Proposta ritiro vicario generale

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Proposta ritiro vicario generale
DIO, PASTORE DI ISRAELE, PREPARA NELL’ANTICO TESTAMENTO
L’ATTESA E LA VENUTA DI GESU’ BUON PASTORE
I disegni di Dio sono lunghi di secoli e millenni. Ciò che era nel pensiero di Dio “fin da
principio…”(1 Giovanni 1,1) attraversa la storia degli uomini e approda a Cristo, termine e
significato ultimo della Creazione. Poiché : “Tutte le cose sono state create per mezzo di
lui e in vista di lui” (Col 1,16) “ e senza di lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste”
(Giov 1,3).
La storia di Dio si costruisce a modo umano, per progressione e chiarificazione, per
immagini, e per simboli, prima che nella realtà.
Anche la rivelazione che Gesù fa di sé, come Buon Pastore, è anzitutto un’autoattribuzione
di Dio : “Per me il nome del Pastore, Pietra d’Israele” (Gen 49,24). Ripresa sia nelle
preghiere :”Tu, Pastore d’Israele, ascolta!” (Salmo 80,2); o, nella più nota delle invocazioni:
”Il Signore è il mio pastore” (Salmo 23, 1). Sia nella profezia :”Il Signore salverà come un
gregge il suo popolo” (Zac 9,16) .
Prima di trasmettere questa prerogativa regale al Figlio Gesù, nel corso dell’Antico
Testamento, Javhè ne ha fatti partecipi alcuni dei suoi amici, dei suoi eletti.
Presentando alcune di queste figure, pur brevissimamente , vorrei mostrare come ciascuna
di esse incarni, per qualche specifica e originale caratteristica, la tradizione di Dio Pastore di
Israele e, insieme, sia profezia del Pastore definitivo, Gesù Figlio di Dio.
Abramo
Il primo chiamato ad esprimere nella propria vita e nella esperienza religiosa questa
“partecipazione” alla regalità di Dio, Pastore di Israele, è Abramo.
Egli è un arameo errante, un pastore nomade (Deut 26,5).
Quando Israele proclamerà, proprio nel testo appena citato, la propria professione di fede
storica, accanto a quella teologica/teologale (cfr. Deut 6,4-7), partirà da questa condizione di
Abramo.
Nella Lettera agli Ebrei, nel c.11, che è la grande litania della fede dell’A.T., l’autore fissa
questa figura del primo pastore nella sua attitudine fondamentale, attitudine di ogni pastore:
“Per fede Abramo partì, senza sapere dove andava” (11,18).
Così capita a noi : entriamo in scena, il gioco è già cominciato e le regole spesso ci
sfuggono. Così, come Abramo, spesso non sappiamo dove stiamo andando.
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Mosè
Anche Mosè comincia pascolando pecore e finirà come pastore di un popolo…che non c’è
(cfr.Esodo 3,1 ss). La chiamata è improvvisa, sconvolgente, incomprensibile. Mosè è pieno
di domande: sta di fronte al roveto che brucia, a piedi scalzi, con uno smarrimento che,
lentamente, gli fa comprendere la misura di ciò che lo attende. Deve tornare dal faraone,
proprio da colui da cui era fuggito.
Mosè si pone coraggiosamente di fronte a Dio come un interlocutore, uno che ha delle
ragioni da prospettare.
Anzitutto la propria pochezza:” Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti
dall’Egitto?” (Esodo 3,11).
E poi, la domanda delle domande, poiché pensa già al fallimento della missione. “Quando
dirò loro: << Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi>> , mi diranno: << Qual è il suo
nome?>> E io che cosa risponderò?” (ibid v.13).
Ecco la domanda, anzi le autodomande di ogni pastore: “Chi sono io per assumere questo
incarico? Che qualità ho per portare a termine la missione?” E poi :” Chi sei tu, che mi
mandi?”.
Non posso essere pastore se non so queste due cose, se non porto nell’anima la domanda
perenne sulla mia invincibile povertà e sulle infinite esigenze di Colui che mi manda. Il
quale, però, rassicura Mosè e noi. Il suo Nome infatti significa: Io sono Colui che sarò; sarò
accanto a te; non ti abbandonerò mai. Che sono poi le stesse ultime parole che Gesù rivolge
ai suoi apostoli, nel momento in cui li lascia :” Io sarò con voi fino alla fine del mondo”
(Matteo 28,20).
Basta questo a Mosè e, la Lettera agli Ebrei così sintetizza il suo percorso di credente e
pastore: ”Rimase fermo nella sua decisione, come se vedesse l’ invisibile” (11,27).
