il calcolo della base imponibile, ai fini ici, degli

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il calcolo della base imponibile, ai fini ici, degli
IL CALCOLO DELLA BASE IMPONIBILE , AI FINI ICI,
DEGLI IMMOBLI DI CATEGORIA D
Sommario: 1. Introduzione – 2. Le modalità di calcolo della base imponibile – 3. Il caso particolare
degli immobili di categoria D con rendita – 4. Altri casi particolari – 5. La sentenza della Corte di
cassazione 16 agosto 2005 n. 16916 – 6. Le conclusioni.
1. INTRODUZIONE
Per i fabbricati di categoria D, privi di rendita, interamente posseduti da imprese e distintamente
contabilizzati, la base imponibile ai fini dell’Imposta comunale sugli immobili – ICI – è costituita dal
valore così come risultante dalle scritture contabili.
La Corte di cassazione 16 agosto 2005 n. 16916 – nel prosieguo commentata - ha affermato
l’illegittimità della liquidazione dell’ICI derivante dall’applicazione di un criterio della determinazione
della base imponibile diverso da quello espressamente previsto dalla normativa vigente del D.lgs. 30
dicembre 1992 n. 504. L’illegittimità può essere fatta valere dal contribuente in sede di ricorso contro
l’avviso di liquidazione, nonostante questo scaturisca da un errore precedentemente commesso dallo
stesso contribuente in sede di presentazione della dichiarazione.
2. LE MODALITÀ DI CALCOLO DELLA BASE IMPONIBILE
Ai fini dell’applicazione e del calcolo dell’ICI, la base imponibile1 è costituita dal valore
dell’immobile determinato nel seguente modo:
- per i fabbricati iscritti in catasto, il valore dell’immobile è rappresentato dalla rendita catastale –
eventualmente rivalutata – a cui si applica un moltiplicatore che varia in ragione della categoria catastale
cui l’immobile appartiene – art. 5, comma 2 D.lgs. n. 504 del 1992;
- per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente
posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, il valore è rappresentato dal quello iscritto in
bilancio aggiornato in base ai coefficienti ministeriali2 – art. 5, comma 3;
- per i fabbricati non iscritti in catasto, diversi da quelli indicati al punto precedente, nonché per
i fabbricati per i quali sono intervenute variazioni permanenti, il valore è determinato con riferimento
alla rendita dei fabbricati similari già iscritti – art. 5, comma 4.
I vari aspetti che incidono sulla determinazione della base imponibile sono stati oggetto, approfondito, di analisi da parte di
E. Piscino, L’evoluzione dell’Imposta comunale sugli immobili alle aree demaniali. L’evoluzione della normativa, in Riv. s.s.e.f., n. 8-9/2005.
2 Sulla base del decreto del ministro dell’economia e delle finanze del 22 febbraio 2005 i coefficienti sono i seguenti: per
l'anno 2005 = 1,03; per l'anno 2004 = 1,07; per l'anno 2003 = 1,10; per l'anno 2002 = 1,14; per l'anno 2001 = 1,17; per
l'anno 2000 = 1,21; per l'anno 1999 = 1,23; per l'anno 1998 = 1,25; per l'anno 1997 = 1,28; per l'anno 1996 = 1,32; per
l'anno 1995 = 1,36; per l'anno 1994 = 1,40; per l'anno 1993 = 1,43; per l'anno 1992 = 1,44; per l'anno 1991 = 1,47; per
l'anno 1990 = 1,54; per l'anno 1989 = 1,61; per l'anno 1988 = 1,68; per l'anno 1987 = 1,82; per l'anno 1986 = 1,96; per
l'anno 1985 = 2,10; per l'anno 1984 = 2,24; per l'anno 1983 = 2,38; per l'anno 1982 e anni precedenti = 2,52.
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In particolare, per i fabbricati appartenenti alla categoria D3, non iscritti in catasto, interamente
posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, il legislatore ha previsto, al comma 3 dell’art. 5
D.lgs. n. 504 del 1992, fino all’anno di iscrizione in catasto con attribuzione di rendita, che il valore
dell’immobile venga determinato, alla data di inizio di ciascun anno solare ovvero, se successiva, alla
data di acquisizione, sulla base del costo contabile – al lordo delle quote di ammortamento già
contabilizzate – così come risultante dal registro dei beni ammortizzabili, rivalutato con appositi
coefficienti di attualizzazione, fissati dalla legge in relazione all’anno in cui il relativo costo è stato
sostenuto. Allo scopo di sottoporre a tassazione il reale valore dell’immobile, tali coefficienti vengono
aggiornati annualmente con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze4.
