L`esperienza della carità di Luigi Orione
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L`esperienza della carità di Luigi Orione
La riflessione elaborata da don Fernando H. Fornerod è preziosa per comprendere meglio l’esperienza spirituale vissuta da Don Orione mentre scriveva i primi due capitoli delle Costituzioni delle Piccole Suore Missionarie della Carità, e soprattutto dà luce al significato del IV voto di carità. Fernando Héctor Fornerod fdp “Dagli Atti dell’Incontro Interprovinciale in Argentina (2009), p. 19-68). L’ESPERIENZA DELLA CARITÀ DI LUIGI ORIONE Introduzione Se c'è una categoria-esperienza che, vicina alla "papalinità", leghi l'intera vita ed opera di Luigi Orione, quella è precisamente l’esperienza della carità. Ella è il filo provvidenziale che unisce gli atteggiamenti appresi in seno alla sua famiglia, i primi servizi ai più bisognosi nell'ospedale e nella prigione di Tortona; le fondazioni di opere in favore dei più poveri e la consegna senza misure soccorrendo le vittime dei terremoti di Messina (1908) e della Marsica (1915). L'attenzione ad ogni persona che si avvicinava nel suo dolore per cercare consolazione, dai personaggi di Chiesa fino ai più lontani della fede; la sua vita, bruciata per amore verso gli sfortunati è una sintesi tra azione e contemplazione; le parole pronunciate al suo medico, il prof. Manai, pochi giorni prima della sua morte, sono un vero riassunto della sua vita: [...] Dite la verità: sono alla fine dei miei giorni? [...] Perché, quando è così, io voglio togliermi anche da questa stanza troppo di lusso e morire nella povertà. Io sono un povero figlio di campagna, mio padre era selciatore di strade, tutta la mia famiglia era povera. [...] Io voglio andare a morire fra i poveri, all’istituto di Borgonovo. Là ci sono tanti ragazzetti senza nessuno, abbandonati, raccolti dalla Provvidenza. Voglio morire attorniato da quei figli, in una casa che vive e pratica la povertà [...]1. Guardando indietro, queste parole, ci portano a riconoscere nei suoi primi passi come fondatore, le azioni concrete a beneficio dei poveri, come per esempio, l'apertura dell'Oratorio "San Luigi" e più esattamente la "Piccola Casa" nel quartiere di San Bernardino, opera che come ricordiamo fu destinata ai candidati al sacerdozio che, per motivi economici, non potevano frequentare il seminario diocesano aperto da mons. Igino Bandi a Stazzano. Vengono anche alla memoria le parole scritte a Don Carlo Sterpi, inviandogli il testo costituzionale dei Figli della Divina Provvidenza nel 1936: «[...] la nostra Congr.ne è più per i poveri e per ha un carattere essenzialmente più umile, e artigiano e popolare e papale [...]». Orbene, ci domandiamo in primo luogo: a che cosa si dovette l'accentuazione delle opere di carità assistenziale, in una famiglia religiosa tutta destinata a servire e difendere il Papa? Esiste una crescita dell'azione pastorale verso i più bisognosi, che ci permetta non solo di riconoscere uno sviluppo carismatico, ma anche teologico dell'esperienza della carità? Sappiamo che la carità in Don Orione non fu una realtà astratta: essa è stata un'esperienza mistica - apostolica, che ha nel suo cuore, una vera spiritualità e pertanto, una teologia. Il nostro lavoro consisterà pertanto, nel descrivere ed approfondire la sua esperienza d’amore a Cristo 1 SPARPAGLIONE, D., Il Beato Luigi Orione, 302. negli uomini "due fiamme d’unico e sacro fuoco". Da questa prospettiva si capirà la sua cristologia e di conseguenza anche l'originale esperienza ecclesiologica orionina. In secondo luogo, bisogna affermare che quest’esperienza si manifesta, gradualmente, nello sviluppo dell'azione pastorale delle opere di carità assistenziale. Purtroppo, per ragioni di tempo, non avremo l’opportunità di approfondire a lungo tale argomento; ma possiamo dire sinteticamente che tale sviluppo è intimamente rapportato alla fondazione e consolidamento del ramo femminile della Piccola Opera: La congregazione delle "Piccole Suore Missionarie della Carità", il cui IV voto di carità analizzeremo domani sera. Allora, se ci fermassimo a questi due campi investigativi, vale a dire la prassi pastorale e le nuove fondazioni, e non descrivessimo il particolare svolgimento di maturità interiore del nostro Luigi Orione tra gli anni 1934-1940, correremmo il rischio di non trovare il nucleo fondamentale della sua esperienza di carità. Sappiamo che, la coscienza petrina orionina ebbe un approfondimento e una contestualizzazione (dal Papa-re al Papa-Dolce Cristo in terra). Analogamente ed in corrispondenza con essa, è possibile riconoscere, nell'evoluzione della prassi pastorale, una progressione ascetica ed una conseguente maturità spirituale, che manifestano un'originale esperienza teologale della carità. Allora, in questo complesso e vitale scenario, ci domandiamo anche: qual’è l'originale natura dell'esperienza di carità in Don Orione? Solo quella della virtù che perfeziona ogni atto morale, o c'è qualcosa in più? L'obiettivo di questa relazione dunque, consiste nell’approfondire l'esperienza del principio caritas in Don Orione, come proposta di soluzione a questi punti interrogativi. La metodologia scelta consiste nel prendere come sorgente della riflessione un gesto pastorale. Tale avvenimento segna un punto di svolta nel processo dell'esperienza pastorale orionina: ci riferiamo all'apertura del "Piccolo Cottolengo Argentino", il 21 Maggio del 1936. Da quest’iniziativa, che evidentemente non è isolata da tutte le altre opere verso i bisognosi e che, pertanto, è iscritta in questo processo, realizzeremo la nostra analisi dell'esperienza di carità orionina. «Scriverò la mia vita con le lacrime e col sangue»2 Il periodo che, nella vita di Luigi Orione, va dal 1934 a 1937, si presenta di una fecondità spirituale e di uno sviluppo missionario straordinari. Non dovrà sorprenderci costatare che il periodo di maggiori prove interne ed esterne, sia accompagnato dall’apertura del maggior numero di opere di carità nel continente latinoamericano. Don Orione parte dal porto di Genova imbarcato sul "Conte Grande", il 24 Settembre del 1934, con destinazione Buenos Aires, dove arriverà il 9 d’Ottobre. La sua permanenza in America Latina si prolungò fino al 24 Agosto del 1937. Sappiamo che egli era già stato in Argentina, Uruguay e Brasile, tra il 1921 e il 1922; allora, cosa ebbe di particolare questo secondo viaggio? Tra i motivi della partenza, i più conosciuti s’inquadrano nel suo desiderio di consolidare le comunità in quelle terre, e partecipare a Buenos Aires al 32° Congresso Eucaristico Internazionale; tuttavia, negli scritti diretti ad amici vicini alla famiglia religiosa, egli lascia percepire un profondo dolore che l'affligge: |1v| [...] Confesso che anch’io ho tanto sofferto nel lasciare l’Italia e i miei cari poveri, gli orfanelli, le malate, le povere vecchierelle; quando poi penso ai miei cari chierici, devo farmi forza per non piangere, poveri figli! Ma la Divina Provvidenza sa perché sono qui, e li 2 [25.02.1939, ma., fotogr., ADO, Scr., 105,200-201]; (IC., 328-331). assisterà! |2r| [...] sento che il Signore mi sta vicino, più che una madre, nella sua grande misericordia: sono nelle mani di Dio, non potrei essere in mani più sicure3. Così pure in molte delle lettere circolari indirizzate ai membri della sua famiglia religiosa, lascia intravedere che in questa separazione c'è qualcosa di più, ma che, per il momento, non può manifestare apertamente; solo li rende partecipi della fiducia che lo sostiene, quando afferma: “un giorno comprenderanno le circostanze del mio allontanamento”. Dunque, cosa motivò effettivamente il secondo viaggio di Don Orione in America Latina e la sua permanenza tanto prolungata? Le cause, furono di natura diversa, ma con alcuni elementi in comune; certe si dovettero al suo impegno evangelizzatore e alla grande opera di carità iniziata dopo il Congresso Eucaristico Internazionale; altre apparvero molto dolorose, tanto che lo fecero sentire come in esilio. Andiamo per ordine. In una lettera che scrisse alcuni giorni dopo essere sbarcato a Buenos Aires, manifesta al vescovo mons. Simone Pietro Grassi, il suo stato interiore. L’epistola non poté essere letta dal prelato, poiché egli morì il 31 ottobre: |4r| [...] Non tema che io prenda troppa preponderanza in Tortona: Ella sa, o mio buon Padre, che mai ci siamo intromessi nel governo della Diocesi, né direttamente né indirettamente; solo quando V. Eccellenza mi parlava di qualche Suo dolore, ho cercato di darLe un qualche conforto. Eccellenza, con quell’amore di figlio con cui La ho sempre amata e servita, La supplico umilmente in Gesù Cristo e nella |4v| Santa Madonna di non voler morire così. Ella sa che si é tentato coprirmi di fango, e di qual fango! È da quattro anni che io sto aspettando una parola dal mio Vescovo di difesa: la calunnia ha così dilagato nella Diocesi e fuori, che fin i miei Chierici la sanno! Come ne hanno parlato Sacerdoti e laici. Ho sempre taciuto, ho sempre sofferto e pregato, ma non sono sasso |5r| né pietra [:] si tratta del buon nome, e di ciò che un Sacerdote deve avere più caro: il suo onore. Ci siamo rivolti alla nostra Chiesa e al nostro Vescovo... Non ho mai chiesto processi: non voglio il male di nessuno, ma il bene di tutti: perdono a tutti, vorrei dare la vita per tutti. In oratione, in silentio et in spe ho atteso pazientemente e con piena fiducia di figlio una parola del mio Vescovo |5v| e Padre, che dicesse: non é vero: dalla Chiesa mia di Tortona, che ho amato sempre e servito come si ama una Madre: la parola non é venuta. O mio buon Padre, non vogliate morire così!4. Tutto l'amore per il suo vescovo si unisce al dolore causato dalla calunnia che cominciò a circolare prima a Melide, in Svizzera, e dopo nella diocesi di Tortona nel 1931, collegata agli eventi del suo avvelenamento mentre esercitava come Vicario Generale della diocesi di Messina nel Luglio 1910. Ma per comprendere il suo stato d’animo, abbiamo bisogno di riferirci ad un'altra vicenda. Tra l’immensa consolazione sperimentata grazie alle iniziative realizzate in più di due anni in terra latinoamericana, il 7 Luglio del 1936 la Santa Sede nomina un Visitatore Apostolico per la congregazione: l'Abate Emanuele Caronti (1883-1966); certamente la nomina fu accolta con gioia da Luigi Orione. Più tardi, dandone notizia ufficiale, scrive ai suoi religiosi e religiose: |2| [...] Viene a noi, poveri figli di Adamo, nell’Abate Caronti, Visitatore Apostolico, per orientarci in Domino e confortarci a perfezionare la intera consacrazione di noi stessi al 3 [«ai Sig.ri Coniugi Eugenio e Teresa Beaud», 27.10.1934, c., ADO, Scr., 41,154-156]; (L. II, 106-107). [a «Mio buon Padre in Gesù Cristo», 16.10.1934, c., ADO, Scr., 107,208]; un'altra copia di questa lettera: [a S. Grassi, 16.10.1934, c., of., ADO, Scr., 45,323-325]. Sul contenuto della lettera spedita a mons. Simon Pietro Grassi dice a Don Carlo Sterpi: «|1r| [...] Jeri col “Conte Grande” vi ho mandato una lettera; - dopo averla scritta, ho scritto pure a Mg.r Vescovo, ma, a metà di detta lettera, non ho più potuto resistere, e sono entrato nel delicato e penosissimo argomento. Ho scritto a sbalzi e come mi veniva. Non c’era più tempo per rifarla né per farne io stesso una copia.. |1v| [...] Ho fatto il mio dovere. Non esiste altra copia: voi ne farete subito fare tre copie per l’Archivio. Ora sono un po’ piû tranquillo: la cosa non poteva restare così [...]» [a C. Sterpi, 17.10.1934, c., ADO, Scr., 93,113]. Don Carlo Sterpi le comunica la morte del vescovo e l’impossibilità di che lui abbia letto l’epistola: STERPI C., [a L. Orione, 07.11.1934, c., ADO, Scr. St., 7,270]. 4 Signore Nostro Gesù Cristo Crocifisso, e alla Santa Chiesa, a servizio dei piccoli e dei poveri, nell’apostolato della carità: perché viviamo senz’altro desiderio che del discepolato dolcissimo e gloriosissimo di Cristo e del Suo Vicario in terra [...]5. Ma in una lettera personale datata 1 Agosto 1936, Don Orione da Buenos Aires, ignorando i motivi di tale intervento pontificio, lo collega agli avvenimenti per i quali aveva scritto, due anni prima, a mons. Simone Pietro Grassi. All'Abate spalanca il suo cuore spiegandogli le motivazioni profonde che lo portarono verso il nuovo continente; Luigi Orione, aprendo la sua anima al benedettino ci permette di cogliere le fibre più intime del suo spirito: [...] E qui mi par conveniente manifestare in via riservata a Vostra Eccellenza, che, quando ho lasciato l’Italia, non sono venuto in America solo con l’intendimento di visitare gli Istituti che la Piccola Opera della Divina Provvidenza già aveva qui, ma senza dirlo neanche al Don Sterpi, per non dargli più grave dolore, mi son gettato in mare, quasi come un Giona, nella speranza che la mia lontananza avrebbe calmate onde furiose, e salvata la barca della mia povera Congregazione. Ed era pure necessario che io mi allontanassi per porre un atto, a tutela del mio buon nome. Da oltre quattro anni avevo atteso invano -in silentio, in oratione, et in spe- che si dicesse una parola a riparazione di un’orribile calunnia, divulgata in Diocesi e fuori molto simile a quella del cattivo prete Fiorenzo. Vedendo che, oramai, era vano sperare, ho creduto di dover seguire l’esempio di San Benedetto, che abbandonò Subiaco, e si ritirò a Montecassino: - mi sono tolto silenziosamente da Tortona, tanto più che l’occasione si presentava, poiché qui si celebrava anche il Congresso Eucaristico. Lasciai la Congregazione in buone mani e la mia causa nelle mani di Dio6. L'abate lo tranquillizzerà, facendogli capire che il motivo della sua missione era dare all'istituto la struttura canonica richiesta dalla Santa Sede, per un'eventuale approvazione pontificia. Intorno a questa visita apostolica emergono altri problemi che motivarono l'allontanamento. In questa situazione di sofferenza dobbiamo aggiungere che Don Orione teme che a causa di tutto ciò, la “Piccola Opera della Divina Provvidenza”, sia fusa con altri istituti. A Don Carlo Sterpi gli scrive: [...] Certo che questa Visita deve essere stata provocata da persone non benevoli, ma sopra di noi sta il Signore e la Madonna SS. - Mi rincrescerebbe se l’abate Caronti non accettasse. Pensiamo che, se il Signore ha disposto o permesso questo, sarà sempre per nostro maggior bene. [...] Pare ci sia stato chi avrebbe suggerito che fossimo fusi con i salesiani o con quelli di don Guanella: sia fatta la santa Volontà di Dio! Basta che si possa amare Dio e la S. Chiesa, e poi tutto in Domino: stiamo tranquilli [...]7. 5 [«Miei cari fratelli e figlioli in Gesù Cr.», 10.07.1936, ma., ADO, Scr., 52,59-61]; (L. II, 378) e anche: [«Miei cari fratelli e figlioli in Gesù Cr.», 10.07.1936, mi., ADO, Scr., 52,59-61]. 6 [a E. Caronti, 01.08.1936, Summ., § 563]; se conserva anche una minuta di questa lettera, dove si riconosce quest’aggiunta: «[...] a buone mani, a don Sterpi, mi assentai». [a E. Caronti, 01.08.1936, mi., ADO, Scr., 19,91-92]; e più esplicitamente alla stessa persona, il 19 d’Agosto, afferma: «Quanto al fatto doloroso che mi riguarda, e che, in un primo tempo ho dubitato avesse provocata la S. Visita, è cosa un po’ lunga a dirsi, e non vorrei essere troppo prolisso. [...] Un giorno giunse la posta, che Don Sterpi non c’era; [...] leggo e, in un primo momento, non capivo niente, tanto la cosa mi pareva strana, poi mi sono dato conto. Egli [Mons. Bacciarini] mandava a Don Sterpi la deposizione giurata di un suo Parroco, quello di Melide (non era il Don Bornaghi) il quale dichiarava d’aver avuto in sua casa due preti della Diocesi di Tortona, dei quali uno Arciprete, e d’aver sentito che Don Orione, quando era a Messina in qualità di Vicario Generale -dopo il terremoto- avrebbe frequentato una nota casa di prostituzione, e che fu trovato fin lì il suo nome sui registri di detto postribolo [...]» [a E. Caronti, 19.08.1936] Summ., § 564. 