il profumo del pane alla lavanda

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il profumo del pane alla lavanda
LIBRO
IN ASSAGGIO
IL PROFUMO DEL
PANE ALLA LAVANDA
DI SARAH ADDISON ALLEN
Il profumo del pane alla lavanda
DI SARAH ADDISON ALLEN
A MIA MADRE. TI VOGLIO BENE
1
A ogni falce di luna, senza eccezioni, Claire sognava la propria infanzia.
Cercava sempre di rimanere sveglia quelle sere in cui le stelle scintillavano, e
la luna era solo una scheggia che sorrideva provocatoria al mondo laggiù,
come le belle donne sui vecchi cartelloni che pubblicizzavano sigarette e
succo di limetta. In quelle notti, se era estate, alla luce delle lampade ad
alimentazione solare che illuminavano il sentiero, Claire si dedicava al
giardinaggio, strappava le erbacce e accudiva le piantine: l’ipomoea alba e il
trombone d’angelo, il gelsomino notturno e la nicotina alata. Non facevano
parte del lascito delle Waverley ma, a causa della frequente insonnia, Claire
aveva aggiunto al giardino fiori che la impegnassero in quelle notti in cui era
così stravolta che la frustrazione le bruciava l’orlo della camicia da notte e le
rendeva operose le mani.
Sognava sempre la stessa cosa. Lunghe strade come serpenti senza coda.
Lei che dormiva in macchina mentre la madre incontrava uomini nei bar e nei
locali di musica country. Lei faceva il palo mentre la madre rubava shampoo,
deodorante e rossetto e qualche volta una barretta dolce per Claire nelle
stazioni di servizio del Midwest. Poi, poco prima di svegliarsi, sua sorella
Sydney appariva in un alone di luce. Lorelei, con Sydney per mano, correva
verso casa Waverley a Bascom, e l’unica ragione per cui Claire le seguiva era
perché stava attaccata alla gamba della madre e non l’avrebbe lasciata
andare.
Quella mattina, quando si svegliò nel giardino sul retro, in bocca aveva il
sapore del rimpianto. Lo sputò. Era dispiaciuta per come aveva trattato la
sorella da bambina. Ma i sei anni di vita di Claire prima dell’arrivo di Sydney
erano stati segnati dalla paura costante di essere arrestate, ferite o di non
avere sufficiente cibo, benzina o abiti caldi per l’inverno. Alla fine Lorelei se la
cavava sempre, all’ultimo minuto. Alla fine nessuno le prendeva o faceva del
male a Claire e, quando la prima morsa di freddo annunciava che le foglie
stavano per cambiare colore, magicamente sua madre faceva comparire un
paio di manopole azzurre decorate con fiocchi di neve, biancheria termica
rosa da indossare sotto i jeans e un berretto con un pompon malconcio.
Quella vita sempre in fuga poteva andare bene per Claire, ma ovviamente
Lorelei aveva pensato che Sydney meritasse di meglio, che meritasse di
nascere con delle radici. E la bambina spaventata che era in Claire non poté
mai perdonarglielo.
Si alzò a fatica raccogliendo da terra le cesoie e la paletta e, nella nebbiolina
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dell’alba, si incamminò verso la rimessa. All’improvviso si fermò. Si guardò
intorno. Tutto era silenzioso e umido, il melo sul retro ondeggiava piano,
come se sognasse. Generazioni di Waverley avevano coltivato il giardino. In
quella terra c’era la loro storia, ma anche il loro futuro. Qualcosa stava per
accadere, qualcosa che il giardino non era ancora pronto a rivelarle. Avrebbe
dovuto stare all’erta.
Andò alla rimessa; con attenzione ripulì i vecchi attrezzi dalla rugiada e li
appese al muro, al loro posto. Chiuse a chiave la pesante porta, poi
attraversò il viottolo sul retro della pretenziosa dimora in stile Regina Anna
che aveva ereditato dalla nonna.
Claire si fermò nel solarium convertito a essiccatoio per erbe aromatiche e
fiori, C’era un forte sentore di lavanda e menta piperita e le sembrò di entrare
in un ricordo natalizio che non le apparteneva. Si sfilò dalla testa la camicia
da notte sporca, la appallottolò e, nuda, entrò in casa. La aspettava una
giornata impegnativa. Quella sera avrebbe dovuto preparare una cena, ed era
anche l’ultimo martedì del mese, quindi aveva la solita consegna di
marmellate di lillà, menta e petali di rosa e di aceti di nasturzi e fiori di erba
cipollina per il mercato e il negozio di gastronomia in piazza, dove i ragazzi
dell’Orion College si recavano dopo le lezioni.
