Leggi l`elaborato - Fogli di Viaggio

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Leggi l`elaborato - Fogli di Viaggio
Il viaggio di un uomo, nell’uomo
La luce soffusa dell’alba guida i miei occhi attraverso le caotiche vie di Gerusalemme. Gerusalemme, questo
nome non evoca solo l’immagine di una splendida città: evoca storie, religioni, popoli, conflitti, dura
convivenza. Gerusalemme, il Centro del Mondo.
Il mio udito è cullato da suoni nuovi, attorno a me arabo, ebraico e inglese si fondono assieme in un’unica
lingua fatata, la lingua dell’umanità e dell’uguaglianza, che alimentata dalle nostre differenze per creare un
mondo unico nel suo genere, vario e completo.
Il mio naso affaticato fiuta i profumi provenienti dalle stradine della Città Vecchia, mentre entro dalla
maestosa porta di Jaffa: profumo di arance spremute, profumo del pane fresco, che dei ragazzi portano da
una bancarella all’altra e infine profumo di verdura, che innumerevoli venditori presentano orgogliosi ai
passanti. Il mio naso ne è inebriato.
Le mie mani, mentre cammino, sfiorano con dolcezza le mura antiche, santuario di storia e fede, le stesse
mura che da centinaia di anni vengono accarezzate da amici e nemici. La polvere si appiccica delicatamente
alla mano e con un soffio me ne libero, dispiegando al vento i piccoli grani color sabbia.
La mia bocca, assetata, trova ristoro grazie a un melograno spremuto: rosso, fresco e dolce, ma allo stesso
tempo aspro, sento la lingua tirare. Che strano frutto.
Mi ricorda questo frutto, Gerusalemme. Sì, perché anche Gerusalemme è dolce, romantica e fresca, piena
di vita, trafficata ventiquattro ore al giorno … eppure se assapori con attenzione, allo stesso tempo è aspra,
è complessa da comprendere, è conflitto.
E’ strano questo e secondo me rappresenta la vita stessa, un gioco di contrasti continuo: c’è il bene, il male,
l’amore e il contrasto. E’ gioia infinita e poi delusione. Gerusalemme è la vita, ma non è finita qui:
Gerusalemme ti insegna che dopo l’aspro, arriva la grande forza di rialzarsi e di continuare a vivere e gioire,
nonostante tutto.
I miei sensi vivono, si sono risvegliati e li sento come non mai, li domino! Che sensazione fantastica, mai
provata prima … riesco ad assaporare ogni piccola cosa, a comprenderne il valore e l’importanza, che
strano. Dove vivo io non ne ero in grado, mentre qui anche un granello di melograno assume il più grande
significato, dove sono? Che posto è mai questo? La mia mente è fusa con il mio corpo, sto vivendo
pienamente, pensiero e sguardo vedono tutto alla stessa maniera, non riesco a descrivere questo stato di
estasi. Il Muro del Pianto si staglia davanti a me: passo i controlli della polizia israeliana, un’ormai sgradita
abitudine, e mi reco al Muro, dove le persone pregano assiduamente; pellegrini, soldati, studiosi, ortodossi,
sono tutti assorti e muovono il capo avanti e indietro con veemenza. Un bambino si alza in punta di piedi
per custodire un piccolo foglio di carta ripiegato innumerevoli volte, all’interno di un foro del muro: lì la sua
preghiera rimarrà al sicuro, per sempre.
Mi tolgo la kippah che avevo posato sulla testa prima di recarmi al santuario a cielo aperto e mi dirigo in un
dedalo di viuzze, frequentate da una miriade di persone, colori diversi, religioni differenti e lingue varie,
tutto ciò mi guida verso la Basilica del Santo Sepolcro. Le voci della gente mi cullano mentre varco il
portone e mi dirigo sulle scalette, sulla destra, che portano al monte Golgota, ormai qualche pietra ben
custodita, sopra al quale è stata eretta la grande chiesa in cui ora mi trovo. Il corrimano della piccola scala è
umido, dopo aver accolto la stretta di chiunque, da ovunque. Giungo in cima, dove i preti ortodossi,
probabilmente grechi, gestiscono l’affluenza dei fedeli, che fortunatamente ora sono pochi. Il misticismo di
questo luogo mi conquista; dietro di me, dei frati francescani intonano un canto gregoriano; un giovane,
sicuramente europeo, stringe con la sua mano un rosario di legno poco lavorato … è semplice, eppure
raccoglie l’essenza di questo posto: raccoglimento, fede, amore … e Dio, la sua presenza è davvero forte.
