La Dichiarazione Universale dei Diritti dell`Uomo

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La Dichiarazione Universale dei Diritti dell`Uomo
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo
Genesi,evoluzione e problemi odierni
1948-2008
1. Introduzione
Diritti dell'uomo o diritti umani? In seno al nuovo Consiglio dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite a
Ginevra, la discussione sul tema è andata avanti per un certo tempo. Dietro il dibattito terminologico vi
è la questione, sempre attuale, di tener conto dei diritti e delle libertà delle donne, oltre ai diritti
economici e sociali1, insufficientemente definiti come il diritto allo sviluppo, il diritto al cibo o il diritto
all'acqua, per citarne solo alcuni che hanno più difficoltà ad essere riconosciuti in teoria e soprattutto
nella pratica, nonostante i Millennium Development Goals che gli stati del mondo si sono dati come
obiettivi per il 2015.
Queste domande non hanno solo un'attualità permanente ma oggi vanno riformulate, considerando
che, nel 2008, ricorre il 60 anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, approvata
dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 a Parigi con la risoluzione 217 (con
le sole astensioni dell'Arabia Saudita, del Sudafrica e dei sei Paesi Comunisti). Nell'imminenza di tale
ricorrenza - che nello scenario globale odierno assume un grande rilievo - una rivisitazione della
genesi della Dichiarazione, che può essere definita la Costituzione del movimento dei diritti umani, dei
problemi allora incontrati e delle soluzioni adottate, con un'equivalente attenzione alle questioni che
oggi riguardano la loro natura ed il loro riconoscimento, è importante per comprendere meglio i diversi
linguaggi relativi ai diritti, sviluppatisi soprattutto negli anni successivi alla decolonizzazione, con
l’indipendenza di nuovi paesi e nella nostra epoca post-moderna (caratterizzata anche dall'incontro
ravvicinato delle diverse culture).
Inoltre nella presente epoca di globalizzazione i tradizionali problemi dei diritti umani, d’ordine
economico, sociale, culturale ed ambientale, sono percepiti spesso in modo diverso dagli anni
quaranta e cinquanta.
In questa sede non si analizzeranno i meccanismi, spesso insufficienti, di tutela di tali diritti, prigioniera
di un’evidente ambiguità perché la loro protezione è ancora affidata agli Stati, gelosi della propria
sovranità, allorquando sono loro i maggiori responsabili delle violazioni, ma anche per la difficoltà di
articolare tale protezione in società poco omogenee e poco strutturate (a livello europeo esistono le
maggiori garanzie, specie con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo – la Corte europea si fa
carico di tutelare i diritti civili e politici)2, persino nell’Atto finale della Conferenza di Helsinki la riserva
di sovranità è espressamente stipulata).
1
2. La Genesi
Tra la pace di Westfalia del 1648 e la Costituzione della Società delle Nazioni (dopo la prima guerra
mondiale), i rapporti internazionali erano esclusivamente interstatali ed anche le grandi Dichiarazioni
del Settecento, tutte di carattere nazionale, erano solo a tutela interna dei singoli individui3. Il primo
documento internazionale in cui sono riconosciuti i diritti umani è la Carta dell'ONU approvata a San
Francisco il 26 Giugno 1945 che, nel Preambolo (in cui si afferma la fede comune “nei diritti
fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana”), ed in sei articoli4, considera i
diritti dell'uomo assieme alla pace come fini essenziali della nuova Organizzazione. Nello statuto della
SDN si insisteva solo sull'obbligo di non discriminazione di cittadini degli stati aderenti (mentre non si
parlava di obblighi nei confronti dei cittadini degli stati non aderenti) e ci si riferiva alla protezione delle
minoranze e dei popoli sotto mandato5.
Con la costituzione dell'ONU è stato osservato che "la vera novità consiste in ciò: gli individui non
furono più considerati sul piano internazionale solo come membri appartenenti ad un gruppo, ad una
minoranza, oppure ad altre categorie. Essi divennero oggetto di protezione in quanto individui"6.
Anche se durante la guerra erano intervenute forti sollecitazioni ad affrontare il tema dei diritti - basti
ricordare l'appello di Pio XII nel Giugno 1941 a favore di una convenzione relativa ai diritti della
persona - a San Francisco il tema non fu sviluppato perché si prese rapidamente coscienza delle
divisioni esistenti tra i diversi schieramenti e che, quindi, l’approvazione dello Statuto delle Nazioni
Unite avrebbe subito un serio ritardo. Come affermato, ci si accordò solo su alcuni articoli e sul caso
specifico dell'autodeterminazione dei popoli (art.5). Alcuni sostengono, tuttavia, che in tale documento
i diritti sono considerati solo in quanto funzionali alla pace.
Tale risultato, pur rilevante, considerando la novità dell’iniziativa rispetto alla SDN, limitava però il
grande disegno del presidente Roosevelt, il propugnatore del New Deal americano e di una sorta di
"new deal" internazionale, progetto espresso in modo particolare nel discorso al Senato del 6 Giugno
19417, in cui prospettava una nuova "società mondiale" pacifica ma che non poteva essere assicurata,
così si esprimeva," da alleanze esclusive e da sfere di influenza".
L'Organizzazione delle Nazioni Unite nasceva con poteri limitati e, il tema della specificazione a tutela
dei diritti umani veniva rimandato, anche se a Bretton Woods(1944) si era già riusciti a dar vita,
nonostante le differenze di approccio tra inglesi e americani, a due istituzioni importanti: il Fondo
Monetario e la Banca Mondiale per la cooperazione economica e finanziaria internazionale. Sotto la
pressione di diversi paesi, specie i piccoli (bisognosi quindi di protezione) e quelli dell'America Latina,
nel giugno del 1946, il Consiglio Economico e Sociale dell'ONU, esercitando i poteri conferitegli
dall'art. 68 dello statuto, promosse la costituzione di una Commissione dei diritti umani composta da
18 stati (Australia, Belgio, Cile, Cina, Cuba, Egitto, India, Iran, Jugoslavia, Libano, Panama, Usa e
Uruguay), parzialmente rappresentativi degli schieramenti politici e culturali presenti nell'Assemblea
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Generale composta allora da 55 paesi, con lo scopo di preparare il testo di una “Carta Internazionale
dei Diritti Umani”8 che finalmente diede luogo a tre distinti documenti : la Dichiarazione Universale dei
diritti umani, i Patti del 1966 che stabiliscono obblighi cogenti per gli Stati firmatari e un Protocollo
facoltativo al Patto internazionale dei diritti civili e politici (adottato anch’esso nel 1966) che stabilisce
un meccanismo per adire al Comitato dei diritti umani in caso di violazione di uno dei tali diritti.
Oltre alla difficoltà di giungere ad un accordo tra religioni, filosofie e sistemi politici ed economici
diversi, c'era anche il fatto che le relazioni tra l'URSS e l'Occidente si stavano deteriorando
rapidamente e che soprattutto le grandi potenze non volevano che in qualche modo si interferisse
nella loro sovranità nazionale; nessuno sapeva inoltre con esattezza a che cosa si mirasse con un tale
documento (è improbabile che lo stesso concetto di persona fosse univoco per tutti). I precedenti cui
si guardò erano quelli di origine liberale e legati ad un particolare contesto nazionale: il Bill of Rights
inglese del 1689,la Dichiarazione di Indipendenza Americana del 1776 e la Dichiarazione dei Diritti
dell'Uomo e del Cittadino del 1789. I paesi latinoamericani erano particolarmente sensibili ai contenuti
della loro Carta dei Diritti e dei Doveri dell'Uomo, approvata pochi mesi prima a Bogotà, in occasione
della nona Conferenza Panamericana del 2 maggio 1948, in cui è evidente l'influsso della tradizione
personalista cristiana e del cattolicesimo sociale espressi specialmente nelle encicliche Rerum
Novarum (1891) e Quadragesimo Anno (1931).