7 [a C. Sterpi, 24.06.1936, c., ADO, Scr., 19,81-82]. Prima della visita apostolica, se ne parlava di questa possibilità: [a R. Risi, 10.10.1924, c., ADO, Scr., 7,254]: «[...] Non so chi è questo codesto Bosi (?) che dice d’aver sentito in Vaticano che presto ci uniremo a quelli di D. Guanella. Io non ne so nulla. Fammi sapere chi è, e chi parlò così in Vaticano [...]». Il processo diocesano di beatificazione proverà, più avanti, che i motivi affermati nella calunnia non esisterono mai. Ma la sofferenza interiore accompagnerà Don Orione fino alla fine dei suoi giorni. Tracce di quest’esperienza possono essere lette nel suo testamento, comunicato all’allora vescovo di Tortona, mons. Domenico Melchiori, alla morte di Don Orione, il 12 Marzo del 1940 a Sanremo; nel testo del suo testamento questo dolore interno traspare, quando verso la fine del testo dichiara: |1v| [...] Poiché Iddio ha permesso, certo a bene mio, che il mio nome di sacerdote venisse vilipeso nel modo più disonorevole per un cristiano e sacerdote, e ciò da parecchi anni, senza che mai l’autorità ecclesiastica della mia chiesa di Tortona, invano da anni sollecitata, |1r| sentisse il dovere, - (pure avendo in suo potere i relativi documenti), -di almeno emettere una dichiarazione che la infame calunnia o diceria non ha base di verità,mi vedo dolorosamente obbligato, per tutelare, almeno in morte, il buon nome di me sacerdote, di proibire che il mio corpo venga sepolto entro i confini della diocesi di Tortona, sino a che questa autorità diocesana non emette un atto, da potersi rendere pubblico, col quale si dichiari, nel modo più assoluto, che la turpe calunnia non ha alcun fondamento. Perdono a tutti, prego per tutti, ma è questo, purtroppo, ancora l’unico modo che mi rimane a tutela del buon nome di me, cristiano e sacerdote. Questa è la mia volontà. Nel nome di Dio, amen. Sacerdote Luigi Orione fu Vittorio8 Questo voler ripercorrere la condizione interiore di Don Orione ci aiuta a capire che, il periodo di maggiori prove corrispose, come vedremo in seguito, ad una straordinaria espansione delle opere apostoliche. Orbene, sotto uno sguardo più profondo, scopriamo il collegamento di tali frutti evangelizzatori con questo processo di maturità interiore. Senza questo binomio, vale a dire: purificazione personale-fecondità apostolica, noi non riusciremmo a cogliere mai la profondità teologica dell'esperienza orionina della carità, rimanendo solo sulla sua superficie. Segni di quest’itinerario in cerca del senso profondo di quanto la Provvidenza gli permise di vivere, evidenziano lo svolgimento per il quale egli è stato condotto tanto lontano dall'Italia, ma anche, tanto lontano da ogni appoggio umano. Nel 1937, in quel che consideriamo il viaggio dell'addio, poiché si congedava dalle comunità situate all'interno dell'Argentina, Luigi Orione ci dà alcune chiavi per interpretare questo periodo: [...] Come l’oro si prova al fuoco e l’amore con le opere coi fatti, così la Fede si prova con le opere di misericordia, e si si prova nei cimenti e immolazioni interne, personali, e pure personali: si prova nei cimenti e combattimenti esterni e pure nei vilipendi e persecuzioni. Ma per la Fede le persecuzioni e i vilipendi, anziché essere cagione di separarci da Cristo, saranno, invece, accrescimento di vita cristiana o miei, di vita veramente di abnegazione, di perfezione religiosa, di soda virtù, di verace amore a Dio ed agli uomini, di unione a Gesù ed alla Sua Chiesa9. Tutta la sua sofferenza interiore non lo ha separato da Cristo, bensì al contrario lo ha avvicinato, al punto tale di configurarsi con Lui per mezzo dell'esperienza della croce. Questa avvenne, lo sappiamo, soltanto tramite la consegna senza limiti della propria vita a Dio negli 8 [02.02.1938, ma., ADO, Scr., 53,141-142]. D. Arturo Perduca comunica a Mons. Domenico Melchiori il contenuto del testamento il 13 Marzo del 1940; e così lo fa sapere a Don Carlo Sterpi (cf. PERDUCA, A., [a C. Sterpi, 13.03.1940, c.] ADO); il giorno 14, sera, D. Alessandro Di Tommaso firma una dichiarazione salvando così l’esigenza del testamento. 9 [ccir, of., «Cari miei fratelli e figliuoli in Gesù Cristo, che vi trovate a Montebello», 24.06.1937] in, Bressan, G., «La lettera della fede», 14-15; (L. II, 458). uomini per amore. La sua sofferenza interiore lo aveva avvicinato ancor ai sofferenti offrendosi loro e prolungando nel tempo lo stesso gesto del Crocifisso. In questo senso si capiscono le parole con le quali chiedeva ai suoi di pregare la "Salve" affinché il Signore inviasse croci alla Congregazione, e la forza necessaria per abbracciarle. Le croci chieste da Luigi Orione, non sono solo le contrarietà, o le incomprensioni, sono anche, o diremmo, specialmente, le croci dei crocifissi, cioè, degli uomini e donne che soffrono, con i quali la consegna della propria andata acquisisce vero senso; dove il servizio si vive come esperienza dell'amore a Dio: «[...] Per questo, prima di partire per l’America, quando già infuriava la tempesta, ordinai quella Salve Regina, ad aumento di prove e di tribolazioni»10. Don Orione non cerca patologicamente la sofferenza, ma vuole solidarizzarsi col sofferente; è più ancora: quest’atteggiamento non obbedisce a una domanda del dolore per il dolore stesso, bensì è l'espressione del bisogno di configurare la propria vita, col gesto del Crocifisso. Le tribolazioni non sono una prova che Dio non ama coloro che soffrono; piuttosto tali sofferenze sono un segno del suo amore. È proprio quest’amore che Don Orione cerca di vivere, come scrive in una lettera confidenziale: “[...] Ci cavassero anche gli occhi, basta che ci lascino il cuore per amarli” 11. L'amore per Dio, manifestato nell'accettazione della sua volontà, ha fatto di questa sofferta esperienza di filiazione, il segreto della sua carità verso i più bisognosi, verso gli esclusi e i sofferenti. La sensibilità davanti al dolore altrui non è di ordine sentimentale, piuttosto germoglia da quest’esperienza di filiazione e di paternità di Dio. Un tale cammino percorso negli ultimi dieci anni di vita, lo portarono all'esperienza dell'abbandono in Dio: egli si sente, e non solo la sua famiglia, fondata in Dio solo. Ormai è possibile affermare che la Piccola Opera è nata dal fianco aperto di Gesù, in quell’indimenticabile Settimana Santa, e che non dovrà mai abbandonare questo posto. La coscienza di questa realtà può essere riconosciuta in molte situazioni; ci serviamo di questa confessione fatta ad uno dei suoi religiosi: |1| [...] Il Cardinale [Schüster] poi, nella sua carità e umiltà, ha voluto accompagnarmi e presentarmi a quelle persone che attendevano in anticamera, e ti so dire che io, che so bene la mia miseria, mi sentivo pieno di vergogna e stavo in piedi, [...] solo soffrivo, e ancora ne soffro, di aver tanto ingannato gli uomini, e d’aver tratto in inganno più ancora le alte dignità della Chiesa [...]12. L'esperienza della croce di Gesù, non finisce mai di percepirsi come tale, ed il testamento di Don Orione ne è una dimostrazione; la notte dell’esperienza di fede è la più profonda delle croci, perché fa sentire l’abbandono dell’essere umano per intero. Eppure, da questa gran fede germoglia la vera carità: Ella è l'espressione di un nuovo stato dell'esistenza. In effetti, l’esperienza della carità vissuta da Don Orione, non può considerarsi solo come un’attività apostolica o descriversi come se si trattasse della virtù che perfeziona l'atto morale del credente. Tuttavia ella è stata tutta ciò, perché prima è stata vissuta com’espressione 10 [ccir, of., «Cari miei fratelli e figliuoli in Gesù Cristo, che vi trovate a Montebello», 24.06.1937] in: Bressan, G., «La lettera della fede», 14; (L. II, 458). Prima dell’annuncio della visita apostolica il 15 luglio del 1936, nella lettera della prima versione delle costituzioni dice a Don Carlo Sterpi: «|1|[...] Tutte queste cose erano prevedute e presentite da anni: esse ci trovano pronti ad ogni olocausto d’amore alla S. Sede, e ci portano a darci più a Gesù Crocifisso e alla Chiesa e al Papa, nonché a pregare per quelli che ci perseguitano - Voi continuate a far dire la nota Salve Regina. Stiamo entrando nel Misterium [sic] Crucis: la Madonna SS. ci assisterà da Madre e da Fondatrice». Scr., 59,23; otras referencias en: [17.12.39] ADO, Par., XI,306. STERPI C., [a L. Orione, 25.10.1934, c., ADO, Scr. St., 7,266]: «[...] Abbiamo incominciato a recitare la Salve per le croci, ed esse vengono [...]». 11 [a C. Sterpi e al alg. sac., 29.07.1936 c., res., ADO, Scr., 59,29]; [sd., sf., mi., ADO, Scr., 90,248]: «|3r| [...] Le ostilità, Eccellenza, sorsero dopo, quando il Santuario [della Guardia in Tortona] era già aperto era fatto e Ed esse non provennero dal mio Vescovo, ma da Genova, e furono e sono tuttora per me veramente dolorosissime, tanto che dovetti scrivere all’Eminen.mo Cardinale di Genova: i nemici mi cavino anche gli occhi, basta che mi lascino il cuore per amarli [...]». 12 [c., codac., a B. Galbiati, 06.12.1937] L. II, 506-507; una minuta di questo testo: [«Caro mio don Benedetto», sf., mi, ADO Scr., 62,63-64]. formale (fondante) del suo sentire Cristo, la Chiesa e l'uomo. La sofferenza umana che di suo implica la solitudine (Sal 22,2), perché è frutto del peccato, è stata trasformata dall'avvenimento del Crocifisso, in esperienza redentrice, perché Dio soffre. Così, la solitudine si è rotta, lasciando il passo alla comunione col Dio solidale che consegna la sua vita fino alla fine. Questa solidarietà è il presupposto più profondo della comunione che si esprime nel dialogo d’amore, della reciproca offerta di sé; e questa donazione-comunione non è altro che Chiesa: Ella è l'espressione sacramentale di questo dialogo misterioso d’amore, tra il Dio trafitto e l’uomo liberato dall’abbandono. Ci sono ormai le chiavi ermeneutiche per comprendere il senso teologale dell'esperienza caritas di Luigi Orione. Prima di riflettere su quest’argomento, vorrei fare qui un piccolo excursus. La presentazione del ruolo delle opere di carità nella coscienza carismatico orionina, ci porterebbe ad oltrepassare il limite del nostro lavoro; ci si consenta dire qui, che le ricerche che abbiamo portato a termine, ci confermano che c'è stato storicamente uno sviluppo nello spirito delle iniziative caritatevoli. Le opere di carità sono state sempre presenti nella comprensione e nell'azione del carisma orionino; tuttavia dietro quest’affermazione è possibile riconoscere uno sviluppo: verso il 1915 c’è un maggiore spazio per le opere di carità assistenziale a beneficio delle persone con capacità differenti, che nel linguaggio del tempo di Luigi Orione sono chiamati "i rifiuti della società"13. Lo stesso Don Orione continua a riconoscere che, dall'accettazione della casa donata dalla sig.ra Teresa Agazzini, e più precisamente nel 1924 col consolidamento del "Piccolo Cottolengo Genovese" di Marassi (GE), si può parlare di un'accentuazione dell'azione pastorale verso questo tipo di opere assistenziali; anzi, ciò è ancor più evidente se lo si collega con la fondazione, nel 1915, del ramo femminile dell'Opera: le “Suore Missionarie della Carità”, e col consolidamento dell'azione apostolica della nuova famiglia, tra il 1924 e il 1927. Vediamo un po' più da vicino questo processo. «Amore delle anime, anime! anime!» Com’è che il "Piccolo Cottolengo" irrompe nell'azione pastorale di Luigi Orione? In uno scritto del 1936, il sacerdote tortonese, parlando in terza persona, ci offre in un raccontomemoria, i passi fatti nella direzione della carità assistenziale della famiglia religiosa: |1| [...] Nel maggio 1915 passava piamente a miglior vita la Contessa Teresa Agazzini, zia del General Fara, lasciando a lui, a Don Orione, la sua casa nel Novarese, perché ne facesse un asilo di carità per poveri vecchi. Fu appunto quella casa che diede modo al povero prete, già tanto portato verso San Giuseppe Cottolengo, di aprire, a sé e ai suoi Sacerdoti e Suore, un nuovo campo di apostolato di carità e sollievo di poveri e di malati d’ogni specie, sul modello della grande Opera di Torino, fondata dal Cottolengo stesso. |2| [...] Avvenne, dunque, che, quando meno ci si pensava, quasi senza accorgercene, si aprissero, silenziosamente in Domino, una dopo l’altra, le nostre prime, piccole Case di Carità per quei poveri più infelici, inabili al lavoro, vecchi o malati d’ogni genere, d’ogni sesso, d’ogni Credo, e anche senza un Credo che non trovano pane né tetto, ma che sono il rifiuto di tutti, e che il mondo considera come i rottami della società14. Corre l’anno 1924 ed il 19 di Marzo Don Orione ha aperto una casa della carità a Genova che ha precisamente le “Suore Missionarie della Carità” per protagoniste. Dai racconti dei suoi biografi, l'inizio di questo tipo d’apostolato, tra i più sfortunati, non ebbe niente di straordinario; tuttavia segnò sicuramente la rotta della prassi orionina. Sappiamo 13 [«Il Piccolo Cottolengo Argentino», oimp., ADO, Sccir., 13.04.1935 |1|]; (L. II, 224). [«I Piccoli Cottolengo», cocicl., ADO, Scr., 114,284-285]; La data di questo testo possiamo prenderla dal contesto: «[...] Essi si propagarono in Italia e all’Estero: mentre scriviamo anche in Cile, a Santiago e a Valparaiso, con la più ampia approvazione di quegli Ecc.mi Vescovi [...]». Don Orione è stato in Santiago de Chile tra gennaio e febbraio 1936. C’è una brutta copia: [mi., odac., ma., ADO, Scr., 61,151-154]. 14 cosa significò per Don Orione, per la società e la Chiesa in Argentina, l’apertura del "Piccolo Cottolengo Argentino". Ricordiamo che il gesto di accogliere "i rifiuti della società", non ha avuto niente di filantropico o di sentimento d’umana compassione: piuttosto abbiamo comprovato che per Luigi Orione è un atto di fede profonda perché provata. La motivazione profonda del "Piccolo Cottolengo" è confessare che Gesù ha voluto i poveri vicino a sé. La carità ha la sua fonte misteriosa nella vita dello stesso Figlio di Dio, già dal momento della sua nascita: |2| [...] Il Santo Bambino, nato fra di noi in tanta povertá, ci animi ad amare sempre piú i poveri, poiché Egli chiamó primi attorno a Sé i poveri, - i pastori erano gente umile e povera [...]15. La stessa vita del Signore pone l’accento, che Dio non fa eccezione di persone, (Rom 2,11), ma interpella tutti, avendo predilezione per quelli che più soffrono, o che soffrono l'esperienza del dolore, per gli esclusi (Ef 2,12), gli emarginati. Lo stesso Gesù, ha vissuto il mistero del dolore e dell'esclusione (Flp 2,8); dunque, Lui ha un amore del tutto speciale per quelli che soffrono: |1| [...] Iddio ama tutte quante le sue creature, ma la sua Provvidenza non puó non prediligere i miseri, gli afflitti, gli orfani, gli infermi, i tribolati d’ogni maniera, dopo che Gesú li elevó all’onore di suoi fratelli, dopo che si mostró loro modello e capo, sottostando anche Egli alla povertá, all’abbandono, al dolore e sino al martirio della Croce. Onde l’occhio della Divina Provvidenza é, in ispecial modo, rivolto alle creature piú sventurate e derelitte16. Il mistero della sofferenza è parte costitutiva dell’essere uomo; per ciò il "Piccolo Cottolengo", che vuole essere espressione incarnata di questo universale amore di Dio, apre le sue porte specialmente a chi vive questo mistero: 1| [...] La porta del Piccolo Cottolengo Argentino non domanderà a chi entra se abbia un nome, ma soltanto se abbia un dolore. «CHARITAS CHRISTI URGET NOS» (II Cor., IV). Quante benedizioni avranno da Dio e dai nostri cari poveri quei generosi, che ci daranno aiuto a sollevare tante miserie, a lenire i dolori di quelli che sono come il rifiuto della societá! [...]17. E nello scritto, segue una lunga lista di persone colpite da miserie morali o materiali. Non rimangono esclusi, come lo stesso Don Orione afferma, neanche quelli che non hanno lasciato entrare Dio nella loro vita: essi sono stati i primi ad entrare al "Piccolo Cottolengo Argentino." 2| [...] Il Piccolo Cottolengo terrà la porta sempre aperta a qualunque specie di miseria morale o materiale. [...] [a quanti] non possono essere ricevuti negli ospedali o ricoveri, e che siano veramente abbandonati: di qualunque nazionalitá siano, di qualunque religione siano, anche se fossero senza religione: Dio é Padre di tutti! [...]18 La miseria e l'esclusione non si curano che con l’amore gratuito, nato dalla coscienza che Dio è padre di tutti. Un padre che manifesta la sua predilezione nello scegliere i figli più bisognosi, senza per questo escludere nessuno. Una paternità che non è “assistenzialismo”, ma che restituisce al povero e al bisognoso, la sua dignità ed il posto nel piano di salvazione. Ci 15 [ccir., impr., ADO, Sccir., 08.12.1934]; (L. II, 135). [«Il Piccolo Cottolengo Argentino», oimp., ADO, Sccir., 13.04.1935]; (L. II, 224). 17 Ibidem; (L. II, 223). 18 [«Il Piccolo Cottolengo Argentino», oimp., ADO, Sccir., 13.04.1935]; (L. II, 224-225). Altrove, parlando dell’inaugurazione del «Piccolo Cottolengo» di Avellaneda, si riferisce ai figli dei socialisti, beneficiati dalla carità: «|1| [...] non posso dirvi quanto sono contento che la Divina Provvidenza mi abbia condotto ad aprire una casa di carità e di rinnovazione sociale cristiana in mez nel cuore del socialismo e del comunismo argentino. Adesso capisco perché Iddio mi ha fatto fare il noviziato a San Bernardino [...]» [a C. Sterpi, 03.07.1935, c., ADO, Scr., 18,114]. 