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REGOLE E MECCANISMI DI FUNZIONAMENTO DEGLI STUDI DI SETTORE
Sommario: 1. Premessa – 2. Dai coefficienti presuntivi di congruità e presuntivi di reddito agli studi di
settore – 3. Definizione ed elaborazione degli studi di settore – 4. Ambito d’applicazione degli studi di
settore – 5. Cause d’esclusione e cause d’inapplicabilità degli studi di settore – 6. Imprese multipunto e
multiattività: annotazione separata dei componenti rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore
– 7. Studi di settore e contribuenti marginali.
1. PREMESSA
Gli studi di settore sono da considerare il punto d’arrivo di un lungo e travagliato percorso
intrapreso dal legislatore all’indomani della riforma tributaria del 1971-73 per cercare di intervenire su
alcune sacche di evasione, soprattutto, nei confronti dei lavoratori autonomi e delle imprese di mediopiccole dimensioni.
Il legislatore della riforma tributaria ha portato a compimento, seppure con qualche resistenza1,
un cammino iniziato nel 1864 con l’introduzione nel Regno d’Italia dell’imposta di ricchezza mobile sul
reddito netto e proseguito nel 1923 con l’introduzione dell’imposta personale, tendente a superare gli
ottocenteschi metodi di “catastalizzazione” del reddito e quindi su una tassazione del cosiddetto
“reddito medio-ordinario”.
Il cammino legislativo verso la tassazione del reddito effettivo, è proseguito con il testo unico
delle imposte dirette (T.U.I.D.) del 19582, anche se l’Amministrazione tributaria manteneva ancora vasti
spazi di manovra per addivenire ad una tassazione basata su redditi presunti3, e come detto si è
completato con la riforma tributaria degli anni settanta con il quale si è stabilito il principio secondo cui
il reddito oggetto di tassazione per gli esercenti arti e professioni e le imprese doveva essere quello
desunto dalle scritture contabili.
Al fine di commisurare il prelievo tributario ai principi di uguaglianza e capacità contributiva
sanciti dagli artt. 3 e 53 Cost., e quindi ancorarlo al reddito effettivo piuttosto che al reddito medioordinario, sono stati imposti nuovi e più stringenti obblighi contabili.
Tuttavia, dopo pochi anni dall’entrata in vigore della riforma, ci si rese subito conto della
profonda crisi in cui era entrata.
I motivi di questa crisi sono vari.
Innanzitutto, la previsione, fin troppo ottimistica, secondo cui tutti i contribuenti si sarebbero
adeguati ai prescritti obblighi contabili, contabilizzando in maniera veritiera tutti gli elementi ed i
risultati relativi alla propria attività; in secondo luogo, la mancanza di un efficace ed efficiente controllo
da parte dell’Amministrazione finanziaria nei confronti dei contribuenti, soprattutto dei medio-piccoli
ed in special modo quelli a contatto con il pubblico e quindi più facilmente in grado di occultare ricavi e
compensi, per verificare l’effettivo ed il sostanziale rispetto degli obblighi contabili.
Ciò è stato dovuto, da un lato, alla scarsità delle risorse e di mezzi a disposizione
dell’Amministrazione finanziaria per far fronte alla grande mole di controlli che avrebbero dovuto
compiere, ma dall’altro, alla eccessiva cautela con la quale, sulla base di una interpretazione troppo
Nonostante l’introduzione di tale normativa, l’Amministrazione finanziaria, sia per la carenza di mezzi, sia per la forza delle
corporazioni di epoca fascista che mal vedevano l’adozione di metodi di tassazione del reddito effettivo – prova di ciò è la
normativa del 1936 che ha stabilito la efficacia biennale delle dichiarazioni dei redditi e la creazione di indici stabiliti
d’accordo con le corporazioni –, tardò a dar corso tale riforma continuando, di fatto, ad applicare gli schemi di tassazione
ottocenteschi. Si veda sul tema F. Gallo, Il dilemma tra tassazione del reddito normale o effettivo: il ruolo dell’accertamento induttivo, in
Rass.Trib., pp. 459 e ss..
2 Cfr. D.P.R. 28 gennaio 1958, n. 645.
3 Agli uffici dell’Amministrazione finanziaria era concesso, per un verso, nel caso in cui risultavano perdite, spese inesistenti
o superiori a quelle effettive, mancata o falsa indicazione di entrate, di integrare o rettificare induttivamente la dichiarazione
attraverso un accertamento di natura integrativa-induttiva, per un altro di potere procedere ad un accertamento sintetico
basato su qualsiasi elemento di cui erano in possesso o che avevano altrimenti raccolto circa la situazione economica
dell’impresa. Cfr. N. Pollari, Diritto tributario tra principi ed economia della finanza pubblica, Ed. Laurus Robuffo, pp. 328 e ss..
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rigida degli art. 39, D.P.R. n. 600 del 1973 e 54, D.P.R. n. 633 del 1972, molto di rado si procedeva ad
accertamenti di tipo induttivo4.
I controlli si basavano, quindi, quasi esclusivamente a verificare la regolarità formale della tenuta
delle scritture contabili.
La loro regolare tenuta, infatti, anche a fronte anche dell’indicazioni di ricavi o compensi
assolutamente inverosimili, era diventato l’ombrello protettivo in grado di proteggere il contribuente
dalle contestazioni dell’Amministrazione finanziaria.
A ciò bisogna aggiungere che molte volte anche i consumatori finali erano – ma lo sono anche
oggi – complici più o meno consapevoli delle pratiche tendenti nascondere gli effettivi ricavi e gli
effettivi compensi aventi il risultato di falsare l’esatta portata delle scritture contabili.
Tale sistema, soprattutto rispetto alle imprese minori e ai lavoratori autonomi, non era più in
grado di reggere. Infatti, a dispetto delle intenzioni del legislatore della riforma tributaria di dare piena
attuazione ai principi di uguaglianza e capacità contributiva, stava avendo esattamente l’effetto
contrario, vale a dire creare vaste piaghe di disuguaglianza tra coloro che tenevano sostanzialmente in
maniera esatta la contabilità, ma avevano compiuto alcune violazione formali e per questo venivano
sanzionati e coloro i quali tenevano formalmente la contabilità in maniera ineccepibile ma non
contabilizzavano in maniera veritiera i risultati della loro attività.
Inoltre, tale sistema stava provocando vere e proprie voragini nelle casse pubbliche nelle quali
mancava il gettito fiscale delle consistenti sacche di evasione che si erano create.
Sin dal 1977 si è cercato di porre dei correttivi procedendo in varie direzioni5.
Presero corpo i primi regimi forfettari per i contribuenti minimi, seguirono norme stabilenti la
deducibilità forfettaria di spese non documentate, l’inasprimento delle sanzioni penali (L. n. 516 del
1982 c.d. “manette agli evasori”), l’obbligo di rilascio della ricevuta e della scontrino fiscale, il
frazionamento degli obblighi del contribuente, i controlli interni rispetto a quelli sul campo,
l’autotassazione, fino alla emanazione della c.d. Visentini-ter6, legislazione provvisoria la quale,
prendendo atto dell’inefficacia e dell’inefficienza dei controlli dell’Amministrazione finanziaria, ha
previsto la possibilità di determinare induttivamente i ricavi ed i compensi delle imprese e degli
esercenti arti e professioni ammessi al regime di contabilità semplificata sulla base di presunzioni
semplicissime prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza7, desunte elementi afferenti le
caratteristiche dell’attività.
2. DAI COEFFICIENTI PRESUNTIVI DI CONGRUITA’ E PRESUNTIVI DI REDDITO AGLI STUDI
DI SETTORE
Tali misure, tuttavia, si sono dimostrate inadeguate ed insufficienti per limitare l’evasione delle
piccole e medie imprese e dei lavoratori autonomi.
Così, con gli artt. 11 e 12 del D.L. 2 marzo 1989, n. 69, convertito con in L. 27 aprile 1989, n.
154, sono stati introdotti i coefficienti di congruità e presuntivi di reddito.
I coefficienti di congruità venivano calcolati tenendo conto della somma algebrica degli elementi
positivi e negativi di reddito. Essi consentivano, da un lato, di sottoporre a controllo diretto i
Cfr. circolari n. 7/1496, del 1977 per le imposte dirette e n. 29 del 1978 per l’imposta sul valore aggiunto, secondo le quali
l’uso di tali strumenti di ricostruzione induttiva del reddito era da considerarsi una ipotesi del tutto eccezionale. Per la verità,
l’interpretazione molto rigida di tali norme era propria anche della giurisprudenza, la era quale molto restia a confermare la
legittimità e la bontà di ricostruzione induttive di reddito.
5 V. F. Gallo, Il dilemma tra tassazione del reddito normale o effettivo: il ruolo dell’accertamento induttivo, cit., e F. F. Leotta, Elementi di
normalità nell’accertamento del reddito e crisi dell’imposizione diretta, in Diritto e pratica tributaria, 1992, parte 1°, pp. 43 e ss..
6 Cfr. D.L. 19 dicembre 1984, n. 853, art. 2, comma 29, conv. in L. 17 febbraio 1985, n. 17. Sulla stessa linea d’onda, in
precedenza, con l’art. 2, D.L. 30 dicembre 1982, conv. in L. 28 febbraio 1983, n. 53 era stata prevista la possibilità di
derogare alle risultanze delle scritture contabili e procedere ad un accertamento “sintetico” basato sul c.d. “redditometro” di
cui all’art. 38, comma 4, D.P.R. n. 600 del 1973 e quindi in pratica di determinare il reddito presumibile sulla base del
possesso di beni e servizi ritenuti indice di capacità contributiva.
7 Secondo la legislazione al tempo vigente, per essere ammessi al regime i contabilità semplificata si doveva avere un volume
d’affari inferiore a 780 milioni di lire.
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contribuenti forfettari con reddito fino a 18 milioni di lire, dall’altro di individuare i contribuenti con
reddito compreso tra i 18 e 360 milioni di lire da sottoporre ad accertamento in base ai coefficienti presuntivi.
Il presupposto che legittimava l’accertamento di tipo induttivo era lo scostamento del reddito e
dei corrispettivi dichiarati da quelli presunti determinati sulla base dei coefficienti approvati con appositi
decreti emanati dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
I coefficienti presuntivi, invece, rappresentavano lo strumento di controllo dei soggetti con
reddito compreso tra i 18 e i 360 milioni di lire, individuati sulla base degli scostamenti riscontrati in
seguito all’applicazione dei coefficienti di congruità. Tali coefficienti consentivano di individuare una
sola misura di ricavi o compensi. Il reddito, quindi, veniva calcolato con un procedimento a tre fasi:
− moltiplicazione dei coefficienti indicati in apposite tabelle con i dati di base (costo del venduto e
delle materie prime, indice di rotazione delle scorte, superficie dei locali utilizzati;
− somma del contributo diretto lavorativo a tale importo;
− deduzione dai ricavi o dai compensi determinati con tale da sistema tutti i costi esposti dal
contribuente in dichiarazione.
La contemporanea presenza di coefficienti presuntivi e di congruità ha ingenerato molte
confusioni e grosse difficoltà operative dovute anche alla eccessiva approssimazione e genericità con cui
sono state predisposte le prime tabelle dei coefficienti8.
Così il legislatore, con l’art. 6, L. n. 413 del 1991, ha abrogato coefficienti di congruità, mentre
sono stati mantenuti in vita i coefficienti presuntivi di ricavi e di compensi calcolati sulla base del c.d.
“contributo diretto lavorativo”.
I coefficienti presuntivi di ricavi e di compensi venivano determinati sulla base di determinati
parametri economici che variavano a seconda del tipo d’attività (costo del venduto e delle materie
prime, indice di rotazione delle scorte, superficie dei locali utilizzati, ecc…) e come detto del contributo
diretto lavorativo.
I soggetti nei cui confronti poteva essere applicato tale strumento erano gli esercenti arti e
professioni e le imprese che, indipendentemente dall’ammontare dei ricavi o dei compensi conseguiti
nell’anno, non erano in regime di contabilità ordinaria9.
Gli uffici, nel caso di scostamento dai coefficienti presuntivi di compensi e ricavi, ne chiedevano
ragione al contribuente invitandolo al contraddittorio10.