Fu anche importante il contributo delle Ong associate al lavoro della Commisione che fornirono drafts
e commenti, in particolare: l'American Law Institute , l'American Federation of Labour, l'American
Jewish
Commitee,
la
Women's
Association,l'International
League
for
Human
Rights,
la
Confederazione Internazionale dei Sindacati Cristiani, il Consiglio Ecumenico delle Chiese e Pax
Romana, associazione di intellettuali cattolici. Queste ultime due organizzazioni diedero un contributo
rilevante, in particolare sul tema della libertà religiosa9.
Va anche ricordato il gruppo che lavorò sul testo della Dichiarazione, che, come è stato scritto, "era
costituito da un cast di personalità eccezionali"10 che, pur appartenendo a culture diverse, si erano
tutte formate anche in prestigiose università occidentali; i più erano giuristi ed alcuni anche filosofi.
Presidente della Commissione venne eletta Eleanor Roosevelt11, moglie del defunto Presidente, il cui
prestigio e la cui duttilità contribuirono fortemente alla riuscita dei lavori; vice Presidente venne eletto
P.C. Chang, filosofo, capo della delegazione cinese all'Onu, con un dottorato alla Columbia University,
abile negoziatore, attento ad incorporare, per quanto possibile, i principi delle civiltà asiatiche. Tra gli
altri membri eminente della Commissione vanno ricordati in particolare, Charles H. Malik12 libanese,
greco-ortodosso, filosofo, laureato all'Università Americana di Beirut, a Friburgo e ad Harvard, eletto
rapporteur della commissione; René Cassin, ebreo liberale francese, giurista e filosofo13; la signora
Hans Mehta, dirigente del National Congress Indiano, anticolonialista e difensore dei diritti delle
donne; Fernand Dehousse, socialista e celebre giurista belga; Hernán Santa Cruz, cileno,
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socialdemocratico, strenuo difensore dei diritti politici e sociali; Carlos Romulo, giornalista filippino,
vincitore del Premio Pulitzer per i suoi articoli sulla fine del colonialismo. John P. Humphrey14 giurista
canadese, direttore della Divisione per i Diritti Umani del Segretariato dell'Onu fu associato ai lavori.
All'interno della Commissione emersero presto posizioni diverse: da un lato i paesi dell'Europa
occidentale (esclusa la Gran Bretagna) insistevano non solo sulle libertà, ma anche sul tema
dell'uguaglianza, l'attenzione ai diseredati e, in genere sui diritti sociali (la Costituzione francese del
1946 e quella italiana, terminata nel 1947, erano state fortemente influenzate dai partiti democratici
d’ispirazione cristiana); da un altro lato i paesi anglosassoni mettevano l'accento sulle tradizionali
libertà politiche e individuali e non celavano una certa diffidenza nei confronti dell'intervento dello
stato; da un altro lato ancora i paesi socialisti (sospettosi che la Dichiarazione fosse fatta contro di
loro) subordinavano l'individuo allo stato ed enfatizzavano i diritti economico-sociali rispetto alle libertà
politiche, oltre ad insistere sull'autodeterminazione dei popoli (allora in buona parte colonie
occidentali) e, in ogni caso propensi a difendere la libertà di ogni stato di applicare i diritti riconosciuti
nel contesto particolare di ogni situazione nazionale; infine i paesi latinoamericani, che nelle loro
Costituzioni si erano spesso ispirati al "modello" sociale-europeo, pur adottando il sistema istituzionale
statale statunitense, con un costituzionalismo che garantiva i diritti umani, si rifacevano spesso alla
loro Dichiarazione di Bogotà; per ultimi i paesi islamici che non si ritrovavano sempre in una
Dichiarazione considerata troppo "occidentale".
La Commissione si riunì per la prima volta nel gennaio 1947 e le riunioni iniziali furono difficili,
soprattutto ma non solamente per le divisioni politiche tra Usa e Urss. Uno dei primi problemi su cui ci
si scontrò fu quello se dotare la Dichiarazione di un meccanismo di tutela dei diritti, ma la signora
Roosevelt, aiutata in questo dagli stati socialisti, si oppose affermando che molti paesi non avrebbero
accettato ingerenze nel proprio foro interno (e negli Usa alcuni stati avevano ancora leggi raziali), per
cui si decise di rimandare ad altro documento il tema della tutela che si sarebbe dovuto elaborare però
contemporaneamente alla Dichiarazione.
Oltre che sugli aspetti politici, i dibattiti spaziarono su temi culturali, filosofici e giuridici. Chang avrebbe
voluto anteporre alla Dichiarazione un Preambolo centrato sulla dignità umana; Malik auspicava che si
definisse innanzitutto cos'è l'uomo; il delegato jugoslavo insisteva sul principio che la società venisse
considerata anteriore all'individuo mentre Malik riteneva che "l'essere umano è più importante di
qualsiasi gruppo nazionale o culturale al quale può appartenere."
Divenne presto evidente che il documento richiesto non poteva essere elaborato dall'intera
Commissione, per cui fu designato un draft commitee per redigere una “bozza preliminare” composta
da 4 delegati: Roosevelt, Chang, Malik e Humphrey. A quest'ultimo, con l'aiuto del Segretariato
dell’ONU, venne chiesto di redigere la prima versione. Ci si documentò minuziosamente con i
molteplici testi esistenti, facenti capo anche a diverse tradizioni culturali. Si tenne conto, in particolare,
4
dello Statement of essential human rights prodotto nel 1944 dall'American
Law Institute e della
Dichiarazione di Bogotà.
La bozza di Humphrey, composta da 48 articoli, era un elenco eterogeneo anche se abbastanza
completo di proposte, al punto che fu considerato dai membri della Commissione" un impressionante
distillazione di quasi 200 anni di sforzi per articolare i più fondamentali valori umani in termini di
diritti"15. Venivano affermati i diritti politici tradizionali, ma anche quelli economici e sociali. Durante la
discussione che seguì alla presentazione del testo il 9 giugno, si decise di procedere ad un'ampia
revisione della stessa, affidandone il compito a René Cassin, futuro premio Nobel per la pace per
questo suo impegno. Il lavoro di Cassin fu infatti determinante. Egli riuscì a dare una logica interna al
draft e una maggiore unità, divise inoltre i diritti in categorie intelligibili e diede un senso alla loro
dipendenza reciproca, insistendo sul legame con la natura umana. Egli ideò anche un preambolo ed
aggiunse 6 principi generali. Importante fu il suo contributo per evitare dibattiti sulla concezione
dell'uomo e della società o sui fondamenti metafisici, su cui non c'era accordo, come pure nel
superare il contrasto tra coloro che sostenevano solo i diritti politici (come la Gran Bretagna) e i paesi
socialisti che volevano invece riservare una posizione particolare ai diritti sociali, collegando
intelligentemente ambedue le categorie alla dignità umana. Fu abile nell'esercitare le necessarie
mediazioni tra le diverse posizioni culturali, soprattutto in settori delicati come la religione e il diritto di
famiglia, infatti nella Dichiarazione non è previsto il diritto al divorzio né vi è condanna della poligamia.
Fu abile soprattutto nel mostrare che il nuovo documento non costituiva solo una lista di diritti, ma un
insieme coerente che aveva tre caratteristiche: la storicità, la progressività e l’universalità.
Nel giugno 1947 le linee generali della Dichiarazione erano pronte. Rimaneva però in qualche
modo aperta la questione della sua universalità e la risposta giunse dall’Unesco alla stessa data.
