DANIELE COMBONI (1851-1881) Un padre, profeta e apostolo dell

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DANIELE COMBONI (1851-1881) Un padre, profeta e apostolo dell
DANIELE COMBONI (1851-1881)
Un padre, profeta e apostolo dell’Africa cristiana
La vita missionaria di Comboni a favore dei popoli africani coincide con uno dei periodi più
discussi dell’Africa moderna. Nel secolo XIX si danno appuntamento in Africa passioni e
contraddizioni di ogni genere: esplorazioni, lotte fra potenze per il suo dominio, confronto
con il mondo mussulmano, tratta degli schiavi, lotte tribali. In questo scenario bisogna
collocare il movimento missionario dell’Ottocento nella Chiesa Cattolica di cui il Comboni è
uno dei suoi padri e promotori. La passione missionaria di Daniele Comboni per i popoli
africani rimane sintetizzata nei suoi motti, mille volte ripetuti: “rigenerare l’Africa con l
‘Africa” e “Nigrizia o morte”.
Nato a Limone sul Garda (Brescia) il 15 marzo 1831 venne educato a Verona città alla
quale è intimamente legato. Comboni rimarrà anche profondamente legato durante tutta
la sua vita al mondo culturale ed ecclesiale austriaco. Le sue amicizie e contatti fin dai
tempi giovanili si estendono anche al resto dell’Europa: alla Francia, all’Inghilterra, al
Belgio, alla Germania e a tutti i paesi del Centro dell’Europa, e una intensa rete di amicizie
in Italia. Egli è stato di fatto una specie di punto di unione del movimento missionario
europeo e di molti di quelli che iniziavano a guardare on occhi cristiani la realtà dei popoli
dell’Africa. Comboni muore a Khartoum (Sudan) il 10 ottobre 1881, appena cinquantenne,
stremato dalle febbri e da tribolazioni di ogni genere, chiedendo ai suoi missionari sul letto
di morte fedeltà alla loro vacazione missionaria fino alla morte.
Comboni è uno degli apostoli fondatori della Chiesa nell’Africa moderna. Era partito per
l’Africa interna nel 1857 con uno dei primi drappelli di missionari. Chiusa e considerata
fallita quella missione a causa della morte della maggior parte dei primi drappelli di
missionari, Comboni rimane fedele al suo giuramento missionario fino alla fine. Propone
un Piano globale per l’evangelizzazione dell’Africa dove vede gli africani come soggetti
della storia evangelizzatrice fin dal primo momento, proponendo in questo senso a tutta la
Chiesa, attraverso Propaganda Fide, un “Piano per rigenerare l’Africa con l’Africa” (1864).
Comboni fu figlio spirituale di uno degli esponenti del movimento missionario d’allora, don
Nicola Mazza di Verona. A 18 anni aveva giurato davanti al Mazza di “consacrare la sua
vita a Cristo in favore dei popoli africani fino al martirio”.
Fu ordinato sacerdote a Trento dall’arcivescovo Beato Giovanni Nepomuceno Tschiderer
nel 1854 e fu fra i pionieri della missione dell’Africa Centrale, partendo nel 1857 a soli 26
anni per l’Africa Centrale. Arrivò a destinazione assieme ad altri cinque suoi confratelli
missionari mazziani nel sud del Sudan, soltanto 6 mesi dopo, in mezzo a ostacoli
indescrivibili, penose fatiche, malattie e morte di quasi tutti i suoi compagni di missione.
“Daniele Comboni fu un profeta instancabile in favore dell’Africa davanti ai suoi
contemporanei”, scrive di lui il cardinale africano Arinze. Egli percorse instancabilmente le
strade di tutta l’Europa gridando il dolore dell’Africa. Bussava a tutte le porte sia ecclesiali
come laiche: movimenti ecclesiali, ordini religiosi, associazioni laicali, uomini politici, senza
alcuna discriminazione. Bastava che intravedesse un cuore aperto ai problemi degli
africani per appellarsi ai suoi sentimenti, come dimostra la sua vastissima corrispondenza
ad ogni genere di persone.
Comboni fu anche di fatto il vescovo dell’Africa Centrale. Lottatore indomito contro la tratta
orientale degli schiavi, lamentò sia la politica di sfruttamento coloniale, sia l’ambiguità di
alcuni atteggiamenti di politici ed ecclesiastici d’allora in rapporto alle missioni. La sua
morte in Sudan, a cinquant’anni avvenne in circostanze tragiche. Carestie e pestilenze,
guerra fondamentalista islamica, opposizione da parte di alcuni ambienti, anche religiosi,
europei, ostilità da parte di uomini politici e incomprensione da parte di antichi amici
appesantirono fortemente gli ultimi anni della sua vita.