La giurisprudenza si è mostrata molto critica circa la legittimità degli accertamenti basati solo ed esclusivamente sulle
risultanze di tali coefficienti. V. fra tutte: Comm. Trib. Prov. di Roma, 21 aprile 1998, n. 204, nella quale si afferma che:
“Deve considerarsi nullo per manifesta violazione di legge l'avviso di accertamento che sia stato fondato sui coefficienti presuntivi di redditività
previsti dal D.L. 2 marzo 1989, n. 69 (convertito dalla legge 27 aprile 1989, n. 154), da ritenersi di dubbia costituzionalità per possibile
violazione del principio della capacità contributiva, qualora l'Ufficio finanziario si sia limitato ad applicare in modo acritico i coefficienti previsti
dai relativi decreti ministeriali senza operare un minimo riscontro di tipo contabile e documentale, e senza tener conto dell'effettiva situazione
personale del contribuente”; Comm. Trib. Prov. di Roma, 28 settembre 2000 n. 313, secondo cui “Va annullato l'avviso di rettifica
IVA fondato esclusivamente sui coefficienti presuntivi di redditività previsti dal D.L. 2 marzo 1989, n. 69 (convertito dalla legge 27 aprile
1989, n. 154), e concretamente determinati dai DD.P.C.M. del 25 ottobre 1991 e del 23 dicembre 1992, in quanto una simile pretesa
impositiva risulta carente di una motivazione atta a consentire una soddisfacente esplicazione del diritto di difesa del contribuente, dal momento che
i predetti decreti governativi non danno alcuna dimostrazione dei motivi intrinseci che hanno portato alla quantificazione dei coefficienti presuntivi,
né forniscono alcuna prova sulla bontà e fondatezza di tali qualificazioni, non contenendo alcun elemento che possa consentire al contribuente di
valutare la fondatezza e la concretezza del metodo e dei risultati che ne sono conseguiti, ed evidenziando inoltre una contraddizione tautologica del
metodo usato, che pretende di conferire valore concreto ad una media statistica (astratta per definizione) e di servirsene come metro di giudizio
assoluto per smentire la veridicità dei dati dai quali quella stessa media deriva”; Comm. Trib. di primo grado di Benevento, 8 novembre
1995, n. 394/01, nella quale si recita: “E' viziato in radice l'avviso di accertamento fondato sui coefficienti presuntivi di compensi e ricavi
contemplati dagli artt. 11 e 12 del D.L. 2 marzo 1989, n. 69 (convertito con modificazioni dalla legge 27 aprile 1989, n. 154), che non
contenga nella propria motivazione gli elementi necessari a sorreggere le presunzioni in esso contenute, elementi che devono essere diversi da quelli
previsti dai ridetti coefficienti presuntivi, devono permettere una corretta individuazione della realtà reddituale del soggetto sottoposto a rettifica, e
devono valere a confermare il risultato delle presunzioni di reddito nello specifico caso concreto”.
9 In base alla normativa all’epoca vigente, i compensi percepiti nell’anno precedente non potevano superare i 360 milioni o 1
miliardo di lire a seconda che si trattasse di attività di servizi o altra attività. Eccezionalmente tuttavia tale strumento poteva
essere utilizzato anche nei confronti dei soggetti in contabilità ordinaria nei seguenti casi: mancata tenuta regolare della
contabilità e presunzioni gravi, precise e concordanti di manifesta infondatezza nelle registrazioni dei componenti negativi
del reddito costruite sulla base dell’applicazione dei coefficienti presentivi in concorso con altri elementi.
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A questo punto il contribuente, o dimostrava la mancanza delle condizioni per applicazione nei
suoi riguardi dei coefficienti presuntivi, o forniva giustificazioni circa lo scostamento tra il reddito
dichiarato rispetto a quello determinato in base ai coefficienti, altrimenti subiva l’accertamento induttivo
sulla base dei coefficienti presuntivi secondo le modalità sopra indicate.
Nel 1992 è stato introdotto il c.d. contributo diretto lavorativo (minimum tax), indice di
produttività reddituale per imprenditori (non società) ed esercenti arti o e professioni con ricavi o
compensi inferiori a 360 milioni o 1 miliardo se l’impresa non è di servizi, indipendentemente dal fatto
che abbiano optato o meno per il regime di contabilità ordinaria.
Il contributo diretto lavorativo, a differenza dei coefficienti che sono numeri moltiplicatori, era
una grandezza assoluta e fissata in via amministrativa in misura non inferiore alla retribuzione media
percepita dai lavoratori dipendenti del settore economico d’attività cui appartiene l’imprenditore o il
lavoratore autonomo.
Il lavoratore autonomo e l’imprenditore, per presunzione iuris tantum (che spettava al
contribuente vincere), non potevano conseguire ricavi e compensi in misura inferiore alla somma delle
quantità desunte dai coefficienti e dal contributo diretto lavorativo. La peculiarità della normativa, che
tante critiche ha sollevato, stava nel fatto che gli uffici potevano esigere immediatamente, tramite
iscrizione a ruolo della cartella esattoriale, la differenza tra il tributo relativo al reddito dichiarato e
quello commisurato al contributo diretto lavorativo, addirittura omettendo la notifica dell’avviso
d’accertamento.
La L. n. 427 del 1993 aveva previsto diversi regimi di applicazione: per il 1993, il contributo
diretto lavorativo era rimasto in vigore così come ora descritto; per il 1994 era stato trasformato, da
parametro automatico di determinazione del reddito, in coefficiente presuntivo utilizzato in sede di
accertamento induttivo.
Dal periodo d’imposta 1995, è stato invece abrogato dall’art. 62-ter, D.L. n. 331 del 1993,
parallelamente con la previsione dell'entrata in vigore, per lo stesso 1995, degli studi di settore (art. 62bis) prorogata al 31 dicembre 1996 dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549 e successivamente al 31 dicembre
1998 dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662.
Tale legge, proprio per ovviare al vuoto legislativo determinato, per il periodo d’imposta 1995,
dal rinvio dell’entrata in vigore degli studi di settore, ha previsto i così detti “parametri”.
La loro elaborazione, demandata dell’art. 3 commi 184 e 186, L. n. 549 del 1995 al Dipartimento
delle Entrate dell’ex Ministero delle Finanze, con provvedimento successivamente da approvare con
decreto del Presidente del Consiglio11, avente come scopo quello di determinare i ricavi, i compensi ed
volume d’affari del contribuente sulla base delle caratteristiche e delle condizioni di esercizio della
specifica attività svolta in maniera prevalente, costituiva frutto di una metodologia statistica transitata da
un calcolo di medie, costruita intorno alle dichiarazioni di campioni di contribuenti che a giudizio
dell’Amministrazione finanziaria presentavano indici di coerenti di natura economica e contabile12.
I soggetti interessati, nei confronti dei quali poteva trovare applicazione tale metodologia
d’accertamento, erano13 i soggetti in contabilità semplificata con ricavi o compensi inferiori a euro
5.164.568,99 ed i soggetti (anche società di capitali) in contabilità ordinaria con ricavi o compensi
inferiori ad euro 5.164.568,99 quando dal verbale di ispezione risultava l’inattendibilità della
contabilità14.
Tutto ciò che non veniva fatto presente in tale sede non poteva essere fatto valere in sede di opposizione all’atto
d’accertamento.
11 Cfr. D.P.C.M. 29 gennaio 1996, così come novellato dal D.P.C.M. 27 marzo 1997.
12 La metodologia di determinazione dei parametri era in pratica costituita da tre fasi:
1. identificazione di un campione di contribuenti che presentano indici coerenti di natura economica e contabile;
2. fissazione delle variabili su cui basare l’analisi;
3. identificazione di gruppi omogenei di contribuenti all’interno delle diverse attività economiche, in modo da
ottenere una griglia di ricavi e compensi il più possibile attendibile.
13 Da ricordare, comunque, che per quelle attività per le quali non risulta approvato uno studio di settore si continuano ad
applicare i parametri.
14 Le ipotesi in cui si può dichiarare inattendibilità la contabilità sono indicate dal D.P.R. 16 settembre 1996, n. 570.
Si distingue a seconda che si faccia riferimento ad imprese o ad esercenti arti o professioni.
Per le imprese le ipotesi:
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Tale analisi avveniva sulla base di un programma informatico a disposizione sia dei contribuenti
che degli Uffici dell’Amministrazione Finanziaria il quale determinava il gruppo omogeneo di
appartenenza, se i ricavi o compensi dichiarati erano congrui rispetto ai parametri ed in caso contrario,
quale era il maggiore importo di ricavi o compensi che doveva essere dichiarato per adeguarsi e la
relativa IVA dovuta.
Nel caso in cui il contribuente presentava compensi/ricavi inferiori a quelli stabiliti dai
parametri, poteva scegliere se adeguarsi spontaneamente con un apposito “parametro di adeguamento”,
in questo modo evitando il rischio di essere sottoposto ad accertamento induttivo ed all’irrogazione
delle sanzioni, oppure non adeguarsi e correre il rischio dell’accertamento induttivo sulla base dei
parametri stessi da parte dell’Ufficio.
Nel caso in cui un soggetto presentava ricavi non congrui con i parametri, normalmente
l’Ufficio procedeva a notificare un invito al contraddittorio nel quale il contribuente poteva
documentare e motivare lo scostamento.
In caso di esito positivo del contraddittorio, l’ufficio archiviava la pratica, altrimenti emetteva
l’avviso d’accertamento, anche se c’era sempre la possibilità di addivenire ad un accertamento con
adesione.
Si deve tuttavia sottolineare la scarsa capacità dei parametri di determinare induttivamente, con
un certo margine di esattezza, i ricavi ed i compensi.
Ciò era dovuto soprattutto alla loro rigidità ed alla impossibilità di adeguarne applicazione alle
diverse realtà territoriali, in quanto costruiti su base nazionale, ed al fatto che erano il risultato di una
procedura statistica basata esclusivamente su dati contabili – tralasciando quindi quelli extracontabili –
posseduti dall’Amministrazione finanziaria sulla scorsa delle precedenti dichiarazioni senza nessun
riscontro sul campo attraverso un confronto con le associazioni di categoria dei contribuenti o un loro
reperimento diretto attraverso accessi, ispezioni e verifiche.
Per queste ragioni era molto difficile dimostrare la legittimità del mancato adeguamento o
arrivare ad un accertamento con adesione.
Si produsse così una notevole mole di contenzioso che, per la maggior parte delle volte, si
risolveva a favore del contribuente.
Secondo una corrente giurisprudenziale gli accertamenti basati sui parametri sarebbero illegittimi
perché il provvedimento integrativo della L. n. 549 del 1995, il D.P.C.M. 29 gennaio 1996, avendo nella
sostanza natura “regolamentare”, doveva essere approvato dopo aver acquisito il parere del Consiglio di
Stato, secondo il disposto dell’art. 17, L. 23 agosto 1988, n. 400.
Conseguenza di ciò, doveva essere la diretta disapplicazione del D.P.C.M. da parte delle
Commissioni Tributarie, ex art. 7, comma 5, D.lgs. n. 546 del 1992, ed il conseguente annullamento
degli avvisi di accertamento15.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, invece, l’approvazione dei parametri con D.P.C.M., senza
obbligo di acquisire il parere del Consiglio di Stato, era da ritenersi legittima perché l’art. 3, comma 184,
L. n. 549 del 1995 era norma speciale rispetto all’art. 17, L. n. 400 del 198816.
§
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§
§
§
§
§
omessa tenuta dei conti di mastro relativi alla cassa, alle banche ed ai c/c postali;
omessa tenuta dei conti di mastro intestati ai singoli creditori e debitori;
omessa registrazione dei singoli versamenti o prelevamenti effettuati dall’imprenditore o dai soci;
omessa indicazione nel libro inventari o nella nota integrativa al bilancio dei criteri per la valutazione delle
rimanenze;
uno scostamento tra dati contabili ed accertati superiore al 10% e a 5 milioni di lire (pari ad euro 2.582,28);
omessa iscrizione in bilancio di beni strumentali per un valore superiore al 10% di tutti i beni strumentali utilizzati
ed euro 2.582,28;
impiego di lavoratori dipendenti non iscritti nel libro paga i cui compensi superino il 10% delle spese del personale.
Per gli esercenti arti e professioni la contabilità è inattendibile negli ultimi tre casi sopra elencati.
Tra le altre, v. Comm. Trib. Prov. Firenze, 26 novembre 2001, n. 126.
Cfr. Circ. D.R. Piemonte, n. 6 del 5 marzo 2002 e Nota D.R. Emilia Romagna n. 16886 del 10 aprile 2002.