3. Il ruolo dei Saggi ed il contributo di Jacques Maritain
Già nel gennaio del 1947, fu chiesto all'Unesco di coadiuvare il ruolo della Commissione, insomma di
riflettere sui fondamenti teoretici dei diritti umani e affrontare il problema della loro universalità
riguardo alla questione se fosse possibile stabilire diritti comuni alle diverse tradizioni culturali,
religiose e politiche. Fu preparato un questionario che fu inviato a eminenti personalità, scienziati e
filosofi: Aldous Huxley, Jacques Maritain, Theilard de Chardin, Harold Laski, Edward Carr, Borris
Techechko, Chung-Shu Lai, Bertrand Russell, Benedetto Croce, Salvador de Madariaga, Tagore,
Gandhi, e altri. Nonostante la diversa valutazione sulla natura dei diritti, alcuni rifiutavano infatti la
legge naturale alla base delle dichiarazioni del XVII e del XVIII secolo e i socialisti non dimenticavano
le critiche di Marx alla Dichiarazione del 1789, sostanzialmente le risposte concordavano sulla
possibilità di formulare una Dichiarazione internazionale dei diritti. E questa fu la risposta che l’Unesco
diede alla Commissione dell’ECOSOC nel giugno 1947. Leggendo le loro risposte si notano tuttavia
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rilevanti differenze di approccio: alcuni, di tradizione non occidentale, misero in evidenza l'estraneità
del termine stesso di "diritti" nelle loro tradizioni e gli asiatici, in particolare, sottolineavano la necessità
di includere i doveri accanto ai diritti. Gandhi scrisse: "imparai da mia madre, analfabeta, una donna
molto saggia, che tutti i diritti, per essere meritati, devono provenire da doveri ben adempiuti. Così ci
spetta il vero diritto di vivere solo quando adempiamo al nostro dovere di cittadini del mondo"16.
Nell'impegno difficile di giungere a conclusioni operative, determinante fu il contributo di Jacques
Maritain, allora ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, chiamato all'ultimo momento per
sostituire Léon Blum come capo della delegazione francese alla Seconda Conferenza Generale
dell'Unesco a Città del Messico, nel novembre 1947. Eletto presidente della Conferenza, le tesi che
espresse nel suo discorso inaugurale furono accolte " universalmente”17.
In polemica indiretta con Julian Huxley, Direttore Generale dell'Unesco, che in un suo scritto L'Unesco
ses buts et sa philosophie sosteneva la necessità che l'Organizzazione elaborasse una sorta di
superfilosofia (scientista) per dare una base teorica alla sua azione, Maritain proponeva invece un
approccio pragmatico al problema: era possibile la cooperazione tra gli uomini per la comune natura,
nonostante le differenze culturali, e si potevano definire "principi pratici" (essenzialmente i diritti
umani) comuni alle diverse tradizioni e correnti di pensiero, a condizione però, paradossalmente, di
mettere da parte le giustificazioni teoriche che ognuno avrebbe potuto dare, ma su cui non vi sarebbe
stata unanimità. Egli limitava così la natura del consenso ad una "finalità pratica", ad un accordo su
"uno stesso insieme di convinzioni che guidavano l'azione" e aggiungeva: con il “perché” comincia la
disputa infatti "gli spiriti non sono mai stati così crudelmente divisi". Ciò nonostante, una Dichiarazione
dei diritti, terribilmente importante, non avrebbe potuto essere considerata che "la prefazione di una
Carta del mondo civile"18.
Maritain aveva già espresso questa concezione nella sua risposta all'inchiesta dell'Unesco nel giugno
1947, ma fu soprattutto dopo il suo intervento a Città del Messico che tale idea divenne preponderante
sulle altre tesi, al punto che lo stesso Huxley chiese a Maritain di scrivere l'introduzione all'opera
collettiva "Autour de la nouvelle Déclaration universelle des droits de l'homme"19, in cui il filosofo
francese espose con forza il suo pensiero e l'intero dossier, con le risposte dei "Saggi" fu consegnato
dall'Unesco alla Commissione dei Diritti dell'Uomo e si sa che le conclusioni di tale dossier
influenzarono i redattori della Dichiarazione.
4. L'ultima fase della Commissione
Anche con l'appoggio morale ed intellettuale delle personalità interrogate dall'Unesco, che avevano
dato una risposta sostanzialmente positiva alla possibilità di una Dichiarazione internazionale dei
diritti, fu relativamente più facile per la Commissione proseguire i propri lavori. La posizione di Maritain
fu richiamata nei passaggi più difficili (per es. se riferirsi o meno ad un diritto naturale quale
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fondamento dei diritti e se accettare l’accordo su di una lista di diritti senza giustificarli secondo le
proprie tradizioni), per es. dal francese Salvator Grunbach e, implicitamente da alcuni orientali come
Cheng, il quale affermò di limitarsi nel proporre principi orientali espressi nel modo tradizionale,
accontentandosi però che fossero ripresi pur in un linguaggio occidentale.
Nelle sessioni successive la discussione in seno alla Commissione si riaprì ancora una volta sul
problema della tutela dei diritti. Molti paesi infatti sostennero che senza uno strumento (Convenzione)
che stabilisse l’obbligatorietà di rispettare i diritti e un tribunale internazionale che sancisse le
violazioni alla Dichiarazione, tale documento non avrebbe avuto rilevanza (i paesi minori sentivano in
particolare questa esigenza). Usa e Urss bloccarono però qualsiasi impegno teso a costituire un
meccanismo di monitoraggio e di tutela della Dichiarazione, temendo "una sorta di governo mondiale
che avrebbe minacciato inesorabilmente la sovranità nazionale" come si esprimevano i sovietici. Con
l'appoggio della Roosevelt, conscia che anche il Senato del suo paese non lo avrebbe accettato, si
decise di dare priorità ad una dichiarazione di principi; così fu lasciata da parte l'idea di portare avanti
contemporaneamente anche un trattato vincolante i firmatari della Dichiarazione. Altri problemi
vennero in discussione. Si sottolineò la mancanza delle responsabilità accanto ai diritti, ma si rispose
che di per sé un diritto comportava un dovere; Malik voleva un esplicito riferimento a Dio (le persone
sono dotate di "alcuni diritti inalienabili dati dal loro Creatore") nel primo articolo, ma Cassin e Chang,
tra gli altri, non erano d'accordo perché ciò avrebbe minato l'universalità del documento. Ci si limitò
quindi ad affermare il diritto alla libertà religiosa. Cassin chiese per l'appunto che la Dichiarazione non
fosse definita internazionale ma universale. Il dibattito più forte si svolse attorno al riconoscimento dei
diritti economici e sociali. La Roosevelt accettò di inserire che "gli uomini bisognosi non sono uomini
liberi", ma l'Urss, fortemente appoggiata anche dai Paesi latinoamericani, si batté per non relegare a
rango inferiore i diritti sociali. Dopo un acceso dibattito, il conflitto si risolse con l'introduzione di un
nuovo provvedimento: si concedeva un certo grado di discrezionalità ad ogni stato, in concordanza
con la propria organizzazione e con le proprie risorse, in merito alla realizzazione di tale gruppo di
diritti. Il problema dei diritti culturali delle minoranze fu pure affrontato, ma gli Stati Uniti e la Francia
con la loro politica d’assimilazione erano contrari; si giunse al compromesso dell’art. 2 della
Dichiarazione in cui si respinge ogni discriminazione. Anche l’eguaglianza tra uomini e donne fu un
tema dibattuto e risolto con il fatto che il termine “human beings” (art. 1) si riferiva agli uni e alle altre.
