L`esperienza della carità di Luigi Orione

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L`esperienza della carità di Luigi Orione
La riflessione elaborata da don Fernando H. Fornerod è preziosa per comprendere meglio l’esperienza
spirituale vissuta da Don Orione mentre scriveva i primi due capitoli delle Costituzioni delle Piccole
Suore Missionarie della Carità, e soprattutto dà luce al significato del IV voto di carità.
Fernando Héctor Fornerod fdp
“Dagli Atti dell’Incontro Interprovinciale in Argentina (2009), p. 19-68).
L’ESPERIENZA DELLA CARITÀ
DI LUIGI ORIONE
Introduzione
Se c'è una categoria-esperienza che, vicina alla "papalinità", leghi l'intera vita ed opera di
Luigi Orione, quella è precisamente l’esperienza della carità. Ella è il filo provvidenziale che
unisce gli atteggiamenti appresi in seno alla sua famiglia, i primi servizi ai più bisognosi
nell'ospedale e nella prigione di Tortona; le fondazioni di opere in favore dei più poveri e la
consegna senza misure soccorrendo le vittime dei terremoti di Messina (1908) e della Marsica
(1915). L'attenzione ad ogni persona che si avvicinava nel suo dolore per cercare consolazione,
dai personaggi di Chiesa fino ai più lontani della fede; la sua vita, bruciata per amore verso gli
sfortunati è una sintesi tra azione e contemplazione; le parole pronunciate al suo medico, il prof.
Manai, pochi giorni prima della sua morte, sono un vero riassunto della sua vita:
[...] Dite la verità: sono alla fine dei miei giorni? [...] Perché, quando è così, io voglio
togliermi anche da questa stanza troppo di lusso e morire nella povertà. Io sono un povero
figlio di campagna, mio padre era selciatore di strade, tutta la mia famiglia era povera. [...] Io
voglio andare a morire fra i poveri, all’istituto di Borgonovo. Là ci sono tanti ragazzetti senza
nessuno, abbandonati, raccolti dalla Provvidenza. Voglio morire attorniato da quei figli, in
una casa che vive e pratica la povertà [...]1.
Guardando indietro, queste parole, ci portano a riconoscere nei suoi primi passi come
fondatore, le azioni concrete a beneficio dei poveri, come per esempio, l'apertura dell'Oratorio
"San Luigi" e più esattamente la "Piccola Casa" nel quartiere di San Bernardino, opera che
come ricordiamo fu destinata ai candidati al sacerdozio che, per motivi economici, non
potevano frequentare il seminario diocesano aperto da mons. Igino Bandi a Stazzano. Vengono
anche alla memoria le parole scritte a Don Carlo Sterpi, inviandogli il testo costituzionale dei
Figli della Divina Provvidenza nel 1936: «[...] la nostra Congr.ne è più per i poveri e per ha un
carattere essenzialmente più umile, e artigiano e popolare e papale [...]».
Orbene, ci domandiamo in primo luogo: a che cosa si dovette l'accentuazione delle opere
di carità assistenziale, in una famiglia religiosa tutta destinata a servire e difendere il Papa?
Esiste una crescita dell'azione pastorale verso i più bisognosi, che ci permetta non solo di
riconoscere uno sviluppo carismatico, ma anche teologico dell'esperienza della carità?
Sappiamo che la carità in Don Orione non fu una realtà astratta: essa è stata un'esperienza
mistica - apostolica, che ha nel suo cuore, una vera spiritualità e pertanto, una teologia. Il nostro
lavoro consisterà pertanto, nel descrivere ed approfondire la sua esperienza d’amore a Cristo
1
SPARPAGLIONE, D., Il Beato Luigi Orione, 302.
negli uomini "due fiamme d’unico e sacro fuoco". Da questa prospettiva si capirà la sua
cristologia e di conseguenza anche l'originale esperienza ecclesiologica orionina.
In secondo luogo, bisogna affermare che quest’esperienza si manifesta, gradualmente,
nello sviluppo dell'azione pastorale delle opere di carità assistenziale. Purtroppo, per ragioni di
tempo, non avremo l’opportunità di approfondire a lungo tale argomento; ma possiamo dire
sinteticamente che tale sviluppo è intimamente rapportato alla fondazione e consolidamento del
ramo femminile della Piccola Opera: La congregazione delle "Piccole Suore Missionarie della
Carità", il cui IV voto di carità analizzeremo domani sera.
Allora, se ci fermassimo a questi due campi investigativi, vale a dire la prassi pastorale e
le nuove fondazioni, e non descrivessimo il particolare svolgimento di maturità interiore del
nostro Luigi Orione tra gli anni 1934-1940, correremmo il rischio di non trovare il nucleo
fondamentale della sua esperienza di carità.
Sappiamo che, la coscienza petrina orionina ebbe un approfondimento e una
contestualizzazione (dal Papa-re al Papa-Dolce Cristo in terra). Analogamente ed in
corrispondenza con essa, è possibile riconoscere, nell'evoluzione della prassi pastorale, una
progressione ascetica ed una conseguente maturità spirituale, che manifestano un'originale
esperienza teologale della carità. Allora, in questo complesso e vitale scenario, ci domandiamo
anche: qual’è l'originale natura dell'esperienza di carità in Don Orione? Solo quella della virtù
che perfeziona ogni atto morale, o c'è qualcosa in più? L'obiettivo di questa relazione dunque,
consiste nell’approfondire l'esperienza del principio caritas in Don Orione, come proposta di
soluzione a questi punti interrogativi.
La metodologia scelta consiste nel prendere come sorgente della riflessione un gesto
pastorale. Tale avvenimento segna un punto di svolta nel processo dell'esperienza pastorale
orionina: ci riferiamo all'apertura del "Piccolo Cottolengo Argentino", il 21 Maggio del 1936. Da
quest’iniziativa, che evidentemente non è isolata da tutte le altre opere verso i bisognosi e che,
pertanto, è iscritta in questo processo, realizzeremo la nostra analisi dell'esperienza di carità
orionina.
«Scriverò la mia vita con le lacrime e col sangue»2
Il periodo che, nella vita di Luigi Orione, va dal 1934 a 1937, si presenta di una fecondità
spirituale e di uno sviluppo missionario straordinari. Non dovrà sorprenderci costatare che il
periodo di maggiori prove interne ed esterne, sia accompagnato dall’apertura del maggior
numero di opere di carità nel continente latinoamericano.
Don Orione parte dal porto di Genova imbarcato sul "Conte Grande", il 24 Settembre del
1934, con destinazione Buenos Aires, dove arriverà il 9 d’Ottobre. La sua permanenza in
America Latina si prolungò fino al 24 Agosto del 1937. Sappiamo che egli era già stato in
Argentina, Uruguay e Brasile, tra il 1921 e il 1922; allora, cosa ebbe di particolare questo
secondo viaggio? Tra i motivi della partenza, i più conosciuti s’inquadrano nel suo desiderio di
consolidare le comunità in quelle terre, e partecipare a Buenos Aires al 32° Congresso
Eucaristico Internazionale; tuttavia, negli scritti diretti ad amici vicini alla famiglia religiosa, egli
lascia percepire un profondo dolore che l'affligge:
|1v| [...] Confesso che anch’io ho tanto sofferto nel lasciare l’Italia e i miei cari poveri, gli
orfanelli, le malate, le povere vecchierelle; quando poi penso ai miei cari chierici, devo farmi
forza per non piangere, poveri figli! Ma la Divina Provvidenza sa perché sono qui, e li
2
[25.02.1939, ma., fotogr., ADO, Scr., 105,200-201]; (IC., 328-331).
assisterà! |2r| [...] sento che il Signore mi sta vicino, più che una madre, nella sua grande
misericordia: sono nelle mani di Dio, non potrei essere in mani più sicure3.
Così pure in molte delle lettere circolari indirizzate ai membri della sua famiglia religiosa,
lascia intravedere che in questa separazione c'è qualcosa di più, ma che, per il momento, non
può manifestare apertamente; solo li rende partecipi della fiducia che lo sostiene, quando
afferma: “un giorno comprenderanno le circostanze del mio allontanamento”. Dunque, cosa
motivò effettivamente il secondo viaggio di Don Orione in America Latina e la sua permanenza
tanto prolungata? Le cause, furono di natura diversa, ma con alcuni elementi in comune; certe
si dovettero al suo impegno evangelizzatore e alla grande opera di carità iniziata dopo il
Congresso Eucaristico Internazionale; altre apparvero molto dolorose, tanto che lo fecero
sentire come in esilio. Andiamo per ordine.
In una lettera che scrisse alcuni giorni dopo essere sbarcato a Buenos Aires, manifesta
al vescovo mons. Simone Pietro Grassi, il suo stato interiore. L’epistola non poté essere letta
dal prelato, poiché egli morì il 31 ottobre:
|4r| [...] Non tema che io prenda troppa preponderanza in Tortona: Ella sa, o mio buon
Padre, che mai ci siamo intromessi nel governo della Diocesi, né direttamente né
indirettamente; solo quando V. Eccellenza mi parlava di qualche Suo dolore, ho cercato di
darLe un qualche conforto. Eccellenza, con quell’amore di figlio con cui La ho sempre amata
e servita, La supplico umilmente in Gesù Cristo e nella |4v| Santa Madonna di non voler
morire così. Ella sa che si é tentato coprirmi di fango, e di qual fango! È da quattro anni che
io sto aspettando una parola dal mio Vescovo di difesa: la calunnia ha così dilagato nella
Diocesi e fuori, che fin i miei Chierici la sanno! Come ne hanno parlato Sacerdoti e laici. Ho
sempre taciuto, ho sempre sofferto e pregato, ma non sono sasso |5r| né pietra [:] si tratta del
buon nome, e di ciò che un Sacerdote deve avere più caro: il suo onore. Ci siamo rivolti alla
nostra Chiesa e al nostro Vescovo... Non ho mai chiesto processi: non voglio il male di
nessuno, ma il bene di tutti: perdono a tutti, vorrei dare la vita per tutti. In oratione, in silentio
et in spe ho atteso pazientemente e con piena fiducia di figlio una parola del mio Vescovo
|5v| e Padre, che dicesse: non é vero: dalla Chiesa mia di Tortona, che ho amato sempre e
servito come si ama una Madre: la parola non é venuta. O mio buon Padre, non vogliate
morire così!4.
Tutto l'amore per il suo vescovo si unisce al dolore causato dalla calunnia che cominciò a
circolare prima a Melide, in Svizzera, e dopo nella diocesi di Tortona nel 1931, collegata agli
eventi del suo avvelenamento mentre esercitava come Vicario Generale della diocesi di
Messina nel Luglio 1910. Ma per comprendere il suo stato d’animo, abbiamo bisogno di riferirci
ad un'altra vicenda. Tra l’immensa consolazione sperimentata grazie alle iniziative realizzate in
più di due anni in terra latinoamericana, il 7 Luglio del 1936 la Santa Sede nomina un Visitatore
Apostolico per la congregazione: l'Abate Emanuele Caronti (1883-1966); certamente la nomina
fu accolta con gioia da Luigi Orione. Più tardi, dandone notizia ufficiale, scrive ai suoi religiosi e
religiose:
|2| [...] Viene a noi, poveri figli di Adamo, nell’Abate Caronti, Visitatore Apostolico, per
orientarci in Domino e confortarci a perfezionare la intera consacrazione di noi stessi al
3
[«ai Sig.ri Coniugi Eugenio e Teresa Beaud», 27.10.1934, c., ADO, Scr., 41,154-156]; (L. II, 106-107).
[a «Mio buon Padre in Gesù Cristo», 16.10.1934, c., ADO, Scr., 107,208]; un'altra copia di questa lettera: [a S. Grassi,
16.10.1934, c., of., ADO, Scr., 45,323-325]. Sul contenuto della lettera spedita a mons. Simon Pietro Grassi dice a Don Carlo
Sterpi: «|1r| [...] Jeri col “Conte Grande” vi ho mandato una lettera; - dopo averla scritta, ho scritto pure a Mg.r Vescovo, ma, a
metà di detta lettera, non ho più potuto resistere, e sono entrato nel delicato e penosissimo argomento. Ho scritto a sbalzi e
come mi veniva. Non c’era più tempo per rifarla né per farne io stesso una copia.. |1v| [...] Ho fatto il mio dovere. Non esiste
altra copia: voi ne farete subito fare tre copie per l’Archivio. Ora sono un po’ piû tranquillo: la cosa non poteva restare così
[...]» [a C. Sterpi, 17.10.1934, c., ADO, Scr., 93,113]. Don Carlo Sterpi le comunica la morte del vescovo e l’impossibilità di
che lui abbia letto l’epistola: STERPI C., [a L. Orione, 07.11.1934, c., ADO, Scr. St., 7,270].
4
Signore Nostro Gesù Cristo Crocifisso, e alla Santa Chiesa, a servizio dei piccoli e dei
poveri, nell’apostolato della carità: perché viviamo senz’altro desiderio che del discepolato
dolcissimo e gloriosissimo di Cristo e del Suo Vicario in terra [...]5.
Ma in una lettera personale datata 1 Agosto 1936, Don Orione da Buenos Aires,
ignorando i motivi di tale intervento pontificio, lo collega agli avvenimenti per i quali aveva
scritto, due anni prima, a mons. Simone Pietro Grassi. All'Abate spalanca il suo cuore
spiegandogli le motivazioni profonde che lo portarono verso il nuovo continente; Luigi Orione,
aprendo la sua anima al benedettino ci permette di cogliere le fibre più intime del suo spirito:
[...] E qui mi par conveniente manifestare in via riservata a Vostra Eccellenza, che,
quando ho lasciato l’Italia, non sono venuto in America solo con l’intendimento di visitare gli
Istituti che la Piccola Opera della Divina Provvidenza già aveva qui, ma senza dirlo neanche
al Don Sterpi, per non dargli più grave dolore, mi son gettato in mare, quasi come un Giona,
nella speranza che la mia lontananza avrebbe calmate onde furiose, e salvata la barca della
mia povera Congregazione.
Ed era pure necessario che io mi allontanassi per porre un atto, a tutela del mio buon
nome. Da oltre quattro anni avevo atteso invano -in silentio, in oratione, et in spe- che si
dicesse una parola a riparazione di un’orribile calunnia, divulgata in Diocesi e fuori molto simile
a quella del cattivo prete Fiorenzo. Vedendo che, oramai, era vano sperare, ho creduto di dover
seguire l’esempio di San Benedetto, che abbandonò Subiaco, e si ritirò a Montecassino: - mi
sono tolto silenziosamente da Tortona, tanto più che l’occasione si presentava, poiché qui si
celebrava anche il Congresso Eucaristico. Lasciai la Congregazione in buone mani e la mia
causa nelle mani di Dio6.
L'abate lo tranquillizzerà, facendogli capire che il motivo della sua missione era dare
all'istituto la struttura canonica richiesta dalla Santa Sede, per un'eventuale approvazione
pontificia. Intorno a questa visita apostolica emergono altri problemi che motivarono
l'allontanamento. In questa situazione di sofferenza dobbiamo aggiungere che Don Orione teme
che a causa di tutto ciò, la “Piccola Opera della Divina Provvidenza”, sia fusa con altri istituti. A
Don Carlo Sterpi gli scrive:
[...] Certo che questa Visita deve essere stata provocata da persone non benevoli, ma
sopra di noi sta il Signore e la Madonna SS. - Mi rincrescerebbe se l’abate Caronti non
accettasse. Pensiamo che, se il Signore ha disposto o permesso questo, sarà sempre per
nostro maggior bene. [...] Pare ci sia stato chi avrebbe suggerito che fossimo fusi con i
salesiani o con quelli di don Guanella: sia fatta la santa Volontà di Dio! Basta che si possa
amare Dio e la S. Chiesa, e poi tutto in Domino: stiamo tranquilli [...]7.
5
[«Miei cari fratelli e figlioli in Gesù Cr.», 10.07.1936, ma., ADO, Scr., 52,59-61]; (L. II, 378) e anche: [«Miei cari fratelli e
figlioli in Gesù Cr.», 10.07.1936, mi., ADO, Scr., 52,59-61].
6
[a E. Caronti, 01.08.1936, Summ., § 563]; se conserva anche una minuta di questa lettera, dove si riconosce quest’aggiunta:
«[...] a buone mani, a don Sterpi, mi assentai». [a E. Caronti, 01.08.1936, mi., ADO, Scr., 19,91-92]; e più esplicitamente alla
stessa persona, il 19 d’Agosto, afferma: «Quanto al fatto doloroso che mi riguarda, e che, in un primo tempo ho dubitato avesse
provocata la S. Visita, è cosa un po’ lunga a dirsi, e non vorrei essere troppo prolisso. [...] Un giorno giunse la posta, che Don
Sterpi non c’era; [...] leggo e, in un primo momento, non capivo niente, tanto la cosa mi pareva strana, poi mi sono dato conto.
Egli [Mons. Bacciarini] mandava a Don Sterpi la deposizione giurata di un suo Parroco, quello di Melide (non era il Don
Bornaghi) il quale dichiarava d’aver avuto in sua casa due preti della Diocesi di Tortona, dei quali uno Arciprete, e d’aver
sentito che Don Orione, quando era a Messina in qualità di Vicario Generale -dopo il terremoto- avrebbe frequentato una nota
casa di prostituzione, e che fu trovato fin lì il suo nome sui registri di detto postribolo [...]» [a E. Caronti, 19.08.1936] Summ., §
564.
7
[a C. Sterpi, 24.06.1936, c., ADO, Scr., 19,81-82]. Prima della visita apostolica, se ne parlava di questa possibilità: [a R. Risi,
10.10.1924, c., ADO, Scr., 7,254]: «[...] Non so chi è questo codesto Bosi (?) che dice d’aver sentito in Vaticano che presto ci
uniremo a quelli di D. Guanella. Io non ne so nulla. Fammi sapere chi è, e chi parlò così in Vaticano [...]».
Il processo diocesano di beatificazione proverà, più avanti, che i motivi affermati nella
calunnia non esisterono mai. Ma la sofferenza interiore accompagnerà Don Orione fino alla fine
dei suoi giorni. Tracce di quest’esperienza possono essere lette nel suo testamento,
comunicato all’allora vescovo di Tortona, mons. Domenico Melchiori, alla morte di Don Orione,
il 12 Marzo del 1940 a Sanremo; nel testo del suo testamento questo dolore interno traspare,
quando verso la fine del testo dichiara:
|1v| [...] Poiché Iddio ha permesso, certo a bene mio, che il mio nome di sacerdote
venisse vilipeso nel modo più disonorevole per un cristiano e sacerdote, e ciò da parecchi
anni, senza che mai l’autorità ecclesiastica della mia chiesa di Tortona, invano da anni
sollecitata, |1r| sentisse il dovere, - (pure avendo in suo potere i relativi documenti), -di
almeno emettere una dichiarazione che la infame calunnia o diceria non ha base di verità,mi vedo dolorosamente obbligato, per tutelare, almeno in morte, il buon nome di me
sacerdote, di proibire che il mio corpo venga sepolto entro i confini della diocesi di Tortona,
sino a che questa autorità diocesana non emette un atto, da potersi rendere pubblico, col
quale si dichiari, nel modo più assoluto, che la turpe calunnia non ha alcun fondamento.