16 possiamo domandare: quale teologia sottostà e sostiene questo gesto? Quali sono le caratteristiche di questo agire nel periodo latinoamericano? «Cristo vuole salve tutte le anime» Percorrendo gli scritti di Don Orione, è facile riconoscere la centralità del suo sguardo sull'avvenimento Cristo. In effetti, in lui non abbondano gli espliciti riferimenti al mistero della Trinità, come punto di partenza per la riflessione sulla carità; questo mette in luce, giacché la figura di Cristo è dominante, che la sua spiritualità non è una spiritualità dell'essenza divina. Da quest’affermazione può concludersi, in primo luogo, che parlare di carità in Don Orione, è delineare le caratteristiche della sua cristologia. In secondo luogo, come già abbiamo avuto opportunità di vedere, l'avvicinamento al mistero dell'azione misericordiosa di Dio, vale a dire l'opera della Divina Provvidenza, si realizza nella prospettiva storico salvifica. Di conseguenza gli avvenimenti dell'incarnazione, ed in modo speciale, della passione del Cristo, dominano la teologia della carità in Don Orione. La natura della carità dunque si rivela nella luce del mistero della persona di Gesù; le velate motivazioni si tesoreggiano nel suo cuore, al quale è possibile accedere per grazia: Gesù manifesta l'amore al Padre nella parte più profonda del suo essere. L'uomo credente è proprio introdotto lì, affinché possa conoscere il contenuto vitale di questo dialogo. Orbene, questo tipo di conoscenza, non è puramente teoretica, poiché la vera conoscenza si dà esclusivamente, come frutto della sequela della persona del Signore; in altre parole: conoscere l'amore di Dio implica vivere la carità di Gesù. [...] O Gesú, aprici il tuo Cuore: lasciaci entrare, o Gesú, ché solo nel tuo Cuore potremo comprendere qualche cosa di quello che Tu sei, potremo sentire la tua caritá e misericordia, comprendere e amare anche noi il sacrificio e quella santa obbedienza, per cui Ti sei sacrificato19. È nella contemplazione del mistero dell'incarnazione, pertanto, dove l'esperienza di gratuità dell'amore di Dio s’inaugura in un modo straordinario che lo sguardo del credente accoglie, da una parte, il gesto del Padre di consegnarci suo Figlio per amore, e dall’altra, l'obbedienza e l’amore di Gesù che manifesta il suo amore incondizionato al Padre: [...] «Il nostro Dio è un Dio appassionato di amore, Dio ci ama più che un padre ami il suo figlio, Cristo Dio non ha esitato a sacrificarsi per amor dell’umanità [...]»20. L'evento della nascita di Gesù, (Lc 2,1-20), segna non solo l'inizio del compimento delle promesse di Dio, ma anche il modo e la profondità dell'annientamento del Verbo Divino (Flp 2,7). Don Orione, pertanto, nelle numerose riflessioni sul mistero dell'incarnazione, contrappone due atteggiamenti contrastanti: all'iniziativa gratuita e senza misure dell'amore divino, ha corrisposto l'indifferenza ed il rifiuto della risposta umana. Così, Dio Padre, volendo riscattarci dalla situazione di allontanamento dalla vita divina, frutto della nostra scelta per il peccato, ha sentito nella sua realtà questa stessa esperienza di esclusione: Dio, in Cristo, è diventato un escluso: |1| [...] Gesú é nato come un pezzente in una grotta nuda, aperta ai venti, e, non nato ancora, giá era bandito dal civile consorzio; Egli fú respinto fuori, all’aperta campagna: piú pii furono a Lui il bove e l’asinello! Ma il suo amore trionfa! Il Natale ci fá sentire qualche cosa dell’infinita caritá di Gesú, che cerca di farsi amare con una bontá suprema ed una delicatezza infinita, sin dal suo nascere. Quante lezioni di umiltá, di fede, di semplicitá, di povertá, di obbedienza, di abbandono alla Divina Provvidenza ci dá Gesú dal presepio! 19 20 [c., oimp., ai religiosi della PODP, Epifanía del 1935] L. II, 155. [ma., d., impr., ADO, Sccir., 03.1936 |2|]; (L. II, 330). Sopra tutto, Gesú dal presepio ci grida: «Caritá! Caritá! Caritá!». Vita di caritá: tutto il Vangelo é qui, tutta la vita e il Cuore di Gesú sono qui: tutto Dio é qui: Deus charitas est!21 Tuttavia, la stessa esperienza di rifiuto evidenzia la grandezza della proposta di Gesù, poiché non c'è un altro senso per tale gesto di kenosis, che non sia precisamente la carità. In questo contesto, è fattibile parlare di una reale possibilità per noi, di imitare Lui: il Verbo che si fa carne per divinizzarci, ci indica la strada per seguirlo, non soltanto nel suo agire, bensì fondamentalmente nella sua relazione con Dio Padre. La rivelazione dell'essere intimo di Dio si manifesta in quest’azione, che può essere già considerata il ristabilimento del dialogo tra l'uomo-figlio col Dio-Padre; il dialogo è possibile, perché in entrambi, la "grammatica" comune della condizione umana assunta è portatrice del "messaggio" della carità divina. Nell'incarnazione del Verbo si rivela il mistero della comunione, della relazione filiale di Gesù col Padre. Gesù è l'icona, che mediante la fede, apre al credente il mistero dell'essere intimo di Dio. Per ciò per Luigi Orione non c’è un’altro Vangelo, inteso come Buona Notizia, che la vita raggiunta e trasformata dalla grazia della carità di Cristo; solo così, l'esistenza dell'uomo, come lo è stato in Gesù, diventa rivelazione di quel dialogo-relazione trinitario che sussiste nello stesso essere di Dio. |1| [...] camminiamo nell’amore di Dio e del prossimo, accesamente, imitando Cristo, che il primo ci ha amati, e tanto ci amó sino a morire per dare a noi la vita. Caritá! Caritá! Caritá! Questo solo ci stia a cuore, o Fratelli, poiché solo nella caritá arriveremo alla santitá, che é la volontà del Signore: «haec est voluntas Dei, sanctificatio vestra». Sí, Ti ameremo, o Signore, Dio d’amore, nostra fortezza e nostro rifugio, Cuore del nostro cuore, palpito unico della nostra vita! |2| Custodiscici, o Signore, perché le molte amarezze e disinganni, le molte acque non abbiano ad estinguere in noi il fuoco della tua caritá. Gesú, Tu sei il nostro Dio, il nostro Salvatore, la nostra misericordia, Tu la Caritá![...]22 La carità, di conseguenza, non fa riferimento in primo luogo, all'azione di misericordiosa divina verso l'uomo, ma è, soprattutto, l'espressione del suo stesso essere; e affinché questo rimanga chiaro, in non pochi scritti, Don Orione aggrega, al nominativo Gesù, il sostantivo carità, come parte dello stesso nome: |1| [...] Sorgi, o anima mia, e corri incontro alla nuova Luce, che é Gesú-Caritá - Egli viene a te, poiché la misericordia infinita del Signore é discesa piú ampia del mare e dei cieli: terra, mare e cieli diventarono un nulla davanti alla carità di Gesú, quando é apparsa la gloria del Signore [...]23. È nell'evento della croce, dove Dio proferisce la realtà più profonda di se stesso, e dove pronuncia anche la parola più profonda sull'uomo: queste realtà diventano una, nella persona di Cristo crocifisso. Ormai si capisce il senso delle parole di Don Orione chiedendo al Gesù del presepio, l’apertura del suo cuore. Certo, non se ne sta parlando in senso metaforico: è nel cuore aperto dalla lancia, sul legno della croce (Gv 19,34-37), dove Gesù porta a compimento, in quello spazio aperto del suo cuore, il gesto della consegna della propria vita. E, allo stesso tempo, in quel cuore trafitto, tutti gli uomini, (nel linguaggio di Luigi Orione tutte le anime) hanno accesso al mistero della vita del Padre: |1| [...] tutte sono amate da Cristo, per tutte Cristo è morto [,] tutte Cristo vuole salve tra le sue braccia e sul suo cuore trafitto. |4| [...] La carità di Cristo è di tanta dolcezza e sì ineffabile che il cuore non può pensare né dire, né l’occhio vedere, né l’orecchio udire. Parole sempre affocate. Soffrire, tacere, pregare, amare e crocifiggersi e adorare [,] lume e 21 [ccir., impr., ADO, Sccir., 12.1934]; (L. II, 141: va.). [ccir., impr., ADO, Sccir., 12.1934]; (L. II, 142: va.). 23 [ccir., impr., ADO, Sccir., 08.12.1935]; (L. II, 317: va.). 22 pace di cuore [;] salirò il mio calvario come agnello mansueto. Apostolato Martirio: martirio e apostolato [...]24. L'avvenimento della Croce, ci rivela la presenza di Gesù in ogni uomo, senza fare distinzione. Tuttora l'uomo raggiunto per il peccato, sarà sempre la sua immagine: l'immagine dell'amore del Figlio al Padre; è questa la verità di Dio e dell'uomo, perché è nella misericordia che risplende quanto sia Dio, e quanto sia chiamato ad essere la persona umana. Quest’universale vocazione si manifesta nel fatto che Dio ha voluto occupare il posto dell'ultimo, per abbracciare tutti. La vittoria di Gesù consiste precisamente nel non discendere dalla croce; in non smettere di abbracciare il mistero della sua umanità sofferente, essendo egli innocente e senza colpa. Così, quest’amore per tutti, si basa nella stessa elezione che ha fatto Gesù: Dio-provvidenza ama tutti, e per manifestare quest’abbraccio d’amore ha voluto occupare il posto dell'ultimo. A tal punto, ogni uomo che soffre può sentire che lo stesso Dio, è solidale con lui: Cristo non discenderà vivo dalla croce; non rinunzierà mai a questo "rimanere" nella solidarietà totale all'uomo e a Dio. |2| [...] Io non sento che una infinita, divina sinfonia di spiriti, palpitanti intorno alla Croce. E la Croce, stilla per noi, goccia a goccia, attraverso si secoli, il sangue divino sparso per ciascuna anima umana. Dalla croce, Cristo grida: Sitio! - Terribile grido di arsura che non è della carne, ma è grido di sete d’anime, ed è per questa sete delle anime nostre che Cristo muore [...]25. Questo rimanere sulla croce, è contemporaneamente nel gesto di Gesù,, riconoscere la vita e l'amore nell'origine; ma è anche il punto di partenza di una nuova fonte di vita. Quindi, restare con Gesù, fa del nostro cuore d’uomini peccatori, un cuore di generosità ed amore: [...] Allora, o miei figliuoli, se davvero noi - per la divina grazia e per l’amore di Dio e del Papa e dei Vescovi e della Chiesa - abbracceremo le tribolazioni, le afflizioni e la S. Croce di Gesù Crocifisso e della Sua Sposa la Chiesa, [...] - allora solo cominceremo a vivere di Gesù e del Papa e ad essere davvero e a sentire davvero con la Santa Chiesa e col Papa. [...] Gesù e il Papa si amano e servono in croce, e crocifissi con Loro, o non si amano o non si servono affatto26. Piace affermare a Don Orione, che la Chiesa è la sposa del Crocifisso; e per rimanere tale, lei dovrà sempre stare sulla croce del suo Sposo. È paradossale che la Sposa stia sulla croce; ebbene, Don Orione vede proprio lì, nell'unica sacra croce di Gesù crocifisso, il vero posto per la sua sposa, la Chiesa. E questo il nostro Fondatore, lo vuole pure per la sua famiglia religiosa, che ha visto la sua nascita in una "indimenticabile settimana santa": la Piccola Opera, non può abbandonare il Calvario, perché lei stessa è opera del cuore aperto del suo Signore: |12r| [...] e di un Istituto, che nasce per stare di proposito sul Calvario, c’è da confortarsi sempre. Lo stare sul Calvario servirà all’Opera a non farle perdere lo spirito onde è nata, a non dimenticare che Gesù non patisce solo sul Calvario, e a crescere in essa quella Carità del Cuore Sacratissimo di Gesù che vorrebbe soavemente stretti tutti gli uomini in un solo corpo, qualunque siano le differenze loro d’ogni maniera27. Possiamo assicurare che la carità, fondamentalmente, non è altro che l'espressione, non solo di una relazione nuova tra Dio e gli uomini, (paternità divina-filiazione adottiva), ma questa relazione è, di per se, una nuova condizione ontologica (Gv 1,12). Certamente, questi testi orionini sono diretti ai suoi religiosi; dunque si capisce come il Fondatore metta in risalto, che il 24 [25.02.1939, ma., fotogr., ADO, Scr., 105,200-201]; (IC., 329-331). [25.02.1939, ma., ADO, Scr., 105,200-201]; (IC., 329: va.). 26 [sf., pimp., ADO, Scr., 90,348-349]. 27 [a I. Bandi, 11.02.1903, c., ADO, Scr., 45,25 bis, 12r]. 25 grado d’imitazione, d’inseguimento di Gesù dei suoi religiosi, non può avere altra misura che la carità; ciò che è valso per tutti i consacrati, lo è in modo basilare, per ogni figlio e figlia della sua congregazione: |2| [...] la Imitazione di Cristo ci dice [...] «sia nostro sommo studio meditare nella vita di Gesù». E non dice meditare la vita, ma nella vita di Gesù, cioè entrare nell’intimo e vivere di Gesù, della vita di Gesù. Noi dobbiamo, dunque, avere il Vangelo sempre davanti agli occhi della mente e portarlo nel cuore, viverlo [...]28. Sappiamo quanto insista Don Orione, nell’assicurare che l'amore di Gesù, trasforma profondamente la vita di colui che si lascia amare da Lui. Conoscere implica la somiglianza, e questa conduce ad un'adeguata comprensione dell'essere di Dio e della persona umana; e d'altra parte, alla testimonianza di una vera trasformazione della propria vita, per opera della grazia di Gesù. La novità del Regno si evidenzia nell'amore ai poveri e la sua liberazione. Di conseguenza, questa carità è la confessione di fede più profonda e più evidente della presenza salvifica di Cristo nella storia. In questa prospettiva, si capisce che la vita di Don Orione e la sua passione apostolica in favore degli uomini, sia stata definita com’eroica. Segni di quest’atteggiamento spirituale, sono rintracciati nella sua passione per salvare le anime: c'è un testo dove Don Orione parlando del suo ministero sacerdotale, chiede al Signore di dargli la grazia di andare verso i più lontani, dopo di che, gli sarà possibile riposare tra i giusti: [...] Preservatemi, dunque, o mio Dio, dalla funesta illusione, dal diabolico inganno che io prete debba occuparmi solo di chi viene in chiesa e ai Sacramenti: delle anime fedeli e delle pie donne. [...] Solo quando sarò spossato e tre volte morto nel correre dietro e chiamare i peccatori e pur anco gli Scribi e i Farisei, solo allora andrò a cercare qualche po’ di riposo presso dei giusti [...]29. Più avanti negli anni, Luigi Orione, sentirà che questo non è sufficiente: |3| [...] La perfetta letizia non può essere che nella perfetta dedizione di sé a Cri Dio e agli uomini, a tutti gli uomini, ai più miseri come ai più fisicamente e moralmente deformi, ai lontani, ai più colpevoli, ai più avversi. Ponimi, o Signore, sulla bocca dell’inferno perché io, con la misericordia tua, lo chiuda. Che il mio segreto martirio per la salvezza delle anime, di tutte le anime, sia il mio paradiso e la suprema mia beatitudine [...]30. Arrivare all'inferno e chiudere le sue porte, non è altro che raggiungere il cuore dell’uomo peccatore, con l'autenticità dell'amore misericordioso del Padre, attraverso le mani tenere di sua madre la Chiesa. Chiudere la bocca dell'inferno è approdare al cuore del peccatore, con l'amore di Cristo, affinché in questo dialogo, il cuore dell'uomo, prigioniero del peccato e isolato dalla presenza di Dio, possa liberarsi, (1Gv 3,14). Rompere quest’isolamento dove l'uomo è stato condotto, ingannato, dove il peccatore soffre senza trovare l'amore e la felicità che pensa di ottenere fuori di Dio. Chiudere la bocca dell'inferno, è togliere, con l'amore trasformatore, tutti gli ostacoli che impediscono alla grazia di Dio di fare con l'uomo l’alleanza di comunione. [...] È mostrare il vero viso della Chiesa, perché ella ancora essendo casta è anche meretrix, cioè causa della caduta degli uomini. L'atteggiamento di Cristo di non discendere dalla croce, di continuare ad abbracciare l'umanità contrassegnata dal peccato, mostra un orizzonte mai visto: Cristo ha voluto amare ciò che la società considera "un rifiuto"; davanti a chi, spesso, ci si rovescia il volto. Ma questo, non era sufficiente: Dio stesso, in Cristo ha voluto essere rifiuto, manifestando in questo modo, il grado di predilezione e l'autenticità del suo amore verso l'uomo. 28 [ccir., ADO, Sccir., 10.08.1935]; (L. II, 280). [sf., mi., ADO, Scr., 118,18]; PAPASOGLI, G., Vita di Don Orione, 288, no. 1. 30 [25.02.1939, ma., fotogr., ADO, Scr., 115,200-201]; (IC., 330). 29 «Apostolato Martirio: Martirio e apostolato!» Una delle novità con le quali si presenta la spiritualità orionina, rispetto a quella del suo tempo, è che l'azione della carità non diminuisce l'affermazione dell'aiuto al bisognoso per promuovere la cosa solo sul piano ascetico devozionale. Profeticamente la carità orionina, enuncia una nuova forma di spiritualità secolare, le cui caratteristiche più eccellenti vanno dall'incoraggiare caritatevolmente l'ambiente dei poveri, la preoccupazione per ricevere, rispettare e potenziare l'umanesimo e mostrare come la carità evangelica sappia abbellire ogni esperienza umana, comunicandosi come un amore eroico. Anzi, l'azione della carità, nella concezione orionina, tende a rinnovare non solo l'uomo considerato in sé stesso, ma anche come parte del corpo sociale e della Chiesa: 3r| [...] Egli, ed Egli solo, è la fonte viva di fede e di carità che può ristorare e rinnovare l’uomo e la società: Cristo solo potrà formare di tutti i popoli un cuor solo e un’anima sola, unirli tutti in un solo Ovile sotto la guida di un solo Pastore [...]31. Questa prospettiva ci permette allora di descrivere, nella spiritualità e prassi pastorale, le relazioni tra la carità e la giustizia. L'azione della carità orionina ha per centro il dialogo di amore che Dio Padre ha voluto fare coi suoi figli in Cristo. Quell'amore di predilezione del Signore verso ogni uomo, si manifesta, luminosamente nel "Piccolo Cottolengo", che non chiude le sue porte ad ogni miseria umana. Dio, in Cristo ha voluto essere anche "rifiuto", manifestando la sua predilezione, l'autenticità, il grado di compromesso ed amore per ogni uomo (Mt 25,31-46): [...] O Gesù, veramente tu sei stato il rifiuto del mondo e in questo i nostri cari poveri del Piccolo Cottolengo assomigliano un po’ a te. O Gesù, il tuo primo popolo ti ha rigettato e ricusò di riceverti; Tu sei stato il grande Reietto: Tu non hai avuto che una grotta aperta ai venti: Tu sei il Primo dei poveri del Cottolengo32. E così il "Piccolo Cottolengo" ed i suoi "rifiuti", sono la metafora dell'intera carità di Dio che abbracciando tutta la storia, tocca e trasforma gli uomini, costituendoli in popolo; il Popolo di Dio. Allora si capisce l’affermazione: Dio ci redime dai poveri. Nell'azione di carità, specialmente verso gli ultimi, è dove il mistero della sofferenza, trova la dimensione necessaria per manifestarsi evangelizzatrice. I protagonisti dell’azione di edificare la Chiesa, sono precisamente quelli ai quali è diretto il servizio d'amore. Risuona in queste parole il discorso inaugurale della missione di Gesù nel villaggio di Cafarnao, citando al profeta Isaia: "Egli mi inviò a portare la Buona Notizia ai poveri, ad annunciare la liberazione ai prigionieri e la vista ai ciechi, a dare la libertà agli oppressi" (Lc 4) 18b. La situazione dei poveri, non può essere soltanto considerata in connessione con gli insegnamenti sociali, bensì in collegamento con la luce di Cristo e del suo Regno. Condividendo il mistero della croce di Gesù, condividono anche l'efficacia della salvazione del genere umano. I poveri non sono principalmente oggetto di carità, ma sono i testimoni qualificati d’un amore che, in Cristo, vince la sofferenza e l'esclusione. In quell'apparente debolezza risplende la forza del "esercito della carità". [...] E quel Dio, che dalle pietre ha suscitato i figli d’Abramo, mi pare che, per i tempi nuovi, prepari nuove misericordie; mi pare che il Suo Cuore Sacratissimo susciterà dal nulla un grande esercito, adoperando ciò che è debole per confondere ciò che è forte, e ciò che non è, per confondere quello che, agli occhi del mondo, è: un esercito pacifico, nella Chiesa e per opera della Chiesa, l’esercito di grande apostolato della Carità, che colmerà di amore i solchi dell’odio33. 