Gli stessi coefficienti vengono utilizzati per l’attualizzazione delle eventuali spese migliorative ed
incrementative sostenute, per ciascun anno, successivamente all’acquisizione del fabbricato, tenuto
conto che esse andranno ad incrementare la base imponibile ai fini ICI solo a decorrere dall’anno di
imposta successivo a quello in cui sono state contabilizzate.
Il riferimento del legislatore all’inizio di ogni anno solare per la determinazione del valore
dell’immobile comporta, inoltre, che la successiva attribuzione della rendita in corso d’anno avrà effetti
sulla base imponibile solo dall’anno di imposta successivo.
Il criterio di fissazione della base imponibile sulle risultanze del valore contabile è uno
strumento non completamente sconosciuto al legislatore italiano che già l’aveva utilizzato in relazione
all’Imposta straordinaria sugli immobili5.
Il comma 3 dell’art. 5 D.lgs. n. 504 del 1992 prevede, quindi, l’applicazione del criterio dei costi
contabili quando l’immobile:
1. è privo di rendita catastale;
2. ha i requisiti per l’accatastamento nel gruppo D;
3. è interamente posseduto da un’impresa;
4. è distintamente contabilizzato.
Da quest’elencazione risulta evidente che la normativa di cui al comma 3 dell’art. 5 non può
applicarsi nell’ipotesi in cui il fabbricato di categoria D, pur essendo in possesso dei requisiti previsti ai
punti 2, 3 e 4, sia già iscritto in catasto con attribuzione di rendita. Tale interpretazione è chiaramente
desumibile da quanto previsto al comma 2, art. 5, laddove afferma che “per i fabbricati iscritti in catasto
la base imponibile è determinata applicando i moltiplicatori alle rendite risultanti in catasto e vigenti al 1
gennaio dell’anno di imposta”.
La norma non è applicabile, poi, nel caso di fabbricato non distintamente contabilizzato in
quanto in questo caso non è possibile individuare il costo di acquisizione del bene stesso e, quindi, non
è possibile procedere alla sua attualizzazione tramite i coefficienti di aggiornamento. In tale ipotesi per
la fissazione della base imponibile ai fini ICI si dovrà far riferimento a quanto previsto nel comma 4,
dello stesso art. 5, cioè all’utilizzazione della rendita di un fabbricato similare già iscritto in catasto.
Il cosiddetto criterio contabile non trova applicazione nel caso in cui il fabbricato appartenga, in
tutto o in parte, ad un privato in quanto manca in tal caso la condizione di essere interamente
posseduto da un’impresa. Anche in tale caso, quindi, occorrerà utilizzare il criterio di cui al comma 4 e
cioè la rendita presunta.
A questo punto è opportuno riportare la tabella relativa ai predetti fabbricati, stralciata dal quadro generale delle categorie
catastali , predisposto in sede di revisione della qualificazione, della classificazione e del classamento del nuovo catasto
edilizio urbano - Gruppo D - II - Immobili a destinazione speciale - D/1 - Opifici; D/2 - Alberghi e pensioni; D/3 - Teatri,
cinematografi, sale per concerti e spettacoli; arene, parchi giochi, zoo-safari; D/4 - Case di cura ed ospedali; D/5 - Istituti di
credito, cambio ed assicurazione; D/6 - Fabbricati, locali, aree attrezzate per esercizi sportivi; D/7 - Fabbricati costruiti od
adattati per le speciali esigenze di una attività industriale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali
trasformazioni; D/8 - Fabbricati costruiti od adattati per le speciali esigenze di una attività commerciale e non suscettibili di
destinazione diversa senza radicali trasformazioni; D/9 - Edifici galleggianti o assicurati a punti fissi del suolo; ponti privati
soggetti a pedaggio; aree attrezzate per l'appoggio di palloni aerostatici e dirigibili; D/10 - Residence; D/11 - Scuole e
laboratori scientifici privati; D/12 - Posti barca in porti turistici, stabilimenti balneari.
4 I coefficienti, per gli immobili di categoria D, sono stati aggiornati con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze
22 febbraio 2005. Per un breve esame del decreto v. A. Rossi, Sui bilanci locali pesa la rendita catastale, in Guida agli Enti Locali n.
14 del 2005.
5 Con l'art. 7, comma 3, D.L. 11 luglio 1992 n. 333, convertito con la L. 8 agosto 1992 n. 359.
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Considerata la natura speciale della disciplina si impone un’interpretazione letterale6 delle
disposizioni richiamate dall’art. 5 D.lgs. n. 504 del 1992 ai fini dell’individuazione del valore:
- catastale (comma 2);
- contabile (comma 3);
- parametrico – il valore è determinato con riferimento alla rendita dei fabbricati similari già
iscritti in catasto – (comma 4).