Si rammenta che la normativa sui parametri rimane ancora in vigore per quelle attività per le quali non è stato approvato il
relativo studio di settore.
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Un’altra parte della giurisprudenza, invece, ritiene che i parametri non possano, da soli, essere il
fondamento della rettifica, ma debbano necessariamente essere integrati da ulteriori elementi idonei a
supportare la maggiore quantificazione dei ricavi o compensi rispetto a quelli dichiarati17.
Si deve comunque rimarcare che, sia l’Amministrazione finanziaria18, sia la giurisprudenza19,
hanno riconosciuto il principio secondo il quale, in caso di divergenza tra il risultato dei parametri e
quello ottenuto applicando gli studi di settore nel frattempo approvati, deve prevalere quest’ultimo,
stante la maggiore affidabilità di tale strumento.
3. DEFINIZIONE ED ELABORAZIONE DEGLI STUDI DI SETTORE
Gli studi di settore20, come detto, introdotti dall’art. 62-bis, D.L. 30 agosto 1993, n. 331, conv. in
L. 29 ottobre 1993, n. 42721, dovevano gradualmente entrare in vigore a partire il 31 dicembre del 1995,
ma le difficoltà di predisposizione, dovute, come vedremo tra breve, al complesso iter formativo, ne
hanno fatto slittare l’inizio dell’operatività al 31 dicembre 1998.
Possono essere definiti come strumenti il cui fine è quello di determinare i ricavi o i compensi
potenziali dell’imprese e degli esercenti arti e professioni, tenendo conto delle interazioni esistenti tra le
caratteristiche strutturali precipue dei diversi settori economici, le variabili contabili e le variabili
extracontabili, distinguendo tra quest’ultime, quelle interne ed esterne all’impresa22.
Le variabili contabili sono quelle desumibili dalla contabilità, e quindi:
− rimanenze iniziali relative a merci, prodotti finiti, materie prime e sussidiarie, semilavorati ed ai
servizi di durata non ultrannuale;
− rimanenze iniziali relative a opere, forniture e servizi di durata;
Cfr. Comm. Trib. Prov. Verbania, 7 febbraio 2001, n. 10 e Comm. Trib. Prov. di Catania, 28 giugno 2002, n. 736, nella
quale si chiarisce che “deve ritenersi carente di prova l’assunto dell’ufficio imposte dirette che si è limitato ad una applicazione automatica dei
parametri, istituiti con il D.P.C.M. 29 gennaio 1996, applicativo dell’art. 3, L. n. 549 del 1995, senza considerare una serie di altri e diversi
elementi rilevanti ai fini della corretta individuazione della realtà reddituale del soggetto oggetto di accertamento”.
Per la verità vi è anche un filone giurisprudenziale favorevole agli accertamenti basati su i parametri. Si veda a tal proposito
Comm. Trib. Prov. di Rovigo, sent. 218/2001, secondo cui “la natura di presunzione relativa, con conseguente inversione dell’onere
della prova, non richiede nessun ulteriore elemento, essendo onere del contribuente addurre prove in senso contrario”, Comm. Trib. Prov. di
Rovigo, sent. n. 219 del 2001 “i parametri possono essere posti a base degli avvisi di accertamento, salva la possibilità per il contribuente di
fornire la prova contraria anche sulla base di presunzioni semplici”; Comm. Trib. di Bologna, 14 aprile 2001, n. 223 “i parametri possono
costituire, di per sé, valida presunzione ai fini dell’accertamento”, Comm. Trib. Prov. di Salerno, 23 marzo 2001 “ai sensi dell'art. 3,
comma 181, della L. n. 549 del 1995, che richiama l'art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600/1973, l'accertamento mediante i
parametri contabili è pienamente legittimo… Il che però non impedisce al contribuente - ricorrente di dimostrare che possiede un reddito inferiore a
quello accertato”.
Anche il Ministero delle Finanze è intervenuto sulla materia con la circ. 20 ottobre 1999, n. 203/E affermando che, in virtù
del dettato dell’art. 3, comma 181, L. n. 549 del 1995, i parametri costituiscono presunzioni gravi, precise, e concordanti su
cui fondare l’accertamento.
Per un completo panorama giurisprudenziale in tema di parametri e studi di settore, v. M. Mauro, Gli studi di settore nell’
ordinamento tributario: riflessioni sulla difesa del contribuente, in Riv. Scuola Sup. Econ. Fin., III, 2004.
18 Cfr. Circ. 14 marzo 2001, n. 25/E.
19 V. a tal riguardo Comm. Trib. Prov. di Salerno, sent. n. 216/2001; Comm. Trib. Prov. di Torino, sent. n. 45/2001.
20 Prima della riforma degli anni ’70, esistevano i c.d. “Studi di settore degli ispettori compartimentali”, i quali, realizzati in
collaborazione delle associazioni di categoria ed approvati dagli ispettori compartimentali, costituivano uno strumento di
supporto all’attività di verifica dell’Amministrazione finanziaria, fornendo periodicamente una descrizione sulle
caratteristiche dei processi produttivi e di commercializzazione dei vari settori economici. E’ bene specificare che tali studi
settore rimanevano segreti e costituivano uno strumento ad uso esclusivamente interno dell’Amministrazione finanziaria. Si
veda M. Leccisotti, Atti del Convegno “I nuovi Studi di Settore”, in Il Fisco, allegato al numero 25/2000.
21 Tale normativa recita: “Gli uffici del Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze, sentite le associazioni professionali e di
categoria, elaborano, entro il 31 dicembre 1995, in relazione ai vari settori economici, appositi studi di settore al fine di rendere più efficace
l'azione accertatrice e di consentire una più articolata determinazione dei coefficienti presuntivi di cui all'articolo 11 del decreto-legge 2 marzo
1989, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154, e successive modificazioni. A tal fine gli stessi uffici identificano
campioni significativi di contribuenti appartenenti ai medesimi settori da sottoporre a controllo allo scopo di individuare elementi caratterizzanti
l'attività esercitata. Gli studi di settore sono approvati con decreti del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 31
dicembre 1995, possono essere soggetti a revisione ed hanno validità ai fini dell'accertamento a decorrere dal periodo di imposta 1995”.
22 V., M. Di Pace, Studi di settore, ETI De Agostani Professionale, 1999 e S. Capolupo, Manuale dell’accertamento delle imposte, II
edizione, Ipsoa.
17
6
− rimanenze finali relative a merci, prodotti finiti, materie prime e sussidiarie, semilavorati e ai
servizi di durata non ultrannuale;
− rimanenze finali relative a opere, forniture e servizi di durata;
− costi per l’acquisto di materie prime, sussidiarie, semilavorati e merci;
− costo per la produzione di servizi;
− valore dei beni strumentali;
− spese per lavoro dipendente e per altre prestazioni diverse da lavoro dipendente afferenti
l’attività dell'impresa;
− spese per acquisti di servizi;
− ricavi di cui alle lettere a) e b) dell’art. 85 T.U.I.R.;
− altri proventi considerati ricavi esclusi quelli di cui all'art. 53, comma 1, lett. c) e f), T.U.I.R.
Le variabili extracontabili interne sono costituite, invece, dai componenti qualificanti l’attività
dell’ impresa. Tra queste si ricordano: il processo produttivo (beni strumentali e prestazioni offerte) e
l’area di vendita.
Mentre le variabili extracontabili esterne si riferiscono a tutti quegli elementi in grado riguardanti
la dimensione territoriale di operatività dell’impresa. Tra queste vi rientrano: il livello dei prezzi, le
infrastrutture esistenti, il livello della domanda, le capacità di spesa, la capacità d’attrazione dell’impresa
e dei suoi prodotti, le tipologie di fabbisogno.
Gli studi di settore, comunque, anche tenendo conto degli interventi dell’ultima legge finanziaria
– L. 30 dicembre 2004, n. 311 –, sono certamente lo strumento sul quale il legislatore più ha puntato
per cercare di combattere le sacche di evasione esistenti tra i contribuenti medio-piccoli.
Le finalità che il legislatore ha voluto perseguire attraverso l’emanazione della normativa sugli
studi di settore sono diverse e si muovono in più direzioni23.
Si prefiggono, infatti, l’obiettivo di portare di vantaggi sia all’Amministrazione finanziaria, sia
alle singole imprese, sia all’intera collettività.
Per l’Amministrazione finanziaria i vantaggi sono:
− migliorare la trasparenza dei rapporti tra fisco e contribuente permettendo fargli conoscere
previamente i criteri ed i parametri che sono utilizzati nell’attività di controllo nei suoi
confronti24;
− realizzazione di un percorso facilitato e maggiormente persuasivo per l’accertamento;
− dare un impulso all’accertamento con adesione, fornendo al contribuente ed
all’Amministrazione finanziaria un ricavo o un compenso di riferimento ed il relativo intervallo
ammissibile di variazione;
− indirizzare l’attività di verifica e di controllo uniformando le regole da seguire per i controlli
sulla base di una stessa metodologia;
− liberare risorse umane per destinarle all’accertamento delle attività cui non sono applicati gli
studi di settore;
− riclassificare le attività economiche in maniera più aderente alla realtà.
Per le singolo imprese:
− certezza e trasparenza dei rapporti con il Fisco conoscendo – come già detto – anticipatamente
le regole che regolano il loro rapporto con l’Amministrazione finanziaria;
− certezza del carico fiscale richiesto lasciando comunque la possibilità al contribuente di
discostarsi da quanto richiesto fornendo idonee e riscontrabili giustificazioni;
V. sul punto il documento emanato dalla stessa Amministrazione finanziaria, Guida agli studi di settore, in
www.agenziaentrate.it /settore/guida/indez.htm.
24 A tal proposito, comunque, sarà fondamentale un’adeguata manutenzione ed un adeguato aggiornamento degli studi di
settore, proprio al fine di attualizzarli con le continue evoluzioni che si susseguono nella realtà.
23
7
− lotta all’abusivismo ed alla concorrenza sleale incidendo sui comportamenti dei contribuenti che
non adempiendo in maniera corretta agli obblighi imposti dalla normativa tributaria utilizzavano
il “risparmio fiscale” per porsi in una posizione di vantaggio competitivo;
− effettuare un’analisi comparativa tra la propria attività e quella degli altri operatori del medesimo
settore verificando la propria capacità manageriale e se del caso, attraverso un’attività di feedback individuare gli elementi di criticità e i correttivi per eliminarli.
Per l’intera collettività e per l’intero sistema economico:
− consentire attraverso una mappatura, sia per settore economico, sia per localizzazione
territoriale, di supportare le gli organi di governo nella programmazione degli interventi di
politica economica individuando così i settori economici, le aree territoriali bisognevoli di
interventi tendenti a migliorarne la competitività e di sostegno.
Le fasi salienti attraverso le quali si arriva alla costruzione dello studio di settore possono essere
riassunte nel modo seguente:
a) individuazione dei settori e delle attività economiche da analizzare;
b) predisposizione, invio ed acquisizione del questionario:
definizione del questionario in collaborazione con le Associazioni di categoria e agli Ordini
professionali:
− pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del questionario approvato con decreto ministeriale;
− invio del questionario ai contribuenti titolari di partita IVA;
− distribuzione del software di acquisizione;
− restituzione del questionario all’Amministrazione finanziaria;
− acquisizione dei dati contenuti nel questionario e costituzione della base informativa per gli
studi di settore;
−
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−
c) elaborazione dello studio di settore:
Analisi in Componenti Principali per la sintesi degli elementi strutturali caratterizzanti il settore;
Cluster Analisys per l'identificazione dei modelli organizzativi del settore;
selezione dei contribuenti che presentano valori economicamente coerenti rispetto ad indicatori
specifici del settore;
regressione multipla per la stima delle funzioni di ricavo e a nalisi della territorialità;
analisi discriminante per l'attribuzione dei contribuenti ai cluster individuati;
applicazione degli studi di settore all'universo dei contribuenti;
d) validazione dello studio di settore:
realizzazione di un prototipo dimostrativo dello studio di settore;
presentazione dello studio di settore alle Associazioni di categoria e agli Ordini professionali;
verifica ed eventuale assestamento del modello sulla base di analisi ed osservazioni delle associazioni di categoria e degli Ordini professionali;
verifica, analisi ed osservazioni della Commissione degli esperti;
validazione dello studio di settore da parte dell’Amministrazione finanziaria;
e) pubblicazione dello studio di settore:
− predisposizione della monografia, con spiega zione della metodologia e delle caratteristiche
economico-aziendali del settore;
− pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale dello studio validato e della relativa
nota tecnica e metodologica.
