GIORNATA SECONDA - Sebastiano Inturri

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GIORNATA SECONDA - Sebastiano Inturri
GIORNATA SECONDA - NOVELLA SECONDA
Tratta dall’opera Novelle del Decameron: vi racconto le dodici più spassose e piccanti
Al tempo del marchese Azzo di Ferrara, un giorno un mercante di nome Rinaldo, uscito
da Ferrara si avviò a cavallo verso Verona per lavoro.
Lungo la strada si imbatté in tre uomini che avevano un’apparenza di mercanti, ma in
realtà erano dei banditi, e si unì alla loro compagnia.
I furfanti, per carpire maggiore fiducia al malcapitato, durante il cammino cercarono di
assumere un atteggiamento onesto e caritatevole.
Uno dei lestofanti domandò a Rinaldo: «Quali preghiere siete solito recitare quando vi
trovate in viaggio?»
Il mercante rispose: «Io veramente prego poco; tuttavia la mattina quando esco
dall’albergo ho l’abitudine di recitare il Padre Nostro e l’Ave Maria per l’anima dei
genitori di san Giuliano; dopo di che prego Iddio e questo Santo affinché la notte
seguente mi permettano di trovare sempre un alloggio. E già in passato mi è capitato più
volte che mi sono trovato in difficoltà, e grazie all’aiuto di san Giuliano tutto si è risolto
nel migliore dei modi.»
Il bandito che gli aveva prima rivolto la domanda gliene fece un’altra: «E stamattina le
avete recitate le preghiere?»
«Certamente» rispose Rinaldo.
Allora il bandito disse: «Pure io ho molto viaggiato, ma non ho mai recitato preghiere
per san Giuliano, bensì altre preghiere, e finora ho sempre albergato bene; vedremo
stanotte se alloggerò meglio io o voi.»
Mentre così discutevano, arrivarono in un posto buio e solitario, dove i furfanti
approfittarono per assalire Rinaldo e derubarlo delle sue cose, tra cui il cavallo e i vestiti.
E mentre si allontanavano lo deridevano: «Va pure e vedi se il tuo san Giuliano questa
notte ti offrirà un buon alloggio, ché il nostro Santo ce lo darà sicuramente buono.»
Il garzone di Rinaldo, vedendo il suo padrone assalito, anziché aiutarlo scappò col
proprio cavallo e andò ad albergare pacificamente a Castel Guglielmo.
Rinaldo, rimasto mezzo nudo, scalzo e senza cavallo, cercò disperatamente un ricovero
in cui trascorrere la notte senza morire di freddo, dato che stava anche nevicando forte.
Dopo un po’ di cammino vide Castel Guglielmo e decise di provare a chiedere ospitalità.
Ma trovò tutte le porte e finestre chiuse e i ponti levatoi alzati. Per sua fortuna trovò
fuori dal castello una pensilina sotto cui ripararsi alla bene e meglio accucciato sopra un
po’ di paglia. Triste e sconsolato, egli si risentì con san Giuliano che non l’aveva aiutato.
Ma anche stavolta il Santo stava per accorrere in suo soccorso.
In questo castello quella notte si trovava una vedova dal corpo bello come nessun’altra
donna, la quale era amata perdutamente dal marchese Azzo. Costui spesso dava
appuntamento alla bellissima donna in questo castello, per portarsela a letto. Ad un certo
punto però arrivò un ragazzo per riferire al marchese delle notizie che lo costrinsero ad
abbandonare il castello.
La donna, delusa, decise di farsi preparare un bagno caldo, cenare e andare a dormire.
Per puro caso il bagno si trovava proprio vicino alla pensilina sotto la quale giaceva,
tremante come una foglia, Rinaldo. Quando la vedova entrò in bagnò, si accorse dei
lamenti del povero mercante; quindi chiamò la domestica e le disse: «Va fuori ai piedi di
questo muro e guarda chi c’è e cosa fa.»
La serva eseguì l’ordine della padrona, uscì dal castello e trovò Rinaldo rannicchiato nella
paglia e infreddolito. Gli domandò chi egli fosse e cosa ci facesse là, e lui le raccontò
l’increscioso fatto che gli era accaduto; dopo di che la pregò di non abbandonarlo al
freddo.