Perdono a tutti, prego per tutti, ma è questo, purtroppo, ancora l’unico modo che mi rimane
a tutela del buon nome di me, cristiano e sacerdote. Questa è la mia volontà. Nel nome di
Dio, amen.
Sacerdote Luigi Orione fu Vittorio8
Questo voler ripercorrere la condizione interiore di Don Orione ci aiuta a capire che, il
periodo di maggiori prove corrispose, come vedremo in seguito, ad una straordinaria
espansione delle opere apostoliche. Orbene, sotto uno sguardo più profondo, scopriamo il
collegamento di tali frutti evangelizzatori con questo processo di maturità interiore. Senza
questo binomio, vale a dire: purificazione personale-fecondità apostolica, noi non riusciremmo a
cogliere mai la profondità teologica dell'esperienza orionina della carità, rimanendo solo sulla
sua superficie.
Segni di quest’itinerario in cerca del senso profondo di quanto la Provvidenza gli permise
di vivere, evidenziano lo svolgimento per il quale egli è stato condotto tanto lontano dall'Italia,
ma anche, tanto lontano da ogni appoggio umano. Nel 1937, in quel che consideriamo il viaggio
dell'addio, poiché si congedava dalle comunità situate all'interno dell'Argentina, Luigi Orione ci
dà alcune chiavi per interpretare questo periodo:
[...] Come l’oro si prova al fuoco e l’amore con le opere coi fatti, così la Fede si prova
con le opere di misericordia, e si si prova nei cimenti e immolazioni interne, personali, e pure
personali: si prova nei cimenti e combattimenti esterni e pure nei vilipendi e persecuzioni.
Ma per la Fede le persecuzioni e i vilipendi, anziché essere cagione di separarci da Cristo,
saranno, invece, accrescimento di vita cristiana o miei, di vita veramente di abnegazione, di
perfezione religiosa, di soda virtù, di verace amore a Dio ed agli uomini, di unione a Gesù ed
alla Sua Chiesa9.
Tutta la sua sofferenza interiore non lo ha separato da Cristo, bensì al contrario lo ha
avvicinato, al punto tale di configurarsi con Lui per mezzo dell'esperienza della croce. Questa
avvenne, lo sappiamo, soltanto tramite la consegna senza limiti della propria vita a Dio negli
8
[02.02.1938, ma., ADO, Scr., 53,141-142]. D. Arturo Perduca comunica a Mons. Domenico Melchiori il contenuto del
testamento il 13 Marzo del 1940; e così lo fa sapere a Don Carlo Sterpi (cf. PERDUCA, A., [a C. Sterpi, 13.03.1940, c.] ADO);
il giorno 14, sera, D. Alessandro Di Tommaso firma una dichiarazione salvando così l’esigenza del testamento.
9
[ccir, of., «Cari miei fratelli e figliuoli in Gesù Cristo, che vi trovate a Montebello», 24.06.1937] in, Bressan, G., «La lettera
della fede», 14-15; (L. II, 458).
uomini per amore. La sua sofferenza interiore lo aveva avvicinato ancor ai sofferenti offrendosi
loro e prolungando nel tempo lo stesso gesto del Crocifisso. In questo senso si capiscono le
parole con le quali chiedeva ai suoi di pregare la "Salve" affinché il Signore inviasse croci alla
Congregazione, e la forza necessaria per abbracciarle. Le croci chieste da Luigi Orione, non
sono solo le contrarietà, o le incomprensioni, sono anche, o diremmo, specialmente, le croci dei
crocifissi, cioè, degli uomini e donne che soffrono, con i quali la consegna della propria andata
acquisisce vero senso; dove il servizio si vive come esperienza dell'amore a Dio: «[...] Per
questo, prima di partire per l’America, quando già infuriava la tempesta, ordinai quella Salve
Regina, ad aumento di prove e di tribolazioni»10.
Don Orione non cerca patologicamente la sofferenza, ma vuole solidarizzarsi col
sofferente; è più ancora: quest’atteggiamento non obbedisce a una domanda del dolore per il
dolore stesso, bensì è l'espressione del bisogno di configurare la propria vita, col gesto del
Crocifisso. Le tribolazioni non sono una prova che Dio non ama coloro che soffrono; piuttosto
tali sofferenze sono un segno del suo amore. È proprio quest’amore che Don Orione cerca di
vivere, come scrive in una lettera confidenziale: “[...] Ci cavassero anche gli occhi, basta che ci
lascino il cuore per amarli” 11.
L'amore per Dio, manifestato nell'accettazione della sua volontà, ha fatto di questa
sofferta esperienza di filiazione, il segreto della sua carità verso i più bisognosi, verso gli esclusi
e i sofferenti. La sensibilità davanti al dolore altrui non è di ordine sentimentale, piuttosto
germoglia da quest’esperienza di filiazione e di paternità di Dio. Un tale cammino percorso negli
ultimi dieci anni di vita, lo portarono all'esperienza dell'abbandono in Dio: egli si sente, e non
solo la sua famiglia, fondata in Dio solo. Ormai è possibile affermare che la Piccola Opera è
nata dal fianco aperto di Gesù, in quell’indimenticabile Settimana Santa, e che non dovrà mai
abbandonare questo posto. La coscienza di questa realtà può essere riconosciuta in molte
situazioni; ci serviamo di questa confessione fatta ad uno dei suoi religiosi:
|1| [...] Il Cardinale [Schüster] poi, nella sua carità e umiltà, ha voluto accompagnarmi e
presentarmi a quelle persone che attendevano in anticamera, e ti so dire che io, che so bene
la mia miseria, mi sentivo pieno di vergogna e stavo in piedi, [...] solo soffrivo, e ancora ne
soffro, di aver tanto ingannato gli uomini, e d’aver tratto in inganno più ancora le alte dignità
della Chiesa [...]12.
L'esperienza della croce di Gesù, non finisce mai di percepirsi come tale, ed il
testamento di Don Orione ne è una dimostrazione; la notte dell’esperienza di fede è la più
profonda delle croci, perché fa sentire l’abbandono dell’essere umano per intero. Eppure, da
questa gran fede germoglia la vera carità: Ella è l'espressione di un nuovo stato dell'esistenza.
In effetti, l’esperienza della carità vissuta da Don Orione, non può considerarsi solo come
un’attività apostolica o descriversi come se si trattasse della virtù che perfeziona l'atto morale
del credente. Tuttavia ella è stata tutta ciò, perché prima è stata vissuta com’espressione
10
[ccir, of., «Cari miei fratelli e figliuoli in Gesù Cristo, che vi trovate a Montebello», 24.06.1937] in: Bressan, G., «La lettera
della fede», 14; (L. II, 458). Prima dell’annuncio della visita apostolica il 15 luglio del 1936, nella lettera della prima versione
delle costituzioni dice a Don Carlo Sterpi: «|1|[...] Tutte queste cose erano prevedute e presentite da anni: esse ci trovano pronti
ad ogni olocausto d’amore alla S. Sede, e ci portano a darci più a Gesù Crocifisso e alla Chiesa e al Papa, nonché a pregare per
quelli che ci perseguitano - Voi continuate a far dire la nota Salve Regina. Stiamo entrando nel Misterium [sic] Crucis: la
Madonna SS. ci assisterà da Madre e da Fondatrice». Scr., 59,23; otras referencias en: [17.12.39] ADO, Par., XI,306. STERPI
C., [a L. Orione, 25.10.1934, c., ADO, Scr. St., 7,266]: «[...] Abbiamo incominciato a recitare la Salve per le croci, ed esse
vengono [...]».
11
[a C. Sterpi e al alg. sac., 29.07.1936 c., res., ADO, Scr., 59,29]; [sd., sf., mi., ADO, Scr., 90,248]: «|3r| [...] Le ostilità,
Eccellenza, sorsero dopo, quando il Santuario [della Guardia in Tortona] era già aperto era fatto e Ed esse non provennero dal
mio Vescovo, ma da Genova, e furono e sono tuttora per me veramente dolorosissime, tanto che dovetti scrivere
all’Eminen.mo Cardinale di Genova: i nemici mi cavino anche gli occhi, basta che mi lascino il cuore per amarli [...]».
12
[c., codac., a B. Galbiati, 06.12.1937] L. II, 506-507; una minuta di questo testo: [«Caro mio don Benedetto», sf., mi, ADO
Scr., 62,63-64].
formale (fondante) del suo sentire Cristo, la Chiesa e l'uomo. La sofferenza umana che di suo
implica la solitudine (Sal 22,2), perché è frutto del peccato, è stata trasformata dall'avvenimento
del Crocifisso, in esperienza redentrice, perché Dio soffre. Così, la solitudine si è rotta,
lasciando il passo alla comunione col Dio solidale che consegna la sua vita fino alla fine.
Questa solidarietà è il presupposto più profondo della comunione che si esprime nel dialogo
d’amore, della reciproca offerta di sé; e questa donazione-comunione non è altro che Chiesa:
Ella è l'espressione sacramentale di questo dialogo misterioso d’amore, tra il Dio trafitto e
l’uomo liberato dall’abbandono. Ci sono ormai le chiavi ermeneutiche per comprendere il senso
teologale dell'esperienza caritas di Luigi Orione.
Prima di riflettere su quest’argomento, vorrei fare qui un piccolo excursus. La
presentazione del ruolo delle opere di carità nella coscienza carismatico orionina, ci porterebbe
ad oltrepassare il limite del nostro lavoro; ci si consenta dire qui, che le ricerche che abbiamo
portato a termine, ci confermano che c'è stato storicamente uno sviluppo nello spirito delle
iniziative caritatevoli. Le opere di carità sono state sempre presenti nella comprensione e
nell'azione del carisma orionino; tuttavia dietro quest’affermazione è possibile riconoscere uno
sviluppo: verso il 1915 c’è un maggiore spazio per le opere di carità assistenziale a beneficio
delle persone con capacità differenti, che nel linguaggio del tempo di Luigi Orione sono chiamati
"i rifiuti della società"13. Lo stesso Don Orione continua a riconoscere che, dall'accettazione
della casa donata dalla sig.ra Teresa Agazzini, e più precisamente nel 1924 col consolidamento
del "Piccolo Cottolengo Genovese" di Marassi (GE), si può parlare di un'accentuazione
dell'azione pastorale verso questo tipo di opere assistenziali; anzi, ciò è ancor più evidente se lo
si collega con la fondazione, nel 1915, del ramo femminile dell'Opera: le “Suore Missionarie
della Carità”, e col consolidamento dell'azione apostolica della nuova famiglia, tra il 1924 e il
1927. Vediamo un po' più da vicino questo processo.
«Amore delle anime, anime! anime!»
Com’è che il "Piccolo Cottolengo" irrompe nell'azione pastorale di Luigi Orione? In uno
scritto del 1936, il sacerdote tortonese, parlando in terza persona, ci offre in un raccontomemoria, i passi fatti nella direzione della carità assistenziale della famiglia religiosa:
|1| [...] Nel maggio 1915 passava piamente a miglior vita la Contessa Teresa Agazzini,
zia del General Fara, lasciando a lui, a Don Orione, la sua casa nel Novarese, perché ne
facesse un asilo di carità per poveri vecchi. Fu appunto quella casa che diede modo al
povero prete, già tanto portato verso San Giuseppe Cottolengo, di aprire, a sé e ai suoi
Sacerdoti e Suore, un nuovo campo di apostolato di carità e sollievo di poveri e di malati
d’ogni specie, sul modello della grande Opera di Torino, fondata dal Cottolengo stesso. |2|
[...] Avvenne, dunque, che, quando meno ci si pensava, quasi senza accorgercene, si
aprissero, silenziosamente in Domino, una dopo l’altra, le nostre prime, piccole Case di
Carità per quei poveri più infelici, inabili al lavoro, vecchi o malati d’ogni genere, d’ogni
sesso, d’ogni Credo, e anche senza un Credo che non trovano pane né tetto, ma che sono il
rifiuto di tutti, e che il mondo considera come i rottami della società14.
Corre l’anno 1924 ed il 19 di Marzo Don Orione ha aperto una casa della carità a
Genova che ha precisamente le “Suore Missionarie della Carità” per protagoniste. Dai
racconti dei suoi biografi, l'inizio di questo tipo d’apostolato, tra i più sfortunati, non ebbe
niente di straordinario; tuttavia segnò sicuramente la rotta della prassi orionina. Sappiamo
13
[«Il Piccolo Cottolengo Argentino», oimp., ADO, Sccir., 13.04.1935 |1|]; (L. II, 224).
[«I Piccoli Cottolengo», cocicl., ADO, Scr., 114,284-285]; La data di questo testo possiamo prenderla dal contesto: «[...]
Essi si propagarono in Italia e all’Estero: mentre scriviamo anche in Cile, a Santiago e a Valparaiso, con la più ampia
approvazione di quegli Ecc.mi Vescovi [...]». Don Orione è stato in Santiago de Chile tra gennaio e febbraio 1936. C’è una
brutta copia: [mi., odac., ma., ADO, Scr., 61,151-154].
14
cosa significò per Don Orione, per la società e la Chiesa in Argentina, l’apertura del "Piccolo
Cottolengo Argentino". Ricordiamo che il gesto di accogliere "i rifiuti della società", non ha
avuto niente di filantropico o di sentimento d’umana compassione: piuttosto abbiamo
comprovato che per Luigi Orione è un atto di fede profonda perché provata. La motivazione
profonda del "Piccolo Cottolengo" è confessare che Gesù ha voluto i poveri vicino a sé.
La carità ha la sua fonte misteriosa nella vita dello stesso Figlio di Dio, già dal
momento della sua nascita:
|2| [...] Il Santo Bambino, nato fra di noi in tanta povertá, ci animi ad amare sempre piú i
poveri, poiché Egli chiamó primi attorno a Sé i poveri, - i pastori erano gente umile e povera
[...]15.
La stessa vita del Signore pone l’accento, che Dio non fa eccezione di persone, (Rom
2,11), ma interpella tutti, avendo predilezione per quelli che più soffrono, o che soffrono
l'esperienza del dolore, per gli esclusi (Ef 2,12), gli emarginati. Lo stesso Gesù, ha vissuto il
mistero del dolore e dell'esclusione (Flp 2,8); dunque, Lui ha un amore del tutto speciale per
quelli che soffrono:
|1| [...] Iddio ama tutte quante le sue creature, ma la sua Provvidenza non puó non
prediligere i miseri, gli afflitti, gli orfani, gli infermi, i tribolati d’ogni maniera, dopo che Gesú li
elevó all’onore di suoi fratelli, dopo che si mostró loro modello e capo, sottostando anche
Egli alla povertá, all’abbandono, al dolore e sino al martirio della Croce. Onde l’occhio della
Divina Provvidenza é, in ispecial modo, rivolto alle creature piú sventurate e derelitte16.
Il mistero della sofferenza è parte costitutiva dell’essere uomo; per ciò il "Piccolo
Cottolengo", che vuole essere espressione incarnata di questo universale amore di Dio, apre le
sue porte specialmente a chi vive questo mistero:
1| [...] La porta del Piccolo Cottolengo Argentino non domanderà a chi entra se abbia un
nome, ma soltanto se abbia un dolore. «CHARITAS CHRISTI URGET NOS» (II Cor., IV). Quante
benedizioni avranno da Dio e dai nostri cari poveri quei generosi, che ci daranno aiuto a
sollevare tante miserie, a lenire i dolori di quelli che sono come il rifiuto della societá! [...]17.
E nello scritto, segue una lunga lista di persone colpite da miserie morali o materiali. Non
rimangono esclusi, come lo stesso Don Orione afferma, neanche quelli che non hanno
lasciato entrare Dio nella loro vita: essi sono stati i primi ad entrare al "Piccolo Cottolengo
Argentino."
2| [...] Il Piccolo Cottolengo terrà la porta sempre aperta a qualunque specie di miseria
morale o materiale. [...] [a quanti] non possono essere ricevuti negli ospedali o ricoveri, e
che siano veramente abbandonati: di qualunque nazionalitá siano, di qualunque religione
siano, anche se fossero senza religione: Dio é Padre di tutti! [...]18
La miseria e l'esclusione non si curano che con l’amore gratuito, nato dalla coscienza
che Dio è padre di tutti. Un padre che manifesta la sua predilezione nello scegliere i figli più
bisognosi, senza per questo escludere nessuno. Una paternità che non è “assistenzialismo”,
ma che restituisce al povero e al bisognoso, la sua dignità ed il posto nel piano di salvazione. Ci
15
[ccir., impr., ADO, Sccir., 08.12.1934]; (L. II, 135).
[«Il Piccolo Cottolengo Argentino», oimp., ADO, Sccir., 13.04.1935]; (L. II, 224).
17
Ibidem; (L. II, 223).
18
[«Il Piccolo Cottolengo Argentino», oimp., ADO, Sccir., 13.04.1935]; (L. II, 224-225). Altrove, parlando dell’inaugurazione
del «Piccolo Cottolengo» di Avellaneda, si riferisce ai figli dei socialisti, beneficiati dalla carità: «|1| [...] non posso dirvi
quanto sono contento che la Divina Provvidenza mi abbia condotto ad aprire una casa di carità e di rinnovazione sociale
cristiana in mez nel cuore del socialismo e del comunismo argentino. Adesso capisco perché Iddio mi ha fatto fare il noviziato
a San Bernardino [...]» [a C. Sterpi, 03.07.1935, c., ADO, Scr., 18,114].
16
possiamo domandare: quale teologia sottostà e sostiene questo gesto? Quali sono le
caratteristiche di questo agire nel periodo latinoamericano?
