Il generale dal volto umano - I Musei per la storia in Lombardia
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Il generale dal volto umano - I Musei per la storia in Lombardia
Il generale dal volto umano: Achille Papa Achille Papa era nato a Desenzano del Garda il 23 settembre 1863 da Antonio e Teresa Girardini. Frequentò prima l’istituto tecnico di Brescia poi passò a Torino per poi iscriversi, nel 1880, alla Scuola Militare di Modena. Nel 1882 ne uscirà sottotenente nel 47° reggimento Fanteria a Genova. Promosso poi tenente sarà destinato al 5° Reggimento Alpini. Vi rimarrà per 8 anni, quando promosso capitano sarà destinato al Battaglione Val Susa, nel 4° reggimento Alpini. Nel 1895, precisamente il 28 novembre, sposava Eugenia Federici di Chiari, da cui avrà due figlie e un maschietto, Teresina, Mariuccia e Tonino. Con la sua carriera militare passa da Bergamo nel 1902 nel 1906 a Brescia col grado di maggiore in forza del 74° reggimento Fanteria. Così fino ad arrivare nel 1915 al grado di colonnello. Con questo grado era a Roma a capo del 81° reggimento Fanteria della Brigata Torino. Quando scoppiarono le ostilità, nel 1915, il colonnello Papa e il suo Reggimento si trovarono in Val Zoldo, per passare poi nella zona del Col di Lana. Con il IX° Corpo d’Armata della IV Armata. Il 5 dicembre Achille Papa assunse il comando della Brigata Liguria che operava sul Monte Nero. Il 12 marzo 1916 gli arrivava la nomina a Maggiore generale. Resterà sul fronte fino al 20 maggio 1916, quando in piena Strafexpedition, la Brigata Liguria fu inviata ad entrare sull’Altipiano di Asiago e a difendere, con altissimo prezzo, il monte Zovetto. Nei giorni 14, 15 e 16 giugno 1916, la Brigata Liguria sbarrava la strada al nemico. Nel luglio 1916 la Brigata e il suo comandante Papa, furono inviati sulla zona del Pasubio. Qui per difendere i suoi soldati, Achille Papa, diede inizio a quell’opera di ingegneria militare, molto ardita, quasi impensabile a realizzarsi che ancor oggi si può ammirare, come meta turistica. Fece scavare 42 gallerie di collegamento nella montagna. In questo modo riuscì a mantenere i rifornimenti sia alimentari che militari alle truppe dislocate lungo le trincee della prima linea. Si risparmiarono così tantissime vite umane, che prima erano un facile bersaglio delle forze nemiche. Il 12 aprile 1917 Achille Papa e la Brigata Liguria sono di nuovo nel settore del Pasubio. Nell’agosto Papa è nella 44^ Divisione del V Corpo d’armata, subentrando al generale Graziani. Nel luglio l’unità venne trasferita sul Carso, in previsione della battaglia dell’Isonzo., In agosto viene conquistato l’altipiano della Bainsizza. Il 5 ottobre di buon mattino il generale Papa, come di sua abitudine volle ispezionare la zona dell’avanzata, che i suoi soldati avrebbero di li a poche ore attraversato. Il Generale cadeva il 5 ottobre 1917 a Quota 800 Na-Kobil (Bainsizza) Mentre da una trincea, sporgendosi dal parapetto, dava istruzioni per alcuni lavori di fortificazione da eseguirsi, veniva colpito mortalmente al petto da una pallottola esplosiva che gli squarciava il polmone. Chiudeva così la sua vita terrena, passando dalla morte alla gloria. Il colpo fu devastante, tanto che alle 13,30 del 5 ottobre 1917 cessava di vivere il generale dal volto umano, come traspare dalle lettere dei suoi soldati1. Figura eccezionale in tutto: come soldato, come uomo. L’esercito era per lui una seconda famiglia; gioiva, trepidava, soffriva, lavorava, con i suoi soldati e per loro i palpiti affettuosamente paterni, pur essendo inflessibile nell’esigere da tutti l’adempimento del proprio dovere. A tutti era d’esempio; a nessuno era secondo nell’azione. Sprezzante del pericolo, sempre instancabile, non curante di sé, non conosceva tregua o riposo; tutto voleva vedere, a tutto provvedere. Solo quando era in linea era contento; perché solo nell’azione si appagava la