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CONFIMI
19 dicembre 2016
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INDICE
CONFIMI
17/12/2016 Corriere dell'Umbria
IL PRESIDENTE CONFIMI INCONTRA LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE
7
19/12/2016 L'Arena di Verona
Il settore lapideo in lieve ripresa grazie all'export
8
17/12/2016 L'Arena di Verona
Accordo Api-sindacati per detassare i premi
9
19/12/2016 La Voce di Mantova
La Belleli riparte dagli impianti nucleari
10
17/12/2016 Quotidiano del Molise
Appalti, Acem rinnova convenzione banca dati
11
CONFIMI WEB
16/12/2016 termolionline.it 17:43
Banca dati appalti gratis per imprese associate all'Acem: rinnovato il servizio
13
SCENARIO ECONOMIA
18/12/2016 Corriere della Sera - Nazionale
«Nessuna trattativa con Vivendi, dai francesi una scalata ostile»
15
18/12/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Le mosse in Borsa di Bolloré e il precedente della multa per l'«attacco» a Premafin
16
18/12/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Banche, il governo pronto a chiedere 15 miliardi
18
17/12/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Generali alla partita francese Le voci spingono il titolo
20
17/12/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Mps, persi 20 miliardi di raccolta Governo pronto a varare il decreto
22
19/12/2016 Corriere Economia
Essere alla periferia delle grandi aziende è il vero declino
23
19/12/2016 Corriere Economia
Protezionismo e meno tasse: il nuovo mondo nel segno di Trump
24
19/12/2016 Corriere Economia
Monete, quel derby tra Yellen e Draghi
26
19/12/2016 Corriere Economia
Buoni propositi: disinnescare il fiscal compact
28
19/12/2016 Corriere Economia
Ue Venti di instabilità La trincea è sempre il Qe
29
19/12/2016 Corriere Economia
Italia più competitiva? Perché l'Europa è ferma
31
19/12/2016 Il Sole 24 Ore
Corsa all'attuazione per la legge di Bilancio: 34 decreti in tre mesi
32
19/12/2016 Il Sole 24 Ore
Una platea orfana di strategie anti-crisi
35
19/12/2016 Il Sole 24 Ore
«Pubblico», troppe promesse mancate
36
18/12/2016 Il Sole 24 Ore
«Per ricostruire priorità imprese»
37
18/12/2016 Il Sole 24 Ore
Sei tipi di intervento nel «piano banche»
39
18/12/2016 Il Sole 24 Ore
Mps, corsa per l'aumento da 5 miliardi
41
19/12/2016 La Repubblica - Nazionale
Quattro giorni per salvare Montepaschi
43
18/12/2016 La Repubblica - Nazionale
Confalonieri: "L'Italia reagisca a Vivendi Su Mediaset in gioco l'interesse
nazionale"
44
18/12/2016 La Repubblica - Nazionale
Pesenti con Edison punta ai clienti gas di Eni
46
18/12/2016 La Repubblica - Nazionale
Almaviva, vertenza chiusa 2.500 licenziamenti a Natale Sindacati: "Senza
precedenti"
47
18/12/2016 La Repubblica - Nazionale
A Siena si corre il Palio più duro Domani l'aumento da 5 miliardi
49
17/12/2016 La Repubblica - Nazionale
Bolloré, un summit con Berlusconi
50
17/12/2016 La Repubblica - Nazionale
Etruria, soldi anche a società fantasma in 22 sotto accusa per bancarotta
51
17/12/2016 La Repubblica - Nazionale
Tangenti elicotteri processo da rifare a Orsi, ex ad di Finmeccanica
52
17/12/2016 La Repubblica - Nazionale
E a Milano in tredicimila costretti a saltare la cena "Pasti solo in mensa"
53
17/12/2016 La Repubblica - Nazionale
A Bari "trattamento di favore" per il presidente di Confindustria
55
17/12/2016 La Repubblica - Nazionale
I giudici del Consiglio di Stato "La riforma va sospesa"
56
17/12/2016 La Repubblica - Nazionale
Aumento Mps, arriva l'ok Consob la Bce dà l'allarme: liquidità limitata
57
17/12/2016 La Repubblica - Nazionale
Etihad si allea con Lufthansa rischia l'intesa Alitalia-Air France
58
19/12/2016 La Repubblica - Affari Finanza
QUANDO VALE LA PENA MORIRE PER DANZICA
59
19/12/2016 La Repubblica - Affari Finanza
Montepaschi e gli errori delle politiche europee
60
19/12/2016 La Repubblica - Affari Finanza
I nuovi padroni del risparmio italiano
62
18/12/2016 L'Espresso
La tivù secondo Mr Netflix
65
18/12/2016 L'Espresso
Salto con casta
68
18/12/2016 L'Espresso
Gli oligarchi del pallone
71
18/12/2016 La Stampa - Nazionale
Mediaset gela Vivendi "Non c'è alcuna trattativa"
73
18/12/2016 La Stampa - Nazionale
Dal primo gennaio sparisce la mobilità Ai disoccupati resta solo l'assegno Naspi
75
17/12/2016 La Stampa - Nazionale
Vivendi a colloquio da Mediaset I vertici incontrano Berlusconi jr
76
18/12/2016 Il Messaggero - Nazionale
Piano Alitalia fermo sulla pista
77
17/12/2016 Il Messaggero - Nazionale
Mps, la raccolta cala di altri 6 miliardi
79
SCENARIO PMI
19/12/2016 Il Sole 24 Ore
Produttività, come integrare le intese
82
18/12/2016 Il Sole 24 Ore
Piano Juncker, attivati 21 miliardi
84
19/12/2016 La Repubblica - Affari Finanza
Boom di "grane", tutela legale asset necessario
85
17/12/2016 Il Messaggero - Frosinone
Klopman, i francesi visitano lo stabilimento
86
17/12/2016 Milano Finanza
La crisi si batte insieme
87
19/12/2016 ItaliaOggi Sette
Tariffe scontate a eco-imprese
88
18/12/2016 Harvard Business Review Italia
MAPPARE LE ECONOMIE DI FRONTIERA / 1
90
18/12/2016 Harvard Business Review Italia
MAPPARE LE ECONOMIE DI FRONTIERA / 2
96
18/12/2016 Harvard Business Review Italia
Mappare le economie di frontiera
97
CONFIMI
5 articoli
17/12/2016
Pag. 11
diffusione:11009
tiratura:21316
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MANIFATTURIERO
IL PRESIDENTE CONFIMI INCONTRA LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE
A PERUGIA L'apertura di un tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico, la riduzione del costo del
lavoro, le politiche europee sul credito e lo stop alla delocalizzazione delle produzioni italiane. Questi i punti
cardini intorno a cui ha ruotato il partecipatissimo incontro di ieri, fra i rappresentanti delle Piccole e Medie
Imprese dell'Umbria ed il presidente di Confimi Industria Nazionale Paolo Agnelli. L'incontro si è svolto ieri
presso l'Hotel "Deco" all'interno della sala "Jazz", per l'occasione affollata di imprenditori, dove il Presidente
di Apmi Umbria - Confimi Industria Mauro Orsini ha dato il benvenuto al presidente Paolo Agnelli e al
direttore generale di Confimi industria Fabio Ramaioli. L'incontro si è aperto con la lettura di una lunga
lettera che Confimi Industria ha inviato al nuovo presidente del consiglio Paolo Gentiloni, in cui con
determinazione si è rimarcata la necessità di aprire un confronto fra le istituzioni ed il sistema
manifatturiero, "noi con forza chiediamo si legge nel documento - l'apertura di un tavolo per le migliaia di
piccole e medie imprese senza nome che rappresentano il vero sistema industriale italiano" ed ancora
"troppo spesso nel silenzio dei media e delle istituzioni, assistiamo alla chiusura di migliaia di micro, piccole
e medie imprese. Aziende che danno lavoro a milioni di persone. Noi intercettiamo il malessere di tutte
quelle realtà che complessivamente rappresentano numeri elevatissimi in termini di occupazione e tenuta
del tessuto economico e sociale dei territori, ma la politica in generale sembra puntare su altre risorse per
sollevare l'Italia e per abbassare la disoccupazione". B
CONFIMI - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
7
19/12/2016
Pag. 21
diffusione:32355
tiratura:41723
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ECONOMIA E LAVORO. Consorzio marmisti
Il settore lapideo in lieve ripresa grazie all'export
«Puntiamo su nuovi mercati in Nord Europa e in Indonesia»
La cena sociale offerta dal Consorzio Marmisti ai soci è stata l'occasione per un confronto sul settore.
Erano presenti, oltre al presidente Renato Dal Corso, tutto il cda del Consorzio Valdipan, il sindaco Arturo
Alberti, con il vice sindaco Plinio Menegalli e Gianni Avesani consigliere delegato alle attività produttive,
Luciano Veronesi direttore Api, Filiberto Semenzin responsabile del Centro Servizi Marmi, Elena Amadini in
rappresentanza della fiera Marmomacchine e molti giovani, di seconda e terza generazione, che hanno
scelto di investire nelle aziende di famiglia.Il presidente Dal Corso ha detto: «Il tema della serata sono i
percorsi futuri». Ha invitato a «cavalcare il cambiamento e a lavorare insieme». Il sindaco Alberti ha
aggiunto: «Il territorio è nostro e dobbiamo esserne protagonisti. Rialziamo la testa, abbiamo molte forze
giovani, non siamo in zona depressa». Ha poi annunciato che per il 2017 l'amministrazione toglierà la sua
quota di Imu sui capannoni, che passerà dall' 8,1 al 7,6 per mille.Il presidente Semenzin ha caldeggiato «la
partecipazione di tutte le imprese al Centro Servizi Marmo», che ha depositato il nuovo marchio «Verona
Stone District» a disposizione gratuitamente delle imprese del lapideo.Elena Amadini, vice direttrice
commerciale di Marmomacc, ha ricordato il successo della manifestazione 2016 e delle attività
promozionali all'estero. «L'unione fa la forza», ha sottolineato Federica Zanini che guida il gruppo giovani
imprenditori del Consorzio. Daniele Maccari, responsabile Api giovani, ha auspicato «maggiore
collaborazione e dialogo tra imprese e associazioni di categoria». Renato Dal Corso: «Siamo imprese del
manifatturiero, medio-piccole e vogliamo salvare il nostro patrimonio aziendale. Questo comporta
competitività, innovazione degli impianti e mantenere le forze lavoro. Impegno non facile». L'attività del
settore lapideo è in modesta ripresa. Conferma Dal Corso: «Le aziende che lavorano gli agglomerati hanno
un discreto giro. Buona l'esportazione verso gli Usa. Il futuro sta nel lavorare per l'estero. Puntiamo a
mercati nuovi, ad esempio Nord ed Est Europa, Cina ed Indonesia. Per ora ci dobbiamo accontentare di
piccole commesse».A.SC.
CONFIMI - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
8
17/12/2016
Pag. 9
diffusione:32355
tiratura:41723
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CONTRATTAZIONE. Agevolazione fiscale sulle retribuzioni di risultato
Accordo Api -sindacati per detassare i premi
Della Bella: «Ora il dialogo deve essere più incisivo» Intesa analoga raggiunta in estate da Confindustria
Anche le Pmi di Apindustria Verona hanno siglato con i sindacati l'accordo per applicare la detassazione
alle retribuzioni di risultato dei dipendenti. Al tavolo, il presidente Renato Della Bella e i segretari provinciali
di Cgil, Cisl e Uil, Michele Corso, Massimo Castellani e Lucia Perina.Intesa analoga, che si uniforma alle
previsioni della legge di Stabilità 2016 e del decreto del ministro del Lavoro di concerto con il ministro
dell'Economia del 25 marzo 2016, in tema di agevolazione fiscale dei premi di risultato e di welfare
contrattuale, era stata sottoscritta tra sindacati e imprese aderenti a Confindustria in estate.Una volta
applicato, l'accordo consentirà di introdurre sistemi di incentivazione della produttività anche nelle aziende
in cui non c'è presenza diretta dei sindacati e garantirà la possibilità di definire un secondo livello
contrattuale. Tra i punti previsti, la costituzione di un comitato provinciale, espressione di Apindustria per i
datori di lavoro del sistema Confimi, cui l'associazione imprenditoriale aderisce, e i sindacati.«Si è fatto un
passo importante nella giusta direzione», esordisce Della Bella. «Ora che la detassazione è diventata
strutturale dobbiamo cogliere tutte le opportunità per incrementare il salario di produttività, che premia i
lavoratori per i loro sforzi e rafforza lo spirito di squadra nelle aziende». Della Bella confida «che la
prossima legge di Stabilità, che il governo Gentiloni affronterà, amplifichi i margini e i valori della
detassazione, anche per recuperare il gap con altri Paesi europei». In particolare, «mi auguro», commenta
Della Bella, «che questo accordo sia di buon auspicio per un dialogo più incisivo con i sindacati del
territorio».Soddisfatti anche i sindacati. «Quello raggiunto», dice Corso, « potrebbe essere il primo obiettivo
verso lo sviluppo della contrattazione di secondo livello e per il riconoscimento dell'apporto del lavoratore
alle sorti dell'impresa: il successo aziendale dipende da qualità e condizioni di lavoro».«Importante»,
evidenzia Castellani, «l'opzione che demanda ai lavoratori la possibilità di trasformare il premio monetario
in beni e servizi di welfare». Per la Uil, Lucia Perina confida che l'intesa costituisca la tappa di un confronto
più serrato con le rappresentanze delle Pmi: «I premi di risultato sono alla base di un sistema incentivante
che pratichiamo dalla fine degli anni Ottanta. Ora il legislatore giustamente li sostiene con agevolazioni
fiscali mirate».Va.Za.© RIPRODUZIONE RISERVATA
CONFIMI - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
9
19/12/2016
Pag. 6
diffusione:9000
La Belleli riparte dagli impianti nucleari
La proprietà Walter Tosto si è presentata alla città promettendo di rilanciare l'azienda
Roberto Baschè
M A N TOVA La prima Belleli aveva scommesso sulla costruzione di centrali nucleari, ma il piano fu
azzerato dal referendum del 1987 e da lì la caduta. Dopo la prima Belleli, giunse la seconda a direzione
statunitense che puntò sul petrolio, poi il crollo dei prezzi ha ridimensionato la nuova vocazione produttiva e
ora, che è nata la terza Belleli a guida Tosto, si ritorna a produrre parti di centrali nucleari innovative a cui è
stato vocato l'impianto di Mantova. Così riparte Belleli 3.0 a indicare la terza risorgenza dell'impresa come è
stato spiegato ieri, quando è stato aperto lo stabilimento ai visitatori. L'evento ha inaugurato l'av vio, come
soggetto giuridico autonomo, sotto la guida della proprietà "Walter Tosto spa" e la gestione
dell'amministrato re delegato Paolo Fedeli in sieme ai consiglieri del Cda, Giacomo Fossataro e Luca
Pierfelice . Era presente la famiglia acquirente dal padre Walter Tosto , il patriarca fondatore della società e
presidente attuale, con lui la moglie, il figlio Luca come amministratore delegato e le figlie Catia ed
Emanuela con le rispettive famiglie. Un enorme capannone è stato trasformato in spazio meeting con tanto
di tappeti, mostra fotografica, un mega salotto e area gioco per i figli degli invitati. Poi il "tun nel", uno
spazio dedicato a una proiezione a tre pareti sul rapporto tra la l'arte del produrre e l'arte della città antica.
Poi la visita agli impianti con un trenino che si immergeva in una bruma gelata facendo capolino nei
capannoni per tornare a immergersi nel clima polare viaggiando ai bordi della darsena. Per tutti caffè caldo,
succhi di frutta e dolci. Poi l'altro spazio dedicato agli interventi sulla storia e le prospettive della Belleli con
l'in tervento di Walter Tosto, che ha ricordato le sequenza della sua attività da artigiano a industriale, la
premiazione dei 17 dipendenti più anziani, seguito da Paolo Fedeli e da una serie esibizioni cabarettistiche
e infine il buffet suddiviso tra lo spazio bambini e quello per gli adulti. Erano presenti il vicesindaco Giovanni
Buvoli , l'assessore Andrea Murari , il presidente di Tea Massimi liano Ghizzi con la direttrice Lara
Marchiani , il presidente e il direttore di Apindustria Francesco Ferrari e Giovan ni Acerbi , Riccardo Belleli
dirigente storico della prima società con lui gli ingegneri Gino Mori e Gino Borin , quest'ultimo considerato
un progettista geniale.
Foto: La visita
Foto: Il capannone trasformato in spazio espositivo. Sotto il trenino per la visita della Belleli (Foto Gabbo)
CONFIMI - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
10
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IERI PORTE APERTE AL PUBBLICO
17/12/2016
Pag. 3
CAMPOBASSO. Rinnovata la convenzione che permette alle aziende associate Acem di usufruire anche
per il biennio 2017/2018, della banca dati delle gare d'appalto pubblicate sull'intero territorio nazionale,
riguardanti tutte le categorie di opere generali o specializzate, tramite il sito internet dell'Associazione. Il
servizio offerto da Acem, aderente Aniem Confimi, è totalmente gratuito come altri servizi che
l'associazione mette a disposizione dei propri associati.
CONFIMI - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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Appalti, Acem rinnova convenzione banca dati
CONFIMI WEB
1 articolo
16/12/2016 17:43
Sito Web
CAMPOBASSO. Tra gli innumerevoli servizi offerti gratuitamente agli iscritti, anche per il biennio 2017 /
2018, l'ACEM (Associazione Costruttori Edili del Molise aderente ad ANIEM CONFIMI) ha rinnovato la
convenzione che consente alle sole imprese associate di usufruire gratuitamente della banca dati delle
gare d'appalto pubblicate sull'intero territorio nazionale, riguardanti tutte le categorie di opere generali o
specializzate, tramite il sito internet dell'Associazione.
Le imprese aderenti all'ACEM, attraverso il portale www.acem.molise.it, hanno la possibilità di entrare
nell'area riservata ed accedere, di conseguenza, al servizio telematico e relativi allegati, per consultare le
gare d'appalto e relativi esiti ogni giorno.
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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Banca dati appalti gratis per imprese associate all'Acem: rinnovato il
servizio
SCENARIO ECONOMIA
41 articoli
18/12/2016
Pag. 1.30
diffusione:238671
tiratura:333841
Confalonieri (Mediaset): è in gioco anche l'interesse nazionale. Il nodo del risarcimento danni
Fabio Savelli
La scalata di Vivendi a Mediaset era e resta ostile, non c'è alcuna «ipotesi di trattativa» con la media
company di Vincent Bolloré. Il gruppo di Cologno Monzese esclude un tavolo di confronto con chi, ha
spiegato il presidente Fedele Confalonieri riferendosi alla vicenda Premium, «non rispetta i contratti». È la
risposta all'amministratore delegato del gruppo francese, Arnaud De Puyfontaine, che nell'intervista
rilasciata ieri al Corriere della Sera, fresco di un incontro con Pier Silvio Berlusconi, ha sostenuto la
possibilità di avviare un dialogo dopo aver rastrellato il 20% del Biscione. Confalonieri ha quindi sottolineato
che il governo «sta agendo in modo corretto e anche molto deciso» offrendo supporto al gruppo italiano. a
pagina 30 PIACENZA C'è un aneddoto nella scalata di Vivendi a Mediaset che Fedele Confalonieri sente il
dovere di ricordare. Pur nel dovuto rispetto delle leggi di mercato il presidente del gruppo di Cologno
rievoca l'operazione la «La Cinq», la prima tv privata francese fondata da Silvio Berlusconi nel 1986
approfittando della scelta dell'allora presidente transalpino François Mitterrand di concedere due nuove
licenze per l'apertura di emittenti private. «Ci lanciammo nell'operazione - racconta Confalonieri a margine
di un convegno dell'unione degli industriali - con l'aiuto del produttore Jérôme Seydoux, che si presentò
come azionista di maggioranza. Appena compresero che potevamo crescere molto il governo decise di
privatizzare TF1, il maggiore canale generalista francese, che diventò subito un concorrente ingombrante.
Fummo costretti a battere in ritirata». La vicenda, a suo dire, testimonia che in un settore strategico come
quello dei media «c'è in gioco l'interesse nazionale». Confalonieri sottolinea per questo la fiducia nei
confronti dell'esecutivo. L'immediata sortita del ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, nei giorni in cui
Vivendi saliva al 20% del Biscione rastrellando azioni sul mercato, è stata accolta con sollievo: «Ci
sentiamo supportati perché il governo sta agendo in modo corretto». Allargando il ragionamento
Confalonieri ne rinviene persino una patente di credibilità per la classe dirigente italiana: «Da noi ci sono
dei manager di primissimo piano: ad esempio chapeau a Cairo per l'operazione che ha portato a termine o
a Marchionne che ha preso un'impresa come era la Fiat quando l'ha presa e ha fatto quel che ha fatto».
La sponda delle istituzioni resta fondamentale. Anche in considerazione del fatto che siamo di fronte ad
«una scalata ostile». Sulla quale indaga anche la Procura di Milano per una (presunta) manipolazione del
mercato. L'intervista rilasciata ieri al Corriere dall'amministratore delegato di Vivendi, Arnaud De
Puyfontaine, è stata letta ai piani alti di Mediaset come l'ennesima provocazione. Anche per l'accostamento
tra la pay tv Premium e Mc Donald's, che potrebbe essere diffamatorio. Intervista rilasciata a poche ore di
distanza dall'incontro che lo stesso De Puyfontaine ha avuto con Pier Silvio Berlusconi. Terminato male,
senza punti di convergenza. Ecco perché non c'è alcuna «ipotesi di trattativa», scrive in una nota Mediaset
per smontare sul nascere le voci di un dialogo che sarebbe nato sottotraccia. Da Cologno Monzese
sottolineano che ci sarebbe un'unica azione che porterebbe Mediaset a valutare diversamente le mosse di
Vivendi. Esaudire la richiesta di risarcimento danni, quantificata in circa 1,5 miliardi, per aver disdetto
l'accordo per la cessione di Premium. Dal canto suo De Puyfontaine ha chiarito che l'acquisto delle azioni
del 20% di Mediaset risponde alla volontà di Vivendi di sedersi al tavolo e discutere.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: L'intervista, uscita sul Corriere di ieri,
al manager Vivendi, De Puyfontaine
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
15
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
«Nessuna trattativa con Vivendi, dai francesi una scalata ostile»
18/12/2016
Pag. 30
diffusione:238671
tiratura:333841
Le mosse in Borsa di Bolloré e il precedente della multa per l'«attacco» a
Premafin
Nel 2014 una sanzione di 3 milioni confermata in Appello
Mario Gerevini
Un mese di rialzi folli, volumi esplosi. E dietro, a manovrare, la manina di un francese che con le sue 264
telefonate trasmetteva un «buy» dietro l'altro ai broker, attuando consapevolmente e deliberatamente «un
piano manipolatorio».