La motivazione che ha spinto il legislatore alla formulazione della normativa di cui al comma 3
dell’art. 5 è derivata dalla necessità di trovare una modalità di calcolo del valore di questi immobili, fino
all’anno di iscrizione in catasto con l’attribuzione della rendita. Se il fabbricato, appartenente alla
categoria D, è iscritto in catasto con rendita, la base imponibile ai fini ICI si ottiene, moltiplicando la
rendita catastale (rivalutata del 5 per cento) per il coefficiente di 50. Invece, nell’ipotesi in cui l’elemento
della rendita manchi il legislatore ha utilizzato un criterio alternativo facendo, quindi, ricorso ad un
sistema in grado di offrire delle garanzie sull’effettivo valore di questi immobili. La base imponibile è
determinata ad inizio di ogni anno, applicando i coefficienti aggiornati annualmente con decreto del
ministro dell’economia e delle finanze. Per il 2005 i coefficienti sono stati aggiornati in base ai dati
risultanti dall’Istat, per la costruzione di un ipotetico capannone industriale.
Il criterio contabile va utilizzato fino all’anno di attribuzione della rendita catastale oppure di
annotazione negli atti catastali la rendita proposta dal contribuente, attraverso la procedura Doc-Fa7.
3. IL CASO PARTICOLARE DEGLI IMMOBILI DI CATEGORIA D CON RENDITA
Ai fini dell’applicazione dell’imposta comunale sugli immobili, la normativa prevista dall’art. 5,
comma 2 D.lgs. n. 504 del 1992, secondo cui la base imponibile dei fabbricati iscritti in catasto è
costituita dalla rendita catastale moltiplicata per gli appositi coefficienti, si applica in tutti i casi in cui
l’immobile è iscritto in catasto con attribuzione di rendita e ciò indipendentemente dalla circostanza che
l’immobile appartenente al gruppo D sia interamente posseduto da un’impresa e sia distintamente
contabilizzato8.
Tale principio è espressamente sancito da alcune risoluzioni ministeriali9 laddove si afferma che
il criterio contabile di cui all’art. 5 comma 3 è finalizzato a disciplinare, esclusivamente, il periodo
intercorrente tra il momento in cui il fabbricato (classificabile nel gruppo catastale D) non è ancora
iscritto in catasto oppure risulta iscritto ma senza rendita, e fino al momento di attribuzione della
rendita catastale e più precisamente fino alla fine dell’anno d’imposta nel corso del quale tale rendita è
stata attribuita. L’immobile del gruppo D, a cui è stata già attribuita la rendita catastale non può
rientrare nel campo di applicazione della disciplina prevista dal comma 3, in quanto questa rappresenta
un’eccezione rispetto al criterio ordinario di determinazione della base imponibile ai fini ICI. Inoltre,
nell’ipotesi in cui l’immobile in questione è privo di rendita ma non è interamente posseduto da
un’impresa e/o non è distintamente contabilizzato, il suo valore ai fini dell’applicazione dell’ICI deve
essere determinato sulla base della rendita similare, ai sensi e per gli effetti del comma 4 dell’art. 5.
Il criterio contabile, alle condizioni indicate, è vincolante10 e deve essere applicato fino alla fine
dell’anno d’imposta nel corso del quale la rendita catastale viene attribuita oppure viene annotata la
rendita proposta con la procedura Doc-Fa. Dall’anno d’imposta successivo il valore dei fabbricati in
commento deve essere determinato sulla base della rendita catastale – cosiddetto criterio catastale.
Così la Cass. civ., sez. trib., 30 dicembre 2004 n. 24235, brevemente commentata da S. Cinieri, Osservatorio giurisprudenziale n.
135, in FiscoOggi, edizione del 7 febbraio 2005.
7 Prevista dal D.M. 19 aprile 1994 n. 701 (G.U. 24 dicembre 1994 n. 300).
8 Principio affermato con la Cass., 7 luglio 2004 n. 12436, commentata da S. Cinieri, La determinazione del valore imponibile Ici in
caso di immobile accatastato posseduto da impresa, in FiscoOggi, edizione del 27 agosto 2004.
9 V. la risol. 1 marzo 1999 n. 35 – Min. finanze – Dip. Entrate - Dir.centrale: Fiscalità Locale: Imposta comunale sugli immobili
(ICI). Fabbricati cui e' attribuita la rendita; successive modifiche strutturali o di destinazione; criterio di determinazione del
valore dei fabbricati di imprese; art. 5, commi 3 e 4 D.lgs. n. 504 del 1992.
10 Così come prevede la risol. 9 aprile 1998 n. 27 - Min. finanze – Dip. Entrate - Dir.centrale: Fiscalità Locale: Imposta comunale
sugli immobili (ICI) - Fabbricati di impresa, classificabili nel gruppo D, sforniti di rendita - Passaggio dal valore contabile a
quello catastale - Effetti.