31 [a S. Parodi, 22.10.1937, c., ADO, Scr., 8,209]; (L. II, 500). DOr 1 (1968) 10, citato in: FERRONATO, E., «L’inno della carità», 30. 33 [c., ai benefattori del Piccolo Cottolengo Genovese, 06.03.1935] L. II, 205. 32 I poveri non sono “oggetto” di carità, ma uniti al Signore sono i veri protagonisti di quest’azione misteriosa di redenzione. In effetti, i poveri ed assistiti sono per Luigi Orione gli intercessori privilegiati davanti al Padre, non soltanto per quelli che fanno loro il bene, i benefattori, ma perché vivono un vero ministero d’intercessione per la società intera. La sua predilezione si fonda sull'atto di compassione di Dio, e fa d’ogni uomo, un tesoro prezioso; un tesoro prezioso per la Chiesa, perché ella è frutto di questo dialogo di amore, permanentemente pronunciato, tra il Gesù sulla croce ed ogni uomo che vive di Lui e per Lui. L'assistito e gli assistenti, l'amante e l'amato, fanno parte di questa realtà amorosa della "Piccola Opera". Essi sono parte essenziale e vivono in questo spazio di comunione, non come se fossero gli ospiti, come oggetto di carità, bensì come i veri evangelizzatori: essi sono i padroni della consegna di se stessi, che fanno a Cristo, per amore. Coloro che in apparenza sembrano la parte più importante, i servitori della carità, gli assistenti, i religiosi rivolti ad assisterli, in realtà acquisiscono la loro centralità dal soggetto della carità: gli stessi poveri. Come ogni uomo sofferente, trova nell'accettazione e nello sforzo, l'attestazione d’un amore e di una predilezione, il servizio è, se si desidera, l’espressione di tale amore e non solo la sua causa. «Dobbiamo avere in noi la musica della carità» A questo punto, vogliamo riflettere su come l'azione caritatevole, per essere vissuta con le caratteristiche che abbiamo visto, interpella esistenzialmente quanti si sentono chiamati a far parte della Famiglia di Don Orione. I membri della "Piccola Opera", per Don Orione, non servono solo Cristo nei poveri, ma loro stessi vogliono vivere come il loro Signore, correndo il destino degli "abbandonati ed esclusi". |1| [...] Caro figliuolo mio, guarda che, venendo con noi, noi siamo poveri, e pure tu dovrai fare vita da povero religioso per amore di Gesù Cristo, |2| il quale è il nostro Divino esemplare, ed Egli nacque povero: visse povero: povero morì sopra d’una croce, privo anche d’un po’ d’acqua. Ma Gesù, nostro dolce Dio e Padre, è con noi, e noi facciamo una vita felice, poiché ci basta avere Gesù [...]34. Da qui possiamo dire che, come la carità ha per soggetto il povero amato da Dio in Cristo, il religioso, lasciandosi influenzare da questa azione evangelizzatrice, trasforma la sua vita in presenza liberatrice di Dio; così vivere la carità, in primo luogo, non è un'attività, ma anche uno stato, una forma di appartenenza, della condizione esistenziale di coloro che si sono lasciati raggiungere dalla grazia della povertà trasformatrice di Dio. |1| [...] «Instaurare omnia in Christo!» é il motto e programma nostro: col divino aiuto e agli ordini della Chiesa, noi dobbiamo adoprarci a rinnovare tutti e tutto nella carità di Dio. Ma, innanzi tutto, dobbiamo in Cristo rinnovare noi stessi nell’intimo dello spirito [...]35. L'espressione paolina instaurare omnia in Christo, fatto lemma per Don Orione, non è affatto un programma che possa considerarsi uno schietto attivismo; suppone l'accettazione profonda e radicale della proposta di Gesù nella propria vita. Questo compito è specialmente di necessità vitale per i religiosi il cui principale apostolato è la conversione del cuore anticipando il Regno in se stessi e nel servizio dell'amore. Questo stato nuovo, frutto del contatto col Cristo, si evidenzia con un titolo nuovo nel consacrato. Il dono della propria vita a Gesù nella Congregazione ha come fine essere i “facchini” della Divina Provvidenza; “facchino” è l'altro nome della solidarietà con l'amore di Dio e con la sofferenza dell'uomo-facchino. Vale a dire che il religioso e la religiosa sono strumenti 34 35 [«Caro mio figliolo nel Signore» (B. Marabotto), 31.01.1912, c., ADO, Scr., 32,2]; (L. I, 71). [ccir., impr., ADO, Sccir., 12.1934]; (L. II, 140). della Divina Provvidenza, strumento coniuintum divinitatis, e in questo caso instrumentum caritatis ecclesiae, per mezzo dei quali la Provvidenza vuole agire, cioè salvare. Questo stato nuovo è quello dei Figli e le Figlie della Divina Provvidenza, il cui contenuto Don Orione, lo esprime con la categoria diaconale del facchino e con questo atteggiamento salvare il mondo. |6| [...] A voi, miei figli, raccomando spirito di grande umiltà, di fede, di carità, di sacrificio: sia in tutti una gara a faticare, ad essere i facchini di Dio, i facchini della carità. Solo con la carità di Gesù Cristo si salverà il mondo! Col divino aiuto, dobbiamo riempire di carità e di pace i solchi che dividono gli uomini, ripieni di egoismo e di odio [...]36. Infine, vogliamo avvicinarci all'analisi del desiderio del Fondatore, che ci fosse un segno di questa nuova realtà, nel carisma della sua famiglia religiosa. Egli ha deciso, precisamente durante il periodo di permanenza latinoamericano che il ramo femminile del suo istituto avesse un IV voto: il voto di carità. Così come sappiamo che il processo della coscienza petrina accompagnò e illuminò la realtà del IV voto di fedeltà al Papa, l'esperienza di questa condizione nuova della carità, doveva esprimersi anch’essa con un vincolo nuovo che assicurasse non solo la fedeltà allo spirito della famiglia, ma fondamentalmente intendesse questa come aggiornamento creativo. DALLE OPERE DI CARITÀ ALL'ECCLESIOLOGIA DELLA CARITÀ Introduzione Vogliamo accostarci alla riflessione sulla natura del IV voto di carità, pensato da Don Orione verso 1935. Tuttavia, per farlo ci proponiamo prima di delineare le caratteristiche dell'ecclesiologia orionina. La questione potrebbe risolversi chiedendoci: quali sono le caratteristiche del pensiero ecclesiologico orionino? L'argomento, così esposto, potrebbe portarci all'equivoco di affermare che il sentire Ecclesiam in Don Luigi Orione, fu uno e lo stesso nel corso della sua vita, come se si trattasse di una realtà monolitica. La conseguenza di tale prospettiva, però comprometterebbe seriamente le conclusioni: in primo luogo, si provocherebbe la perdita degli elementi di novità che permettono di distinguere il pensiero ecclesiologico orionino all’interno dello sviluppo della teologia del suo tempo; in secondo luogo, si assisterebbe all'impossibilità di spiegare le discordanze che in esso sono presenti. Queste difficoltà si possono superare, analizzando la questione da una prospettiva più dinamica, rispettando da una parte la storicità dello stesso processo, e dall’altra, il modo particolare di fare teologia dei suoi protagonisti. Allora, è possibile individuare, nelle diverse fasi del discernimento ed attuazione del carisma orionino, un chiaro sviluppo teologico che fruttificò in un modello di Chiesa inedito per il suo tempo? Vedremo come l'amore di Don Orione e la sua passione per la Chiesa, che animarono tutta la sua vita, ci offriranno tutta la sua originalità e profondità. 36 [ccir., impr., ADO, Sccir., 04.11.1934]; (L. II, 125). Nell’espressione “solo la carità salverà il mondo” è impossibile non sentire il riferimento finale con cui Leone XIII ha chiuso la sua enciclica Rerum Novarum, (cf. LEON XIII, Rerum Novarum, 1891, 143); il documento termina parlando dei ministri del santuario: “[...] impegnino le loro energie a salvezza dei popoli, e soprattutto alimentino in sé e accendano negli altri, nei grandi e nei piccoli, la carità, signora e regina di tutte le virtù. La salvezza desiderata dev’essere principalmente frutto di una effusione di carità[...]». Potrebbe essere anche PIO XI Quadragesimo anno, 1931, n. 138, che si avvicina di più come data all’uso che Don Orione fa di questa espressione. [ccir., impr., ADO, Sccir., 04.11.1934]; (L. II, 125). Evidentemente, come già in parte abbiamo potuto vedere, quest’ottica non poggia solo in una mera questione metodologica: in Don Orione è più adeguato parlare di un'ecclesiologia in processo che di un'ecclesiologia compiuta. La caratteristica strutturale di essa, consiste nella resignificazione dei suoi elementi costitutivi, all'interno dell'esperienza storica, spirituale e pastorale. Orbene, vedremo l'evoluzione della resignificazione degli elementi ecclesiologici, non attribuita allo sviluppo d’esplicitazione carismatica della “Piccola Opera della Divina Provvidenza", bensì alla stessa realtà della Chiesa. Tre tappe compongono il processo ecclesiologico: un inizio (comunicazione) che segnala l'accoglienza dell'ecclesiologia del suo tempo d’adolescenza e gioventù; un percorso, (storia), dove dietro la risoluzione delle diverse problematiche spirituali e storiche, si dà origine alla terza fase della maturazione, nella quale sono esplicitati, con la cifra carità, gli elementi essenziali della comprensione del mistero della Chiesa. Il passaggio da una fase ad un'altra non è netto, come neanche si possa assicurare che si tratti di un'evoluzione, spinta da uno sviluppo positivo; come abbiamo avuto opportunità di vedere ieri sera, molto ha influito la purificazione spirituale di Don Orione e la sua capacità di convertire, il cuore e la mente, ai modelli che sono subentrati nella sua vita. Il progresso della dottrina ecclesiale segue la legge asintotica, che produce la dinamica dell'equilibrio tra fedeltà ed apertura a nuove esperienze; questo sviluppo non si separa dall’intima amicizia con Cristo, esprimendo così la fedeltà alla tradizione. Questa storicità germoglia dall'incarnazione che la Chiesa riceve di Cristo, e della sua missione, che ha come orizzonte l’indirizzarsi all'uomo nel suo momento storico. Questa relazione, di conseguenza, è strutturata in tre parti: l’inizio e lo sviluppo della dottrina ecclesiologica, dove si riassumono gli elementi ecclesiologici più importanti visti da una prospettiva diacronica, temporale, per analizzare nella seconda parte, in modo più dettagliato, il fine del processo che conduce all'esplicitazione delle linee ecclesiologiche essenziali ed originali del suo modello di Chiesa. Tale modello gira intorno alla categoria caritas, studiata nella sua dimensione d’amore sponsale, materno e verginale. Tali dimensioni, applicate al mistero della Chiesa, corrispondono rispettivamente alla sua condizione mistica, storica ed escatologica. Nel pomeriggio parleremo del IV voto di carità come espressione canonica di questa realtà carismatica. Comunicazione e storia Sappiamo già, che la teologia in Luigi Orione, è contrassegnata dall’individuazione dei diversi elementi della fede e carità, dalla sua vita tutta consacrata al servizio di Cristo nei poveri e nel Papa. L’evoluzione che segnò lo sviluppo delle istituzioni religiose arricchì la sua esperienza personale. Tenendo conto di tutto ciò, quali sono gli elementi teologici che la distinguono dalle altre accentuazioni ecclesiologiche? E fondamentalmente, qual è la sintesi che completa equilibratamente tutti gli elementi dello sviluppo? L’ecclesiologia della societas perfecta (1872-1903) Evidentemente Don Orione ricevé ed accettò l'eredità lasciata per l’avvenimento ecclesiale così decisivo, come fu l'ecclesiologia del Concilio Vaticano I. Essa si sviluppò nei decenni che seguirono all'evento conciliare, sotto il segno dell'affermazione dell'autorità. Le caratteristiche di tale posizione, possono compendiarsi nell'atteggiamento apologetico che andava unito ad un'accentuazione del modello sociologico dell'ecclesiologia. Le difficoltà derivavano, sia dalle relazioni esterne con gli stati europei, come nelle correnti di riforma all’interno della Chiesa. La società civile, confinando l'azione della Chiesa alla sfera privata, ne provocava la sua assenza nella realtà pubblica e, di conseguenza, anche sociale. D'altra parte, non dobbiamo dimenticare in quest’ambiente, l’influsso dei movimenti che dominavano le idee culturali, religiose e politiche nel secolo XVIII, come il "giansenismo", il "febronianismo", il "giuseppismo" e “l’episcopalismo." Tale prospettiva non fece che porre l’accento sugli aspetti istituzionali, consolidando una visione fenomenologica del mistero ecclesiale. L’ecclesiologia non trovò categoria più adeguata per esprimere la realtà Chiesa che l’espressione societas perfecta. Quest’accentuazione sociologica offuscò gli aspetti più teologici della sua natura e missione. Quali sono le ripercussioni di tal ecclesiologia nel giovane Luigi Orione? L'adesione alla posizione dell’orizzontalità istituzionalizzante d’orientazione papista fu piena. N’è prova, lo sviluppo dell'inizio della sua coscienza petrina e dell’impegno in difesa dei diritti del Papa. Nel giovane Luigi Orione, tutto gira intorno a questa figura; tanto che non dubitiamo di caratterizzare il suo atteggiamento di un chiaro e rimarcato papismo. La forza nel difendere le prerogative del pontefice è considerata, non soltanto sulle realtà e pretese politiche dei nascenti stati europei, bensì progressivamente anche sopra la realtà della stessa Chiesa considerata nel suo insieme. È il periodo del Papa-re, dove l'intransigentismo politico e l'ultramontanismo teologico, nel giovane di Pontecurone non hanno limiti ben definiti. Basterà ricordare le letture trionfalistiche della storia nei discorsi di Luigi Orione seminarista ed il costante richiamo all'obbedienza alla dottrina della Chiesa. L'ecclesiologia, basata su una visione fenomenologica, dava importanza al diritto, alle rivendicazioni temporali del pontefice, ed alle prerogative del clero in generale. In quel tempo credere nella Chiesa, come affermò Y. Congar, significava, accettare l'autorità. La presenza della Chiesa nella vita pubblica si rafforza, durante questo primo periodo, nella grande iniziativa della Chiesa in campo sociale. L'atteggiamento apologetico impregnava quasi queste attività di una verniciatura combattiva di partito politico. Di conseguenza, le iniziative della prima tappa di Luigi Orione adolescente, difendono questa visibilità sociologica della Chiesa. Così, come per esempio, la protezione della persona e dell'autorità del Papa, la conquista ed accettazione degli spazi sociali trascurati a causa dell'inefficacia statale, oppure nel desiderio del ristabilimento dell'Ancien régime, specialmente con la restaurazione dello Stato Pontificio, condizione sine qua non per la libertà della Chiesa, e specialmente del Romano Pontefice. Per Luigi Orione era come portare a termine una vera "controriforma", avviata in questo caso, non contro il protestantesimo, come ai tempi del Concilio di Trento, bensì questa volta contro la modernità e lo spirito liberale che l'incoraggiava. Il campo dove si svolgeva questa vera battaglia era il sociale. Per il giovane seminarista, il popolo addottrinato e liberato dall'ideologia liberale e socialista, sarebbe stato l’artefice di un nuovo cambiamento, che avrebbe restaurato alle basi la natura visibile della Chiesa; ma questo modello, più che rinnovare la Chiesa e metterla in dialogo col mondo che cambiava, cercava di ripristinare una situazione che, date le condizioni del tempo, non poteva più ritornare, soprattutto se pensiamo che la Chiesa, non andò incontro ai cambiamenti, con una rinnovazione profonda di se stessa circa l'ideale evangelico. Gli effetti furono sterili: la condanna in blocco della modernità, specialmente come succederà più tardi, durante il periodo di Papa Pio X. Tuttavia, sarebbe ingiusto non riconoscere che lo spirito che imperò in quell'epoca, permise un discernimento spassionato degli elementi che erano in gioco. In questa stessa linea, possiamo concludere affermando che in Luigi Orione, l'intransigentismo della gioventù, nella difesa della Chiesa dagli attacchi della modernità, non seppe recuperare gli elementi buoni che si trovavano in essa, per produrre una vera rinnovazione della vita di fede. Il mondo cambiava; la Chiesa con difficoltà prendeva coscienza che ciò implicava una rinnovazione di se stessa, se voleva essere fedele all'identità che il suo Fondatore pensò per lei. Di conseguenza, non bastava solo condannare la modernità: era necessario convertirsi al Vangelo, e a questo traguardo arriverà l'esperienza ecclesiologica