Alcuni chiedevano di riconoscere che i diritti erano iscritti "per natura" nell'essere umano. Chang,
molto abile in tutto il dibattito, riuscì con grande fatica ad evitare che la natura fosse citata; pure altri
problemi (come la pena di morte, l’eutanasia, l’abordo, ecc.) su cui non v’era accordo furono messi da
parte. Anche i paesi musulmani erano divisi: i delegati del Pakistan e dell'Egitto erano disposti ad
accettare gli stessi diritti all'uomo e alla donna nel matrimonio (contraria invece l'Arabia Saudita) e lo
stesso Egitto e India erano disponibili ad accettare di cambiare religione (contraria l'Arabia Saudita). Il
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18 giugno 1948 la Commissione votò il testo definitivo con dodici voti a favore, nove contrari e quattro
astenuti. Nel febbraio Ch. Malik fu eletto presidente dell’ECOSOC. Il 26 agosto il testo fu approvato
all’unanimità in questa sede (ma senza discussione). In settembre la Dichiarazione fu presentata alla
terza Commissione (per gli Affari Sociali, Umanitari e Culturali) dell’Assemblea Generale dove la
discussione si riaprì a fondo (furono proposti 170 ammendamenti sui singoli articoli)20 ma alla fine, il
7 dicembre, la Commissione raccomandò all’Assemblea Generale di approvare la
Dichiarazione. Il giorno 10, l’Assemblea Generale dell’ONU riunita a Parigi (forse anche per evitare
un voto negli Stati Uniti il cui contrasto con l’URSS era ormai scoppiato), approvò la Dichiarazione21.
5. Gli sviluppi della Dichiarazione e le questioni odierne dei diritti
Pur essendo il punto d'incontro di concezioni sociali diverse, il codice universale dei diritti espressi
nella Dichiarazione del 1948 ha alla base la dignità della persona e riflette l’idea moderna della “libertà
da”, collegandola strettamente con la giustizia e la pace. Si può dire che l'architettura generale del
testo è prevalentemente di ispirazione personalista e, su questo fondamento, delinea un ordine di
convivenza pacifica mondiale. La Dichiarazione recepisce la tradizione illuministico-liberale che pone
l'enfasi sulle libertà politiche essenziali, ma non dimentica i diritti economico-sociali e, come nota una
docente dell'Università di Harvard, M.A. Glendon, i "promotori più zelanti (di quei diritti) non furono i
rappresentanti del blocco sovietico, ma i delegati dei paesi latinoamericani"22, che rappresentavano 21
dei 55 paesi che diedero vita all'ONU. La stessa afferma, inoltre, che il linguaggio della Dichiarazione
assomiglia da vicino a quello del cattolicesimo sociale, quando si insiste su concetti basilari come la
"dignità innata" dell'uomo e il "valore della persona umana", o si afferma che la persona è "dotata di
ragione e di coscienza", si parla di "diritti uguali ed imperscrittibili", si insiste non solo sui diritti
individuali, ma anche su quelli dei gruppi sociali, i corpi intermedi come la famiglia considerata "base
naturale e fondamentale" della società, avente diritto alla "protezione della società e dello stato" e che
il primo diritto dei genitori è quello di poter scegliere l'educazione per i propri figli, si riconosce il diritto
al lavoro e ad una giusta remunerazione del lavoratore. Tale linguaggio, scrive sempre la Glendon23,
proveniva dalle Costituzioni europee e latinoamericane del XX secolo, oltre che dalla Dichiarazione di
Bogotà, testi ispirati dai partiti democratici cristiani che si erano ispirati a loro volta alle encicliche
sociali24.
Non bisogna dimenticare, naturalmente, anche gli apporti del movimento operaio europeo e le
Costituzioni "sociali" del primo dopoguerra, come quella di Weimar che includeva anche i diritti
sociali25.
Le idee elaborate nella Dichiarazione Universale ebbero il loro influsso nei processi di Norimberga e di
Tokio nel dopoguerra (assieme ai Principi di Norimberga sviluppati dagli alleati nel 1946 in vista dei
futuri tribunali per giudicare i criminali di guerra dei due paesi), secondo il principio che se le leggi
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dello Stato sono in conflitto con i principi internazionali che proteggono i valori umani fondamentali,
l'individuo è tenuto a trasgredire a tali leggi26. Ebbero un influsso anche nelle Costituzioni (e le
legislazioni in generale) di molti paesi e anche nelle finalità delle Organizzazioni internazionali,
pubbliche e private, oltre che della Comunità internazionale in genere. E le numerose convenzioni
successive (sui minori, le donne, ecc.) sono ugualmente ispirate da tale cultura onusiana.
I membri della Commissione furono coscienti di aver svolto un lavoro straordinario e difficoltoso e che
pur non avendo prodotto che una Dichiarazione di principi, essa avrebbe avuto, così si esprimeva più
tardi la Signora Roosevelt “un'immensa portata educativa"27 e sarebbe stata di stimolo per ulteriori
approfondimenti.
Nonostante l'impulso che la Dichiarazione dette al valore dei diritti umani, tale documento non è un
Trattato internazionale, bisognerà attendere il 1966, cioè venti anni, prima che i principi di tale
documento fossero inseriti in due trattati internazionali, cogenti per i paesi che li sottoscrivevano28. La
guerra fredda e l'apparire di nuovi stati con nuove richieste dopo la decolonizzazione sulla scena
internazionale, allungarono i tempi. Ci si riferisce al Patto per i diritti civili e politici e al Patto per i diritti
economici, sociali e culturali. Ancora una volta ebbero la meglio coloro che volevano tenere separati i
due tipi di diritti29. Sottintesa è l'idea che i primi hanno un carattere precettivo e quindi sono
immediatamente giustiziabili, mentre i secondi, in caso di violazione, sono più difficili da definirsi e,
inoltre, sono di carattere programmatico, perché lo stato deve spesso porre in essere determinate
condizioni per la loro attuazione, e quindi sarebbero meno giustiziabili30.
Ben presto piovvero le critiche nei confronti della Dichiarazione. Alcune riguardavano la sua
concezione illuminista-liberale-individualista, la cosiddetta concezione "libertaria" - che privilegia i diritti
politici (concretamente si proteggeva una minoranza che poteva aver già assicurati i diritti sociali)
rispetto ai diritti sociali e alla concezione "dignitaria" che fa perno sulla dignità della persona e tiene
conto non solo delle libertà, ma anche dell'uguaglianza e della solidarietà. Nella tradizione libertaria
prevale l'idea di un individuo radicalmente autonomo e capace di autodeterminazione, mentre
nell'altra ipotesi si fa enfasi sulla relazionalità interpersonale.
In realtà la Dichiarazione del 1948, nonostante i suoi limiti (il primo dei quali è l'enfatizzare la
responsabilità solamente degli stati nei confronti delle violazioni dei diritti), pur riconoscendo
l’interdipendenza di tutti i diritti, il principio dell’uguaglianza di fronte alla legge e la non
discriminazione, valorizza in modo particolare i diritti politici e civili.
Da alcuni anni si dà sempre più attenzione ai diritti culturali ed ambientali. Anche l'Onu ha contribuito
alla sensibilizzazione di questi temi, specialmente a partire dalla Conferenza di Rio sull'ambiente nel
1982 sino a quella di Pechino, sulla donna, nel 1995. Dopo la decolonizzazione e l'indipendenza dei
nuovi stati, sopratutto a partire dagli anni settanta i diritti culturali che hanno a che fare con la
protezione delle lingue e delle tradizioni, sono divenuti di grande attualità, sia per la richiesta di una
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rappresentanza adeguata di minoranze in Stati sempre più multiculturali, sia per l'emergere di conflitti
identitari. La tradizione giusnaturalistica che pervade la Dichiarazione del 1948 e dei Patti nel 1966,
che lega i diritti ad ogni persona e non li considera concessioni del potere pubblico o di una qualsiasi
autorità patriarcale o familiare, può trovarsi quindi in contrasto con le tradizioni confuciane, induiste,
islamiche ed africane in cui si privilegiano istanze collettive su quelle individuali (si è dovuto coniare un
vocabolo nuovo per tradurre in cinese il termine"diritto soggettivo") i doveri sui diritti. Di qui la critica
dei tre documenti alla visione "occidentale".