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Come è chiaro dal D.lgs. n. 504 del 1992 i criteri di quantificazione del valore (catastale o contabile)
sono inderogabili e vincolano per tutti gli anni d’imposizione per i quali devono essere applicati. Per tale
motivo il passaggio dal criterio contabile a quello catastale non può registrare effetti retroattivi su
annualità pregresse. Da ciò deriva che l’eventuale minor valore catastale rispetto a quello contabile non
dà diritto a rimborsi in favore del contribuente, così come l’eventuale situazione inversa non dà diritto a
recuperi da parte del comune.
È frequente il verificarsi della prima ipotesi in base alla quale gli importi dovuti ai fini ICI,
risultanti dall’applicazione dei valori contabili, siano nettamente superiori a quelli dovuti una volta
attribuita la rendita catastale. Ciò determina per i comuni una riduzione sensibile di gettito tanto da
richiedere un intervento del legislatore per arginare questo fenomeno. Infatti l’art. 64 L. 23 dicembre
2000, n. 388 (finanziaria 2001) ha previsto che a decorrere dall’anno 2001 vi sia un aumento dei
trasferimenti erariali per compensare il minor gettito ICI conseguito dai comuni a seguito
dell’attribuzione della rendita catastale ai fabbricati in esame. Le modalità del rimborso sono fissati da un
decreto del ministro dell’interno11.
4. ALTRI CASI PARTICOLARI
Un caso particolare si evidenzia per la determinazione della base imponibile ai fini ICI per i
fabbricati non strumentali; infatti l’art. 1, comma 2 D.lgs. n. 504 del 1992 afferma che è presupposto
dell’ICI il possesso dei fabbricati a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui
produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa. La determinazione della base imponibile, per i
cosiddetti fabbricati-merce posseduti dalle imprese costruttrici o da società di gestione immobiliari, può
essere calcolata utilizzando il criterio contabile; infatti il comma 3 dell’art. 5 parla genericamente di
fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e
distintamente contabilizzati, senza effettuare alcuna differenziazione tra i fabbricati strumentali
all’esercizio dell’impresa e quelli destinati ad altre finalità12.
Un altro caso particolare si ha per la determinazione della base imponibile per i fabbricati del
gruppo D di interesse storico o artistico. In generale per i fabbricati di interesse storico o artistico13, il
valore è determinato in base alle disposizioni dell'art. 2, comma 5, del D.L. 23 gennaio 1993, n. 16
convertito dalla L. 24 marzo 1993, n. 75. La base imponibile è costituita dal valore che risulta
applicando alla rendita catastale, determinata mediante l’applicazione della tariffa d’estimo di minore
ammontare tra quelle previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è sito il fabbricato, i
moltiplicatori previsti dall’art. 5, comma 2 D.lgs. n. 504 del 1992.
Ci si chiede, quindi, se tale criterio sia applicabile anche nell’ipotesi in cui tale fabbricato di
interesse storico o artistico sia classificato nel gruppo D, privo di rendita catastale, interamente
posseduto da un’impresa e distintamente contabilizzato. In tal caso c’è chi ritiene14, ed è una tesi
condivisibile, che per la determinazione della base imponibile si debba far riferimento al criterio
contabile di cui all’art. 5, comma 3 D.lgs. n. 504 del 1992 in quanto la normativa dell’art. 2 comma 5 L.
24 marzo 1993 n. 75 presuppone il riferimento alla rendita catastale; alcuni sostengono la tesi contraria
D.M. 1 luglio 2002 n. 197: Regolamento recante determinazione delle rendite catastali e conseguenti trasferimenti erariali
ai comuni.
12 Mentre all’art. 7 comma 1 D.L. 11 luglio 1992 n. 333, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, il
legislatore, per la imponibilità Isi dei fabbricati, individua quelli "... a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli alla cui
produzione o scambio è diretta l'attività d'impresa", (testo identico a quello riportato nel comma 2 dell'art. 1 D.lgs. n. 504 del
1992) nel successivo comma 3, ultimo periodo del succitato art. 7, laddove introduce il sistema di determinazione della base
imponibile ICI, diversamente dal disposto di cui al comma 3 dell'art. 5, in disamina, parla di unità immobiliari classificate e
classificabili nel gruppo D, "possedute nell'esercizio di impresa". Da ciò si desume che il predetto sistema, a differenza di
quanto previsto in materia di ICI, doveva essere applicato anche agli immobili di gruppo D già accatastati con attribuzione
di rendita.