«Cristo vuole salve tutte le anime»
Percorrendo gli scritti di Don Orione, è facile riconoscere la centralità del suo sguardo
sull'avvenimento Cristo. In effetti, in lui non abbondano gli espliciti riferimenti al mistero della
Trinità, come punto di partenza per la riflessione sulla carità; questo mette in luce, giacché la
figura di Cristo è dominante, che la sua spiritualità non è una spiritualità dell'essenza divina. Da
quest’affermazione può concludersi, in primo luogo, che parlare di carità in Don Orione, è
delineare le caratteristiche della sua cristologia. In secondo luogo, come già abbiamo avuto
opportunità di vedere, l'avvicinamento al mistero dell'azione misericordiosa di Dio, vale a dire
l'opera della Divina Provvidenza, si realizza nella prospettiva storico salvifica. Di conseguenza
gli avvenimenti dell'incarnazione, ed in modo speciale, della passione del Cristo, dominano la
teologia della carità in Don Orione.
La natura della carità dunque si rivela nella luce del mistero della persona di Gesù; le
velate motivazioni si tesoreggiano nel suo cuore, al quale è possibile accedere per grazia: Gesù
manifesta l'amore al Padre nella parte più profonda del suo essere. L'uomo credente è proprio
introdotto lì, affinché possa conoscere il contenuto vitale di questo dialogo. Orbene, questo tipo
di conoscenza, non è puramente teoretica, poiché la vera conoscenza si dà esclusivamente,
come frutto della sequela della persona del Signore; in altre parole: conoscere l'amore di Dio
implica vivere la carità di Gesù.
[...] O Gesú, aprici il tuo Cuore: lasciaci entrare, o Gesú, ché solo nel tuo Cuore
potremo comprendere qualche cosa di quello che Tu sei, potremo sentire la tua caritá e
misericordia, comprendere e amare anche noi il sacrificio e quella santa obbedienza, per cui
Ti sei sacrificato19.
È nella contemplazione del mistero dell'incarnazione, pertanto, dove l'esperienza di
gratuità dell'amore di Dio s’inaugura in un modo straordinario che lo sguardo del credente
accoglie, da una parte, il gesto del Padre di consegnarci suo Figlio per amore, e dall’altra,
l'obbedienza e l’amore di Gesù che manifesta il suo amore incondizionato al Padre: [...] «Il
nostro Dio è un Dio appassionato di amore, Dio ci ama più che un padre ami il suo figlio, Cristo
Dio non ha esitato a sacrificarsi per amor dell’umanità [...]»20. L'evento della nascita di Gesù,
(Lc 2,1-20), segna non solo l'inizio del compimento delle promesse di Dio, ma anche il modo e
la profondità dell'annientamento del Verbo Divino (Flp 2,7). Don Orione, pertanto, nelle
numerose riflessioni sul mistero dell'incarnazione, contrappone due atteggiamenti contrastanti:
all'iniziativa gratuita e senza misure dell'amore divino, ha corrisposto l'indifferenza ed il rifiuto
della risposta umana. Così, Dio Padre, volendo riscattarci dalla situazione di allontanamento
dalla vita divina, frutto della nostra scelta per il peccato, ha sentito nella sua realtà questa
stessa esperienza di esclusione: Dio, in Cristo, è diventato un escluso:
|1| [...] Gesú é nato come un pezzente in una grotta nuda, aperta ai venti, e, non nato
ancora, giá era bandito dal civile consorzio; Egli fú respinto fuori, all’aperta campagna: piú
pii furono a Lui il bove e l’asinello! Ma il suo amore trionfa! Il Natale ci fá sentire qualche
cosa dell’infinita caritá di Gesú, che cerca di farsi amare con una bontá suprema ed una
delicatezza infinita, sin dal suo nascere. Quante lezioni di umiltá, di fede, di semplicitá, di
povertá, di obbedienza, di abbandono alla Divina Provvidenza ci dá Gesú dal presepio!
19
20
[c., oimp., ai religiosi della PODP, Epifanía del 1935] L. II, 155.
[ma., d., impr., ADO, Sccir., 03.1936 |2|]; (L. II, 330).
Sopra tutto, Gesú dal presepio ci grida: «Caritá! Caritá! Caritá!». Vita di caritá: tutto il
Vangelo é qui, tutta la vita e il Cuore di Gesú sono qui: tutto Dio é qui: Deus charitas est!21
Tuttavia, la stessa esperienza di rifiuto evidenzia la grandezza della proposta di Gesù,
poiché non c'è un altro senso per tale gesto di kenosis, che non sia precisamente la carità. In
questo contesto, è fattibile parlare di una reale possibilità per noi, di imitare Lui: il Verbo che si
fa carne per divinizzarci, ci indica la strada per seguirlo, non soltanto nel suo agire, bensì
fondamentalmente nella sua relazione con Dio Padre. La rivelazione dell'essere intimo di Dio si
manifesta in quest’azione, che può essere già considerata il ristabilimento del dialogo tra
l'uomo-figlio col Dio-Padre; il dialogo è possibile, perché in entrambi, la "grammatica" comune
della condizione umana assunta è portatrice del "messaggio" della carità divina.
Nell'incarnazione del Verbo si rivela il mistero della comunione, della relazione filiale di Gesù col
Padre. Gesù è l'icona, che mediante la fede, apre al credente il mistero dell'essere intimo di Dio.
Per ciò per Luigi Orione non c’è un’altro Vangelo, inteso come Buona Notizia, che la vita
raggiunta e trasformata dalla grazia della carità di Cristo; solo così, l'esistenza dell'uomo, come
lo è stato in Gesù, diventa rivelazione di quel dialogo-relazione trinitario che sussiste nello
stesso essere di Dio.
|1| [...] camminiamo nell’amore di Dio e del prossimo, accesamente, imitando Cristo,
che il primo ci ha amati, e tanto ci amó sino a morire per dare a noi la vita. Caritá! Caritá!
Caritá! Questo solo ci stia a cuore, o Fratelli, poiché solo nella caritá arriveremo alla santitá,
che é la volontà del Signore: «haec est voluntas Dei, sanctificatio vestra». Sí, Ti ameremo, o
Signore, Dio d’amore, nostra fortezza e nostro rifugio, Cuore del nostro cuore, palpito unico
della nostra vita! |2| Custodiscici, o Signore, perché le molte amarezze e disinganni, le molte
acque non abbiano ad estinguere in noi il fuoco della tua caritá. Gesú, Tu sei il nostro Dio, il
nostro Salvatore, la nostra misericordia, Tu la Caritá![...]22
La carità, di conseguenza, non fa riferimento in primo luogo, all'azione di misericordiosa
divina verso l'uomo, ma è, soprattutto, l'espressione del suo stesso essere; e affinché questo
rimanga chiaro, in non pochi scritti, Don Orione aggrega, al nominativo Gesù, il sostantivo
carità, come parte dello stesso nome:
|1| [...] Sorgi, o anima mia, e corri incontro alla nuova Luce, che é Gesú-Caritá - Egli
viene a te, poiché la misericordia infinita del Signore é discesa piú ampia del mare e dei
cieli: terra, mare e cieli diventarono un nulla davanti alla carità di Gesú, quando é apparsa la
gloria del Signore [...]23.
È nell'evento della croce, dove Dio proferisce la realtà più profonda di se stesso, e dove
pronuncia anche la parola più profonda sull'uomo: queste realtà diventano una, nella persona di
Cristo crocifisso. Ormai si capisce il senso delle parole di Don Orione chiedendo al Gesù del
presepio, l’apertura del suo cuore. Certo, non se ne sta parlando in senso metaforico: è nel
cuore aperto dalla lancia, sul legno della croce (Gv 19,34-37), dove Gesù porta a compimento,
in quello spazio aperto del suo cuore, il gesto della consegna della propria vita. E, allo stesso
tempo, in quel cuore trafitto, tutti gli uomini, (nel linguaggio di Luigi Orione tutte le anime) hanno
accesso al mistero della vita del Padre:
|1| [...] tutte sono amate da Cristo, per tutte Cristo è morto [,] tutte Cristo vuole salve tra
le sue braccia e sul suo cuore trafitto. |4| [...] La carità di Cristo è di tanta dolcezza e sì
ineffabile che il cuore non può pensare né dire, né l’occhio vedere, né l’orecchio udire.
Parole sempre affocate. Soffrire, tacere, pregare, amare e crocifiggersi e adorare [,] lume e
21
[ccir., impr., ADO, Sccir., 12.1934]; (L. II, 141: va.).
[ccir., impr., ADO, Sccir., 12.1934]; (L. II, 142: va.).
23
[ccir., impr., ADO, Sccir., 08.12.1935]; (L. II, 317: va.).
22
pace di cuore [;] salirò il mio calvario come agnello mansueto. Apostolato Martirio: martirio e
apostolato [...]24.
L'avvenimento della Croce, ci rivela la presenza di Gesù in ogni uomo, senza fare
distinzione. Tuttora l'uomo raggiunto per il peccato, sarà sempre la sua immagine: l'immagine
dell'amore del Figlio al Padre; è questa la verità di Dio e dell'uomo, perché è nella misericordia
che risplende quanto sia Dio, e quanto sia chiamato ad essere la persona umana.
Quest’universale vocazione si manifesta nel fatto che Dio ha voluto occupare il posto
dell'ultimo, per abbracciare tutti. La vittoria di Gesù consiste precisamente nel non discendere
dalla croce; in non smettere di abbracciare il mistero della sua umanità sofferente, essendo egli
innocente e senza colpa. Così, quest’amore per tutti, si basa nella stessa elezione che ha fatto
Gesù: Dio-provvidenza ama tutti, e per manifestare quest’abbraccio d’amore ha voluto
occupare il posto dell'ultimo. A tal punto, ogni uomo che soffre può sentire che lo stesso Dio, è
solidale con lui: Cristo non discenderà vivo dalla croce; non rinunzierà mai a questo "rimanere"
nella solidarietà totale all'uomo e a Dio.
|2| [...] Io non sento che una infinita, divina sinfonia di spiriti, palpitanti intorno alla
Croce. E la Croce, stilla per noi, goccia a goccia, attraverso si secoli, il sangue divino sparso
per ciascuna anima umana. Dalla croce, Cristo grida: Sitio! - Terribile grido di arsura che non
è della carne, ma è grido di sete d’anime, ed è per questa sete delle anime nostre che Cristo
muore [...]25.
Questo rimanere sulla croce, è contemporaneamente nel gesto di Gesù,, riconoscere la
vita e l'amore nell'origine; ma è anche il punto di partenza di una nuova fonte di vita. Quindi,
restare con Gesù, fa del nostro cuore d’uomini peccatori, un cuore di generosità ed amore:
[...] Allora, o miei figliuoli, se davvero noi - per la divina grazia e per l’amore di Dio e del
Papa e dei Vescovi e della Chiesa - abbracceremo le tribolazioni, le afflizioni e la S. Croce di
Gesù Crocifisso e della Sua Sposa la Chiesa, [...] - allora solo cominceremo a vivere di
Gesù e del Papa e ad essere davvero e a sentire davvero con la Santa Chiesa e col Papa.
[...] Gesù e il Papa si amano e servono in croce, e crocifissi con Loro, o non si amano o non
si servono affatto26.
Piace affermare a Don Orione, che la Chiesa è la sposa del Crocifisso; e per rimanere
tale, lei dovrà sempre stare sulla croce del suo Sposo. È paradossale che la Sposa stia sulla
croce; ebbene, Don Orione vede proprio lì, nell'unica sacra croce di Gesù crocifisso, il vero
posto per la sua sposa, la Chiesa. E questo il nostro Fondatore, lo vuole pure per la sua
famiglia religiosa, che ha visto la sua nascita in una "indimenticabile settimana santa": la Piccola
Opera, non può abbandonare il Calvario, perché lei stessa è opera del cuore aperto del suo
Signore:
|12r| [...] e di un Istituto, che nasce per stare di proposito sul Calvario, c’è da confortarsi
sempre. Lo stare sul Calvario servirà all’Opera a non farle perdere lo spirito onde è nata, a
non dimenticare che Gesù non patisce solo sul Calvario, e a crescere in essa quella Carità del
Cuore Sacratissimo di Gesù che vorrebbe soavemente stretti tutti gli uomini in un solo corpo,
qualunque siano le differenze loro d’ogni maniera27.
Possiamo assicurare che la carità, fondamentalmente, non è altro che l'espressione, non
solo di una relazione nuova tra Dio e gli uomini, (paternità divina-filiazione adottiva), ma questa
relazione è, di per se, una nuova condizione ontologica (Gv 1,12). Certamente, questi testi
orionini sono diretti ai suoi religiosi; dunque si capisce come il Fondatore metta in risalto, che il
24
[25.02.1939, ma., fotogr., ADO, Scr., 105,200-201]; (IC., 329-331).
[25.02.1939, ma., ADO, Scr., 105,200-201]; (IC., 329: va.).
26
[sf., pimp., ADO, Scr., 90,348-349].
27
[a I. Bandi, 11.02.1903, c., ADO, Scr., 45,25 bis, 12r].
25
grado d’imitazione, d’inseguimento di Gesù dei suoi religiosi, non può avere altra misura che la
carità; ciò che è valso per tutti i consacrati, lo è in modo basilare, per ogni figlio e figlia della sua
congregazione:
|2| [...] la Imitazione di Cristo ci dice [...] «sia nostro sommo studio meditare nella vita di
Gesù». E non dice meditare la vita, ma nella vita di Gesù, cioè entrare nell’intimo e vivere di
Gesù, della vita di Gesù. Noi dobbiamo, dunque, avere il Vangelo sempre davanti agli occhi
della mente e portarlo nel cuore, viverlo [...]28.
Sappiamo quanto insista Don Orione, nell’assicurare che l'amore di Gesù, trasforma
profondamente la vita di colui che si lascia amare da Lui. Conoscere implica la somiglianza, e
questa conduce ad un'adeguata comprensione dell'essere di Dio e della persona umana; e
d'altra parte, alla testimonianza di una vera trasformazione della propria vita, per opera della
grazia di Gesù. La novità del Regno si evidenzia nell'amore ai poveri e la sua liberazione. Di
conseguenza, questa carità è la confessione di fede più profonda e più evidente della presenza
salvifica di Cristo nella storia. In questa prospettiva, si capisce che la vita di Don Orione e la sua
passione apostolica in favore degli uomini, sia stata definita com’eroica. Segni di
quest’atteggiamento spirituale, sono rintracciati nella sua passione per salvare le anime: c'è un
testo dove Don Orione parlando del suo ministero sacerdotale, chiede al Signore di dargli la
grazia di andare verso i più lontani, dopo di che, gli sarà possibile riposare tra i giusti:
[...] Preservatemi, dunque, o mio Dio, dalla funesta illusione, dal diabolico inganno che
io prete debba occuparmi solo di chi viene in chiesa e ai Sacramenti: delle anime fedeli e
delle pie donne. [...] Solo quando sarò spossato e tre volte morto nel correre dietro e
chiamare i peccatori e pur anco gli Scribi e i Farisei, solo allora andrò a cercare qualche po’
di riposo presso dei giusti [...]29.
Più avanti negli anni, Luigi Orione, sentirà che questo non è sufficiente:
|3| [...] La perfetta letizia non può essere che nella perfetta dedizione di sé a Cri Dio e
agli uomini, a tutti gli uomini, ai più miseri come ai più fisicamente e moralmente deformi, ai
lontani, ai più colpevoli, ai più avversi. Ponimi, o Signore, sulla bocca dell’inferno perché io,
con la misericordia tua, lo chiuda. Che il mio segreto martirio per la salvezza delle anime, di
tutte le anime, sia il mio paradiso e la suprema mia beatitudine [...]30.
Arrivare all'inferno e chiudere le sue porte, non è altro che raggiungere il cuore dell’uomo
peccatore, con l'autenticità dell'amore misericordioso del Padre, attraverso le mani tenere di sua
madre la Chiesa. Chiudere la bocca dell'inferno è approdare al cuore del peccatore, con l'amore
di Cristo, affinché in questo dialogo, il cuore dell'uomo, prigioniero del peccato e isolato dalla
presenza di Dio, possa liberarsi, (1Gv 3,14). Rompere quest’isolamento dove l'uomo è stato
condotto, ingannato, dove il peccatore soffre senza trovare l'amore e la felicità che pensa di
ottenere fuori di Dio. Chiudere la bocca dell'inferno, è togliere, con l'amore trasformatore, tutti gli
ostacoli che impediscono alla grazia di Dio di fare con l'uomo l’alleanza di comunione. [...] È
mostrare il vero viso della Chiesa, perché ella ancora essendo casta è anche meretrix, cioè
causa della caduta degli uomini. L'atteggiamento di Cristo di non discendere dalla croce, di
continuare ad abbracciare l'umanità contrassegnata dal peccato, mostra un orizzonte mai visto:
Cristo ha voluto amare ciò che la società considera "un rifiuto"; davanti a chi, spesso, ci si
rovescia il volto. Ma questo, non era sufficiente: Dio stesso, in Cristo ha voluto essere rifiuto,
manifestando in questo modo, il grado di predilezione e l'autenticità del suo amore verso
l'uomo.
28
[ccir., ADO, Sccir., 10.08.1935]; (L. II, 280).
[sf., mi., ADO, Scr., 118,18]; PAPASOGLI, G., Vita di Don Orione, 288, no. 1.
30
[25.02.1939, ma., fotogr., ADO, Scr., 115,200-201]; (IC., 330).
29
«Apostolato Martirio: Martirio e apostolato!»
Una delle novità con le quali si presenta la spiritualità orionina, rispetto a quella del suo
tempo, è che l'azione della carità non diminuisce l'affermazione dell'aiuto al bisognoso per
promuovere la cosa solo sul piano ascetico devozionale. Profeticamente la carità orionina,
enuncia una nuova forma di spiritualità secolare, le cui caratteristiche più eccellenti vanno
dall'incoraggiare caritatevolmente l'ambiente dei poveri, la preoccupazione per ricevere,
rispettare e potenziare l'umanesimo e mostrare come la carità evangelica sappia abbellire ogni
esperienza umana, comunicandosi come un amore eroico. Anzi, l'azione della carità, nella
concezione orionina, tende a rinnovare non solo l'uomo considerato in sé stesso, ma anche
come parte del corpo sociale e della Chiesa:
3r| [...] Egli, ed Egli solo, è la fonte viva di fede e di carità che può ristorare e rinnovare
l’uomo e la società: Cristo solo potrà formare di tutti i popoli un cuor solo e un’anima sola,
unirli tutti in un solo Ovile sotto la guida di un solo Pastore [...]31.