Il mondo musulmano ha elaborato alcune Dichiarazioni alternative a quella del 1948 considerando i
diritti umani nell'Islam: quella di Dacca del 1981 e sopratutto quella del Cairo del 199031 approvata
nell’ambito dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, dove, ad esempio, sono mantenute le
differenze tra uomo e donna e va ricordata anche la Carta Africana dei diritti dell'uomo e dei popoli del
2003. Nel sud-est asiatico si insiste sui "valori asiatici" in antitesi a quelli occidentali e, nel 1993, si
giunse alla Dichiarazione di Bangkok32 in cui si rivendica la priorità dei diritti sociali rispetto a quelli
politici, e si antepone il "diritto allo sviluppo" rispetto ai diritti individuali, con una percezione diversa
rispetto a quella tradizionale-occidentale tra diritti individuali e collettivi, con il rischio di assoggettare
alla discrezionalità del potere politico la fruizione dei diritti di libertà dei singoli. In America Latina le
posizioni di fondo rispecchiano quelle della Dichiarazione Universale, ma con un marcato accento sul
tema della povertà33. Alla conferenza di Vienna del 1993, commemorativa del 45 anniversario della
Dichiarazione del 1948, accanto ad una presa di coscienza positiva sulla situazione della povertà nel
mondo, si notava ampiamente la diversità dei linguaggi sui diritti, ancora una volta alcuni governi
asiatici criticarono quella che definirono una tendenza dei paesi occidentali ad imporre i loro standard
dei diritti con un’eccessiva enfasi dei diritti politici a discapito di quelli economico-sociali. Il dibattito
verteva però nel fondo più sulla realizzazione pratica dei diritti che sulle differenze di principi34.
Anche nel mondo cristiano ortodosso vi sono segnali di prese di distanza dalla Dichiarazione del
1948. Nel mese di aprile 2006, per citare un solo esempio, si è tenuta a Mosca una sessione del
Consiglio Mondiale del Popolo Russo, in cui la Chiesa Ortodossa è presente al più alto livello, e, in
tale circostanza, è stato adottato un documento molto critico nei confronti dei "principi liberali ed
anglosassoni" sanciti nella Dichiarazione universale. In sintesi, il documento dichiara inammissibile
che la libertà di scelta di un individuo abbia come solo limite la libertà di scelta degli altri: vi sono valori
superiori di carattere etico, religioso ed anche patriottico, che, quando radicati in una società, hanno la
precedenza sulla libertà individuale.
Va notata però una certa politicizzazione del tema dei diritti umani anche da parte occidentale, ad
esempio con il "nuovo" diritto di "ingerenza umanitaria" (o come si preferisce dire oggi l’“obbligo di
proteggere i diritti umani”) evocato in vari casi per giustificare gli interventi in Somalia, nella ex
Jugoslavia o in Iraq negli anni novanta.
10
Infine vanno ricordati i "nuovi"diritti sempre più dibattuti nel contesto della post-modernità che
sembrano senza limiti: da quelli relativi alla manipolazione della natura umana, quelli degli
omosessuali, della libertà della donna rispetto all'embrione, dell'eutanasia, ecc.35. Questa tendenza –
sia detto per inciso – sta influenzando anche gli Organismi internazionali che in certi casi arrivano ad
interpretare la Dichiarazione del 1948 per favorire la contraccezione o la sterilizzazione di massa36.
Un ulteriore problema riguarda il rapporto tra richiesta di sicurezza collettiva, soprattutto a causa del
terrorismo, e la limitazione crescente e pericolosa dei diritti della privacy senza un sufficiente controllo
delle amministrazioni pubbliche deputate allo scopo.
I diritti economici e sociali (ma anche quelli culturali) sono spesso minacciati anche dal sistema
economico globalizzato, i cui effetti si fanno sentire a livello nazionale e transnazionale, anche perché
non regolato sufficientemente da autorità politiche ed istituzioni giuridiche altrettanto globali.
6. Conclusioni
In che misura i problemi dei diritti umani si pongono attualmente in modo diverso dal dopoguerra, per
il mutato contesto politico e culturale?. Anche se molti dei problemi dibattuti durante la preparazione
della Dichiarazione Universale sorprendentemente (ma dovrebbe essere veramente una sorpresa?)
non sono molto diversi dagli attuali: i fondamenti filosofici, la “diversità” dei diritti culturali, la possibilità
della presa di coscienza di nuovi diritti in futuro ... furono ampiamente discussi allora. Quello su cui si
convenne (anche per superare molte di queste difficoltà) era che il documento intendeva presentare
un “common standard of achievement”, non richiedeva alterazioni pratiche uniformi di questi diritti
nelle diverse nazioni37. Si trattava di principi esistenti, più o meno esplicitamente, all’interno di ogni
cultura38 ed era sopratutto il punto di partenza per un mondo migliore attraverso misure da prendere
sul piano nazionale ed internazionale. Questo risultato era considerato dagli stessi costituenti un
risultato straordinario e in anticipo sui tempi. Ciò detto che resta della universalità dei diritti della
Dichiarazione del 1948? Insomma va considerata come un retaggio dell'"imperialismo" culturale
occidentale?39.
Il problema non può essere ignorato, pena la crescente incomprensione tra i popoli e le difficoltà di
una governance democratica e più umana della globalizzazione.
Il primo rilievo è che la rapida estensione dei diritti, negli ultimi decenni, comporta la necessità di
distinguere quelli che possono essere considerati effettivi diritti da altri che troppo facilmente sono
rivendicati come tali, anche perché è chiaro che più si allunga la lista, maggiore è il rischio di una
insufficiente tutela. Inoltre, sappiamo che una comunità politica ha bisogno di un minimo consenso sui
legami che giustificano la sua esistenza. Ciò rimanda al tema del loro fondamento e del loro
riconoscimento, aspetti che erano stati evitati o finalmente messi da parte durante la preparazione
11
della Dichiarazione Universale, anche perché i più, dopo gli orrori vissuti, si appellavano al diritto
naturale40, ma il ripetersi di altri orrori nel XXI secolo ha riproposto fortemente il tema dei diritti, anche
tra coloro che non condividono una posizione giusnaturalista (come d’altronde è avvenuto per le
libertà, ad esempio quelle economiche, spesso proprio in contrasto con alcuni diritti). Inoltre critiche
nuove sono emerse da religioni e culture diverse. Va rilevato però che in questi anni, nella filosofia
morale e nelle scienze cognitive si è ragionato su quelle che sembrano essere intuizioni morali molto
radicate, con sorprendenti uniformità di giudizio comuni alle culture più diverse41 e ciò ha contribuito a
riprendere anche teoricamente il discorso sui diritti. Molti però si attestano sulla posizione di Bobbio
secondo il quale - detto semplicemente - i diritti, più che giustificati, vanno difesi42.
La teoria politica liberale, alla quale dobbiamo l'idea di stato, di democrazia e dei diritti, è figlia
soprattutto dell'illuminismo e ritiene di guardare a ciò che veramente l'uomo è. La sua natura si trova
nell'universalità della ragione (anche se con ciò si contrabbanda talvolta la ratio moderna occidentale
quale codice universale), mentre le diverse espressioni culturali (da aggiungere non occidentali),
appaiono come incrostazioni non assolutamente necessarie. Le teorie politiche "comunitariste"
(Taylor, Sandel, Bellah, Etzioni...) che collegano profondamente diritti alle diverse culture, mostrano in
effetti i limiti della prospettiva liberale: fuori delle culture possono aversi solo principi formali spesso
incapaci di far presa sui soggetti. L'affermazione contraria è anch'essa però vera: le culture non
possono vivere al di là dei principi universali di giustizia, specie in un mondo sempre più globale.
La via d'uscita non può basarsi che sul riconoscimento che l'identità etnica e culturale non è quella
primaria, che la nostra identità universale di persona è anteriore rispetto a qualsiasi identità
particolare, riconoscendo però anche che essa si situa in un determinato contesto di rapporti perché
l'uomo è un essere relazionale, come sostiene la teoria personalista nelle sue diverse espressioni.