13 Di cui all'art. 6, comma 1 D.lgs. 29 ottobre 1999 n. 490.
14 V. P. Pulcino, I fabbricati e i criteri di determinazione della loro base imponibile agli effetti dell’ICI, in Tributi Locali e Regionali, n. 4 del
1996, Maggioli editore.
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supportata dalla specialità della norma della L. n. 75 del 1993, in quanto la stessa fa riferimento
oggettivo agli immobili vincolati, prescindendo dai gruppi e dalle categorie catastali.
5. LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE 16 AGOSTO 2005 N. 16916
Nella sentenza in commento il comune di Cassina dé Pecchi, in provincia di Milano, ha
presentato ricorso, per Cassazione, contro la decisione di secondo grado della Commissione trributaria
regionale della Lombardia (CTR).
Oggetto della controversia è l’applicabilità o meno, al caso concreto, delle disposizioni previste
dall’art. 5, comma 3 e 4, D.lgs. n. 504 del 1992 e l’individuazione, quindi, del metodo di determinazione
della base imponibile (criterio contabile o criterio parametrato) di un fabbricato di categoria D,
interamente posseduto dall’impresa T., ma non distintamente contabilizzato.
La società T viene in possesso, a seguito di fusione per incorporazione della società I., di un
immobile situato nel comune di Cassina dé Pecchi, immobile costituito da due distinte unità catastali,
con due distinti subalterni di cui uno privo di rendita, appartenenti entrambi al gruppo catastale D, ma
contabilizzati congiuntamente nelle scritture contabili.
L’incorporata I. aveva, nel 1994, presentato denuncia ai fini ICI ed applicato, per l’immobile
privo di rendita il cosiddetto criterio contabile di cui al comma 3 dell’art. 5, cadendo però in errore in
quanto veniva attribuito a tale fabbricato l’intero valore contabile, che invece era riferito ad entrambe le
unità catastali.
L’incorporante T., accertato tale errore comunicava al comune che la base imponibile del
fabbricato privo di rendita andava determinata sulla base della rendita presunta ex comma 4 dell’art. 5 e
non in base al criterio contabile, applicato originariamente dalla società I., in quanto fabbricato non
distintamente contabilizzato nelle scritture contabile.
Il comune emette, per gli anni 1995 e 1996, due distinti avvisi di liquidazione, determinando, per
il fabbricato privo di rendita il criterio contabile inizialmente applicato (erroneamente) dalla società I.
La C.T.P. di Milano rigetta il ricorso presentato dalla società T. (incorporante) in quanto
considera determinante l’avvenuta liquidazione dell’ICI sulla base dei dati dichiarati dalla società I.
(incorporata).
La società T. presenta ricorso in C.T.R. insistendo nella tesi dell’applicabilità del criterio previsto
dall’art. 5, comma 4 D.lgs. n. 504 del 1992. La C.T.R. accoglie il ricorso ed annulla gli atti di liquidazione
in quanto il fabbricato privo di rendita non è distintamente contabilizzato nelle scritture della società e
quindi non è applicabile il cosiddetto criterio contabile.
Il comune di Cassina dé Pecchi ricorre in Cassazione articolando tre complessi motivi. Il primo
esclusivamente procedurale relativo alla “genericità dell’appello, difetto di interesse all’impugnazione,
omessa esposizione sommaria dei fatti”. Con il secondo motivo il comune denuncia la falsa
applicazione dell’art. 10, comma 4 (primo e secondo periodo)15 e dell’art.16 11, commi 1, 2 e 3 D.lgs. n.
Art. 10, comma 4 (Versamenti e dichiarazioni): 4. I soggetti passivi devono dichiarare gli immobili posseduti nel territorio
dello Stato, con esclusione di quelli esenti dall'imposta ai sensi dell'art. 7, su apposito modulo, entro il termine di
presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all'anno in cui il possesso ha avuto inizio; tutti gli immobili il cui
possesso è iniziato antecedentemente al 1 gennaio 1993 devono essere dichiarati entro il termine di presentazione della
dichiarazione dei redditi relativa all'anno 1992. La dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi sempreché non si
verifichino modificazioni dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell'imposta dovuta; in tal caso
il soggetto interessato è tenuto a denunciare nelle forme sopra indicate le modificazioni intervenute, entro il termine di
presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all'anno in cui le modificazioni si sono verificate.