Questa prospettiva ci permette allora di descrivere, nella spiritualità e prassi pastorale, le
relazioni tra la carità e la giustizia. L'azione della carità orionina ha per centro il dialogo di amore
che Dio Padre ha voluto fare coi suoi figli in Cristo. Quell'amore di predilezione del Signore
verso ogni uomo, si manifesta, luminosamente nel "Piccolo Cottolengo", che non chiude le sue
porte ad ogni miseria umana. Dio, in Cristo ha voluto essere anche "rifiuto", manifestando la sua
predilezione, l'autenticità, il grado di compromesso ed amore per ogni uomo (Mt 25,31-46):
[...] O Gesù, veramente tu sei stato il rifiuto del mondo e in questo i nostri cari poveri
del Piccolo Cottolengo assomigliano un po’ a te. O Gesù, il tuo primo popolo ti ha rigettato e
ricusò di riceverti; Tu sei stato il grande Reietto: Tu non hai avuto che una grotta aperta ai
venti: Tu sei il Primo dei poveri del Cottolengo32.
E così il "Piccolo Cottolengo" ed i suoi "rifiuti", sono la metafora dell'intera carità di Dio
che abbracciando tutta la storia, tocca e trasforma gli uomini, costituendoli in popolo; il Popolo
di Dio.
Allora si capisce l’affermazione: Dio ci redime dai poveri. Nell'azione di carità,
specialmente verso gli ultimi, è dove il mistero della sofferenza, trova la dimensione necessaria
per manifestarsi evangelizzatrice. I protagonisti dell’azione di edificare la Chiesa, sono
precisamente quelli ai quali è diretto il servizio d'amore. Risuona in queste parole il discorso
inaugurale della missione di Gesù nel villaggio di Cafarnao, citando al profeta Isaia: "Egli mi
inviò a portare la Buona Notizia ai poveri, ad annunciare la liberazione ai prigionieri e la vista ai
ciechi, a dare la libertà agli oppressi" (Lc 4) 18b. La situazione dei poveri, non può essere
soltanto considerata in connessione con gli insegnamenti sociali, bensì in collegamento con la
luce di Cristo e del suo Regno. Condividendo il mistero della croce di Gesù, condividono anche
l'efficacia della salvazione del genere umano. I poveri non sono principalmente oggetto di carità,
ma sono i testimoni qualificati d’un amore che, in Cristo, vince la sofferenza e l'esclusione. In
quell'apparente debolezza risplende la forza del "esercito della carità".
[...] E quel Dio, che dalle pietre ha suscitato i figli d’Abramo, mi pare che, per i tempi
nuovi, prepari nuove misericordie; mi pare che il Suo Cuore Sacratissimo susciterà dal nulla
un grande esercito, adoperando ciò che è debole per confondere ciò che è forte, e ciò che
non è, per confondere quello che, agli occhi del mondo, è: un esercito pacifico, nella Chiesa
e per opera della Chiesa, l’esercito di grande apostolato della Carità, che colmerà di amore i
solchi dell’odio33.
31
[a S. Parodi, 22.10.1937, c., ADO, Scr., 8,209]; (L. II, 500).
DOr 1 (1968) 10, citato in: FERRONATO, E., «L’inno della carità», 30.
33
[c., ai benefattori del Piccolo Cottolengo Genovese, 06.03.1935] L. II, 205.
32
I poveri non sono “oggetto” di carità, ma uniti al Signore sono i veri protagonisti di
quest’azione misteriosa di redenzione. In effetti, i poveri ed assistiti sono per Luigi Orione gli
intercessori privilegiati davanti al Padre, non soltanto per quelli che fanno loro il bene, i
benefattori, ma perché vivono un vero ministero d’intercessione per la società intera. La sua
predilezione si fonda sull'atto di compassione di Dio, e fa d’ogni uomo, un tesoro prezioso; un
tesoro prezioso per la Chiesa, perché ella è frutto di questo dialogo di amore,
permanentemente pronunciato, tra il Gesù sulla croce ed ogni uomo che vive di Lui e per Lui.
L'assistito e gli assistenti, l'amante e l'amato, fanno parte di questa realtà amorosa della
"Piccola Opera". Essi sono parte essenziale e vivono in questo spazio di comunione, non come
se fossero gli ospiti, come oggetto di carità, bensì come i veri evangelizzatori: essi sono i
padroni della consegna di se stessi, che fanno a Cristo, per amore. Coloro che in apparenza
sembrano la parte più importante, i servitori della carità, gli assistenti, i religiosi rivolti ad
assisterli, in realtà acquisiscono la loro centralità dal soggetto della carità: gli stessi poveri.
Come ogni uomo sofferente, trova nell'accettazione e nello sforzo, l'attestazione d’un amore e
di una predilezione, il servizio è, se si desidera, l’espressione di tale amore e non solo la sua
causa.
«Dobbiamo avere in noi la musica della carità»
A questo punto, vogliamo riflettere su come l'azione caritatevole, per essere vissuta con
le caratteristiche che abbiamo visto, interpella esistenzialmente quanti si sentono chiamati a far
parte della Famiglia di Don Orione. I membri della "Piccola Opera", per Don Orione, non
servono solo Cristo nei poveri, ma loro stessi vogliono vivere come il loro Signore, correndo il
destino degli "abbandonati ed esclusi".
|1| [...] Caro figliuolo mio, guarda che, venendo con noi, noi siamo poveri, e pure tu
dovrai fare vita da povero religioso per amore di Gesù Cristo, |2| il quale è il nostro Divino
esemplare, ed Egli nacque povero: visse povero: povero morì sopra d’una croce, privo
anche d’un po’ d’acqua. Ma Gesù, nostro dolce Dio e Padre, è con noi, e noi facciamo una
vita felice, poiché ci basta avere Gesù [...]34.
Da qui possiamo dire che, come la carità ha per soggetto il povero amato da Dio in
Cristo, il religioso, lasciandosi influenzare da questa azione evangelizzatrice, trasforma la sua
vita in presenza liberatrice di Dio; così vivere la carità, in primo luogo, non è un'attività, ma
anche uno stato, una forma di appartenenza, della condizione esistenziale di coloro che si sono
lasciati raggiungere dalla grazia della povertà trasformatrice di Dio.
|1| [...] «Instaurare omnia in Christo!» é il motto e programma nostro: col divino aiuto e
agli ordini della Chiesa, noi dobbiamo adoprarci a rinnovare tutti e tutto nella carità di Dio.
Ma, innanzi tutto, dobbiamo in Cristo rinnovare noi stessi nell’intimo dello spirito [...]35.
L'espressione paolina instaurare omnia in Christo, fatto lemma per Don Orione, non è
affatto un programma che possa considerarsi uno schietto attivismo; suppone l'accettazione
profonda e radicale della proposta di Gesù nella propria vita. Questo compito è specialmente di
necessità vitale per i religiosi il cui principale apostolato è la conversione del cuore anticipando
il Regno in se stessi e nel servizio dell'amore.
Questo stato nuovo, frutto del contatto col Cristo, si evidenzia con un titolo nuovo nel
consacrato. Il dono della propria vita a Gesù nella Congregazione ha come fine essere i
“facchini” della Divina Provvidenza; “facchino” è l'altro nome della solidarietà con l'amore di Dio
e con la sofferenza dell'uomo-facchino. Vale a dire che il religioso e la religiosa sono strumenti
34
35
[«Caro mio figliolo nel Signore» (B. Marabotto), 31.01.1912, c., ADO, Scr., 32,2]; (L. I, 71).
[ccir., impr., ADO, Sccir., 12.1934]; (L. II, 140).
della Divina Provvidenza, strumento coniuintum divinitatis, e in questo caso instrumentum
caritatis ecclesiae, per mezzo dei quali la Provvidenza vuole agire, cioè salvare. Questo stato
nuovo è quello dei Figli e le Figlie della Divina Provvidenza, il cui contenuto Don Orione, lo
esprime con la categoria diaconale del facchino e con questo atteggiamento salvare il mondo.
|6| [...] A voi, miei figli, raccomando spirito di grande umiltà, di fede, di carità, di sacrificio:
sia in tutti una gara a faticare, ad essere i facchini di Dio, i facchini della carità. Solo con la
carità di Gesù Cristo si salverà il mondo! Col divino aiuto, dobbiamo riempire di carità e di
pace i solchi che dividono gli uomini, ripieni di egoismo e di odio [...]36.
Infine, vogliamo avvicinarci all'analisi del desiderio del Fondatore, che ci fosse un segno
di questa nuova realtà, nel carisma della sua famiglia religiosa. Egli ha deciso, precisamente
durante il periodo di permanenza latinoamericano che il ramo femminile del suo istituto avesse
un IV voto: il voto di carità. Così come sappiamo che il processo della coscienza petrina
accompagnò e illuminò la realtà del IV voto di fedeltà al Papa, l'esperienza di questa condizione
nuova della carità, doveva esprimersi anch’essa con un vincolo nuovo che assicurasse non solo
la fedeltà allo spirito della famiglia, ma fondamentalmente intendesse questa come
aggiornamento creativo.
DALLE OPERE DI CARITÀ ALL'ECCLESIOLOGIA DELLA
CARITÀ
Introduzione
Vogliamo accostarci alla riflessione sulla natura del IV voto di carità, pensato da Don
Orione verso 1935. Tuttavia, per farlo ci proponiamo prima di delineare le caratteristiche
dell'ecclesiologia orionina.
La questione potrebbe risolversi chiedendoci: quali sono le caratteristiche del pensiero
ecclesiologico orionino? L'argomento, così esposto, potrebbe portarci all'equivoco di affermare
che il sentire Ecclesiam in Don Luigi Orione, fu uno e lo stesso nel corso della sua vita, come se
si trattasse di una realtà monolitica. La conseguenza di tale prospettiva, però
comprometterebbe seriamente le conclusioni: in primo luogo, si provocherebbe la perdita degli
elementi di novità che permettono di distinguere il pensiero ecclesiologico orionino all’interno
dello sviluppo della teologia del suo tempo; in secondo luogo, si assisterebbe all'impossibilità di
spiegare le discordanze che in esso sono presenti.
Queste difficoltà si possono superare, analizzando la questione da una prospettiva più
dinamica, rispettando da una parte la storicità dello stesso processo, e dall’altra, il modo
particolare di fare teologia dei suoi protagonisti. Allora, è possibile individuare, nelle diverse fasi
del discernimento ed attuazione del carisma orionino, un chiaro sviluppo teologico che fruttificò
in un modello di Chiesa inedito per il suo tempo? Vedremo come l'amore di Don Orione e la sua
passione per la Chiesa, che animarono tutta la sua vita, ci offriranno tutta la sua originalità e
profondità.
36
[ccir., impr., ADO, Sccir., 04.11.1934]; (L. II, 125). Nell’espressione “solo la carità salverà il mondo” è impossibile non
sentire il riferimento finale con cui Leone XIII ha chiuso la sua enciclica Rerum Novarum, (cf. LEON XIII, Rerum Novarum,
1891, 143); il documento termina parlando dei ministri del santuario: “[...] impegnino le loro energie a salvezza dei popoli, e
soprattutto alimentino in sé e accendano negli altri, nei grandi e nei piccoli, la carità, signora e regina di tutte le virtù. La
salvezza desiderata dev’essere principalmente frutto di una effusione di carità[...]». Potrebbe essere anche PIO XI
Quadragesimo anno, 1931, n. 138, che si avvicina di più come data all’uso che Don Orione fa di questa espressione.
[ccir., impr., ADO, Sccir., 04.11.1934]; (L. II, 125).
Evidentemente, come già in parte abbiamo potuto vedere, quest’ottica non poggia solo in
una mera questione metodologica: in Don Orione è più adeguato parlare di un'ecclesiologia in
processo che di un'ecclesiologia compiuta. La caratteristica strutturale di essa, consiste nella
resignificazione dei suoi elementi costitutivi, all'interno dell'esperienza storica, spirituale e
pastorale.
Orbene, vedremo l'evoluzione della resignificazione degli elementi ecclesiologici, non
attribuita allo sviluppo d’esplicitazione carismatica della “Piccola Opera della Divina
Provvidenza", bensì alla stessa realtà della Chiesa. Tre tappe compongono il processo
ecclesiologico: un inizio (comunicazione) che segnala l'accoglienza dell'ecclesiologia del suo
tempo d’adolescenza e gioventù; un percorso, (storia), dove dietro la risoluzione delle diverse
problematiche spirituali e storiche, si dà origine alla terza fase della maturazione, nella quale
sono esplicitati, con la cifra carità, gli elementi essenziali della comprensione del mistero della
Chiesa. Il passaggio da una fase ad un'altra non è netto, come neanche si possa assicurare
che si tratti di un'evoluzione, spinta da uno sviluppo positivo; come abbiamo avuto opportunità
di vedere ieri sera, molto ha influito la purificazione spirituale di Don Orione e la sua capacità di
convertire, il cuore e la mente, ai modelli che sono subentrati nella sua vita. Il progresso della
dottrina ecclesiale segue la legge asintotica, che produce la dinamica dell'equilibrio tra fedeltà
ed apertura a nuove esperienze; questo sviluppo non si separa dall’intima amicizia con Cristo,
esprimendo così la fedeltà alla tradizione. Questa storicità germoglia dall'incarnazione che la
Chiesa riceve di Cristo, e della sua missione, che ha come orizzonte l’indirizzarsi all'uomo nel
suo momento storico.
Questa relazione, di conseguenza, è strutturata in tre parti: l’inizio e lo sviluppo della
dottrina ecclesiologica, dove si riassumono gli elementi ecclesiologici più importanti visti da una
prospettiva diacronica, temporale, per analizzare nella seconda parte, in modo più dettagliato, il
fine del processo che conduce all'esplicitazione delle linee ecclesiologiche essenziali ed
originali del suo modello di Chiesa. Tale modello gira intorno alla categoria caritas, studiata
nella sua dimensione d’amore sponsale, materno e verginale. Tali dimensioni, applicate al
mistero della Chiesa, corrispondono rispettivamente alla sua condizione mistica, storica ed
escatologica. Nel pomeriggio parleremo del IV voto di carità come espressione canonica di
questa realtà carismatica.
Comunicazione e storia
Sappiamo già, che la teologia in Luigi Orione, è contrassegnata dall’individuazione dei
diversi elementi della fede e carità, dalla sua vita tutta consacrata al servizio di Cristo nei poveri
e nel Papa. L’evoluzione che segnò lo sviluppo delle istituzioni religiose arricchì la sua
esperienza personale. Tenendo conto di tutto ciò, quali sono gli elementi teologici che la
distinguono dalle altre accentuazioni ecclesiologiche? E fondamentalmente, qual è la sintesi
che completa equilibratamente tutti gli elementi dello sviluppo?
L’ecclesiologia della societas perfecta (1872-1903)
Evidentemente Don Orione ricevé ed accettò l'eredità lasciata per l’avvenimento
ecclesiale così decisivo, come fu l'ecclesiologia del Concilio Vaticano I. Essa si sviluppò nei
decenni che seguirono all'evento conciliare, sotto il segno dell'affermazione dell'autorità. Le
caratteristiche di tale posizione, possono compendiarsi nell'atteggiamento apologetico che
andava unito ad un'accentuazione del modello sociologico dell'ecclesiologia. Le difficoltà
derivavano, sia dalle relazioni esterne con gli stati europei, come nelle correnti di riforma
all’interno della Chiesa. La società civile, confinando l'azione della Chiesa alla sfera privata, ne
provocava la sua assenza nella realtà pubblica e, di conseguenza, anche sociale. D'altra parte,
non dobbiamo dimenticare in quest’ambiente, l’influsso dei movimenti che dominavano le idee
culturali, religiose e politiche nel secolo XVIII, come il "giansenismo", il "febronianismo", il
"giuseppismo" e “l’episcopalismo." Tale prospettiva non fece che porre l’accento sugli aspetti
istituzionali, consolidando una visione fenomenologica del mistero ecclesiale. L’ecclesiologia
non trovò categoria più adeguata per esprimere la realtà Chiesa che l’espressione societas
perfecta. Quest’accentuazione sociologica offuscò gli aspetti più teologici della sua natura e
missione.
Quali sono le ripercussioni di tal ecclesiologia nel giovane Luigi Orione? L'adesione alla
posizione dell’orizzontalità istituzionalizzante d’orientazione papista fu piena. N’è prova, lo
sviluppo dell'inizio della sua coscienza petrina e dell’impegno in difesa dei diritti del Papa. Nel
giovane Luigi Orione, tutto gira intorno a questa figura; tanto che non dubitiamo di caratterizzare
il suo atteggiamento di un chiaro e rimarcato papismo. La forza nel difendere le prerogative del
pontefice è considerata, non soltanto sulle realtà e pretese politiche dei nascenti stati europei,
bensì progressivamente anche sopra la realtà della stessa Chiesa considerata nel suo insieme.
È il periodo del Papa-re, dove l'intransigentismo politico e l'ultramontanismo teologico, nel
giovane di Pontecurone non hanno limiti ben definiti. Basterà ricordare le letture trionfalistiche
della storia nei discorsi di Luigi Orione seminarista ed il costante richiamo all'obbedienza alla
dottrina della Chiesa. L'ecclesiologia, basata su una visione fenomenologica, dava importanza
al diritto, alle rivendicazioni temporali del pontefice, ed alle prerogative del clero in generale. In
quel tempo credere nella Chiesa, come affermò Y. Congar, significava, accettare l'autorità.
La presenza della Chiesa nella vita pubblica si rafforza, durante questo primo periodo,
nella grande iniziativa della Chiesa in campo sociale. L'atteggiamento apologetico impregnava
quasi queste attività di una verniciatura combattiva di partito politico. Di conseguenza, le
iniziative della prima tappa di Luigi Orione adolescente, difendono questa visibilità sociologica
della Chiesa. Così, come per esempio, la protezione della persona e dell'autorità del Papa, la
conquista ed accettazione degli spazi sociali trascurati a causa dell'inefficacia statale, oppure
nel desiderio del ristabilimento dell'Ancien régime, specialmente con la restaurazione dello
Stato Pontificio, condizione sine qua non per la libertà della Chiesa, e specialmente del
Romano Pontefice.
Per Luigi Orione era come portare a termine una vera "controriforma", avviata in questo
caso, non contro il protestantesimo, come ai tempi del Concilio di Trento, bensì questa volta
contro la modernità e lo spirito liberale che l'incoraggiava. Il campo dove si svolgeva questa
vera battaglia era il sociale. Per il giovane seminarista, il popolo addottrinato e liberato
dall'ideologia liberale e socialista, sarebbe stato l’artefice di un nuovo cambiamento, che
avrebbe restaurato alle basi la natura visibile della Chiesa; ma questo modello, più che
rinnovare la Chiesa e metterla in dialogo col mondo che cambiava, cercava di ripristinare una
situazione che, date le condizioni del tempo, non poteva più ritornare, soprattutto se pensiamo
che la Chiesa, non andò incontro ai cambiamenti, con una rinnovazione profonda di se stessa
circa l'ideale evangelico. Gli effetti furono sterili: la condanna in blocco della modernità,
specialmente come succederà più tardi, durante il periodo di Papa Pio X. Tuttavia, sarebbe
ingiusto non riconoscere che lo spirito che imperò in quell'epoca, permise un discernimento
spassionato degli elementi che erano in gioco.