Anche una persona atea si troverebbe scossa dinanzi a tutto ciò: la spiritualità fa parte della nostra natura
umana e noi, volenti o meno, ne veniamo conquistati, non appena abbassiamo le nostre vane difese.
Dove sono?
Lunga è ancora la strada per arrivare in cima al monte. Omar è davanti a me, leggiadro si muove come una
gazzella tra gli scoscesi sentieri, pieni di sassi e ciuffi d’erba secca; è magro, piccolo e agile, veste con una
tunica marroncina e dei sandali con i quali io mi sarei già slogato la caviglia. La cima del monte Sinai è
ancora lontana, mentre nella notte, dietro di me affiora una carovana di beduini con i loro cammelli: una
lunga processione verso la cima, verso il luogo dove l’uomo tende e dall’altro lato lo fa pure Dio. La vetta è
l’incontro, l’incontro tra l’uomo e Lui: chi è Lui?Ditemelo?A volte non comprendo..come si chiama? Lo
sento chiamare Dio, Allah, Javhe, come è possibile? Un giorno, una voce dentro la mia anima, mi ha detto
che Lui è semplicemente Lui. Ognuno di noi può scegliere come chiamarlo, come dimostrargli fiducia e
ringraziarlo; a me piace credere che funzioni così, ma arrivato in cima al monte ne ho la conferma: è
pazzesco, il sole lontano si sta alzando, una palla rossa e infuocata, avvolta dai monti rocciosi e aspri che mi
circondano. Come può esistere un posto tale, che l‘uomo non si senta più uomo, ma si senta creatura, nel
senso di oggetto creato: un uccello divino, un pensiero, una brezza fresca, una luce, questo sono! Ora
capisco, ora capisco che Lui è Lui e io non sono io … io sono, qui e ora: non temo passato, futuro, paure o
dubbi. Cosa contano?Io sono, ogni secondo, uccello divino, pensiero, brezza fresca, luce … SONO. Respiro
un’aria nuova, mi inebria i polmoni come mai prima e desidero volare sopra tutto questo: il sole rosso,
ormai alto, le montagne, il beduino accampato mentre prepara il thè per i passanti. Ma io sto già volando,
sono uccello divino, pensiero, brezza fresca, luce e lo sarò sempre, ogni giorno, non solo qui.
Lo sono sempre stato, senza accorgermene.
E tutto scompare, è pazzesco.
Dove sono ora, com’ è mai possibile? E’ un banco di spezie, che cosa curiosa. Sono assuefatto dai profumi e
dagli odori, che mi portano in uno stato di tranche, dal quale faccio difficoltà a uscire; il cardamomo, laggiù,
è la spezia più bella, la più preziosa. Il cardamomo è un forziere, che al suo interno contiene ciò che conta, il
sapore, il sapore dei semi, il sapore della vita … se si utilizzasse solo l’involucro esterno, i piatti non
assumerebbero alcuna variazione di gusto: è dentro, ciò che conta.
La senapa, il granello biblico, è marrone, piccolo e quando lo tocchi si muove e sembra prendere vita, in
maniera curiosa, sì perché forse ci spiega qualcosa, che l’uomo non ha tutto sotto controllo, che la natura
vive, e dobbiamo vivere in simbiosi con essa, assieme come fratelli.
Il curry, il colore della terra battuta, il colore della semplicità, eppure al suo interno racchiude il misto di
spezie più saporito e famoso al mondo, creato dall’unione di sapori diversi: come sarebbe bello il mondo se
le differenze venissero condivise, scoperte come un libro affascinante e infine fatte convivere assieme, per
creare l’aroma migliore, che condisca la vita di ogni essere umano.
