior danno; 3. Casistica. 1. Profili generali. A norma dell’art. 1421 c.c. il giudice deve rilevare d’ufficio le nullità negoziali, non solo se sia stata proposta azione di esatto adempimento, ma anche se sia stata proposta azione di risoluzione. Pertanto, qualora venga acclarata la mancanza di causa adquirendi - tanto nel caso di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venir meno il vincolo originariamente esistente - l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto è quella di ripetizione di indebito oggettivo. Proposta domanda di risoluzione, dunque, l’accoglimento delle richieste restitutorie in conseguenza del rilievo d’ufficio della nullità del contratto, non viola il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Cass. 7 febbraio 2011, n. 2956. 2. Decorrenza degli interessi e delle somme dovute per maggior danno. In tema di ripetizione d’indebito oggettivo, l’espressione “domanda” di cui all’art. 2033 c.c. non va intesa come riferita esclusivamente alla domanda giudiziale ma ha valore di atto di costituzione in mora, che, ai sensi dell’art. 1219 c.c., può anche essere stragiudiziale, dovendosi considerare l’”accipiens” (in buona fede) quale debitore e non come possessore, con conseguente applicazione dei principi generali in materia di obbligazioni e non di quelli relativi alla tutela del possesso di buona fede ex art. 1148 c.c. Ne consegue che, in caso di obbligazioni periodiche, ove si deduca con la richiesta extragiudiziale di restituzione delle somme indebitamente corrisposte anche la corretta interpretazione del titolo costitutivo dell’obbligazione, contestando l’unica “causa solvendi” a cui tutti i pagamenti si riferiscono, gli interessi, nonché l’ulteriore risarcimento ex art. 1224, secondo comma, c.c., decorrono dalla data dell’istanza stessa quanto agli importi già versati, mentre, quanto ai ratei non ancora sca- – 350 – 2038 LIBRO IV - DELLE OBBLIGAZIONI duti, spettano dal giorno di scadenza di ciascuna rata, senza necessità di una ulteriore specifica richiesta di rimborso, che resta utile per ottenere la condanna alla restituzione delle somme successivamente versate (se non compresa nell’originaria istanza) ma non è necessaria per la decorrenza degli accessori legali. (Fattispecie relativa a indebito previdenziale in ordine alla domanda di restituzione delle differenze dei contributi mensili per assegni familiari versati ai soci lavoratori di una cooperativa). Cass. 1 aprile 2011, n. 7586. 3. Casistica. Il giudice può rilevare d’ufficio la nullità di un contratto, a norma dell’art. 1421 c.c., anche se sia stata proposta la domanda di annullamento, o di risoluzione o di rescissione del contratto, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, atteso che in ognuna di tali domande è implicitamente postulata l’assenza di ragioni che determinino la nullità del contratto medesimo; ne consegue che il rilievo di quest’ultima da parte del giudice dà luogo a pronunzia non eccedente i limiti della causa, la cui efficacia resta commisurata nei limiti della domanda proposta, potendo quindi estendersi all’intero rapporto contrattuale se questa lo investa interamente. Qualora venga acclarata la mancanza di una causa adquirendi tanto nel caso di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venir meno il vincolo originariamente esistente l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo; ne consegue che, ove sia proposta una domanda di risoluzione del contratto per inadempimento e il giudice rilevi, d’ufficio, la nullità del medesimo, l’accoglimento della richiesta restitutoria conseguente alla declaratoria di nullità non viola il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Cass. 2 febbraio 2012, n. 1484. 2034. Obbligazioni naturali. Non è ammessa la ripetizione [2033] di quanto è stato spontaneamente prestato [590, 627 comma 2, 799] in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace [2126, 2321, 2940; L. fall. 64]. I doveri indicati dal comma precedente, e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato [1933 comma 2, 2035, 2940], non producono altri effetti. 1. Intrasmissibilità iure successionis. 1. Intrasmissibilità iure successionis. L’obbligazione naturale non è trasmissibile per via di successio mortis causa, perché, non avendo giuridicità prima e fuori dell’adempimento, non ha carattere pa- trimoniale né fa parte del coacervo di diritti ed obblighi nei quali subentra l’erede; il quale tuttavia può assolvere, alla stregua dei principi etici e sociali, in via originaria ad una sua propria obbligazione naturale, sorta di riflesso, in dipendenza di quella del de cuius e del rapporto di successione. Cass. 12 luglio 2011, n. 15301. 