di Luigi Orione. Intorno all'approvazione diocesana (1903-1904) Sappiamo che gli anni che precorsero l'approvazione diocesana della "Opera della Divina Provvidenza", furono di grandi tensioni tra il Fondatore e Mons. Igino Bandi. Sappiamo che questo processo era iniziato già nel 1899, coi tentativi di rendere comprensibile lo spirito che incoraggiava le iniziative del chierico Orione. Ricordiamo i punti interrogativi e le domande che i suoi amici gli esternavano, per capire anche loro, quanto lui sentiva ciò che il Signore gli stava chiedendo. Le tensioni, conseguenza normale d’ogni percorso di crescita, provocarono ed accompagnarono un passo decisivo: attorno al carisma del fondatore, comincia a rendersi esplicita, la sua dimensione comunitaria: il carisma di fondazione; è lì dove confermeremo le linee della nuova ecclesiologia. Sappiamo che l'intransigentismo politico, e l'atteggiamento papista di Don Orione, entrando in contatto con la spiritualità rosminiana, cominciano un lento processo di correzione verso una cornice di riferimento teologica più equilibrata. La vicinanza con la spiritualità rosminiana emerge dal desiderio di Don Orione di affrontare un apostolato d’influsso, di trasformazione delle coscienze, per sorreggere l'esperienza religiosa nel popolo semplice. Tuttavia, non dobbiamo credere che il ricorso alla spiritualità del Roveretano, si sia limitata alla copia della regola dell’"Istituto della Carità", per compiere una delle condizioni per l'approvazione diocesana. Vicino allo sforzo per stabilire il fine dell'istituto, anche Don Orione segue Antonio Rosmini nell’imitare gli aspetti strutturali della Chiesa, per l'organizzazione interna del suo istituto religioso. In entrambi i fondatori, c’è la coscienza di vivere in piccolo, la natura ed il fine della Chiesa: Loro cercano di vivere il tutto ecclesiale nel frammento dell'istituto, e questo, nel tutto della Chiesa. |1r| [...] La Piccola Opera della Divina Provvidenza è una dev debb’essere ora e sempre uno straccio, e l’ultimo straccio, ai piedi dell del Sommo Pontefice, dei Vescovi e della Santa Chiesa. Questa nostra umile nostra Congregazione è per la Chiesa, e non la Chiesa per la Congregazione37. Il cambio di prospettiva ecclesiologica è rimasto evidente, nella redazione dei documenti programmatici del "Pro memoria sulla Compagnia del Papa" (1899), e la lettera dell’11 di Febbraio del 1903 a mons. Igino Bandi; in essi traspare il passaggio da una coscienza ecclesiologica dai tratti sociologici ad una più teologica. Potremmo attribuire ciò al passaggio di una prima conoscenza del Rosmini e ad una ponderata comprensione della sua spiritualità, poiché entrambi i documenti hanno questo comune denominatore. Ma tale spiritualità non è la cosa più rilevante: la cosa importante è che alcune espressioni del documento del 1899 guardano più alla prima sintesi ecclesiologica con tratti sociologici, e la lettera del 1903, non arriva ancora ad esprimere adeguatamente un'innovativa posizione sulla natura della Chiesa. Ad ogni modo, ci sono ormai i presupposti affinché questo avvenga più tardi. La prospettiva ecclesiologica orionina ha trovato un orizzonte davvero innovatore in Antonio Rosmini e fondamentalmente nella sua ecclesiologia. I contributi più indicativi cominciano a notarsi, nell’uso della cornice storico salvífico dell'azione della Provvidenza divina nella Chiesa. In effetti, essa è presentata come lo strumento eletto per la perfezione della società umana, anticipo storico del Regno. Nondimeno nella concezione della figura e ruolo del Papa, pur se ancora, ha alcuni residui intransigentisti, comincia a guardarsi in una prospettiva nuova, diremmo più teologica. In effetti, il Papa è considerato il cardine dell'azione storica della Provvidenza. Infine, la stessa cosa si potrebbe dire della Chiesa, considerata nel suo insieme. Come mai non sono state riconosciute queste chiavi del salto qualitativo nell'ecclesiologia orionina? Non abbiamo spazio per rispondere a questa questione. Affermiamo che la 37 [sf., mi., ADO, Scr., 69,410]. congregazione ottenendo l'approvazione diocesana, acquisisce da una parte lo status canonico, e lo spirito del carisma, e al tempo stesso deve fare i conti con l'esplicitazione canonica, vive già la certezza dell'approvazione ecclesiale. Tuttavia, questa conferma non toglie l'inadeguatezza tra l'esperienza carismatica e la sua espressione canonica; la risoluzione di questo dilemma sarà imprescindibile, tanto per la stessa approvazione, come per la sua trasmissione ai discepoli. L'ecclesiologia orionina sotto il pontificato di Pio X (1903-1914) Seguendo il nostro percorso, nello sviluppo delle idee ecclesiologiche, dobbiamo domandarci ora quale esperienza ecclesiale il Fondatore visse durante il pontificato di Pio X? Quali elementi caratterizzano la sua ecclesiologia? La vicinanza tra Don Orione e Pio X è fuori discussione. Le caratteristiche dell'ecclesiologia di questo pontefice potrebbero trovarsi nel suo grande interesse per la pastorale popolare, ma essa fu anche fortemente centrata sull'autorità. Atteggiamento che aumentò ancora di più nello scontro con il problema del modernismo. Tutte queste particolarità, confluirono ed ebbero un grande influsso su Don Orione, il quale si dedicò con un servizio generoso ed eroico, nel soccorrere le vittime del terremoto calabro-siculo di 1908 e dopo, come vicario generale di Messina fino a 1912. In questo periodo, la figura di Pio X segnerà in modo decisivo lo sviluppo dell'esperienza ecclesiale di Don Orione. Il carattere popolare dell'azione pastorale li trovò in perfetta sintonia. Il modo in cui la problematica modernista fu risolta, determinò alcune differenze; non certamente con la persona del Papa, ma di sicuro con alcuni dei suoi collaboratori. Rimanendo nell’argomento del nostro studio, il forte ricorso alla potestà ecclesiastica, e la condanna della modernità in blocco, rallentarono e, progressivamente, cercarono di correggere il modello ecclesiologico orionino. Tuttavia, gli avvenimenti tragici del terremoto, vissuti da Don Orione durante la sua esperienza come Vicario generale di Messina, il processo interiore che si produsse da una parte e il contatto coi personaggi accusati di modernismo, dall’altro, continuano a segnare fortemente la sua esperienza ecclesiale. In altre parole, essa maturerà per mezzo delle vicende della storia. Più tardi, Don Orione capirà, che la Chiesa trova la natura misteriosa della sua ragione di essere, nella sacramentalità della misericordia di Dio rivelata in Cristo Gesù. Non a caso, verso 1915, dopo i tentativi frustrati di annettere la congregazione della Madre Michel come ramo femminile della “Piccola Opera della Divina Provvidenza", Don Orione fonda il ramo delle religiose, allora col nome di "Missionarie della Carità”. Sappiamo che questa nuova fondazione fu importante per comprendere la rotta, non soltanto dell'apostolato assistenziale, che andava acquisendo un'entità sempre maggiore, ma anche perché mise i presupposti affinché la carità non fosse vissuta come la schietta attività di un istituto, bensì come la condizione-stato del credente, membro vivo della Chiesa. L’ecclesiologia da 1915 fino 1934 La delusione provocata nella maggior parte delle persone, dal fatto di non trovare nella Chiesa il senso comunitario, dopo gli avvenimenti bellici della Grande Guerra, fu molto forte. Una gran dose di sfiducia dominava nell'uomo del 1920 che ancora sentiva le conseguenze della guerra. La reazione fu la ricerca di una profonda esperienza di comunità che portò ad una forte ribellione contro la nozione sociologica e giuridica della Chiesa, intesa fino a questo momento, come società perfetta. Don Orione cammina verso questo stesso orizzonte, ma non come frutto di un'astrazione intellettuale, bensì come risultato del servizio di compassione ed aiuto disinteressato ed eroico, verso coloro che erano stati emarginati e abbandonati. Luigi Orione vive una profonda scossa spirituale, che chiamiamo seconda conversione. È il periodo nel quale incomincia il collasso del suo intransigentismo, per mezzo dello sviluppo dell'apostolato assistenziale, e della sua lenta ma costante purificazione, che lo porterà a fondarsi in Cristo. L'esposizione degli elementi che confluiscono in quest’esperienza dello spirito di carità eccederebbe la nostra esposizione. Con tutto ciò affermiamo che la carità di Dio manifestata in Cristo risplende nella condizione di quelli che, raggiunti dalla grazia, testimoniano nella storia l'essere Chiesa come un nuovo stato d’esistenza dell'uomo. Interessante è notare che, mentre gli avvenimenti del 1929, pongono fine alla "Questione romana" e danno origine ad un nuovo stato: la città del Vaticano col suo capo il Santo Padre, in Don Orione inizia ad assumere entità una nuova prospettiva della figura e del ruolo del papato rispetto all’intera Chiesa; è il periodo del "dolce Cristo in terra"; espressione che unisce Don Orione con alcune particolarità, alla mistica visione di Santa Caterina di Siena. Mentre la santa senese era riuscita a fare ritornare il Papa a Roma, Don Orione cercherà, per mezzo di questo nuovo spirito di carità, di portare il Papa al cuore delle masse popolari, degli abbandonati e rifiutati del mondo. Arriviamo così alla soglia dell'ultimo passo: il carisma del Fondatore comincia ad allargare il suo orizzonte per scoprirsi non già nell'esperienza esclusiva di un gruppo di discepoli, bensì nell'esperienza che esprime il mistero totale della Chiesa. Questa è l'ultima tappa nel carisma orionino, dell'innovativo e maturato approfondimento del mistero della Chiesa. È la realizzazione del desiderio e la passione di Luigi Orione d’essere tutto della Chiesa, al quale la Provvidenza lo ha condotto, facendogli percorrere strade impensate. Vediamo ora i suoi elementi costitutivi e le conseguenze di tale modello. L'ecclesiologia in chiave della carità Come l'esperienza dell'amore di Dio, manifestato nel mistero della persona di Gesù, è il "luogo" dal quale Dio parla di sé, e in conseguenza, ove manifesta la realtà più profonda dell'uomo, la categoria carità, che costituisce il cuore dell'azione diaconale della Chiesa, è il modo attraverso il quale l'uomo manifesta il dono della salvazione per sé e per l'umanità. Per ciò lo spirito di carità, fatto esperienza nelle opere, è lo "spazio teologale" (ermeneutica): in quel punto, Dio Padre manifesta la sua identità, si scopre l'essere di Cristo e dello Spirito di ambedue. E allo stesso tempo, la Chiesa si scopre moglie e madre, e l'uomo, amato si sveglia figlio. Nell'esperienza ecclesiale orionina, espressione della sua prassi ecclesiale e pastorale, c'è un'interdipendenza tra le categorie "caritas", "ecclesia" e "societas humana". Per quale motivo, in Don Orione, è necessario abbordare la realtà misteriosa della Chiesa dalla prospettiva della carità? Annibale Zambarbieri ha intuito perfettamente quest’esperienza di Luigi Orione [...] Nelle scelte di Don Orione restò dominante e storicamente qualificante l’ispirazione definibile con il lemma «carità» quasi un basso continuo a sorreggere armonie, contrappunti e dissonanze. [...] È forse il caso di riconoscere, in siffatta orientazione, l’affiorare di una maniera di intendere, rappresentare e soprattutto di vivere l’appartenenza alla Chiesa le cui venature andrebbero tenute presenti con maggior lucidità in sede storica, secondo un acuto avvertimento di Pietro Stella. Tra una concezione sinteticamente espressa nella formula «ecclesia societas perfecta» allusiva ad una intelaiatura giuridica avente quale guida spirituale e disciplinare il pontefice romano, e l’altra rispecchiata nell’immagine di Chiesa-organismo vitalmente percorso e mosso dallo Spirito, se ne incunea una terza, non meno rilevante, quella interiorizzata dai fedeli in quanto intuitivamente o riflessivamente comprendono la propria e l’altrui partecipazione alla fraternità come offerta della misericordia di Dio all’umanità ferita e bisognosa di salvezza38. Come sappiamo caritas, nel Don Orione della maturità, esprime lo stato-condizione dell'uomo raggiunto per la grazia del Cristo salvatore, che vive dell'amore di Dio e che lo testimonia con la sua vita, prolungando storicamente l'evento unico del Redentore, nell'offerta della comunione diaconale che è la Chiesa. Evidentemente, l'esperienza ecclesiale, vissuta sotto il segno della carità, fa sì che Don Orione ci aiuti ad aprirci ad una prospettiva di comprensione innovativa del mistero della Chiesa, che si esprimerà con maggiore evidenza solo nel Concilio Vaticano II. In questo senso, Piero Coda afferma, che la teologia si arricchisce con testimoni qualificati come lo è il sacerdote tortonese: [...] Il riflettere sul vissuto della carità può permettere di rifocalizzare una verità fondamentale dal punto di vista dell’epistemologia teologica: e cioè, che l’evento ecclesiale della carità è il privilegiato luogo ermeneutico della conoscenza di quel Dio Amore, che è il Dio rivelato da Cristo [...] La conoscenza di fede, e di conseguenza anche la teologia, non può prescindere dal dinamismo della carità, nel quale, anzi, ha la sua imprescindibile condizione di possibilità39. Questo compito diventa più affascinante, quando gli aspetti dottrinali del mistero della Chiesa si vedono incarnati e vivi, nel dono della vita dei santi; la comprensione della Chiesa non esclude l'esperienza, ma è il suo splendore più luminoso: [...] La fede vissuta, operante nella carità, [è] un vero e proprio luogo teologico, a cui bisogna fare riferimento, superando quella separazione che talvolta si è fatta notare tra una riflessione speculativa preoccupata solo di lucidità dottrinale e una teologia della situazione pratica, carente di fondamento teoretico. [...] Nella misura in cui la teologia prende atto del suo riferimento alla vita della Chiesa vissuta nella carità, il suo compito critico ed ermeneutico viene vivificato e allargato: non resta confinato alla preoccupazione dell’obbiettività scientifica e della precisione dottrinale, che sono requisiti pur sempre necessari, ma, mantenendosi in stretto contatto col dinamismo vivente nella carità e nella comunione ecclesiale, contribuisce ad aprire le vie del futuro della Chiesa, nella quale essa perennemente si rinnova, pur sempre mantenendo la sua identità essenziale voluta da Cristo40. In altre parole, la teologia si fa nella contemplazione del dato rivelato. È anche certo che la sua esplicitazione, è garantita non solo dall'insegnamento degli scrittori cristiani, bensì fondamentalmente dalla vita stessa della Chiesa. La storia della teologia e della mistica cristiana non aggiungono niente alla rivelazione cristiana, e tuttavia la rendono comprensibile. La categoria "caritas" che ci aiuta a capire il modello ecclesiologico orionino: da una parte, rivela la novità ed attualità dell'esperienza di Luigi Orione; e da un altra, ci aiuta ad evitare l'illusione di imprigionare l'infinito contenuto della natura della Chiesa dentro la struttura finita del linguaggio. Tuttavia, quest’affermazione porta ad una questione più delicata: riferire la carità e la fede come origine della Chiesa. Evidentemente, il trattamento di questo tema eccede i limiti del nostro obiettivo. Affermiamo che la posizione di Don Orione, si avvicina all'accettazione del principio 38 ZAMBARBIERI, A., «Introduzione», 19-20. STELLA, P., «Prefazione», XVI-XVII: «Si rimane insoddisfatti – a mio parere – quando si tratta di collocare in qualche schema sia Mons. Tosi sia chi come lui ha un modo di sentire la chiesa alimentato più dalla familiarità con libri spirituali che non da trattazioni apologetiche o da manuali di teologia speculativa. Per Tosi e per altri occorrerebbe allargare la schematizzazione binaria [societas perfecta-corpus Christi] e inserire una terza, dove porre chi sente e descrive la Chiesa come il dono della misericordia di Dio alla creatura umana». 39 CODA, P., «Indicazioni teologiche e operative», 281. 