Poi la paprika, che unisce il dolce e il piccante, in un armonia sublime, di un color rosso , rosso come il
colore del mio cuore, del tuo; pulsa, come il cuore, la paprika in bocca, col suo sapore piccante e viene
usata su molti tipi di cibo, quando mai daremo il nostro cuore, l’amore e l’accoglienza a chiunque?
Il mio essere è avvolto da questa primavera di profumi, pervaso dagli odori che aleggiano nell’aria, quando
all’improvviso tutto si fa scuro e, con me, scompare anche la bancarella di spezie e mi ritrovo nel deserto, il
deserto di Wadi Rum, in Giordania, terra di storie e leggende. Dinnanzi a me una roccia enorme si staglia
nel nulla, trasmettendomi un sentimento di fragilità, che mai avevo provato prima: è forse vero? L’uomo, in
quel mondo che crede di dominare, non è nulla in confronto alla maestosità di Dio, della Natura, di una
semplice roccia, che si staglia nel deserto di Wadi Rum. Cammino in direzione opposta di quell’enorme
masso, quasi scosso da ciò che ho visto, e cammino affondando i piedi nella sabbia, di un colore che a volte
si avvicina al rosso; il terreno è decorato da bastoncini, ciuffi d’erba e qualche pietra, quasi fosse un quadro
di arte contemporanea, dipinto da un pittore fantasioso, dall’estro semplice ma giocoso. Avanzando, mi
imbatto in una tenda striata, di colore bianco sporco e grigio, sulla cui superficie noto innumerevoli granelli
di sabbia, probabile frutto dell’ultima tempesta passata.
Dal tessuto sbiadito emerge una figura sconosciuta, avvolta da un turbante, con la pelle color caffelatte. La
barba folta e grigia mi incute un senso di riverenza; non parla. Un solo gesto, il suo, quasi a dirmi “Vieni,
vieni qui con me nella mia tenda”. Lo seguo, mosso da questa tacita conversazione.
Entro nella fragile struttura, togliendomi istintivamente le scarpe e ciò che vedo mi sorprende: casa, ecco
cos’è questa tenda. Ogni angolo è ricco di particolari che mi narrano la vita di Yusuf, l’anziano con la barba
grigia. Mi trovo dinnanzi a un libro aperto, che sfoglio con gli occhi, senza tante figure retoriche o giochi di
parole … e che storia: gli amori, le avventure della sua gioventù, gli affetti più cari, la sua passione per i
poeti arabi e per la storia della sua terra, passando da antichi imperi a Lawrence d’Arabia e la rivolta
beduina. Yusuf mi offre del thè in un piccolo bicchierino trasparente, che accolgo con piacere: è amaro,
manca lo zucchero, ma disseta subito, con quel forte sapore di menta che lo contraddistingue; il thè è la
vita nel deserto, così aspra, dura, ma saporita e piena: essenziale.
Il nostro incontro si corona con l’accensione di un shisha,il cui fumo fresco pervade la mia bocca prima, la
tenda poi. Che aromi, che profumi, mi fanno viaggiare con la mente e mi conducono alla meta del mio
viaggio: me stesso, lì, solo con Yusuf, che discorriamo muti, sul mondo, sulle nostre vite e il futuro. Che
curioso, il mondo.
Assieme, uno di fronte all’altro, ci scrutiamo curiosi … è mai possibile, penso, che siamo così diversi?