Su questa linea troviamo due pensatori importanti: John Rawls e Jacques Maritain, per non citarne
altri, come la testimonianza importante del filosofo morale ed economista indù Amartya Sen che nelle
sue opere parla di comune umanità al di là delle differenze culturali.
Rawls, esponente di spicco del neoliberalismo politico, esclude che gli obiettivi di una comunità
politica possano essere orientati da una concezione di bene particolare, legata ad una cultura
particolare e sostiene, invece, che sia pure a fatica, dottrine politiche diverse possano trovare un
"consenso per intersezione" (overlapping consensus), per confronto su principi fondamentali comuni
di giustizia43. Questa posizione è relativamente vicina a quella di Maritain che propone un consenso
possibile su "principi pratici comuni" (essenzialmente i diritti umani), nonostante le differenze sulle loro
giustificazioni teoriche. Maritain aggiunge che, tuttavia, la conoscenza dei diritti non è esercizio facile
perché dipende, da una conoscenza “per connaturalità”, cioè “sotto la guida delle inclinazioni della
natura umana” e dalla coscienza morale di un popolo, che non è sempre la stessa, ma varia nei tempi
e nei contesti diversi, e i processi di imbarbarimento sono sempre in agguato. Per questo Maritain pur
12
essendo un difensore del diritto naturale, nella risposta all'inchiesta dell'Unesco di cui si è detto,
ammetteva un dinamismo storico della società entro cui agisce la legge naturale e riconosceva quindi
che: "una Dichiarazione dei diritti dell'uomo non sarà mai esaustiva e definitiva. Sarà sempre in
funzione dello stato della coscienza morale e della civiltà ad un'epoca data della storia... vi è ormai per
gli uomini un interesse maggiore a rinnovare le dichiarazioni di secolo in secolo"44.
Dal dopoguerra la storia si è accelerata molto di più di quanto prevedibile. Sino a che punto la
Dichiarazione del 1948 costituisce la visione di una data epoca storica? In vista del 60 anniversario
della Dichiarazione universale nel 2008 non sarebbe opportuno che iniziassimo a pensare ad un testo
a misura di tutte le civiltà?
Prof. Roberto Papini
Università LUMSA, Roma
Segretario Generale dell’Istituto Internazionale Jacques Maritain, Roma
NOTE:
1
Cfr. R. Werly, Des mots pour le dire, “Développement et Civilisations”, Paris, n. 344, Juin 2006, p. 1.
2
Il sistema regionale giuridico europeo (cui fa parte, oltre all’UE, anche il Consiglio d’Europa) è stato un modello
per altri sistemi regionali, in particolare per il sistema interamericano e per quello (pan)africano.
3
In realtà nell’Ottocento il diritto internazionale comincia ad interessarsi, sia pur restrittivamente, dei diritti degli
individui con le Convenzioni che vietano la tratta degli schiavi e quelle relative ai conflitti armati. E andando
indietro nei secoli non si possono dimenticare i primi dibattiti teologici e giuridici sui diritti umani e sul diritto
internazionale dopo la scoperta dell’America. Cfr. V. Abril Castalló, Los teologos juristas de la Escuela da
Salamarca. Padres de los derechos humanos en el mundo moderno y contemporaneo, “Religión y Cultura”, n.
205, 1988, pp. 271-300.
4
Gli artt. 1, 13, 55, 62, 68 e 76.
5
Lo statuto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro costituita nel 1919 concedeva una protezione più
ampia di quella della SDN, riservata però alla protezione dei lavoratori in quanto tali.
13
6
A. Cassese, I diritti umani oggi, Roma-Bari, Laterza, 2005, p. 25.
7
Il Presidente Roosevelt aveva sottolineato il rispetto di quattro libertà: di parola, di pensiero, di religione e dal
bisogno. Le linee generali del discorso furono poi riprese nella Carta Atlantica (1941) e, in misura minore, alla
Conferenza di Dumbarton Oaks (agosto-ottobre 1944) delle quattro grandi potenza (USA, URSS, Gran Bretagna
e Cina) riunite per preparare l’organizzazione politica del dopoguerra.
8
In realtà il Consiglio Economico e Sociale aveva nominato precedentemente una piccola Commissione
(Nuclear Commission) composta da nove membri, non rappresentanti ufficiali dei propri governi, che elaborò
una serie di raccomandazioni al Consiglio in relazione alla costituzione della successiva Commissione ufficiale.
Cfr. E. Roosevelt, The Promise of Human Rights, “Foreign Affairs”, April 1948, pp. 470-477.
9
Cfr. Nolde O. Frederick, Free and Equal. Human Rights in Ecumenical Perspective, Geneva, World Council of
Churches, 1968; Ph. Chenaux, Les Églises chrétiennes et la Déclaration de 1948 : rejet ou ralliement?, in
Universalité des Droits de l’homme et diversités de cultures, Fribourg, Éd. Universitaires Fribourg Suisse, 1984,
pp. 213-215.
10
M. Glen Johnson, A Magna Carta for Mankind: Writing the Universal Declaration of Human Rights, in The
Universal Declaration of Human Rights. A History of its Creation and Implementation (1948-1998), Paris, Unesco
Publishing, 1998, pp. 19-24.
11
10) Su E. Roosevelt, cfrs. Allida M. Black, What I hope to Leave Behind: the Essential Essays of Eleanor
Roosevelt, New York, Carlson Publishing Inc. 1995; Mary A. Glendon, A World Made New. Eleanor Roosevelt
and the Universal Declaration of Human Rights, New York, Random House Trade paperbacks Edition, 2002; D.
Winner, Eleanor Roosevelt. The Woman who pioneered the Universal Declaration of Human Rights, Watford,
Exley, 1992; Joseph P. Lash, Eleanor and Franklin, New York, Norton, 1971; Joseph P. Lash, Eleanor: The
Years Alone, London, André Detsc, 1973.
12
Charles H. Malik, War and Peace, Stamford, Conn., The Overbrook Press, 1950. Dopo aver fatto parte della
Commissione fu nominato Presidente del Consiglio Economico e Sociale e poi dell’Assemblea Generale.
13
Marc Agi, René Cassin, Prix Nobel de la paix, 1887-1976; père de la Déclaration Universelle des droits de
l’homme, Paris, Librairie Académique Perrin, 1998 ; E. Pateyron, La contribution française à la rédaction de la
Déclaration Universelle des droits de l’homme, Paris, La Documentation Française, 1999 ; R. Cassin, The Unied
Nations and Human Rights, “Free World”, n. 12, September 1946; Marc Agi, René Cassin, Fantassin des droits
14
de l’homme, Paris, Plon 1979; R. Cassin, La Commission des Droits de l’homme de l’ONU (1947/1971), in
Miscellanea W. J. Ganshof van der Meersch, Bruxelles, Université Libre de Bruxelles, 1972, vol. I.
René Cassin è stato definito il “padre” della Dichiarazione Universale. Aveva avuto una lunga esperienza
diplomatica come delegato francese presso la SDN (dal 1924 al 1935); si unì a De Grulle a Londra e fu il suo
principale consulente legale e una volta affermò “è lì che ebbi un ruolo importante, perché si può dire che
collaborammo alla preparazione di Norimberga, delle nazioni Unite e dell’Unesco” (da un’intervista a Cassin,
riportata dalla nipote H. Berthozin in un discorso all’Institut International des droits de l’homme, ripreso nel
“Quaderno d’intercultura” del Consiglio Regionale dell’Emilia Romagna, n. 3 1998, p. 7 e, nella stessa intervista
(p.8) Cassin aggiunge : “mi chiamano il ‘padre’ della Dichiarazione Universale. In effetti sono il ‘nonno’ in quanto
sono l’autore del terzo testo, fu Pierre-Henri Teitgen a scrivere il secondo”. In realtà con si trovano tracce di
questo intervento di Teitgen. Quest’ultimo, democratico cristiano, fu poi uno dei più importanti politici francesi
della IV Repubblica). Cassin partecipò alla Conferenza preparatoria e alla costituzione dell’ONU e fu poi Vice
presidente della Commissione dei diritti dell’uomo dalla fondazione al 1955, poi Presidente sino al 1957. Dopo
aver ricevuto il Premio Nobel per la pace diede vita a Strasburgo all’Institut International des droits de l’homme.