Rinfreschiamoci la memoria su quella «scalatina» illecita a Premafin, di cui si conosce solo una parte della
storia. E' utile visto che la manina era di Vincent Bolloré, l'uomo che ora con Vivendi ha alzato il tiro su
Mediaset. La Fininvest accusa i francesi di manipolazione del mercato cioè di «aver creato le condizioni»,
con la disdetta all'accordo su Premium, «per far scendere artificiosamente il valore del titolo Mediaset» e
poi lanciare la scalata «a prezzi a sconto». La Procura ha aperto un'inchiesta e la Consob ha avviato
accertamenti. Si vedrà se è stato tutto regolare oppure no.
Certo che il numero uno di Vivendi sarà un cavaliere senza paura ma ha una macchia bella grossa. E ha
proprio il marchio indelebile della manipolazione di mercato. A stanarlo e inchiodarlo era stata
un'accuratissima indagine dell'Ufficio insider trading della Consob. Gli atti nel 2014 finirono alla Procura di
Milano che però non risulta abbia proceduto contro Bolloré. Al francese venne contestata l'operatività
anomala di titoli Premafin tra settembre e ottobre 2010. In un mese Bolloré con due finanziarie di famiglia,
Financière du Perguet e Financière de l'Odet, rastrellò sul mercato fino al 5% (con un balzo del 26% della
quotazione) dell'allora holding della famiglia Ligresti che controllava Fondiaria-Sai e che era nel mirino dei
francesi di Groupama. Gli acquisti, secondo la Consob, servirono a fissare «il prezzo delle azioni Premafin
a un livello artificiale" fornendo così "indicazioni false e fuorvianti al mercato». Il tutto per favorire, appunto,
il disegno di un ingresso di Groupama nel capitale Premafin. L'imprenditore d'oltralpe già vantava in Italia
un sistema di relazioni, partecipazioni e poltrone di primo livello, a partire da Mediobanca-Generali. E si
trovò a essere «bollato» come manipolatore del mercato con una sanzione Consob da 3 milioni (una delle
più alte deliberate dalla Commissione), la contestuale «perdita temporanea dei requisiti di onorabilità» con
interdizione per 18 mesi dai consigli di amministrazione di società quotate italiane. Oltre al danno anche la
beffa di dover uscire da Premafin con una consistente minusvalenza.
Ovviamente Bolloré reagì: «Abbiamo rispettato tutte le regole - scrisse in una nota - presenteremo appello
al Tribunale di Milano per dimostrarlo». Ecco, da qui in poi non ci sono più notizie. Come è andata a finire,
dunque?
Male per Bolloré. La sentenza della Corte d'appello ha confermato in toto la ricostruzione della Consob e le
conseguenti sanzioni. I giudici nello stendere la sentenza e confermare l'illecito amministrativo, sottolineano
la «gravità della vicenda, sia sotto l'aspetto oggettivo (... entità degli acquisti ... importanza dell'emittente nel
mercato), sia sotto quello soggettivo», cioè da una parte «il dolo ... nel senso della consapevole e
deliberata attuazione del congegnato piano manipolatorio», e dall'altra «la posizione professionale del
Bolloré, importante soggetto attivo nel settore degli investimenti a livelli europeo».
Allora nel suo portafoglio non c'era ancora, in Italia, la quota di maggioranza relativa (24%) in Telecom. E
nemmeno il 20% di Mediaset, fresco di scalata. Con tutti i sospetti di Fininvest.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fonte: Consob MEDIASET GLI AZIONISTI *Al 21 ottobre 2016; **39,775% delle azioni con diritto di voto
Azioni proprie Telecom Italia 1,21% Mercato Investitori istituzionali esteri 54,61% Mercato Vivendi 20%
Vivendi 23,92% TELECOM ITALIA GLI AZIONISTI Norges Bank Investment Management* 1,78%
Rothschild et Cie Gestion* 1,59% Investitori istituzionali italiani 4,38% Mackenzie Financial Corporation*
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Il caso
18/12/2016
Pag. 30
diffusione:238671
tiratura:333841
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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2,73% Lazard Asset Management* 5,60% Azioni proprie 3,795% Fininvest** 38,266%
La parola
manipolazione di mercato
Comportamento messo in atto su strumenti finanziari (come le azioni) per mistificare la realtà. Ad esempio
la diffusione di informazioni, voci o notizie fuorvianti, con false indicazioni sui titoli. 23,9 per cento
la partecipa-zione detenuta da Vivendi in Telecom Italia, un punto sotto la soglia di Opa
Foto: Al vertice
Il presidente del gruppo Vivendi
Vincent Bolloré
18/12/2016
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In settimana esecutivo in Parlamento per l'ok ad aumentare il debito pubblico. Mps, la caccia agli
obbligazionisti La vicenda Marco Morelli, 55 anni, dallo scorso settembre è l'amministratore delegato di
Monte dei Paschi di Siena. In passato ha lavorato per banche internazionali come Jp Morgan e per Intesa
Sanpaolo Sportelli aperti Aperti 200 sportelli e un call center della banca per contattare i piccoli investitori
Fabrizio Massaro Mario Sensini
ROMA Messo a punto il decreto per l'eventuale intervento nelle banche in difficoltà, il governo si prepara a
stanziare i fondi necessari. Nei prossimi giorni l'esecutivo dovrebbe infatti chiedere al Parlamento
l'autorizzazione ad aumentare il debito pubblico fino a un importo massimo di 15 miliardi di euro, la
provvista per finanziare, qualora servissero, cosa che ovviamente nessuno a Palazzo Chigi si augura, gli
aumenti di capitale preventivi delle banche.
Il maxi-fondo, una sorta di Atlante pubblico, sarebbe così pronto a tamponare il possibile insuccesso delle
ricapitalizzazioni bancarie, prima tra tutte quella per 5 miliardi di euro del Monte dei Paschi, che si apre
domani per chiudersi venerdì. Potrebbe essere utile anche per gli aumenti di capitale che dovessero essere
deliberati per il riequilibrio patrimoniale delle banche più deboli, dalle popolari venete alla Carige, e servire
ad altri interventi, come un possibile rimborso ai piccoli obbligazionisti che fossero stati indotti ad un
acquisto incauto.
Se a determinare l'eventuale intervento pubblico in Monte Paschi sarà il gradimento del mercato per la
ricapitalizzazione, i tempi saranno dettati dalle sue scadenze. La prima è mercoledì, quando si esauriranno
termini per la conversione in azioni delle obbligazioni subordinate, anche quelle dei 42 mila piccoli
investitori. L'operazione, contestata dai Adusbef e Federconsumatori che hanno denunciato la Consob per
il via libera, vede impegnata allo spasimo tutta la struttura della banca. Ieri, per agevolarla, sono rimasti
aperti circa 200 sportelli. I piccoli investitori vengono contattati dal personale delle filiali, ma anche dagli
operatori di un call center appositamente messo in campo. Detengono titoli per un valore di 2 miliardi, di cui
ci aspetta la conversione per 1,5 miliardi. Alcuni fondi avrebbero già assicurato la conversione delle
obbligazioni "Fresh" per 220 milioni.
Con il miliardo già raccolto con l'operazione precedente, la trasformazione delle obbligazioni potrebbe
coprire circa metà dell'aumento di capitale necessario. Nello stesso tempo il governo monitorerà le
preadesioni alla sottoscrizione delle azioni di nuova emissione, destinate per il 65% agli investitori
istituzionali, tra i quali un ruolo chiave sarà giocato dal Qia, il fondo sovrano del Qatar che aveva ipotizzato
di investire un miliardo di euro, e per il resto al mercato al dettaglio, con il 30% in prelazione agli attuali
azionisti. Giovedì potrebbe dunque essere il giorno decisivo, per il governo, per decidere il possibile
intervento nella banca senese. Se la conversione delle obbligazioni dei piccoli investitori non andasse a
buon fine, o i grandi investitori istituzionali non manifestassero l'interesse atteso, scatterebbe la
ricapitalizzazione preventiva, secondo le regole della direttiva Ue che prevede la condivisione degli oneri
con azionisti e obbligazionisti. L'operazione precauzionale non rientra nella fattispecie degli aiuti di Stato,
perché riguarderebbe una banca ancora solvibile, anche se con mezzi patrimoniali inadeguati evidenziati
dagli "stress test" della Bce, come quelli del luglio scorso che hanno fatto accendere la spia rossa sul
Monte Paschi. Il meccanismo, previsto dalla direttiva Ue sul salvataggio delle banche, presuppone il
sacrificio parziale degli azionisti, con la diluizione del capitale, e degli obbligazionisti subordinati cui sarebbe
imposta la conversione in azioni (a prezzi più bassi dell'operazioni volontaria appena lanciata). E non
esclude un successivo rimborso ai piccoli investitori che posseggono questi titoli, nel caso fossero stati
ingannati nel loro acquisto.
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Banche, il governo pronto a chiedere 15 miliardi
18/12/2016
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Il gruppo GLI AZIONISTI L'AUMENTO C.d.S. 11,7% 4,024% ministero dell'Economia 1,8% Alessandro
Falciai 0,8% Fondazione Mps 1,3% Fintech Advisory 3,17% Axa 87,266% Mercato (piccoli soci) il valore 5
mld valore dei bond subordinati già convertiti 1 mld ammontare massimo ottenibile dal completamento della
conversione dei bond 4,511 mld per azione il prezzo massimo 24,9 euro per azione il minimo «tecnico» 1
euro
17/12/2016
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La filiale transalpina ad Allianz? La replica: no, resta strategica Corsa in Piazza Affari Ieri a quota 14,40. In
meno di un mese il titolo ha guadagnato oltre il 25%
Sergio Bocconi
La partita Vivendi-Mediaset, che al centro vede Vincent Bolloré, ha immediatamente rinnovato lo scenario
finanziario che da anni a più riprese è stato proposto e smentito: l'unione fra le due compagnie di
assicurazioni, la francese Axa e l'italiana Generali, rispettivamente seconda e terza in Europa per ricavi e
capitalizzazione.
E proprio il ritorno dell'ipotesi di un simile merger è rintracciabile nelle indiscrezioni riportate da alcune
agenzie di un interesse del numero uno europeo del settore assicurativo, il gruppo tedesco Allianz, per le
attività del Leone in Francia. Se Trieste vendesse, l'operazione con Axa sarebbe libera da un ostacolo
antitrust altrimenti difficilmente superabile.
L'ipotesi, che forse ha contribuito ieri al rialzo del titolo Generali, che ha guadagnato l'1,62% a quota 14,40
euro, è stata però oggetto di una smentita netta: fonti della compagnia triestina hanno ricordato quanto ha
indicato il group ceo Philippe Donnet all'Investor day il 23 novembre. In quell'occasione il top manager ha
detto che il gruppo non intende lasciare il mercato francese, che per le Generali è il terzo in termini di ricavi
con 11,3 miliardi di premi (dietro dunque solo all'Italia con 25 e alla Germania con 18 miliardi circa) bensì
ha l'obiettivo di rafforzarlo. Le fonti del Leone hanno dunque precisato che «la strategia del gruppo
annunciata all'Investor day prevede l'uscita da 13-15 mercati. La Francia non è tra questi». Insomma, il
terzo polo del gruppo non è in vendita. Sempre in quello stesso giorno Donnet aveva anche sottolineato
che la Francia è per Trieste «uno dei Paesi più importanti» per il quale la priorità è «migliorare e
incrementare ancora di più risultati e margini». Per quanto riguarda poi eventuali operazioni con Axa
sempre il group ceo ha dichiarato alla stampa francese che «un'eventuale fusione non è proprio all'ordine
del giorno».
Allianz e Axa non hanno rilasciato alcun commento sulle indiscrezioni, come è consuetudine per le due
compagnie. E non si può certo presumere che il silenzio possa difendere posizioni differenti visto che
scenari di nozze Axa-Generali non sono mai stati oggetto di dichiarazioni da parte dei vertici transalpini.
È evidente che da un lato la partita Mediaset Vivendi, dall'altro la presenza di alcuni top manager francesi
nei vertici della finanza italiana (oltre a Donnet, anche Jean Pierre Mustier a capo di Unicredit) danno
sapore a menù che prevedono fusioni. Scenari resi anche più appetibili dalla differenza di dimensioni in
Borsa: Axa, il cui titolo ieri non si è mosso, capitalizza 59 miliardi mentre il Leone ne vale 22,4. In più chi
"tifa" per una scalata rileva che le azioni Generali hanno guadagnato dall'investor il 25% circa.
Ma, a parte il fatto che al rialzo del Leone hanno contribuito report di analisti post Investor day, l'andamento
positivo del mercato italiano dopo il referendum, il trend positivo delle quotazioni delle compagnie
(comprese Allianz e Axa) che gli stress test stanno confermando solide, le ipotesi di scalata devono tenere
conto di un particolare non secondario: le Generali possono contare su un azionariato italiano che appare
compatto e può pesare complessivamente intorno al 23-24%. A fianco del primo socio, Mediobanca con il
13%, ci sono Francesco Gaetano Caltagirone con il 3,5-4% (tendente al 5), Leonardo Del Vecchio con il
3,2%, De Agostini con l'1,6%, Benetton con l'1%. Inoltre i mega-merger in campo finanziario e assicurativo
sembrano poco favoriti da differenze di modelli di business, di culture aziendali e da freni regolamentari.
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I numeri di Generali Un anno in Piazza Affari CdS gen mag set 16,88 15,17 13,47 11,76 10,06 +1,62% a
14,4 euro Premi complessivi (2015) 74,2 miliardi Totale degli attivi in gestione 500 miliardi Capitalizzazione
di borsa Roe 22,384 miliardi 14%
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Generali alla partita francese Le voci spingono il titolo
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Foto: Philippe Donnet è amministratore delegato di Generali dal 17 marzo 2016, prima è stato numero uno
di Generali Italia
17/12/2016
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La conversione dei bond fino a mercoledì. Così il possibile ingresso dello Stato
Stefano Righi @Righist
MILANO Nella settimana successiva al referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre il Monte dei
Paschi di Siena ha perso circa 2 miliardi di euro di depositi della clientela. Tra il 30 settembre e martedì 13
dicembre il flusso di cassa in uscita da Mps ha toccato i sei miliardi di euro, che si aggiungono ai 13,8
miliardi usciti dalle casse del Monte nei primi nove mesi dell'anno. Un segnale evidente della
preoccupazione che circonda l'istituto senese e che è stato riportato nell'aggiornamento del prospetto
informativo dedicato alla conversione dei bond .
La Consob ieri sera ha autorizzato l'intera operazione, dopo che giovedì aveva autorizzato la riapertura dei
termini di conversione in azioni dei bond subordinati fino a mercoledì 21. Un'operazione rivolta per il 65 per
cento a investitori istituzionali, che dovrà raccogliere 5 miliardi di euro entro sabato 31 dicembre.
Ora il Monte deve accelerare. I tempi sono strettissimi, al punto che un ulteriore ritardo nell'opera di
ricapitalizzazione non è stato ammesso dalla Bce, che ha avuto modo di rilevare come «la situazione della
liquidità della banca si sia andata progressivamente deteriorando fino a raggiungere, a valle del referendum
del 4 dicembre, un orizzonte temporale di 29 giorni», in una situazione di stress.
Anche per questo il governo è pronto a intervenire con un piano per il settore da 15 miliardi di euro. Una
cifra che dovrebbe garantire l'operazione Mps, ma anche la difficile condizione delle ex popolari venete e
delle quattro banche «salvate» nel novembre 2015. Una cifra importante ma che ieri Alessandro Profumo,
già ai vertici di Mps e Unicredit, ha definito limitata, vista l'ampiezza e la profondità degli interventi
necessari.
Giuseppe Guzzetti, presidente dell'Acri e della Fondazione Cariplo, ha invece evidenziato un aspetto non
marginale della vicenda Montepaschi: «se fosse stata rispettata la legge Ciampi, non avremmo avuto la
tragedia Mps. La legge - ha sottolineato Guzzetti - ha una disposizione provvida per cui, nell'organo di
indirizzo, la parte pubblica non deve avere la maggioranza. A Siena su 15 membri, otto sono nominati dal
sindaco e 5 dalla Provincia...».
Tra i numeri emersi dal prospetto, i costi del salvataggio, che ammontano secondo le ultime stime a 588
milioni di euro, in calo di 90 milioni rispetto alla stima precedente.
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Ieri in Borsa Corriere della Sera 10.00 12.00 14.00 16.00 21,47 21,09 20,70 20,32 19,93 19,55 +1,3% a
20,9 euro 20,66
Le tappe
L'aumento di capitale di Mps ha l'obiettivo di portare nelle casse della banca senese 5 miliardi entro fine
dicembre. Dopo che la Consob ha autorizzato l'operazione la banca può sollecitare la conversione dei bond
subordinati in mano ai clienti «retail». Per convertire i bond c'è tempo fino alle 14 del 21 dicembre: in caso
di insuccesso scatterà la na-zionalizzazione dell'istituto
Foto: Vertici
Il Ceo di Mps, Marco Morelli. Dopo l'ok Consob, la banca ha riaperto l'offerta di conversione per i bond
estesa anche al retail
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Mps, persi 20 miliardi di raccolta Governo pronto a varare il decreto
19/12/2016
Pag. 1 N.43 - 19 dicembre 2016
Essere alla periferia delle grandi aziende è il vero declino
DANIELE MANCA
La sensibilità dimostrata da Carlo Calenda sulla vicenda Mediaset dà la dimensione del rischio che l'Italia
sta correndo. Il vero declino viaggia su quel percorso che sta portando man mano alla perdita delle grandi
aziende nazionali. Non è una questione di bandiera o di capitali. Contano quartieri generali e competenze.
Non si tratta di chiudersi. Anche perché per molti gruppi italiani l'acquisizione da parte di capitali stranieri ha
portato a radicare ulteriormente nel nostro Paese know-how e scelte strategiche. Bottega Veneta, grazie ai
capitali francesi, è diventata un'eccellenza mondiale. Analoga esperienza quella del Nuovo Pignone con il
passaggio dall'Eni alla General Electric, o dell'acqua San Pellegrino annessa alla svizzera Nestlé. Eppure
l'indotto attorno a gruppi italiani come Banca Intesa, Unicredit, in termini di intelligenza e professioni è
enorme. Dalle competenze finanziarie a quelle legislative e di diritto. La filiera industriale creata dai grandi
agglomerati è quella che alimenta il tessuto del nostro Paese fatto di piccole e medie imprese. Un terzo di
esse è alimentato dalle commesse di soli sei gruppi a capitale pubblico: Eni, Enel, Fs, Finmeccanica,
Fincantieri e Poste. Questo dà la dimensione di quanto sia decisivo poter contare su big player nel mondo
delle aziende. E' per questo che, nonostante leadership indiscusse nel campo delle biotecnologie, della
farmaceutica, avremmo bisogno di poli aggreganti. Analogamente nella moda, e nel lusso dove siamo
maestri, ma la fanno da padroni ancora i francesi di Lvmh e Kering. La politica può agevolare processi. E il
governo dovrà agire in questo senso. Ma è necessaria la consapevolezza dei protagonisti: gli imprenditori, i
manager, in prima battuta ma anche cittadini. E perché no, i sindacati. Tutti spezzoni di società che,
abbagliati da una politica che si parla addosso, sono apparsi distratti, paralizzati da una crisi che, come
ogni altra recessione, andava e va fronteggiata. E non subìta.
@daniele_manca
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IL PUNTO
19/12/2016
Pag. 1 N.43 - 19 dicembre 2016
Protezionismo e meno tasse: il nuovo mondo nel segno di Trump
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE DA NEW YORK GIUSEPPE sarcina
Alle pagine 2 e 3 L'America vuole una Russia forte, pacifica, prosperosa...americani e russi condividono gli
stessi interessi sulle questioni fondamentali che plasmeranno questo secolo. Tutto ciò costituisce la base
per la nostra cooperazione ». No, non sono parole e nemmeno un tweet di Donald Trump. Non è neanche
una dichiarazione del ceo di Exxon, Rex Tillerson, il futuro segretario di Stato, che Vladimir Putin premiò nel
2013 con l'Ordine dell'Amicizia. Potrà sorprendere, oggi, ma quelle frasi di distensione furono pronunciate
da Barack Obama in un discorso tenuto il 7 luglio 2009 alla New Economic School di Mosca. Questo
significa una cosa molto semplice: dopo otto anni di presidenza Obama, il rapporto tra Stati Uniti e Russia
resta un tema fondamentale della politica estera di Washington. Anche se non l'unico, perché il mondo
bipolare è finito da un pezzo. E', dunque, logico, probabilmente inevitabile, che Donald Trump parta da qui.
L'apertura del neo presidente americano a Vladimir Putin sta suscitando polemiche nell'opinione pubblica e
nel Congresso. Molti parlamentari repubblicani, come il senatore dell'Arizona John McCain, chiedono più
cautela, se non altro perché la Cia accusa il leader russo di aver commissionato cyber attack per interferire
nelle elezioni presidenziali, favorendo la vittoria elettorale del tycoon newyorkese. Ma dal 20 gennaio in poi,
il giorno in cui Trump si insedierà alla Casa Bianca, la mappa geopolitica del mondo potrebbe cambiare.
L'asse con Mosca avrà conseguenze immediate in almeno due aree di crisi. In Siria, dove Washington si
avvia ad accettare l'assetto del Paese imposto con i bombardamenti dai russi. Il presidente Bashar al
Assad resterà in carica; in cambio gli eserciti siriani e gli aerei inviati da Putin dovrebbero concentrarsi nella
guerra contro lo Stato islamico, con un appoggio minimo degli americani, almeno così pensa Trump. I ribelli
anti- Assad verrebbero isolati e, di fatto, sconfitti anche politicamente. Altri effetti Ripercussioni in arrivo
anche in Ucraina: gli Stati Uniti, di fatto, rinuncerebbero a contestare l'annessione della Crimea da parte di
Mosca. Per il presidente Petro Poroshenko diventerebbe ancora più complicato, se non impossibile,
riprendere il controllo dei confini nel Donbass, la regione orientale del Paese, senza offrire pesanti garanzie
a Putin. La vicenda ucraina è la chiave per cambiare fase. Trump potrebbe azzerare le sanzioni
economiche contro Mosca, dando impulso anche a rapporti commerciali più stretti tra Stati Uniti e Russia.
Le due potenze potrebbero collaborare in un settore strategico come l'energia, solo per fare un esempio.
Con la fine delle sanzioni, la Russia potrebbe rientrare, a breve termine, negli organismi politici multilaterali.