Le radici di una vocazione missionaria
Dal Mazza, Comboni imparò “a tenere, come egli scrive, gli occhi fissi in Gesù Cristo”.
Questo sguardo e quel “sì” a Cristo diventarono per lui continua memoria della sua vita e
vocazione; lo riportavano costantemente a dare senso a tutto ciò che intraprendeva. Come
scrive in uno dei momenti cruciali della sua vita, lo portavano “a giudicare le cose e il
mondo africano, non con la sapienza che proviene dal mondo, ma al puro raggio della
Fede”; a vedere quel mondo “non attraverso la filantropia o gli interessi degli esploratori,
politici ed economisti”, ma attraverso il Mistero di Gesù Cristo in Croce, come scrive
nell’introduzione del suo Piano per la rigenerazione dell’Africa (1864).
Nominato vescovo dell’Africa Centrale e ritornando fra mille difficoltà in Africa, dirà ai suoi
pochi fedeli: “Tra voi lasciai il mio cuore […] e oggi finalmente lo riacquisto ritornando fra
voi. Ritorno fra voi per non mai più cessare di essere vostro […]. Il giorno e la notte, il sole
e la pioggia mi troveranno egualmente sempre pronto ai vostri spirituali bisogni: il ricco e il
povero, il sano e l’infermo, il giovane e il vecchio, il padrone e il servo avranno sempre
uguale accesso al mio cuore. Il vostro bene sarà il mio, e le vostre pene saranno pure le
mie. Io prendo a far causa comune con ognuno di voi, e il più felice dei miei giorni sarà
quello in cui potrò dare la vita per voi”. Infatti l’unica cosa che gli importava, come scrive
ancora da Khartoum un mese prima di morire, “è che si converta la Nigrizia; …questa è
stata l’unica e vera passione della mia vita intera, e lo sarà fino alla morte, e non ne
arrossisco per nulla”. Egli, come scriveva nel 1864, aveva la chiara coscienza che un
missionario doveva essere l’abbraccio tangibile di Cristo per i popoli dell’Africa; l’unico
scopo della sua vita doveva essere “quello di portare il bacio di pace di Cristo”.
Il Piano missionario di Comboni in favore dell’Africa
L’Africa stava allora vedendo percorrere le sue terre dagli esploratori, mercanti e agenti
commerciali. La rinascita missionaria del secolo XIX s’intreccia con tali percorsi. All’inizio
la missione si risolse ben presto in un fallimento e nella morte di un centinaio dei primi
missionari, fra cui quasi tutti i primi compagni di Comboni. Quella missione fu “un vero
necrologio e un martirio continuo”. I diversi tentativi missionari fallivano uno dietro l’altro.
Molti credevano addirittura che l’ora evangelizzatrice dell’Africa” non era ancora giunta.
“Ma così non la pensa Comboni”, scrisse di lui il cardinale Arinze.
Per questo compie numerosi viaggi in quasi tutti i paesi europei; diventa il punto d’unione
fra i diversi gruppi del movimento missionario in Europa. Fonda egli stesso diverse opere a
partire dal 1867; lungo la sua vita scrive abitualmente in più di 150 giornali e riviste
europee del tempo in favore della Missione africana; incontra personaggi di ogni ceto. Il
suo unico interesse è che Cristo sia conosciuto e la “Nigrizia” rigenerata in Lui. La
convocazione del Concilio Vaticano I (1869) lo trova che sta preparando la sua fondazione
missionaria in Egitto. Egli scrive subito un appello (Postulatum) in favore dei popoli africani
che indirizza ai vescovi del Concilio (1870). In esso ricorda la loro responsabilità
missionaria e quella di tutta la Chiesa verso l’Africa emarginata.
Gli ultimi anni della sua vita furono anni di indicibile sofferenza, “crocefisso con Cristo per
l’Africa”, dirà spesso. “Sento nel cuore il peso della Croce….”, scrive otto giorni prima di
morire. Il Signore l’aveva affinato spiritualmente attraverso il Mistero della Croce. Sul
modello dei santi l’accoglie sempre più convinto come arcana garanzia di fecondità
ecclesiale per i popoli discriminati dell’Africa. “La Croce ha la forza di trasformare l’Africa in
terra di benedizione e di salute… Quello che mi importa è la conversione della Nigrizia”,
scrive poco prima di morire. Non si era mai stancato di dire a tutti che “l’Africa può trovare
soltanto nella realtà della Chiesa, Corpo di Cristo, la sua vera dignità e libertà”. Egli vede
per gli africani un'unica strada possibile per raggiungere la loro piena dignità: la fede di
Cristo, come aveva già scritto ai vescovi del Vaticano I.