8
Una delle differenze fondamentali tra gli studi di settore e gli altri strumenti in precedenza
adottati dal legislatore, era quella secondo la quale, mentre quest’ultimi erano il frutto di elaborazioni
statistiche più o meno sofisticate, costruite su dati però che erano già in possesso dell’Amministrazione
finanziaria, gli studi di settore, invece, sono il frutto di una procedura piuttosto complessa in cui i
contribuenti hanno un ruolo fondamentale già nella raccolta dei dati necessari per la loro
predisposizione.
Al tal proposito, in collaborazione con le associazioni di categoria, sono stati predisposti dei
questionari il cui obiettivo è quello di cogliere, nella maniera più precisa e veritiera possibile, tutti i dati
strutturali, contabili ed extracontabili dell’attività di ogni singolo contribuente25.
Dopo aver compilato il relativo questionario, questo va restituito per posta o attraverso
supporto magnetico.
Nel caso in cui non si provveda a riconsegnare i questionari è prevista la possibilità di inviare la
Guardia di Finanza al fine di raccogliere i dati e le informazioni necessarie direttamente presso il luogo
di esercizio dell’attività26.
Una volta acquisiti i dati si procede all’elaborazione degli studi di settore.
Tale fase è preceduta da una fase preventiva nella quale si procede al vaglio dei questionari
ricevuti scartando quelli incompleti, contenenti errori o ritenuti non coerenti27.
Terminata tale operazione si procede al trattamento dei dati raccolti.
In primo luogo, per ogni attività economica, si stabiliscono gruppi omogenei di contribuenti in
relazione ai dati strutturali-extracontabili. A tal fine ci si serve di due tecniche statistiche: l’analisi delle
componenti principali e la cluster analysis.
La prima consente di sintetizzare gli elementi strutturali-extracontabili che caratterizzano il
settore riducendo il numero delle variabili ottenute dall’acquisizione dei dati dei questionari in “un
numero inferiore di nuove variabili, dette <<componenti principali>> tra loro indipendenti, che
spieghino il massimo possibile della varianza totale delle variabili originali perdendo il minimo possibile
di informazioni. I <<componenti principali>> sono ottenuti come combinazione lineare delle variabili
originaria”28.
La seconda, consente di realizzare, sulla base dei “componenti principali”, un raggruppamento
di soggetti il più possibile omogeneo con caratteristiche strutturali affini (cluster)29.
Il loro numero varia a seconda del settore economico preso in considerazione ed in virtù delle
diverse particolarità strutturali che li caratterizzano30.
I contribuenti, esercitanti attività rientranti comprese tra quelle di uno studio di settore, devono compilare i questionari,
anche nel caso di loro mancata ricezione, procurandoselo o estraendone copia dalla Gazzetta Ufficiale o scaricandolo
direttamente dal sito internet del Ministero dell’Economia (www.finanze.it) o da quello dell’Agenzia delle Entrate
(www.agenziaentrate.it) o recandosi presso un ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate.
26 La mancata, l’incompleta o la restituzione di un questionario con risposte non veritiere è sanzionata dall’art. 11, D.lgs. 471
del 1997 con la sanzione amministrativa che va da 258 a 2065 euro.
27 Cfr. C. Cancellieri, Manuale degli studi di settore, in Fisco oggi (Rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate), 2004.
28 Cfr. C. Cancellieri, Manuale degli studi di settore, cit..
29 Per la definizione dei singoli cluster, ci si è avvalsi della collaborazione delle Associazioni di categoria. All’interno di ogni
singolo studio di settore è possibile vedere la definizione di ogni cluster e le ragioni che hanno determinato le classificazione
in quei termini.
30 Ad esempio lo studio di settore Bar e caffe – gelaterie (SG37U) predeve 18 cluster:
Ø Bar con localizzazione in circoli, palestre, impianti sportivi;
Ø Bar con vendita prevalente di alcolici;
Ø Bar con intrattenimento;
Ø Bar pasticceria e gelateria con prodotti artigianali;
Ø Bar stagionali;
Ø Bar caffè tradizionali di piccole dimensioni;
Ø Bar di paese;
Ø Bar con localizzazione in stazioni di servizio;
Ø Bar latteria;
Ø Bar pasticceria e gelateria;
Ø Bar con biliardo/sala gioco;
Ø Bar pizzeria/tavola calda;
25
9
Terminata tale operazione, si inizia a tenere conto delle variabili contabili, “anche al fine di
individuare degli indici (o meglio degli indicatori economico-contabili31) in grado di rappresentare
significatamene la situazione del contribuente e la coerenza economica dei dati forniti”32.
Conclusa tale complessa operazione, è necessario associare ad ogni cluster di riferimento una
funzione ricavo. Essa è il frutto di una funzione matematica, della specie delle “funzioni di regressione”,
attraverso la quale si evidenziano le relazioni tra le variabili indipendenti (dati contabili ed
extracontabili) e la variabile dipendente (ricavi o compensi). In pratica, moltiplicando il valore di ogni
singola variabile, per il coefficiente stabilito dallo studio di settore, si ottiene il ricavo o il compenso
puntuale di riferimento33.
Infine, è necessaria l’applicazione della c.d. analisi discriminante per assegnare ciascun
contribuente ad uno specifico cluster di riferimento, in modo da potergli associare la corrispondente
funzione di ricavo. E’ possibile che un soggetto, in virtù delle proprie caratteristiche strutturali, non
rientri solo all’interno di un cluster di riferimento. In conseguenza di ciò, il softwere (GE.RI.CO.)34 lo
assegna contemporaneamente e secondo la percentuale per cui risulta appartenere ai diversi cluster.
Al fine di tenere conto delle singole situazioni e garantire l’attribuzione di un ricavo di
riferimento il più possibile aderente alla situazione reale della singola impresa e della realtà in cui opera
sono stati introdotti dei correttivi territoriali nella procedura di calcolo della funzione di regressione.
Ø Bar caffè siti in centri commerciali;
Ø Gelateria artigianale;
Ø Bar localizzati in stazioni tramviarie, metropolitane, ecc…;
Ø Bar gelaterie;
Ø Bar tabacchi;
Ø Snack bar.
31 Tali indici variano a seconda delle varie attività prese in considerazione ed ognuna di esse ha diverse modalità di calcolo.
Ad esempio gli indicatori delle attività commerciali sono la rotazione del magazzino, il ricarico, la produttività per addetto.
Quello delle attività professionali è la resa oraria per addetto. Quelli delle attività dei servizi - pubblici esercizi sono la
rotazione del magazzino, il ricarico, la produttività per addetto.
L’indice di rotazione del magazzino (irm) è calcolato come rapporto tra i ricavi e la giacenza media del magazzino (gmm):
irm = ricavi / gmm
dove:
gmm = (esistenze iniziali + rimanenze finali) / 2
Il ricarico è calcolato come rapporto tra i ricavi e il costo del venduto (cv) :
ricarico = ricavi / cv
dove:
cv = esistenze iniziali + acquisti - rimanenze finali
La produttività per addetto (ipa) è calcolata come rapporto tra i ricavi
e il numero addetti :
ipa = ricavi / numero addetti
dove:
numero addetti = il titolare (nel caso di persone fisiche)
+ (giornate retribuite dei dipendenti)/312
+ collaboratori continuati e continuativi che prestano attività prevalentemente nell’impresa
+ collaboratori dell’impresa familiare e coniuge dell’azienda coniugale (nel caso di persone fisiche)
+ associati in partecipazione che apportano lavoro prevalentemente nell’impresa
+ soci con occupazione prevalente nell’impresa (nel caso di società)
+ amministratori non soci (nel caso di società)
La resa oraria per addetto (iroa) è calcolata come rapporto tra i compensi derivanti dall’attività professionale e le ore lavorate
dagli addetti (ore):
iroa = compensi / ore
dove:
ore = numero addetti * 312 * 8
Cfr. C. Cancellieri, Manuale degli studi di settore, in Fisco oggi (Rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate), 2004.
32 V. M. Di Pace, Studi di settore, cit..
33 Il modello della funzione di regressione è il seguente: Y= a V(1) + b V(2) +… z V (n), dove y è il ricavo o il compenso da
calcolare; a, b, z, sono i coefficienti delle variabili indiduate dallo studio di settore; V(1), V(2), V(n) sono le variabili prese in
considerazione.
34 GE.RI.CO., acronimo di GEstione dei RIcavi e dei COmpensi, è il softewere mediante il quale si determinano i ricavi ed i
compensi presunti in base agli studi di settore.
10
Il correttivo territoriale varia da studio a studio e da cluster a cluster, tuttavia, non è sempre
applicabile a tutte le attività.
Esso inoltre, incide solo su alcuni elementi della funzione di ricavo.
Sono stati creati due tipi di correttivi territoriali: uno di carattere generale in grado di incidere in
tutti i settori, ed uno di carattere specifico capace di operare solo in alcuni settori.
L’unità elementare di riferimento del fattore territoriale è rappresentata dal comune.
Ciascuno degli oltre otto mila comuni è stato inserito all’interno di un gruppo di appartenenza,
differenziato rispetto agli altri, in quanto basato su caratteristiche omogenee da un punto di vista
preminentemente economico.
Ogni comune ha un indice territoriale, ma il correttivo può operare in maniera diversificata per
ciascun cluster.
Pertanto, due imprese soggette al medesimo studio di settore e situate nello stesso comune, ma
con caratteristiche strutturali che le collocano in due cluster diversi, potrebbero essere soggette ad un
trattamento differenziato rispetto al fattore territorialità35.
Nella nota tecnica e metodologica di ciascuno studio viene specificata l’influenza del fattore
territoriale sulla funzione di ricavo.
Il correttivo riduce i ricavi o i compensi stimati quando il valore della cifra esposta nell’apposita
tabella, in corrispondenza del cluster di appartenenza, è preceduto dal segno “meno”; lo incrementa negli
altri casi.
Obiettivo dell’analisi è individuare aree territoriali omogenee sulla base delle caratteristiche dello
sviluppo socio-economico del territorio.
La territorialità generale analizza le differenze che connotano l’ambiente economico, differenze
che possono influenzare le caratteristiche della domanda finale di beni e/o servizi destinati alla persona,
il bisogno di ricorrere a servizi professionali, le condizioni in cui l’impresa svolge la propria attività.
Il percorso metodologico è fatto di due fasi:
− scelta di un set di indicatori che permettano di cogliere gli aspetti precedentemente esposti;
− identificazione di aree territoriali omogenee rispetto a tali indicatori.
Gli indicatori sono stati selezionati in modo da misurare il grado di scolarizzazione, il livello di
benessere e lo sviluppo economico-produttivo del territorio.
Dopo aver individuato i diversi raggruppamenti territoriali a livello comunale, analoga
ripartizione è eseguita a livello provinciale e regionale, con l’intento di individuare, anche in tale ambito,
aree omogenee in base alle caratteristiche dello sviluppo socio-economico del territorio, definito sulla
base degli stessi indicatori individuati per classificazione “comunale”.
La singola provincia e la singola regione sono assegnate all’area territoriale e che presenta le
caratteristiche più simili in termini di:
− grado di benessere
− livello di scolarizzazione
− struttura economica
− tasso di imprenditorialità
− grado di sviluppo dei servizi (credito, logistica e servizi alle imprese) a sostegno dell’attività
economica.
Oltre alla territorialità generale, esistono indicatori di territorialità per specifici comparti36.
Gli indici approvati fino ad oggi sono i seguenti:
Con D.M. 30 marzo 1999:
− commercio (territorialità comunale, provinciale e regionale);
− comparto manifatturiero della lavorazione delle pelli e del cuoio, del conciario e del calzaturiero;
Ad es.: l’impresa A, appartenente al cluster 7, potrebbe essere nelle condizioni per fruire di un determinato correttivo
territoriale (che abbatte, ad esempio, il ricavo stimato);
l’impresa B, compresa nello stesso studio di settore ma appartenente al cluster 9, potrebbe non essere collegata ad alcun
correttivo territoriale, oppure essere abbinata ad un correttivo di segno divergente (cioè, di aumento del ricavo stimato).