Il G7 tornerebbe G8: qualcuno pensa già con il vertice a guida italiana, in programma a Taormina nel marzo
prossimo. Ma forse i tempi sono troppo stretti. In realtà lo schema Trump potrebbe complicarsi: gli Stati
Uniti hanno interessi su troppi fronti per potersi affidare a una sola, forte alleanza. Se Trump spinge troppo
avanti il dialogo con Putin può provocare aspre divisioni tra gli alleati tradizionali degli Stati Uniti: Teresa
May, premier del Regno Unito e soprattutto la cancelliera Angela Merkel non si fidano più del presidente
russo. La Germania è il tutore, all'interno dell'Unione europea, dell'ex blocco sovietico, mentre l'Italia spinge
per ripristinare il pieno accesso ai mercati russi. Gli scenari La partita economica tra le due sponde
dell'Atlantico si annuncia molto delicata. Trump ha già ripudiato il Ttip, (Transatlantic trade and investment
partnership), l'accordo commerciale tra Stati Uniti ed Unione europea. Il nuovo leader americano dice di
preferire intese con singoli Paesi. Se così fosse, nel giro di qualche anno, ci troveremmo di fronte uno
scenario frammentato, disomogeneo e non un piano di integrazione tra le economie occidentali, basato su
regole e standard condivisi. Di solito il traffico scorre più veloce su una strada uniforme. Bisognerà vedere,
poi, se davvero Trump metterà in discussione compiti e funzioni della Nato. La previsione più quotata è che
alle provocazioni della campagna elettorale seguirà ora una maggiore prudenza. Nel Pacifico, invece, la
Cina è già in allarme. Obama aveva prima offerto una corsia privilegiata a Pechino. Operazione di fatto non
riuscita. A quel punto il presidente aveva provato a costruire una rete di contenimento dell'espansionismo
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Leadership alla prova Che cosa si aspettano adesso i mercati
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Pag. 1 N.43 - 19 dicembre 2016
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economico e militare cinese, coinvolgendo l'alleato Giapponese e agganciando Paesi come Vietnam e
Thailandia. Il problema ora passa, intatto, al suo successore. Trump ha già dichiarato che gli Stati Uniti si
ritireranno dal Ttp, il protocollo commerciale firmato con altri 11 Paesi del Pacifico, Cina esclusa. Nello
stesso tempo il neo presidente ha intensificato la polemica e anche le provocazioni nei confronti di Pechino.
Ultimo caso la telefonata con la presidente di Taiwan. Ma Trump si troverà di fronte una scelta ineludibile:
se deciderà di fronteggiare con più decisione la Cina, non potrà fare a meno degli altri Paesi asiatici.
Foto: Eletto Il tycoon repubblicano Donald Trump si insedierà alla Casa Bianca come 45esimo presidente
degli Stati Uniti il 20 gennaio 2017
19/12/2016
Pag. 1 N.43 - 19 dicembre 2016
Il presidente della Fed ha allo studio nuovi rialzi dei tassi, con l'incognita Trump. Mentre in Europa il numero
uno della Bce dovrà fare i conti con una generale incertezza politica.
Alle pagine 4 e 5
Dopo il secondo rialzo del costo del denaro dal 2008, per Janet Yellen arriva la sfida più grande. Nel 2017
infatti il numero uno della Federal Reserve dovrà resistere alle intromissioni del prossimo inquilino della
Casa Bianca, Donald Trump. Perché, come ha ammesso durante l'ultima conferenza stampa della Fed, la
Yellen è consapevole che il suo posto non è al sicuro.
Navigazione
Un anno da vivere con un occhio all'inflazione e uno al tasso di disoccupazione, ma soprattutto senza
perdere di vista le possibili ingerenze politiche. Il 2017 della Yellen sarà il più complicato dall'inizio della sua
avventura, nel 2014. L'economia statunitense, come ricordato la scorsa settimana, mostra marcati segni di
una crescita consolidata, seppur disomogenea. L'attività economica nei distretti industriali più colpiti dalla
crisi dei mutui subprime, come quelli di Richmond, Chicago, St. Louis, Philadelphia, Cleveland e di Kansas
City, resta ancora sotto le potenzialità, ha spiegato la Yellen.
Entrando nei particolari, nelle ultime tre aree, cruciali per l'affermazione elettorale di Trump, l'aumento del
livello di occupazione e la crescita dei salari reali sono troppo lente. A novembre scorso il tasso di
disoccupazione è stato il più basso dal 2007, a 4,6 punti percentuali, e la Fed ha rivisto al ribasso le stime
per il 2017, dove ci si attende un tasso del 4,5 per cento. Sebbene su base federale il risultato sia positivo,
dall'entourage della Yellen ricordano che «ancora molto lavoro deve essere fatto». Soprattutto nelle aree
degli Appalachi e del Midwest.
Nonostante le disomogeneità e quella che Goldman Sachs ha definito «l'imprevedibilità di Trump», il
consensus degli analisti finanziari prevede due incrementi del tasso principale della Fed durante il prossimo
anno. Le previsioni della Fed, di contro, dicono che saranno tre. Secondo l'osservatorio Fedwatch della
Chicago mercantile exchange (Cme), che monitora su base quotidiana l'andamento dei prezzi dei future sui
Fed Fund a trenta giorni, le probabilità maggiori sono giugno e dicembre. Era così anche per il 2016, ma il
referendum per la permanenza del Regno Unito nell'Unione europea ha poi ritardato la normalizzazione
della Fed. Tre invece sono i rialzi stimati dagli operatori sia per il 2018 sia per il 2019. Tutto però dipenderà
da due fattori.
Gli snodi
Il primo sono le politiche economiche di Steven Mnuchin, il successore di Jacob Lew al Tesoro
statunitense. L'obiettivo di Trump e Mnuchin è quello di introdurre un piano di sviluppo infrastrutturale che
sulla carta è ambizioso, ma nella realtà non è ancora definito né dove troverà le risorse né quali aree
saranno più interessate dal programma. Se dovessero essere le zone economiche più in difficoltà
(Appalachi e Midwest), come si mormora tra i lobbisti di Washington, allora è probabile che i tre incrementi
dei tassi previsti dalla Yellen siano una realtà.
Il secondo fattore riguarda invece la stessa Fed. Più drena liquidità, più rende vulnerabile l'economia
americana allo scoppio delle bolle sui prezzi di determinati asset che ha contribuito a gonfiare. Da mesi gli
economisti di Wells Fargo mettono in guardia i policymaker della Fed su due mercati: quello dei prestiti
studenteschi e quello delle società di social media. Entrambi sono considerati «le due più grandi criticità
statunitensi» dalla banca di San Francisco. Ma non solo. Anche Morgan Stanley e Citi ritengono che gli
squilibri in questi due settori siano rilevanti e potenzialmente dannosi per l'intero sistema. Se dovessero
presentarsi surriscaldamenti in tali segmenti, allora la Yellen dovrà rallentare il processo di normalizzazione
della politica monetaria della Fed.
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Monete, quel derby tra Yellen e Draghi
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Il punto fondamentale è però un altro. Il 3 febbraio 2018 termina il mandato della Yellen. E non è ancora
chiaro se sarà rinnovato. Nello scorso maggio Trump criticò aspramente le azioni di stimolo della Fed,
considerandole funzionali alla preservazione del consenso politico di Barack Obama e del Democratic Party
di Hillary Clinton. Da settembre fino al giorno delle elezioni, invece, ha cercato di ricostruire un rapporto con
la Fed, ma i dubbi degli osservatori restano. Due sono le poltrone cruciali per comprendere quale sarà la
linea di Trump sulla Yellen. Il miliardario newyorkese dovrà infatti nominare i due membri (su sette) ancora
vacanti del board della Fed. E considerato che il presidente della banca centrale americana viene nominato
dalla Casa Bianca, è ipotizzabile che Trump, se non soddisfatto della Yellen, nel 2017 scelga due
economisti papabili per lo scranno più importante.
Nell'ultima riunione la Yellen ha ricordato che la Fed «era e resta indipendente». Ed è proprio questa la
battaglia più difficile da combattere: riuscire a proteggere l'istituzione monetaria americana dai politici di
professione. E specialmente da Donald Trump.
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LA CRESCITA RESTA DEBOLE Le previsioni per la Ue SEMPRE PIÙ GRANDE Gli attivi della Bce in
miliardi di euro 2016 2017 2018 Pil Inflazione Disoccupazione 9,7 % 9,2 % 10,1 % 1,4 % 1,4 % 0,3 % 1,5
% 1,7 % 1,7 % 3.600 3.200 2.800 2.400 2.000 1.600 1.200 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015
2016 2017 Fonte: elaborazione CorrierEconomia S. A.
Foto: Fed Janet Yellen, poco feeling con Trump
Foto: Bce Il presidente Mario Draghi
19/12/2016
Pag. 4 N.43 - 19 dicembre 2016
Buoni propositi: disinnescare il fiscal compact
Senza gli aiuti della Bce rischia di soffocare la ripresina. Ma la Germania lo vuole così ...
marcello minenna
Il parapiglia politico che è seguito alle dimissioni del governo Renzi e l'emergenza Monte dei Paschi hanno
fatto passare in secondo piano la lettera che il 5 dicembre ci ha inviato la Commissione europea in cui
confermava quello che si sapeva già: tra gli obiettivi di deficit strutturale che si propone la manovra di
bilancio 2017 e quelli previsti dal Fiscal Compact passa più di un punto di Pil (1,1%, dal -0,5% definito in
manovra allo 0,6% richiesto da Bruxelles). Si tratta di circa 16 miliardi; certo c'è uno 0,5% di margine di
tolleranza ed uno 0,3% di sconti eccezionali per terremoto e migranti, ma su una correzione dello 0,3% (4
miliardi più o meno) l'Europa non transigerà. Dopo la messa in sicurezza del sistema bancario, a marzo la
successiva urgenza del governo Gentiloni sarà quella di reperire i fondi per coprire il buco, con buona pace
degli obiettivi di rilancio dell'occupazione.
La Commissione «suggerisce» anche le modalità: si potrebbero fare dei tagli straordinari alle spese, o
interventi una tantum che hanno il sapore minaccioso di tasse sul patrimonio o sulla casa. Da una
prospettiva realistica, è difficile che un governo nato debole e temporaneo possa imporre misure troppo
impopolari. Però potrebbe re-innescare alcune delle clausole di salvaguardia neutralizzate dalla manovra
relative all'aumento di Iva e accise; basta un'occhiata ad esempio per notare come l'aumento dell'Iva dal
10% al 13% recupererebbe risorse per 6,5 miliardi. Considerato che si tratterebbe di un semplice anticipo
(da gennaio 2018 ad aprile 2017) e per un'entità più contenuta, potrebbe essere la decisione col minor
costo politico.
Gli effetti negativi sull'economia reale ci sarebbero, ma l'evidenza empirica degli ultimi aumenti (a
settembre 2011 e ad ottobre 2013) ci dice che l'aumento dei prezzi non si traduce automaticamente in
un'immediata contrazione dei consumi privati.
I problemi per l'economia italiana non sono nei prossimi mesi, quando è plausibile un trascinamento del
momentum positivo per l'industria registrato nell'ultimo trimestre. Ma per il 2018 si stanno addensando nubi
non da poco. C'è poco da fare: entro un anno l'inesorabilità delle regole del Fiscal Compact renderà la
politica tributaria molto restrittiva. Gli aggiustamenti di bilancio rinviati negli ultimi anni sono stati scaricati
tutti tra il 2018 ed il 2019, quando il nostro avanzo primario di bilancio, al netto degli interessi sul debito,
dovrà passare dall'attuale 1,5% (comunque tra i più elevati dell'Eurozona) ad un corposo 3,2% e
stabilizzarsi a quel livello in futuro. Ecco perché sono previsti circa 23 miliardi di tasse aggiuntive, di cui 19
solo nel 2018. L'Iva dovrebbe sfiorare il 27%, il valore più alto di tutta l'Unione monetaria insieme a quello
ungherese.
È pia illusione credere che la crescita economica non sarà colpita da aumenti così consistenti della
pressione fiscale. C'è da supporre anche che il quadro macro-economico sarà caratterizzato da tassi di
interesse più alti, se consideriamo che a dicembre 2017 verrebbe a mancare il supporto dato dal
Quantitative Easing della Bce. L'Italia si ritroverebbe in una congiuntura sfavorevole, in cui sia politica
fiscale che politica monetaria remerebbero contro la ripresa economica, una situazione mai sperimentata
nemmeno sotto le forche caudine dell'austerity del governo Monti.
È evidente che l'incubo contabile del Fiscal Compact va disinnescato. E l'anno domini è il 2017 dato che si
voterà il suo inserimento nei Trattati. Ma qualcuno crede sia davvero possibile con la Germania che lo
vuole così com'è?
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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L'analisi
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Pag. 5 N.43 - 19 dicembre 2016
Ue Venti di instabilità La trincea è sempre il Qe
Gli acquisti mensili di Draghi continuano fino a fine 2017 Saranno la rete di sicurezza della politica dal corso
incerto
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE DA BERLINO DANILO TAINO
La Banca centrale europea entra a vele spiegate nel 2017. Fino a marzo continuerà a comprare 80 miliardi
di titoli sui mercati, da aprile ridurrà gli acquisti a 60 miliardi ma andrà avanti a quel ritmo fino alla fine
dell'anno. I tassi d'interesse resteranno estremamente bassi anche oltre quella data. E' la continuazione
della politica ultra-accomodante iniziata a metà del 2014 che sta aggiungendo l'1,3% di Pil e l'1,5%
d'inflazione all'Eurozona in tre anni (stime della Bce stessa). Il prossimo, però, sarà l'anno in cui i venti sono
destinati a cambiare direzione. In realtà, l'hanno già cambiata e per le banche centrali il 2017 sarà difficile
da interpretare e gestire, anche perché il controllo di mercati e finanza che hanno avuto negli scorsi anni
sta in parte venendo meno.
Un esempio
L'esempio di questa difficoltà è stata la reazione forte (e probabilmente non voluta) dei mercati alla
decisione della Fed la settimana scorsa di alzare i tassi d'interesse e di annunciare altri tre rialzi per l'anno
prossimo, con commenti apparentemente contraddittori della sua presidente Janet Yellen. In conseguenza,
la Borsa americana è scesa, i tassi d'interesse sono saliti, il dollaro ha preso ancora più forza. E' che la Fed
è di fronte alla necessità di adattarsi a qualcosa che fino all'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca non
c'era: una politica fiscale di Washington, che Barack Obama non aveva, dal momento che il presidente
lasciava alla banca centrale l'onere di prendere le decisioni economiche chiave.
Qualcosa del genere succederà probabilmente nell'Eurozona, nel senso che il 2017 sarà scandito più dalla
politica e dalle elezioni nazionali in calendario che dalla Bce, con quest'ultima costretta probabilmente a
reagire alle scelte degli elettorati e della geopolitica più che a tenere in mano le fila del tutto.
L'elezione di Trump ha messo in moto uno spostamento di investimenti che sta portando il dollaro a livelli
non visti da tempo. Ai massimi da 14 anni rispetto a un paniere delle 16 maggiori valute e ai massimi
sull'euro dal 2003. Con numerosi economisti che vedono la moneta unica europea in parità con quella
americana tra qualche mese. In parallelo, la settimana scorsa lo spread tra i titoli decennali del Tesoro
americano e i Bund decennali tedeschi ha toccato il massimo dal 1989, epoca sovietica, ben oltre il 2%.
Movimenti di grande rilevanza che non potranno non avere effetti anche sulla politica monetaria di Mario
Draghi. Come conseguenze potrebbe avere il rialzo del prezzo del barile di petrolio sull'inflazione e sulle
sue aspettative probabilmente già a primavera, altro risultato di una scelta politica, quella dei Paesi
produttori di controllare la loro estrazione.
La prospettiva
Gli eventi esterni che influenzeranno le scelte della Bce nel 2017 non si limiteranno a questi. Naturalmente,
ci saranno elezioni in Olanda, Francia, Germania e forse in Italia (se non saranno elezioni politiche
potrebbe esserci il referendum sul Jobs Act). Se qualcuno di questi appuntamenti avesse effetti
destabilizzanti sull'economia, la Bce ci sarebbe: il programma di acquisti di titoli potrebbe anche tornare a
80 miliardi, se ce ne fosse bisogno, ha detto Draghi. Questa politica - di Quantitative Easing - è per molti
versi una rete di sicurezza per l'Eurozona in un anno delicato sul piano politico. Ma potrebbe essere
naturalmente non sufficiente nel caso si concretizzassero pericoli di exit dalla Ue di qualche Paese, o se del
tutto inaspettatamente Angela Merkel perdesse le elezioni e anche la Germania entrasse in una fase di
instabilità. In quel caso, Draghi farà il possibile per attenuare i rischi: le scelte decisive, però, non sarebbero
nelle mani della Bce ma della politica. Così come un eventuale accordo su zone d'influenza in Europa tra
Trump e Vladimir Putin - una mini-Yalta antistorica ma non impossibile - potrebbe avere effetti devastanti
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Scenari/2 Le mosse di Francoforte e le aspettative del mercato
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Pag. 5 N.43 - 19 dicembre 2016
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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sull'unità della Ue.
Per quel che riguarda il suo compito più tipico, la banca di Francoforte sarà di fronte anche al
cambiamento del vento in economia. Se si realizzasse la crescita tra il 3 e il 4% che vuole Trump per gli
Stati Uniti, se il prezzo del petrolio continuasse a salire anche grazie a una maggiore domanda, se le
esportazioni europee e soprattutto tedesche fossero aiutate dall'indebolimento dell'euro rispetto al dollaro, il
passaggio di stagione sarebbe radicale. Probabilmente precario, e per questo anche rischioso: soprattutto
se a queste spinte in qualche modo espansive si opponesse, in direzione contraria, la politica europea,
incerta, divisa e percorsa da numerose crisi. Venti di poppa e venti di prua non renderebbero il 2017 facile
da governare.
@danilotaino
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IL COLOSSO Gli asset della Fed in miliardi di dollari Fonte: elaborazione CorrierEconomia 4.800 4.000
3.200 2.400 1.600 800 200820092010201120122013201420152016 Pil Inflazione 1,9 % 2,1 %
Disoccupazione I NUMERI Le previsioni macro per gli Usa IL RIALZO ANNUNCIATO Le indicazioni dei
future sull'aumento dei tassi (7/'17) 1,5 % 1,9 % 4,7 % 4,5 % 0,50%-0,75% 0,75%-1,00% 1,00%-1,25%
1,25%-1,50% 1,50%-1,75% Livello tassi 25,6% 50,9% 20,5% 2,8% 0,1% Probabilità 2017 aumento 2016
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Pag. 8 N.43 - 19 dicembre 2016
Italia più competitiva? Perché l'Europa è ferma
Dietro il sesto posto nell'Indice delle liberalizzazioni c'è l'assenza di un obiettivo comune
ALBERTO MINGARDI
B eati monoculi in terra caecorum : nel paese dei ciechi anche un orbo è re. L'Indice delle liberalizzazioni
dell'Istituto Bruno Leoni quest'anno vede l'Italia in sesta posizione, nell'Europa a 28. Siamo diventati un
«Paese normale»? Ha ragione Roger Abravanel ( CorrierEconomia del 12 dicembre) quando sottolinea
come in realtà vi sia ancora molto da fare.
La rimonta dell'Italia non significa che la qualità delle regole nel nostro Paese è improvvisamente
migliorata: più semplicemente, purtroppo, non vi sono in Europa Paesi che abbiano abbracciato la
deregolamentazione come obiettivo politico. L'unico che l'ha fatto, ma ormai trent'anni fa, è stato il Regno
Unito, stabilmente in vetta alla nostra classifica, un po' per le scelte fatte allora e un po' per come esse
hanno modificato, in profondità, la stessa cultura dei regolatori.
In tutti gli altri, si osserva un effetto patchwork: settori più concorrenziali, settori che lo sono di meno.
L'Indice è un esercizio comparativo: il ranking è relativo, dipende dalla performance dei concorrenti.
Non dobbiamo impensierirci se il punteggio del settore audiovisivo è un poco arretrato rispetto all'anno
precedente. Di fatto, la tv generalista è immersa in un contesto ormai più ampio, quello dello screen
content, dove l'offerta è amplissima.
Ciò che semmai deve preoccuparci è che, anche se sono cadute le ragioni di «pluralismo» che pareva
militassero a favore dell'intervento dello Stato, noi non solo non privatizziamo la Rai ma non riusciamo
neanche a ricondurla alla categoria di operatore pubblico «puro», che non drena risorse pubblicitarie dal
mercato.
Simmetricamente, non dobbiamo tanto compiacerci perché il grado di liberalizzazione del settore postale
cresce, sostanzialmente perché lo Stato si è un poco diluito nella proprietà del principale operatore. Ci deve
far pensare che l'abrogazione della riserva di legge sulla consegna degli atti giudiziari, un passo importante
e di forte valore simbolico assieme, è stata consegnata a un Ddl concorrenza che rimane nel limbo.
La vicenda di questo provvedimento è istruttiva. La legge annuale per la concorrenza viene istituita nel
2009, per la prima volta viene presentata nel 2015, è tutt'oggi in attesa di approvazione.
È una storia che dice molto sulla cultura ancora dominante in Italia.
La crisi finanziaria è servita per dare alla parola «mercato» un suono sinistro: ma è surreale che dal
fallimento di Lehman Brothers si sia dedotto che le municipalizzate rappresentino il migliore dei mondi
possibile.
L'impulso liberalizzatore si è fermato anche in altri Paesi, questo spiega il nostro Indice. Non vale il «mal
comune mezzo gaudio». Agli altri manca forse il coraggio di smantellare qualche rendita di posizione.
Noi abbiamo crescita zero o negativa da otto anni eppure non riusciamo a prendere, con decisione, una
strada diversa da quella battuta sin qui.
Mercati rigidi, troppo regolamentati, ancora presidiati dal pubblico in Italia rappresentano la caparbietà con
cui ci neghiamo una chance per provare a tornare a crescere.