Nella notte del 10 ottobre 1881 arrivò per lui l’incontro con il suo Signore, proprio nel cuore
di quell’Africa che aveva amato con tanta passione. “Tutti gli africani piangono il loro
vescovo – “Mutran es Sudan – e lo chiamano con i nomi di padre, pastore e amico…”,
scrisse un comboniano canadese, Arturo Bouchard, che era accanto a lui nel momento
della sua morte.
I missionari comboniani nel mondo
Khartoum, la notte tra il 9 e il 10 ottobre 1881, mons. Daniele Comboni, il primo vescovo
dell’ Africa centrale, è in preda a una forte febbre tropicale, simile a quelle che hanno
ucciso in pochi anni molti dei suoi missionari. Sa che la sua vita volge ormai al termine. Ha
ancora brevi momenti di lucidità, durante i quali lo si sente pronunciare qualche
invocazione. Poco prima di morire, chiama attorno a sé i pochi missionari e le poche suore
che sono rimasti. Dice: «Io muoio, ma quest'opera [la missione africana] non morirà… Le
opere di Dio nascono sempre ai piedi della croce». Il mattino seguente, muore. Ha
soltanto 50 anni.
Diciassette anni prima, il 15 settembre 1864, inginocchiato presso la tomba di San Pietro,
Comboni aveva concepito il Piano per la rigenerazione di tutta l’Africa, riassumibile nel
motto “Salvare l’Africa con l’Africa”. «S’è trattato di un’illuminazione dall’alto» ripeteva a chi
arricciava il naso alla lettura del testo. La missione dell’Africa centrale andava chiusa: era
costata già 64 vite di giovani missionari. Bisogna attendere tempi migliori.
Ma proprio grazie a quel Piano, approvato e sostenuto da Pio IX, l’idea di quella missione
(«la più difficile di tutto il mondo» aveva scritto Comboni) era ripartita con rinnovato
impegno e con il sostegno di numerose organizzazioni cattoliche. Ma dove trovare gli
“operai”? Risposta del Comboni: «Tra i sacerdoti, religiosi e laici di tutta la chiesa cattolica.
La chiesa universale deve prendere come d’assedio l’Africa per guadagnarla a Cristo».
Idea troppo ardua per quei tempi! E il cardinale di Propaganda Fide al “folle profeta”: «O
mi porti un certificato medico che mi garantisca che non morrai nei prossimi 40 anni,
oppure piantami in maniera salda un istituto che realizzi il Piano». Così 1° giugno 1967,
nacque l’Istituto delle Missione Africane (opera maschile). Il 1° gennaio 1872, creò
l’Istituto delle Pie Madri della Nigrizia. Da queste due “case” («cenacoli di fratelli» amava
definirli Comboni) sarebbero usciti missionari, missionarie e laici disposti a dare la propria
vita, perché la nigricans margarita (“la perla nera”), che ancora mancava al diadema della
Chiesa universale, potesse esservi incastonata.
Nel 1885, quattro anni dopo la morte di Comboni, l’Istituto maschile diventò una
congregazione religiosa. Ebbe così iniziò quel dinamico e fecondo cammino dei Missionari
Comboniani, che, fedeli all’ispirazione primigenia, l’avrebbero resa efficace lungo la storia,
adattandola alle sempre nuove situazioni, alla luce dei segni dei tempi e degli appelli della
Chiesa. Con una costante: rimanere sempre al fianco dei più poveri e abbandonati.
Oggi i Missionari Comboniani sono presenti in quattro continenti, impegnati quasi
esclusivamente nella “prima evangelizzazione”. Quattro le caratteristiche di questo loro
servizio: si sentono “inviati” ad gentes, cioè a quei popoli, ambienti e situazioni non ancora
– o non sufficientemente – evangelizzati; hanno una preferenza per i poveri (ad pauperes),
nel senso che hanno fatto un’opzione fondamentale per i più abbandonati nel campo della
fede e nella dimensione sociale; sono missionari “ad extra”, perché si sentono in costante
situazione di Esodo, che li invita a uscire dalle proprie situazioni, oltrepassare le proprie
frontiere personali, familiari, geografiche, culturali, sociali e religiose, per entrare in
situazioni “altre”, in cui cercano una radicale inserzione; infine, sono missionari “ad vitam”,
perché si consacrano a Dio per la missione per tutta la vita.