2035. Prestazione contraria al buon costume. Chi ha eseguito una prestazione per uno scopo che, anche da parte sua, costituisca offesa al buon costume non può ripetere quanto ha pagato. 2036. Indebito soggettivo. Chi ha pagato un debito altrui, credendosi debitore in base a un errore scusabile, può ripetere ciò che ha pagato, sempre che il creditore non si sia privato in buona fede [1147] del titolo o delle garanzie del credito [1189]. Chi ha ricevuto l’indebito [1189 comma 2] è anche tenuto a restituire i frutti [820 ss.] e gli interessi dal giorno del pagamento [1282], se era in mala fede, o dal giorno della domanda, se era in buona fede [1148, 2033]. Quando la ripetizione non è ammessa, colui che ha pagato subentra nei diritti del creditore [1203 n. 5]. 2037. Restituzione di cosa determinata. Chi ha ricevuto indebitamente una cosa determinata è tenuto a restituirla [1189 comma 2, 2041]. Se la cosa è perita, anche per caso fortuito [1218, 1256], chi l’ha ricevuta in mala fede è tenuto a corrisponderne il valore; se la cosa è soltanto deteriorata, colui che l’ha data può chiedere l’equivalente, oppure la restituzione e un’indennità per la diminuzione di valore. Chi ha ricevuto la cosa in buona fede non risponde del perimento o del deterioramento di essa, ancorché dipenda da fatto proprio, se non nei limiti del suo arricchimento [1147, 2041]. 2038. Alienazione della cosa ricevuta indebitamente. Chi, avendo ricevuto la cosa in buona fede [1147], l’ha alienata prima di conoscere l’obbligo di restituirla è tenuto a restituire il corrispettivo conseguito. Se questo è ancora dovuto, colui che ha pagato l’indebito subentra nel diritto dell’alienante [1203 n. 5]. Nel caso di alienazione a titolo gratuito, il terzo acquirente è obbligato, nei limiti del suo arricchimento, verso colui che ha pagato l’indebito. Chi ha alienato la cosa ricevuta in mala fede, o dopo aver conosciuto l’obbligo di restituirla, è obbligato a restituirla in natura o a corrisponderne il valore. Colui che ha pagato l’indebito può però esigere il corrispettivo dell’alienazione e può anche agire direttamente per conseguirlo. Se l’alienazione è stata fatta a titolo gratuito, l’acquirente, qualora l’alienante sia stato inutilmente escusso, è obbligato, nei limiti dell’arricchimento, verso colui che ha pagato l’indebito [1147, 2041]. – 351 – 2039 CODICE CIVILE 2039. Indebito ricevuto da un incapace. L’incapace che ha ricevuto l’indebito, anche in mala fede, non è tenuto che nei limiti in cui ciò che ha ricevuto è stato rivolto a suo vantaggio [1190, 1443, 2041]. 2040. Rimborso di spese e di miglioramenti. Colui al quale è restituita la cosa è tenuto a rimborsare il possessore delle spese e dei miglioramenti, a norma degli articoli 1149, 1150, 1151 e 1152. TITOLO VIII DELL’ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA 2041. Azione generale di arricchimento. Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale [1185 comma 2; L. camb. 67]. Qualora l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda [2037, 2038]. 1. La domanda di indennizzo per arricchimento senza causa; 2. Azione di arricchimento nei confronti della P.A.; 3. Arricchimento e valutazione delle prestazioni professionali; 4. Questioni processuali; 4.1. Giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo; 5. Casistica; 5.1. Condominio. 1. La domanda di indennizzo per arricchimento senza causa. L’azione di indebito arricchimento integra un’azione autonoma per diversità di “petitum” e di “causa petendi”. La specificità del suo titolo, pertanto, esclude che essa possa intendersi proposta per implicito in una domanda fondata su altro titolo. (Nella specie l’attore aveva dedotto a fondamento della proposta domanda un contratto di finanziamento: in applicazione del principio di cui sopra la S.C. ha escluso che il giudice del merito potesse ritenere implicitamente proposta in luogo dell’azione causale - come esplicitata dalla parte - l’azione ex art. 2041 c.c.). Cass. 21 febbraio 2011, n. 4200. 