Yusuf mi guarda e dolcemente, coi suoi occhi, risponde ai miei questi: “ Allah, Dio, Jahvè, l’uomo tenta di
dare un nome al Creatore, che, se esiste, è solamente uno, uno per chiunque, cristiani, musulmani, ebrei e
atei. L’uomo sceglie il modo che ritiene migliore per onorarlo e rispettarlo, tutto qui. Quante guerre, quante
paure e quanti scontri potremmo evitare. Sei stato a Gerusalemme nevvero? Vedi, è fantastica, sacra, unica
e speciale, per tutti. E questo la rende dannata, causa di morte, di scontri e guerre da quando esiste: ma chi
la rende dannata, se non noi? Me e te, che tanto la veneriamo e idolatriamo? Gerusalemme, Dio, la
Religione, è tutto dentro di noi. E’ in noi ciò che serve, in nessuno posto concreto e terreno troveremo Lui,
se non nei nostri Cuori, nella nostra Mente, nel nostro Essere. Non possiamo rendere qualcosa di concreto
e materiale, per quanto santo, qualcosa di più importante di dio stesso, che ci faccia scontrare con gli altri
uomini, dimenticandoci di essere tutti parte della stessa famiglia.”
Non mi capacito di come io abbia ascoltato e compreso tutto ciò, in che lingua Yusuf lo abbia detto, ma
credo che davvero siano stati i suoi soli occhi a parlare. Magia, semplice umanità che si manifesta in uno
sguardo.
Yusuf scompare, scompare la tenda e scompaio io. Sono in una stanza buia e oscura. Una candela
emanante un caldo e lieve tepore illumina l’ambiente poco spazioso, di una stanza rivestita di moquette
rossa. Un tavolino in vetro sta al centro della sala e io, un ragazzo chiaramente arabo, un soldato israeliano,
un prete italiano e un anziano giapponese, dallo sguardo torvo e stanco, siamo tutti seduti attorno ad esso,
a gambe incrociate. Sembriamo tutti scossi da questa curiosa situazione, mai vissuta prima: cosa ci
facciamo qui? Chi siamo? Siamo così diversi, eppure noto alcuni particolari: il soldato israeliano tiene in
mano la foto di una bambina, sua figlia, mentre sul polso ha tatuata la scritta “I love you, my father”,
dedicata al padre, morto in un attentato a Gerusalemme; il ragazzo arabo piange, piange perché sua madre
e suo padre sono stati uccisi durante l’operazione “Piombo Fuso”, dalle bombe dell’esercito israeliano. Il
prete italiano invece sgrana un rosario, perché è impaurito, non sa cosa dire o fare; l’anziano giapponese
invece, torvo e stanco, nasconde una grande felicità nel cuore, perché è nato il figlio di sua nipote, Cho.
Ma come riesco a capire tutto ciò? Non sto parlando con loro e comunque non li capirei.
Nel mio cuore sento la voce, mai sentita, di Yusuf: “ Vedi, amico, ciò che hai potuto vedere e ascoltare ora è
stato possibile solo grazie a questo viaggio … il viaggio è fondamentale, il viaggio non finisce mai. Infatti
dopo questo viaggio e i tuoi incontri hai realmente scoperto la verità più grande di questa vita: la famiglia
umana è l’unica vera nazione alla quale apparteniamo. Tu ora hai compreso che ognuno di noi, qualsiasi
età, qualsiasi provenienza, colore, religione, qualsiasi errore compia, ecco … ognuno di noi, caro amico, è
umano, fratello, che soffre, gioisce, piange, ride, si innamora. Non dimenticartene mai, nemmeno quando
tutti vorranno nascondertelo”.
Così, tutto di un tratto, mi sveglio da un profondo sonno, un viaggio, ricco di sogni, come mai ne ho avuti
prima. La mia mente è confusa, avvolta da un velo che la separa da quel mondo che ha appena lasciato,
quasi costretta a dover ritornare in questa dimensione, quella della realtà.
Mi alzo lentamente dal mio letto, mi stiracchio e mi dirigo in bagno, dove mi lavo la faccia, ben due volte,
con l’acqua gelida. E’ strano … ma ora inizio a riconoscere i miei sentimenti, le mie emozioni, me stesso,
come mai prima. Sento dentro di me un grido, che sboccia in un pianto di gioia : vivere, ecco cosa voglio,
semplicemente vivere di semplicità, di relazioni, di persone. Uomo tra gli uomini, fratello tra i fratelli, che
potrà vivere bene solo se in condivisione con l’altro, solo se riconoscerà, nell’altro, l’umanità che ci anima,
tutti.