*Direttore generale dell'Istituto Bruno Leoni, che ha elaborato l'Indice per le Liberalizzazioni 2016 (decima
edizione)
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L'intervento
19/12/2016
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Corsa all'attuazione per la legge di Bilancio: 34 decreti in tre mesi
Antonello Cherchi Valeria Uva
pLa neonata legge di bilancio non smentisce la tradizione delle vecchie manovre di fine anno (e di molte
altre riforme): per essere tradotta in pratica ha bisogno dei decreti attuativi. L'anno scorso, quando c'era
ancora la Stabilità, erano 144, quest'anno il carico si è ridotto di quasi la metà, fermandosi a 79 tra
regolamenti e altri provvedimenti. C'è, però, anche da dire che l'ultima manovra è meno corposa. Dei 79 atti
in lista d'attesa, 34 dovranno arrivare nei primi tre mesi del 2017. Entro il 1° marzo sono attesi, ad
esempio,i decreti sull'Ape, i criteri per usufruire del sisma-bonus, la detrazione fino all'85% per chi mette in
sicurezza gli edifici. Cherchi e Uva u pagina 8 pSeppure per la legge di bilancio sia la prima volta, non è
cambiata la tradizione consolidata del ricorso ai provvedimenti attuativi. Per fare in modo che la manovra di
fine anno diventi realmente operativa saranno necessari 79 tra decreti ministeriali e di Palazzo Chigi,
regolamenti, atti dell'agenzia delle Entrate o delle Dogane. Un carico minore rispetto alla legge di Stabilità
dell'anno scorso, che al debutto richiedeva 144 provvedimenti applicativi. C'è, però, da considerare che la
manovra per il 2016 era più corposa, perché prevedeva un articolo unico con 999 commi, mentre
quest'anno , complice la crisi di Governo che ha accelerato l'approvazione, ci siè fermatia poco più di 600,
almeno nella parte programmatica della legge di bilancio, organizzata anche quest'anno in un solo articolo.
La seconda parte, invece, riguarda gli stati di previsione e non rimanda a norme attuative. Questo nuovo
pacchetto di 79 misure si va ad aggiungere al già pesante fardello lasciato dal Governo Renzi (si veda il
Sole 24 Ore del 20 novembre scorso): 141 provvedimenti mancanti all'appello (il 30% ) per mandare a
regime le riforme economiche. Man- cano, inoltre, un altro centinaio di regolamenti attuativi relativi ai
Governi Monti e Letta. A quella dote si aggiunge ora il peso della legge di bilancio, la cui applicazione è,
naturalmente, a tappe: si parte dal 20 gennaio prossimo, data entro cui devono essere predisposti i bandi
per far partecipare le Regioni al programma Inail di edilizia scolasti- ca e si arriva addirittura nel 2021, anno
entro cui va nominata la commissione per il finanziamento dei dipartimenti universitari di eccellenza. Nella
tabella qui accanto sono riepilogate le misure attese entro il 2017, che mostrano chiaramente come il carico
di lavoro della manovra, in realtà, si concentri nel primo trimestre: quasi la metà delle norme richieste (34
su 79) devono essere varate entro marzo, ovvero nei 90 giorni dall'entrata in vigore della manovra di fine
anno. E di queste ben 17 devono essere messea punto nel giro di un mese. Si tratta pur sempre di termini
ordinatori e non perentori, certo, ma alcuni riguardano decreti-chiave senza i quali alcuni capitoli della
riforma non si concretizzano. Tra questi, il «pacchetto» Ape (sia quella sociale che il prestito vero e proprio)
che si compone di tre distinti decretia carico del ministero del Lavoro, da fare in 60 giorni, senza i quali
l'anticipo della pensione, anche per disoccupati e lavori usuranti, rimane lettera morta. Stesso discorso per i
sismabonus: la maxi-detrazione fiscale per i lavori di messa in sicurezza degli immobili che può arrivare fino
all'85% non può partire senza le linee guida per le classi di rischio sismico, che dovranno essere messe a
punto entro il 28 febbraio dal ministero delle Infrastrutture. Resta sostanzialmente invariata rispetto allo
scorso anno la quota di provvedimenti attuativi non vincolata da alcuna scadenza (si veda l'elenco a
fianco): per il 2017 sono 32, contro i 31 del 2016. Ma prima dell'attuazione c'è un altro nodo per il nuovo
Governo: l'approvazione sprint della manovra al Senato ha lasciato fuori diverse questioni da affrontare al
più presto. Solo per citarne alcune: il pacchetto giustizia con l'assunzione di mille cancellieri o le eventuali
correzioni alle nuove comunicazioni Iva, il cui ritardo ha provocato la protesta dei commercialisti.
IL PRIMO TRIMESTRE
Entro marzo dovrà essere messa a punto la metà dei documenti applicativi tra cui quelli sul
sisma-bonus e sulla pensione anticipata
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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Entro il 1° marzo anche i provvedimenti sull'Ape
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LA PAROLA CHIAVE
Legge di bilancio 7 Per la legge di bilancio è stata la prima volta. Fino a qualche anno fa la manovra di fine
anno si chiamava Finanziaria e poi è stata ribattezzata legge di Stabilità. Non si tratta, però, solo di un
problema lessicale. La nuova manovra di fine anno prende spunto dal vincolo, introdotto in Costituzione nel
2012, del pareggio di bilancio, che ha costretto a rivedere l'assetto dei conti pubblici, con il risultato che è
cambiato il modo di "scrivere" i fondamentali del bilancio statale e le voci di entrata e uscita. La legge di
bilancio si compone, pertanto, di un unico disegno di legge: l'articolato (l'ex Stabilità) e le tabelle di spesa
L'agenda dell'applicazione Provvedimenti 2017 per attuare la legge di bilancio. Tutti previsti dall'articolo 1,
tra parentesi il comma. Provvedimento Provv. direttore Struttura Edilizia Scolastica Dm Lavoro - Economia
Dm Lavoro - Economia Dm Beni culturali Dm Economia, di concerto Giustizia e Beni culturali Dm Beni
culturali DmEconomia Dm Istruzione Dm Istruzione Provv. Dir. Entrate Dm Beni culturali Dm Istruzione di
concerto Economia Dm Politiche famiglia di concerto Economia Dm Sviluppo Economico Provv. Dir.
Entrate Regolam. Univ. Statali Ag. Naz. per beni sequestrati alla criminalità organizzata Dm Sviluppo
Economico Economia Dm Economia e Regione Friuli Venezia Giulia Dm Economia Proposta Regioni e
Prov. autonome Dm Svil. Econ. di concerto Economia e Infrastrutture Dm Economia Provv. Dir. Entrate
Provv. Dir. Entrate Dm Economia Dm Economia Dm Economia Regolamento Inail Dm Infrastrutture Dm
Affari Esteri - Interno Dm Affari Esteri - Interno Dm Lavoro di concerto Politiche agricole e Economia Dm
Pubb. Amministrazione di concerto Economia Dm Istruzione Dm Economia Dm Economia Dm Economia
(con intesa Regione Sicilia) Dm Economia (sentite Conferenza unificata e Agid) Determinaz. direttore
Dogane Provv. Dir. Entrate Dm Lavoro, di concerto Economia Dm Lavoro, di concerto Economia Dm
Istruzione Dm Economia Dm Economia Dm Lavoro - Economia Agricoltura Contenuto Partecipazione
Regioni a programma Inail edilizia scolastica (85) Commissario straordinario liquidaz. Expo 2015 (126)
Adeguam. fondo di solidarietà credito cooperativo a norme su fondi di solidarietà bilaterali (234) Adeguam.
fondo di solidarietà credito cooperativo per pensionamenti anticipati (237) Assegnaz. buono 1.000 euro per
frequenza asili nido e per sostegno a bambini affetti da patologie croniche (355) Soprintendenza autonoma
Colosseo e Fori Imp. (432) Contrasto al secondary ticketing (546) Ripartizione risorse a fondazioni
lirico-sinfoniche (583) Erogaz. Anf a italiani lavoratori in Paese Ue con 4 o più figli (599) Ripartiz. contributo
a scuole paritarie per alunni disabili 616) 30 gen. Ripartiz. contributo a scuole materne paritarie (619)
Adeguam. regole bonus cultura di 500 euro (626) Bonus 2.500 euro per acquisto strumenti musicali (626)
Criteri iscrizione a Fondo naz. rievocazione storica (627) Dm Economia e Agricoltura Aumento percentuali
compensaz. Iva bovini e suini vivi (45) 30 gen. Dpcm Riparto fondi per finanz. interventi per enti territoriali
(439) 30 gen. Dm Economia Attuaz. regime di cassa per contribuenti in semplificata (23) 30 gen.* Dm
Economia Determinazione dell'ammontare dello spazio finanziario attribuito a enti locali e Regioni (492 e
499) 15 feb.** Dm Infrastrutture Linee guida per classificazione rischio sismico immobili (2) 28 feb. Provv.
Dir. Entrate Cessione credito d'imposta ai fornitori per interventi di efficienza energetica su immobili
(comma 2) 1 mar. Provv. Dir. Entrate Cessione credito d'imposta ai fornitori per interventi di efficienza
energetica su parti comuni condominiali (2) Dm Beni culturali- Economia Aggiornamento modalità credito
d'imposta per alberghi (6) 1 mar. Dm Sviluppo Economico Contributi fino a 3.500 euro per acquisto furgoni
per distribuz. gratuita di prodotti a fini sociali (64) 1 mar. Dpcm Attuazione anticipo pensione Ape (175) 1
mar. Dpcm Attuazione Ape sociale per usuranti e disoccupati (185) 1 mar. Dpcm Riduz. requisiti contributivi
per lavoratori precoci (202) 1 mar. Dm Lavoro - Economia Revisione criteri anticipo pensioni lavori usuranti
(202) 1 mar. Dm Lavoro - Economia Revisione criteri di accesso bonus bebé (239) 1 mar. Dm Economia, di
concerto Sviluppo economico Modalità estrazione, entità e premi lotteria nazionale (544) 1 mar. Individuaz.
amministrazioni destinatarie somme per acquisto e ammodernam. mezzi Polizia e Vigili fuoco (623)
Determinaz. fabbisogni regionali per assegnazione fondo integrativo statale per concessione borse di
studio (271) Criteri e modalità del Fondo sostegno alla natalità (349) Ripartizione fondo per contrattazione
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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collettiva, assunzioni, riordino carriere (365) Modalità per visto a investitori stranieri con redditi alti e per
donazioni filantropiche o investimenti (148) Imposta sostitutiva redditi prodotti all'estero da persone fisiche
che trasferiscono residenza fiscale in Italia (157) Contribuzione studentesca (254) Predisposizione strategia
nazionale per valorizzazione di beni e aziende confiscati alla criminalità organizzata (611) Partenariato
pubblico-privato progetti ricerca Industria 4.0 (115) Verifica accantonamenti per imposizione locazione
immobiliare 2012- 2015 in Friuli Venezia Giulia (519) Individuazione iniziative urgenti di elevata utilità sociale
nell'edilizia sanitaria (602) Piano strategico nazionale mobilità sostenibile (615) Assegnazione risorse statali
a Regioni, province e città metropolitane con bilancio "virtuoso" (479) Voluntary disclosure: compensazione
mancato gettito (634) 31 ago. Riparto contributo fra regioni e le province autonome: (529) 30 sett.** Criteri
di riparto del Fondo di solidarietà comunale (451) Interventi di mobilità sostenibile (615) Individuazione
soggetti che esercitano prestazioni di servizie altre attività per contabilità semplificata imprese minori
(comma 2) Controllo su gruppi Iva (24) Modello per presentazione istanze gruppo Iva (24) Modalità
attuative costituz. gruppi Iva Nuove modalità versamento Iva al netto di eccedenze detraibili per gruppi e
società controllate (27) Individuazione banche etiche e agevolazioni (51) Start up tecnologiche,
partecipazione Inail (82) Ripartizione regionale fondi edilizia scolastica (85) Statuto Fondazione di ricerca
Human Technopole (118) Attività Fondazione Human technopole (123) Fondo sviluppo infrastrutturale e
procedure infraz. Ue (140) - Ripartizione risorse Fondo per le piste ciclabili (145) Agevolaz. visti e permessi
per trasf. resid. fiscale in Italia (155) - Agevolaz.a chi investe in Italia in start-up innovative, formaz., ricerca o
mecenatismo (156) Istituzione, nelle more dell'operatività di "Fondazione Articolo 34", di cabina regia per
400 borse studio a studenti meritevoli (288) Modalità pagamento indennità giornaliera ai dipendenti da
imprese pesca marittima (346) Autorizzazione assunzioni nella Pa (365) Ripartizione fondo incremento
organico (366) Procedure sistema tessera sanitaria e fascicolo sanitario elettronico (382) Ripartizione fondo
per il concorso al rimborso alle regioni per l'acquisto dei medicinali innovativi (405) Sperimentazione
progr.razionalizzazione acquisti (416 e 417) - Assegnazione ai consolati di proventi da versamento di 300€
per domande riconoscimento cittadinanza italiana (429) Assegnazione quota Irpef (514) Procedure
monitaraggio entrate e spese (533) Tracciamento e misurazione quantità su autobotti e bettoline per
prodotti soggetti ad accisa in regime sospensivo (535) Adeguam. decreti contenuto scontrini e ricevute
fiscali (538) - Credito d'imposta alle fondazioni bancarie (581) Individuazione interventi di promozione di
lingua e cultura italiane all'estero da finanziare (588) Criteri per affitto alle Pa di immobili acquisiti dagli enti
previdenziali (594) Risorse per partecipazione italiana a programmi di ricerca e sviluppo Ue e per ricerca in
meteorologia e climatologia (606) Fondo garanzia per prestiti di Cdp (622) Versamenti ritenute d'acconto
per condomini (36) Fondo solidarietà per la pesca (244) Nota: * = Facoltativo; **= Scadenza annuale;***
=Dalla sigla degli accordi sindacali - = Termine non specificato
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Una platea orfana di strategie anti-crisi
Mauro Meazza
Uno spiraglio c'è stato, e di quelli incoraggianti: nel suo primo discorso alla Camera da presidente del
Consiglio, Paolo Gentiloni ha voluto citare le partite Iva, accomunandole ai lavoratori dipendenti come
«parte più disagiata della nostra classe media» e dichiarando di voler porre queste categorie «al centro dei
nostri sforzi per far ripartire la nostra economia». Uno spiraglio importante, che ora toccherà all'azione di
Governo e Parlamento riempire di contenuti. Perché, se concentriamo lo sguardo sul popolo eterogeneo
delle partite Iva e del lavoro autonomo "minore", ci accorgiamo che gli aspetti sui quali intervenire sono
parecchi, dal fisco, alla previdenza, ai diritti, alle tutele. E che è meglio decidere in fretta (situazione politica
permettendo). A dare evidenza alla situazione potrebbe bastare un numero: 400mila. Ovvero, i 400mila
«lavoratori indipendenti» perduti con la crisi tra il 2008 e il settembre 2016, così come certificati dall'ultimo
censimento Istat sul mercato del lavoro e segnalati sul Sole 24 Ore il 7 dicembre. All'ultima rilevazione,
quindi, l'Istituto stima una presenza di 5 milioni e 386mila «autonomi», che rappresentano sempre un valore
di tutto rispetto, anche a livello europeo, ma che segnano - avverte sempre l'Istat - un calo del 7,1%,
soprattutto tra gli uomini e nella fascia di età compresa tra i 25 e i 44 anni. Sarebbe molto semplice
liquidare questo calo con la constatazione banale che, di sicuro, tra questi 400mila alcuni erano "di troppo"
e che l'attività autonoma comprende fatalmente un rischio di insuccesso che si deve tenere in conto.
Obiezioni fondate, certamente. Ma, lo ripetiamo, banali. Perché quella diminuzione va messa in relazione
con diversi fattori dominanti, proprio nello stesso periodo 2008-2016: la perdita di posti di lavoro dipendente,
le difficoltà nel far ripartire le assunzioni stabili, gli sforzi italiani e della stessa Unione europea per
l'autoimpiego e l'autoimprenditorialità. Continua u pagina 2 u Continua da pagina 1 Tutti elementi che
vorrebbero o dovrebbero portarci verso un incremento del «darsi il lavoro da sé», e non verso una sua
diminuzione. Come sempre, per capire un numero possono essere utili altri numeri: quelli che compaiono in
queste pagine cercano di comporre un quadro il più possibile aggiornatoe puntuale del lavoro indipendente,
a cominciare dalla sua diffusione presso i giovani. Un'impresa improba, perché la categoria va dalle
professioni storiche con Albo,a mestieri altrettanto storici ma privi di Albo, dagli artigiani agli informatici, per
arrivare a specialità recentissime come il webmaster o il social media editor. Tutti accomunati, però, da
condizioni fiscali, giuslavoristiche e reddituali che si possono serenamente definire deludenti. Sono
deludenti gli sconti offerti dal fisco, se si paragonano le detrazioni riconosciute ai primi 10mila euro dei
dipendenti a quelle accordate a chi lavora con partita Iva. Sono deludenti le prospettive previdenziali,
affidate al metodo contributivo e quindi fatalmente meno generose con redditi troppo bassi. E sono
deludenti, ça va sans dire, i redditi, come ogni anno segnalano ad esempio i divari tra giovani e meno
giovani nelle contribuzioni versate alle Casse professionali. Restano poi ancora deludenti i meccanismi di
incentivazione e sostegno, e non decollano le società tra professionisti. Tutte delusioni che si vedono,
eccome: basti pensare alla protesta dei commercialisti che hanno deciso uno sciopero contro la nuova
serie di adempimenti fiscali. Una possibile constatazione finale,tuttavia, non può limitarsi a questa mappa
delle difficoltà. È probabilmente più proficuo domandarsi per quali motivi, pur in un arco di tempo non breve,
ovveroi nove anni da che perdura questa crisi, i tentativi di intervento non abbiano mai (ancora?) trovato un
qualche slancio coordinato. E abbiano invece lasciato spazioa plurime revisioni dei regimi fiscali forfettari, a
più programmi avviati e poco perseguiti, ad altalene delle aliquote contributive. Molte speranze sono state
riposte nello Statuto del lavoro autonomo, il cui destino, come quello di molti altri provvedimenti, è ora
appeso all'evolversi del contesto politico. Potrebbe essere - se le Camere lo confermeranno- un punto di
svolta, o l'ennesimo maquillage di poca efficacia.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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LAVORO AUTONOMO
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«Pubblico», troppe promesse mancate
Gianni Trovati
«Con la nuova riforma della pubblica amministrazione...». A questa frase ciascuno dei governi che si sono
succeduti alla guida del Paese negli ultimi anni ha aggiunto la propria declinazione degli effetti più o meno
mirabolanti che il cambio di regole avrebbe prodotto sull'efficienza dei nostri uffici pubblici, sul
miglioramento dei servizi e quindi sulla crescita economica. Effetti, però, che sono spesso rimasti confinati
nelle dichiarazioni da convegno, tant'è vero che il governo successivo ha puntualmente avviato la propria
riforma. A fare il punto su questi 25 anni di riforme è un'indagine realizzata da Forum PA, la cui
presentazione è in programma questa mattina a Roma, che ha chiesto a un ampio panel di operatorie di
osservatori della pubblica amministrazione se anche l'ultimo capitolo di questa storia, legato al nome
dell'attuale ministra della Funzione pubblica, Marianna Madia, sia destinato ad arricchire ancora il carnet
delle promesse mancate. Ed è bene anticipare che, soprattutto secondo chi nella pubblica amministrazione
lavora, la prospettiva non è incoraggiante. I numeri, comunque, mostrano bene i termini del problema. In 25
anni sono passati da Palazzo Vidoni, sede della Funzione pubblica, 16 ministri, che hanno firmato 15
riforme. Basta questa puntualità con cui si sono presentati i progetti di riforma a mostrare lo scarso peso dei
loro effetti, e anche le cause che li hanno determinati. "Troppe norme, pochi traguardi" sintetizza il titolo
della ricerca di Forum PA, e il suo presidente Carlo Mochi Sismondi la spiega così: «Per portare a pieno
regime quelle riforme che ridarebbero slancio alla situazione socio-economica del Paese servirebbero meno
norme e più manuali, e un investimento serio per la formazione dei dipendenti e il coinvolgimento dei
cittadini». Le riforme, insomma, andrebbero accompagnate e sostenute da una "alleanza" con i dipendenti
pubblici e proprio su questo terreno anche la riforma Madia sembra incontrare i propri problemi principali,
più gravi sul piano strutturale anche dei colpi inferti dalla Corte costituzionale. Per il 40% dei dipendenti
pubblici intervistati dall'indagine la qualità del proprio lavoro peggiorerà per effetto della riforma, mentre per
un altro 37,6% la situazione non cambierà di una virgola. Che finora i dipendenti pubblici non si siano
entusiasmati al progetto di riformaè un fatto noto, ma il rischio comunicato dalle tante tabelle che
scandiscono l'indagine Forum PA è che ancora una volta gli effetti del nuovo cambio di regole rimangano
potenziali. Un peccato, perché - calcola Forum PA - riforme tradotte davvero in pratica, dalla pubblica
amministrazione al fisco fino al mercato del lavoro, varrebbero in media sei decimali di Pil all'anno.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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Indagine Forum PA. In 25 anni ben 16 tentativi di riforma
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«Per ricostruire priorità imprese»
Massimo Frontera
U pagina 11 Commissario. Vasco Errani pA cinque giorni dalla conversione in legge del decreto sulla
ricostruzione nel Centro Italia (pubblicato ieri in «Gazzetta») il commissario alla ricostruzione Vasco Errani
mette sul tavolo le "cose fatte": sono nove le ordinanze finora uscite per avviare le prime riparazioni e
programmare i cantieri "pesanti". È arrivato ad esempio il prezzario unicoe le procedure per riparare i danni
lievi agli immobili. L'ultima ordinanza (n.9)è sulla delocalizzazione delle imprese danneggiate. Proprio ieri, il
presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha incontrato Vasco Errani nel corso della visita agli
imprenditori danneggiati. Commissario Errani, come intende creare le condizioni per evitare che le imprese
vadano in crisi dopo la fine di incentivi e aiuti? L'incontro con Vincenzo Boccia è stato molto positivo. Ci
siamo detti che, responsabilmente, abbiamo due priorità: scuolae impresae lavoro. Ci sarà un'ordinanza
entro Natale o subito dopo, per la ricostruzione totale delle imprese, anche quelle gravemente danneggiate,
quelle da demolire e ricostruire. È una ordinanza che consentirà di ripartire subito con i lavori delle imprese.
Perché impresa e lavoro sono una priorità fondamentale per il futuro di queste comunità. Poi ci siamo detti
che insieme lavoreremo per attrarre investimentie per fare in modo che questi investimenti diano una
prospettiva e un futuro. Uno dei punti strategici della ricostruzione è anche un rilancio dell'economia. Con i
fondi strutturali faremo politiche attive per favorire nuovi investimenti in questi territori. Sta scadendo la
sospensione dei versamenti fiscali e contributivi. Come ritiene che si possa intervenire su questo punto?