14
John P, Humprey, Human Rights and the United Nations ; A Great Adventure, Dobbs Ferry, New York,
Transnational Publishers, 1984.
15
16
Mary A. Glendon, A World Made New, cit., p. 51.
M. Gandhi, Letter Addressed to the Director-General of Unesco, in Human Rights. Comments and
Interpretations, Columbia University Press, 1949, p. 18.
17
Cfr. R. Seydoux, Jacques Maritain à Mexico, «Cahiers Jacques Maritain», n. 10, ottobre 1984, p. 27. Il testo
della conferenza di Maritain si trova nel suo libro, La Voix de la paix, oggi nelle Oeuvres Complètes, Éditions
Universitaires Fribourg Suisse-Éditions Saint-Paul Paris, 1947, vol. IX , pp. 143s. Maritain aveva già trattato dei
diritti umani, in particolare in Les droits de l’homme e la loi naturelle nel 1942, pubblicato nella collana
“Civilisations” delle Edizioni della Maison Française di New York, costituita da Maritain e da altri esuli francesi.
Nella stessa collana fu pubblicato, tra gli altri, anche il libro di G. Gurvitch, La Déclaration des Droits sociaux.
Sia Maritain che Gurvitch scrivevano nelle due opere che la Francia doveva realizzare un nuovo “umanesimo
politico” e per ciò avrebbe dovuto scrivere una nuova Déclaration des droits che esprimesse i diritti politici e
sociali. Nel suo volumetto, Maritain distingueva anche i “diritti della persona operaia”, aggiungendo in relazione a
questi ultimi: “D’une façon générale ce sont les droits de l’être humain dans ses fonctions sociales, économiques
et culturelles – droits des producteurs et des consommateurs, droits des techniciens, droits de ceux qui
s’adonnent aux oeuvres de l’esprit – qu’un nouvel âge de civilisation aura à reconnaître et à définir. Mais c’est
au sujet des droits de l’être humain comme engagé dans la fonction du travail que se posent les problèmes plus
15
urgents”. O.C., cit., vol. VII, p. 678. Sull’opera di Maritain in esilio negli Stati Uniti, cfr. M. Fourcade, Jacques
Maritain et l’Europe en exil (1940-1945), «Cahiers Jacques Maritain», n. 28, giugno 1994, pp- 5-38.
18
G.-M. Cottier o.p. spiega così l’importanza della dimensione storica dell’affermazione dei diritti, che pur sono
fondati sulla natura umana: il fatto che “l’énumération des droits ne procède pas, pour ce qui concerne leur
contenu, selon l’évidence d’une déduction analytique mais est tributaire de l’expérience historique… ne doit pas
nous conduire à jeter le discrédit sur de telles déclarations. Il permet au contraire de souligner le rôle de
l’expérience historique dans le développement de la conscience de l’humanité…” Réflexions philosophiques sur
les droits de l’homme, “Nova et Vetera”, n. 1, janvier-mars 1989, p. 201.
19
Autour de la nouvelle Déclaration universelle des droits de l’homme - textes réunis par l’Unesco, fu pubblicata
in francese nel 1949 dalle edizioni del Sagittaire. Il testo inglese, Human Rights. Comments and Interpretations,
fu pubblicato nello stesso anno dalla Columbia University Press. Scrive R. Mougel che alla Rencontre des
cultures à l’Unesco, après le Concile Vatican II, il 21 aprile 1966, “René Cassin rendit hommage au rôle exercé
par Maritain dans la préparation de la Déclaration Universelle des droits de l’homme”. Maritain et l’Église du
Concile, “Cahiers Jacques Maritain”, n. 40, Juin 2000, p. 33.
20
Ch. Malik ricorda più tardi il lavoro nella fase finale in seno alla terza Commissione dell’Assemblea Generale e
scrive: “those were great days twenty years ago when we were in the throes of elaborating for final submission
to the General Assembly of the United Nations the draft Universal Declaration of Human Rights. Mrs Roosevelt,
M. Cassin, Mr Santa Cruz and I, together with our respective advisers and assistants, soon achieved a fairly
closed identity of views on aims and objectives. We worked more or less as a team”. Ch. Malik, “Introduction”, O.
Frederick Nolde, Free and Equal Human Rights in Ecumenical Perspective, cit., pp. 7-9.
21
Il 9 dicembre si aprì la discussione in Assemblea presieduta da Ch. Malik il quale descrisse la Dichiarazione
come una “composite synthesis” di tutte le tradizioni, ed in particolare dell’Asia e dell’America Latina e la Sig.ra
Roosevelt la definì una “Magna Charta” di tutti gli uomini di ovunque.
22
Mary A. Glendon, The Sources of Righs Talk. Some are Catholics, “Commonweal”, n. 12, October 2001, p.
12.
23
Ib., p. 12. La Glendon assegna un ruolo particolare a Ch. Malik, oltre ad alcuni latinoamericani nel proporre il
linguaggio del cattolicesimo sociale.
24
21) Già Leone XIII e Pio XI nelle rispettive encicliche Rerum novarum (1891) e Quadragesimo anno (1931)
avevano difeso i diritti dei lavoratori e alcuni diritti sociali. Bisognerà però attendere la Mater et Magistra (1961) e
soprattutto la Pacem in terris (1963) di Giovanni XXIII (che insistette sulla comune umanità come base dei diritti)
16
ed i documenti conciliari Gaudium et spes e Dignitatis humanae perché tutti i diritti umani (e il pluralismo politico
e religioso) fossero pienamente riconosciuti dalla Chiesa cattolica dopo i problemi risalenti alla Rivoluzione del
1789. Oggi si può dire che la promozione dei diritti umani, assieme alla giustizia e alla pace, sono divenuti punti
centrali del messaggio della Chiesa. Cfr. S. Bernal, Universalità dei diritti umani, in L. Bonanate et R. Papini (a
cura di), Pace, diritto e ordine internazionale. Quali regole per la globalizzazione?, Napoli, ESI, 2003, pp. 111132.
25
Della Dichiarazione russa relativa al “popolo lavoratore e sfruttato” del 1917 non si può dire che ebbe un reale
influsso sulla Dichiarazione Universale perché la prima “no es en realidad una declaración de derechos
economicos, sociales y culturales, sino una proclamación de principios de organización jurídica y política
revolucionaria”. J. M. Alegria, Derechos humanos, “Conceptos fundamentales de la pastoral”, 1983, p. 228.
26
Il processo di Norimberga ai criminali nazisti iniziò il 1 maggio 1945
dopo un accordo di principio a Yalta in
quell’anno e finì nel 1949, ma le discussioni tra gli Alleati sulla sorte dei responsabili al termine della guerra
cominciarono agli inizi del 1944. Per ciò che riguarda il Giappone gli Alleati decisero di “punirlo” durante la
Conferenza del Cairo del 1944, ma più specificatamente nel 1945 allorché si decise di processare i criminali
tedeschi e giapponesi. I processi di Tokio furono celebrati tra il 3 maggio 1946 e il 12 novembre 1948.
27
E. Roosevelt, Making Human Rights Come Alive, “Phi. Delta Kappan”, 31, September 1949, pp. 22-23. I padri
della Dichiarazione speravano in una progressiva accettazione universale, Maritain, più scettico, secondo la
Glendon, riassumeva così la sua posizione: “As for the main challenge, Maritain said it best. Whetter the music
played on the Declaration’s thirty strings will be in tune with or harmful to human dignity will depend primarily on
the extent to which ‘a culture of human dignity’ develops”. M. A. Glendon, Reflections on the UDHR, “First
Things”, April 1998, p. 25.