2. Azione di arricchimento nei confronti della P.A. Ai fini dell’azione di arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041 c.c., proposta nei confronti della P.A., non rileva l’utilità che l’ente pubblico confidava di realizzare, bensì quella che ha in effetti conseguito e che, quando la prestazione eseguita in suo favore sia di carattere professionale, può consistere anche nell’avere evitato un esborso o una diversa diminuzione patrimoniale cui, invece, sarebbe stato necessario far fronte ove fosse mancata la possibilità di disporre del risultato della prestazione medesima. Pertanto, qualora il progetto di un’opera pubblica, fornito da un professionista a un ente pubblico senza un valido conferimento di incarico, sia stato utilizzato per chiedere il finanziamento dell’opera progettata, l’ente medesimo è tenuto a indennizzare l’autore dell’elaborato nei (imiti del vantaggio conseguito attraverso l’utilizzazione concretamente fatta dello stesso, mentre è irrilevante il fatto che il finanziamento non sia stato accordato e l’opera pubblica non sia stata realizzata. Cass. 6 aprile 2011, n. 7882. In tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della p.a., conseguente all’assenza di un valido contratto d’opera professionale, l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace. Pertanto, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto al professionista, la parcella, ancorché vistata dall’ordine professionale, non può essere assunta come parametro di riferimento, non trattandosi in questo caso di corrispettivo per prestazioni professionali, ma della individuazione di una somma che va liquidata, in forza delle risultanze processuali, se ed in quanto si sia verificato un vantaggio patrimoniale a favore della p.a., con correlativa perdita patrimoniale della controparte. Cass. 18 febbraio 2010, n. 3905. Contra: Qualora, per lo svolgimento di un’attività professionale, debba essere riconosciuto un indennizzo per arricchimento senza causa ai sensi dell’art. 2041 c.c., la quantificazione dell’indennizzo medesimo può essere effettuata utilizzando la tariffa professionale come parametro di valutazione, per desumere il risparmio conseguito dalla P.A. committente rispetto alla spesa cui essa sarebbe andata incontro nel caso di incarico professionale contrattualmente valido. Cass. 29 settembre 2011, n. 19942. 3. Arricchimento e valutazione delle prestazioni professionali. L’utilità dell’opera o della prestazione può essere riconosciuta di fatto dal giudice a fronte di una utilizzazione non attuata direttamente dagli organi rappresentativi dell’ente, ma da questi sostanzialmente assentita. Inoltre, l’omessa realizzazione dell’opera non è circostanza tale da escludere l’utilità del progetto che può essere rappresentata dal suo utilizzo per pratiche amministrative. (Fattispecie relativa al caso di tre professionisti, che avevano ricevuto dalla Provincia, sulla base di un contratto di appalto, l’incarico di redigere un progetto esecutivo per la realizzazione di un istituto scolastico, poi non realizzato. La S.C. ha condannato la Provincia a corrispondere ai professionisti un compenso parametrato alle tariffe professionali e non una indennità pari alla utilità ricevuta dalla P.a. in conseguenza dell’arricchimento nei ristretti limiti di questo). Cass. 6 dicembre 2011, n. 26193. Se la prestazione professionale è resa contra legem, per avere il professionista ecceduto i limiti delle competenze inderogabili fissati dalla legge, il contratto d’opera professionale è nullo e il professionista non può preten- – 352 – 2043 LIBRO IV - DELLE OBBLIGAZIONI dere né una retribuzione, né far valere l’indebito arricchimento. Cass. 21 marzo 2011, n. 6402. 4. Questioni processuali. La domanda di arricchimento senza causa nei confronti dei partecipanti ad un’associazione non riconosciuta, ivi compreso il rappresentante della stessa, e la domanda diretta a far valere la responsabilità personale ed accessoria di colui che ha agito in nome e per conto dell’ente, quali azioni che riguardano entrambe diritti eterodeterminati, si differenziano sia quanto alla “causa petendi” (nella prima rilevando come fatti costitutivi la presenza e l’entità del proprio impoverimento e dell’altrui arricchimento, e nella seconda l’essere stata svolta attività negoziale in nome e per conto dell’associazione, responsabile in via primaria per l’adempimento del contratto), sia quanto al “petitum” (pagamento dell’indennizzo o del corrispettivo pattuito). Ne consegue che, promossa, da parte di un appaltatore, azione di arricchimento senza causa nei confronti dei partecipanti all’associazione, per avere costoro usufruito delle opere realizzate in esecuzione dell’appalto, non può ritenersi proposta per implicito, nei confronti di chi ha agito per l’associazione, la domanda fondata sulla garanzia “ex lege” di cui all’art. 38 c.c., né è consentito al giudice di sostituire la pretesa di arricchimento senza causa con la diversa domanda diretta a far valere detta garanzia. Cass. 7 marzo 2012, n. 3602. L’azione di indebito arricchimento integra un’azione autonoma per diversità di “petitum” e di “causa petendi”. La specificità del suo titolo, pertanto, esclude che essa possa intendersi proposta per implicito in una domanda fondata su altro titolo. (Nella specie l’attore aveva dedotto a fondamento della proposta domanda un contratto di finanziamento: in applicazione del principio di cui sopra la S.C. ha escluso che il giudice del merito potesse ritenere implicitamente proposta in luogo dell’azione causale - come esplicitata dalla parte - l’azione ex art. 2041 c.c.). Cass. 21 febbraio 2011, n. 4200. 