In questa stessa linea, possiamo concludere affermando che in Luigi Orione,
l'intransigentismo della gioventù, nella difesa della Chiesa dagli attacchi della modernità, non
seppe recuperare gli elementi buoni che si trovavano in essa, per produrre una vera
rinnovazione della vita di fede. Il mondo cambiava; la Chiesa con difficoltà prendeva coscienza
che ciò implicava una rinnovazione di se stessa, se voleva essere fedele all'identità che il suo
Fondatore pensò per lei. Di conseguenza, non bastava solo condannare la modernità: era
necessario convertirsi al Vangelo, e a questo traguardo arriverà l'esperienza ecclesiologica di
Luigi Orione.
Intorno all'approvazione diocesana (1903-1904)
Sappiamo che gli anni che precorsero l'approvazione diocesana della "Opera della
Divina Provvidenza", furono di grandi tensioni tra il Fondatore e Mons. Igino Bandi. Sappiamo
che questo processo era iniziato già nel 1899, coi tentativi di rendere comprensibile lo spirito
che incoraggiava le iniziative del chierico Orione. Ricordiamo i punti interrogativi e le domande
che i suoi amici gli esternavano, per capire anche loro, quanto lui sentiva ciò che il Signore gli
stava chiedendo. Le tensioni, conseguenza normale d’ogni percorso di crescita, provocarono ed
accompagnarono un passo decisivo: attorno al carisma del fondatore, comincia a rendersi
esplicita, la sua dimensione comunitaria: il carisma di fondazione; è lì dove confermeremo le
linee della nuova ecclesiologia.
Sappiamo che l'intransigentismo politico, e l'atteggiamento papista di Don Orione,
entrando in contatto con la spiritualità rosminiana, cominciano un lento processo di correzione
verso una cornice di riferimento teologica più equilibrata. La vicinanza con la spiritualità
rosminiana emerge dal desiderio di Don Orione di affrontare un apostolato d’influsso, di
trasformazione delle coscienze, per sorreggere l'esperienza religiosa nel popolo semplice.
Tuttavia, non dobbiamo credere che il ricorso alla spiritualità del Roveretano, si sia limitata alla
copia della regola dell’"Istituto della Carità", per compiere una delle condizioni per
l'approvazione diocesana. Vicino allo sforzo per stabilire il fine dell'istituto, anche Don Orione
segue Antonio Rosmini nell’imitare gli aspetti strutturali della Chiesa, per l'organizzazione
interna del suo istituto religioso. In entrambi i fondatori, c’è la coscienza di vivere in piccolo, la
natura ed il fine della Chiesa: Loro cercano di vivere il tutto ecclesiale nel frammento dell'istituto,
e questo, nel tutto della Chiesa.
|1r| [...] La Piccola Opera della Divina Provvidenza è una dev debb’essere ora e
sempre uno straccio, e l’ultimo straccio, ai piedi dell del Sommo Pontefice, dei Vescovi e della
Santa Chiesa. Questa nostra umile nostra Congregazione è per la Chiesa, e non la Chiesa
per la Congregazione37.
Il cambio di prospettiva ecclesiologica è rimasto evidente, nella redazione dei documenti
programmatici del "Pro memoria sulla Compagnia del Papa" (1899), e la lettera dell’11 di
Febbraio del 1903 a mons. Igino Bandi; in essi traspare il passaggio da una coscienza
ecclesiologica dai tratti sociologici ad una più teologica. Potremmo attribuire ciò al passaggio di
una prima conoscenza del Rosmini e ad una ponderata comprensione della sua spiritualità,
poiché entrambi i documenti hanno questo comune denominatore. Ma tale spiritualità non è la
cosa più rilevante: la cosa importante è che alcune espressioni del documento del 1899
guardano più alla prima sintesi ecclesiologica con tratti sociologici, e la lettera del 1903, non
arriva ancora ad esprimere adeguatamente un'innovativa posizione sulla natura della Chiesa.
Ad ogni modo, ci sono ormai i presupposti affinché questo avvenga più tardi.
La prospettiva ecclesiologica orionina ha trovato un orizzonte davvero innovatore in
Antonio Rosmini e fondamentalmente nella sua ecclesiologia. I contributi più indicativi
cominciano a notarsi, nell’uso della cornice storico salvífico dell'azione della Provvidenza divina
nella Chiesa. In effetti, essa è presentata come lo strumento eletto per la perfezione della
società umana, anticipo storico del Regno. Nondimeno nella concezione della figura e ruolo del
Papa, pur se ancora, ha alcuni residui intransigentisti, comincia a guardarsi in una prospettiva
nuova, diremmo più teologica. In effetti, il Papa è considerato il cardine dell'azione storica della
Provvidenza. Infine, la stessa cosa si potrebbe dire della Chiesa, considerata nel suo insieme.
Come mai non sono state riconosciute queste chiavi del salto qualitativo nell'ecclesiologia
orionina? Non abbiamo spazio per rispondere a questa questione. Affermiamo che la
37
[sf., mi., ADO, Scr., 69,410].
congregazione ottenendo l'approvazione diocesana, acquisisce da una parte lo status canonico,
e lo spirito del carisma, e al tempo stesso deve fare i conti con l'esplicitazione canonica, vive già
la certezza dell'approvazione ecclesiale.
Tuttavia, questa conferma non toglie l'inadeguatezza tra l'esperienza carismatica e la sua
espressione canonica; la risoluzione di questo dilemma sarà imprescindibile, tanto per la stessa
approvazione, come per la sua trasmissione ai discepoli.
L'ecclesiologia orionina sotto il pontificato di Pio X (1903-1914)
Seguendo il nostro percorso, nello sviluppo delle idee ecclesiologiche, dobbiamo
domandarci ora quale esperienza ecclesiale il Fondatore visse durante il pontificato di Pio X?
Quali elementi caratterizzano la sua ecclesiologia? La vicinanza tra Don Orione e Pio X è fuori
discussione. Le caratteristiche dell'ecclesiologia di questo pontefice potrebbero trovarsi nel suo
grande interesse per la pastorale popolare, ma essa fu anche fortemente centrata sull'autorità.
Atteggiamento che aumentò ancora di più nello scontro con il problema del modernismo. Tutte
queste particolarità, confluirono ed ebbero un grande influsso su Don Orione, il quale si dedicò
con un servizio generoso ed eroico, nel soccorrere le vittime del terremoto calabro-siculo di
1908 e dopo, come vicario generale di Messina fino a 1912.
In questo periodo, la figura di Pio X segnerà in modo decisivo lo sviluppo dell'esperienza
ecclesiale di Don Orione. Il carattere popolare dell'azione pastorale li trovò in perfetta sintonia. Il
modo in cui la problematica modernista fu risolta, determinò alcune differenze; non certamente
con la persona del Papa, ma di sicuro con alcuni dei suoi collaboratori. Rimanendo
nell’argomento del nostro studio, il forte ricorso alla potestà ecclesiastica, e la condanna della
modernità in blocco, rallentarono e, progressivamente, cercarono di correggere il modello
ecclesiologico orionino. Tuttavia, gli avvenimenti tragici del terremoto, vissuti da Don Orione
durante la sua esperienza come Vicario generale di Messina, il processo interiore che si
produsse da una parte e il contatto coi personaggi accusati di modernismo, dall’altro,
continuano a segnare fortemente la sua esperienza ecclesiale. In altre parole, essa maturerà
per mezzo delle vicende della storia.
Più tardi, Don Orione capirà, che la Chiesa trova la natura misteriosa della sua ragione di
essere, nella sacramentalità della misericordia di Dio rivelata in Cristo Gesù. Non a caso, verso
1915, dopo i tentativi frustrati di annettere la congregazione della Madre Michel come ramo
femminile della “Piccola Opera della Divina Provvidenza", Don Orione fonda il ramo delle
religiose, allora col nome di "Missionarie della Carità”. Sappiamo che questa nuova fondazione
fu importante per comprendere la rotta, non soltanto dell'apostolato assistenziale, che andava
acquisendo un'entità sempre maggiore, ma anche perché mise i presupposti affinché la carità
non fosse vissuta come la schietta attività di un istituto, bensì come la condizione-stato del
credente, membro vivo della Chiesa.
L’ecclesiologia da 1915 fino 1934
La delusione provocata nella maggior parte delle persone, dal fatto di non trovare nella
Chiesa il senso comunitario, dopo gli avvenimenti bellici della Grande Guerra, fu molto forte.
Una gran dose di sfiducia dominava nell'uomo del 1920 che ancora sentiva le conseguenze
della guerra. La reazione fu la ricerca di una profonda esperienza di comunità che portò ad una
forte ribellione contro la nozione sociologica e giuridica della Chiesa, intesa fino a questo
momento, come società perfetta. Don Orione cammina verso questo stesso orizzonte, ma non
come frutto di un'astrazione intellettuale, bensì come risultato del servizio di compassione ed
aiuto disinteressato ed eroico, verso coloro che erano stati emarginati e abbandonati.
Luigi Orione vive una profonda scossa spirituale, che chiamiamo seconda conversione. È
il periodo nel quale incomincia il collasso del suo intransigentismo, per mezzo dello sviluppo
dell'apostolato assistenziale, e della sua lenta ma costante purificazione, che lo porterà a
fondarsi in Cristo. L'esposizione degli elementi che confluiscono in quest’esperienza dello spirito
di carità eccederebbe la nostra esposizione. Con tutto ciò affermiamo che la carità di Dio
manifestata in Cristo risplende nella condizione di quelli che, raggiunti dalla grazia, testimoniano
nella storia l'essere Chiesa come un nuovo stato d’esistenza dell'uomo.
Interessante è notare che, mentre gli avvenimenti del 1929, pongono fine alla "Questione
romana" e danno origine ad un nuovo stato: la città del Vaticano col suo capo il Santo Padre, in
Don Orione inizia ad assumere entità una nuova prospettiva della figura e del ruolo del papato
rispetto all’intera Chiesa; è il periodo del "dolce Cristo in terra"; espressione che unisce Don
Orione con alcune particolarità, alla mistica visione di Santa Caterina di Siena. Mentre la santa
senese era riuscita a fare ritornare il Papa a Roma, Don Orione cercherà, per mezzo di questo
nuovo spirito di carità, di portare il Papa al cuore delle masse popolari, degli abbandonati e
rifiutati del mondo.
Arriviamo così alla soglia dell'ultimo passo: il carisma del Fondatore comincia ad
allargare il suo orizzonte per scoprirsi non già nell'esperienza esclusiva di un gruppo di
discepoli, bensì nell'esperienza che esprime il mistero totale della Chiesa. Questa è l'ultima
tappa nel carisma orionino, dell'innovativo e maturato approfondimento del mistero della
Chiesa. È la realizzazione del desiderio e la passione di Luigi Orione d’essere tutto della
Chiesa, al quale la Provvidenza lo ha condotto, facendogli percorrere strade impensate.
Vediamo ora i suoi elementi costitutivi e le conseguenze di tale modello.
L'ecclesiologia in chiave della carità
Come l'esperienza dell'amore di Dio, manifestato nel mistero della persona di Gesù, è il
"luogo" dal quale Dio parla di sé, e in conseguenza, ove manifesta la realtà più profonda
dell'uomo, la categoria carità, che costituisce il cuore dell'azione diaconale della Chiesa, è il
modo attraverso il quale l'uomo manifesta il dono della salvazione per sé e per l'umanità. Per
ciò lo spirito di carità, fatto esperienza nelle opere, è lo "spazio teologale" (ermeneutica): in quel
punto, Dio Padre manifesta la sua identità, si scopre l'essere di Cristo e dello Spirito di
ambedue. E allo stesso tempo, la Chiesa si scopre moglie e madre, e l'uomo, amato si sveglia
figlio.
Nell'esperienza ecclesiale orionina, espressione della sua prassi ecclesiale e pastorale,
c'è un'interdipendenza tra le categorie "caritas", "ecclesia" e "societas humana". Per quale
motivo, in Don Orione, è necessario abbordare la realtà misteriosa della Chiesa dalla
prospettiva della carità? Annibale Zambarbieri ha intuito perfettamente quest’esperienza di Luigi
Orione
[...] Nelle scelte di Don Orione restò dominante e storicamente qualificante l’ispirazione
definibile con il lemma «carità» quasi un basso continuo a sorreggere armonie, contrappunti e
dissonanze.
[...] È forse il caso di riconoscere, in siffatta orientazione, l’affiorare di una maniera di
intendere, rappresentare e soprattutto di vivere l’appartenenza alla Chiesa le cui venature
andrebbero tenute presenti con maggior lucidità in sede storica, secondo un acuto
avvertimento di Pietro Stella. Tra una concezione sinteticamente espressa nella formula
«ecclesia societas perfecta» allusiva ad una intelaiatura giuridica avente quale guida spirituale
e disciplinare il pontefice romano, e l’altra rispecchiata nell’immagine di Chiesa-organismo
vitalmente percorso e mosso dallo Spirito, se ne incunea una terza, non meno rilevante,
quella interiorizzata dai fedeli in quanto intuitivamente o riflessivamente comprendono la
propria e l’altrui partecipazione alla fraternità come offerta della misericordia di Dio all’umanità
ferita e bisognosa di salvezza38.
Come sappiamo caritas, nel Don Orione della maturità, esprime lo stato-condizione
dell'uomo raggiunto per la grazia del Cristo salvatore, che vive dell'amore di Dio e che lo
testimonia con la sua vita, prolungando storicamente l'evento unico del Redentore, nell'offerta
della comunione diaconale che è la Chiesa.
Evidentemente, l'esperienza ecclesiale, vissuta sotto il segno della carità, fa sì che Don
Orione ci aiuti ad aprirci ad una prospettiva di comprensione innovativa del mistero della
Chiesa, che si esprimerà con maggiore evidenza solo nel Concilio Vaticano II. In questo senso,
Piero Coda afferma, che la teologia si arricchisce con testimoni qualificati come lo è il sacerdote
tortonese:
[...] Il riflettere sul vissuto della carità può permettere di rifocalizzare una verità
fondamentale dal punto di vista dell’epistemologia teologica: e cioè, che l’evento ecclesiale
della carità è il privilegiato luogo ermeneutico della conoscenza di quel Dio Amore, che è il
Dio rivelato da Cristo [...] La conoscenza di fede, e di conseguenza anche la teologia, non
può prescindere dal dinamismo della carità, nel quale, anzi, ha la sua imprescindibile
condizione di possibilità39.
Questo compito diventa più affascinante, quando gli aspetti dottrinali del mistero della
Chiesa si vedono incarnati e vivi, nel dono della vita dei santi; la comprensione della Chiesa
non esclude l'esperienza, ma è il suo splendore più luminoso:
[...] La fede vissuta, operante nella carità, [è] un vero e proprio luogo teologico, a cui
bisogna fare riferimento, superando quella separazione che talvolta si è fatta notare tra una
riflessione speculativa preoccupata solo di lucidità dottrinale e una teologia della situazione
pratica, carente di fondamento teoretico. [...] Nella misura in cui la teologia prende atto del
suo riferimento alla vita della Chiesa vissuta nella carità, il suo compito critico ed
ermeneutico viene vivificato e allargato: non resta confinato alla preoccupazione
dell’obbiettività scientifica e della precisione dottrinale, che sono requisiti pur sempre
necessari, ma, mantenendosi in stretto contatto col dinamismo vivente nella carità e nella
comunione ecclesiale, contribuisce ad aprire le vie del futuro della Chiesa, nella quale essa
perennemente si rinnova, pur sempre mantenendo la sua identità essenziale voluta da
Cristo40.
In altre parole, la teologia si fa nella contemplazione del dato rivelato. È anche certo che
la sua esplicitazione, è garantita non solo dall'insegnamento degli scrittori cristiani, bensì
fondamentalmente dalla vita stessa della Chiesa. La storia della teologia e della mistica
cristiana non aggiungono niente alla rivelazione cristiana, e tuttavia la rendono comprensibile.
La categoria "caritas" che ci aiuta a capire il modello ecclesiologico orionino: da una parte,
rivela la novità ed attualità dell'esperienza di Luigi Orione; e da un altra, ci aiuta ad evitare
l'illusione di imprigionare l'infinito contenuto della natura della Chiesa dentro la struttura finita
del linguaggio. Tuttavia, quest’affermazione porta ad una questione più delicata: riferire la carità
e la fede come origine della Chiesa.
Evidentemente, il trattamento di questo tema eccede i limiti del nostro obiettivo.
Affermiamo che la posizione di Don Orione, si avvicina all'accettazione del principio
38
ZAMBARBIERI, A., «Introduzione», 19-20. STELLA, P., «Prefazione», XVI-XVII: «Si rimane insoddisfatti – a mio parere –
quando si tratta di collocare in qualche schema sia Mons. Tosi sia chi come lui ha un modo di sentire la chiesa alimentato più
dalla familiarità con libri spirituali che non da trattazioni apologetiche o da manuali di teologia speculativa. Per Tosi e per altri
occorrerebbe allargare la schematizzazione binaria [societas perfecta-corpus Christi] e inserire una terza, dove porre chi sente e
descrive la Chiesa come il dono della misericordia di Dio alla creatura umana».
39
CODA, P., «Indicazioni teologiche e operative», 281.
40
GIOVANNI PAOLO II, «Ad eos qui conventui de virtute caritatis», 1987, 1215.
dell'incarnazione: nessun’azione di Dio può incidere sulla storia, se non si trasforma in azione
della creatura. In questo senso, può superarsi il dualismo, affermando che la Chiesa sorge
quando una comunità riesce ad esprimere storicamente l'amore di Dio o la forza dello Spirito.
La comunione non è un'esigenza etica, bensì una necessità strutturale dell'esistenza ecclesiale.
Vediamo ora gli elementi della categoria carità del modello ecclesiale orionino: mistico, come
amore sponsale, storico, come amore materno, ed escatologico, come amore verginale.
L'amore sponsale della Chiesa
Cristo ha potuto creare uno spazio vitale, tra la realtà dell'amore di Dio e, la condizione
dell'uomo sofferente, bisognoso di salvazione. È lì, nella sua persona appesa nella croce, dove
nasce la Chiesa: dove la sua esistenza è offerta e contemporaneamente accettata dal Padre
per l'umanità. È indicativo trovare nei testi di Don Orione, un'analogia con la croce di Gesù tra le
nascite della Chiesa e della "Piccola Opera della Divina Provvidenza". Ricordiamo come
termina la lettera di domanda d’approvazione diocesana del 1903:
|11v| [...] Non abbiate timori e confortatevi anzi nel Vostro cuore, o mio buon Padre:
vedrete che |12r| questa incipiente Congregazione, perché votata tutta al S. Padre e alla S.