esuberanza del suo temperamento. Accanto al Soldato, l’Uomo; generoso, semplice e quasi umile,buono, sereno, pacato: Spirito in cui si assommavano in perfetto equilibrio, le virtù familiari, civili e militari, il Generale sentiva il culto del dovere con la stessa austerità con cui l’asceta sente e pratica la religione. Egli giganteggia ancora oggi nel ricordo di chi ha avuto la forza di avvicinarlo, ed appare in tutta la sua imponente 1 Nella rassegna “Il fante” sono state recentemente raccolte in volume molte lettere della Medaglia d’Oro Generale Achille Papa. bellezza ideale a chi lo accosta per conoscerlo attraverso la Sua vita, in cui sono, frammiste a pagine che sanno di epopea, altre in cui si effonde un lirismo pieno di alta, sublime e delicata umanità. Ecco come testimoniano l’umanità del generale Achille Papa i suoi sottoposti, l’ eroe dello Zovetto e del Pasubio, del Monte Nero e della Bainzizza, caduto a quota 800 di Madoni il 5 ottobre 1917 Un generale, anzi un condottiero dal volto umano2.. Testimonianze del Generale e dei suoi soldati Lettere del generale indirizzate alla sua famiglia, perennemente presente nei suoi pensieri. “Io, per il momento, sono qui in una villa con troppo lusso che mi urta in certi momenti.” Ma vigile era in lui, costante e spesso predominante e quasi assillante la cura per i suoi soldati; per evitar loro perdite inutili, per sottrarli a inutili stenti: Il 19 settembre 1916 scrive: “Salute ottima. La fatica non mi pesa. Il freddo non mi fa paura, ma mi preoccupa per i soldati.” E il 7 settembre dello stesso anno: “Tempaccio orribile da quattro giorni: Mi secca pei miei soldati, per quanto ora si siano relativamente aggiustati… Se si pensa che questi poveretti sono in trincea da oltre 60 giorni a questa altezza ed hanno fatto quel po’ po’ di lavoro, sono ben meritevoli di elogio…” Ufficiali e soldati lo circondavano di una stima e di un affetto reverente, di cui andava fiero: E ne, scriveva alla moglie ripetutamente: “Io non ho aspirazioni: l’unica quella di poter guidare fino all’ultimo il reggimento del quale mi sento veramente il padre…” (luglio 1915) “Io ho la tenda e le cure dei miei ottimi collaboratori; sono arrivati al punto di procurarmi perfino un materasso! Non puoi immaginare di quante cure io sia circondato” Mi si cura a vista d’occhio, e guai se mi allontano da solo…” (11 luglio 1915) “… mi trovo sempre circondato da un affetto e da una devozione che spesso mi commuovono, e potete star tranquilli a mio riguardo, perché se foste qui non potreste fare di più. Quando torno dalle mie ricognizioni, mi sono tutti attorno e non sanno più cosa offrirmi perché io mi ristori. Se c’è una cosa buona, vien conservata per me.” (16 luglio 1915) “I miei ufficiali si vanno abituando ai disagi ed a questa vita speciale. Guardano a me come al loro padre. L’idea che io posso mancare li spaventa…” (30 maggio 1915) Singolare l’insistenza, in fondo alla quale si scorge un senso di compiacimento, con cui Egli ripete che è considerato come un padre. E così, e non diversamente, doveva essere, perché Egli si preoccupava dei vivi ed ancora dei morti. “Sto anche occupandomi, scriveva il 10 ottobre 1915, pei ricordi ai nostri morti qui, perché vorrei che tanto a quelli riuniti a Buchenstein come a quelli disseminati sotto i Settsass ed a quota 1060 venisse eretto un ricordo in cemento, ed in gran parte ho già provveduto. Ora farò fare le fotografie da mandare alle famiglie…” E non deve apparir strano che questo superbo Condottiero di fanti in guerra provasse un senso di viva, profonda compassione, di fronte a certe visioni di sangue e di stragi di cui era stato testimonio. “Mi sono passati sotto gli occhi, scriveva il 26 luglio 1915, tutti i morti e tutti i feriti dei giorni scorsi, e non ti dio del senso che si prova! Mi son fatto molta più forza di quanto mi sarei tenuto capace, ma è certo che la guerra è una gran prova!” C’è tanta semplicità e pur tanta grandezza in queste sue parole! 