4.1. Giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. La domanda di ingiustificato arricchimento è domanda diversa rispetto a quella di adempimento contrattuale perché diversi sono i fatti giuridicamente rilevanti, posti a fondamento della domanda e diverso è il bene giuridico perseguito. Ne consegue che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, al creditore opposto è consentita la sua proposizione, soltanto se tale esigenza nasce dalle difese dell’ingiunto-opponente contenute nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, e purché la relativa domanda sia proposta - a pena di inammissibilità rilevabile d’ufficio - nella comparsa di costituzione e risposta della parte opposta. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2011, n. 26128. 5. Casistica. 5.1. Condominio. Il Condominio può esperire l’azione di indebito arricchimento per far valere le proprie ragioni contro il singolo condomino che si è avvalso di un errore nelle tabelle millesimali per non concorrere alle spese (nella specie, l’assemblea condominiale aveva deliberato l’esecuzione di alcuni lavori di manutenzione straordinaria senza accorgersi che le tabelle millesimali - poste a base dei conteggi per la ripartizione delle spese - contenevano un errore, escludendo, di fatto, un condomino dalla partecipazione alle spese comuni). Cass. 10 marzo 2011, n. 5690. 2042. Carattere sussidiario dell’azione. L’azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito [821, 1185, 1190, 1443, 1769, 2037, 2038]. TITOLO IX DEI FATTI ILLECITI 2043. Risarcimento per fatto illecito. Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno [7, 10, 129-bis, 844, 872 comma 2, 935, 939, 948, 949, 1337, 1440, 2600, 2675, 2947]. 1. Funzione riparatoria del risarcimento del danno; 2. Nesso eziologico; 2.1. Il concorso di cause; 2.2. In tema di risarcimento del danno, è ammissibile una valutazione concorsuale tra causa naturale e causa umana imputabile? Contrasto giurisprudenziale; 3. Obbligo giuridico di impedire l’evento e responsabilità risarcitoria; 3.1. Furto consumato avvalendosi di impalcature e ponteggi; 4. Danno ingiusto; 4.1. Lesione dell’interesse legittimo; 4.2. Lesione del diritto di credito; 5. Rapporti tra giudizio penale e giudizio civile di risarcimento dei danni; 6. Risarcimento del danno patrimoniale; 7. Ipotesi applicative; 7.1. Risarcimento del danno per mancata attuazione di direttiva comunitaria; 7.2. Attività sportiva; 7.3. Danno da fumo; 7.4. Danno da emotrasfusioni; 7.5. Intesa anticoncorrenziale; 7.6. Danno all’ambiente; 7.7. Danno da atti o comportamenti processuali; 7.8. Danno da vizi della cosa e da prodotto difettoso; 7.9. Danni ad immobile abusivo; 8. Responsabilità della P.A.; 8.1. Natura giuridica e presupposti; 8.1.1. La pregiudiziale amministrativa; 8.2. Responsabilità della P.A. per gli atti compiuti dai suoi dipendenti; 8.3. Responsabilità dello Stato per danno cagionato dall’esercizio di funzioni giudiziarie; 9. Responsabilità delle della P.A. (Consob e Ministero delle attività produttive) per omessa vigilanza sulle società di raccolta del risparmio. 1. Funzione riparatoria del risarcimento del danno. Non può essere riconosciuta in Italia una decisione nordamericana con la quale è stato concesso un risarcimento molto superiore a quanto richiesto dalla parte attrice, a fronte sia della mancanza di qualsiasi indicazione positiva circa la causa giustificativa della statuita attribuzione patrimoniale e sia dell’omesso richiamo in essa e – 353 – 2043 CODICE CIVILE nella impugnata sentenza a regole legali e/o criteri esteri propri della liquidazione del danno in questione e nella specie applicabili, i quali non risultano esplicitati nemmeno negli atti e difese dell’attore. Ai fini della verifica di compatibilità con l’ordine pubblico interno si rende sempre necessario conoscere i criteri legali in concreto applicati dal giudice straniero nell’adozione della pronuncia, e in particolare quelli seguiti per qualificare la responsabilità e le conseguenti voci di danno ristorabili (applicando questi principi è stata cassata la decisione dei giudici di appello che avevano invece ritenuto delibabile la decisione stessa nonostante l’assenza di una adeguata motivazione e per il fatto che nella decisione non era indicato che la somma fosse stata concessa a titolo di danno punitivo). Cass. 8 febbraio 2012, n. 1781. 