36 Cfr. C. Cancellieri, Manuale degli studi di settore, in Fisco oggi (Rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate), 2004.
35
11
− comparto manifatturiero della fabbricazione di mobili;
− comparto manifatturiero delle industrie tessili;
− trasporto merci su strada e servizi per il movimento delle merci (livello provinciale).
Con i DD.MM. 3 e 25 febbraio 2000, sono state individuate territorialità specifiche per le
attività di:
− lavorazione del legno;
− fabbricazione di articoli in maglieria e confezioni di vestiario;
− fabbricazione di prodotti in ceramica;
− fabbricazione di strumenti ottici e attrezzature fotografiche;
− attività turistico-alberghiere.
Con il D.M. 20 marzo 2000, sono state individuate due nuove territorialità del commercio a
livello provinciale e regionale, in relazione alle quali differenziare le modalità di applicazione degli studi,
nonché la territorialità specifica per i seguenti comparti manifatturieri:
− gioielleria, oreficeria e produzione di metalli preziosi;
− confezionamento di vestiari in pelle;
− preparazione e confezione di pellicce;
− fabbricazione di macchine e d apparecchi meccanici;
− fabbricazione e lavorazione dei prodotti del metallo, escluse macchine ed impianti.
Con. D.M. 8 marzo 2002, sono state individuate nuove aree territoriali omogenee per il
comparto manifatturiero della lavorazione e trasformazione del vetro.
La territorialità, sotto altri punti di vista, è analizzata con riferimento a: distretti industriali,
sistemi economico locali e sistemi produttivi locali manifatturieri.
I Distretti Industriali sono individuati quali sistemi produttivi monosettoriali caratterizzati da
un’elevata concentrazione di piccole e medie imprese industriali manifatturiere con forti relazioni di
filiera produttiva, sociali ed istituzionali, presenti in ambiti anche interprovinciali.
I sistemi economici locali, invece, costituiscono l’unità elementare della programmazione
regionale e sono individuati tenendo conto di vari indicatori quali prodotto interno lordo (PIL),
occupati, disoccupati, scuola/lavoro.
I sistemi produttivi locali sono individuati come conformazioni produttive plurisettoriali
caratterizzate da un’elevata concentrazione di imprese industriali di un determinato settore, presenti
all’interno di un territorio provinciale e coincidenti con i sistemi economici locali.
Oltre ai correttivi territoriali, tuttavia, sono stati introdotti correttivi di natura contabile al fine di
eliminare gli effetti distorsivi che provocavano alcune variabili contabili all’interno di alcuni studi di
settore.
Infatti, si verificava che il mancato livello di congruità dei ricavi non veniva raggiunto proprio a
causa dell’eccessiva influenza di alcune variabili contabili le quali impedivano quindi allo studio di
settore di fotografare con precisione la realtà del settore produttivo.
I correttivi contabili introdotti si distinguono in correttivi contabili di natura generale37,
applicabili a tutti i diversi settori economici e correttivi di natura specifica38 applicabili sono ad alcuna
attività.
Tra questi si ricorda il correttivo contabile applicabile a tutte le imprese che utilizzano apprendisti. Tale correttivo tiene
conto della diversa capacità produttiva di un apprendista rispetto ad un dipendente “normale”, riducendo il peso della
variabile apprendisti in modo decrescente rispetto al periodo di apprendistato complessivamente effettuato secondo la
presente formula: % appr= 30% * [(TriTot – Tri1)/ TriTot + (TriTot – Tri12)/TriTot]/ 2.
TriTot= numero di trimestri di durata del contatto d’apprendistato;
Tri1= numero di trimestri d’apprendistato effettuati alla data del 1 gennaio del periodo d’imposta di riferimento (nel caso di
inizio di contratto d’apprendistato nel corso dell’anno Tri1 non assume nessun valore);
Tri12= numero di trimestri d’apprendistato effettuati alla data del 31 dicembre del periodo d’imposta di riferimento (Tri12
assumerà lo stesso valore di TriTot nel caso di conclusione del contratto d’apprendistato nel corso del periodo d’imposta di
riferimento).
Inoltre correttivi di carattere generale sono previsti anche per i professionisti:
Tali soggetti possono rettificare alcune spese relative a:
37
12
Altra distinzione operata è quella tra i correttivi contabili che sono applicati automaticamente
dal softwere GE.RI.CO. (ad esempio quelli applicabili a tutti i professionisti) e quelli che sono applicati
facoltativamente a richiesta del contribuente (quelli applicabili ai rappresentanti di commercio, ai
tassisti, agli esercenti prestazioni di servizi informatici) nel caso in cui risulti, dall’applicazione dello
studio di settore, che abbiano percepito ricavi o compensi non congrui.
Una volta terminata l’acquisizione di tutti i dati, il softwere GE.RI.CO. procede alla loro
elaborazione, secondo la procedura sopraindicata, determinando il ricavo puntuale di riferimento
“congruo” 39 per la singola attività. Qualora il singolo contribuente si discosta da tale dato, il sistema
determina il “c.d. intervallo di confidenza”, vale a dire il margine d’oscillazione consentito tra il ricavo
puntuale ed il minimo di ricavi o compensi ammessi.
Il sistema, tuttavia, non si limita solo a tale tipo di controllo, ma provvede ad analizzare la
“coerenza” dei ricavi o dei compensi40, verifica la regolarità dei principali indicatori economici
caratterizzanti l’attività svolta “rispetto ai valori minimi e massimi assumibili con riferimento a
comportamenti normali degli operatori del settore che svolgono attività con analoghe caratteristiche”41.
Uno volta costruito lo studio di settore, ne viene realizzata una versione dimostrativa che viene
portata all’attenzione delle associazioni di categoria e degli Ordini professionali al fine di saggiarne la
bontà ed eventualmente proporre le modifiche necessarie al suo migliore funzionamento.
Terminata tale fase, l’Amministrazione finanziaria procede alla sua validazione avvalendosi di
una apposita Commissione di esperti42 la quale, tra gli altri, ha l’importantissimo compito di raccogliere
le indicazioni ed i rilievi degli Osservatori provinciali43.
Ø
acquisto di alcuni beni strumentali (computer, sistemi telefonici, ecc.): riduzioni in relazione all’età del bene;
100% se i beni sono stati acquistati da oltre 5 anni, 50% se i beni invece sono stati acquistati da meno di 5
anni;
Ø personale amministrativo e di segreteria: riduzione del 20%;
Ø Utilizzo di locali in strutture polifunzionali: riduzioni del 100% per locazione e spese condominiali e del 30%
per spese relative all’utilizzo di beni di terzi e costi sostenuti per strutture polifunzionali al netto della
riduzione relativa alle spese sostenute per i locali.
Cfr. C. Cancellieri, M anuale degli studi di settore, in Fisco oggi (Rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate), 2004.
38 Tra questi si ricorda il correttivo per gli agenti ed intermediari del commercio.
Essi beneficiano della riduzione del 20% del costo fiscalmente riconosciuto del veicolo dell’impresa, della riduzione del 10%
del costo relativo ai carburanti ed inoltre nel determinare “il numero dei collaboratori familiari e coniuge familiare” non
devono prendersi in considerazione il collaboratore o il coniuge che svolge es clusivamente attività di segreteria e che non
assume rilievo nella promozione delle vendite effettuate dall'intermediario.
Cfr. C. Cancellieri, Manuale degli studi di settore, in Fisco oggi (Rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate), 2004.
39 La congruità, quindi, indica la corrispondenza tra il ricavo puntuale di riferimento stabilito ed i ricavi indicati dal singolo
contribuente.
40 L’incoerenza, anche in presenza di ricavi o compensi congrui, può essere una importante spia di allarme della non
regolarità della singola posizione fiscale e quindi della necessità di intavolare una procedura di controllo secondi i mezzi
ordinari.
41 Si veda G. Antico, V. Fusconi, Gli studi di settore al test del contraddittorio, in Il Fisco, n. 27/2002.
42 La Commissione di esperti istituita con il D.M. 10 novembre 1998, n. 27819 sulla base dell’art. 10, L. 8 maggio 1998, n.
146, è composta da 75 membri (9 dell’Amministrazione finanziaria, 2 della Sose – Società per gli studi di settore –, 1 della
Sogei – Società generale di informatica che si occupa, tra l’altro, della creazione e della gestione di tutti i sistemi informatici
usati da parte dell’Amministrazione finanziaria e quindi anche di GE.RI.CO. -, 63 rappresentanti delle associazioni di
categoria e degli Ordini professionali. Compiti di tale commissione sono:
§ esprimere un parere sulla capacità rappresentativa della realtà del singolo settore economico preso a riferimento da
parte dello studio di settore;
§ raccogliere ed esaminare i rilievi fatti dagli Osservatori provinciali;
§ proporre eventuali correttivi agli studi anche sulla base delle indicazione degli studi settore;
§ provvedere al monitoraggio dello studio di settore al fine di verificare la necessità di una sua revisione.
43 Gli Osservatori sono stati costituiti per ciascuna Provincia, con provvedimento del Direttore Regionale delle Entrate, in
base al decreto direttoriale del 15 aprile 1999.
L’attività di tali strutture decentrate è volta a verificare che gli studi di settore siano più aderenti alla realtà economica locale.
Gli Osservatori forniscono, pertanto, alla Commissione degli esperti elementi di conoscenza utili sia nella fase di
applicazione che in quella di evoluzione degli studi.
Gli Osservatori sono composti da un dirigente della D.R. con funzioni di presidente, due funzionari degli Uffici
dell’Agenzia delle Entrate presenti sul territorio provinciale, due rappresentanti delle associazioni di categoria più
rappresentative in sede provinciale nel settore dell’industria, due rappresentanti delle associazioni di categoria più
13
L’iter di realizzazione dello studio di settore si conclude con la predisposizione di una
monografia, con la spiegazione della metodologia e delle caratteristiche economico-aziendali del settore
e la successiva pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale dello studio validato e della
relativa nota tecnica e metodologica.
E’ previsto comunque il continuo monitoraggio di singoli studi di settore al fine di tener in
conto le evoluzioni del mercato e dei processi di produzione ed addivenire così ad una sua eventuale
revisione.
4. AMBITO D ’APPLICAZIONE DEGLI STUDI DI SETTORE
Riguardo l’ambito d’applicazione degli studi di settore, rilevanti novità sono state apportate dalla
finanziaria per il 2005, L. 30 dicembre 2004, n. 311, che ha modificato la L. 8 maggio 1998, n. 146
disciplinante, appunto, i soggetti destinatari degli studi di settore.
Prima delle modifiche apportate dall’ultima legge finanziaria, destinatarie degli studi di settore
potevano essere le imprese in contabilità semplificata con periodo d’imposta pari a dodici mesi con
ricavi non superiori a quelli stabiliti nel relativo studio di settore44).
Oltre a tali soggetti, l’art. 10, L. 8 maggio 1998, n. 146, estendeva l’ambito dei soggetti a cui era
possibile applicare gli studi di settore, in primo luogo agli artisti o professionisti in contabilità
semplificata nel caso in cui i ricavi o i compensi dichiarati risultano inferiori a quelli determinati in base
agli studi di settore per due periodi su tre, anche non consecutivi, tenendo presente tra questi anche
quello da accertare; in secondo luogo, alle imprese in contabilità ordinaria per obbligo, nel caso di
ricevimento del verbale d’ispezione redatto ex art. 33, D.P.R. n. 600 del 1973 in cui si contesta
l’inattendibilità della contabilità in base al D.P.R. n. 570 del 199645; infine anche alle imprese ed agli
esercenti arti o professioni in contabilità ordinaria per opzione nel caso in cui si verifichi una delle
circostanze indicate in precedenza.
rappresentative in sede provinciale nel settore del commercio, due rappresentanti delle associazioni di categoria più
rappresentative in sede provinciale nel settore dell’artigianato, un rappresentante degli ordini professionali degli esercenti arti
e professioni nel settore economico, un rappresentante degli ordini professionali degli esercenti arti e professioni nel settore
giuridico, un rappresentante degli ordini professionali degli esercenti arti e professioni nel settore tecnico, un rappresentante
degli ordini professionali degli esercenti arti e professioni nel settore sanitario.
Gli Osservatori provinciali, che operano con le stesse modalità della Commissione, in base al comma 2, dell’art. 1 del
decreto 15 aprile 1999, hanno la funzione di individuare eventuali particolarità o anomalie riguardanti determinate attività
con riferimento a specifiche aree geografiche o economiche, rilevare informazioni utili a migliorare la capacità degli studi a
rappresentare la realtà cui si riferisco no, trasmettere tramite le DRE le informazioni assunte alla Commissione degli esperti.