Lavoreremo per affrontare il tema di un prolungamento di questi rinvii. C'è il decreto milleproroghe e su
questo stiamo lavorando con il governo. Sulle norme ci sono altri aggiustamenti da fare? Dovremmo
affrontare anche il tema dei mutui del patto di pareggio di Comuni e province. Da quando sarà possibile
presentare le richieste di rimborso per le riparazioni dei danni lievi? Gli uffici speciali si stanno costituendo,
ed è una priorità attivarli al più presto. Ma non facciamoci bloccare dalla burocrazia: è già possibile
depositare presso gli uffici dei Comuni i progetti asseverati dai professionisti. Quali sono le ordinanze in
arrivo? Tra le ultime ordinanze c'è quella sul prezzario unico con tutte le voci, in modo da non avere
disomogeneità tra le Regioni. Faccio notare che i tempi di queste norme sono rapidissimi rispetto alle
esperienze che ci stanno alle spalle. Abbiamo poi definito l'ordinanza, di prossima uscita, sulla lista dei
progettisti. Lista alla quale si debbono iscrivere i progettisti sulla base di un protocollo di intesa che
abbiamo fatto con gli ordini professionali. E lunedì (domani, ndr) esce l'ordinanza che consente ai
professionisti di valu- tare i danni agli edifici con procedura "Fast" depositando una perizia giurata. In che
modo pensa di affrontare il tema delle opere pubbliche? Faremo uno stralcio del piano opere pubbliche
dedicato alle scuole, che dovrà dettagliare i tempi per consentire anche la ripresa del nuovo anno
scolastico che verrà. La prossima settimana saremo in grado di dare numeri precisi sulle scuole che
servono e su cosa conviene riparare e cosa invece ricostruire ex novo. Quanti soldi ha a disposizione per le
opere pubbliche? Abbiamo 200 milioni nel 2016 e 200 nel 2017, 400 milioni nel 2018. In tutto, fino al 2019,
oltre 1,1 miliardi. Ma a seconda delle necessità aumenteremo queste risorse perché il governo si è
impegnato, coerentemente con il governo precedente, a coprire tutti i danni. A che punto è la valutazione
degli edifici? Con l'ordinanza nostra che pubblicheremo lunedìe quella della Protezione civile uscita oggi
(ieri, ndr) puntiamo ad accelerare un quadro compiuto entro 30-40 giorni. Quale sarà la percentuale di
resistenza all'azione sismica richiesto per la ricostruzione privata? Le norme tecniche dicono dal 60 all'80%,
ma dovremmo incrociare questo dato con la zonazione della microsismica che faremo rapidamente in tutti i
131 comuni del cratere di terzo livello. Ci sono difficoltà nella gestione delle macerie? Sulle macerie sono
state fatte le gare. Si avvia il lavoro di raccolta e selezione delle macerie, secondo l'ordinanza della
Protezione civile. Il cratere va ampliato? Credo che il cratere sia ormai definito. Dobbiamo lavorare su
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INTERVISTA AL COMMISSARIO ERRANI
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quella base. Quando finirà l'assegnazione delle "casette"? Man mano che il fabbisogno sarà definito. Avete
scelto il direttore della struttura commissariale? È il dottor Renato Grimaldi del ministero della Giustizia.
Foto: AGF Ricostruzione. Il commissario Vasco Errani
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Sei tipi di intervento nel «piano banche»
Non solo ricapitalizzazione Mps Garanzia sulla liquidità, fondo di risoluzione, popolari, Dta e Gacs nel
provvedimento Fondo salva-Stati Il direttore generale Esm, Regling: «Esagerato parlare di crisi delle
banche italiane» Il decreto è pronto, il governo deciderà in settimana se vararlo - I dubbi sul parere
parlamentare preventivo PASSAGGIO ALLE CAMERE L'articolo 81 della Costituzione prevede il via libera
a maggioranza assoluta ma il riferimento è all'indebitamento netto
Gianni Trovati
pDopo la giornata in altalena vissuta venerdì dal titolo di Monte dei Paschi, che ha tradotto in cifre
l'incertezza che continuaa circondare le sorti di Rocca Salimbeni, già da domani arriveranno indicazioni
importanti per capire se nonostante il tentativo di mercato in extremis Siena avrà bisogno del sostegno
pubblico. Il provvedimento, comunque, è pronto, ed è articolato in sei capitoli che guardano oltre a Siena e
potrebbero entrare in campo anche se la via del mercato riprovata dal Cda del Monte portasse la banca più
antica del mondo al traguardo della ricapitalizzazione. Ad aver bisogno di un eventuale ombrello
«precauzionale», come impongono le regole europee scritte nella direttiva Brrd del 2014, nonè infatti solo il
Monte. Il cantiere del decreto si è occupato anche di altri istituti che, come le due venete gestite dal Fondo
Atlante (Veneto Banca e Popolare di Vicenza) e Carige, sono alle prese con lo stesso percorso che passa
dal deconsolidamento delle sofferenzee dal conseguente aumento di capitale per riportarne la consistenza
ai livelli chiesti dalla vigilanza europea. Perché, come ha ricordato ieri anche direttore generale del fondo
salva-Stati Esm, Klaus Regling, è «esagerato parlare di crisi delle banche italiane», visto che nel Paese ci
sono oltre 600 istituti. I casi di criticità comunque non mancanoe attendono una serie articolata di interventi.
Nella formula più ampia (da utilizzare cioè per sostenere anche il Monte) le risorse per le ricapitalizzazioni
precauzionali potrebbero valere fino a 15 miliardi, scendendo invece di peso se Rocca Salimbeni riesce ad
andare avanti da sola. In ogni caso, a finanziarlo sarebbe una nuova quota di debito pubblico, il che
potrebbe imporre il via libera parlamentare. L'articolo 81 della Costituzione sul pareggio di bilancio chiede il
via liberaa maggioranza assoluta per «il ricorso all'indebitamento (...) al verificarsi di eventi eccezionali»,
ma il riferimento è all'indebitamento netto della Pa le cui dinamiche non dovrebbero essere toccate
dall'operazione. L'impattoè invece sicuro sul saldo netto da finanziaree sul ricorso al mercato, per cui il decreto dovrebbe comunque modificare i commi iniziali della legge di bilancio appena approvata. I tempi
restano stretti, e serrato è il calendario anche per il secondo modulo del provvedimento, chiamatoa
risolvere l'intreccio che siè creato sulla riforma delle Popolari dopo l'intervento multiplo del Consiglio di
Stato. Più che di risolvere, in realtà, qui si tratta di allungare un po' i tempi in attesa che si pronunci la Corte
costituzionale,a cui i giudici amministrativi hanno chiesto di pronunciarsi sulla legittimità delle regole che
limitano il diritto di recesso. L'udienza sul tema è in programma il 12 gennaio, e in questo caso l'intervento
del go- verno si limiterebbe a spostare la scadenza di fine anno per la trasformazione in Spa per arrivare al
chiarimento definitivo del quadro: una mossa, quest'ultima, che si potrebbe fare anche attraverso il
«Milleproroghe». Le incognite bancarie possono però imporre anche ulteriori reti di protezione,a partire
dall'attivazione di una quota delle garanzie pubbliche sulle emissioni di liquidità (finoa 150 miliardi in base al
via libera Ue ottenuto da Roma a luglio). Questa è appunto una garanzia, che quindi non ha costi immediati
perché le spese si attiverebbero solo se venisse esercitata.Il quarto aspetto riguardai nuovi apporti al fondo
di risoluzione che si rendono necessari anche alla luce dei tanti problemi incontrati dalla vendita delle
quattro good banks nate dalla risoluzione di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara. Sul
punto l'ideaè di ripescare il correttivo già studiato nel corso dei lavori sulla manovra 2017, che
permetterebbe agli istituti di rateizzare in cinque anni i nuovi conferimenti di risorse. Sempre dal tavolo della
legge di bilancio verrebbe poi ripescato l'emendamento sulle imposte differite (Dta), per consentire di far
valere sull'esercizio 2016 il canone pagatoa luglio ma riferito al 2015. L'ultimo tassello riguarda invece una
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Riassetti bancari IL CASO MONTEPASCHI ROMA
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serie di correttivi che sono stati studiati dai tecnici ministeriali per modificare alcuni ingranaggi delle Gacs,
la garanzia pubblica sulla cartolarizzazione delle sofferenze che ha già ottenuto il «sì» di Bruxelles, e i
meccanismi di vendita delle good banks.
Interventi in sei mosse
L'OMBRELLO «PRECAUZIONALE» Il decreto legge messoa punto dal Governo prevede una
ricapitalizzazione precauzionale pubblica per le banche alle prese con il percorso che passa dal
deconsolidamento dei crediti incagliatie dal conseguente aumento di capitale. L'ombrello« precauzionale»in base alla direttiva europea Brrd del 2014scatterebbe per Mps in caso di mancato successo del tentativo
di mercato. Ad averne bisogno potrebbero essere anche altri istituti come Veneto Banca, Popolare di
Vicenzae Carige. Un meccanismo che nella sua formula più ampia, estesa anchea Rocca Salimbeni,
potrebbe valere finoa 15 miliardi
RIFORMA DELLE POPOLARI Il secondo dei sei «pilastri» del decreto punta a sciogliere il nodo riforma
delle Popolari dopo le pronunce del Consiglio di Stato che hanno sospeso l'applicazione delle nuove
regole. Di fatto si tratta di allungare i tempi aspettando la pronuncia della Corte costituzionale cui i giudici di
Palazzo Spada hanno chiesto di pronunciarsi sull'impianto delle regole che impongono la trasformazione in
Spa limitando (anche fino a sospenderlo del tutto) il diritto di recesso. La scadenza fissata dalla legge è il
31 dicembre, l'udienza della Consulta è il 12 gennaio
GARANZIA SULLA LIQUIDITÀ Il quadro di incertezza potrebbe rendere necessaria un'ulteriore rete di
protezione che costituisce un altro dei capitoli del provvedimento del Governo, quella dell'attivazione di
garanzie pubbliche sulle emissioni di liquidità. Il via libera di Bruxelles ottenuto dall'Italia a luglio permette di
arrivare fino a 150 miliardi e il decreto dovrebbe avviarne una quota. Un intervento quello sulla liquidità che,
essendo appunto una garanzia, non ha costi immediati perché le spese si attiverebbero solo se venisse
esercitata
FONDO DI RISOLUZIONE Il decreto dovrebbe ripescare anche una serie di interventi già elaborati in fase
di costruzione della legge di bilancio. Tra questi la disciplina sui nuovi apporti al Fondo di risoluzione, resi
necessari anche dalle difficoltà incontrate dal processo di vendita delle quattro good banks nate dalla
risoluzione dalla risoluzione di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara. Per non presentare
un conto troppo pesante agli istituti di credito si prevede che i nuovi contributi possano essere rateizzati in
cinque anni
DTA Fra gli interventi che la manovra 2017 nonè riuscita ad ospitaree che verrebbero ripescati c'è anche
quello sulle tasse differite (Dta, deferred tax asset). In pratica la modifica normativa permetterebbe di
calcolarea valere sull'acconto 2016 il canone che gli istituti di credito hanno versato nel luglio scorso,a
valere però sull'esercizio 2015. Il meccanismo introdotto nel 2010e potenziato con il decreto salva-Italia di
Montia fine 2011 voleva assicurare una patrimonializzazione sufficientea scongiurare, in presenza di
perdite, eventuali ricapitalizzazioni
LA GACS Un ulteriore capitolo del provvedimento dovrebbe comportare alcuni aggiustamenti al
meccanismo della Gacs, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze messaa punto dal Tesoro per
favorire lo smaltimento di Npl. Garanzia che viene prestata solo sulle tranche senior, cioè quelle più sicure.
Il prezzo della garanziaè di mercato. Anche su questo strumento, previsto dalla direttiva europea sul
sistema bancario, il governo aveva ottenutoa luglio il via libera di Bruxelles. Per la Ue infatti lo schema non
contempla aiuti di Stato distorsivi della concorrenza
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Mps, corsa per l'aumento da 5 miliardi
Board straordinario Domani riunione del consiglio a Milano: focus su piano di riassetto e anchor investor La
scelta dei bondholder I 40mila risparmiatori entro mercoledì alle 14 dovranno decidere se trasformare le
obbligazioni Tre giorni di tempo per la conversione dei bond, poi giovedì si chiude la ricapitalizzazione
MANCA IL SÌ DI ATLANTE Slitta ancora la firma finale sul prestito ponte necessario per anticipare la
tranche senior derivante dalla cartolarizzazione dei 27 miliardi di Npl
Luca Davi Marco Ferrando
PAlle 14 di giovedì si saprà se Mps è in condizione di rimanere in piedi con capitali privati oppure se, più
realisticamente, si renderà necessario l'intervento dello Stato. È questo lo scenario in cui si trova oggi la più
antica banca al mondo. Tra quattro giorni si chiuderà il collocamento presso gli investitori privati del capitale
fresco della banca. Il tentativo che la banca sta compiendo in extremis è di raccogliere il più possibile dagli
investitori privati così da portare a casa in autonomia l'aumento da 5 miliardi imposto da Bce. Per riuscirci la
banca sta percorrendo due strade in parallelo: la conversione volontaria dei bond subordinati e il
collocamento privato (il cosiddetto accelerated bookbuilding). Sul primo fronte il management, a valle
dell'autorizzazione della Consob arrivata giovedì sera, venerdì ha riaperto la conversione volontaria del
bond subordinato da 2,1 miliardi con scadenza 2018 in mano al pubblico retail. Ai circa 40mila piccoli
risparmiatori viene data la possibilità di trasformare l'obbligazione in azioni delle futura Mps. La deadline
per loro è fissata alle 14 di mercoledì. A quel punto si faranno i conti, anche se c'è scetticismo sul fatto che
l'adesione sia massiccia. La banca si attende che nell'ambito del liability management excercise (sui
complessivi 4,51 miliardi di euro di subordinati)l'adesione si attesti in media al 40,4%: nel complesso la
banca si attende dunque 1,8 miliardi circa dai bond. Nella cifra dovrebbero essere compresi anchei 200
milioni del Fresh detenuto da un gruppo di hedge fund che ha come "capofila" il fondo Attestor. Da lì, ci
saranno ancora 24 ore di tempo. Perchè all'indomani, ovvero giovedì (anche se da prospetto non sono
escluse modifiche al calendario «al verificarsi di eventie circostanze indipendenti dalla volontà
dell'emittente»), si farà il punto finale sull'eventuale partecipazione di investitori privati. L'offerta si aprirà
formal- mente domani e in queste ore il dialogo sarebbe aperto con diversi istituzionali, tra cui il fondo del
Qatar, che era in predicato di investire fino a un miliardo di euro. L'esito del referendum ha tuttavia
raffreddato l'interesse di Doha per il progetto. Ed è realistico che il Qatar come gli altri investitori
inizialmente contattati (tra cui Soros e Paulson) aspettino l'esito della conversione dei bond per gettare
ufficialmente la spugna. Domani si capirà meglio lo stato dell'arte nel quadro di un Cda straordinario
convocato a Milano. Certoè che solo al termine del bookbuilding si definiranno i prezzi delle azioni
dell'aumentoe: difficilmente si potrà andare lontano dal minimo della forchet- ta, fissata a un euro per azione
(contro un prezzo massimo stabilito in 24,9 euro per azione). Qualora o la conversione, o il collocamento
privato, o entrambe le operazioni, non permettessero di mettere insieme i 5 miliardi previsti, allora si
spalancherebbero le porte all'intervento pubblico. Per capire in quale misura Roma possa partecipare
occorrerà aspettare le mosse degli investitori retail e istituzionali. Il Mef, che è azionista di Siena con il 4%,
potrebbe ad esempio partecipare all'aumento per la quota di compentenza, circa 200 milioni, senza che
questo debba rappresentare oggetto di discussione con Bruxelles: in quel caso, l'operazione sarebbe fatta
ai prezzi di mercato e potrebbe essere subordinata alla presenza di un investitore di peso, come il Qatar,
nel capitale. Diverso invece invece il caso di un aiuto di entità superiore dello Stato, che prenderebbe la
forma di ricapitalizzazione precauzionale (rumors indicano in 900 milioni l'entità): in quel caso, l'operazione
sarebbe agganciata alla conversione forzosa dei 4,1 miliardi di bond subordinati. Tuttoè insomma ancora
da definire. Così come ancora manca la firma finale sul prestito ponte necessario per anticipare la tranche
senior derivante dalla cartolarizzazione dai 27 miliardi di sofferenze. Le banche del consorzio avrebbero
raggiunto una sintesi tra loro sulla quota della senior su cui porre la garanzia Gacs, ma ancora manca il sì
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Riassetti bancari IL CASO MONTEPASCHI
18/12/2016
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di Atlante.
Le operazioni straordinarie e l'andamento del titolo in Borsa
35
5 miliardi
65
1/3
di euro L'AUMENTO DI CAPITALE In percentuale Riservato al collocamento istituzionale Destinato al
pubblico in Italia riservato ai soci MPS Andamento del titolo a Milano 26 24 22 20 18 16 24,60 16/11 20,93
16/12
Foto: AGF
Foto: Banca al bivio. La sede del Monte a Siena con in primo piano la statua di Sallustio Bandini, religioso
ed economista
Foto: .@lucaaldodavi
Foto: .@marcoferrando77
19/12/2016
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diffusione:239605
tiratura:340745
Quattro giorni per salvare Montepaschi
Parte oggi l'aumento di capitale da 5 miliardi con la conversione delle obbligazioni. Se fallirà, il Tesoro ha
già pronto un decreto. Spunta ancora l'ipotesi di un intervento di Poste. Altolà di Merkel: l'Italia rispetti le
regole
VITTORIA PULEDDA
MILANO. Ormai siamo al conto alla rovescia per Mps: oggi parte l'aumento di capitale in azioni, che si
concluderà mercoledì per il pubblico retail e il giorno dopo per gli istituzionali. Sempre dopodomani si
concluderà il periodo di conversione volontaria dei bond subordinati; poi si tratterà di fare i conti e verificare
se la complessa operazione di ricapitalizzazione da 5 miliardi sarà andata in porto. Il governo è pronto a far
scattare il piano B, quello che prevede la ricapitalizzazione prudenziale con intervento di denaro pubblico
(ma che comporta anche la conversione forzosa dei bond e l'azzeramento del valore delle azioni). Il
decreto legge, con misure per complessivi 15 miliardi a sostegno del Monte e di altre banche
eventualmente in difficoltà, è pronto. È altamente probabile che nella prima parte della settimana l'esecutivo
chieda al Parlamento un'autorizzazione cautelativa per la variazione dei saldi di bilancio del Def; una
misura per poter aumentare il debito pubblico, necessaria a varare il decreto ove si rendesse necessario. I
conti si faranno a partire da giovedì sera e al Mef si spera ancora che non ce ne sia bisogno. Molto
dipenderà dalla presenza o meno di anchor investor che sottoscrivano una parte dell'aumento: in ambienti
finanziari circola anche l'ipotesi che, in zona Cesarini, possa intervenire anche Poste, sottoscrivendo una
parte dell'aumento.
In Europa non c'è troppa aria di sconti all'Italia: il salvataggio «dovrebbe avvenire secondo le regole
concordate, cioè i creditori della banca devono contribuire al soccorso, non il contribuente», ha specificato
ieri Christoph Schmidt, uno dei 5 saggi consiglieri economici della cancelliera tedesca Angela Merkel.
Stamani, ma l'orario potrebbe slittare, il cda della banca farà un primo punto sull'operazione. Se i 5 miliardi
saranno trovati, per gli attuali azionisti del Monte ci sarà una diluizione pari all'87,26% nel caso di un prezzo
di offerta pari al valore massimo (inverosimile) di 24,9 euro. Se invece le azioni verranno piazzate al minimo
(un euro) la diluizione sarà pari al 99,42%; il prezzo verrà fissato solo a chiusura dell'aumento. La
condizione perché vada in porto è che vi sia il successo di tutte le componenti dell'operazione:
deconsolidamento degli Npl (non risultano ancora perfezionati gli accordi con Quaestio e il finanziamento
ponte) conversione dei subordinati e aumento in contanti. Oggi compreso, ci sono quattro giorni di tempo
per salvare il Monte.
1 euro IL PREZZO È il valore minimo cui potranno essere emesse le azioni 50 euro IL TAGLIO MINIMO È
l'importo più basso per le sottoscrizioni del retail 5 mld L'AUMENTO È il valore complessivo della
ricapitalizzazione www.consob.it www.mps.it PER SAPERNE DI PIÙ
Foto: Marco Morelli è da tre mesi l'a.d. di Montepaschi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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Le banche
18/12/2016
Pag. 15
diffusione:239605
tiratura:340745
Confalonieri: "L'Italia reagisca a Vivendi Su Mediaset in gioco l'interesse
nazionale"
ETTORE LIVINI
PIACENZA. «Mediaset è scalabile? Sì. Vivendi però deve lanciare un'Opa. E non so se le conviene... Loro
potranno chiederci la governance, come hanno fatto con Telecom, ma noi continueremo a gestire la società
nell'interesse di tutti. Una cosa è chiara: per quanto provino ad arrampicarsi sugli specchi, la loro è una
scalata ostile». Fedele Confalonieri, come al solito, non le manda a dire. Piacenza è affogata in un manto di
nebbia. Mediaset è stata messa sotto scacco da Vincent Bolloré che ha rastrellato il 20% del capitale. Lui,
che è un uomo di parola, è venuto lo stesso qui per una chiacchierata con gli imprenditori della città. E a
margine dell'incontro in Confindustria fa il punto di quella che pare destinata a diventare una guerra di
posizione. Prima certezza: «Con Parigi non c'è nessuna trattativa», come ha ribadito pure Mediaset in una
nota. La visita dell'ad di Vivendi Arnaud de Puyfontaine a Pier Silvio Berlusconi (15 minuti di orologio,
»giusto per ribadire le posizioni») non ha sciolto il ghiaccio. Anche perché il manager transalpino - reduce
dal cda di Telecom Italia - si sarebbe seduto al tavolo senza far mea culpa e ipotizzando invece
fantomatiche collaborazioni tra Mediaset e Tim Vision, la società dell'ex-monopolista tlc destinata a
produrre contenuti video.
Confalonieri ha così toni poco natalizi: «Prima hanno fatto un accordo con noi sulla pay-tv, poi l'hanno
stracciato facendo crollare i titoli Mediaset. E a quel punto hanno iniziato la scalata - dice -. Queste cose
hanno dei nomi tecnici che io non dico ma sanno tutti (manipolazione del mercato, ndr). E ora se ne sta
giustamente occupando la magistratura». Altro che pace in vista. Tra Arcore e Parigi è l'ora degli stracci:
«Vivendi dice di aver iniziato a comprare le nostre azioni a fine novembre? Mhhhh...», dice con
un'eloquente risata il supermanager del Biscione. Scocciato pure dalle etichette appiccicate da de
Puyfountaine a Premium. «Prima ha detto che gli abbiamo venduto una Punto spacciandola per una
Ferrari, ora che è un McDonald's e non il ristorante a tre stelle che pensava - ricorda -. Ma è difficile
sostenere che siano stati imbrogliati: hanno fatto una due diligence e se ci fosse stato qualcosa che non
andava, avrebbero dovuto scoprirlo allora». E la stilettata sulla pay-tv fast-food è finita nel corposo dossier
in mano ai magistrati che - auspica Fininvest - potrebbe portare al congelamento dei diritti di voto sulla
quota Mediaset in portafoglio a Bolloré.