2. Nesso eziologico. 2.1. Il concorso di cause. Il nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e l’evento sussiste anche quando il decesso della vittima è dovuto a complicazioni post-operatorie originate da gravi patologie della medesima, ove l’intervento chirurgico risulti esser stato necessitato per la condotta dell’agente. Detta efficienza causale iniziale e propulsiva, inoltre, va riconosciuta anche quando incida unicamente sui tempi di sopravvivenza della vittima. Cass. pen., 24 gennaio 2011, n. 2302. 2.2. In tema di risarcimento del danno, è ammissibile una valutazione concorsuale tra causa naturale e causa umana imputabile? Contrasto giurisprudenziale. Va negato ingresso, sul piano giuridico, all’ipotesi che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo concausale di un fattore naturale (qual che esso sia), possa legittimamente dipanarsi un ragionamento probatorio “semplificato” che conduca ipso facto ad un frazionamento della responsabilità, da compiersi addirittura in via equitativa (con conseguente, costante e proporzionale ridimensionamento del quantum risarcitorio). Va del pari espunta dal novero delle ipotesi legittimamente predicabili in tema di causalità materiale quella secondo cui attraverso il principio equitativo andrebbe altresì esaminata e risolta la ipotesi di totale incertezza sulla rilevanza causale non solo del fattore naturale ma anche di quello umano, con la conseguenza di un’imputazione della responsabilità ancor più semplificata, ormai destinata a prescindere del tutto dall’accertamento probabilistico del nesso così come dall’osservanza, da parte di ciascuno dei contradditori, dei rispettivi oneri probatori. Il nesso di causalità materiale tra illecito (o prestazione contrattuale) ed evento dannoso deve ritenersi sussistente (a prescindere dalla esistenza ed entità delle pregresse situazioni patologiche aventi valore concausale e come tali prive di efficacia interruttiva del rapporto eziologico ex art. 41 c.p., ancorché eventualmente preponderanti), ovvero insussistente qualora le cause naturali di valenza liberatoria dimostrino efficacia esclusiva nella verificazione dell’evento, ovvero il debitore/danneggiante dimostri ancora l’effettiva adozione di tutte quelle misure atte a circoscrivere la possibilità di un’incidenza delle condizioni preesistenti sul raggiungimento del risultato favorevole al paziente ed esigibile nel caso concreto: id est la assoluta non imputabilità dell’evento di danno (poiché, se gli esiti negativi potenzialmente discendenti dal fattore naturale avrebbero potuto essere neutralizzati oppure circoscritti, la causa naturale, pur in astratto assorbente, scadrebbe a concausa come tale non rilevante ai fini dell’imputazione del fatto lesivo). Cass. 21 luglio 2011, n. 15991. 3. Obbligo giuridico di impedire l’evento e responsabilità risarcitoria. Affinché una condotta omissiva possa essere fonte di responsabilità per danni, ai sensi dell’articolo 2043 del Cc, è necessario che sia configurabile in capo al responsabile un obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso, che può nascere, oltre che da una norma di legge o da una previsione contrattuale, anche da una specifica situazione che esiga una determinata attività a tutela di un diritto altrui. L’attività doverosa può essere, secondo le circostanze, anche solo informativa, come ad esempio, in caso di prestito grazioso di un oggetto pericoloso, ovvero concretarsi nel dovere di assicurarsi che il terzo che a titolo di cortesia si stia adoperando nell’interesse di altro soggetto, manovrando in sua presenza un oggetto pericoloso di cui il soggetto interessato conosca la pericolosità - abbia adottato le precauzioni idonee per la corretta esecuzione della manovra o che queste siano stato comunque poste in essere. (Nella specie, in applicazione del principio di cui sopra la Suprema corte ha confermato la sentenza con cui il giudice del merito aveva ritenuto la responsabilità del proprietario di un trattore per le gravissime lesioni riportate da un soggetto - che si era spontaneamente indotto a prestare il proprio ausilio in via del tutto occasionale e non programmata - nel tentativo di regolare il funzionamento di una forca per il prelevamento del letame collegato al trattore, atteso che il sinistro era conseguenza della intrinseca rischiosità dell’operazione che avrebbe richiesto l’intervento del proprietario per adottare tutte le cautele idonee a scongiurare l’evento dannoso). Cass. 25 gennaio 2011, n. 1737. 