Davide Atzei Il mio migliore amico

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Davide Atzei Il mio migliore amico
Davide Atzei
Il mio migliore amico
Era un torbido pomeriggio e il sole risplendeva alto nel cielo di quell’estate ormai finita.
Me ne stavo a occhi chiusi sdraiato sulla piccola collina nella vasta pianura di grano.
Con un occhio vidi il mio amico Matteo, lì, seduto a pensare.
Teneva tra le mani una spiga di grano e ci giovava passandola da una mano all’altra.
La sua espressione era seria e sapevo che questo voleva dire che stava pensando a qualche
cosa da fare in quel giorno così caldo.
Ad un tratto si alzò in piedi e si mise una mano sulla fronte per coprire gli occhi dal sole.
“Ehi, Mattia guarda!” mi urlò.
Mi alzai di scatto e vidi con gli occhi socchiusi per il sole accecante un piccolo puntino nero che
attraversava velocemente la stradina di terra battuta che passava vicino ai silos di acqua.
“Dai andiamo!” disse mentre si rimetteva le sue scarpe di cuoio.
“Che hai in mente?” gli chiesi con voce assonnata.
“Nulla, voglio solo vedere.” E iniziò a correre per il prato.
Non mi rimaneva che abbandonare il mio luogo di riposo e iniziare a corrergli dietro.
Iniziai a correre piano per poi aumentare e raggiungerlo.
Il rumore del motore del furgoncino che avevamo visto prima si faceva sempre più forte,
finchè non lo scorsi dietro un paio di alberi.
Trovai Matteo accucciato dietro al fusto di un alberello.
Mi accovacciai anche io accanto a lui, proprio per sentire il rumore delle portiere del pulmino
chiudersi. Si allontanò velocemente a tutto motore e lasciò dietro di sè solo una fumata grigia.
Come girò l’angolo e noi fummo coperti da una collina, Matteo si alzò e si diresse verso il
piccolo burrone dove si trovavano i silos.
“Che cosa hai visto?” gli chiesi.
“Shhhh!””
Mi alzai dal mio riparo e lo seguii.
Ero quasi vicino al burrone quando sentii le urla di Matteo.
La terra gli era ceduta sotto i piedi e lui cadde in uno dei silos d’acqua.
Sentii ancora urla, più acute questa volta.
Mi sbrigai a raggiungere il luogo dove il terreno era franato.
Matteo era immerso nell’acqua con tante macchie rosse intorno.
Il sangue colorava di un rosso scuro l’acqua nel silos e le urla di Matteo si fecero ancora più
acute.
Il mio amico si muoveva lungo i bordi del silos alzando le mani per cercare un appiglio nel
serbatoio dell’acqua. Avevo anche io paura e non sapevo che fare.
Ad un tratto ricordai i momenti passati con Matteo e il coraggio mi prese.
Notai che lungo il bordo esterno del silos c’era un piccola scala per la manutenzione.
Saltai istintivamente e sbattei la testa prima di aggrapparmi ai pioli della scaletta metallica.
Mi ripresi dalla botta e guardai all’interno del silos.
Fortunatamente l’acqua abbondava.
Ad un tratto una mano bagnata mi prese per i capelli.
Mi ritrassi e tesi la mano al mio amico.
Con tutta la forza che avevo riuscii, con non poco sforzo, a tirarlo fuori e a farlo cadere lungo il
bordo scosceso della collina da cui ero saltato.
Caddi anche io con lui e sentii una grande botta alla schiena.
Matteo urlava ancora.
La sua caviglia si era spezzata e macchiava di rosso i pedalini bianchi che portava.
Mi alzai intontito, lo presi per le braccia e me lo misi in spalla.
Mia mamma si spaventò molto vedendomi tornare a casa con un ragazzo zuppo e sporco di
sangue.
Ma le urla di mia madre e i rimproveri che ricevei quella sera erano nulla rispetto alla felicità e
alla gratitudine che scorsi negli occhi del mio amico.