Il braccio di ferro però - Confalonieri lo sa bene - è solo all'inizio. E le forze in campo, specie se i francesi
tenteranno l'affondo con un'Opa ostile, sono impari. Le barricate vanno costruite ora chiamando a raccolta
anche la politica. «In Francia c'è un estabilishment che qui non c'è - constata amaro "Fidel" - . Lì sono
sciovinisti persino nella difesa della lingua». Ma almeno questa volta - a sentir lui - gli S.O.S. del Biscione
non sono caduti nel vuoto: «Mi fa piacere sentire l'appoggio del governo che sta reagendo in modo corretto
e deciso - assicura -. Qui non è in gioco solo l'Inno di Mameli o l'italianità, ma l'interesse nazionale».
Telecom Italia, a dire il vero, è finita tra le braccia di Bolloré senza che nessuno inarcasse un sopracciglio
nei palazzi romani. Ma ormai la frittata è fatta e il Belpaese è chiamato a far quadrato attorno a Iene e
tronisti. Cosa si aspetta il presidente di Mediaset da Paolo Gentiloni? «Intanto c'è già una legge in vigore
scritta per bloccare le nostre mire su Telecom che oggi viene buona per stoppare i francesi».
Poi ci sono i mille modi legittimi in cui un esecutivo può mettere i bastoni tra le ruote a un raider ostile:
«Ricordo quello che è successo a noi con La Cinq - è l'amarcord di Fidel -. Era febbraio '86, siamo arrivati a
Parigi con Berlusconi il giorno in cui avevamo comprato il Milan. Francois Mitterand aveva dato l'ok
all'operazione affiancandoci un azionista di maggioranza transalpino».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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La sfida delle tv Il colloquio. Il presidente del Biscione "Inutile che i francesi si arrampichino sugli specchi.
La loro è operazione ostile"
18/12/2016
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Tutto è filato liscio fino a quando è stato eletto Jacques Chirac e il vento è girato: «Appena vinte le elezioni
ha privatizzato Tf1. E noi siamo finiti fuori gioco - conclude -. Il modo di difendersi della Francia è questo.
Vorrei succedesse anche in Italia». Si vedrà se è possibile. Ad occhio soluzioni dirigiste di questo tipo
paiono destinate a rimanere nel libro dei desideri. Anche perché a Parigi ci sono "meccanismi" consolidati come li definisce il gran timoniere di Mediaset - che alle nostre latitudini non esistono. Ore 13. Confalonieri
saluta tutti e si infila nella sua Audi grigia, nel baule un cesto omaggio di pancetta, salame e coppa
piacentini, tre prelibatezze Dop che i francesi non riusciranno mai a portarci via. Tempo di un'ultima battuta:
«C'è spazio per negoziare con Bolloré?». «Vediamo», dice sibillino Confalonieri. Ma il sorriso ironico
mentre si chiude la portiera alle spalle dice più delle parole. Tra Arcore e Parigi, per ora, rullano ancora i
tamburi di guerra.
L'ACCUSA
Prima un'intesa con noi sulla pay-tv Poi la stracciano facendo crollare i titoli. Giustamente
interviene la Procura
IL CONTRATTACCO
Parigi sa difendersi Vorrei che anche da noi fossimo altrettanto capaci Se negoziare ancora?
Vediamo www.agcom.it www.mediaset.it PER SAPERNE DI PIÙ
Foto: SOTTO TIRO Pier Silvio Berlusconi, a sinistra, e Fedele Confalonieri sono amministratore delegato e
presidente di Mediaset Nell'ultima settimana Vivendi ha preso il 20% della società
Foto: FOTO: ©STEFANO SCARPIELLO IMAGOECONOMIC
18/12/2016
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Pesenti con Edison punta ai clienti gas di Eni
Dopo la cessione di Italcementi il gruppo italiano ha in cassa un "tesoretto" da 900 milioni
LUCA PAGNI
MILANO. Con un tesoretto di 900 milioni dopo la cessione di Italcementi, per mesi il mercato si è
interrogato sui possibili obiettivi della famiglia Pesenti. Con un consiglio di amministrazione della holding
Italmobiliare che si è tenuto nei giorni scorsi, è stata decisa la prima mossa. I Pesenti guidano un gruppo di
investitori che si è fatto avanti per allearsi con il gruppo Edison. Una operazione che non si riduce a una
pura operazione finanziaria: il progetto allo studio ha un risvolto industriale che riguarda il mercato del gas e
coinvolge altri nomi di primo piano.
Così come è stato possibile ricostruire, Italmobiliare fa parte di un gruppo di investitori in cui è presente
anche il fondo F2i che si è fatto avanti per sostenere Edison nell'acquisto di una parte della divisione
"gas&power" di Eni. Si tratta delle attività che comprendono l'approvvigionamento e la vendita di gas
naturale, compresa l'attività di produzione di energia elettrica e il collegato ramo vendite ai clienti finali. Si
tratta degli asset che si occupano della vendita di gas naturale a 2600 grandi clienti (tra produttori di
energia, industrie e grossisti), nonché a 8 milioni di famiglie, liberi professionisti e Pmi. A cui si aggiungono
altri 2 milioni di clienti in Europa. La parte che interessa a Edison - e che avrebbe il supporto di Italmobiliare
- è relativa ai soli clienti gas/luce di Eni in Italia, Francia e Belgio. La divisione gas&power era stata inserita
a suo tempo da Eni tra gli asset da dismettere, per trovare risorse da destinare al cuore delle attività
industriali del gruppo di Metanopoli: la ricerca ed estrazione di idrocarburi. Nella primavera scorsa, dopo
aver valutato anche la possibilità di uno spin off da quotare in Borsa, l'amministratore delegato Claudio
Descalzi ha tolto la divisione gas&power dal mercato. L'operazione torna ora la centro dell'attenzione del
mercato, grazie all'iniziativa presa dal gruppo Pesenti. Assieme al fondo F2i ha proposto di finanziare
l'operazione, viste le difficoltà in cui versa ora Elecricité de France (Edf): la controllante di Edison ha deciso
la vendita di attività per circa 10 miliardi, ma anche deciso che l'Italia è un paese in cui intende ancora
investire.
Il nuovo amministratore delegato Marc Benayoun ha avviato una serie di operazioni per crescere nel
nostro paese: ha lanciato un' Opa sul gruppo Alerion per diventare il numero due del settore eolico e si è
fatto sotto per acquisire i clienti di Eni.
Ma come dovrebbe avvenire l'operazione? Stando ad alcune indiscrezioni Edison sarebbe stato offerto un
miliardo di euro per il 20% di Edison. L'operazione però ha solo mosso i primi passi e la trattativa di fatto
deve ancora iniziare. Secondo alcune fonti, l'ingresso nel capitale potrebbe portare anche al ritorno di
Edison in Borsa a tutti gli effetti (ora sono rimaste solo le risparmio). Da parte sua, un portavoce di Edison
ha voluto solo precisare che «in questa fase Edf non è alla ricerca di un partner in quanto non è necessario
per lo sviluppo di Edison».
Dove "in questa fase", dice tutto.
L'OPERAZIONE IL CONSORZIO Italmobiliare della famiglia Pesenti (in foto Carlo) con un gruppo di
investitori, tra cui F2i, sostiene Edison ( Edf) per acquistare parte della divisione "gas&power" di Eni LA
"PREDA" È una parte della divisione "gas&power" di Eni relativa al mercato del gas con oltre due milioni di
clienti. Si tratta di una divisione considerata "non core" dall'Eni
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IL CASO/ DELLA PARTITA ANCHE IL FONDO F2I CON L'OBIETTIVO DI FORNIRE LE RISORSE
FINANZIARIE NECESSARIE CHE I FRANCESI NON HANNO
18/12/2016
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Almaviva, vertenza chiusa 2.500 licenziamenti a Natale Sindacati: "Senza
precedenti"
Mercoledì dovrebbero partire le lettere ai lavoratori. Colpite le sedi di Roma e Napoli
ROSARIA AMATO
ROMA. «Il licenziamento collettivo più imponente della storia della Repubblica Italiana». I sindacati
definiscono in questi termini la possibile conclusione della vertenza Almaviva Contact: con la chiusura delle
sedi di Roma e di Napoli verrebbero licenziati 2.511 lavoratori. Il tempo stringe: domani al ministero dello
Sviluppo economico c'è forse l'ultimo incontro utile per trovare un accordo, mercoledì 21 la procedura si
chiude e potranno partire le lettere di licenziamento.
Proprio così, pochi giorni prima di Natale. I sindacati hanno proclamato uno sciopero per l'intera giornata di
domani. Sulle ragioni della crisi c'è estrema comprensione tra le parti: non c'è dubbio che la colpa degli
ormai due milioni di euro che Almaviva Contact perde ogni mese siano da attribuire alla crisi del settore,
alle gare al massimo ribasso, a chi ha fatto il furbo delocalizzando in Paesi con costo del lavoro stracciato,
come l'Albania. Chi rispetta le regole perde: aziende, lavoratori, sindacati. Però qui finisce la comprensione,
da qua in poi le strade si dividono. Almaviva a ottobre aveva messo sul tavolo una proposta che prevedeva
«la sospensione temporanea di alcune componenti del costo del lavoro, ovvero la riduzione del livello di
inquadramento e il blocco degli scatti di anzianità». Il costo del lavoro rappresenta l'80 per cento dei costi
generali di Almaviva: per l'azienda si trattava di una strada inevitabile. Temporanea, certo, fino a quando le
sanzioni irrogate alle aziende che delocalizzano in Paesi extra-Ue non avessero dato i loro frutti.
Un sacrificio inutile, per i sindacati. «Quattro anni fa abbiamo accettato un accordo di questo tipo con
Teleperformance spiega Riccardo Saccone, segretario generale della Slc Cgil del Lazio - ma non è servito
a nulla, perché i ribassi sono stati assorbiti dai committenti. E poi i lavoratori sono da cinque anni in
solidarietà, con quote che in alcuni casi arrivavano al 45 per cento, non ce la fanno più, piuttosto che subire
un taglio così radicale preferiscono che l'azienda chiuda». Fonti dell'azienda suggeriscono che le cose non
stiano esattamente così, che ci sia una crisi di rappresentanza, che i sindacati stiano cercando di salvare il
salvabile. In un comunicato Almaviva stigmatizza «la cultura del sussidio inadeguata e impropria». E
rimprovera i sindacati anche per non aver accettato il controllo a distanza sui lavoratori, nonostante fosse
previsto da un accordo siglato a maggio, al Mise. «Il controllo a distanza non incide sul guadagno
marginale di un'azienda, non rappresenta neanche un vantaggio competitivo», si difende Saccone.
Almaviva se la prende anche con il governo: aveva promesso sanzioni contro chi non rispetta le regole,
contro chi delocalizza in Paesi extra-Ue, ma le sanzioni non sono arrivate. «Le abbiamo applicate, abbiamo
anche già riscosso l'ammenda in due casi», replica Giampiero Castano, responsabile dell'Unità gestione
aziende in crisi del ministero dello Sviluppo economico. «La verità - aggiunge - è che le posizioni sono
inconciliabili, Almaviva potrebbe utilizzare gli ammortizzatori sociali, ma non intende farlo, sostiene che
sarebbe inutile, con i contratti di solidarietà perdeva comunque due milioni al mese. E i sindacati non
accettano tagli dei salari perché temono che poi si aprirebbe una deriva pericolosa, in un contesto di
rinnovo del contratto collettivo. Abbiamo ancora quattro giorni, spero che si riesca a trovare una soluzione
ma le parti sono molto rigide, troppo ferme».
2015 Preconsuntivo
Previsioni 2016
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Call center: andamento del fatturato Dati in milioni di euro
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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La crisi. Nessun accordo tra il gruppo dei call center e Cgil, Cisl, Uil. Lunedì sciopero ed estremo tentativo
L'azienda continua a perdere oltre due milioni al mese
18/12/2016
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1.246
1.219
1.191
1.190
1.160 2012 2013 Fonte: Elaborazione Cerved-Databank 2014
2511
Con la chiusura delle sedi di Roma e Napoli di Almaviva Contact 2511 licenziamenti
2 mln
Da alcuni mesi Almaviva Contact perde ogni mese circa due milioni di euro
45%
Dal 2012 a oggi Almaviva Contact ha applicato contratti di solidarietà fino al 45%
9000
I dipendenti di Almaviva Contact sono 9.000, 8.000 a tempo indeterminato
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18/12/2016
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Entro mercoledì gli obbligazionisti dovranno decidere se convertire in azioni Ancora in sospeso l'accordo
con Atlante per rilevare i crediti in sofferenza Il Tesoro parteciperà forse aumentando la sua quota. Pronto
anche un piano B
VITTORIA PULEDDA
MILANO. Settimana decisiva per il Monte, ma è sempre più in salita la strada dell'aumento di capitale
privato mentre diventa sempre più concreto un intervento del Mef nell'operazione (nonostante il direttore
generale del fondo salva-Stati Esm, Klaus Regling, abbia minimizzato sostenendo che è esagerato parlare
di crisi delle banche italiane in generale). L'ok della Consob al Prospetto è arrivato da due giorni ma forse
solo oggi ci sarà la pubblicazione. La corsa contro il tempo è a dare il via all'aumento domani mattina, per
concluderlo venerdì, mentre è appena partita l'altra gamba dell'operazione di ripatrimonializzazione, quella
della conversione volontaria dei bond subordinati. Insieme all'eventuale presenza dell' anchor investor, per
cui tutti guardano al Qatar, che però nella migliore delle ipotesi si paleserà all'ultimo momento. La certezza
è che il totale deve fare 5 miliardi di mezzi freschi. Ma al momento è davvero l'unica certezza: nemmeno
sull'avvio dell'aumento di capitale per domani mattina c'è la garanzia assoluta.
Ai vari tasselli ne manca ancora uno: la firma del contratto sulla cartolarizzazione sui crediti in sofferenza
(gli Npl) da parte di Quaestio, la sgr che gestisce il fondo Atlante. Faticosamente conclusa la fase del
prestito bridge alla cartolarizzazione (che ha visto all'ultimo momento sfilarsi Citi) non è stato ancora
ultimato il passaggio successivo, la firma del contratto da parte di Quaestio. Dettagli che dovrebbero
andare a posto nelle prossime ore.
Mercoledì si chiuderà la conversione volontaria dei bond subordinati: la banca si aspetta al massimo il
40,4% di adesioni, quindi 1,8 miliardi. Un miliardo è già stato incassato dalla prima operazione di
conversione, 200 milioni arriveranno ora dal Fresh. Il resto bisognerà trovarlo tra il retail e gli altri
istituzionali. Soprattutto questi ultimi potrebbero aver convenienza a farlo, perché probabilmente hanno
fatto incetta di questi titoli quando quotavano a prezzi da saldo ed ora hanno la possibilità di convertirli tra
l'85 e il 100% del valore nominale (a seconda delle emissioni).
Certo, diventare azionisti del Monte è comunque una scelta coraggiosa: è la stessa banca, nel Prospetto
per i bond, a scrivere che anche in caso di riuscita della ricapitalizzazione «sussiste il rischio che si
verifichino eventi o circostanze tali da compromettere la prospettiva della continuità aziendale». Nel
frattempo al Mef lavorano incessantemente alle due opzioni: aumento di mercato, cui il Tesoro parteciperà
probabilmente aumentando la sua quota del 4% (ma compatibilmente con la disciplina che vieta gli aiuti di
Stato); oppure con un intervento pubblico e con un decreto apposito (che dovrebbe mettere a disposizione
di eventuali crisi bancarie 15 miliardi). La misura però non vedrà la luce fino a quando non verrà sancito
l'eventuale fallimento dell'operazione di mercato. In quest'ultimo caso il Mef si muoverà nell'ambito della
ricapitalizzazione prudenziale, che permette alla parte pubblica di intervenire a sostegno di una banca
solvente, ma che non ha superato gli stress test (come Mps). Prima però pagheranno pegno gli azionisti e
gli obbligazionisti subordinati, con la conversione forzosa.
Foto: ORE DECISIVE La corsa contro il tempo per il Montepaschi parte domani con l'aumento e si
conclude entro venerdì. C'è attesa per il Qatar
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A Siena si corre il Palio più duro Domani l'aumento da 5 miliardi
17/12/2016
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Bolloré, un summit con Berlusconi
La diplomazia lavora per un incontro in tempi stretti fra Vivendi e Mediaset, ma a Cologno non si fidano Il
ministro Calenda all'ad della società francese: " Arroganza inaccettabile, l'Italia non è la Guyana"
ETTORE LIVINI
MILANO. Fininvest, c'è posta per te. Vincent Bolloré sospende (per ora) la scalata in Borsa a Mediaset e si
prepara a bussare alla porta del Biscione chiedendo un summit con Silvio Berlusconi. La richiesta sarebbe
in preparazione in queste ore e fonti francesi auspicano un incontro ai massimi livelli in tempi stretti per
provare a far parlare la diplomazia dopo i fuochi d'artificio di questa settimana sul listino, dove ieri il titolo ha
perso lo 0,5%.
Il ramoscello d'ulivo, ovviamente, suona paradossale, visto che il raider bretone ha passato gli ultimi giorni
a scalare le tv dell'ex-alleato rastrellando il 20% del capitale. Ma rientra a pieno titolo nella sua classica
strategia d'assalto, fatta di continui stop and go fino a centrare l'obiettivo finale. Il tono dell'offerta di pace
(armata) ad Arcore è chiaro: «Il nostro non è un intervento ostile ma un modo per dimostrare che crediamo
nell'intesa tra i due gruppi - è il messaggio -. Nelle prossime settimane Mediaset deve prendere decisioni
importanti su temi come l'asta dei diritti del calcio. Meglio sedersi subito al tavolo e parlarsi per firmare la
tregua e decidere come muoversi». Fininvest non commenta per ora sulle possibili avances transalpine. Ma
- visti i precedenti - non sembra troppo disposta a fidarsi delle dichiarazioni d'amore dell'ex alleato. E la
famiglia, dopo aver stretto le fila, è impegnata in queste ore a cercare di blindare il controllo delle tv. Il
timore, visto il curriculum vitae di Bolloré, è che le mani tese di queste ore siano solo l'antipasto prima del
secondo tempo della scalata in Borsa alla conquista di Cologno.
Parigi ha provato ieri a riallacciare i rapporti anche con la politica tricolore. L'amministratore delegato di
Vivendi Arnaud de Puyfountaine - a Roma per il cda di Telecom Italia di cui i francesi sono i primi soci ha
incontrato Carlo Calenda. Il ministro dello Sviluppo economico ha ribadito nel faccia a faccia la posizione
del governo italiano. Nessun problema con l'operazione, ma molti dubbi sui modi con cui è stata condotta,
specie vista la delicatezza degli equilibri del settore dei media nel nostro paese. Calenda avrebbe accusato
secondo indiscrezioni attendibili il gruppo Bolloré di «un'arroganza inaccettabile» e ribadendo che non è
possibile «trattare l'Italia come la Guyana francese». Parole su cui, con una certa freddezza, si sarebbe
chiuso l'incontro.
Mediaset a Piazza 2,582 3,324 lun 7 dic mar 13 dic 3,836 3,314 mer 14 dic gio 15 dic 3,546 IERI 3,80 3,60
3,40 3,20 3,00 2,80 www.repubblica.it/economia www.vivendi.com PER SAPERNE DI PIÙ
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La sfida delle tv
17/12/2016
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Etruria, soldi anche a società fantasma in 22 sotto accusa per bancarotta
Chiuse le indagini, non c'è papà Boschi Auto finanziamenti occulti per i dirigenti
FABIO TONACCI
ROMA. I soldi di Banca Etruria venivano buttati via. A milioni. Davano mutui a imprese sull'orlo del
fallimento, concedevano prestiti a società che ancora non erano nate, erogavano finanziamenti che poi,
dopo una serie di passaggi, sono tornati nelle casse delle aziende di alcuni consiglieri di amministrazione.
Così 22 ex dirigenti avrebbero dissipato almeno 180 milioni di euro della Popolare causandone il fallimento,
secondo la procura di Arezzo che ha notificato loro l'avviso di chiusura indagini sulla bancarotta
fraudolenta. Il periodo cui si riferisce questa tranche d'inchiesta (ce ne saranno altre, sempre per
bancarotta) va dal 2009 al 2013 e travolge due cda. Sono indagati il vecchio presidente Giuseppe
Fornasari, l'ex dg Luca Bronchi e altri venti consiglieri, tra i quali non figura Pier Luigi Boschi, il padre del
sottosegretario Maria Elena Boschi: Boschi senior non risulta aver partecipato ai comitati crediti che
votarono a favore dei crediti sotto accusa in questo filone. Il nome di Boschi era finito nel registro degli
indagati nella primavera scorsa, insieme a tutto l'ultimo cda di Etruria, per aver deliberato la liquidazione da
1,2 milioni per Bronchi, ma poi il gip - in sede di richiesta di sequestro della cifra - ha espresso diverse
perplessità su tale impostazione, e attualmente pende un ricorso in Cassazione. Quello che emerge dalle
carte dei magistrati di Arezzo assomiglia a un manuale su come non si deve gestire una banca.
Per dire, tra il 2009 e il 2010 Etruria concesse 33 milioni di euro alla società Privilege Yard per realizzare
un mega yacht.
Quasi 4 erano per l'impianto fotovoltaico del cantiere navale, che è stato realizzato dalla High Facing srl,
«nella quale - scrive il procuratore capo Roberto Rossi - aveva diretto interesse personale Natalino
Guerrini». Il consigliere dell'Etruria, infatti, ne era socio al 10 per cento. Lo yacht non è mai stato finito e la
carcassa arrugginita giace ancora nel porto di Civitavecchia. Alla Sacci spa hanno dato ben 60 milioni di
euro, «senza alcuna reale istruttoria e con la consapevolezza della impossibilità che il finanziamento
venisse onorato», oltretutto in conflitto di interessi perché nel board della Sacci c'era il consigliere Augusto
Federici. Il denaro non è mai rientrato.