3.1. Furto consumato avvalendosi di impalcature e ponteggi. Del furto in appartamento realizzato da chi vi si sia introdotto attraverso ponteggi installati per lavori di manutenzione risponde, ex articolo 2043 del Cc, l’imprenditore che per tali lavori si sia avvalso delle impalcature, tutte le volte in cui, violando il principio del neminem laedere, egli abbia omesso di dotarle di cautele atte a impedirne l’uso anomalo da parte di terzi, così creando colposamente un agevole accesso ai ladri e ponendo in essere le condizioni del verificarsi del danno subito dai derubati. Tuttavia, il risarcimento dovuto dall’impresa può essere limitato dal comportamento del derubato che abbia lasciato incustodita nell’appartamento la chiave della cassaforte. Cass. 10 gennaio 2011, n. 292. 4. Danno ingiusto. 4.1. Lesione dell’interesse legittimo. Se un Comune nega la richiesta di autorizzazione per lo svolgimento di una attività commerciale (sul pre- – 354 – 2043 LIBRO IV - DELLE OBBLIGAZIONI supposto che l’attività svolta dalla ricorrente sia incompatibile con la destinazione urbanistica assegnata dal vigente PRGC all’immobile sede dell’attività) con provvedimento annullato dal T.A.R., e la società nelle more fallisce, il curatore fallimentare non ha diritto al risarcimento del danno se il danno si sarebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza, con una nuova domanda al Comune o con la richiesta del commissario ad acta, o con la locazione di altro immobile, ma non con la colpevole inerzia che spezza il nesso di causalità. T.A.R. Piemonte, sez. I, 19 aprile 2012, n. 459. 4.2. Lesione del diritto di credito. Se la lesione del credito deriva da un fatto per la cui imputabilità la legge preveda uno speciale criterio d’imputazione (come nel caso dell’art. 2054 c.c.) quel criterio trova applicazione anche nella causa promossa dal creditore nei confronti del responsabile del fatto illecito, non essendovi ragioni per limitarne l’applicabilità al solo caso della domanda proposta direttamente dalla vittima primaria, giacché il fatto genetico del danno è il medesimo anche per gli altri soggetti danneggiati. Cass. 27 ottobre 2011, n. 22402. 5. Rapporti tra giudizio penale e giudizio civile di risarcimento dei danni. In caso di illecito civile considerato dalla legge come reato (lesioni), ma per i quali non sia stato promosso (ad esempio per mancata presentazione della querela) un giudizio penale, l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato si applica anche all’azione di risarcimento promossa in sede civile, a condizione che il giudice accerti – pur con gli strumenti del rito civile - la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato, dal punto di vista oggettivo e soggettivo. In simili casi la prescrizione decorre dalla data del fatto, conformemente a quanto stabilisce l’art. 2947, comma 3, c.c. (nel caso concreto, il termine di prescrizione da applicare era quello del reato di lesioni colpose, pari a 5 anni; essendo stato notificato l’atto di citazione entro detto termine, la S.C. ha accolto il ricorso viene accolto e cassato con rinvio la sentenza impugnata). Cass. 15 maggio 2012, n. 7543. La sentenza con la quale il giudice applica all’imputato la pena da lui richiesta e concordata con il p.m., pur essendo equiparata a una pronuncia di condanna ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 445, 1º comma, c.p.p., non è tuttavia ontologicamente qualificabile come tale, traendo essa origine essenzialmente da un accordo delle parti, caratterizzato, per quanto attiene all’imputato, dalla rinuncia di costui a contestare la propria responsabilità; ne consegue che non può farsi discendere dalla sentenza di cui all’art. 444 c.p.p. la prova della ammissione di responsabilità da parte dell’imputato e ritenere che tale prova sia utilizzabile nel procedimento civile. Cass. 12 aprile 2011, n. 8421. In funzione dell’autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile, ad eccezione della sola sentenza penale irrevocabile di assoluzione, pronunciata in seguito a dibattimento che ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno, il giudice civile può rideterminare liberamente la percentuale del concorso causale. Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2011, n. 1768. 