40 GIOVANNI PAOLO II, «Ad eos qui conventui de virtute caritatis», 1987, 1215. dell'incarnazione: nessun’azione di Dio può incidere sulla storia, se non si trasforma in azione della creatura. In questo senso, può superarsi il dualismo, affermando che la Chiesa sorge quando una comunità riesce ad esprimere storicamente l'amore di Dio o la forza dello Spirito. La comunione non è un'esigenza etica, bensì una necessità strutturale dell'esistenza ecclesiale. Vediamo ora gli elementi della categoria carità del modello ecclesiale orionino: mistico, come amore sponsale, storico, come amore materno, ed escatologico, come amore verginale. L'amore sponsale della Chiesa Cristo ha potuto creare uno spazio vitale, tra la realtà dell'amore di Dio e, la condizione dell'uomo sofferente, bisognoso di salvazione. È lì, nella sua persona appesa nella croce, dove nasce la Chiesa: dove la sua esistenza è offerta e contemporaneamente accettata dal Padre per l'umanità. È indicativo trovare nei testi di Don Orione, un'analogia con la croce di Gesù tra le nascite della Chiesa e della "Piccola Opera della Divina Provvidenza". Ricordiamo come termina la lettera di domanda d’approvazione diocesana del 1903: |11v| [...] Non abbiate timori e confortatevi anzi nel Vostro cuore, o mio buon Padre: vedrete che |12r| questa incipiente Congregazione, perché votata tutta al S. Padre e alla S. Chiesa, germoglierà continuamente sul Calvario tra Gesù Cristo Crocifisso e Maria SS. Addolorata; - e di un Istituto, che nasce per stare di proposito sul Calvario, c’è da confortarsi sempre [...]41. Soltanto alla luce dell’esperienza storica della carità, nell'ultima tappa della vita di Luigi Orione, è possibile comprendere la profondità delle espressioni scritte a mons. Igino Bandi nel 1903; il carisma che origina questa nuova famiglia, vuole essere manifestazione di quello spazio vitale che Cristo crea, nella consegna della propria vita, tra Dio e l'uomo; tra Dio ed il suo Popolo. Lo stare sul Calvario, come fa Cristo, è la maniera di rinnovare l'amore di Dio per l'umanità, e non abbandonare l'umanità nel dolore, bensì fare di quest’esperienza, l'espressione storica della salvazione e comunione divine. Don Orione, nella maggioranza dei suoi scritti, si riferisce alla realtà sponsale della Chiesa, facendolo spesso nel contesto dell'avvenimento della Croce e per essere più precisi, sempre in relazione con la persona del Crocifisso. Questa stessa prospettiva è vista tra la nascita della congregazione ed il Crocifisso. C'è una relazione diretta tra le nascite della Chiesa e della congregazione, stabilita nella persona del Signore crocifisso. Per Don Orione, la "Piccola Opera", possiamo dirlo così, quando nasce, apre i suoi occhi alla vita non vedendo altro che il Crocifisso. Le parole di Don Orione acquisiscono una profondità misteriosa, quando la famiglia religiosa che nasce, vuole rimanere lì dove è stata chiamata alla vita. Possiamo comprendere allora che questo stare "stabat", non si tratte solo di un posto, bensì fondamentalmente di una relazione: perseverare uniti al Cristo che abbraccia, nella consegna della sua vita a tutto l'uomo, a tutti gli uomini di qualunque tempo e cultura. Questo rimanere, è vivere nella storia l'amore provvidenziale di Dio, che manifesta la sua predilezione per l'uomo, e la sua risposta, facendo della sua vita un'offerta d’amore: |12r| [...] Lo stare sul Calvario servirà all’Opera a non farle perdere lo spirito onde è nata, a non dimenticare che Gesù non patisce solo sul Calvario, e a crescere in essa quella Carità del Cuore Sacratissimo di Gesù che vorrebbe soavemente stretti tutti gli uomini in un sol corpo, qualunque siano le differenze loro d’ogni maniera42. Che Gesù non sia solo sul Calvario, significa che neanche l'uomo è solo nella storia. La solitudine della sofferenza è stata trasformata dalla presenza amorosa del cuore di Gesù. E Lui 41 42 [a I. Bandi, 11.02.1903, c., ADO, Scr., 45,25 bis, 11v-12r]; (L. I, 20). [a I. Bandi, 11.02.1903, c., ADO, Scr., 45,25 bis, 11v-12r]; (L. I, 20). che ha trasformato la nostra realtà in comunione col Padre, sigillandone con quest’amore sponsale, la sconfitta del dominio della morte. “Gesù non patisce solo sul Calvario", parole misteriose che, come afferma Hans Urs von Balthasar, "la sofferenza vicaria di Cristo non è esclusiva bensì inclusiva, il gesto col quale assume qualcuno, non può essere altro che un gesto che trasforma l'amato in sofferente" e più avanti "questa com-passio è anche parte del lascito che offre alla sua Chiesa ed è quello che fa possibile che la Chiesa superi lo iato del giorno nel quale “Dio è morto”". Cristo ha distribuito eucaristicamente il momento d’abbandono di Dio lungo tutta la storia, che sappiamo superato nella consegna della propria vita, per amore di suo Padre in solidarietà col destino d’ogni uomo. [...] Le anime e i nostri cari poveri: Gesù Cristo, la sua Chiesa e la piccola tua Congregazione si amano e si servono solamente stando sulla croce e crocifissi di carità. Sta contenta sulla croce. Vicino alla croce troverai pure la nostra Madre, la Madonna SS. che sarà sempre la tua consolazione43. La sofferenza umana non acquisisce la sua dimensione più profonda nel dolore che causa, bensì nella luce della solidarietà misteriosa di Cristo con l'uomo che soffre. Questa solidarietà di Cristo col sofferente, trasforma a questo nel partner del dialogo dell'amore che riesce a superare lo stato di solitudine: quella comunione, frutto dell'amore-consegna, è la Chiesa. L'avvenimento della croce che porta a pienezza il piano del Padre è contemporaneamente l'inizio di un tempo nuovo: il tempo della Sposa |3r| [...] Quando volgo lo sguardo, o Signore, alla nascente Chiesa Sposa di Gesù Cristo vedo la Chiesa che sgorga dal Cuore trafitto di Gesù Cristo Crocifisso, e quale Eva tratta dal costato di Adamo, sorge dal palpito del Signore ha vita e «compagna del suo gemito» scende le zolle imporporate dal sangue di Dio e sta in riposte mura insino a che lo Spirito rinnovatore scende viene dal Cuore di Gesù ad illuminarla, e con tanta effusione di Cuore amore la ammaestra e la fortifica che maggiore non vide mai il mondo. È il Cuore di Gesù che asciuga le lagrime di questa sua Sposa, e sovra Lei effonde le più soavi consolazioni44. La nascita della Chiesa, ha il suo fondamento più profondo nella solidarietà totale di Cristo con l'uomo; ed è precisamente questa solidarietà accettata, che fa d’ogni uomo aperto alla sua grazia, un membro del suo Popolo. È nel cuore trapassato di Cristo, dove è data la realtà più intima e personale di Dio, per l’uso pubblico: tutti, senza distinzioni, possono penetrare in quell'ambito aperto e vuoto. |1| [...] Anime di piccoli, anime di poveri, anime di peccatori, anime di giusti, anime di traviati, anime di penitenti, anime di ribelli alla volontà di Dio, anime di ribelli alla santa chiesa di Cristo, anime di figli degeneri, anime di sacerdoti sciagurati e perfidi, anime sottomesse al dolore, anime bianche come colombe, anime semplici pure, angeliche di vergini, anime cadute nella tenebra del senso e nella bassa bestialità della carne, anime orgogliose nel male, anime avide di potenza e di oro, anime piene di sé, che solo vedono sé, anime smarrite che cercano una via, anime dolenti che cercano un rifugio o una parola di pietà, anime urlanti nella disperazione della condanna o anime inebriate dalle ebbrezze della verità vissuta: tutte sono amate da Cristo, per tutte Cristo è morto tutte Cristo vuole salve tra le sue braccia e sul suo cuore trafitto. Anime! Anime!45 43 [a Suor M. Sebastiana, 17.02.1926, c., impr., ADO, Scr., 83,96]. [sf., mi., ADO, Scr., 86,145]. 45 Ibidem. 44 L’amore materno della Chiesa L'amore di Dio che è attivo, elettivo, (Rom 9,13;11,28), creatore (Col 1,12) libero e misericordioso si sintetizza nel mistero di Cristo. La povertà di Dio si è manifestata negli uomini raggiunti per la sua grazia, che ha fatto di loro ontologicamente e dinamicamente nuove creature (Ef 2,8-10). La chiara esperienza dell'amore di Dio nella storia, permette che l'uomo lo riconosca come Padre, misericordioso, ma con tratti materni. Dio ama l'umanità nell'individuo, nella persona; come una madre che ama tutti, ed ogni figlio, con lo stesso amore; e tuttavia, la relazione con ognuno di loro è speciale. Questa è la caratteristica dell'amore cristiano: è contemporaneamente universale e personale. Tutta la vita di Don Orione fu vissuta nell'intensità del suo sentirsi un vero figlio della Chiesa; così a mons. Igino Bandi durante uno dei momenti di tensione col vescovo di Tortona nel Febbraio del 1908; Luigi Orione gli assicurava che: [...] Sento che sono molto peccatore e indegno di essere figlio di Dio e Sacerdote nella Sua Santa Chiesa: voglio vivere e morire da vero figlio della Santa Chiesa e mi affido pienamente ai suoi Vostri santi piedi come roba della Santa Madre Chiesa Cattolica46. Per Don Orione, la Chiesa è vera madre, perché ci ama come suoi figli. Vediamo da vicino alcune caratteristiche che emergono da questa figura della Chiesa. La realtà della Chiesa amata come sposa, si apre ad una nuova esperienza che germoglia dalla fecondità della relazione con Dio: la maternità. Ella come depositaria del Sangue di Cristo, della vita nuova che, donata per il Cristo addormentato nella Croce ed accolta per la Chiesa nascente, si fa vita nei sacramenti. Essi sono quelli che, mettono in contatto ogni uomo con l'avvenimento del gesto d’amore dell'Unigenito, ora ormai primogenito di una moltitudine. La fecondità della Sposamadre, in Don Orione è sottolineata, normalmente nei suoi abituali saluti pasquali ai religiosi e ai benefattori. |2| [...] Magnifichiamo il Signore nella gloria della Resurrezione, camminiamo fidenti verso la Galilea celeste, dove Gesù ci precede, nutriti, corroborati dai Sacramenti Pasquali, che la Chiesa, la gran madre della fede e delle anime, conservatrice del Sangue incorruttibile di Cristo, ci porge. La Santa Chiesa! - La Chiesa che sola meriti il nome di Madre e il nome di Chiesa: Chiesa unica e universale, che parla da Roma la parola ineffabile del «dolce Cristo in terra» [...]47. La Chiesa custode del dono della vita donata da Cristo, si rivela come una vera madre che genera nel seno dell'umanità, i figli nel Cristo. Questa nuova condizione dell'esistenza, si manifesta di una vitalità straordinaria. La comunicazione del dono della vita abbraccia tutte le generazioni e diventa espressione della stessa fedeltà di Dio. Come madre, la Chiesa sente profondamente, in se stessa, il dolore di ognuno dei suoi figli; come madre, non trova altra consolazione che la loro liberazione da tale situazione. Quest’atteggiamento si fonda sulla vita di Gesù, che manifestando la sovrana povertà di Dio, esige non una risposta adeguata nell'osservanza ritualistica, bensì nella solidarietà con gli umili, (Mt 9,13; 12,7). [...] O dolce Madre della mia fede e della mia anima! O Santa Chiesa di Dio, veramente cattolica, Chiesa Madre di Roma, unica e vera Chiesa di Gesù Cristo, bevi il mio amore e le mie lagrime; delle mie lagrime, del mio sangue e del mio amore voglio farti come un balsamo da versare sulle piaghe, su tutte le umane debolezze de’ miei fratelli, e sul tuo dolore!48 46 [a I. Bandi, sf., mi., ADO, Scr., 79,366]. [ccir., impr., ADO, Sccir., 04.1936]; (L. II, 339). 48 [pimp., ADO, Scr., 81,117]. 47 Perciò, non c'è distinzione tra l'amore alla Chiesa e il servizio ai suoi membri sofferenti. È la fede, quella che unisce, nella persona del Signore, quanto facciamo per ognuno dei suoi fratelli più poveri. È nella consacrazione totale di se stessi, nel servizio ai più bisognosi che si ama in realtà la Chiesa, perché si ama nei suoi figli; non c'è felicità più grande per una madre che la felicità dei suoi. La misericordia, manifestando l'aspetto materno di Dio, fa della Chiesa la sua espressione più perfetta. È nella misericordia verso coloro che soffrono ed i bisognosi, che si rivela la dimensione più profonda dell'amore di Dio; ed in Cristo questa misericordia risplende in modo perfetto. Se la santità consiste nell’appartenere totalmente a Colui che ci ha chiamati alla vita, non c'è un altro modo di vivere questa santità che nella carità. Perciò, nella spiritualità orionina è comprensibile l'intima relazione che esiste tra filiazione e servizio; tra obbedienza e carità. Così, la maternità della Chiesa, non è una categoria astratta, bensì una realtà che accade, in situazioni molto particolari della vita di Luigi Orione. Lui stesso è stato un'espressione dell'amore materno della Chiesa, per personaggi della vita sociale ed ecclesiastica, in mezzo allo scenario tormentoso della prima metà del secolo XX. Molti di loro lo hanno sperimentato come il buon samaritano del Vangelo. Ci basta citare l'attestazione di Ernesto Bonaiuti, mentre chiede a Don Orione aiuto per un giovane: Caro, Ti si presenta un mio giovane amico. Ti spiegherà il suo caso. È un boccheggiante sulla via, colpito, malmenato, lasciato nell’abbandono. Tu sei il buon Samaritano. Lo sanno tutti; io lo so meglio di ogni altro. Lo metto sul tuo cammino. Non lo lascerai boccheggiare. Lo raccoglierai e lo curerai. Ti indico – scusami – la cura. Tu dovresti mandarlo ad insegnare in una delle tue istituzioni nell’America del Sud. Non aggiungo una parola: tutti i tuoi secondi sono preziosi. Io ... sono sempre assetato del tuo ricordo. Prega e ricordami. E. Buonaiuti49. In Don Orione questo è chiaro, quando ponendo l’accento sugli aspetti più profetici del ministero petrino, colloca il Papa - "dolce Cristo in terra" - come cardine dell'azione santificatrice della Provvidenza che conduce la storia dell'umanità alla sua consumazione piena. È la santità, che fatta servizio, fa che tutto sia sotto il Cristo ("instaurare omnia in Cristo") per mezzo della Chiesa. L’amore verginale della Chiesa La Chiesa esprime la sua natura più profonda, in quell'amore sponsale e materno. Tuttavia, dobbiamo analizzarne un'altra sua importante dimensione: la dimensione profetica; è quella che abbiamo convenuto chiamare: la dimensione verginale della Chiesa Carità. Questa figura ci aiuta a comprendere la Chiesa che credendo, spera e, amando, testimonia quanto crede. La Chiesa vive questa dimensione profetica come annuncio ed anticipazione nella storia del Regno di Dio; è contemporaneamente realizzazione e promessa di consumazione futura. Questa è la terza linea d’analisi dell'esperienza ecclesiale di Don Orione. L'orizzonte di speranza della storia, è inaugurato dal trionfo di Cristo; ma lontano d’essere una visione trionfalistica (poiché le due categorie viste danno all'insieme una prospettiva equilibrata), colloca il popolo di Dio in tensione verso il futuro escatologico del Signore. E nuovamente ritorna l'esperienza orionina della Provvidenza, che unisce gli avvenimenti dell'uomo e di Dio nella storia, facendo di lei espressione di questo camminare di Dio col suo popolo. La santità, che come abbiamo visto non è altro che espressione della carità, è il segno che il trionfo di Cristo comincia ad essere posseduto nel tempo come anticipazione della consumazione escatologica. 49 BUONAIUTI, E. [a L. Orione, 12.12.1938, c., ADO, Buonaiuti]. L'amore verginale della Chiesa, che da una parte manifesta la sola appartenenza al Signore, si vive anche come una speranza certa che agisce e si compromette in modo decisivo, ancora in mezzo alle contraddizioni del divenire storico. Così anticipa la fine, non perché sia una realtà futura, bensì perché l'amore cristiano è una realtà perfetta, cioè che non passerà. La speranza cristiana, atteggiamento di contemplazione del divenire umano e dell'operare divino, ci aiuta a vivere ed a costruire questa carità affinché la storia, quando passa lasci indubbiamente il sì di Dio, che non passa, ed in Cristo, neanche il sì dell'uomo. Ricordiamo un testo già conosciuto: |3| [...] Ma a questa era, a questo grandioso e non più visto trionfo della Chiesa e di Cristo, noi per quanto minimi, dobbiamo portare il contributo di tutta la nostra vita: e per quanto è da noi, noi dobbiamo prepararla, affrettarla, con la orazione incessante, con la penitenza, e il sacrificio, e col trasfondere la nostra fede, la nostra anima specialmente, nella giovane generazione, e nella specie in quella gioventù che è figlia del popolo, e che più necessita di fede religione, di moralità e di essere salvata [...]50. Ed anche |1| [...] Avanza al grido angoscioso dei popoli: Cristo viene portando sul suo cuore la Chiesa |2| e nella sua mano, le lagrime e il sangue dei poveri: la causa degli afflitti, degli umili, degli oppressi, delle vedove, degli orfani, dei rejetti. E dietro a Cristo si aprono nuovi cieli: é come l’aurora del trionfo di Dio! Sono genti nuove, nuove conquiste, é tutto un trionfo non piú visto di grande, di universale caritá, poiché l’ultimo a vincere é Lui, Cristo, e Cristo vince nella caritá e nella misericordia. Ché l’avvenire appartiene a Lui, a Cristo, Re invincibile: Verbo divino che rigenera: Via di ogni grandezza morale: Vita e sorgente viva di amore, di progresso, di libertá e di pace [...]51. È la speranza che incoraggia i passi della Chiesa verso l'incontro definitivo con il suo Signore, nell'attestazione semplice dello spirito di carità tra i semplici e prediletti del suo cuore. Questa è la dimensione più profetica dello stato-condizione della carità; la costruzione della Chiesa nella storia, strumento della Provvidenza, modello d’ogni società umana, è il motore che collabora con Dio affinché la storia acquisisca il suo compimento; quell'instaurare omnia in Cristo acquisisce nella Chiesa tutta la sua dimensione più profonda. È il motivo di speranza che nasce dalla certezza che Dio, ci ha dato in Cristo, la forza di raggiungere la meta. Questa tensione verso il Regno che, nell’impegno quotidiano, fa la Chiesa, è in termini paolini la carità che edifica la Chiesa. È l'amore quello che costruisce la Chiesa, è l'amore quello che salva il mondo. Questo tema ci aiuterà a comprendere la missione diaconale dell'ecclesiologia in chiave della carità. Conclusioni Le tre dimensioni con cui abbiamo analizzato la realtà dell'ecclesiologia orionina, sotto la prospettiva della categoria carità, ci permettono di segnalare alcune conclusioni. In primo luogo, ha reso visibile l'origine e fondamento misterico della Chiesa. La preminenza data alla comunione di vita divina e di grazia, trasforma non solo l'uomo, bensì tutte le relazioni sociali e, di conseguenza, tutte le strutture che formano la società. In altre parole, in Luigi Orione, la dimensione ecclesiologica della sua esperienza-caritas, aiuta a percepire chiaramente, non soltanto l'essere intimo di Dio, ma anche la vocazione e la dignità, che l'uomo è chiamato a condividere in modo attivo. 