Chiesa, germoglierà continuamente sul Calvario tra Gesù Cristo Crocifisso e Maria SS.
Addolorata; - e di un Istituto, che nasce per stare di proposito sul Calvario, c’è da confortarsi
sempre [...]41.
Soltanto alla luce dell’esperienza storica della carità, nell'ultima tappa della vita di Luigi
Orione, è possibile comprendere la profondità delle espressioni scritte a mons. Igino Bandi nel
1903; il carisma che origina questa nuova famiglia, vuole essere manifestazione di quello
spazio vitale che Cristo crea, nella consegna della propria vita, tra Dio e l'uomo; tra Dio ed il suo
Popolo. Lo stare sul Calvario, come fa Cristo, è la maniera di rinnovare l'amore di Dio per
l'umanità, e non abbandonare l'umanità nel dolore, bensì fare di quest’esperienza, l'espressione
storica della salvazione e comunione divine.
Don Orione, nella maggioranza dei suoi scritti, si riferisce alla realtà sponsale della
Chiesa, facendolo spesso nel contesto dell'avvenimento della Croce e per essere più precisi,
sempre in relazione con la persona del Crocifisso. Questa stessa prospettiva è vista tra la
nascita della congregazione ed il Crocifisso. C'è una relazione diretta tra le nascite della Chiesa
e della congregazione, stabilita nella persona del Signore crocifisso. Per Don Orione, la "Piccola
Opera", possiamo dirlo così, quando nasce, apre i suoi occhi alla vita non vedendo altro che il
Crocifisso. Le parole di Don Orione acquisiscono una profondità misteriosa, quando la famiglia
religiosa che nasce, vuole rimanere lì dove è stata chiamata alla vita. Possiamo comprendere
allora che questo stare "stabat", non si tratte solo di un posto, bensì fondamentalmente di una
relazione: perseverare uniti al Cristo che abbraccia, nella consegna della sua vita a tutto l'uomo,
a tutti gli uomini di qualunque tempo e cultura. Questo rimanere, è vivere nella storia l'amore
provvidenziale di Dio, che manifesta la sua predilezione per l'uomo, e la sua risposta, facendo
della sua vita un'offerta d’amore:
|12r| [...] Lo stare sul Calvario servirà all’Opera a non farle perdere lo spirito onde è
nata, a non dimenticare che Gesù non patisce solo sul Calvario, e a crescere in essa quella
Carità del Cuore Sacratissimo di Gesù che vorrebbe soavemente stretti tutti gli uomini in un
sol corpo, qualunque siano le differenze loro d’ogni maniera42.
Che Gesù non sia solo sul Calvario, significa che neanche l'uomo è solo nella storia. La
solitudine della sofferenza è stata trasformata dalla presenza amorosa del cuore di Gesù. E Lui
41
42
[a I. Bandi, 11.02.1903, c., ADO, Scr., 45,25 bis, 11v-12r]; (L. I, 20).
[a I. Bandi, 11.02.1903, c., ADO, Scr., 45,25 bis, 11v-12r]; (L. I, 20).
che ha trasformato la nostra realtà in comunione col Padre, sigillandone con quest’amore
sponsale, la sconfitta del dominio della morte.
“Gesù non patisce solo sul Calvario", parole misteriose che, come afferma Hans Urs von
Balthasar, "la sofferenza vicaria di Cristo non è esclusiva bensì inclusiva, il gesto col quale
assume qualcuno, non può essere altro che un gesto che trasforma l'amato in sofferente" e più
avanti "questa com-passio è anche parte del lascito che offre alla sua Chiesa ed è quello che fa
possibile che la Chiesa superi lo iato del giorno nel quale “Dio è morto”". Cristo ha distribuito
eucaristicamente il momento d’abbandono di Dio lungo tutta la storia, che sappiamo superato
nella consegna della propria vita, per amore di suo Padre in solidarietà col destino d’ogni uomo.
[...] Le anime e i nostri cari poveri: Gesù Cristo, la sua Chiesa e la piccola tua
Congregazione si amano e si servono solamente stando sulla croce e crocifissi di carità. Sta
contenta sulla croce. Vicino alla croce troverai pure la nostra Madre, la Madonna SS. che
sarà sempre la tua consolazione43.
La sofferenza umana non acquisisce la sua dimensione più profonda nel dolore che
causa, bensì nella luce della solidarietà misteriosa di Cristo con l'uomo che soffre. Questa
solidarietà di Cristo col sofferente, trasforma a questo nel partner del dialogo dell'amore che
riesce a superare lo stato di solitudine: quella comunione, frutto dell'amore-consegna, è la
Chiesa. L'avvenimento della croce che porta a pienezza il piano del Padre è
contemporaneamente l'inizio di un tempo nuovo: il tempo della Sposa
|3r| [...] Quando volgo lo sguardo, o Signore, alla nascente Chiesa Sposa di Gesù
Cristo vedo la Chiesa che sgorga dal Cuore trafitto di Gesù Cristo Crocifisso, e quale Eva
tratta dal costato di Adamo, sorge dal palpito del Signore ha vita e «compagna del suo
gemito» scende le zolle imporporate dal sangue di Dio e sta in riposte mura insino a che lo
Spirito rinnovatore scende viene dal Cuore di Gesù ad illuminarla, e con tanta effusione di
Cuore amore la ammaestra e la fortifica che maggiore non vide mai il mondo. È il Cuore di
Gesù che asciuga le lagrime di questa sua Sposa, e sovra Lei effonde le più soavi
consolazioni44.
La nascita della Chiesa, ha il suo fondamento più profondo nella solidarietà totale di
Cristo con l'uomo; ed è precisamente questa solidarietà accettata, che fa d’ogni uomo aperto
alla sua grazia, un membro del suo Popolo. È nel cuore trapassato di Cristo, dove è data la
realtà più intima e personale di Dio, per l’uso pubblico: tutti, senza distinzioni, possono
penetrare in quell'ambito aperto e vuoto.
|1| [...] Anime di piccoli, anime di poveri, anime di peccatori, anime di giusti, anime di
traviati, anime di penitenti, anime di ribelli alla volontà di Dio, anime di ribelli alla santa chiesa
di Cristo, anime di figli degeneri, anime di sacerdoti sciagurati e perfidi, anime sottomesse al
dolore, anime bianche come colombe, anime semplici pure, angeliche di vergini, anime cadute
nella tenebra del senso e nella bassa bestialità della carne, anime orgogliose nel male, anime
avide di potenza e di oro, anime piene di sé, che solo vedono sé, anime smarrite che cercano
una via, anime dolenti che cercano un rifugio o una parola di pietà, anime urlanti nella
disperazione della condanna o anime inebriate dalle ebbrezze della verità vissuta: tutte sono
amate da Cristo, per tutte Cristo è morto tutte Cristo vuole salve tra le sue braccia e sul suo
cuore trafitto. Anime! Anime!45
43
[a Suor M. Sebastiana, 17.02.1926, c., impr., ADO, Scr., 83,96].
[sf., mi., ADO, Scr., 86,145].
45
Ibidem.
44
L’amore materno della Chiesa
L'amore di Dio che è attivo, elettivo, (Rom 9,13;11,28), creatore (Col 1,12) libero e
misericordioso si sintetizza nel mistero di Cristo. La povertà di Dio si è manifestata negli uomini
raggiunti per la sua grazia, che ha fatto di loro ontologicamente e dinamicamente nuove
creature (Ef 2,8-10). La chiara esperienza dell'amore di Dio nella storia, permette che l'uomo lo
riconosca come Padre, misericordioso, ma con tratti materni. Dio ama l'umanità nell'individuo,
nella persona; come una madre che ama tutti, ed ogni figlio, con lo stesso amore; e tuttavia, la
relazione con ognuno di loro è speciale. Questa è la caratteristica dell'amore cristiano: è
contemporaneamente universale e personale. Tutta la vita di Don Orione fu vissuta nell'intensità
del suo sentirsi un vero figlio della Chiesa; così a mons. Igino Bandi durante uno dei momenti di
tensione col vescovo di Tortona nel Febbraio del 1908; Luigi Orione gli assicurava che:
[...] Sento che sono molto peccatore e indegno di essere figlio di Dio e Sacerdote nella
Sua Santa Chiesa: voglio vivere e morire da vero figlio della Santa Chiesa e mi affido
pienamente ai suoi Vostri santi piedi come roba della Santa Madre Chiesa Cattolica46.
Per Don Orione, la Chiesa è vera madre, perché ci ama come suoi figli. Vediamo da
vicino alcune caratteristiche che emergono da questa figura della Chiesa. La realtà della Chiesa
amata come sposa, si apre ad una nuova esperienza che germoglia dalla fecondità della
relazione con Dio: la maternità. Ella come depositaria del Sangue di Cristo, della vita nuova
che, donata per il Cristo addormentato nella Croce ed accolta per la Chiesa nascente, si fa vita
nei sacramenti. Essi sono quelli che, mettono in contatto ogni uomo con l'avvenimento del gesto
d’amore dell'Unigenito, ora ormai primogenito di una moltitudine. La fecondità della Sposamadre, in Don Orione è sottolineata, normalmente nei suoi abituali saluti pasquali ai religiosi e
ai benefattori.
|2| [...] Magnifichiamo il Signore nella gloria della Resurrezione, camminiamo fidenti
verso la Galilea celeste, dove Gesù ci precede, nutriti, corroborati dai Sacramenti Pasquali,
che la Chiesa, la gran madre della fede e delle anime, conservatrice del Sangue
incorruttibile di Cristo, ci porge. La Santa Chiesa! - La Chiesa che sola meriti il nome di
Madre e il nome di Chiesa: Chiesa unica e universale, che parla da Roma la parola
ineffabile del «dolce Cristo in terra» [...]47.
La Chiesa custode del dono della vita donata da Cristo, si rivela come una vera madre
che genera nel seno dell'umanità, i figli nel Cristo. Questa nuova condizione dell'esistenza, si
manifesta di una vitalità straordinaria. La comunicazione del dono della vita abbraccia tutte le
generazioni e diventa espressione della stessa fedeltà di Dio.
Come madre, la Chiesa sente profondamente, in se stessa, il dolore di ognuno dei suoi figli;
come madre, non trova altra consolazione che la loro liberazione da tale situazione.
Quest’atteggiamento si fonda sulla vita di Gesù, che manifestando la sovrana povertà di Dio,
esige non una risposta adeguata nell'osservanza ritualistica, bensì nella solidarietà con gli umili,
(Mt 9,13; 12,7).
[...] O dolce Madre della mia fede e della mia anima! O Santa Chiesa di Dio, veramente
cattolica, Chiesa Madre di Roma, unica e vera Chiesa di Gesù Cristo, bevi il mio amore e le
mie lagrime; delle mie lagrime, del mio sangue e del mio amore voglio farti come un
balsamo da versare sulle piaghe, su tutte le umane debolezze de’ miei fratelli, e sul tuo
dolore!48
46
[a I. Bandi, sf., mi., ADO, Scr., 79,366].
[ccir., impr., ADO, Sccir., 04.1936]; (L. II, 339).
48
[pimp., ADO, Scr., 81,117].
47
Perciò, non c'è distinzione tra l'amore alla Chiesa e il servizio ai suoi membri sofferenti. È
la fede, quella che unisce, nella persona del Signore, quanto facciamo per ognuno dei suoi
fratelli più poveri. È nella consacrazione totale di se stessi, nel servizio ai più bisognosi che si
ama in realtà la Chiesa, perché si ama nei suoi figli; non c'è felicità più grande per una madre
che la felicità dei suoi. La misericordia, manifestando l'aspetto materno di Dio, fa della Chiesa la
sua espressione più perfetta.
È nella misericordia verso coloro che soffrono ed i bisognosi, che si rivela la dimensione
più profonda dell'amore di Dio; ed in Cristo questa misericordia risplende in modo perfetto. Se la
santità consiste nell’appartenere totalmente a Colui che ci ha chiamati alla vita, non c'è un altro
modo di vivere questa santità che nella carità. Perciò, nella spiritualità orionina è comprensibile
l'intima relazione che esiste tra filiazione e servizio; tra obbedienza e carità. Così, la maternità
della Chiesa, non è una categoria astratta, bensì una realtà che accade, in situazioni molto
particolari della vita di Luigi Orione. Lui stesso è stato un'espressione dell'amore materno della
Chiesa, per personaggi della vita sociale ed ecclesiastica, in mezzo allo scenario tormentoso
della prima metà del secolo XX. Molti di loro lo hanno sperimentato come il buon samaritano del
Vangelo. Ci basta citare l'attestazione di Ernesto Bonaiuti, mentre chiede a Don Orione aiuto
per un giovane:
Caro, Ti si presenta un mio giovane amico. Ti spiegherà il suo caso. È un
boccheggiante sulla via, colpito, malmenato, lasciato nell’abbandono. Tu sei il buon
Samaritano. Lo sanno tutti; io lo so meglio di ogni altro. Lo metto sul tuo cammino. Non lo
lascerai boccheggiare. Lo raccoglierai e lo curerai. Ti indico – scusami – la cura. Tu dovresti
mandarlo ad insegnare in una delle tue istituzioni nell’America del Sud. Non aggiungo una
parola: tutti i tuoi secondi sono preziosi. Io ... sono sempre assetato del tuo ricordo. Prega e
ricordami. E. Buonaiuti49.
In Don Orione questo è chiaro, quando ponendo l’accento sugli aspetti più profetici del
ministero petrino, colloca il Papa - "dolce Cristo in terra" - come cardine dell'azione santificatrice
della Provvidenza che conduce la storia dell'umanità alla sua consumazione piena. È la santità,
che fatta servizio, fa che tutto sia sotto il Cristo ("instaurare omnia in Cristo") per mezzo della
Chiesa.
L’amore verginale della Chiesa
La Chiesa esprime la sua natura più profonda, in quell'amore sponsale e materno.
Tuttavia, dobbiamo analizzarne un'altra sua importante dimensione: la dimensione profetica; è
quella che abbiamo convenuto chiamare: la dimensione verginale della Chiesa Carità. Questa
figura ci aiuta a comprendere la Chiesa che credendo, spera e, amando, testimonia quanto
crede. La Chiesa vive questa dimensione profetica come annuncio ed anticipazione nella storia
del Regno di Dio; è contemporaneamente realizzazione e promessa di consumazione futura.
Questa è la terza linea d’analisi dell'esperienza ecclesiale di Don Orione.
L'orizzonte di speranza della storia, è inaugurato dal trionfo di Cristo; ma lontano
d’essere una visione trionfalistica (poiché le due categorie viste danno all'insieme una
prospettiva equilibrata), colloca il popolo di Dio in tensione verso il futuro escatologico del
Signore. E nuovamente ritorna l'esperienza orionina della Provvidenza, che unisce gli
avvenimenti dell'uomo e di Dio nella storia, facendo di lei espressione di questo camminare di
Dio col suo popolo. La santità, che come abbiamo visto non è altro che espressione della carità,
è il segno che il trionfo di Cristo comincia ad essere posseduto nel tempo come anticipazione
della consumazione escatologica.
49
BUONAIUTI, E. [a L. Orione, 12.12.1938, c., ADO, Buonaiuti].
L'amore verginale della Chiesa, che da una parte manifesta la sola appartenenza al
Signore, si vive anche come una speranza certa che agisce e si compromette in modo decisivo,
ancora in mezzo alle contraddizioni del divenire storico. Così anticipa la fine, non perché sia
una realtà futura, bensì perché l'amore cristiano è una realtà perfetta, cioè che non passerà. La
speranza cristiana, atteggiamento di contemplazione del divenire umano e dell'operare divino,
ci aiuta a vivere ed a costruire questa carità affinché la storia, quando passa lasci
indubbiamente il sì di Dio, che non passa, ed in Cristo, neanche il sì dell'uomo. Ricordiamo un
testo già conosciuto:
|3| [...] Ma a questa era, a questo grandioso e non più visto trionfo della Chiesa e di
Cristo, noi per quanto minimi, dobbiamo portare il contributo di tutta la nostra vita: e per
quanto è da noi, noi dobbiamo prepararla, affrettarla, con la orazione incessante, con la
penitenza, e il sacrificio, e col trasfondere la nostra fede, la nostra anima specialmente, nella
giovane generazione, e nella specie in quella gioventù che è figlia del popolo, e che più
necessita di fede religione, di moralità e di essere salvata [...]50.
Ed anche
|1| [...] Avanza al grido angoscioso dei popoli: Cristo viene portando sul suo cuore la
Chiesa |2| e nella sua mano, le lagrime e il sangue dei poveri: la causa degli afflitti, degli
umili, degli oppressi, delle vedove, degli orfani, dei rejetti. E dietro a Cristo si aprono nuovi
cieli: é come l’aurora del trionfo di Dio! Sono genti nuove, nuove conquiste, é tutto un trionfo
non piú visto di grande, di universale caritá, poiché l’ultimo a vincere é Lui, Cristo, e Cristo
vince nella caritá e nella misericordia. Ché l’avvenire appartiene a Lui, a Cristo, Re
invincibile: Verbo divino che rigenera: Via di ogni grandezza morale: Vita e sorgente viva di
amore, di progresso, di libertá e di pace [...]51.
È la speranza che incoraggia i passi della Chiesa verso l'incontro definitivo con il suo
Signore, nell'attestazione semplice dello spirito di carità tra i semplici e prediletti del suo cuore.
Questa è la dimensione più profetica dello stato-condizione della carità; la costruzione della
Chiesa nella storia, strumento della Provvidenza, modello d’ogni società umana, è il motore che
collabora con Dio affinché la storia acquisisca il suo compimento; quell'instaurare omnia in
Cristo acquisisce nella Chiesa tutta la sua dimensione più profonda. È il motivo di speranza che
nasce dalla certezza che Dio, ci ha dato in Cristo, la forza di raggiungere la meta. Questa
tensione verso il Regno che, nell’impegno quotidiano, fa la Chiesa, è in termini paolini la carità
che edifica la Chiesa. È l'amore quello che costruisce la Chiesa, è l'amore quello che salva il
mondo. Questo tema ci aiuterà a comprendere la missione diaconale dell'ecclesiologia in chiave
della carità.