6. Risarcimento del danno patrimoniale. Le spese sostenute dai familiari della vittima di un fatto illecito per partecipare alle esequie del loro congiunto, comprese quelle di viaggio, in quanto normali e doverose secondo la coscienza sociale ed il costume, vanno comprese fra i danni derivanti dal fatto illecito in base ad un nesso di regolarità causale, e, come tali, sono risarcibili (nel caso di specie è stata ritenuta fondata dalla S.C. la censura relativa al mancato riconoscimento delle spese per il rientro della figlia della vittima dalla vacanzastudio in corso a Londra). Cass. 13 maggio 2011, n. 10528. Ai fini della liquidazione dei danni, subiti da uno dei coniugi per la morte dell’altro coniuge, causata da fatto illecito altrui, la situazione, determinatasi a seguito delle nuove nozze contratte dal coniuge superstite in corso di causa, se certamente è irrilevante sotto il profilo della compensatio lucri cum damno, non essendo i vantaggi patrimoniali acquisiti dal danneggiato attraverso il successivo matrimonio conseguenza diretta e immediata del fatto illecito, deve essere tuttavia valutata dal giudice al fine di accertare in quali limiti il pregiudizio scaturito da tale illecito sia stato concretamente eliso dalle nuove nozze. Cass. 21 marzo 2011, n. 6357. Interpretando l’articolo 16 delle preleggi alla luce degli articoli 2, 3 e 10 della Costituzione per il principio della gerarchia delle fonti, poiché costituiscono diritti inviolabili della persona umana sia il diritto alla salute e all’integrità psicofisica sia il diritto ai rapporti parentalifamiliari, il risarcimento dei danni (patrimoniali e non patrimoniali) subiti dallo straniero (anche extracomunitario) in conseguenza della lesione di tali diritti, può essere fatto valere con l’azione risarcitoria, indipendentemente dalla condizione di reciprocità di cui all’articolo 16 delle preleggi, senza alcuna disparità di trattamento rispetto al cittadino italiano, e quindi non solo contro il danneggiante (o contro il soggetto tenuto al risarcimento per fatto altrui), ma - anche con l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore o del Fondo di garanzia per le vittime della strada. Cass. 11 gennaio 2011, n. 450. 7. Ipotesi applicative. 7.1. Risarcimento del danno per mancata attuazione di direttiva comunitaria. In tema di responsabilità dello Stato per mancato recepimento di direttive comunitarie, la norma introdotta dall’art. 4, comma 43, della legge n. 183 del 2011, secondo la quale la prescrizione del diritto al risarcimento del danno soggiace al termine quinquennale ex art. 2947 c.c., vale soltanto per i fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore, poiché essa non evidenzia i caratteri della norma interpretativa, idonei a sottrarla al principio di irretroattività; ne consegue che, per i fatti anteriori alla novella, opera la prescrizione decennale, secondo la qualificazione giurisprudenziale nei termini dell’inadempimento contrattuale. Cass., sez. lav., 8 febbraio 2012, n. 1850. In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi), sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Cor- – 355 – 2043 CODICE CIVILE te di giustizia dell’Unione europea, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria. Tale responsabilità - dovendosi considerare il comportamento omissivo dello Stato come antigiuridico anche sul piano dell’ordinamento interno e dovendosi ricondurre ogni obbligazione nell’ambito della ripartizione di cui all’art. 1173 c.c. - va inquadrata nella figura della responsabilità “contrattuale”, in quanto nascente non dal fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c., bensì dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, sicché il diritto al risarcimento del relativo danno è soggetto all’ordinario termine decennale di prescrizione. Detto termine di prescrizione comincia a decorrere dalla data in cui i primi effetti lesivi di detta scorretta trasposizione si siano verificati e ne siano prevedibili altri. Detta data può anche essere antecedente alla corretta trasposizione della direttiva stessa, a condizione che il danno per gli aventi diritto si sia verificato, anche solo in parte, anteriormente alla trasposizione stessa. Cass. 17 maggio 2011, n. 10813. Gli Stati membri hanno il diritto di stabilire un termine di prescrizione per l’esercizio delle azioni di risarcimento danni a causa del mancato recepimento di una direttiva non self-executing a condizione che venga rispettato il principio di equivalenza e di effettività. il decorso del tempo può essere calcolato anche prima del recepimento della direttiva a condizione che lo Stato non sia responsabile, con il suo comportamento, dei ritardi nell’azionabilità dei ricorsi. È irrilevante il preliminare accertamento da parte della Corte Ue della violazione dello Stato nei casi in cui la violazione sia evidente. Corte giust., 19 maggio 2011, Causa C-452/09. 