Davide
Nel momento della sua consacrazione regale, Dio gli trasmette il compito di pastore:” Tu
pascerai il mio popolo, Israele“ (2 Sam 5,2).
E nel Salmo 78, grande biografia dell’Israele infedele, proprio negli ultimi versetti, si
trovano queste parole rivelatrici:” Egli scelse Davide suo servo…Fu per loro un pastore dal
cuore integro e li guidò con mano intelligente” (vv70,72).
Agostino, commentando questo salmo, così si esprime: ”Dio ha scelto Giuda a causa di
Davide. Ha scelto Davide a causa di Cristo”.
A noi che dobbiamo sempre, e a lungo, riflettere sulla grazia e sul peso della presidenza, che
è il cuore del nostro sacerdozio regale, non cultuale, torna di grande luce e suggestione
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quello che si dice del cuore di Davide: un cuore integro, un cuore indiviso. Nemmeno il
peccato, anzi i gravi peccati, di Davide poterono staccare il suo cuore dal cuore di Dio.
Geremia
Il grande profeta era di famiglia sacerdotale, aveva dimestichezza con il sacerdozio cultuale.
Ma Dio lo chiamò per un altro compito. Avrebbe voluto interessarsi solo di Dio. Perché Dio
è stato la sua “passione”: cioè, sia ciò che lo ha appassionato, sia ciò che lo ha fatto soffrire.
Tanto è vero che Geremia, parlando della sua vocazione e del suo rapporto con Dio, usa il
verbo “sedurre”, come se dicesse: Dio mi ha fatto prepotenza e io non ho saputo resistere
(cfr.20,7).
Egli è profeta/ pastore della speranza. Proprio su questo tema si apre il libro di Geremia.
E’ un dialogo tra Javhè e il giovane che egli chiama:<<Che cosa vedi, Geremia>>, domanda
Javhè. E Geremia risponde:<< Vedo un ramo fiorito di mandorlo>>. Che è appunto un
segno di speranza, un motivo di primavera.
Ma nel testo ebraico, il nome “mandorlo” e il verbo “vigilare” sono quasi sinonimi. Per cui
la risposta di Geremia potrebbe essere:<< Vedo uno che vigila >>. Ecco il compito del
pastore: colui che vigila sul gregge. Uno che attende e sa leggere i segni.
Simone sommo sacerdote
Nel libro del Siracide il sommo sacerdote Simone è descritto con grande bellezza lirica e
con immagini incomparabili, mentre svolge il suo compito nel tempio ha la grazia e il
compito di toccare il mistero e di trasmetterlo.
Simone è un uomo concreto, un realizzatore (50,2-4). Ha nel cuore il tempio, la città, il
popolo.
Ma ha soprattutto Dio nel cuore e Dio quasi lo trasmette con la sublimazione che lo
trasforma (cfr.50,5-10). “Attorno a lui c’era la corona dei fratelli…tutti i figli di Aronne
nella loro gloria…stavano davanti a tutta l’assemblea di Israele” (cfr.50,12-13. passim) .
Simone è salito vicino a Dio, ma poi scende verso il suo popolo:” Allora, scendendo, egli
alza le mani su tutta l’assemblea dei figli di Israele, per dare con le sue labbra la
benedizione del Signore e per gloriarsi del nome di lui…” (50,20).
Noi, pastori, siamo gli uomini della benedizione. A noi il Signore dona la grazia e il
compito di salire vicino a lui nei sacri misteri e di scendere poi verso i nostri fratelli.
Donare la benedizione significa rimettere nelle mani dei nostri fratelli la loro vita; significa
scoprire motivi di benedizione per tutti, vicini e lontani. Significa dare alla vita di ogni
uomo/donna/giovane la solennità di una liturgia celebrata nel cuore e nel mondo, ambedue
tempio di Dio.
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Potremo anche, in un certo senso, completare la frase di Agostino, estendendola a noi:” Dio
scelse Giuda a causa di Davide; Dio scelse Davide a causa di Cristo”. Ma Dio scelse anche
noi a causa di Cristo. Per questo Gesù è” causa” del nostro ministero pastorale.
E’ causa esemplare di chi è chiamato a questo compito, cioè influisce su di noi con il suo
esempio, trasmettendoci, nell’esercizio del ministero, la sua somiglianza con il Padre. Ma è
pure causa finale, cioè significato e spiegazione ultima, del ministero dei pastori del Nuovo
Testamento.
Ma teniamo presente il pericolo di una vicinanza esteriore, non interiorizzata. Può capitarci,
come gli ascoltatori del c. 10 di Giovanni, di non capire ( cfr. 10,6 ).
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