16 Art. 11 (Liquidazione ed accertamento): 1. Il comune controlla le dichiarazioni e le denunce presentate ai sensi dell'art. 10,
verifica i versamenti eseguiti ai sensi del medesimo art. e, sulla base dei dati ed elementi direttamente desumibili dalle
dichiarazioni e dalle denunce stesse, nonché‚ sulla base delle informazioni fornite dal sistema informativo del Ministero delle
finanze in ordine all'ammontare delle rendite risultanti in catasto e dei redditi dominicali, provvede anche a correggere gli
errori materiali e di calcolo e liquida l'imposta. Il comune emette avviso di liquidazione, con l'indicazione dei criteri adottati,
dell'imposta o maggiore imposta dovuta e delle sanzioni ed interessi dovuti; l'avviso deve essere notificato con le modalità
indicate nel comma 2 al contribuente entro il termine di decadenza del 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in
cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia ovvero, per gli anni in cui queste non dovevano essere presentate, a
quello nel corso del quale è stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta. Se la dichiarazione è relativa ai
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504 del 1992. Il comune afferma la legittimità degli avvisi di liquidazione emessi sulla base di dati ed
elementi dichiarati dal contribuente (nel 1994) e mai modificati, nel pieno rispetto degli artt. 10 e 11
D.lgs. n. 504 del 1992 che prevedono l’efficacia della dichiarazione anche per gli anni successivi a quello
di presentazione. La Corte di cassazione condivide la descrizione fatta dal comune-ricorrente, circa le
modalità di applicazione dell’ICI, fondata sulla dichiarazione iniziale del contribuente destinata ad avere
efficacia anche per gli anni successivi alla presentazione nonchè sull’adempimento spontaneo
dell’obbligazione tributaria tramite versamento da parte dello stesso contribuente sulla base dei dati
dichiarati.
La normativa prevede poi l’intervento dell’ente impositore per fronteggiare eventuali patologie del
meccanismo previsto in tre distinte forme:
1. avvisi di liquidazione emessi per liquidare l’imposta sulla base dei dati forniti dallo stesso
contribuente o per correggere errori di calcolo o materiali commessi;
2. avvisi di accertamento in rettifica diretti a contestare dichiarazioni risultate infedeli,
incomplete o inesatte;
3. avvisi di accertamento d’ufficio, in caso di omissione della dichiarazione.
La dichiarazione ha effetto, come visto, anche per gli anni successivi semprechè non si
verifichino modificazioni dei dati e degli elementi dichiarati da cui derivi un diverso ammontare
dell’imposta; in tale ipotesi il contribuente è tenuto a presentare una nuova dichiarazione ICI. Questo è
il punto centrale che l’ente impositore utilizza per affermare la legittimità degli avvisi di liquidazione
poiché emessi sulla base dei dati dichiarati dalla società I. (valore contabile erroneamente attribuito al
fabbricato privo di rendita) e mai modificati neanche dalla subentrante società T.
La Suprema Corte evidenzia, però, che nessuna modifica dei dati e degli elementi inizialmente
dichiarati si sia verificata, in quanto ciò si registra allorquando c’è una variazione della consistenza degli
immobili e dei dati a questo riferibili ai fini ICI; ma si è in presenza, in questo caso, dell’evidenziazione
da parte dello stesso contribuente (che aveva risposto ad un questionario dell’ente) dell’errore
commesso in sede di dichiarazione ICI ai fini della determinazione della base imponibile.
Si evidenzia che il legislatore, con l’art. 5 D.lgs. n. 504 del 1992 ha previsto i criteri di
determinazione della base imponibile. La regola generale – applicabile ai fabbricati iscritti in catasto con
attribuzione di rendita - è che la base imponibile viene determinata tramite un calcolo matematico
rappresentato dalla moltiplicazione della rendita catastale per un coefficiente che varia in relazione alla
categoria dell’immobile (art. 5, comma 2). Quando l’immobile non è iscritto in catasto o è iscritto ma
fabbricati indicati nel comma 4 dell'art. 5, il comune trasmette copia della dichiarazione all'ufficio tecnico erariale
competente il quale, entro un anno, provvede alla attribuzione della rendita, dandone comunicazione al contribuente e al
comune; entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui è avvenuta la comunicazione, il comune provvede, sulla
base della rendita attribuita, alla liquidazione della maggiore imposta dovuta senza applicazione di sanzioni, maggiorata degli
interessi nella misura indicata nel comma 5 dell'art. 14, ovvero dispone il rimborso delle somme versate in eccedenza,
maggiorate degli interessi computati nella predetta misura; se la rendita attribuita supera di oltre il 30 per cento quella
dichiarata, la maggiore imposta dovuta è maggiorata del 20 per cento.