7.2. Attività sportiva. Qualora siano derivate lesioni personali ad un partecipante all’attività sportiva a seguito di un fatto posto in essere da un altro partecipante, il criterio per individuare in quali ipotesi il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile sta nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, collegamento che va escluso se l’atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco, con la conseguenza che sussiste in ogni caso la responsabilità dell’agente in ipotesi di atti compiuti allo specifico scopo di ledere, anche se gli stessi non integrino una violazione delle regole dell’attività svolta; la responsabilità non sussiste invece se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole dell’attività, e non sussiste neppure se, pur in presenza di violazione delle regole proprie dell’attività sportiva specificamente svolta, l’atto sia a questa funzionalmente connesso. In entrambi i casi, tuttavia il nesso funzionale con l’attività sportiva non è idoneo ad escludere la responsabilità tutte le volte che venga impiegato un grado di violenza o irruenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato, ovvero col contesto ambientale nel quale l’attività sportiva si svolge in concreto, o con la qualità delle persone che vi partecipano. Cass. 30 marzo 2011, n. 7247. Nel caso di lesioni subite nel corso di un’attività natatoria all’interno di una piscina va riconosciuta la responsabilità del gestore della stessa - ex art. 2049 c.c. che, nell’organizzare il corso di nuoto avrebbe dovuto predisporre modalità necessarie ad evitare “gli scontri” in vasca, sia del nuotatore che - ex art. 2043 c.c. - ha compiuto un’attività non improntata a criteri di perizia e diligenza, anche nel caso in cui abbia eseguito pedissequamente le indicazioni impartite dall’istruttore. Cass. 23 marzo 2011, n. 6695. Ai fini dell’individuazione della responsabilità per danni, ex art. 2043 c.c., derivanti da un tuffo in piscina dove la profondità dell’acqua è bassa, posto che, secondo le comuni regole di prudenza, il gestore deve predisporre mezzi idonei a segnalarne la profondità e un esplicito cartello per vietare i tuffi (e ciò anche in assenza di specifiche previsioni normative), dove la profondità non li consente in sicurezza, qualora tale condotta risulti omessa, come nella specie, andrà valutata l’incidenza causale di tale omissione rispetto all’evento, non apparendo inverosimile - alla luce del criterio della cosiddetta causalità adeguata - che idonei segnali di pericolo possano svolgere un effetto dissuasivo sul comportamento dell’uomo medio, e, tanto più su quello di un’adolescente. Inoltre, ai fini di stabilire la misura della concorrenza del comportamento colposo della vittima e della omessa apposizione di segnaletica, rileverà se il tuffo è avvenuto dal lato corto della piscina, dove l’acqua era senz’altro bassa, o dal lato lungo, dove la profondità non era omogenea, nonché la valutazione della giovane età della vittima rispetto alla maturità psicologica ipotizzabile. Cass. 2 marzo 2011, n. 5086. In materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo, qualora siano derivate lesioni personali ad un partecipante all’attività a seguito di un fatto posto in essere da un altro partecipante, il criterio per individuare in quali ipotesi il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile sta nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, collegamento che va escluso se l’atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco, con la conseguenza che sussiste in ogni caso la responsabilità dell’agente in ipotesi di atti compiuti allo specifico scopo di ledere, anche se gli stessi non integrino una violazione delle regole dell’attività svolta; la responsabilità non sussiste invece se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole dell’attività, e non sussiste neppure se, pur in presenza di violazione delle regole proprie dell’attività sportiva specificamente svolta, l’atto sia a questa funzionalmente connesso. In entrambi i casi, tuttavia il nesso funzionale con l’attività sportiva non è idoneo ad escludere la responsabilità tutte le volte che venga impiegato un grado di violenza o irruenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato, ovvero col contesto ambientale nel quale l’attività sportiva si svolge in concreto, o con la qualità delle persone che vi partecipano (Nel caso di specie la S.C. ha escluso la responsabilità di un’associazione che organizza un torneo di calcio per giovanissimi per le eventuali lesioni riportate dai ragazzi del tutto casualmente durante la partita). Cass. 30 marzo 2011, n. 7247. – 356 –