50 [ccir., ADO, Sccir., 03.07.1936]; (L. II, 370: va.). [ccir., oimp., ADO, Sccir., 04.1936]; (L. II, 337-338: va.). [ma., d., impr., ADO, Sccir., 03.1936] L. II, 329. [ccir., ADO, Sccir., 25.07.1936, 11 p.]; (L. II, 391-402). 51 Quest’orizzonte fu raggiunto da Don Orione, grazie alla centralità che l'evento Cristo ebbe nella sua vita spirituale ed apostolica. In effetti, come abbiamo avuto opportunità di vedere, le linee ecclesiologiche che esprimono la condizione misterica della Chiesa, emergono dal suo lungo processo di purificazione e di maturazione interna e pastorale. Sappiamo che la filiazione divina è un dono e contemporaneamente una missione, e che ciò vale per il mistero della Chiesa. In questo senso, la ragione di essere della Chiesa, non si capisce senza il riferimento esplicito a Cristo e in modo particolare in Don Orione, a Cristo crocifisso. È nella consegna di Cristo sulla croce, che nasce la risposta ed il compromesso dell'uomo aperto alla grazia. La misericordia di Dio diventa visibile nel Figlio, ed è per questo che, per Don Orione, la carità è sempre un'azione religiosa: l'azione di Cristo, Provvidenza visibile del Padre. Così, il servizio di carità, è un gesto non solo fatto in nome di Cristo, ma fatta a Cristo stesso. L'esperienza ecclesiale di Luigi Orione allora, rileva che la forma evidente ed essenziale della Chiesa, è il gesto di carità: espressione d’amore di Dio che, in Cristo, si fa uomo affinché facciamo nostro il suo amore e lo viviamo nel servizio di tutti, specialmente dei più poveri. Perciò, è nella carità, come esperienza che aggiorna l'avvenimento della croce di Cristo, nella vita dell'uomo raggiunto per la grazia che la Chiesa acquisisce la sua autentica visibilità. La seconda caratteristica, nell'esperienza ecclesiale orionina, è il forte accento dato al ruolo della comunità. La mediazione di Cristo ha la caratteristica d’essere inclusiva, in altre parole, sostiene un universo di nuove mediazioni, tutte espressioni della nuova condizione del cristiano. La salvazione operata in Cristo stabilisce una solidarietà nuova: quella della comunione dei salvati e di questi col resto dell'umanità. È bene ricordare qui, l'uso del concetto "santità sociale", col quale Don Orione spiegava l'unità di tutto l'uomo e di tutti gli uomini in Cristo. Per lui, la coscienza di disponibilità all'azione della grazia di Dio e di vicinanza alle sfide degli uomini, parla chiaramente di simile prospettiva motore della sua vita. Tuttavia, l'immagine di comunità che sorge dalle linee di quest’ecclesiologia non è organologica né personalistica, ma si riferisce all'azione della Provvidenza che salva ed ama nella povertà e nella vita del credente offerta per amore a Cristo. Precisamente, è nel gesto di consegna solidale della propria vita, all'azione della Provvidenza, che Dio fa la Chiesa, associando quell'offerta a quella di suo Figlio, innamorato dell'umanità ferita. Questa è l'esperienza più viva che ha avuto Don Orione della Chiesa: quando ha amato gli uomini con l'amore di Gesù. L'ecclesiologia in chiave della carità, mette allora in evidenza che la Chiesa non nasce solamente dal fianco aperto di Cristo sulla croce, ma anche, da quel dialogo d’amore ineffabile tra il Signore ed ogni uomo respinto, abbandonato ed emarginato di questo mondo. La carità, segna l'orizzonte verso il quale la comunione ecclesiale deve incamminarsi: abbracciare tutto l'uomo e tutti gli uomini. In terzo luogo, questa dimensione cristologica e l'attenzione alle realtà dell'uomo, segnano decisivamente la dimensione storica dell'ecclesiologia orionina. La prospettiva illumina non solo la natura della Chiesa, la sua relazione col mondo e con la storia, ma traccia la rotta della missione, cioè, essere segni e strumenti dell'amore di Dio. La natura della Chiesa ha per fondamento l'azione storica della Provvidenza. Qui abbiamo l'intuizione profonda di Don Orione: la natura della Chiesa rivela l'efficace azione della povertà del Padre che in Cristo, storicamente tocca e trasforma, per amore, l'essere ferito della nostra umanità. Perciò la carità, motore dell'azione della Provvidenza, è la forma essenziale che manifesta in un modo adeguato l'identità della Chiesa. Se Dio per amore, diventa visibile in Cristo, la ragione d’essere e della missione della Chiesa non hanno altra forza che questa. È chiaro in Don Orione che, le tre dimensioni ecclesiali che abbiamo analizzato, mistica, storica e profetica, sono vissute in un modo armonico. L'ecclesiologia della "Scuola Romana", se da una parte valutava il cristocentrismo ecclesiologico, per un altro, sottolineava con vigore la natura dell’”istituto positivo" della salvazione della Chiesa. La realtà motivata per Cristo è, al di sopra di tutto, l'istituzione Chiesa, come l'insieme dei mezzi di salvazione e dei poteri da Lui istituiti; istituzione che trova nella relazione strumentale con Cristo la sua profonda giustificazione teologica. Senza negare questi aspetti, Don Orione con il suo sentire Ecclesiam, li vive nel dinamismo della sua partecipazione all'azione provvidenziale che fa la Chiesa, mentre offre la sua vita, come gesto della povertà divina, all'uomo bisognoso dell'amore che fa risplendere la sua dignità. La Chiesa, per Luigi Orione, diventa visibile nell'agape (condizione-stato), con la quale si prolunga diaconalmente quest’amore che è germogliato dalla croce e Lei perpetua durante la storia. Lì, la Chiesa si sveglia all'esistenza nel dialogo ineffabile del Cristo che si arrende per amore. La profonda intuizione ecclesiale di Don Orione risiede nel fatto che, la visibilità della Chiesa, è l'azione di Cristo, misericordia del Padre che, toccando l'umanità ferita con lo Spirito Amore, torna a generare la sua Sposa. Questa esperienza di partecipazione nel mistero dell'amore crocifisso del Signore, da una parte e della realtà sofferente dell'uomo dall’altra, sono le premesse per parlare di una forma essenziale di manifestare la Chiesa. La carità, che fa visibile Cristo redentore e Signore della storia, rivela la natura della Chiesa. Questo dialogo sponsale che implica entrambi i sofferenti, fa si che l'avvenimento Chiesa sia più reale di quanto lo sia il dolore umano. La Chiesa è visibile nella debolezza del sofferente, soffrendo lei stessa. Di conseguenza, la visibilità ecclesiale, risplende nell'amore al Signore amato fino alle ultime conseguenze. In questo, ella non vuole essere distinta dal suo Signore, perché l'amore la trasporta precisamente ad identificarsi con l'Amato. Sappiamo anche che l'Amato, identificandosi coi piccoli, con gli emarginati, coi quali è considerato come la spazzatura del mondo, ha pronunciato l'unica parola che speravano di sentire: a voi appartiene il Regno (Lc 12,32). E continuare a pronunciare questa parola, è il mandato che il Signore ha lasciato come missione alla sua Chiesa. Cristo colloca la Chiesa al centro della storia, come il Padre ha fatto con Lui. Così, per azione dello Spirito, conducono l'umanità, in mezzo alle vicende di questo mondo, verso il Padre che è origine e meta di questo gran movimento. Evidentemente la figura ed il ruolo del Papa nell'ecclesiologia orionina, non poteva rimanere indifferente a questa nuova prospettiva. In Luigi Orione, il Papa-re, che non era un concetto astratto ma una persona concreta: Pio IX, lascia il passo ad un'altra realtà concreta che porta per categoria l'espressione cateriniana di "dolce Cristo nella terra", quando vede risplendere l'amore della Chiesa che non è distinto dalla sua origine stessa; Cristo sacrificando la sua vita ai poveri, la consegna al Padre. La vera rinnovazione dell'uomo e delle relazioni sociali viene precisamente da questa nuova solidarietà col mistero della croce del Signore. La Chiesa pertanto, motivata in questa esperienza, non deve abbandonarla mai, a rischio di crescere invano su un altro fondamento; e l'avvertimento fatto a Pietro dal Signore, conserva validità durante tutta la storia (Mt 16,23). Infine, non è sbagliato affermare che Don Orione insieme ad altri testimoni di questo nuovo sentire Ecclesiam, ci aiutano a colmare il vuoto che esiste progressivamente nello sviluppo ecclesiologico teologico e magistrale, tra i due concili Vaticani, quando per la sua comprensione, si tengono solo in conto gli aspetti sistematici. L'attestazione di Don Orione, mostra come le risoluzioni di alcuni punti dottrinali anticiparono quelli nel tempo, per mezzo della sintesi vitale della sua spiritualità ed apostolato. Questa, non è solo una prospettiva che deve servirci per sapere interpretare integralmente il passato, ma deve servirci anche per anticipare nel tempo, la freschezza e la vitalità del volto della Chiesa: solo il dono di una vita offerta per amore a Cristo negli uomini, sarà capace di superare le barriere che ci separano da Lui. IL IV VOTO DI CARITÀ DELLE “Piccole Suore Missionarie della Carità” Il IV voto di carità Sappiamo che la fondazione del ramo femminile della “Piccola Opera della Divina Provvidenza” fu strettamente legata all’apertura di una struttura assistenziale, verso il 1915, ad Ameno, nella Provincia di Novara. Corre l'anno 1924 e questo stesso spirito si ritrova nell'apertura del primo "Piccolo Cottolengo Genovese", a Marassi. Il primo gruppo di religiose che partì verso l'Argentina arrivò il 22 di Dicembre del 1930; esse, vicine ad altre missionarie, parteciperanno attivamente all'origine del "Piccolo Cottolengo Argentino". Quest’origine, ed il suo sviluppo, segnò profondamente, pertanto, l'identità e la missione della congregazione, con una spiritualità ed un apostolato tutto legato ai più poveri, che Don Orione tratterà di sintetizzare con la redazione di un testo costituzionale, nel 1935. Vediamo pertanto, che Don Orione non diede immediatamente un testo costituzionale al ramo femminile della “Piccola Opera della Divina Provvidenza"; più ancora: dopo avere istituito nel 1923 il noviziato canonico, le religiose emetteranno la prima professione dei voti canonici, solo verso il luglio del 1927, ma secondo le costituzioni dei "Figli della Divina Provvidenza"52. Questa situazione cambierà più tardi: il 12 Settembre del 1935, dal "Piccolo Cottolengo Argentino", Don Orione inviò i primi capitoli delle costituzioni delle “Piccole Suore Missionarie della Carità”, nei quali si parlò, per la prima ed unica volta, di un quarto voto per le religiose: il voto di carità53: |1| [...] I. Il titolo della Congregazione è: «Piccole Suore Missionarie della Carità». 2. Il fine primario e generale della Congregazione è la santificazione delle proprie Religiose, mediante la osservanza dei voti semplici di povertà, castità, obbedienza e carità, e di queste Costituzioni. 3. Suo fine particolare e speciale poi è l’esercizio della carità verso i prossimi, massime col consacrare la vita a portare alla conoscenza e all’amore di Gesù Cristo, del Suo Vicario, «il dolce Cristo in terra», il Romano Pontefice e della Santa Chiesa i piccoli figli del popolo e i poveri più lontani da Dio o più abbandonati, mediante l’insegnamento della dottrina cristiana e la pratica delle Opere evangeliche della misericordia [...]54. 52 [ma., calo., sf., ADO, Scr., 39,122]: «Nel nome della SS. Trinità Padre Figlio e Spirito Santo, io Sebastiana Assunta Tersigni mi metto alla presenza di Dio e nelle mani di Maria Vergine Immacolata, e di voi sacerdote Orione Luigi mio Superiore e faccio voto di povertà, di castità e d’obbedienza per un anno secondo le Regole e Costituzioni della Piccola Opera della Div. Provvidenza e delle Suore Missionarie della Carità»; DOPSMC, 227-228. Ante l’imminenza della nomina del nuovo vescovo diocesano di Tortona, scrive a Don Carlo Sterpi: «|1r| Urgente e riservato Per motivi facili a comprendersi, è urgente, urgentissimo che le suore abbiano le Regole stampate. Voi prendete lo scopo nostro, primo capitolo come è nelle nostre costituzioni, - poi, prendete le stesse nostre costituzioni (adattandole per le donne) o quelle della Michel, e le aggiungete al I capitolo sul fine della Congregazione cambiando nome: le missionarie della carità. Ormai, tol eccettuata la diversità dello scopo o fine, tutte le costituzioni sono le stesse e devono essere fatte sulla falsariga che fu data dalla Santa Sede: sono tutte le stesse. È bene che il nuovo Vescovo trovi le costituzioni. Per le sacramentine idem (vedete che di farvi dare le regole dalla Maria Gambaro delle sacramentine di Genova fondate da sua zia materna» [a C. Sterpi, 05.01.1935 c., ADO, Scr., 18,45]. 53 Il manoscritto costituzionale delle «Piccole Suore Missionarie della Carità» fu spedito insieme alla lettera indirizzata a Don Carlo Sterpi: [a C. Sterpi, 12.09.1935, c., ADO, Scr., 18,146-148]: «|1| [...] Vi accludo i primi due capi delle costituzioni delle Missionarie della Carità. Fissato il nome e il fine speciale, - il resto, date le consapute norme date della Santa Sede, è, (poco più poco meno) identico a tutte le altre congregazioni femminili; - quindi penso che, entro non molto tempo, potranno avere anche esse le loro costituzioni. Ora preghiamo! Non si faccia rumore, ma, in caso che qualche Vescovo o autorità richiedesse qual’è lo scopo, -ecco che sapranno cosa rispondere. -Sarebbe bene, penso, che voi faceste tirare 1000 foglietti di questo che mando, perché ogni casa e ogni suora ne abbia copia [...]». In una bozza di tipografia, spedita a Don Orione, ci sono degli errori, i quali sono salvati in una nuova copia dattiloscritta [a C. Sterpi, 09.11.1935, odac., ADO, Scr., 18,194]. 54 [CC., PHMC, 12.09.1935, ma., ADO, Scr., 18,146-148b] (Fdig 18,147). Prima di entrare nell'analisi del contenuto, evidenziamo alcune caratteristiche delle tappe che lasciarono tracciata la coscienza canonico-legislativa55. Sappiamo, attraverso le brutte copie dei testi, che l'inclusione del IV voto di carità avvenne in un secondo momento del processo di redazione dello strumento legislativo, per la necessità di stabilire in modo più chiaro lo spirito dell'Istituto56. D'altra parte, i capitoli delle costituzioni furono spediti da Don Orione, il 2 Settembre di193557 e prove di stampa arrivarono a Buenos Aires affinché egli le correggesse il 20 di Ottobre58; posteriormente, il 4 Novembre, con un gesto molto importante, Don Orione chiede a Don Carlo Sterpi di affidare a Madre Maria Tersigni, superiora delle suore, il compito di distribuire lei stessa le copie del testo legislativo alle religiose59. Orbene, le suore non arrivarono a professare questo IV voto, a causa della presenza dell'Abate Emanuele Caronti, e della sua posizione rispetto ai quarti voti60. Nel 1975, Don Giovanni Pirani (1915-1991), allora postulatore della causa di beatificazione di Don Orione, indica l'importanza del manoscritto costituzionale del 1935, alle suore che erano riunite per la preparazione del Capitolo Generale nel quale dovevano aggiornarsi le costituzioni alla luce del Concilio Vaticano II. Questa segnalazione inciderà in modo importante, non solo su tutto ciò che è riferito al quarto voto di carità, ma anche sulla sua relazione nell’approfondimento della teologia orionina della carità, implicita nella prassi e spiritualità dell’istituto. «Inizia facendo [la moderadora de la asamblea] leggere da D. Pirani la lettera che Don Orione ha scritto a Don Carlo Sterpi con i primi articoli delle nostre cost. Il 12/9/1935. Sono subito letti gli articoli autografati di D. Orione e viene chiesto all’assemblea se li accetta. A questo punto D. Pirani accenna al come sia stata trovata tale lettera61 e per il quarto voto fa presente come la Chiesa, a quei tempi non permetteva che si facesse il quarto votio»62. L'assemblea del Capitolo Generale approva la necessità di iniziare una riflessione, durante il sessennio 1975-1981, in preparazione al Capitolo Generale di 198163. Questo lungo 55 Sobre el «cuarto voto de caridad»: PIRANI, G., Studio sul Quarto voto di Carità. OLIVIERI, G., Conferenza sul Quarto voto di carità. RUGGERI, A., Conferenze sul Quarto Voto di carità. PRETO C., Virtù e voto di carità. ARMENDARIZ, M., «Il IV voto di Carità». Cf. Capitolo Generale del 1975; Instrumentum laboris del Capitolo Generale del 1981; la lettera di Madre Caterina Preto del 20.09.1975; e la lettera circulare del 26.08.1978; il Capitolo Generale del 1981; questi documenti in ASPSMC. 56 [CC., PHMC, sf., mi., ma., corr., inc., ADO, Scr., 97,219]. 57 Don Orione scrive per due volte (Cf: [a C. Sterpi, 02.10.1935, c., ADO, Scr., 18,159]: «[...] A voi, un 20 e più giorni fa, inviai anche i due primi capitoli delle costituzioni per le suore; in data 2 sett.bre. [...]» e [a C. Sterpi, 09.10.1935, c., ADO, Scr., 18,166]: si sorprende che non siano arrivati a destinazione. 58 [a C. Sterpi, 23.10.1935 c., ADO, Scr., 18,181b]: «|2| [...] Ho ricevuto le costituzioni e tutto, meno il pacco di oggetti religiosi, che è rimasto ancora a Montevideo [...]». 59 Don Orione, corretto un errore tipografico nel 3° art. del 1° capitolo, invia le correzioni dicendo: [a C. Sterpi, 09.11.1935, odac., ADO, Scr., 18,194]; è un’aggiunta a macchina alla lettera manoscritta: «Si ristampino il foglio corretto, e si mandino a tutte singole le Suore delle diverse Case». [a C. Sterpi, 28.10.1935, c., ADO, Scr., 18,188]: « [...] Direte alla Superiora che io non ho comunicato a queste Suore [en Argentina], né a quelle dell’Uruguay, i due capitoletti primi delle loro costituzioni; li mandi essa, dattilografati [...]». 