La domestica tornò e raccontò tutto alla vedova, e costei le disse di fare entrare
quell’uomo e di offrirgli cena e alloggio.
L’ancella andò da Rinaldo e lo invitò ad entrare e a farsi un bagno. Il mercante, dopo
essersi immerso nell’acqua calda, si sentì rinato.
La vedova gli fece preparare dei vestiti, che erano del marito morto da poco tempo, i
quali gli calzavano benissimo.
Rinaldo ringraziò Iddio e san Giuliano per averlo liberato da quella che si prospettava
come una notte terribile e per avergli offerto un confortevole alloggio.
Poi la vedova domandò alla serva come stesse il pellegrino, e lei rispose che si era vestito
e che era un uomo bello e distinto. Allora la donna le ordinò di andarlo a chiamare.
Quando la vedova vide arrivare Rinaldo, constatò che era effettivamente come lo aveva
descritto l’ancella. Lo invitò a sedersi accanto a lei davanti al fuoco e a dirle ciò che gli
era successo, e lui le raccontò tutto per filo e per segno. La donna aveva già ascoltato
qualcosa su di lui dal suo garzone, che era arrivato al castello prima, e perciò credette
immediatamente al racconto di Rinaldo, e gli disse anche come avrebbe potuto
raggiungere il garzone.
Appena la cena fu pronta, il mercante si lavò le mani e si sedette a tavola. Egli era un
uomo di mezza età, dal fisico alto e robusto, con un bel viso e dalle maniere affabili e
cortesi. La vedova, provando attrazione per Rinaldo, ed essendo rimasta frustrata per il
mancato incontro a letto con il marchese, carica ancora di appetito sessuale insoddisfatto
coltivò dentro sé il desiderio di fare l’amore con quest’uomo.
La vedova si consigliò con la serva se fosse il caso di vendicarsi della beffa che il
marchese le aveva arrecato, ed approfittare di quel bene che sembrava esserle stato
inviato dalla Provvidenza. La domestica, conoscendo la natura passionale della sua
padrona, assecondò la sua intenzione.
Così dopo cena la vedova si avvicinò al mercante e gli disse: «Rinaldo, perché siete così
pensoso? Non credete che vi saranno restituiti il cavallo e i panni che vi sono stati
sottratti? Tiratevi su col morale! Questa è casa vostra! Anzi, dirò di più: con questi panni
addosso, che erano della buon’anima di mio marito, mi sembrate proprio lui, tant’è che
questa sera mi è venuta cento volte voglia di abbracciarvi e di baciarvi, e se non avessi
temuto di darvi fastidio, di certo lo avrei fatto.»
Rinaldo, udendo queste parole e vedendo il lampeggiare degli occhi vogliosi della donna,
le si fece incontro a braccia aperte e disse: «Signora, pensando che grazie a voi io sono
ancora vivo e la brutta situazione da cui mi avete tratto fuori, mi comporterei da vero
villano se non facessi tutto ciò che è di vostro gradimento; quindi abbraccerò e bacerò
voi finché ne avrete voglia.»
La donna, cui non servivano altre parole per infuocarsi, subito si gettò tra le braccia di lui
e lo cominciò a stringere e baciare, e altrettanto fece lui. Quindi, alzatisi, se ne andarono
in camera da letto e, senza alcun indugio, si coricarono e soddisfecero più volte le loro
voglie prima che si facesse giorno.
Giunta l’alba, la vedova diede dei panni scadenti a Rinaldo, gli diede del denaro
dicendogli di tenerlo nascosto, e dopo avergli indicato la strada per raggiungere il suo
garzone, lo fece uscire da una porta secondaria del castello.
Quindi Rinaldo rientrò nel castello dalla porta principale, fingendo di tornare da un
lungo viaggio. E qui egli ritrovò il suo garzone.
Nel frattempo i tre furfanti erano stati acciuffati per un altro colpo da loro commesso e
furono condotti proprio a Castel Guglielmo e, dopo la loro confessione, Rinaldo poté
recuperare le cose che gli erano state rubate. Per la qual cosa egli, dopo aver ringraziato
Iddio e san Giuliano, rimontò sul proprio cavallo e tornò a casa.