Gli Osservatori possono, inoltre, individuare particolarità o anomalie che lo studio sulla territorialità non riesce a cogliere,
evidenziare, dall’analisi di casi concreti, situazioni e modalità operative, presenti sul territorio, non rappresentate dallo studio,
rilevare situazioni anche esterne rispetto alle imprese che hanno influito sulla normale attività.
Queste fattispecie non saranno portate all’esame della Commissione nazionale degli esperti ma soltanto comunicate alla
stessa trattandosi di questioni che possono essere risolte a livello locale.
Possono inoltre rilevare informazioni utili a migliorare la capacità degli studi di rappresentare la realtà alla quale si
riferiscono.
Tali informazioni possono riguardare:
§ la corretta classificazione del Comune nell’ambito dei gruppi omogenei individuati con i decreti ministeriali;
§ la determinazione di peculiarità in grado di calibrare la territorialità a livello infracomunale;
§ la presenza, a livello locale, di differenti modelli gestionali d’impresa non rilevati dallo studio di settore;
§ le consuetudini in uso presso i diversi ambiti territoriali in relazione a specifiche attività;
§ gli elementi di marginalità.
§ tutti quegli elementi che solo a livello locale possono essere raccolti e che implicano conseguenze sostanziali sui
risultati economici conseguibili dai soggetti operanti nel territorio.
Le suddette informazioni, poiché incidono sull’applicazione dello studio, saranno sottoposte all’esame della Commissione
attraverso l’invio di una specifica relazione.
44 Tali ricavi o compensi in ogni caso non potevano superare i 5.164.568,99 euro.
45 Non si comprende la ragione per cui la legge non consente di applicare gli studi di settore anche nel caso in cui
l’inattendibilità della contabilità è rilevata d’ufficio visto che la ratio della norma è quella di rilevare, indipendentemente dal
metodo, l’esistenza degli indici attestanti la inattendibilità delle scritture contabili.
14
La legge finanziaria per il 2005, art. 1, commi 409-410, L. 30 dicembre 2004, n. 311, ha
apportato rilevanti modifiche all’art. 10, L. n. 146 del 1998, ampliando notevolmente l’ambito
d’applicazione degli studi di settore.
Le novità riguardano i soggetti in contabilità ordinaria.
Infatti, i contribuenti in contabilità ordinaria, indipendentemente dal fatto se per obbligo o per
opzione (da non dimenticare comunque che sono esclusi dall’applicazione degli studi di settore i
soggetti che presentano ricavi o compensi superiori a 5.164.568,99 euro), saranno oggetto
d’accertamento in base agli studi di settore se per due periodi su tre, anche non consecutivi, tenendo
presente tra questi anche quello da accertare, dichiareranno ricavi o compensi inferiori a quelli
determinati in base agli studi di settore.
E’ evidente, quindi, la scelta di equiparare le regole disciplinanti l’accertamento basato sugli studi
di settore, indipendentemente dal regime contabile adottato.
Altra novità importante dell’ultima legge finanziaria, è la previsione secondo la quale, per le
imprese in contabilità ordinaria per obbligo o opzione, nel caso in cui emergano “significative situazioni di
incoerenza rispetto ad indici di natura economica, finanziaria o patrimoniale, individuati con apposito provvedimento del
direttore dell’Agenzia delle entrate, sentito il parere della Commissione degli esperti”, si potrà procedere ad avviare
una procedura di controllo basata sugli studi di settore, a meno che non presenti ricavi congrui o in
caso contrario non adegui i propri ricavi a quelli previsti dallo studio di settore così da far venir meno
gli effetti dei nuovi indici di coerenza.
In pratica questi indici di coerenza, da non confondere con quelli previsti dalle note
metodologiche di ogni singolo studio di settore, anche se probabilmente avranno un funzionamento
simile a quelli, possono essere considerati come degli importanti indici di irregolarità sostanziale nella
tenuta delle scritture contabili.
Il problema comunque di rinvenire un criterio di tassazione equo, ma nello stesso tempo in
grado di limitare il più possibile l’evasione d’imposta dei soggetti di medio-piccole dimensioni,
ancorandone il prelievo tributario su basi il più possibile aderenti alla realtà, non è proprio solo dello
Stato italiano ma anche di tutti gli altri stati europei ognuno dei quali ha prospettato diverse soluzioni.
Particolarmente significative in merito, sono l’esperienza tedesca, sulla base della quale è
costruita la nostra normativa in materia di studi di settore, e l’esperienza belga nelle quali esistono
strumenti similari agli studi di settore, sia per la costruzione, sia per gli effetti che possono produrre,
consentendo da un lato, di far conoscere in anticipo al contribuente il prelievo tributario che
l’Amministrazione finanziaria si aspetta da lui, dall’altro di essere uno strumento che la stessa
Amministrazione finanziaria può usare come mezzo per ricostruire i ricavi o i compensi percepiti di
quei contribuenti che si discostano dalle loro risultanze.
Differenti invece sono l’esperienze della legislazioni francesi ed israeliane e spagnola.
In Francia esistono le c.d. “monografie settoriali” le quali sono degli strumenti di controllo
costruiti dall’Amministrazione finanziaria sulla base dei dati in suo possesso o forniti dai singoli
contribuenti ad uso esclusivo interno e quindi non conosciuti da parte dei contribuenti, le quali
vengono poste alla base delle ricostruzioni dei redditi operate nel caso di dichiarazioni dei redditi che
contengono valori che si discostano sensibilmente dai “parametri” in esse contenute.
Sostanzialmente differente è l’esperienze israeliana dei tachshiv46, i quali sono degli strumenti di
controllo ad uso esclusivo interno da parte dell’Amministrazione finanziaria ma, a differenza delle
“monografie settoriali”, sono costruiti con la collaborazione delle associazioni di categoria da parte di
soggetti esterni all’Amministrazione finanziaria e sono resi pubblici in modo da consentire ai
contribuenti di sapere preventivamente quali sono i compensi o i ricavi minimi stimati che debbono
dichiarare.
Molto simile alla nostra normativa in tema di coefficienti di congruità e presuntivi di reddito e di
parametri, è la normativa spagnola sulla estimación objetiva47.
Cfr. F. F. Leotta, Elementi di normalità nell’accertamento del reddito e crisi dell’imposizione diretta, cit.
Cfr. Ley de Impuesta sobre la renta de la personas fisicas (IRPF) n. 40/1998, modificata parzialmente dalla L. n. 46 del 2002. V.
M. Leccisotti, Introduzione al Convegno studi “I nuovi studi di settore”, 11 febbraio 2000, Roma, allegato a Il Fisco, n. 25/2000, p. 6.
46
47
15
Il suo funzionamento si basa si i c.d. “modulo” i quali non sono altro che dei documenti che, per
ogni contribuente di ogni settore economico, si preoccupano di individuare gli strumenti, gli elementi e
le caratteristiche fondamentali della sua attività.
Ad ogni modulo viene associato un coefficiente diverso a seconda dell’attività esercitata.
Moltiplicando il modulo per il coefficiente ad esso associato si determina il rendimiento neto anual.
Una volta ottenuto tale valore, si perviene alla definizione del reddito netto sommando al
rendimiento neto anual ciascun modulo.
Il grosso difetto di tale normativa è comunque la eccessiva genericità ed approssimazione dei
singoli “modulo”.
5. CAUSE D ’ESCLUSIONE E CAUSE D ’INAPPLICABILITÀ DEGLI STUDI DI SETTORE
Gli studi di settore, come detto, nonostante tutte le novità ed i correttivi rispetto ai metodi
precedenti di determinazione potenziale dei ricavi o dei compensi percepiti, rimangono pur sempre un
metodo fondato su basi statistiche.
In virtù di ciò, il legislatore si è preoccupato di predeterminare delle situazioni in cui
l’applicazione degli studi di settore porterebbe ad una ricostruzione della realtà non veritiera e forviante,
non essendo in grado di coglierne e valutarne la particolarità.
Si distinguono, a tal proposito, due tipi di situazioni che possono portare alla non applicazione
degli studi di settore: “cause d’esclusione” e “cause d’inapplicabilità”.
Le prime, indicate dall’art. 10, comma 4, L. 8 maggio 1998, n. 146, trovano applicazione
generale per tutti gli studi settore. Inoltre, in virtù del dettato dell’art. 4, comma 1, D.P.R. 31 maggio
1995, n. 195, il verificarsi di una delle cause d’esclusione dell’applicazione degli studi di settore
comporta anche la non applicazione dei parametri.
Le fattispecie rientranti in tali cause sono:
− ricavi di cui all'art. 85, comma 1, esclusi quelli di cui alla lettera c), o compensi di cui all'art. 54,
comma 1, del T.U.I.R. di ammontare superiore al limite stabilito per ciascuno studio di settore dal
relativo decreto di approvazione del Ministro dell’Economia. Tale limite non può, comunque, essere
superiore a 10 miliardi di lire (pari ad euro 5.16459,99).
Tale soglia massima è stata prevista perché tale strumento è stato costruito per la
determinazione dei ricavi e dei compensi potenziali di soggetti di medio-piccole dimensioni e quindi
mal si attaglia ad essere applicato dei confronti di soggetti che iniziano avere dimensioni di una certa
rilevanza.
In ogni caso, si è scelto di non stabilire un limite massimo di ricavi o compensi fisso cui
ancorare la non applicazione degli studi di settore, ma di lasciarlo determinare ad ogni singolo studio,
nella considerazione che ogni settore economico possiede sue peculiari caratteristiche che vanno
distintamente valutate.
− Inizio o cessazione dell’attività nel periodo d’imposta48;
− modifica dell’attività esercitata durante il corso dell’anno, a meno che la nuova attività non
rientra nel medesimo studio di settore della precedente49;
− periodo d’imposta inferiore o superiore a 12 mesi (anche se non coincidente con l’anno solare).
L’esercizio, tuttavia, di una attività a carattere stagionale nell’ambito di un periodo d’imposta
pari a dodici mesi non comporta l’esclusione o l’inapplicabilità degli studi di settore;
La motivazione di tale scelta sta nel fatto che il carattere stagionale dell’esercizio dell’attività
viene preventivamente preso in considerazione nella fase di costruzione degli studi di settore
consentendo di rilevare nei questionari tutti gli elementi da cui si può evincere tale circostanza.
Nel caso in cui i questionari non consentono di rilevare tale circostanza, il contribuente, qualora
può farlo presente fornendone la prova al fine così di una applicazione più reale degli studi di settore50.
La Circ. Min. 110/1996 precisa al punto 6.2 che si considera periodo di cessazione dell’attività anche quello antecedente
alla data di inizio della liquidazione.
49 Cfr. Circ. Min. 148/E del 5 luglio 1999, punto 1.6.
48
16
− Modifiche in corso d’anno della soggettività51;
− determinazione del reddito con criteri di tipo forfetario. Tra i soggetti che determinano il
proprio reddito ricorrendo a tali criteri si ricordano gli esercenti di attività di agriturismo e
allevamento, i contribuenti rientranti nel regime contabile, prima analizzato, c.d. “forfetario” di
cui all’art. 3, commi 171-185, L. 23 dicembre 1996, n. 662;
− incaricati alle vendite a domicilio di cui all'art. 46, L. 11 giugno 1971, n. 426;
− soggetti che decidono di avvalersi del regime fiscale sostitutivo previsto per le nuove iniziative
imprenditoriali di cui all’art. 1, D.L. 1 giugno 1994, n. 357, conv. in L. 8 agosto 1994, n. 489;
− periodo “non normale” di esercizio dell’attività”. Si considerano rientrare in tale concetto i casi
in cui:
− l’impresa è in liquidazione ordinaria, coatta amministrativa, fallimento;
− l’impresa ha mancato di iniziare l’attività produttiva oltre il primo periodo d'imposta per cause
non dipendenti dalla volontà dell'imprenditore, quali la ritardata concessione delle
autorizzazioni amministrative, la preventiva attività di ricerca propedeutica allo svolgimento
dell'attività;
− l’impresa ha interrotto l’attività per un anno al fine di effettuare la ristrutturazione dei locali in
cui avviene l’esercizio dell’attività;
− l’impresa ha sospeso l’attività a condizione che ciò risulti da comunicazione alla Camera di
Commercio;
− per gli esercenti arti e professioni, si è verificata un’interruzione dell’attività a causa di
provvedimenti disciplinari;
− l’imprenditore individuale o la società hanno concesso in affitto l’unica azienda posseduta;
− il contribuente classifica il proprio reddito in una categoria diversa da quella prevista dal quadro
degli elementi contabili (F o G a seconda dello studio di settore), contenuto nel modello per la
comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione dello studio di settore approvato per
l'attività esercitata; tale causa opera sempreché tale possibilità (esercizio in forma di impresa o di
lavoro autonomo) non sia prevista dallo studio stesso. Pertanto, al di fuori degli studi
espressamente individuati, se il contribuente si è classificato in una categoria reddituale diversa,
da quella prevista nello studio, non si applicano né gli studi di settore né i parametri e deve
essere indicato, quale causa di esclusione, il codice “4” – altre cause52 (Circ. Min. 58/E, del 27
giugno 2002, punto 9.1).