2. Il comune provvede alla rettifica delle dichiarazioni e delle denunce nel caso di infedeltà, incompletezza od inesattezza
ovvero provvede all'accertamento d'ufficio nel caso di omessa presentazione. A tal fine emette avviso di accertamento
motivato con la liquidazione dell'imposta o maggiore imposta dovuta e delle relative sanzioni ed interessi; l'avviso deve
essere notificato, anche a mezzo posta mediante raccomandata con avviso di ricevimento, al contribuente, a pena di
decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione o la denuncia
ovvero, per gli anni in cui queste non dovevano essere presentate, a quello nel corso del quale è stato o doveva essere
eseguito il versamento dell'imposta. Nel caso di omessa presentazione, l'avviso di accertamento deve essere notificato entro
il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o la denuncia avrebbero dovuto essere presentate
ovvero a quello nel corso del quale è stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta.
2-bis. Gli avvisi di liquidazione e di accertamento devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni
giuridiche che li hanno determinati. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal
contribuente, questo deve essere allegato, all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto
essenziale.
3. Ai fini dell'esercizio dell'attività di liquidazione ed accertamento i comuni possono invitare i contribuenti, indicandone il
motivo, a esibire o trasmettere atti e documenti; inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere
specifico, con invito a restituirli compilati e firmati; richiedere dati, notizie ed elementi rilevanti nei confronti dei singoli
contribuenti agli uffici pubblici competenti, con esenzione di spese e diritti.
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privo di rendita il legislatore - continua la Cassazione - fissa i due criteri sussidiari già visti sopra: quello
contabile - per i fabbricati della categoria D, interamente posseduti da imprese e distintamente
contabilizzati (art. 5, comma 3) - e quello residuale della rendita similare - applicabile sempre e
comunque a tutti i fabbricati privi di rendita catastale (se non rientranti nell’ipotesi precedente) (art. 5,
comma 4).
Quest’ultimo criterio essendo di portata generale è applicabile anche ai fabbricati di categoria D
quando questi non rispondono a tutte le condizioni previste dal comma 3 dell’art. 5. Tale applicabilità è
confermata dal fatto che seguendo la tesi inversa – secondo cui per gli immobili di categoria D vada
sempre e comunque applicato il criterio di cui al comma 3 – non si potrebbe determinare la base
imponibile di un bene posseduto da un’impresa e, illegittimamente, non riportato nelle scritture
contabili.
Per i fabbricati del gruppo catastale D l’art. 5 prevede, continua la Corte di cassazione, che la
base imponibile sia determinata in tre diverse modalità:
1. dalla rendita catastale se l’immobile è iscritto in catasto con attribuzione di rendita;
2. dal valore contabile, a condizione che l’immobile sia privo di rendita, distintamente
contabilizzato ed interamente posseduto dall’impresa;
3. dalla rendita presunta di un fabbricato similare, già iscritto in catasto, negli altri casi.
La prima condizione non ricorre in quanto il fabbricato della società T. è privo di rendita, così
come non ricorre le condizioni di cui alla seconda modalità in quanto la C.T.R. ha dimostrato come
questo risulta contabilizzato non distintamente ma insieme con un altro fabbricato e da qui
l’inapplicabilità del criterio di liquidazione seguito dal comune e la necessità, invece, di ricorre alla
modalità di cui all’ultimo punto.
La Suprema Corte continua affermando che negare al contribuente la possibilità di applicare
l’Imposta comunale sugli immobili nei termini previsti dal legislatore solo come conseguenza di un
errore inizialmente commesso in sede di dichiarazione è improponibile rispetto sia al principio
costituzionale di cui all’art. 5317 che alla giurisprudenza di legittimità consolidata in tema di correzione
della dichiarazione dei redditi frutto di errore del dichiarante18. L’errore può essere evidenziato dal
contribuente in sede di ricorso avverso l’avviso di liquidazione (emesso sulla base della dichiarazione
imprecisa del contribuente) e non come afferma il comune-ricorrente che condiziona l’eliminazione
dell’errore al rispetto della procedura prevista dall’art. 10 comma 4 D.lgs. n. 504 del 1992, proprio
perché come già evidenziato non ricorrono in questo caso i presupposti della presentazione della nuova
dichiarazione ICI.
Con il terzo motivo del ricorso il comune Cassia dé Pecchi denuncia la falsa applicazione
dell’art. 5 D.lgs. n. 504 del 1992 e dell’art. 16 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e in relazione agli artt. 3,
23 e 53 Cost. Il comune evidenzia che sulla base del principio di indisponibilità dell’obbligazione
tributaria e del principio di riserva di legge l’art. 5 D.lgs. n. 504 del 1992 fissa dei diversi criteri di
determinazione della base imponibile ai fini ICI senza margine di autonomia o discrezionalità da parte
del contribuenti. Questa norma, continua il comune-ricorrente, impone per gli immobili di categoria D,
privi di rendita catastale, l’applicazione del criterio contabile tenuto conto che la non distinta
contabilizzazione del fabbricato comporterebbe la violazione dei principi contabili di cui all’art. 16
D.P.R. n. 600 del 1973.