2 ASBs, Nastro azzurro, b.3. Uomo di attività prodigiosa, che non sapeva risparmiarsi, e che trascinava con l’esempio all’azione, il Generale trova perfino il tempo per occupazioni… accessorie: Una in particolare gli fu carissima: la fondazione di un ricreatorio a Caporetto. Già il 30 aprile 1916 annunziava: “Ora ho anche tre ortigiardino, che, come sai, sono la mia passione. Muratori, falegnami, minatori, strade, barche., fortificazioni, cimiteri, acque, fognature, ma quel che mi preoccupa maggiormente in questo momento è la costruzione di un ricreatorio, che desidero istituire per raccogliere circa 250ragazzi e bambine, dar loro la refezione, scuole, ecc. Spero riuscirvi.” L’8 maggio il ricreatorio era costituito ed il Generale ne dava così notizia alla prof. Riviera di Brescia: “Oggi ho potuto riunire 30 bambine, molte purtroppo orfane, e questi occhini azzurri come, il loro Isonzo, che mi sorridevano, erano per me una grande ricompensa a quel poco che faccio per loro… Daremo la refezione: ho potuto distribuire dei dolci: Occorrerebbero però giocattoli, se possibile dolci, qualche vestitino e scarpine per i meno abbienti: Sarebbero un grande aiuto all’opera…” E il 9 maggio alla famiglia: “Il Ricreatorio ha cominciato a funzionare, e quei momenti che passo fra quelle piccole creature mi fanno tanto bene. Vedessi con che rispetto mi salutano! Sono diventato per questi piccoli… l’ispettore scolastico.” Questo ricreatorio (miracolo compiuto dal suo gran cuore paterno) gli fu sempre particolarmente caro. Si rammaricò di poterlo lasciare quando si allontanò temporaneamente da Caporetto per assumere il comando interinale della 33^ Divisione; se ne occupò ancora da un altro settore della guerra, quando con la sua brigata, la “Liguria” aveva appena scritto pagine da epopea nella leggendaria difesa dello Zovetto, durata dal 13 al 17 giugno, con la quale aveva opposto un muro incrollabile al dilagare della “Strafe Expedition” appoggiato da soli otto cannoncini da montagna contro 250 bocche da fuoco nemiche di tutti i calibri. Il testamento di un caduto Non sarà senza commozione che si leggeranno queste righe scritte da uno studente milanese, il sottotenente Mario Fusetti, di 22 anni, due giorni prima della sua eroica morte, avvenuta il 18 ottobre, all’assalto di una contrastata vetta alla quale bisognava inerpicarsi, come scrive, un suo commilitone con “un lavoro improbo di mani, di funi di piedi di ginocchi”. Il povero Mario, che era figlio di un ispettore principale delle Ferrovie dello Stato, ha dettato così il suo testamento spirituale, con raccomandazione di comunicarlo a una ristrettissima cerchia di persone, prima di tutti al suo colonnello. “con mano sicura esprimo colle parole che seguono non le mie ultime volontà, ma quei miei pensieri che desidero sopravvivano, per quelli che mi amano, alla mia morte. “Sono alla vigilia d’una azione d’ardimento, dal cui esito dipendono in gran parte, le sorti di una vittoria A me, ai miei compagni d’arme, non manca gran copia di fede: l’esito, con la vita, con la bella morte, sarà degno del nostro imperturbabile amore per la Patria: “Se cadrò, papà, Gina, Angiolo mio, amici e parenti che mi amate, non abbiate lagrime per me: io la morte, la bella morte, l’ho amata. Non pensatemi, col petto squarciato nell’ultimo spasimo, ma da fervore d’un impeto eroico, svanire in una beatitudine suprema. “io ho sognato, nelle peregrinazioni del pensiero, nelle grandi questioni umane e cosmiche, un’avenire di perfezione nelle cose, morali e fisiche. Ho amato la Patria mia nell’intimo delle sue divine bellezze, delle sue tradizioni. Ho amato sopra ogni cosa l’uman Genere, campo ove possibile e necessario la lotta, dov’è desiderabile e probabile il pacifico trionfo delle idealità non sacrileghe. “E appunto perché ho stimato necessaria