60 DOPSMC, 227. 61 Il contenuto del manoscritto costituzionale, in particolare la volontà di Don Orione di un IV voto di carità, non era una realtà sconosciuta per le religiose. Sappiamo che le suore conoscevano il contenuto del manoscritto costituzionale del 1935, almeno dal 1962, quando questo viene pubblicato insieme ad altri scritti del Fondatore diretti alle religiose. Il testo completo si trova pubblicato in: Il Padre Fondatore Servo di Dio Don Luigi Orione alle Piccole Suore Missionarie della Carità, 402-403; al quale venne allegata la riproduzione del manoscritto di Don Orione nella seconda edizione: Don Orione, alle Piccole Suore Missionarie della Carità, 314-315. D’altra parte, sicuramente fece parte, attraverso quella pubblicazione, dei lavori per l’elaborazione del testo costituzionale del 1969, dove si trascrive letteralmente il testo del 1935, per ciò che riguarda il fine della congregazione, omettendo il riferimento al quarto voto di carità. Nel testo costituzionale approvato nel 1965, all’art. 2, si riproduce il fine (che stava nel n. 3 del manoscritto orionino del 1935), lasciando da parte il IV voto di carità; questo vale anche nella versione approvata nel 1969 (cf. [CC., PHMC, impr., 1969, n. 4]). 62 Verbale del IV (V) Capitolo Generale, 15 Riunione Generale, acta giorno giovedì 24.04.1975, 64, en ASPSMC. 63 Idem, 65. itinerario di approfondimento, culminerà con la redazione del testo costituzionale del 1982, e l'inclusione del IV voto di carità64. Lasciando da parte queste notizie ed entrando nell'analisi del testo costituzionale del 1935, riconosciamo che questo venne a coronare il processo d’esplicitazione carismatico. È durante il periodo 1934-1937, che Don Orione segna e caratterizza in un modo ancora più chiaro, la missione di carità della famiglia delle religiose; perciò, il documento canonico non deve considerarsi al di là del contesto che gli ha dato origine e senso: lo stato di prove spirituali del Fondatore, e lo sviluppo delle opere assistenziali, specialmente del "Piccolo Cottolengo Argentino." I testi costituzionali compilati da Don Orione, com’è successo in altre occasioni, segnano le tappe della sua coscienza carismatica; è di vitale importanza non dimenticare ciò, essi si nutrono della prassi pastorale e delle esperienze spirituali, personali e comunitarie dei membri della famiglia religiosa, e non l’inverso. In questo senso, lo stesso Fondatore, nei diversi manoscritti dei capitoli delle Suore, volle evidenziare il luogo dal quale rivolgeva il suo messaggio all'intera famiglia delle religiose: il "Piccolo Cottolengo Argentino", frase che segue al lemma della congregazione instaurare omnia in Christo; queste due indicazioni sono la chiave per comprendere il senso di quanto abbiamo detto sulla carità. D'altra parte, lo è anche la data eletta: 12 Settembre65, che con ogni probabilità, non fu la data di redazione, bensì quella alla quale si cercò di riferire il cambiamento di nome dell'Istituto con la festa del nome di Maria. La Madonna che si auto proclama "la piccola serva del Signore" (Lc 1,48), proteggerà ed accompagnerà le sue figlie che, da quel momento, saranno chiamate "Piccole Suore Missionarie della Carità"; più ancora: la modificazione del nome indica l'identificazione con quelli che devono amare e servire: gli "abbandonati" del "Piccolo Cottolengo"; e questo sarà per loro il privilegio più alto: servire per amore, i piccoli di Gesù66. La diaconia della carità, abbracciando la realtà del "piccolo", dell’"abbandonato", riproduce il gesto di Gesù, di abbracciare e fare propria la realtà dell'umanità sofferente; questo è il segreto della grandezza e l'efficacia del sacramento del servizio fatto per amore. È questo spirito di carità, che implica l'identificazione coi piccoli, rende possibile la trasfigurazione della realtà della sofferenza in presenza salvifica, e, pertanto, in «persona in Ecclesiae». Questo servizio non si limita ad un'azione assistenziale, la quale deve essere senza dubbi d’altissimo livello, ma includendola, racchiude e manifesta contemporaneamente, un nuovo modo di vivere l'esistenza umana: essere segno efficace della povertà di Dio. Alla luce di queste considerazioni, è comprensibile capire che la carità, pertanto, è una missione che compete a tutti i membri della famiglia religiosa; non c'è necessità di sezioni speciali, come lo fu per il IV voto di fedeltà al Papa, che siano idonei e per l'emissione di un voto animato dallo spirito di carità67. Ci manca un ultimo elemento per comprendere pienamente il carisma orionino; la consacrata che desidera essere una "missionaria del Dio Amore" 68 deve impegnarsi a basare 64 [CC., PHMC, impr., 1982, n. 42-46]; e [N., PHMC, impr., n. 14-19]. Nella formula, il quarto voto, è scritto per le PSMC: [CC., PHMC, impr., 1982, n. 117a]: «[...] Faccio questa mia professione religiosa per vivere nella perfetta carità al servizio di Dio e dei miei fratelli più poveri. Metto la mia vita a disposizione della Chiesa e del Papa nell’esercizio dell’evangelizzazione e delle opere di misericordia»; e per le Sacramentine non vedenti: [CC., PHMC, impr., 1982, n. 117b]: «Faccio questa mia professione religiosa, per vivere nella perfetta carità al servizio di Dio. Offro a Lui la privazione della vista per i fratelli che non conoscono la verità». 65 Secondo la lettera inviata da Don Orione: [a C. Sterpi, 02.10.1935, c., ADO, Scr., 18,159], la data di spedizione del capitolo delle CC. delle PSMC, fu il 2 di Settembre. Da ciò si può dire che la scelta della data fu intenzionale.. 66 PRETO C., Virtù e voto di carità, 11. 67 LANZA, A., Il Beato Don Orione e le Piccole Suore Missionarie della Carità, 181. 68 [a «Le Missionarie della Carità», 18.08.1921, c., of., ADO, Scr., 39,144-145]. DOPSMC, 163-164: «[...] La vostra minima istituzione fu fondata nel cuore di Gesù, perché di là è venuta la carità sulla terra e di là voi la dovete attingere per voi e per gli altri cui la misericordia di n. Signore vi indirizzerà, e la vostra fede sta nella croce e nella Chiesa del Papa, e la vostra fermezza la santità della sua vita sull’“esercizio della carità”. Quest’espressione, tanto cara a Don Orione e che si trova molte volte riferita alla vita di San Giuseppe Benedetto Cottolengo 69, completa la circoscrizione, aperta nel manoscritto col riferimento al "Piccolo Cottolengo Argentino", sottolineando nell'articolo tre, riferito al fine particolare, l'espressione «consacrare la vita a portare alla conoscenza e all’amore di Gesù Cristo, del Suo Vicario, “il dolce Cristo in terra”, il Romano Pontefice e della Santa Chiesa i piccoli figli del popolo e i poveri più lontani da Dio o più abbandonati»70. C’è qui la sintesi ed il midollo dell'esperienza della carità orionina: diffondere la conoscenza e l'esperienza dell'amore di Gesù, come la ricapitolazione di un unico movimento dialogico: L'amore di Gesù che libera i poveri, e la risposta esistenziale di ognuno di essi, che fa di loro l’unica Chiesa. In questa maniera, Lei che generata quel pomeriggio da Gesù crocifisso col suo cuore trapassato dalla lancia, tornerà a guardare nuovamente la luce, nella povertà e sofferenza dell'abbandonato, trapassato dalla diaconia della carità, e potrà ringiovanire, ogni giorno e sempre, nella realtà che la fa più bella: essere per sempre sua Sposa. Questo è il senso teologico dell'azione, che si attualizza nella diaconia della carità orionina. Questo stesso spirito, di una carità viva, in azione, perché animata da uno spirito fecondo, tutto di Gesù, tutto dei poveri, è quello che è rimasto plasmato anche in quella che è considerata, la Magna carta delle "Piccole Suore Missionarie della Carità": [...] Vi ho poste tutte e vi pongo ciascuna nelle mani della SS. Vergine, perché siate quali n. Signore vi vuole, tutte umili, modeste, piene dello spirito di sacrificio e della carità di Gesù Cristo, a servizio dei poveri, dei piccoli e degli abbandonati, vivendo ai piedi e nell’amore dolcissimo della sua S. Chiesa e del Vicario di n. Signore. [...] Ogni abbandonato trovi in voi una sorella in G. C. e una madre, e mentre curerete i dolori del corpo, donate alle anime la luce e il conforto di Dio71. Conclusioni Oggi dovrebbe essere chiaro, che parlare canonicamente di due congregazioni distinte, i "Figli della Divina Provvidenza" e le "Piccole Suore Missionarie della Carità", non implica la separazione dell’intero soggetto collettivo del carisma che è la "Piccola Opera della Divina Provvidenza"; essa è una stessa ed intera famiglia, con molti rami, (anche quello laicale) che si nutrono da un tronco comune: il carisma orionino. L'insistenza del piano originale, di una famiglia religiosa che avesse in mano altri istituti, come può comprovarsi nel "Pro memoria sulla Compagnia del Papa", ebbe la sua realizzazione storica nella Piccola Opera della Divina "Provvidenza" che in vita del Fondatore univa, sia il ramo maschile sia il femminile. La considerazione di un unico individuo collettivo del carisma è l'unica via per comprendere completamente il senso profondo del dono che il Signore ha voluto dare all'umanità. D'altra parte, il processo spirituale di Luigi Orione, e il percorso istituzionale della fondazione, verso l'espressione piena del dono che Dio ha voluto dare all'umanità per mezzo della Chiesa, sono intimamente relazionati. In ambedue, è possibile riconoscere che le categorie teologiche più profonde, specialmente le ecclesiologiche, sono vissute in un modo storico concreto; in questo senso, Don Orione è uno dei pochi fondatori che ha espresso la ricchezza e complementarietà del messaggio carismatico, con due quarti voti che si richiamano, sta nella santa Provvidenza e nella Chiesa santa del Papa e dei Vescovi che sono in unione e dipendenza con lui che è il Vicario unico di Gesù Cristo sulla terra. La vostra minima Congregazione religiosa porterà il nome di «Missionarie della Carità» il che vuol dire Missionarie di Dio perché «Dio è Carità» «Deus Charitas est»: vuol dire missionarie di Gesù Cristo, perché Gesù Cristo è Dio ed è carità: vuol dire missionarie, cioè evangelizzatrici e serve dei poveri perché nei poveri voi servite, confortate ed evangelizzate Gesù Cristo». 69 [«Il Piccolo Cottolengo Genova», oimp., ADO, Scr., 110,189]. 70 [CC., PHMC, 12.09.1935, ma., ADO, Scr., 18,146-148b] (Fdig 18,147). 71 [a «Le Missionarie della Carità», 18.08.1921, c., of., ADO, Scr., 39,144-145]. DOPSMC, 163-164. nella diversità e nell'unità. Per quanto, come abbiamo visto, essi sono l'espressione di una realtà viva e feconda, come sono la spiritualità, la fraternità, la fratellanza e la prassi pastorale. Questa è stata la vita del Fondatore e continua ad essere, della sua famiglia religiosa. Sono queste realtà “complesse”, quelle che ci aiutano a comprendere quale sia la natura di questa carità nuova: la "condizione-stato" del credente, che lo porta a vivere il suo inseguimento di Cristo nella diaconia all'uomo sofferente, nella "condizione-stato" della Chiesa. Le conseguenze di questa nuova realtà, si vedono immediatamente nel senso delle opere, nelle quali questo spirito di carità si esprime e che trasforma gli attori di questa esperienza, in soggetti trasfigurati dall'amore e dalla misericordia del Signore. I protagonisti, nelle opere di carità, non esauriscono la carità nell'assistenza, ma procedono fino a trovare il Signore, mediante la fede e la donazione totale di se stessi, ancora in mezzo alla sofferenza, perché è lì, nella croce, dove Gesù continua a completare la sua passione in ogni uomo e donna addolorati. Il servizio d’amore, nato dalla fede in Gesù che soffre negli uomini, è la più profonda delle libertà con le quali l'uomo può essere liberato. Perciò, la carità, non è in principio un'attività: questa è l'espressione di uno stato nuovo; è il frutto di una profonda trasformazione del cuore dell'uomo per la grazia di Dio, e la propria esperienza di sofferenza. Man mano che Don Orione ha vissuto storicamente l'insegnamento di Gesù, si è reso conto, che la carità non era una componente o un elemento categoriale, che vicino ad altri, facesse parte del mistero del Signore: la carità è proprio il Signore. In lui la carità, non è una realtà astratta, ma una persona. In questo senso, è importante vedere il ruolo che ha avuto la storia nella prassi orionina: lì si scopre il motore che spiega e trasmette il senso del mistero dell'amore. Un'altra conseguenza di questa nuova realtà è la comunicabilità di senso, che nasce dall'attestazione dei soggetti della carità. Le opere di carità non sono, in questa prospettiva, l'apologia di una realtà differente della Chiesa […]. Esse non vogliono convincere nessuno di niente: a chi si lascia attirare dalla loro presenza, offrono la cosa più preziosa che possiedono: un cuore trafitto che li ama come suoi prediletti; un'alleanza sponsale, che li ha trasformati in Chiesa. Le opere di carità, non si esauriscono in un atto di assistenza, per grande che sia, ma procedono fino a riposare nell'incontro col Signore nella croce, che donandosi totalmente, fa di questo gesto e di questa diaconia, la Chiesa. Così, la presenza del "Piccolo Cottolengo", nella vita di Luigi Orione, e della sua famiglia religiosa, non è un'opera tra tante altre; ha accompagnato il processo spirituale più intenso della vita del sacerdote tortonese, è la tappa dove la missione ha raggiunto uno sviluppo apostolico, soltanto superato, negli ultimi decenni. Lo spirito di carità, del quale si nutre ogni attività ed ogni attore di questo meraviglioso dramma della storia della salvazione, è quello che meglio ha reso evidente il senso della Piccola Opera della divina Provvidenza, che di essa è una piccola espressione. Fu lo spirito di carità dei "piccoli" del Cottolengo, dei "los desamparados", come piaceva chiamarli, quello che evangelizzò Luigi Orione, facendolo, tutto di Dio, tutto degli uomini. E di questo egli fu cosciente e riconoscente72. Questa particolarità fa notare come, il fine specifico della "Piccola Opera" non possa essere solamente l'amore al Papa, slegato dalla carità; Papa-poveri è l'espressione di questa genialità dello Spirito; è l'espressione teologico-carismatica del mistero della Chiesa. In una concezione di chiesa, societas perfetta, le opere di carità sono considerate come argomenti apologetici della Chiesa istituzione, di fronte alle questioni dell'illuminismo e dell'agnosticismo; il 72 È sufficente citare le parole di Don Orione diffuse da «Radio Ultra»: «Amati Argentini: è giunta per me l’ora della partenza[...] Parto dall’Argentina dopo una permanenza che doveva esssere breve e che Dio Nostro Signore, con segnali visibili della sua Provvidenza, ha voluto prolungare per tre anni dal vostro miracoloso Congresso Eucaristico [...] Ebbene, voglio dire a tutti ed assicurarvi che in Argentina ho trovato per sempre la mia seconda patria e che coll’aiuto di Dio ritornerò in essa, vivo o morto perché voglio che le mie ceneri riposino nel Piccolo Cottolengo Argentino di Claypole confortate dalle preghiere di tanti cuori che per la vostra inesauribile carità troveranno qui, tra le braccia umili ma ricolme di affetto dei miei amati figli, i religiosi della Divina Provvidenza”. [1937, dac., ADO, Scr., 74,13], il testo originale è in castgliano. Papa è il Papa-re. In questa posizione, la carità è un mezzo per; invece, abbiamo visto, la carità è molto di più: è il modo più adeguato con cui l'amore e la devozione al Papa, lo aiutano affinché egli raggiunga la profondità della missione evangelica. È la missione di Pietro, e dei suoi successori, essere l'espressione visibile di quell'unità che nasce dall'incontro con Cristo. È il Cristo risorto a confermare il primato di Pietro, quando gli dice che pascoli le sue pecore, (Gv 21,15-17). Don Orione, ha voluto con la carità unire il Papa e lui all'umanità con Cristo. Quello che, in apparenza si mostra come una strategia pastorale, è in realtà un modo di vivere la Chiesa, perché la Chiesa profondamente trapassata dalla carità rappresenta già l'eschaton nel tempo (cf. 1Cor 13,13). In altre parole, c'è un'altra forma evangelica di pascolare il gregge che non sia con l'amore? C'è un'altra unità del cristiano con Cristo che non sia frutto della carità? Riprendendo la sintesi della coscienza petrina di Don Orione, del 1934-1937, abbiamo analizzato la sintesi dell’esperienza del principio caritas, ed alla luce di questo dialogo, è stato possibile vedere due movimenti, il primo retrospettivo (la carità come opera di misericordia) che ha raggiunto il secondo, introspettivo: la carità come terza via di comprensione teologica della Chiesa. Dalla carità nel suo aspetto etico, passando a quello di consacrazione totale, per arrivare all’aspetto ontologico73. La nostra prospettiva, pertanto, non si è avvicinata alle opere di carità, come causa strumentale della pastorale della Congregazione, ma partendo da esse, dallo stato spirituale di Luigi Orione e dai suoi scritti, abbiamo potuto captare la sua teologia sottostante: quella della Chiesa Carità. 73 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologica, II-II, q. 186. a.r.c.