Anche questo motivo è, per i giudici di Piazza Cavour, infondato in quanto non è da
condividere la tesi dell’applicabilità incondizionata ai fabbricati della categoria D, privi di rendita, il
criterio contabile di cui all’art. 5 comma 3 D.lgs. n. 504 del 1992. Come già affermato la Corte di
cassazione evidenzia che detto criterio è applicabile se ed in quanto il fabbricato è distintamente
contabilizzato nelle scritture contabile e come già rilevato nei punti precedenti l’applicabilità sic et
simpliciter del comma 3 lascerebbe privo di soluzione il caso di un fabbricato che non risulti
(illegittimamente) contabilizzato nelle scritture contabili. Per tali ipotesi di mancanza di una delle
Art. 53: “1. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. 2. Il sistema
tributario è informato a criteri di progressività.”.
18 V. la Cass., SS.UU. 25 ottobre 2002 n. 15063, commentata, tra gli altri da C. Grimaldi, La rassegna settimanale della
giurisprudenza tributaria, in FiscoOggi, edizione del 2 dicembre 2002.
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condizioni per l’applicabilità del criterio contabile (immobile interamente posseduta da un’impresa e
distintamente contabilizzato), si applica il criterio sussidiario di carattere generale, fondato sulla rendita
dei fabbricati similari, che proprio perchè norma a carattere generale è applicabile anche ai fabbricati del
gruppo D “diversi da quelli indicati nel comma 3” come fissato dallo stesso comma 4 dell’art. 5.
Nel caso di specie l’immobile è riportato sì nelle scritture contabili ma non è distintamente
contabilizzato in quanto il valore è quello complessivo di due fabbricati contigui, riportati in catasto con
due sub differenti e quell’unico valore è stato, erroneamente, indicato dalla società I. come valore
contabile del solo fabbricato oggetto degli avvisi di liquidazione, ma tutto ciò non può, per i motivi già
indicati, far concludere per l’applicabilità del comma 4.
Non sono, altresì, rilevanti le ulteriori considerazioni sugli obblighi imposti dall’art. 16 D.P.R. n.
600 del 1973 che è considerato estraneo al thema decidendum. Così come, continua la Suprema Corte, non
ha senso il riferimento al principio costituzionale della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.,
evidenziandosi, anzi, come proprio l’ipotetico accoglimento del ricorso del comune-ricorrente
determinerebbe la palese violazione di quel principio, generando la liquidazione ICI, per il fabbricato in
questione, non sulla rendita presunta ma su un valore contabile comprensivo anche di un’altra unità
immobiliare con conseguente duplicazione d’imposta sul fabbricato.
Per tutti questi motivi il ricorso del comune di Cassia dé Pecchi viene rigettato in quanto
infondato, confermando in tal modo l’annullamento degli avvisi di liquidazione deciso dalla C.T.R..
6. LE CONCLUSIONI
La Corte di cassazione con la sentenza in epigrafe ha affermato che l’illegittima liquidazione
dell’Imposta comunale sugli immobili, derivante dall’applicazione di un criterio di determinazione della
base imponibile diverso da quello previsto dalla legge, può essere fatto valere dal contribuente anche in
sede di ricorso contro l’avviso di liquidazione, benché questo sia scaturito da un precedente errore dello
stesso contribuente, in sede di presentazione della dichiarazione ICI.
La normativa, disciplinante la determinazione della base imponibile ICI, per gli immobili
classificabili nel gruppo catastale D privi di rendita, prevede che questa sia costituita dal valore riportato
nelle scritture contabili, a condizione che l’immobile risulti interamente posseduto dall’impresa e
distintamente contabilizzato, applicandosi altrimenti (in carenza anche di uno solo di questi requisiti) il
criterio fondato sul valore dei fabbricati similari, già iscritti in catasto con attribuzione di rendita.
L’applicazione sempre e comunque del cosiddetto criterio contabile genererebbe, a parere dello
scrivente, l’impossibilità di determinare la base imponibile ai fini ICI nel caso in cui l’immobile non sia
– in maniera illegittima e sanzionabile comunque – distintamente contabilizzato o non sia proprio
inserito nella scritture contabili.
È pienamente condivisibile poi il principio che negare la possibilità di ottenere l’applicazione
dell’ICI nei termini esatti previsti dal legislatore, a seguito di un errore materiale commesso, contrasta
sia con il principio della capacità contributiva, ex art. 53 Cost., sia con l’ampia giurisprudenza della
stessa Suprema Corte in tema di ammissibilità di ritrattazione e correzione della dichiarazione dei redditi
frutto di un errore del dichiarante.
Eugenio Piscino
Responsabile del settore finanziario del Comune di Gragnano
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