Le cause d’inapplicabilità si distinguono dalle cause d’esclusione in quanto non sono stabilite su
base generale per tutti gli studi di settore ma sono previste, da ogni singolo studio, per singole attività
economiche, in considerazione delle particolari caratteristiche che le interessano e che portano ad
esularle dal modello assunto a riferimento durante la costruzione dello studio di settore53.
Inoltre, non si estendono ai parametri trovando quindi applicazione solo nei confronti dei
soggetti agli studi di settore.
Un primo gruppo di cause d’inapplicabilità riguarda società cooperative, società consortili e
consorzi che operano esclusivamente a favore delle imprese socie o associate e società cooperative
costituite da utenti non imprenditori che operano esclusivamente a favore degli utenti stessi. Ciò in
considerazione del fatto che il fine mutualistico che perseguono li fa differenziare dalle società a scopo
di lucro. A tali cause d’inapplicabilità bisogna aggiungere quelle riguardanti le società cooperative
esercitanti attività di trasporto con taxi.
Un secondo gruppo, invece, sono previste per i soggetti operanti nei settori manifatturiero e
commercio.
Cfr. C. Cancellieri, Manuale degli Studi di settore, in Fisco oggi, 2004.
Tra queste vi rientrano il trasferimento o la donazione di azienda, il conferimento di impresa individuale in società, di
trasformazione da società di persone in società di capitali.
52 Cfr. C. Cancellieri, Manuale degli Studi di settore, in Fisco oggi, 2004.
53 Cfr. S. Capolupo, Manuale dell’accertamento delle imposte, II edizione, Ipsoa.
50
51
17
Nel settore manifatturiero causa d’inapplicabilità è la circostanza che l’attività sia svolta
attraverso l’utilizzo di più punti di produzione e di vendita in locali non contigui a quello di produzione.
Nel settore del commercio ed in quello servizi, invece, l’inapplicabilità dello studio di settore si
ha, nel primo caso, quando l’attività è svolta attraverso l’utilizzo di più punti vendita, mentre nel
secondo, se è svolta attraverso l’utilizzo di più punti di produzione54.
Gli studi di settore non si applicano infine, nel caso di esercizio di due o più attività d’impresa,
non rientranti nel medesimo studio di settore, se l’importo complessivo dei ricavi dichiarati relativi alle
attività non prevalenti supera il 20% dell’ammontare totale dei ricavi dichiarati, qualora non sia stata
tenuta separata annotazione55.
Tuttavia, la disciplina delle cause d’inapplicabilità trova applicazione fatte salve le norme
previste in tema di annotazione separata.
6. IMPRESE MULTIPUNTO E MULTIATTIVITÀ: ANNOTAZIONE SEPARATA DEI COMPONENTI
RILEVANTI AI FINI DELL’APPLICAZIONE DEGLI STUDI DI SETTO RE
Inizialmente, l’esercizio di più attività o l’esercizio di un’attività in più punti di produzione o di
vendita non era stata presa in considerazione nella costruzione degli studi di settore e ciò aveva
comportato la sostanziale non applicazione di essi e di conseguenza l’assoggettamento di tali soggetti
alla disciplina dei parametri.
Il legislatore, quindi, al fine di ampliare la platea dei soggetti sottoposti agli studi di settore ha
stabilito con l’art. 10, comma 8, L. n. 146 del 1998 che “con i decreti di approvazione degli studi di settore
possono essere stabiliti criteri e modalità di annotazione separata dei componenti negativi e positivi di reddito rilevanti ai
fini dell'applicazione degli studi stessi nei confronti dei soggetti che esercitano più attività”.
In attuazione a tale norma, è stato emanato il Decreto del Direttore generale del Dipartimento
delle Entrate 24 dicembre 1999 il quale, a partire dall’anno d’imposta 2000, ha eliminato quelle che
precedentemente erano cause d’inapplicabilità degli studi di settore, prevedendo, in primo luogo, che i
contribuenti che esercitano due o più attività di impresa (imprese c.d. “multiattività”), ovvero una o più
attività in diverse unità di produzione o di vendita (imprese c.d. “multipunto”), nei confronti dei quali
trovano applicazione gli studi di settore, devono annotare separatamente i ricavi relativi alle diverse
attività esercitate ovvero alle diverse unità produttive o di vendita.
Successivamente il legislatore, con il D.M. 25 marzo 2002, ha stabilito le modalità che le imprese
“multipunto” e “multiattività”, a partire dal 2001, devono seguire per l’applicazione degli studi di
settore, vale a dire i criteri per verificare il proprio rapporto con la congruità e la coerenza.
A tal fine l’art. 1, comma 4 di tale norma dispone che tali imprese, per l’applicazione degli studi
di settore devono indicare, separatamente, i ricavi relativi alle diverse attività esercitate ovvero alle
diverse unità di produzione o di vendita, attribuire alle diverse attività esercitate ovvero alle diverse,
unità di produzione o di vendita, i componenti direttamente afferenti e quelli promiscui ripartiti in base
al criterio di prevalenza nell’utilizzo, indicare, in maniera indistinta, i dati del personale e quelli contabili
che non è possibile ripartire tra le diverse attività esercitate ovvero tra le diverse unità di produzione o
di vendita. L'attribuzione di tali componenti alle singole attività o alle singole unità di produzione o di
vendita è effettuata in via automatica dal programma informatico realizzato in base alle disposizioni
approvate con il presente decreto.
E’ previsto che ad essere annotati separatamente sono i ricavi relativi alle diverse attività
esercitate ovvero alle diverse unità produttive o di vendita e gli altri componenti contabili56 ed
extracontabili57, ad eccezione di quelli ad uso promiscuo.
L’applicazione delle cause d’inapplicabilità rientranti in questo secondo gruppo, viene meno nel caso in cui la presenza di
più punti di produzione o di vendita è una caratteristica dell’attività esercitata. Si vedano, tra gli altri, gli studi di settore con
codice SG69U, SG40U, TM03A. Cfr. Circ. Min. 31/E, del 25 febbraio 2000.
55 Nel qual caso trova applicazione il per tale attività lo studio di settore corrispondente.
56 Tra questi il numero, ad esempio, delle giornate retribuite ed il costo del venduto.
57 A titolo esemplificativo, si ricordano, tipologia della clientela, superficie dei locali, caratteristiche dei beni strumentali.
54
18
Si precisa che obbligo dell’annotazione separata dei ricavi sussiste indipendentemente dalla
verifica del superamento del limite del 20% dei ricavi riferiti all’attività non prevalente rispetto a quelli
complessivi del periodo.
Con riferimento agli altri componenti contabili ed extracontabili, invece, l’art. 1, commi 2 e 3,
del Decreto del Direttore generale del Dipartimento delle Entrate 24 dicembre 1999, dispongono che “i
contribuenti che esercitano l’attività in più unità di produzione o di vendita, nei confronti dei quali trovano applicazione
gli studi di settore, annotano separatamente, per ciascuna unità di produzione o di vendita, i componenti rilevanti ai fini
dell’applicazione del relativo studio di settore. Per il primo periodo d’imposta in cui trovano applicazione le disposizioni
del presente decreto, l’obbligo di annotazione può essere assolto con la sola separata indicazione dei predetti componenti in
sede di dichiarazione dei redditi.
I contribuenti che esercitano due o più attività d’impresa non rientranti nel medesimo studio di
settore, nei confronti dei quali trovano applicazione gli studi di settore, annotano separatamente i
componenti direttamente afferenti ciascuna attività e rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi stessi
se l’importo dei ricavi conseguiti nel periodo d’imposta precedente relativo alle attività non prevalenti è
superiore al 20% dell’ammontare complessivo dei ricavi conseguiti nello stesso periodo. Se l’obbligo
della predetta annotazione separata non sussiste con riferimento ai ricavi relativi al periodo d’imposta
precedente e risulta, invece, al termine del periodo d’imposta di applicazione dello studio di settore,
l’indicazione separata dei componenti può essere effettuata in sede di dichiarazione dei redditi”.
La circolare 31/E, del 25 febbraio 2000, precisa che, nel caso di imprese contemporaneamente
“multipunto” e “multiattività” (a condizione che per tutte le attività gli studi risultino approvati), per
assolvere all’obbligo dell’annotazione separata, devono, in primo luogo, procedere all’annotazione
separata con riferimento ai diversi punti di produzione o vendita ed all’interno di ciascun punto,
successivamente, devono annotare separatamente i ricavi, riferiti alle diverse attività svolte, e
provvedere alla annotazione separata degli altri componenti, solo se l’importo dei ricavi (conseguito nel
periodo di imposta precedente in quel punto di produzione o vendita) relativo alle attività non
prevalenti, è superiore al 20% dell’ammontare dei ricavi complessivi, conseguiti nello stesso punto58.
Le imprese “multiattvità” e “multipunto”, nel caso in cui effettuino passaggi interni di beni o
servizi da un’attività all’altra o da un puntovendita o di produzione all’altro, non hanno l’obbligo di
rilevare l’operazione. Tuttavia, effettuare tale operazione consente di realizzare un’applicazione degli
studi di settore più corretta e più aderente alla realtà, soprattutto nel caso in cui le attività interessate
sono diverse tra loro ed hanno degli indici di ricarico differenti.
In virtù di tali disposizioni, risulta evidente come il legislatore abbia voluto estendere l’ambito di
applicazione degli studi di settore all’insieme delle attività esercitate dal contribuente.
E’ importante, comunque, specificare che non devono essere indicati distintamente i beni ed i
servizi a destinazione promiscua comuni ai diversi punti di produzione o vendita. Sarà GE.RI.CO. a
provvedere a tale operazione attraverso determinati calcoli previsti dal programma 59.
Per il primo anno di applicazione dello studio di settore, l’obbligo viene assolto compilando, in
sede di dichiarazione dei redditi, i modelli “M”, relativo alla composizione dei ricavi ed “N” relativo ai
dati contabili e del personale ad utilizzazione promiscua. Per gli anni successivi, l’annotazione separata
va fatta in contabilità.
L’art. 3, D.M. 25 marzo 2000, esclude dall’applicazione dei criteri previsti per l’annotazione
separata i soggetti che:
− dichiarano ricavi di cui all'art. 53, comma 1, esclusi quelli di cui alla lettera c) del T.U.I.R. di
ammontare superiore a € 5.164.569;
− svolgono attività o utilizzano unità di produzione o vendita che comportano la compilazione di
più di dieci modelli per l’applicazione degli studi di settore;
− esercitano due o più attività d'impresa, che rientrano in studi diversi, nel caso in cui i ricavi,
relativi alle attività non prevalenti, non siano superiori al 20% dell’ammontare complessivo dei ricavi
conseguiti nel periodo di imposta;
58
59
Cfr. C. Cancellieri, Manuale degli Studi di settore, in Fisco oggi, 2004.
Cfr. S. Capolupo, Manuale dell’accertamento delle imposte, II edizione, Ipsoa.
19
− esercitano esclusivamente una attività in diverse unità per la quale il decreto di approvazione
non prevede cause di inapplicabilità connesse a tale motivazione;
− esercitano due o più attività di impresa ovvero una attività di impresa in diverse unità di
produzione o vendita e si avvalgono, o intendono avvalersi del regime delle attività “marginali” ex art.