“Si vantano” di lavorare in nazioni dove esistono aree e situazioni di prima
evangelizzazione, e di scegliere i luoghi più remoti e isolati, sia geograficamente che
socialmente (come le periferie delle grandi città – quali Nairobi, Kinshasa, Khartoum, Lima,
Città del Messico, Cairo e São Paulo). Hanno decine e decine di membri che vivono tra
popoli nomadi o semi-nomadi (come i Karimojong dell’Uganda e i Turkana del Kenya), e
tra minoranze etniche minacciate di estinzione (come i pigmei della Repubblica
Centroafricana e della Repubblica Democratica del Congo, e gli Indios dell’Amazzonia, del
Perù e del Messico). Animano e sostengono i movimenti popolari che operano per il
recupero della memoria storica e della dignità della razza, come tra gli afro-amerindi del
Brasile, dell’Ecuador e degli Stati Uniti. S’impegnano nei gruppi di difesa dei diritti umani e
accompagnano i movimenti di rivendicazione dei senza terra e dei senza tetto.
Dovunque operano, mirano a favorire la nascita e la crescita delle piccole comunità
cristiane come strumento efficace di evangelizzazione e come modo nuovo di essere
chiesa. Dedicano particolare attenzione ai giovani ed alla loro formazione scolare e
professionale, attraverso il coordinamento di decine di scuole nelle periferie delle città e
nei villaggi sperduti della savana.
Seguendo l’intuizione originale del Fondatore, i comboniani hanno iniziato in Africa, in
America Latina e in Asia centri di formazione biblica, catechistica, teologica, professionale
e sociale, per preparare agenti pastorali locali nel campo dell’evangelizzazione e della
promozione umana. In questo modo, ritengono di collaborare a rendere le chiese locali
sempre più autonome e capaci di autogestione e di propulsione verso altre chiese e altri
continenti, secondo l’idea di Comboni, “Salvare l’Africa con l’Africa”.
I missionari comboniani in Ghana
Nel 1974 P.Tarcisio Agostani era padre generale e P. Nazareno Contran provinciale del
Togo.
L’ingresso in Ghana fu motivato dall’esigenza dell’istituto di individuare un luogo in cui i
missionari potessero spostarsi se e quando fossero stati espulsi dagli altri paesi africani (in
particolare dal Sudan).
I superiori dell’istituto contattarono diversi vescovi anglofoni. Uno di questi era il Rev.mo
Francis Lodonu, vescovo della diocesi di Keta-Ho.
I primi missionari, nel 1974, furono P.Cuniberto Zeziola e P.Giuseppe Rabbiosi e furono
incaricati dal vescovo di occuparsi della missione di Abor assistita dai padri della Società
delle Missioni Africane (SMA). A fine1975, si aggiunse P.Eugenio Pedrogalli e nel 1977 i
comboniani presero possesso anche della parrocchia di Liati.
Sia ad Abor che a Liati all’inizio si praticava solo l’evangelizzazione diretta tramite
l’amministrazione dei sacramenti, l’organizzazione dell’istruzione cristiana e la formazione
di comunita’ cristiane.
Non furono avviati progetti particolari se si esclude qualche lavoro caricatevole per i malati
e i poveri.
Nel 1981 Sogakofe divenne parrocchia , staccandosi da quella di Abor. Nel 1994 la
parrocchia di Liati fu consegnata al preti locali; nel 1997 si lasciarono la parrocchia di
Sogakofe e aprirono la parrocchia di Adidome, staccatasi da Sogakofe. Nel 2003 fu la
volta della parrocchia di Abor che venne consegnata ai preti locali.
P.Giuseppe Rabbiosi ad Abor inizio’ e tuttora gestisce “In my Father’s House” ( Nella casa
del Padre mio’) una associazione che soprattutto si prende cura dei bambini orfani o
abbandonati.
Oggi i comboniani sono presenti nella diocesi di Keta-Akatsi ove tengono la parrocchia di
Adidome e il Comboni Centre di Sogakofe, e nella arcidiocesi di Accra dove dal 1999
hanno un centro per l’animazione missionaria e pastorale vocazionale a Kaneshie e ora
sono incaricati della nuova parrocchia di OLA, New Achimota.
Il Saint Theresa Handicapped Centre fu costruito dal comboniano P.Angelo Confalonieri.
Nel 1997 la diocesi lo affido’ ai padri di Don Guanella.
Il Comboni Centre di Sogakofe e’ ancora retto dal fondatore padre Riccardo.
I comboniani considerano fondamentale la presenza dei laici nei loro progetti. I volontari
vengono ingaggiati in attivita’ di ogni tipo per un tempo limitato (2-4 settimane).
I laici comboniani ad Accra hanno un programma di collaborazione per i bambini di strada.