la lotta io mi sono volenterosamente, serenamente battuto. Che il mio povero corpo riposi semplicemente dove sono caduto, io desidero: inumato coll’onore delle armi, fra i miei commilitoni. Che il sacrificio mio, umile fra tanta gloria, sproni, se c’è, l’ignavo e dia sangue al codardo. “Babbo mio, Gina mia, parenti, amici, voi che tanta parte siete dell’anima mia, colla memoria adorata della Mamma, in alto i cuori3! Lettera del 14.1.1916 del maggiore Franco, già attendente del Generale Papa all’81 Fanteria …. Il reggimento non potrà mai obliare che il colonnello Papa L’ha condotto fin dall’inizio della guerra, l’81 Fanteria non potrà obliare che il Colonnello Papa aveva trovato, oltre che il condottiero, il vero padre.. La sua eccezionale e rara bontà d’animo ma migliorato tutti noi, me per primo che quotidianamente abbi ad imparare da Lei che in 30 anni di spalline non avevo imparato e cioè “la dolcezza dell’animo pur nell’adempimento del proprio dovere” e ciò non è poco. Quando un uomo lascia una scia d’affetto e di devozione come Ella ha lasciato, può ben dirsi fortunato e può andare orgoglioso dell’opera sua. Quanto io le esprimo non è servo encomio poiché l’animi mio rifugge dal convenzionale servilismo, ma è la genuina espressione di una collettività, pensante, operante, vibrante qual è l’ufficialità e la truppa dell’81. Il reggimento è sempre in via di trasformazione, partono i vecchi, giungono dei giovani, la fisionomia iniziale è cambiati. Resta solo sovrana nei nostri cuori la sua personalità Le auguro sig. Colonnello, ogni bene, anzi il bene che auguro a me stesso e che si compendia nel felice avvenire dei nostri figli. Le accludo due numeri della tribuna, uno è per la sua buona cara signora. Se non ha tempo di scrivermi, a me basta di tanto in tanto una sua cartolina con le notizie sulla sua salute. Io le scriverò lo stesso. Con immutabile e costante affetto mi creda sempre suo affezionatissimo Maggiore Franco4. Lettera del colonnello Ettore Bussi, in cui accenna alla Spada d’onore offerta dalla Brigata Liguria al Generale, 14 ottobre 1917 La spada d’onore che noi facemmo eseguire per offrirla al nostro Generale, il Generale della Brigata Liguria per antonomasia, al nostro Padre, Fratello, Amico, che tutti senza distinzione di grado amavamo col lo stesso intenso affetto5. La spada giunse qui il giorno 9 ed ora è in giro ai vari battaglioni dislocati in diverse località, perché gli Ufficiali possano vederla: Il Battaglione del Maggiore Re e quello del Maggiore Montemaro si recheranno a riposo a R… fra qualche giorno, e allora, non appena si saranno sistemati, i due maggiori e il Tenente Ferrero si onoreranno di presentare a Lei, la Spada che noi volevamo offrire in segno della nostra grande stima, della nostra ammirazione, ma soprattutto del nostro grande affetto al nostro Generale, suo degnissimo compagno affettuoso della vita. Tuttora che scrivo a lui, o Distintissima Signora, mi sento commuovere, e ad un nodo di pianto sento stringermi la gola. Dall’Alto dei cieli dove la sua Grande Anima è salita per ottenere dall’Onnipotente Iddio la ricompensa alle sue grandi virtù. Egli guarderà a Lei, alle Figliole e al Figlio suo, a noi anche della Brigata che tanto l’amammo, mentre si conforterà di tanto affetto sincero e profondo, pregherà e otterrà dal Sommo Iddio quel conforto all’anima di Lei, quel conforto che solo Lui, sa e può darLe, in tanta sventura. Ho qui le lettere di Ufficiali lontani, che di Lui mi scrivono con tutto quell’affetto che solo Lui può scrivere. Quando le avrò raccolte gliele invierò perché restino a attestare ai Figli le grandi virtù del Padre. Se Ella mi credesse utile in qualche cosa, La prego vivamente non mi risparmi, gliene sarò grato. Devotissimamente Ettore Bussi Colonnello, 14.X.917 Mariella Annibale Marchina 3 ASBs, Nastro Azzurro, b.3. ASBs, Nastro Azzurro, b.3 5 ASBs, Nastro Azzurro, b. 3. 4