Conclusioni
Le tre dimensioni con cui abbiamo analizzato la realtà dell'ecclesiologia orionina, sotto la
prospettiva della categoria carità, ci permettono di segnalare alcune conclusioni. In primo luogo,
ha reso visibile l'origine e fondamento misterico della Chiesa. La preminenza data alla
comunione di vita divina e di grazia, trasforma non solo l'uomo, bensì tutte le relazioni sociali e,
di conseguenza, tutte le strutture che formano la società. In altre parole, in Luigi Orione, la
dimensione ecclesiologica della sua esperienza-caritas, aiuta a percepire chiaramente, non
soltanto l'essere intimo di Dio, ma anche la vocazione e la dignità, che l'uomo è chiamato a
condividere in modo attivo.
50
[ccir., ADO, Sccir., 03.07.1936]; (L. II, 370: va.).
[ccir., oimp., ADO, Sccir., 04.1936]; (L. II, 337-338: va.). [ma., d., impr., ADO, Sccir., 03.1936] L. II, 329. [ccir., ADO,
Sccir., 25.07.1936, 11 p.]; (L. II, 391-402).
51
Quest’orizzonte fu raggiunto da Don Orione, grazie alla centralità che l'evento Cristo
ebbe nella sua vita spirituale ed apostolica. In effetti, come abbiamo avuto opportunità di
vedere, le linee ecclesiologiche che esprimono la condizione misterica della Chiesa, emergono
dal suo lungo processo di purificazione e di maturazione interna e pastorale. Sappiamo che la
filiazione divina è un dono e contemporaneamente una missione, e che ciò vale per il mistero
della Chiesa. In questo senso, la ragione di essere della Chiesa, non si capisce senza il
riferimento esplicito a Cristo e in modo particolare in Don Orione, a Cristo crocifisso. È nella
consegna di Cristo sulla croce, che nasce la risposta ed il compromesso dell'uomo aperto alla
grazia. La misericordia di Dio diventa visibile nel Figlio, ed è per questo che, per Don Orione, la
carità è sempre un'azione religiosa: l'azione di Cristo, Provvidenza visibile del Padre. Così, il
servizio di carità, è un gesto non solo fatto in nome di Cristo, ma fatta a Cristo stesso.
L'esperienza ecclesiale di Luigi Orione allora, rileva che la forma evidente ed essenziale
della Chiesa, è il gesto di carità: espressione d’amore di Dio che, in Cristo, si fa uomo affinché
facciamo nostro il suo amore e lo viviamo nel servizio di tutti, specialmente dei più poveri.
Perciò, è nella carità, come esperienza che aggiorna l'avvenimento della croce di Cristo, nella
vita dell'uomo raggiunto per la grazia che la Chiesa acquisisce la sua autentica visibilità.
La seconda caratteristica, nell'esperienza ecclesiale orionina, è il forte accento dato al
ruolo della comunità. La mediazione di Cristo ha la caratteristica d’essere inclusiva, in altre
parole, sostiene un universo di nuove mediazioni, tutte espressioni della nuova condizione del
cristiano. La salvazione operata in Cristo stabilisce una solidarietà nuova: quella della
comunione dei salvati e di questi col resto dell'umanità. È bene ricordare qui, l'uso del concetto
"santità sociale", col quale Don Orione spiegava l'unità di tutto l'uomo e di tutti gli uomini in
Cristo. Per lui, la coscienza di disponibilità all'azione della grazia di Dio e di vicinanza alle sfide
degli uomini, parla chiaramente di simile prospettiva motore della sua vita.
Tuttavia, l'immagine di comunità che sorge dalle linee di quest’ecclesiologia non è
organologica né personalistica, ma si riferisce all'azione della Provvidenza che salva ed ama
nella povertà e nella vita del credente offerta per amore a Cristo. Precisamente, è nel gesto di
consegna solidale della propria vita, all'azione della Provvidenza, che Dio fa la Chiesa,
associando quell'offerta a quella di suo Figlio, innamorato dell'umanità ferita. Questa è
l'esperienza più viva che ha avuto Don Orione della Chiesa: quando ha amato gli uomini con
l'amore di Gesù.
L'ecclesiologia in chiave della carità, mette allora in evidenza che la Chiesa non nasce
solamente dal fianco aperto di Cristo sulla croce, ma anche, da quel dialogo d’amore ineffabile
tra il Signore ed ogni uomo respinto, abbandonato ed emarginato di questo mondo. La carità,
segna l'orizzonte verso il quale la comunione ecclesiale deve incamminarsi: abbracciare tutto
l'uomo e tutti gli uomini.
In terzo luogo, questa dimensione cristologica e l'attenzione alle realtà dell'uomo,
segnano decisivamente la dimensione storica dell'ecclesiologia orionina. La prospettiva illumina
non solo la natura della Chiesa, la sua relazione col mondo e con la storia, ma traccia la rotta
della missione, cioè, essere segni e strumenti dell'amore di Dio. La natura della Chiesa ha per
fondamento l'azione storica della Provvidenza. Qui abbiamo l'intuizione profonda di Don Orione:
la natura della Chiesa rivela l'efficace azione della povertà del Padre che in Cristo, storicamente
tocca e trasforma, per amore, l'essere ferito della nostra umanità. Perciò la carità, motore
dell'azione della Provvidenza, è la forma essenziale che manifesta in un modo adeguato
l'identità della Chiesa. Se Dio per amore, diventa visibile in Cristo, la ragione d’essere e della
missione della Chiesa non hanno altra forza che questa.
È chiaro in Don Orione che, le tre dimensioni ecclesiali che abbiamo analizzato, mistica,
storica e profetica, sono vissute in un modo armonico. L'ecclesiologia della "Scuola Romana",
se da una parte valutava il cristocentrismo ecclesiologico, per un altro, sottolineava con vigore
la natura dell’”istituto positivo" della salvazione della Chiesa. La realtà motivata per Cristo è, al
di sopra di tutto, l'istituzione Chiesa, come l'insieme dei mezzi di salvazione e dei poteri da Lui
istituiti; istituzione che trova nella relazione strumentale con Cristo la sua profonda
giustificazione teologica. Senza negare questi aspetti, Don Orione con il suo sentire Ecclesiam,
li vive nel dinamismo della sua partecipazione all'azione provvidenziale che fa la Chiesa, mentre
offre la sua vita, come gesto della povertà divina, all'uomo bisognoso dell'amore che fa
risplendere la sua dignità.
La Chiesa, per Luigi Orione, diventa visibile nell'agape (condizione-stato), con la quale si
prolunga diaconalmente quest’amore che è germogliato dalla croce e Lei perpetua durante la
storia. Lì, la Chiesa si sveglia all'esistenza nel dialogo ineffabile del Cristo che si arrende per
amore. La profonda intuizione ecclesiale di Don Orione risiede nel fatto che, la visibilità della
Chiesa, è l'azione di Cristo, misericordia del Padre che, toccando l'umanità ferita con lo Spirito
Amore, torna a generare la sua Sposa. Questa esperienza di partecipazione nel mistero
dell'amore crocifisso del Signore, da una parte e della realtà sofferente dell'uomo dall’altra,
sono le premesse per parlare di una forma essenziale di manifestare la Chiesa. La carità, che
fa visibile Cristo redentore e Signore della storia, rivela la natura della Chiesa. Questo dialogo
sponsale che implica entrambi i sofferenti, fa si che l'avvenimento Chiesa sia più reale di quanto
lo sia il dolore umano. La Chiesa è visibile nella debolezza del sofferente, soffrendo lei stessa.
Di conseguenza, la visibilità ecclesiale, risplende nell'amore al Signore amato fino alle ultime
conseguenze. In questo, ella non vuole essere distinta dal suo Signore, perché l'amore la
trasporta precisamente ad identificarsi con l'Amato. Sappiamo anche che l'Amato,
identificandosi coi piccoli, con gli emarginati, coi quali è considerato come la spazzatura del
mondo, ha pronunciato l'unica parola che speravano di sentire: a voi appartiene il Regno (Lc
12,32). E continuare a pronunciare questa parola, è il mandato che il Signore ha lasciato come
missione alla sua Chiesa.
Cristo colloca la Chiesa al centro della storia, come il Padre ha fatto con Lui. Così, per
azione dello Spirito, conducono l'umanità, in mezzo alle vicende di questo mondo, verso il
Padre che è origine e meta di questo gran movimento. Evidentemente la figura ed il ruolo del
Papa nell'ecclesiologia orionina, non poteva rimanere indifferente a questa nuova prospettiva.
In Luigi Orione, il Papa-re, che non era un concetto astratto ma una persona concreta: Pio IX,
lascia il passo ad un'altra realtà concreta che porta per categoria l'espressione cateriniana di
"dolce Cristo nella terra", quando vede risplendere l'amore della Chiesa che non è distinto dalla
sua origine stessa; Cristo sacrificando la sua vita ai poveri, la consegna al Padre. La vera
rinnovazione dell'uomo e delle relazioni sociali viene precisamente da questa nuova solidarietà
col mistero della croce del Signore. La Chiesa pertanto, motivata in questa esperienza, non
deve abbandonarla mai, a rischio di crescere invano su un altro fondamento; e l'avvertimento
fatto a Pietro dal Signore, conserva validità durante tutta la storia (Mt 16,23).
Infine, non è sbagliato affermare che Don Orione insieme ad altri testimoni di questo
nuovo sentire Ecclesiam, ci aiutano a colmare il vuoto che esiste progressivamente nello
sviluppo ecclesiologico teologico e magistrale, tra i due concili Vaticani, quando per la sua
comprensione, si tengono solo in conto gli aspetti sistematici. L'attestazione di Don Orione,
mostra come le risoluzioni di alcuni punti dottrinali anticiparono quelli nel tempo, per mezzo
della sintesi vitale della sua spiritualità ed apostolato. Questa, non è solo una prospettiva che
deve servirci per sapere interpretare integralmente il passato, ma deve servirci anche per
anticipare nel tempo, la freschezza e la vitalità del volto della Chiesa: solo il dono di una vita
offerta per amore a Cristo negli uomini, sarà capace di superare le barriere che ci separano da
Lui.
IL IV VOTO DI CARITÀ DELLE
“Piccole Suore Missionarie della Carità”
Il IV voto di carità
Sappiamo che la fondazione del ramo femminile della “Piccola Opera della Divina
Provvidenza” fu strettamente legata all’apertura di una struttura assistenziale, verso il 1915, ad
Ameno, nella Provincia di Novara. Corre l'anno 1924 e questo stesso spirito si ritrova
nell'apertura del primo "Piccolo Cottolengo Genovese", a Marassi. Il primo gruppo di religiose
che partì verso l'Argentina arrivò il 22 di Dicembre del 1930; esse, vicine ad altre missionarie,
parteciperanno attivamente all'origine del "Piccolo Cottolengo Argentino". Quest’origine, ed il
suo sviluppo, segnò profondamente, pertanto, l'identità e la missione della congregazione, con
una spiritualità ed un apostolato tutto legato ai più poveri, che Don Orione tratterà di sintetizzare
con la redazione di un testo costituzionale, nel 1935.
Vediamo pertanto, che Don Orione non diede immediatamente un testo costituzionale al
ramo femminile della “Piccola Opera della Divina Provvidenza"; più ancora: dopo avere istituito
nel 1923 il noviziato canonico, le religiose emetteranno la prima professione dei voti canonici,
solo verso il luglio del 1927, ma secondo le costituzioni dei "Figli della Divina Provvidenza"52.
Questa situazione cambierà più tardi: il 12 Settembre del 1935, dal "Piccolo Cottolengo
Argentino", Don Orione inviò i primi capitoli delle costituzioni delle “Piccole Suore Missionarie
della Carità”, nei quali si parlò, per la prima ed unica volta, di un quarto voto per le religiose: il
voto di carità53:
|1| [...] I. Il titolo della Congregazione è: «Piccole Suore Missionarie della Carità».
2. Il fine primario e generale della Congregazione è la santificazione delle proprie
Religiose, mediante la osservanza dei voti semplici di povertà, castità, obbedienza e carità,
e di queste Costituzioni.
3. Suo fine particolare e speciale poi è l’esercizio della carità verso i prossimi, massime
col consacrare la vita a portare alla conoscenza e all’amore di Gesù Cristo, del Suo Vicario,
«il dolce Cristo in terra», il Romano Pontefice e della Santa Chiesa i piccoli figli del popolo e
i poveri più lontani da Dio o più abbandonati, mediante l’insegnamento della dottrina
cristiana e la pratica delle Opere evangeliche della misericordia [...]54.
52
[ma., calo., sf., ADO, Scr., 39,122]: «Nel nome della SS. Trinità Padre Figlio e Spirito Santo, io Sebastiana Assunta Tersigni
mi metto alla presenza di Dio e nelle mani di Maria Vergine Immacolata, e di voi sacerdote Orione Luigi mio Superiore e
faccio voto di povertà, di castità e d’obbedienza per un anno secondo le Regole e Costituzioni della Piccola Opera della Div.
Provvidenza e delle Suore Missionarie della Carità»; DOPSMC, 227-228. Ante l’imminenza della nomina del nuovo vescovo
diocesano di Tortona, scrive a Don Carlo Sterpi: «|1r| Urgente e riservato Per motivi facili a comprendersi, è urgente,
urgentissimo che le suore abbiano le Regole stampate. Voi prendete lo scopo nostro, primo capitolo come è nelle nostre
costituzioni, - poi, prendete le stesse nostre costituzioni (adattandole per le donne) o quelle della Michel, e le aggiungete al I
capitolo sul fine della Congregazione cambiando nome: le missionarie della carità. Ormai, tol eccettuata la diversità dello
scopo o fine, tutte le costituzioni sono le stesse e devono essere fatte sulla falsariga che fu data dalla Santa Sede: sono tutte le
stesse. È bene che il nuovo Vescovo trovi le costituzioni. Per le sacramentine idem (vedete che di farvi dare le regole dalla
Maria Gambaro delle sacramentine di Genova fondate da sua zia materna» [a C. Sterpi, 05.01.1935 c., ADO, Scr., 18,45].
53
Il manoscritto costituzionale delle «Piccole Suore Missionarie della Carità» fu spedito insieme alla lettera indirizzata a Don
Carlo Sterpi: [a C. Sterpi, 12.09.1935, c., ADO, Scr., 18,146-148]: «|1| [...] Vi accludo i primi due capi delle costituzioni delle
Missionarie della Carità. Fissato il nome e il fine speciale, - il resto, date le consapute norme date della Santa Sede, è, (poco
più poco meno) identico a tutte le altre congregazioni femminili; - quindi penso che, entro non molto tempo, potranno avere
anche esse le loro costituzioni. Ora preghiamo! Non si faccia rumore, ma, in caso che qualche Vescovo o autorità richiedesse
qual’è lo scopo, -ecco che sapranno cosa rispondere. -Sarebbe bene, penso, che voi faceste tirare 1000 foglietti di questo che
mando, perché ogni casa e ogni suora ne abbia copia [...]». In una bozza di tipografia, spedita a Don Orione, ci sono degli
errori, i quali sono salvati in una nuova copia dattiloscritta [a C. Sterpi, 09.11.1935, odac., ADO, Scr., 18,194].
54
[CC., PHMC, 12.09.1935, ma., ADO, Scr., 18,146-148b] (Fdig 18,147).
Prima di entrare nell'analisi del contenuto, evidenziamo alcune caratteristiche delle tappe
che lasciarono tracciata la coscienza canonico-legislativa55. Sappiamo, attraverso le brutte
copie dei testi, che l'inclusione del IV voto di carità avvenne in un secondo momento del
processo di redazione dello strumento legislativo, per la necessità di stabilire in modo più chiaro
lo spirito dell'Istituto56. D'altra parte, i capitoli delle costituzioni furono spediti da Don Orione, il 2
Settembre di193557 e prove di stampa arrivarono a Buenos Aires affinché egli le correggesse il
20 di Ottobre58; posteriormente, il 4 Novembre, con un gesto molto importante, Don Orione
chiede a Don Carlo Sterpi di affidare a Madre Maria Tersigni, superiora delle suore, il compito di
distribuire lei stessa le copie del testo legislativo alle religiose59. Orbene, le suore non
arrivarono a professare questo IV voto, a causa della presenza dell'Abate Emanuele Caronti, e
della sua posizione rispetto ai quarti voti60.
Nel 1975, Don Giovanni Pirani (1915-1991), allora postulatore della causa di
beatificazione di Don Orione, indica l'importanza del manoscritto costituzionale del 1935, alle
suore che erano riunite per la preparazione del Capitolo Generale nel quale dovevano
aggiornarsi le costituzioni alla luce del Concilio Vaticano II. Questa segnalazione inciderà in
modo importante, non solo su tutto ciò che è riferito al quarto voto di carità, ma anche sulla sua
relazione nell’approfondimento della teologia orionina della carità, implicita nella prassi e
spiritualità dell’istituto.
«Inizia facendo [la moderadora de la asamblea] leggere da D. Pirani la lettera che Don
Orione ha scritto a Don Carlo Sterpi con i primi articoli delle nostre cost. Il 12/9/1935. Sono
subito letti gli articoli autografati di D. Orione e viene chiesto all’assemblea se li accetta. A
questo punto D. Pirani accenna al come sia stata trovata tale lettera61 e per il quarto voto fa
presente come la Chiesa, a quei tempi non permetteva che si facesse il quarto votio»62.
L'assemblea del Capitolo Generale approva la necessità di iniziare una riflessione,
durante il sessennio 1975-1981, in preparazione al Capitolo Generale di 198163. Questo lungo
55
Sobre el «cuarto voto de caridad»: PIRANI, G., Studio sul Quarto voto di Carità. OLIVIERI, G., Conferenza sul Quarto voto di
carità. RUGGERI, A., Conferenze sul Quarto Voto di carità. PRETO C., Virtù e voto di carità. ARMENDARIZ, M., «Il IV voto di
Carità». Cf. Capitolo Generale del 1975; Instrumentum laboris del Capitolo Generale del 1981; la lettera di Madre Caterina
Preto del 20.09.1975; e la lettera circulare del 26.08.1978; il Capitolo Generale del 1981; questi documenti in ASPSMC.
56
[CC., PHMC, sf., mi., ma., corr., inc., ADO, Scr., 97,219].
57
Don Orione scrive per due volte (Cf: [a C. Sterpi, 02.10.1935, c., ADO, Scr., 18,159]: «[...] A voi, un 20 e più giorni fa,
inviai anche i due primi capitoli delle costituzioni per le suore; in data 2 sett.bre. [...]» e [a C. Sterpi, 09.10.1935, c., ADO,
Scr., 18,166]: si sorprende che non siano arrivati a destinazione.
58
[a C. Sterpi, 23.10.1935 c., ADO, Scr., 18,181b]: «|2| [...] Ho ricevuto le costituzioni e tutto, meno il pacco di oggetti
religiosi, che è rimasto ancora a Montevideo [...]».