Si stava sistemando i capelli con i pettinini quando qualcuno bussò. Scese al
piano di sotto con addosso un prendisole bianco e ancora scalza. Aprì la
porta. Sorrise alla vecchia signora in piedi sotto il portico.
Evanelle Franklln aveva settantanove anni e ne dimostrava centoventi,
eppure riusciva ancora a percorrere il chilometro di pista che circondava
l’Orion cinque volte la settimana. Evanelle era una lontana parente, una
cugina di secondo, terzo o quattordicesimo grado, ed era l’unica Waverley
che ancora viveva a Bascom. Claire era attratta da lei come da una calamita.
Dopo che al compimento dei diciotto anni Sydney se ne era andata e la
nonna, quello stesso anno, era morta, Claire sentiva il bisogno di mantenere
un legame con la famiglia. Quando Claire era piccola, Evanelle passava di lì
per lasciarle un cerotto ore prima che si sbucciasse un ginocchio, qualche
moneta per lei e Sydney molto prima che arrivasse il carretto dei gelati, e una
pila da mettere sotto il cuscino due buone settimane prima che un fulmine
abbattesse un albero in fondo alla strada e l’intero vicinato rimanesse tutta la
notte senza elettricità. Se Evanelle ti portava qualcosa, presto o tardi ne
avresti avuto bisogno, anche se la cuccia per gatto che aveva regalato a
Claire cinque anni prima doveva ancora essere utilizzata. La maggior parte
della gente in città si rivolgeva a Evanelle con gentilezza mista a un certo
divertimento, comunque era lei la prima a non prendersi troppo sul serio.
Claire però sapeva che dietro gli strani doni della cugina si celava sempre
qualcosa.
“Sembri proprio un’italiana con quei capelli scuri e il vestito alla Sophia Loren.
La tua immagine dovrebbe apparire sull’etichetta di un olio di oliva”, disse
Evanelle. Indossava la solita tuta da ginnastica verde sintetica e portava a
spalla una grande sporta piena di monete, francobolli, timer per le uova e
saponette, tutte cose che, prima o poi, poteva sentire il bisogno di dare a
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qualcuno.
“Stavo giusto per preparare il caffè”, la invitò Claire. “Entra.”
“Non avertene a male.” Evanelle la seguì in cucina, dove si sedette al tavolo.
“Sai cosa odio?”
Claire la guardò da sopra la spalla mentre l’aroma di caffè avvolgeva la
cucina. “Cosa?”
“L’estate.”
Claire rise. Le piaceva avere Evanelle intorno. Per anni aveva tentato di
convincere la vecchia signora a trasferirsi a casa Waverley per potersi
occupare di lei, e anche per non avere l’impressione, mentre andava avanti e
indietro, che le mura si allontanassero, rendendo i corridoi più lunghi, le
stanze più grandi. “E perché odi l’estate? E meravigliosa. Aria fresca, finestre
aperte, raccogliere i pomodori e mangiarli ancora caldi di sole.”
“Odio l’estate perché la maggior parte dei ragazzi del college lascia la città,
così nessuno fa più jogging e io non ho più fondoschiena maschili da
ammirare quando passeggio sulla pista.”
“Sei una vecchia sporcacciona, Evanelle.”
“Ti avevo avvisata.”
“Ecco qui”, disse Claire appoggiando una tazza di caffè sul tavolo davanti a
lei.
Evanelle scrutò nella tazza. “Non ci hai messo niente, vero?”
“Certo.”
“Perché il tuo ramo delle Waverley vuole sempre mettere qualcosa ovunque.
Foglie di alloro nel pane, cannella nel caffè. A me piacciono le cose pure e
semplici. Ah, ecco! Ho qualcosa per te.” Rimestò nella borsa e ne estrasse un
accendino giallo Bic.
“Grazie, Evanelle”, disse Claire mettendoselo in tasca. “Sono sicura che mi
tornerà utile.”
“O magari no. Sapevo solo che dovevo dartelo.” Evanelle, golosissima, prese
il caffè e lanciò un’occhiata al piatto da portata coperto appoggiato sul piano
da lavoro. “Cosa hai preparato di buono?”
“Torta glassata. Ho mischiato all’impasto dei petali di viola, e ne ho anche
cristallizzato qualcuno per le decorazioni. E per una cena che devo servire
stasera.” Claire prese un contenitore Tupperware. “Questa l’ho fatta per te.
Dentro non c’è niente di strano, te lo giuro.” E appoggiò il contenitore sul
tavolo.
Aggiornata il giovedì 12 giugno 2008
Edizione Mondolibri S.p.A., Milano
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