Sono stati così disinvolti nel maneggiare il patrimonio dell'Etruria che addirittura hanno concesso un credito
a una società che ancora non esisteva: su richiesta del consigliere Lorenzo Rosi, il primo settembre 2008 il
cda vota il prestito ipotecario da 4,8 milioni alla Città Sant'Angelo Outlet. Peccato che la società si è
costituita solo un mese dopo. In quel momento, secondo i pm, era un soggetto «giuridicamente inesistente»
La vicenda che riguarda il consigliere Alberto Rigotti è ancor più oscura. Su sollecitazione sua e di
Fornasari, la Pegasus spa ottiene nel 2009 un mutuo da 4 milioni per la realizzazione di un complesso
immobiliare nel Bergamasco, che in realtà era già stato completato. Lo stesso giorno la Pegasus gira i 4
milioni alla Cib 95, e la Cib 95 attraverso altri passaggi intermedi fa arrivare alla Abm Network investment
(dove Rigotti sedeva nel cda) un milione di euro: soldi che serviranno alla Abm Network per ripianare un
debito che aveva con Etruria, e, dunque, a Rigotti per non decadere dalla carica di consigliere della
Popolare. Qualche settimana dopo Fornasari scalza dalla presidenza il vecchio Elio Faralli, che perde
l'elezioni interne per un solo voto nel cda: quello di Alberto Rigotti.
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Foto: LA PROTESTA
Foto: Una manifestazione di protesta dei risparmiatori truffati da Etruria
Foto: FOTO: ©MAURIZIO DEGL'INNOCENTI/ANSA
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L'inchiesta
17/12/2016
Pag. 15
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Tangenti elicotteri processo da rifare a Orsi, ex ad di Finmeccanica
ROMA. La Cassazione ha annullato ieri con rinvio le condanne inflitte in appello all'ex amministratore
delegato di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, e a Bruno Spagnolini, ex ad di Agusta Westland. I due erano
stati condannati a 4 anni e 6 mesi e a 4 anni di reclusione dalla Corte d'appello di Milano nell'ambito del
processo sulla presunta tangente pagata a pubblici ufficiali indiani per ottenere una commessa su dodici
elicotteri.
Il sostituto pg di Cassazione, Enrico Delehaye, nella requisitoria aveva rilevato che il capo di imputazione
originario sul reato di corruzione internazionale sarebbe diverso da quello per cui è stata pronunciata la
condanna in secondo grado, come evidenziato anche dalle difese. Si attende che la sentenza sia
depositata per accertare se sono state accolte le tesi del pg.
Foto: L'ex ad di Finmeccanica Orsi
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LA CASSAZIONE
17/12/2016
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E a Milano in tredicimila costretti a saltare la cena "Pasti solo in mensa"
Un investimento che spera di raddoppiare, con donazioni di privati cittadini, enti ed imprese Il primo
progetto è l'Emporio della solidarietà dove 1.500 famiglie faranno la spesa
ZITA DAZZI
MILANO. Nella città dei grattacieli che spuntano come funghi, delle grandi firme della moda e del design,
nella città simbolo del successo italiano nel mondo, ci sono ancora tra i 13 e i 21mila bambini che non
hanno abbastanza da mangiare.
Bambini milanesi doc oppure stranieri, che - secondo diverse ricerche fatte da Caritas e Banco Alimentare,
integrate dalle tabelle Istat - fanno solo un pranzo al giorno. Quello alla mensa scolastica. Perché la sera, a
casa, il frigo è vuoto e ce la si cava con una tazza di latte e qualche biscotto. È per questo che Fondazione
Cariplo, in occasione del suo 25mo compleanno, lancia quello che il presidente Giuseppe Guzzetti ha
intitolato "Patto di Milano contro la povertà infantile". Un fondo da 12 milioni di euro da spendere in tre anni
per potenziare le iniziative che vanno a favore delle famiglie povere che non riescono nemmeno a sfamare i
figli.
Un investimento per l'area metropolitana, che la fondazione spera almeno di raddoppiare, con donazioni di
privati cittadini, enti ed imprese. L'annuncio ieri mattina, nella sede di CariploFactory, dove Guzzetti,
dialogando col direttore di Repubblica Mario Calabresi e con quello del Corriere Luciano Fontana, ha
definito «intollerabile l'idea che nella Milano con questi parametri di successo, ci siano ancora migliaia di
bambini che soffrono la fame». Bambini senza futuro, teme il presidente che ha messo al lavoro i suoi
esperti per decidere a chi erogare i fondi.
Cariplo, dal 1991, ha finanziato con 2,8 milioni di euro oltre 30mila progetti rivolti alla tutela della persona
(955 milioni per 14.094 progetti), dell'arte e della cultura (948,4 milioni per 11.212 progetti), allo sviluppo
della ricerca scientifica (421 milioni per 764 progetti) e alla protezione dell'ambiente (145 milioni per 1.835
progetti). L'iniziativa lanciata ieri integra il "Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile", già in
corso a livello nazionale, con 120 milioni all'anno per tre anni, donati dalle Fondazioni bancarie di Acri,
attraverso il credito d'imposta. Ma visto che ciò che si è fatto finora a Milano non basta, si parte con nuovi
investimenti andando a sostenere in particolare progetti per la distribuzione dei pacchi alimentari nei centri
d'ascolto, con percorsi di promozione sociale e lavorativa delle famiglie "prese in carico" dal volontariato.
Il primo progetto è quello di un "Emporio della solidarietà" creato da Caritas Ambrosiana che aprirà nella
periferia sud della Barona, in un negozio del Comune con alimenti donati fra gli altri fa da Coop Lombardia,
Eataly e Sogemi. Saranno 1.500 le famiglie con bambini piccoli a cui verrà data la tessera per fare la
spesa. Altri soldi verranno dati alla Curia per il suo Fondo famiglia lavoro, istituito nel 2008 dal cardinale
Dionigi Tettamanzi e rilanciato dall'arcivescovo Angelo Scola, che aiuta mamme e papà disoccupati a
trovare lavoro. Terza tranche di spesa per il Banco Alimentare che raccoglie prodotti alimentari invenduti
nella grande distribuzione industrie e li ridistribuisce a mense dei poveri. Verranno privilegiate parrocchie ed
enti caritativi, che anno più della metà degli assistiti in età compresa fra 0 e 17 anni. «I bambini che hanno
fame e che noi vogliamo vedere sorridere», dice Guzzetti, come fosse il nonno di tutti.
A Fondazione Cariplo sono arrivati auguri e congratulazioni dal Papa e dal presidente della Repubblica
Sergio Mattarella. Romano Prodi, presente al lancio, ha commentato: «Oggi alle Fondazioni tocca
affrontare problemi sociali difficili da gestire per governi che durano poco e che hanno paura a parlare di
aumento delle imposte per migliorare i servizi. Parole che sulle quali una volta si misuravano destra e
sinistra, ma che oggi fanno temere di perdere le elezioni». Appoggio totale anche dal Comune, che assente il sindaco Sala - tramite l'assessore Pierfrancesco Majorino promette: «Oggi stringiamo con
Fondazione Cariplo un grande patto per Milano per aiutare le persone ad uscire dalla condizione di povertà.
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L'allarme. Povertà minorile sempre più diffusa. La Fondazione Cariplo stanzia dodici milioni
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Spenderemo 35 milioni per loro».
100mila IN POVERTÀ ASSOLUTA Secondo ricerche Caritas e stime Istat sono centomila le persone in
povertà assoluta nell'area metropolitana di Milano 21mila I MINORENNI Le stime parlano di circa 13mila
bambini che a Milano mangiano solo a scuola e 21mila che non hanno alimentazione completa 12 mln IL
FONDO CONTRO LA FAME Con 12 milioni Fondazione Cariplo lancia un piano per aiutare il terzo settore
che aiuta le famiglie povere con figli +20% L'AUMENTO DEL FENOMENO L'ultimo rapporto Caritas parla
di un aumento del numero di famiglie cronicamente povere del 20 per cento dal 2008 157 I SERVIZI CHE
AIUTANO Sono nove le mense dei poveri, 157 i centri che distribuiscono pacchi alimentari e 370 i centri
d'ascolto presso le parrocchie +2,5% IL PROBLEMA DEI DISOCCUPATI Fra i poveri in coda nelle mense
caritative in aumento del 2,5 per cento all'anno gli italiani disoccupati, con figli a carico
17/12/2016
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A Bari "trattamento di favore" per il presidente di Confindustria
(a.cass)
BARI. Oltre 400mila azioni vendute in tempo utile prima che i titoli venissero deprezzati. Questo il
"trattamento di favore" che la Banca Popolare di Bari avrebbe riservato ai De Bartolomeo (una importante
famiglia edile barese, uno dei componenti è presidente di Confindustria Bari, Barletta, Andria, Trani). È
quanto contenuto in un decreto di perquisizione della Procura di Bari nei confronti della Popolare di Bari,
che due giorni fa è stata perquisita dalla Guardia di Finanza.
L'indagine della Procura (nessun indagato) ruota attorno all'asta di marzo, poco tempo prima che la Bpb
deprezzasse il valore delle azioni da 9,15 a 7,50 euro. Qualcuno riuscì a vendere prima scavalcando
l'ordine cronologico: «Tra gli ordini inseriti successivamente in violazione del criterio cronologico vi sono gli
ordini di vendita riconducibili a Debar Costruzioni Spa e ad alcuni esponenti della famiglia De Bartolomeo».
Ordini inseriti «benché privi di data certa di acquisizione dell'ordinativo». In questo modo Debar avrebbe
alienato, nell'asta del 18 marzo, 430mila titoli della Bpb per un controvalore di 4 milioni e 97mila euro al
prezzo di 9,53 euro per azione.
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POPOLARI 2/ AVREBBE VENDUTO 400 MILA AZIONI
17/12/2016
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I giudici del Consiglio di Stato "La riforma va sospesa"
(vi.p)
MILANO. Ennesimo intervento del Consiglio di Stato nella riforma delle popolari, alla vigilia dell'assemblea
della Sondrio che avrebbe dovuto approvare la trasformazione in spa. Con un decreto relativo al ricorso
presentato da Marco Vitale (socio della popolare di Sondrio) ed altri soci, il tribunale amministrativo ha
congelato i termini per la trasformazione in spa delle banche popolari fino al 12 gennaio, quando si terrà la
camera di consiglio per decidere nel merito. Fino a quel momento, «il termine per la trasformazione
societaria è sospeso».
Sempre Vitale si era rivolto anche al Tribunale di Milano, che con una sentenza ex articolo 700 del Codice
di procedura civile, ha inibito lo svolgimento della stessa assemblea, per la parte riguardante la
trasformazione in spa. Il 10 gennaio si svolgerà l'udienza per il contraddittorio. A questo punto oggi
l'assemblea della Popolare di Sondrio si terrà per la sola parte ordinaria. Le due mosse partono dalle
ordinanze con cui il Consiglio di Stato ha sottoposto alla Consulta il giudizio sulla possibile incostituzionalità
della riforma delle popolari voluta dal governo Renzi. Il tribunale amministrativo ha ritenuto «non
manifestamente infondate» le obiezioni sollevate da un gruppo di soci di banche popolari, quasi tutte nel
frattempo trasformate in spa, secondo cui in particolare le norme sulla limitazione del diritto di recesso - fino
alla sua esclusione - potrebbero confliggere con la Costituzione.
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POPOLARI 1/ SLITTA IL CAMBIO DI SONDRIO IN SPA
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Il Tesoro ha valutato anche l'ipotesi di un extra cedola da Poste e Cdp da utilizzare a Siena Francoforte
chiede alle banche venete di ridurre le sofferenze e rafforzare i requisiti patrimoniali
VITTORIA PULEDDA
MILANO. Le caselle formali per la manovra di rafforzamento patrimoniale da 5 miliardi sono andate tutte al
loro posto: il giorno prima c'è stato l'ok della Consob alla riapertura della conversione volontaria dei bond
subordinati in azioni, ieri è arrivato anche il disco verde alla pubblicazione del Prospetto per la parte di
aumento di capitale "tradizionale" (di importo da definire dopo la conversione dei bond). L'aumento sarà
indirizzato in larga parte il 65% - agli investitori istituzionali e per il 35% al pubblico retail. Mps, che a tarda
sera non aveva ancora comunicato il disco verde della Consob, ha reso noto che «è ragionevole ritenere»
che il prezzo di emissione delle nuove azioni sarà «significativamente inferiore rispetto alle quotazioni» di
ora.
La vera scommessa ora è legata (oltre all'intervento del Qatar) alla conversione dei bond.
L'importo massimo è di 4,5 miliardi ma la banca si aspetta adesioni fino al 40,4% (incluso il miliardo già
apportato in precedenza) soglia probabilmente ottimistica; il valore minimo di adesioni è del 24%, in linea
con quanto è stato già consegnato. C'è tempo fino al 21 dicembre e molto dipenderà dalla risposta del retail
(che ha in mano il bond da 2 miliardi emesso nel 2008): la banca è già partita con una massiccia opera di
informazione (anche con call center) presso i risparmiatori che potranno convertire in azioni i titoli anche se
il profilo Mifid non è adeguato, ma dovranno farlo rilasciando «un'attestazione olografa» i cui dichiarano di
assumere l'iniziativa senza consulenza della banca. La partita si giocherà molto anche sugli istituzionali:
Mps ha sottolineato che in caso di intervento pubblico la conversione forzosa potrebbe avvenire a
condizioni «anche peggiori». Basterà? L'ipotesi del "piano B", con intervento pubblico, è tutt'altro che
esclusa: secondo la Reuters ci sarebbe la conversione forzosa di bond per 4,1 miliardi (con forme di
sostegno per il retail da parte del Mef) unita ad un aumento precauzionale pubblico da 900 milioni. Per ora
però al ministero dell'Economia si continua a ragionare in termini di aumento di capitale privato.
Il Mef ha una quota del 4% e seguirà l'aumento; anzi non è escluso che possa crescere, pur senza
interventi troppo pesanti. Come ipotesi di scuola si era anche prospettato di poter ricevere un extradividendo di un miliardo da Cdp (e forse da Poste) con cui sottoscrivere una quota aggiuntiva di azioni Mps,
ma la soluzione risulta superata; il Tesoro avrebbe pensato altre strade. Il quadro della banca resta
comunque molto teso: 6 miliardi di raccolta diretta sono stati persi dal 30 settembre al 13 dicembre, di cui 2
miliardi dal 4 dicembre, il che porta il saldo complessivo a sfiorare i 20 miliardi persi nel 2016.
A valle del referendum la liquidità si è ridotta fino ad arrivare a «un orizzonte temporale di 29 giorni entro il
quale la banca può far fronte ai propri fabbisogni di liquidità, senza ricorrere a nuovi interventi». È questa
una delle osservazioni, spiega il Prospetto, che ha portato Bce a negare una proroga all'aumento. Sempre
Francoforte ha sottolineato che in assenza dell'aumento di capitale la banca potrebbe avere a fine anno un
Cet1 inferiore a quello previsto dallo Srep per il 2016 (9,5% rispetto a 10,75%). Tensione sul fronte della
liquidità e dintorni anche per le due banche venete: la Bce, nel suo esame Srep, ha chiesto alla Popolare di
Vicenza e a Veneto Banca un aggiornamento del Piano Strategico e un piano per ridurre le sofferenze oltre
che, a partire dal 2017, di mantenere un coefficiente di copertura della liquidità di almeno 10 punti
percentuali sopra al requisito minimo.
24,60 16 nov L'altalena del Monte 23,01 24 nov 17,24 28 nov 21,8 8 dic 20,06 14 dic 20,93 +1,31 IERI
©RIPRODUZIONE RISERVATA Gli azionisti del Monte dei Paschi (In %, ricostruzione su dati assemblea
24/11) 55 Piccoli azionisti 34,9 Investitori in fondi 4,02 Ministero del Tesoro 3,17 Axa 1,50 Alessandro
Falciai 0,78 Fondazione Mps 0,36 Coop Centro 0,28
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Aumento Mps, arriva l'ok Consob la Bce dà l'allarme: liquidità limitata
17/12/2016
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Weekend di lavoro per il cda della compagnia italiana che cerca una soluzione alla crisi. Il gruppo arabo
punta sul mercato tedesco per gli intercontinentali
LUCIO CILLIS
ROMA. Il Consiglio di amministrazione di Alitalia chiamato a decidere le misure decisive per far uscire dalla
nuova crisi la compagnia aerea resterà aperto tutto il weekend. Sul tavolo pesano le scelte strategiche di
Etihad che ha appena chiuso un accordo di code sharing con Lufthansa lanciando di fatto la sfida a Air
France-Klm, che con Alitalia ha un accordo commerciale consolidato.
Il cda dovrà intervenire immettendo denaro fresco, facendo volare più aerei di lungo raggio e tagliando i
collegamenti nazionali oltre a ridurre gli stipendi dei naviganti, Etihad - che possiede il 49% del vettore
italiano - va per la sua strada in Germania. Un campanello d'allarme per i manager di Parigi e Amsterdam
che fino ad oggi non si aspettavano una svolta di questo tipo. Gli arabi mettono sul tavolo un'opzione
ventilata più volte nelle ultime settimane, che potrebbe mettere fine, come minimo, all'alleanza europea tra
Alitalia e i transalpini in scadenza il 3 gennaio ma con strascichi anche sulla joint venture transatlantica che
include Delta e sulla quale Alitalia e Etihad hanno chiesto una redistribuzione degli utili più favorevole.
Certo qualcosa si muove. Ieri in mattinata era arrivata una prima notizia: Klm e quindi anche i francesi,
lanceranno dal 2017 due nuove tratte da Amsterdam verso Catania e Cagliari. La rotta verso la Sicilia, in
particolare, è una delle più remunerative e frequentate d'Italia. Poche ore dopo è invece giunta la notizia
dell'accordo tra i due colossi Etihad e Lufthansa che inizierà a gennaio 2017, dopo aver ricevuto
l'approvazione del governo tedesco.