14, L. 388 del 2000. Tali contribuenti determinano l’ammontare complessivo dei ricavi in base allo
studio relativo all’attività prevalente;
− hanno conseguito ricavi inferiori a € 51.645 ed operano in comuni con popolazione inferiore a 3
mila abitanti e hanno scelto di non effettuare annotazioni separate.
Ai soggetti di cui ai numeri 1), 2) e 6) non si applicano né gli studi di settore né i parametri,
mentre nelle ipotesi di cui alle lettere 3), 4) ed 5) si applicano gli studi di settore relativi all’attività
prevalente, tenendo conto, per i contribuenti di cui alla lettera e), delle riduzioni indicate nel
provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 2 gennaio 2002 o dei limiti di reddito previsti, per le
attività in esso indicate, dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 22 aprile 200560.
Sempre l’art. 3, D.M. 25 marzo 2000, esclude dall’applicazione dei criteri previsti per
l’annotazione separata i soggetti che sono interessati da una delle seguenti situazioni, anche se la stessa è
relativa a una sola delle attività svolte o se opera soltanto all'interno di una delle unità di produzione o
di vendita:
− sussistenza di una causa di esclusione di cui all'art. 10, L 8 maggio 1998, n. 146;
− presenza di una o più attività a cui non risultano applicabili gli studi di settore (fatta eccezione
per le attività di vendita di generi soggetti ad aggio o ricavo fisso) se i ricavi conseguiti da tali attività
siano superiori al 20% dell’ammontare complessivo dei ricavi conseguiti;
− esercizio di più attività, che non rientrano nello stesso studio, nel caso in cui, per ognuno degli
studi applicabili al contribuente, l'importo dei ricavi conseguiti sia non superiore al 20% dei ricavi
complessivi.
In caso di più attività svolte all'interno di più unità di produzione o vendita, per la verifica del
limite del 20%, occorre fare riferimento ai ricavi conseguiti nella medesima unità.
Per i contribuenti che si trovano nelle condizioni previste nei punti 1 e 3, non si applicano né gli
studi di settore né i parametri; nell'ipotesi di cui al punto 2, si applicano i parametri relativi all'attività
prevalente61.
L’obbligo d’annotazione non sussiste62:
− in caso di attività plurime, quando le diverse attività sono ricomprese nel medesimo studio di
settore;
− quando la presenza di più punti di produzione o di vendita costituisce una caratteristica
dell’attività esercitata;
− nel caso in cui sussistano obiettive difficoltà nel distinguere i ricavi derivanti dalle diverse attività
o quelli realizzati nei diversi luoghi d’esercizio dell’attività63.
Con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 15 giugno 2001, l’obbligo
dell’annotazione separata è stato tra sformato in facoltà:
− per le imprese che conseguono un ammontare di ricavi non superiore a € 51.645,6964;
− nel caso in cui l’attività è svolta in Comuni con meno di 3.000 abitanti65.
Cfr. C. Cancellieri, Manuale degli Studi di settore, in Fisco oggi, 2004.
Cfr. C. Cancellieri, Manuale degli Studi di settore, in Fisco oggi, 2004.
62 Cfr. Circ. 31/E del 25 febbraio 2000.
63 Ad es., nei casi di cessione di beni in parte acquistati per la produzione ed in parte per la rivendita e nel caso di ricavi
realizzati dall’imprenditore esercente attività di riparazioni meccaniche.
64 La Circ. Min. 111/E del 6 luglio 2001, nel caso di cessione di beni soggetti ad aggio o a ricavo fisso, prevede che “i ricavi
derivanti dall’attività per le quali si percepiscono aggi o ricavi fissi vanno sempre considerati per l’entità dell’aggio percepito e del ricavo netto del
prezzo corrisposto al fornitore dei beni indipendentemente dalle modalità con le quali i predetti ricavi sono stati contabilizzati”.
65 Ai fini della verifica di tale limite, si deve fare riferimento alla popolazione residente nel comune all’uno gennaio dell’anno
antecedente a quello in cui è stato approvato il modello per la presentazione dei redditi. Se l’attività è esercitata in più punti
di produzione o di vendita, basta che uno solo di essi si trovi in uno di tali comuni.
60
61
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Nell’allegato 1 del D.M. 25 marzo 2000 sono riportati i criteri che l’applicazione degli studi di
settore nel caso di annotazione separata.
In generale essi sono:
− neutralizzazione delle componenti promiscue, annotate in maniera indistinta, relative ad attività
di vendita di generi soggetti ad aggio e/o ricavo fisso;
− ripartizione delle componenti promiscue, annotate in maniera indistinta, ed attribuzione delle
relative quote parti alle singole attività o unità;
− analisi della congruità e della coerenza66.
E’ importante, inoltre, il rilievo secondo cui l’obbligo di annotazione separata dei ricavi riguarda
solo le attività per le quali trovano applicazione gli studi di settore.
In virtù di ciò, nel caso presenza di attività per le quali non sono stati approvati gli studi di
settore, “l’obbligo d’annotazione separata non sussiste, e quindi, qualora insista una causa
d’inapplicabilità, il contribuente sarà soggetto ai parametri”67.
L’obbligo dell’annotazione separata permane nel caso di ricavi derivanti dall’esercizio di attività
di vendita di beni soggetti ad aggio o a ricavo fisso68, salvo che tali ricavi siano al di sotto del 20% dei
ricavi complessivi, o da affitto di ramo d’azienda69.
Importanti novità sono state introdotte con UNICO 2005.
Con i DD.MM. 17 e 24 marzo 2005 sono stati sottoposti a revisione ben 83 studi di settore, i
quali, alla fine, attraverso un loro accorpamento sono stati ridotti a 59 e sono ne stati creati 2 nuovi70.
Si è passati quindi da 228 studi di settore, applicabili fino allo scorso anno, a 206 studi di settore
applicabili in UNICO 2005.
Come sottolineato, tra l’altro nella circolare 21 giugno 2005, n. 32/E, si è cercato di ridurre il
numero degli studi di settore per le imprese che svolgono più attività simili per le quali in precedenza
vigevano studi di settore diversi, con l’obiettivo di uno sostanziale semplificazione degli adempimenti
cui sono tenuti e dell’applicazione della relativa normativa.
Ma le novità non riguardano solo le imprese “multiattività” ma anche le imprese “multipunto”.
Infatti, tutti gli studi evoluti71, applicabili dal periodo d’imposta 2004, approvati con i citati
DD.MM. 17 e 24 marzo 2005, alle imprese che esercitano la propria attività in più punti di produzione
o di vendita.
Risulta evidente l’effetto di tali novità, vale a dire una drastica riduzione dei soggetti tenuti
all’obbligo dell’ annotazione separata.
Da ricordare, infine, il dettato del D.M. 19 maggio 2005, il quale ha esteso alle attività rientranti
nei citati studi di settore approvati a decorrere dal periodo d’imposta 2004, i criteri, previsti dal D.M 25
marzo 2002, per l’applicazione degli studi di settore ai contribuenti che esercitano due o più attività di
impresa, ovvero una o più attività in diverse unità di produzione o di vendita.
Per l’analisi dei singoli criteri si rimanda al testo del decreto ministeriale.
Cfr. C. Cancellieri, Manuale degli Studi di settore, in Fisco oggi, 2004.
68 Per tali tipo di attività non è prevista l’elaborazione di studi di settore in quanto i ricavi sono determinati in misura certa.
Nella Circ. Min. 31/E, del 25 febbraio 2000, sono esemplificate le attività da cui derivano ricavi fisi o aggi:
⇒ vendita di valori bollati, generi di monopolio, biglietti della lotteria, gratta e vinci;
⇒ vendita di schede telefoniche, abbonamenti, biglietti e tessere per trasporti pubblici, viacard, tessere e biglietti per
parch eggi;
⇒ gestione di concessionarie del gioco del lotto, superenalotto;
⇒ gestione di ricevitorie totocalcio, totogol, totosei e totip.
69 Risulta impossibile costruire modelli statistici-matematici in grado di determinare l’ammontare dei ricavi derivanti
dall’affitto di un ramo d’azienda.
70 Essi sono: SK29U, per i geologi e SG96U, per le altre attività di manutenzione stradale.
71 Gli studi evoluti sono quelli contrassegnati dalla lettera “T” al primo posto della codifica.
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7. STUDI DI SETTORE E CONTRIBUENTI MARGINALI
Disposizioni particolari sono previste per i contribuenti che decidono di avvalersi del regime
fiscale agevolato per le attività d’impresa e di lavoro autonomo disciplinato dall’art. 14, L. 23 dicembre
2000, n. 38872.
L’art. 14, comma 2, 1° periodo, dispone che “ai fini dell'applicazione delle disposizioni
contenute nel presente articolo per ricavi e compensi si intendono i ricavi e i compensi minimi di
riferimento determinati in base all'applicazione, degli studi di settore dopo aver normalizzato la
posizione del contribuente tenendo conto delle peculiarità delle situazioni di marginalità, anche in
riferimento agli indici di coerenza economica che caratterizzano il contribuente stesso”.
In attuazione di tale disposizione, è stato emanato il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia
delle Entrate, datato 2 gennaio 2002, il quale, proprio in considerazione delle situazioni di marginalità73,
in aggiunta alle altre agevolazioni previste74, con il quale sono state previste percentuali di riduzione dei
ricavi e dei compensi così come previsti dagli studi di settore.
In particolare è prevista, in primo luogo, una riduzione del 6% dei ricavi e dei compensi minimi
determinati secondo gli studi di settore, per tutti i contribuenti che hanno scelto di avvalersi del regime
fiscale per le attività marginali, considerato indice di marginalità visto i ricavi ed i compensi di bassa
entità.
Una ulteriore riduzione del 4% è prevista nel caso in cui l’attività viene esercitata unità locali
situate esclusivamente in comuni appartenenti all’area individuata dal gruppo 5 della territorialità
generale, approvata con D.M. 30 marzo 199975.
Infine, una riduzione del 5% è concessa ai contribuenti che abbiano compiuto il sessantesimo
anno di età, in quanto il progredire dell’età fa diminuire efficienza produttiva nello svolgimento
dell'attività lavorativa.
Per i contribuenti marginali, che esercitano più attività o l’attività in più punti di produzione o di
vendita, non trova applicazione il Decreto del Direttore generale del Dipartimento delle Entrate 24
dicembre 1999, in base al quale è previsto l’obbligo d’annotazione separata dei componenti rilevanti ai
fini dell’applicazione degli studi di settore.
Infatti, l’art. 3, comma 1, lett. e), 2° periodo, del D.M. 25 marzo 2002, dispone che tali soggetti
determinano l’ammontare complessivo dei ricavi in base all’applicazione dello studio di settore relativo
all’attività prevalente. Tutto ciò in quanto, imporre a questa categoria di contribuenti l’obbligo
dell’annotazione separata, sarebbe stato in contrasto con le varie semplificazioni concesse dalla
normativa disciplinante il regime per le attività marginali.
Novità importanti, tuttavia, riguardano i 61 studi di settore in vigore dal periodo d’imposta
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2004 approvati con i DD.MM. 17 e 24 marzo 2005.
Infatti, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 22 aprile 2005 sono stati
stabiliti i limiti dei ricavi o dei compensi per usufruire del regime agevolato in questione.
Come affermato tra l’altro nella circolare 21 giugno 2005, n. 32, punto 2.13, all’interno del
software Ge.Ri.Co. Marginali 2005, si trova una funzione specifica attraverso la quale si può verificare
l’entità dei ricavi determinati tenendo conto delle predette riduzioni ed accertare se il singolo soggetto
rientra o meno nel regime agevolato in questione.
Michelangelo Spataro
Dottorando di ricerca in Diritto Tributario e Finanziario
presso l’Università di Barcellona
Regime fiscali per le attività marginali. V. cap. 1, pp. 46-47.
Tali condizioni di marginalità, sono individuate nelle oggettive condizioni di svolgimento dell’attività, nel contesto socio
economico in cui si opera e nelle condizioni soggettive dell’imprenditore e del lavoratore autonomo.
74 Le altre agevolazioni, come si già detto nel capitolo precedente, sono l’attività di tutoraggio, le semplificazioni contabili e
la possibilità di poter pagare un’imposta sostitutiva dell’IRFEF (ora IRE).
75 L’area 5 è quella che viene descritta come area di marcata arretratezza economica, basso livello di benessere e scolarità e
poco sviluppata.
76 Di questi 59, costituiscono revisione di 83 studi precedentemente in vigore, 2 invece sono di nuovi.
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