28
Ancora oggi, ad es. la Cina ha solo firmato, ma non ratificato I Patti per I diritti civili e politici, mentre gli Stati
Uniti non hanno ratificato I Patti per I diritti economici, sociali e culturali.
29
Sulle ragioni della divisione politico-giuridica tra diritti politici ed economici sociali, cfr. M. Borghi, The Juridical
Interaction between the Right to Food and the Code of Conduct: a Symbiosis?, in M. Borghi, L. Postiglione
Blommestein (eds.), For un Effective Right to Adequate Food, Fribourg, University Press Fribourg, 2002.
30
Cfr. C. Golay, The Right to Food and Access to Justice: the International Covenant on Economic, Social and
Cultural Rights Before National Jurisdictions, in M. Borghi, L. Postiglione Blommestein (eds.), The Right to
Adeguate Food and Access to Justice, Genève-Zurich-Bâle, Schulthess Médias Juridiques SA , 2006.
17
31
La Carta araba dei diritti umani, approvata dalla Lega degli Stati arabi nel 1994, pur richiamandosi alla
Dichiarazione del Cairo, ha un’ispirazione più laica, ma non è stata ancora ratificata dalla maggioranza degli
Stati. Sul problema dei diritti umani nell’Islam, cfr. S.A. Mossali, The Islamic Quest for Democracy. Pluralismo
and Human Rights, Jackson, University Press of Florida; An-Na’im, Toward an Islamic Hermeneutics for Human
Rights, in An-Na’im, A. Abdullahi, J.D. Gort, H. Jansen, H. Vroom (eds), Human Rights and Religious Values: an
Uneasy Relationship, Amsterdam, Rodopi, 1995; T. Randam, L’Islam, le face à face des civilisations, Lyon,
Tawhid, 2001.
32
The Bangkok Declaration, in Michael Davs (ed.), Human Rights and Chinese Values, Hong Kong, Oxford
Univesity Press, 1995, pp. 205-209.
33
Cfr. Sergio Díaz Ricci, La pobreza y el rostro de los derecheos humanos en América Latina, in Gonzalo F.
Fernández-Jorge H. Gentile (eds.), Pluralismo y derechos humanos, Córdoba, Alveroni Ed., 2007, pp. 322-329.
34
Sul dibattito di Vienna, cfr. in particolare A. Sen, Lo sviluppo è libertà, Milano, Mondadori, 2000, cp. X (Cultura
e diritti umani) e Carlos Villán Durán, Significado y alcance de la univerzalidad de los derechos humanos en la
Declaración de Viena, “REDI”, 1994, n. 2, pp. 505-532. Il compromesso raggiunto è quello espresso nel
paragrafo 5 della Dichiarazione finale: “Tutti i diritti umani sono universali, indivisibili, interdipendenti e
interconnessi. La comunità internazionale ha il dovere di trattare i diritti umani in modo globale e in maniera
corretta ed equa, ponendoli tutti su un piano di parità e valorizzandoli allo stesso modo. Benché debbano essere
tenuti in considerazione l’importanza delle particolarità nazionali, regionali e le differenti condizioni storiche,
culturali e religiose: è dovere degli stati promuovere e proteggere tutti i diritti umani e le libertà fondamentali
prescindendo dai loro sistemi politici, economici e culturali”. E l’altro punto fondamentale della Dichiarazione,
fortemente dibattuto, è espresso nel paragrafo 8: “La democrazia, lo sviluppo e il rispetto dei diritti umani e delle
libertà fondamentali sono interdipendenti e mutuamente si rafforzano”.
35
Così riassume il problema il teologo G. Piana: “Grazie all’avanzamento della tecnica i determinismi naturali
vengono gradualmente sostituiti dall’intervento umano sulla realtà, al punto che si assiste a una progressiva
trasformazione della ‘natura’ in ‘cultura’”. Si può ancora parlare di “natura”? Considerazioni antropologico-etiche,
in “Aggiornamenti Sociali”, settembre-ottobre 2006, p. 680. Il processo manipolativo, sempre più corrente,
evidenzia la necessità di stabilire limiti all’intervento umano, ma il concetto di natura-limite non va inteso in senso
fisicistico-statico. Scrive ancora Piana: “Definendo la natura umana ‘natura come ragione’ (natura et ratio)
l’Aquinato le conferisce uno statuto dinamico che giustifica la possibilità dell’intervento trasformativo dell’uomo ...
La legge naturale umana assume un significato nuovo: essa è qualitativamente diversa della legge della natura
infraumana, caratterizzata dal determinismo fisico e biologico, al punto che Tommaso giunge ad affermare che
si può, nel caso dell’uomo, parlare di ‘legge naturale’ solo per ‘analogia’” (p. 682). In questo concetto di natura
v’è quindi anche un’attenzione alla dimensione storica della coscienza umana. Una concezione “personalista”
18
della natura supera così un determinismo biologico per una concezione più legata alla storia, all’idea di persona
e al suo dinamismo relazionale.
36
Cfr. E. Roccella e L. Scaraffia, Contro il Cristianesimo. L’ONU e l’Unione Europea come nuova ideologia,
Casale Monferrato, Piemme, 2005.
37
Uno dei libri che segnò l’“eterno ritorno” del diritto naturale fu quello di Heinrich A. Rommen, (Die Ewige
Wiederkehr des Naturrechts, Leipzig, Hegner, 1936) tradotto in inglese nel 1947 e poi in altre lingue.
38
Bisogna considerare che, allorché la Dichiarazione Universale fu approvata, aderivano all’ONU 58 paesi
rappresentanti i 4/5 della popolazione mondiale e così ripartiti: ventidue americani, sedici europei, cinque
asiatici, otto del Vicino e Medio Oriente, quattro africani e tre dell’Oceania.
39
J. Maritain, Introduction, in Human Rights. Comments and Interpretations, Unesco ed., New York, Wingate,
1949, p. 16.
40
Il celebre filosofo e sociologo d’ispirazione liberale, R. Aron, muove una critica più generale alla Dichiarazione
Universale e ad ogni dichiarazione: “Toute déclaration des droits apparaît finalement comme l’expression
idéaliste de l’ordre politique ou social qu’une certaine classe ou une civilisation s’efforce de réaliser... La
Déclaration de 1948 remplit la fonction équivoque de toute déclaration : elle critique la société moderne au nom
des idéaux que celle-ci s’est donnée“. Études politiques, Paris, Gallimard, 1972, pp. 232-233.
41
Cfr. N. Chomsky, Diritti Universali, “Internazionale”, n. 587, 22 aprile 2005, p. 17.
42
N. Bobbio, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990.
43
J. Rawls, Political Liberalism, New York, Columbia University Press, 1993, Lecture VI, pp.248-249.
44
J. Maritain, Sur la philosophie des droits de l’homme (Réponse à l’enquête de l’Unesco), O.C., IX, p. 1084.
Maritain riprenderà l’idea in una conferenza tenuta il 21 febbraio del 1949 presso la Brandeis Lawyers Society di
Filadelfia: “La coscienza dell’umanità – e per conseguenza la consapevolezza della dignità della persona umana
– è per sua natura storica, in divenire; conosce i diritti in modalità differenti secondo le epoche e secondo il suo
livello di sviluppo; il che suppone non solo il passaggio a stati di migliore organizzazione, ma anche
‘avanzamenti verso la conquista della libertà’”. La Dichiarazione quindi, “dovrà essere costantemente rivisitata e
“interpretata da un elenco degli obblighi e delle responsabilità che ricadono sull’uomo” (in I diritti dell’uomo e la
legge naturale, ed. 1991, pp. 121-143.). E anche coloro che non riconoscono la legge naturale, continua
19
Maritain, pur affermando che i diritti appaiono in funzione dell’evoluzione della società, affermano che alcuni
diritti esistono in funzione dell’esistenza stessa della società.
20