59
Don Orione, corretto un errore tipografico nel 3° art. del 1° capitolo, invia le correzioni dicendo: [a C. Sterpi, 09.11.1935,
odac., ADO, Scr., 18,194]; è un’aggiunta a macchina alla lettera manoscritta: «Si ristampino il foglio corretto, e si mandino a
tutte singole le Suore delle diverse Case». [a C. Sterpi, 28.10.1935, c., ADO, Scr., 18,188]: « [...] Direte alla Superiora che io
non ho comunicato a queste Suore [en Argentina], né a quelle dell’Uruguay, i due capitoletti primi delle loro costituzioni; li
mandi essa, dattilografati [...]».
60
DOPSMC, 227.
61
Il contenuto del manoscritto costituzionale, in particolare la volontà di Don Orione di un IV voto di carità, non era una realtà
sconosciuta per le religiose. Sappiamo che le suore conoscevano il contenuto del manoscritto costituzionale del 1935, almeno
dal 1962, quando questo viene pubblicato insieme ad altri scritti del Fondatore diretti alle religiose. Il testo completo si trova
pubblicato in: Il Padre Fondatore Servo di Dio Don Luigi Orione alle Piccole Suore Missionarie della Carità, 402-403; al
quale venne allegata la riproduzione del manoscritto di Don Orione nella seconda edizione: Don Orione, alle Piccole Suore
Missionarie della Carità, 314-315. D’altra parte, sicuramente fece parte, attraverso quella pubblicazione, dei lavori per
l’elaborazione del testo costituzionale del 1969, dove si trascrive letteralmente il testo del 1935, per ciò che riguarda il fine
della congregazione, omettendo il riferimento al quarto voto di carità. Nel testo costituzionale approvato nel 1965, all’art. 2, si
riproduce il fine (che stava nel n. 3 del manoscritto orionino del 1935), lasciando da parte il IV voto di carità; questo vale
anche nella versione approvata nel 1969 (cf. [CC., PHMC, impr., 1969, n. 4]).
62
Verbale del IV (V) Capitolo Generale, 15 Riunione Generale, acta giorno giovedì 24.04.1975, 64, en ASPSMC.
63
Idem, 65.
itinerario di approfondimento, culminerà con la redazione del testo costituzionale del 1982, e
l'inclusione del IV voto di carità64.
Lasciando da parte queste notizie ed entrando nell'analisi del testo costituzionale del
1935, riconosciamo che questo venne a coronare il processo d’esplicitazione carismatico. È
durante il periodo 1934-1937, che Don Orione segna e caratterizza in un modo ancora più
chiaro, la missione di carità della famiglia delle religiose; perciò, il documento canonico non
deve considerarsi al di là del contesto che gli ha dato origine e senso: lo stato di prove spirituali
del Fondatore, e lo sviluppo delle opere assistenziali, specialmente del "Piccolo Cottolengo
Argentino." I testi costituzionali compilati da Don Orione, com’è successo in altre occasioni,
segnano le tappe della sua coscienza carismatica; è di vitale importanza non dimenticare ciò,
essi si nutrono della prassi pastorale e delle esperienze spirituali, personali e comunitarie dei
membri della famiglia religiosa, e non l’inverso.
In questo senso, lo stesso Fondatore, nei diversi manoscritti dei capitoli delle Suore, volle
evidenziare il luogo dal quale rivolgeva il suo messaggio all'intera famiglia delle religiose: il
"Piccolo Cottolengo Argentino", frase che segue al lemma della congregazione instaurare
omnia in Christo; queste due indicazioni sono la chiave per comprendere il senso di quanto
abbiamo detto sulla carità. D'altra parte, lo è anche la data eletta: 12 Settembre65, che con ogni
probabilità, non fu la data di redazione, bensì quella alla quale si cercò di riferire il cambiamento
di nome dell'Istituto con la festa del nome di Maria. La Madonna che si auto proclama "la
piccola serva del Signore" (Lc 1,48), proteggerà ed accompagnerà le sue figlie che, da quel
momento, saranno chiamate "Piccole Suore Missionarie della Carità"; più ancora: la
modificazione del nome indica l'identificazione con quelli che devono amare e servire: gli
"abbandonati" del "Piccolo Cottolengo"; e questo sarà per loro il privilegio più alto: servire per
amore, i piccoli di Gesù66.
La diaconia della carità, abbracciando la realtà del "piccolo", dell’"abbandonato",
riproduce il gesto di Gesù, di abbracciare e fare propria la realtà dell'umanità sofferente; questo
è il segreto della grandezza e l'efficacia del sacramento del servizio fatto per amore. È questo
spirito di carità, che implica l'identificazione coi piccoli, rende possibile la trasfigurazione della
realtà della sofferenza in presenza salvifica, e, pertanto, in «persona in Ecclesiae». Questo
servizio non si limita ad un'azione assistenziale, la quale deve essere senza dubbi d’altissimo
livello, ma includendola, racchiude e manifesta contemporaneamente, un nuovo modo di vivere
l'esistenza umana: essere segno efficace della povertà di Dio.
Alla luce di queste considerazioni, è comprensibile capire che la carità, pertanto, è una
missione che compete a tutti i membri della famiglia religiosa; non c'è necessità di sezioni
speciali, come lo fu per il IV voto di fedeltà al Papa, che siano idonei e per l'emissione di un voto
animato dallo spirito di carità67.
Ci manca un ultimo elemento per comprendere pienamente il carisma orionino; la
consacrata che desidera essere una "missionaria del Dio Amore" 68 deve impegnarsi a basare
64
[CC., PHMC, impr., 1982, n. 42-46]; e [N., PHMC, impr., n. 14-19]. Nella formula, il quarto voto, è scritto per le PSMC:
[CC., PHMC, impr., 1982, n. 117a]: «[...] Faccio questa mia professione religiosa per vivere nella perfetta carità al servizio di
Dio e dei miei fratelli più poveri. Metto la mia vita a disposizione della Chiesa e del Papa nell’esercizio dell’evangelizzazione
e delle opere di misericordia»; e per le Sacramentine non vedenti: [CC., PHMC, impr., 1982, n. 117b]: «Faccio questa mia
professione religiosa, per vivere nella perfetta carità al servizio di Dio. Offro a Lui la privazione della vista per i fratelli che
non conoscono la verità».
65
Secondo la lettera inviata da Don Orione: [a C. Sterpi, 02.10.1935, c., ADO, Scr., 18,159], la data di spedizione del capitolo
delle CC. delle PSMC, fu il 2 di Settembre. Da ciò si può dire che la scelta della data fu intenzionale..
66
PRETO C., Virtù e voto di carità, 11.
67
LANZA, A., Il Beato Don Orione e le Piccole Suore Missionarie della Carità, 181.
68
[a «Le Missionarie della Carità», 18.08.1921, c., of., ADO, Scr., 39,144-145]. DOPSMC, 163-164: «[...] La vostra minima
istituzione fu fondata nel cuore di Gesù, perché di là è venuta la carità sulla terra e di là voi la dovete attingere per voi e per gli
altri cui la misericordia di n. Signore vi indirizzerà, e la vostra fede sta nella croce e nella Chiesa del Papa, e la vostra fermezza
la santità della sua vita sull’“esercizio della carità”. Quest’espressione, tanto cara a Don Orione
e che si trova molte volte riferita alla vita di San Giuseppe Benedetto Cottolengo 69, completa la
circoscrizione, aperta nel manoscritto col riferimento al "Piccolo Cottolengo Argentino",
sottolineando nell'articolo tre, riferito al fine particolare, l'espressione «consacrare la vita a
portare alla conoscenza e all’amore di Gesù Cristo, del Suo Vicario, “il dolce Cristo in terra”, il
Romano Pontefice e della Santa Chiesa i piccoli figli del popolo e i poveri più lontani da Dio o
più abbandonati»70. C’è qui la sintesi ed il midollo dell'esperienza della carità orionina:
diffondere la conoscenza e l'esperienza dell'amore di Gesù, come la ricapitolazione di un unico
movimento dialogico: L'amore di Gesù che libera i poveri, e la risposta esistenziale di ognuno di
essi, che fa di loro l’unica Chiesa. In questa maniera, Lei che generata quel pomeriggio da
Gesù crocifisso col suo cuore trapassato dalla lancia, tornerà a guardare nuovamente la luce,
nella povertà e sofferenza dell'abbandonato, trapassato dalla diaconia della carità, e potrà
ringiovanire, ogni giorno e sempre, nella realtà che la fa più bella: essere per sempre sua
Sposa. Questo è il senso teologico dell'azione, che si attualizza nella diaconia della carità
orionina. Questo stesso spirito, di una carità viva, in azione, perché animata da uno spirito
fecondo, tutto di Gesù, tutto dei poveri, è quello che è rimasto plasmato anche in quella che è
considerata, la Magna carta delle "Piccole Suore Missionarie della Carità":
[...] Vi ho poste tutte e vi pongo ciascuna nelle mani della SS. Vergine, perché siate
quali n. Signore vi vuole, tutte umili, modeste, piene dello spirito di sacrificio e della carità di
Gesù Cristo, a servizio dei poveri, dei piccoli e degli abbandonati, vivendo ai piedi e
nell’amore dolcissimo della sua S. Chiesa e del Vicario di n. Signore.
[...] Ogni abbandonato trovi in voi una sorella in G. C. e una madre, e mentre curerete i
dolori del corpo, donate alle anime la luce e il conforto di Dio71.
Conclusioni
Oggi dovrebbe essere chiaro, che parlare canonicamente di due congregazioni distinte, i
"Figli della Divina Provvidenza" e le "Piccole Suore Missionarie della Carità", non implica la
separazione dell’intero soggetto collettivo del carisma che è la "Piccola Opera della Divina
Provvidenza"; essa è una stessa ed intera famiglia, con molti rami, (anche quello laicale) che si
nutrono da un tronco comune: il carisma orionino. L'insistenza del piano originale, di una
famiglia religiosa che avesse in mano altri istituti, come può comprovarsi nel "Pro memoria sulla
Compagnia del Papa", ebbe la sua realizzazione storica nella Piccola Opera della Divina
"Provvidenza" che in vita del Fondatore univa, sia il ramo maschile sia il femminile. La
considerazione di un unico individuo collettivo del carisma è l'unica via per comprendere
completamente il senso profondo del dono che il Signore ha voluto dare all'umanità.
D'altra parte, il processo spirituale di Luigi Orione, e il percorso istituzionale della
fondazione, verso l'espressione piena del dono che Dio ha voluto dare all'umanità per mezzo
della Chiesa, sono intimamente relazionati. In ambedue, è possibile riconoscere che le
categorie teologiche più profonde, specialmente le ecclesiologiche, sono vissute in un modo
storico concreto; in questo senso, Don Orione è uno dei pochi fondatori che ha espresso la
ricchezza e complementarietà del messaggio carismatico, con due quarti voti che si richiamano,
sta nella santa Provvidenza e nella Chiesa santa del Papa e dei Vescovi che sono in unione e dipendenza con lui che è il
Vicario unico di Gesù Cristo sulla terra. La vostra minima Congregazione religiosa porterà il nome di «Missionarie della
Carità» il che vuol dire Missionarie di Dio perché «Dio è Carità» «Deus Charitas est»: vuol dire missionarie di Gesù Cristo,
perché Gesù Cristo è Dio ed è carità: vuol dire missionarie, cioè evangelizzatrici e serve dei poveri perché nei poveri voi
servite, confortate ed evangelizzate Gesù Cristo».
69
[«Il Piccolo Cottolengo Genova», oimp., ADO, Scr., 110,189].
70
[CC., PHMC, 12.09.1935, ma., ADO, Scr., 18,146-148b] (Fdig 18,147).
71
[a «Le Missionarie della Carità», 18.08.1921, c., of., ADO, Scr., 39,144-145]. DOPSMC, 163-164.
nella diversità e nell'unità. Per quanto, come abbiamo visto, essi sono l'espressione di una
realtà viva e feconda, come sono la spiritualità, la fraternità, la fratellanza e la prassi pastorale.
Questa è stata la vita del Fondatore e continua ad essere, della sua famiglia religiosa.
Sono queste realtà “complesse”, quelle che ci aiutano a comprendere quale sia la natura
di questa carità nuova: la "condizione-stato" del credente, che lo porta a vivere il suo
inseguimento di Cristo nella diaconia all'uomo sofferente, nella "condizione-stato" della Chiesa.
Le conseguenze di questa nuova realtà, si vedono immediatamente nel senso delle opere, nelle
quali questo spirito di carità si esprime e che trasforma gli attori di questa esperienza, in
soggetti trasfigurati dall'amore e dalla misericordia del Signore. I protagonisti, nelle opere di
carità, non esauriscono la carità nell'assistenza, ma procedono fino a trovare il Signore,
mediante la fede e la donazione totale di se stessi, ancora in mezzo alla sofferenza, perché è lì,
nella croce, dove Gesù continua a completare la sua passione in ogni uomo e donna addolorati.
Il servizio d’amore, nato dalla fede in Gesù che soffre negli uomini, è la più profonda delle
libertà con le quali l'uomo può essere liberato. Perciò, la carità, non è in principio un'attività:
questa è l'espressione di uno stato nuovo; è il frutto di una profonda trasformazione del cuore
dell'uomo per la grazia di Dio, e la propria esperienza di sofferenza. Man mano che Don Orione
ha vissuto storicamente l'insegnamento di Gesù, si è reso conto, che la carità non era una
componente o un elemento categoriale, che vicino ad altri, facesse parte del mistero del
Signore: la carità è proprio il Signore. In lui la carità, non è una realtà astratta, ma una persona.
In questo senso, è importante vedere il ruolo che ha avuto la storia nella prassi orionina: lì si
scopre il motore che spiega e trasmette il senso del mistero dell'amore.
Un'altra conseguenza di questa nuova realtà è la comunicabilità di senso, che nasce
dall'attestazione dei soggetti della carità. Le opere di carità non sono, in questa prospettiva,
l'apologia di una realtà differente della Chiesa […]. Esse non vogliono convincere nessuno di
niente: a chi si lascia attirare dalla loro presenza, offrono la cosa più preziosa che possiedono:
un cuore trafitto che li ama come suoi prediletti; un'alleanza sponsale, che li ha trasformati in
Chiesa. Le opere di carità, non si esauriscono in un atto di assistenza, per grande che sia, ma
procedono fino a riposare nell'incontro col Signore nella croce, che donandosi totalmente, fa di
questo gesto e di questa diaconia, la Chiesa. Così, la presenza del "Piccolo Cottolengo", nella
vita di Luigi Orione, e della sua famiglia religiosa, non è un'opera tra tante altre; ha
accompagnato il processo spirituale più intenso della vita del sacerdote tortonese, è la tappa
dove la missione ha raggiunto uno sviluppo apostolico, soltanto superato, negli ultimi decenni.
Lo spirito di carità, del quale si nutre ogni attività ed ogni attore di questo meraviglioso dramma
della storia della salvazione, è quello che meglio ha reso evidente il senso della Piccola Opera
della divina Provvidenza, che di essa è una piccola espressione. Fu lo spirito di carità dei
"piccoli" del Cottolengo, dei "los desamparados", come piaceva chiamarli, quello che
evangelizzò Luigi Orione, facendolo, tutto di Dio, tutto degli uomini. E di questo egli fu cosciente
e riconoscente72.
Questa particolarità fa notare come, il fine specifico della "Piccola Opera" non possa
essere solamente l'amore al Papa, slegato dalla carità; Papa-poveri è l'espressione di questa
genialità dello Spirito; è l'espressione teologico-carismatica del mistero della Chiesa. In una
concezione di chiesa, societas perfetta, le opere di carità sono considerate come argomenti
apologetici della Chiesa istituzione, di fronte alle questioni dell'illuminismo e dell'agnosticismo; il
72
È sufficente citare le parole di Don Orione diffuse da «Radio Ultra»: «Amati Argentini: è giunta per me l’ora della
partenza[...] Parto dall’Argentina dopo una permanenza che doveva esssere breve e che Dio Nostro Signore, con segnali
visibili della sua Provvidenza, ha voluto prolungare per tre anni dal vostro miracoloso Congresso Eucaristico [...] Ebbene,
voglio dire a tutti ed assicurarvi che in Argentina ho trovato per sempre la mia seconda patria e che coll’aiuto di Dio ritornerò
in essa, vivo o morto perché voglio che le mie ceneri riposino nel Piccolo Cottolengo Argentino di Claypole confortate dalle
preghiere di tanti cuori che per la vostra inesauribile carità troveranno qui, tra le braccia umili ma ricolme di affetto dei miei
amati figli, i religiosi della Divina Provvidenza”. [1937, dac., ADO, Scr., 74,13], il testo originale è in castgliano.
Papa è il Papa-re. In questa posizione, la carità è un mezzo per; invece, abbiamo visto, la carità
è molto di più: è il modo più adeguato con cui l'amore e la devozione al Papa, lo aiutano
affinché egli raggiunga la profondità della missione evangelica. È la missione di Pietro, e dei
suoi successori, essere l'espressione visibile di quell'unità che nasce dall'incontro con Cristo. È
il Cristo risorto a confermare il primato di Pietro, quando gli dice che pascoli le sue pecore, (Gv
21,15-17). Don Orione, ha voluto con la carità unire il Papa e lui all'umanità con Cristo. Quello
che, in apparenza si mostra come una strategia pastorale, è in realtà un modo di vivere la
Chiesa, perché la Chiesa profondamente trapassata dalla carità rappresenta già l'eschaton nel
tempo (cf. 1Cor 13,13). In altre parole, c'è un'altra forma evangelica di pascolare il gregge che
non sia con l'amore? C'è un'altra unità del cristiano con Cristo che non sia frutto della carità?
Riprendendo la sintesi della coscienza petrina di Don Orione, del 1934-1937, abbiamo
analizzato la sintesi dell’esperienza del principio caritas, ed alla luce di questo dialogo, è stato
possibile vedere due movimenti, il primo retrospettivo (la carità come opera di misericordia) che
ha raggiunto il secondo, introspettivo: la carità come terza via di comprensione teologica della
Chiesa. Dalla carità nel suo aspetto etico, passando a quello di consacrazione totale, per
arrivare all’aspetto ontologico73. La nostra prospettiva, pertanto, non si è avvicinata alle opere
di carità, come causa strumentale della pastorale della Congregazione, ma partendo da esse,
dallo stato spirituale di Luigi Orione e dai suoi scritti, abbiamo potuto captare la sua teologia
sottostante: quella della Chiesa Carità.
73
TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologica, II-II, q. 186. a.r.c.