Quanto meno siamo di fronte ad una accelerazione improvvisa che potrebbe mettere progressivamente
all'angolo gli altri due colossi europei Iag (British-Iberia-Vueling con oltre il 20% nelle mani di Qatar
Airways) e lo stesso duo Air France-Klm. Etihad ha tra l'altro concluso anche un "wet-lease" o affitto di 38
aerei marchiati Airberlin (di cui Etihad detiene indirettamente una partecipazione del 29%) a Lufthansa che
a sua volta ne girerà 33 aerei a Eurowings (la low cost del gruppo tedesco) mentre i restanti cinque
voleranno con Austrian Airlines. Questo accordo avrà una durata di sei anni ed entrerà in vigore dal
prossimo mese di febbraio. Secondo il code share, la compagnia aerea tedesca metterà il proprio codice
"LH" sui voli Etihad diretti due volte al giorno dalla sua base di Abu Dhabi a Francoforte e sui servizi nonstop in volo, sempre due volte al giorno, tra Abu Dhabi e Monaco, la più grande città nel sud della
Germania. La compagnia di bandiera degli Emirati Arabi Uniti, invece, inserirà il proprio codice "EY" sugli
aeromobili a lungo raggio di Lufthansa, sui servizi intercontinentali diretti da Francoforte verso Rio de
Janeiro e Bogota. I capi delle due compagnie sottolineano entrambi l'importanza dell'accordo e ipotizzano
nuove collaborazioni. James Hogan, presidente e ad di Etihad Aviation Group lo dice chiaramente: «La
Germania è un mercato strategico per Etihad e questo nuovo rapporto con Lufthansa segna il passo
successivo nel nostro impegno con il primo gruppo aeronautico europeo». Stessi toni per Carsten Spohr,
numero uno di Lufthansa: «L'accordo offrirà ai nostri passeggeri più benefici e completerà i network di
entrambe le compagnie aeree. Prenderemo in considerazione di estendere la nostra cooperazione anche in
altri settori». Compagnie a confronto Alitalia dati 2015 aerei FLOT TA 122 VOLI SET TIMANALI 4.400
milioni PASSEGGERI 22,1 UTILE/PERDITA 199,1 milioni DESTINAZIONI 97 DIPENDENTI 13.000 ca
Lufthansa dati 2015 aerei FLOT TA 600 VOLI SET TIMANALI 10.712 milioni PASSEGGERI 107,7 milioni
UTILE/PERDITA 1.698 DESTINAZIONI 205 DIPENDENTI 119.559
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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Etihad si allea con Lufthansa rischia l'intesa Alitalia-Air France
19/12/2016
Pag. 1 N.43 - 19 dicembre 2016
diffusione:400000
Fabio Bogo
L'uno-due francese su Mediaset e Pioneer ha riesumato il sentimento patriottico della politica italiana, che
ha annunciato l'intenzione di opporsi a operazioni che trasferiscano all'estero aziende e settori strategici per
il nostro paese. Sembrano dichiarazioni più di rito che di sostanza. Pioneer in realtà è infatti già sfuggita, col
risultato che buona parte del risparmio italiano sarà gestito a Parigi. Rimane aperta la partita Mediaset: ma
l'impressione è che l'interesse sia rivolto non tanto a tutelare l'azienda, quanto a ricavare il massimo
beneficio strategico sul fronte delle alleanze politiche legate al ruolo di Silvio Berlusconi e del suo partitoazienda. Quando Vincent Bollorè salì al 24,5 per cento di Telecom Italia, che controlla il 44 per cento del
mercato interno delle comunicazioni, a memoria non si ricordano infatti prese di posizione così nette in
difesa della bandiera nazionale del ben più strategico incumbent (che peraltro era finito in pessime acque
per mala gestione di marca italiana). Ora si scopre la necessità di avere un sistema-paese, ed è
sacrosanto. Ma perché lo si crei c'è bisogno della collaborazione di entrambi i fattori che lo compongono, il
governo e le imprese. Il primo ha sì il dovere di costruire strumenti di difesa giuridici che impediscano
scorribande economiche con conseguenze politiche, ma anche quello di avviare un programma di
investimenti che rilanci il paese e lo renda più competitivo. Su questo fronte è impietosa la classifica 2016
elaborata dal Global Competitiveness Report sulla qualità percepita delle nostre infrastrutture. L'Italia è
66esima nella graduatoria mondiale; la prima europea è l'Olanda, al quinto posto. E passando ai diversi
settori siamo al 49posto per le strade, al 32esimo per le ferrovie, al 63esimo per il trasporto aereo e al
34esimo per la fornitura di energia elettrica. La cattiva qualità delle infrastrutture è uno dei fattori che
penalizzano la produttività e quindi la crescita e la solidità. Ma le imprese non possono chiamarsi fuori dalla
partita e sperare che la loro difesa sia affidata ad altri. Il capitalismo italiano, in tutte le dimensioni, deve
crescere e recuperare il coraggio perduto. E non è un segnale incoraggiante il fatto che oltre il 90 per cento
delle Pmi (dati Crif 2016) si finanzi attraverso il canale bancario e solo il 5 per cento scelga il mercato
azionario o emetta obbligazioni. Ma il capitalismo italiano deve anche essere pronto a pagare per i suoi
errori. Difficile giustificare la guerra con la Francia se la causa è il disastro industriale e finanziario di
Mediaset Premium, imputabile solo ai suoi manager. E se le fortune dell'azienda di Cologno Monzese sono
state costruite non tanto sugli investimenti quanto sulla perseguita strategia di indebolimento della Rai. Non
sempre vale la pena di morire per Danzica.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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QUANDO VALE LA PENA MORIRE PER DANZICA
19/12/2016
Pag. 1 N.43 - 19 dicembre 2016
diffusione:400000
Montepaschi e gli errori delle politiche europee
Rainer Masera
Apartire dagli anni 80 e fino alla crisi del 2007-08 si è assistito negli Stati Uniti e in Europa a un processo di
deregolazione delle banche, accompagnato dall'assioma che nel nuovo ambiente competitivo la banca
doveva essere considerata fondamentalmente come un'impresa. La vigilanza doveva essere basata su
principi generali e ancorata ai sempre più complessi e sofisticati modelli di Basilea sul capitale minimo
collegato agli attivi ponderati per il rischio. La crisi ha imposto di riconsiderare questo approccio, ma
permane l'impostazione della banca-impresa. In assenza di separatezze strutturali, si sono fatte sempre più
cogenti e pervasive le regole sul capitale, sulla liquidità, sulla trasformazione delle scadenze. segue a
pagina 10 Anche i requisiti di corporate governance sono stati resi più stringenti per contenere i rischi e
sollecitare la creazione di valore sostenibile per tutti gli stakeholders. Si è affermato il principio che il
taxpayer non deve essere l'ancora di salvezza per gli errori della banca-impresa. Si è contenuto l'azzardo
morale costruendo un sistema rivolto a internalizzare le perdite (bail in). Questi comuni indirizzi sono stati
declinati in modo diverso in Europa e negli Stati Uniti. Al di là dell'Atlantico si è in primo luogo, già dal 2008,
accompagnato il processo con un forte sostegno pubblico, e in particolare con garanzie alle
cartolarizzazioni dei prestiti sia in bonis, sia non performing delle banche. Si è adottato un approccio
proporzionale nell'applicazione delle nuove regole, anche per salvaguardare il nesso tra piccole-medie
banche e il credito alle piccole-medie imprese. Si è adottato un mix più efficace tra la politica monetaria e
quella fiscale. In sintesi, si è posta maggior attenzione per evitare che la calibrazione microprudenziale
delle regole non avesse effetti indesiderati a livello macro (fallacia di composizione). L'Europa ha fatto passi
importanti nell'alveo dell'Unione Bancaria, ma con ritardi, indecisioni e con politiche economiche non
adeguate. In particolare il disegno del sistema del bail in mostra contraddizioni e crepe: l'Italia le sta
sperimentando. L'esasperata enfasi sui vincoli di capitale (one-size-fits-all) in un'economia europea che
stenta nell'uscire dalla deflazione e nel manifestare una solida ripresa ha implicato gravi costi per la
crescita. Soprattutto non si è adeguatamente tenuto conto che, in condizioni di ristagno, continui aumenti di
capitale (oltre a neutralizzare gli impulsi espansivi di politica monetaria) non rappresentano una condizione
nè necessaria, né sufficiente, per la durevole solidità della banca-impresa. Gli aumenti "forzosi" di capitale
dilatano il divario fra il ritorno della banca e il costo del nuovo capitale, sospingono, in un circolo vizioso,
ben sotto l'unità il rapporto prezzo-libro, ingenerando sfiducia e dubbi sullo stesso libro, che pure è il
cardine degli standard di Basilea. Al di là dei necessari presidi di capitale di rischio, ciò che occorre è che la
redditività sostenibile di medio periodo sia ricondotta su valori superiori al costo complessivo
dell'indebitamento. È questa la vera condizione per creare valore. Altrimenti le immissioni di capitale fresco
finiscono con il procrastinare e amplificare i problemi. Resta comunque vero che la responsabilità prima per
il rilancio sostenibile della banca-impresa sta agli azionisti, all'assemblea e più direttamente al consiglio di
amministrazione e al management (scelto dal CdA). Questa lunga premessa appare necessaria per
inquadrare correttamente le problematiche che il MpsS, le autorità e le banche italiane sono oggi chiamate
ad affrontare. Cinque secoli di storia del Monte sono stati distrutti da errori e cattiva gestione; gli aumenti di
capitale sono stati dissipati. Piani industriali irrealizzabili avevano accompagnato le iniezioni di mezzi
freschi. Il valore Mps nonostante le continue trasfusioni di mezzi è dell'ordine di 700 milioni. La Banca
d'Italia ha formulato critiche serrate al meccanismo di bail in. Sottolineo due incongruenze delle norme
europee, per non parlare delle opacità e della compatibilità con le regole sugli aiuti di stato. Un pilastro
dell'esercizio dovrebbe essere il sistema comune di assicurazione dei depositi che invece non è stato
definito. I depositi sono la componente principale della moneta: non deve venir meno la certezza sul loro
valore nominale. Un secondo cruciale elemento sta nella definizione delle regole sul capitale (Mrel) per
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I COMMENTI
19/12/2016
Pag. 1 N.43 - 19 dicembre 2016
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consentire alle banche di assorbire le perdite in caso di bail in. Solo nei giorni scorsi l'Eba ha fornito al
riguardo indicazioni quantitative, in base alle quali occorre l'emissione di quasi 300 miliardi da parte delle
banche europee. Entrambi questi elementi non sono ancora stati attuati, eppure da essi dipende il buon
funzionamento del BRRD. In conclusione, l'applicazione troppo meccanicistica delle regole (comunque
incomplete) di bail in ha sospinto verso l'alto il costo del funding delle banche e ingenerato effetti prociclici.
Il caso Mps è emblematico: gli aumenti di capitale possono essere inutili o addirittura dannosi se non si
assicura la condizione sopra ricordata: redditività sostenibile superiore al costo del debito. Al momento di
scrivere questa nota appare che l'attuale aumento di capitale possa avvenire a condizioni "di mercato",
dopo che la Consob ha approvato la conversione dei bond subordinati in mano al pubblico retail. Di per sé
si tratta di un passo positivo. Ma questo scenario non può indurre a procrastinare ancora un intervento
pubblico, concordato con Bruxelles e Francoforte, che preveda l'attivazione di garanzie per eventuali
inoptati degli aumenti di capitale di molte banche che soffrono nel rispettare gli aut aut della seconda torre
di Francoforte. Occorre trovare forme idonee, anche con sostegno pubblico, per assorbire in parte le
perdite dei piccoli obbligazionisti subordinati. Occorre che si crei un sostegno ai prezzi dei distressed
assets, per evitare che le perdite da vendite forzate generino una spirale viziosa con l'esigenza di nuovi
aumenti di capitali. Il modello evocato per far fronte a evidenti fallimenti di mercato non deve essere visto
necessariamente come un nuovo onere per il contribuente. Anzi, come dimostra l'esperienza degli Stati
Uniti, può generare utili, ma occorre trovare un management per le banche che facciano ricorso ai nuovi
meccanismi qui auspicati capace e indipendente, non condizionato da retaggi superati. Molti giovani
banchieri italiani che operano con successo, anche sulle piazze di Londra e di New York, rispondono a
questi requisiti.
19/12/2016
Pag. 1.2.3 N.43 - 19 dicembre 2016
diffusione:400000
LE GESTIONI SONO PARI A 460 MILIARDI MA LO STOCK DELLA RICCHEZZA ACCUMULATA È DI 4
MILA MILIARDI. COMPRANDO PIONEER, AMUNDI HA LANCIATO LA SFIDA A INTESA, GENERALI,
POSTE-ANIMA
Adriano Bonafede
Il governo aveva addirittura approntato un muro per evitare che Pioneer, la società del risparmio gestito di
Unicredit finisse, come poi sta finendo, ai francesi di Amundi. La cordata di Poste-Anima-Cassa depositi e
prestiti era considerata l'ultimo baluardo contro l'invasione, dopo che sia Generali sia Intesa Sanpaolo, per
motivi diversi, avevano rinunciato fin dalle fasi preliminari. Ma è andata male. L'annuncio è avvenuto
proprio il 5 dicembre, subito dopo il referendum, e qualche operatore storce ancora la bocca perché Jean
Pierre Mustier, amministratore delegato di Unicredit, non ha neppure atteso l'8 dicembre, quando anche le
altre cordate avrebbero svelato la propria offerta, per aprire un negoziato in esclusiva con Amundi. segue a
pagina 2 con un'intervista di Paola Jadeluca segue dalla prima Così, ormai è fatta e l'Italia deve rassegnarsi
veder entrare i francesi di forza nel comparto della produzione e vendita di fondi d'investimento. Il ricco
piatto del risparmio degli italiani Si dice ormai che il risparmio degli italiani, un tempo ai vertici mondiali per
valori assoluti e relativi ma ancora oggi ai primissimi posti in graduatoria, sia una delle poche cose rimaste
a questo paese che ha visto negli ultimi anni perdere importanti pezzi di industria e di finanza. In effetti, la
massa delle attività finanziarie in mano alle famiglie è gigantesca e ha superato 4.000 miliardi di euro (più di
una volta e mezza l'intero debito pubblico). Tra banconote, depositi bancari, obbligazioni, azioni, fondi
d'investimento questa è la vera ricchezza degli italiani. Ed è a questa ricchezza che mirerebbero a questo
punto gli stranieri. La propensione al risparmio vale circa il 9,6 per cento del reddito disponibile prodotto
ogni anno, che è di circa 270 miliardi. Quindi, ogni anno le famiglie-formichine riescono a mettere da parte
in vario modo circa 27 miliardi. Ovviamente gli operatori esteri non possono mettere le mani su tutto questo
patrimonio e neppure sull'intero flusso annuo. Lo strumento per entrare in questo settore riguarda una parte
piuttosto limitata di questo gruzzolo, ovvero i fondi d'investimento, che hanno tutti insieme un patrimonio di
oltre 462 miliardi. Di questi già oltre la metà, 220 miliardi, sono emessi da operatori esteri. Gli altri 242 sono
emessi da società residenti in Italia. Gli stranieri sembrano già entrati in effetti, ma le cose sono un po' più
complesse perché una grossa parte di questi fondi nati fuori dall'Italia sono in realtà "esterovestiti", ovvero
sono stati creati all'estero da società italiane. In Lussemburgo e in Irlanda soprattutto, dove le condizioni
regolamentari sono migliori e le imposte da pagare inferiori: un gap che la Banca d'Italia e il governo
italiano non sono mai riusciti a colmare. Fondi italiani e fondi stranieri sono diversi nell'allocazione degli
investimenti? Nel senso che quelli italiani investono di più nel nostro paese? Gli esperti dicono che le
differenze ci sono ma sono abbastanza trascurabili perché tutti i gestori si pongono ormai nello scacchiere
internazionale e solo in piccola parte in quello nazionale. «Piuttosto dice Marco Tofanelli, segretario
generale di Assoreti - se arrivano più fondi esteri, si spostano fuori dall'Italia i centri decisionali, le
intelligenze, i manager. E questa è certamente una perdita». Il duo Amundi-Pioneer Eppure, nonostante il
risparmio gestito sia una quota relativamente piccola del totale, il colpo che sta mettendo a segno Amundi
preoccupa gli operatori italiani. Al momento, guardando le statistiche di Assogestioni, Amundi più la parte
italiana di Pioneer (che ha anche un'importante quota di strumenti negli Stati Uniti, del resto paese d'origine
della società) raggiungerebbero il terzo posto in graduatoria con 188 miliardi di asset management, subito
dopo Generali (466 miliardi) e Intesa Sanpaolo (367). Se però si elimina da questo calcolo la quota delle
riserve tecniche delle polizze vita, la classifica cambia e il gruppo Amundi sale al secondo posto con 110
miliardi, subito dopo Intesa con 131, mentre Generali scende a 71. Il resto è costituito da un reticolo di
operatori medi e piccoli, tra cui Ubi Banca, Mediolanum. Azimut. Anche considerando tutti gli asset under
management, ovvero le polizze vita e i fondi pensione, Generali è a 466 miliardi, Intesa Sanpaolo a 367.
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I nuovi padroni del risparmio italiano
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Molto distanti dalle dimensioni globali di Amundi. che ancor prima di acquisire Pioneer sta oltre 1.000
miliardi e che con la masse di quest'ultima arriva a quasi 1,3 trilioni, e si colloca all'ottavo posto nel mondo.
Insomma il gigantismo non è del nostro paese, neppure nel campo della gestione del risparmio. C'è spazio
per crescere La preoccupazione che traspare da molti operatori è dovuta al fatto che le tendenze cambiano
rapidamente: l'idea di rivolgersi a società professionali di gestione del risparmio si fa strada sempre di più
anche in Italia. È finita da tempo l'era dei Bot People e ora gli investitori si avvicinano senza timore a
prodotti sofisticati come i fondi e le gestioni patrimoniali. In molti paesi d'Europa la quota dei fondi è ben più
elevata dell'11 per cento italiano sul totale e va dal 20 al 30 per cento. Quindi la sfida competitiva per
accaparrarsi maggiori quote di risparmio degli italiani diventa più serrata e l'idea di nuove fusioni e
acquisizioni in questo settore è ormai da tutti accettata. Fusioni e acquisizioni Il panorama del dopo-Amundi
pone molti interrogativi. «Quel che servirebbe - dice Marcello Messori, direttore della Scuola Luiss di
economia politica europea - è la nascita anche in Italia di un campione nazionale di livello europeo, com'è
Amundi». Ma chi potrebbe ricoprire questo ruolo ora che Unicredit vi ha rinunciato per sempre?
Teoricamente sarebbero tre: Poste, Generali e Intesa. Poste-Anima Il ruolo più indefinito è quello di Poste.
Non pochi hanno criticato la cordata Poste-Anima-Cdp, che è stata vista più come una mossa politica
stimolata dal governo Renzi che come una valida strategia industriale. Il problema è cosa farà ora Poste,
dopo che ha portato la sua partecipazione in Anima al 24,9 per cento apportando la propria fabbricaprodotto di fondi. Qui le prospettive si fanno più confuse. «Io credo che Anima possa diventare un
aggregatore di altre sgr, a cominciare da Aletti Gestielle - dice Gianluca Ferrari, analista di Mediobanca
Securities - ammesso che però che l'ad di Bpm-Banco, Giuseppe Castagna, voglia vendere. Certo è che
Anima ha cassa sufficiente per fare acquisizioni». La situazione è molto ingarbugliata perché la Bpm ha il
14,70 per cento di Anima. Inoltre Anima vende attraverso gli sportelli di Bpm e di Mps. A finire nel nuovo
Risiko sembra quasi assodato che finirà presto Arca, di cui oggi il Fondo Atlante ha il 40 per cento e a cui
guarda forse per fare cassa in previsione della fusione tra le due banche. Il rebus Generali Perché il Leone
di Trieste non ha alla fine fatto offerte per Pioneer, dopo essersi interessato in una prima fase? Le sinergie
sarebbero state formidabili. Per due buone ragioni: prima, il gruppo è povero rispetti ai diretti concorrenti
come Axa e Allianz sul fronte del risparmio gestito, che è molto redditizio e offre fee interessanti; secondo,
Generali non ha più un grande accordo di bancassurance dai tempi di Intesa e questa sarebbe stata
un'ottima occasione per avere la rete di Unicredit. Si mormora che l'ad Donnet ci avesse provato ma che il
board, molto attento all'allocazione del capitale e ai dividendi, lo abbia bloccato. Intesa San Paolo Grazie a
Eurizon, la fabbrica-prodotto Fideuram, la rete di promotori sotto cui sta anche San Paolo Invest, a Intesa fa
capo l'unico vero operatore di asset management di una certa rilevanza. L'ad Carlo Morelli ha spesso detto
che Eurizon avrebbe approfittato delle occasioni. Che dovrebbero essere cercate soprattutto all'estero. Ma
quanta voglia effettiva di internazionalizzazione ha Intesa? «Per raggiungere questo obiettivo - dice Messori
- Eurizon dovrebbe lavorare molto ma dovrebbe diventare prima di tutto autonoma dalla banca. Varie volte i
Governatori della Banca d'Italia hanno spinto per sgr autonome dal sistema creditizia. È da qui che si
dovrebbe partire». GRUPPO GENERALI GRUPPO INTESA SANPAOLO GRUPPO AMUNDI POSTEANIMA BLACK-ROCK GRUPPO UBI BANCA GRUPPO ALLIANZ GRUPPO MEDIOLANUM GRUPPO
AZIMUT GRUPPO AXA BANCA D'ITALIA s.di meo LA SCHEDA
Come si spartiscono le commissioni i produttori e i distributori Amundi ha strapagato per Pioneer, 3,5
miliardi che possono andare oltre. E nel deal è compreso anche un accordo di dieci anni per la
distribuzione dei fondi d'investimento attraverso gli sportelli della banca. E c'è chi dice che sia più
importante quest'ultimo che non l'acquisto della fabbrica-prodotto. Ma chi guadagna di più, il produttore di
fondi o il distributore? Le soluzioni concrete sono le più disparate e la quota a favore del distributore
secondo i dati di Assoreti, l'associazione delle banche rete che danno lavoro ai promotori finanziari possono andare dal 30 all'80 per cento. Dipende dal rapporto contrattuale che si stabilisce. In genere, però,
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alla distrubuzione va la quota maggiore. Perché di fondi, al mondo, se ne trovano tanti. Ma chi li piazza sul
mercato sono sempre pochi.
Foto: Qui sopra, lo stock dei fondi d'investimento nelle mani degli italiani e la raccolta netta anno dopo anno
(2016 fino ottobre) Francesco Caio (1), amm. delegato di Poste; Tommaso Corcos (2), ad di Eurizon, l'sgr
di Intesa Sanpaolo e presidente di Assogestioni; e Pietro Giuliani (3), presidente di Azimut
Foto: Nella foto grande a sinistra, Jean Pierre Mustier (a sinistra), amm. delegato di Unicredit e Yves
Perrier , ceo di Amundi Philippe Donnet (1), amm. delegato di Generali; Massimo Doris (2), amm. delegato
di Banca Mediolanum e Matteo Colafrancesco (3), presidente di Assoreti
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La tivù secondo Mr Netflix
colloquio con Ted Sarandos di Lorenzo Soria
ADESSO TUTTI LO DEFINISCONO un visionario, l'uomo che ha cambiato per sempre prima per gli
americani e poi per il resto del mondo come si guarda ma anche come si produce televisione. Ogni rete del
pianeta ha sempre operato con palinsesti fssi e se guendo formule di programmazione rimaste immutate
per oltre mezzo secolo, con gli inevitabili intermezzi pubblicitari. Ora quest'ordine è stato scardinato. E Ted
Sarandos, il manager alla guida di Netfix, è diventato l'uomo-simbolo di questa rivoluzione. La chiamano la
"Golden era" della televisione perché spesso è ormai superiore al cinema per qualità e contenuti e perché
anche le stelle più grandi, da Brad Pitt a Woody Allen, da Travolta alla Streep, fanno a gara per lavorarci.
Ma è anche un'era che ha visto cadere tutte le certezze, a cominciare da quella della serie che va in onda
una volta alla settimana a un'ora precisa e immutabile. Perché adesso siamo al "anytime and anywhere": in
qualunque momento, quando fa comodo allo spettatore; e ovunque, che sia a casa o in treno o anche al
lavoro. E attraverso un apparecchio tv tradizionale, ma anche su computer, tablet o telefonino. Sarandos,
uffcialmente Chief content offcer, cioè direttore editoriale, è di fatto la forza creativa e propulsiva dietro
Netfix. È cioè la persona che ha fatto di questa società nata negli anni Novanta come un servizio che
mandava dvd a casa dei suoi ab bonati prima via posta e poi via Internet, il gigante che ha scosso alle sue
fondamenta il mondo della televisione e del cinema. Basta con l'ossessione per gli indici di ascolto e i
palinsesti. Basta con le serie di una lunghezza pre-defnita. Basta con la televisione vista come il ripiego per
chi non ce la fa nel cinema. Basta con le serie assaporate nell'arco di una stagione. E invece via al "binge
watching": tutto consumato in un solo boccone, in una domeni ca di pigrizia piuttosto che in una notte di
insonnia. Un visionario, Sarandos. Ma se qualcuno gli avesse domandato, tre anni fa, se sarebbe stato
realistico immaginare, dopo "House of Cards" , la prima serie realizzata da Netfix, successi di critica e di
pubblico come "Narcos" e come "Orange is the New Black", come "Master of None" e "Daredevils",
Sarandos avrebbe detto di no. Anche se è un uomo ambizioso e che guarda lontano, neanche lui avrebbe
pensato di arrivare ad approva re una serie come "The Crown", quella sulla vita della Regina Elisabetta,
con un budget di 150 milioni di dollari. Ma se tre anni fa Sarandos non aveva idea di dove sarebbe arrivato
nel 2016, ora è in grado di anticipare che cosa accadrà tra tre anni? Non teme la concorrenza di Amazon?
E delle reti che si stanno adattando alla nuova realtà e ai bisogni dei loro utenti? Magari di un nuovo Netfix,
che arriva in scena e sconvolge a sua volta il precario ordine attuale? Sarandos ci ha parlato di questi e altri
scenari in un'intervista esclusiva concessa all'Espresso. La definiscono un rivoluzionario, un uomo che ha
scardinato il sistema televisivo. Che cosa prova quando sente queste parole? «Mi sento gratifcato,
orgoglioso. Perché abbiamo liberato i consumatori dalla dipendenza da orari fssi e infessibili. Una bella
parte del successo della televisione degli ultimi anni viene proprio dai cambiamenti nelle piattaforme di
distribuzione: il consumatore può identifcare lo show che vuole e goderselo dove, come e quando vuole
lui». Senza negare niente alle vostre strategie, anche voi siete rimasti sorpresi dalla vostra impetuosa
crescita e dal vostro successo. Come intendete mantenere la leadership? «Non dando mai niente per
scontato, non presumendo mai che se uno show ha funzionato un anno andrà bene necessariamente
anche quello dopo. Stiamo producendo contenuti originali in dodici Paesi diversi. Lanceremo dei talk show,
dei reality. Sono cose che non abbiamo mai fatto e hanno in comune l'obiettivo - quello non cambia- di dare
ai telespettatori la miglior programmazione possibile, qualunque sia il suo genere o la lingua. È vero, cinque
anni fa non avrei mai pensato che saremmo arrivati a produrre cose come la saga hip hop di Baz Luhrmann
"The Get Down". O "Stranger Things". O che "Time" sarebbe arrivato ad attribuirci dieci dei migliori episodi
tra quelli delle serie televisive del 2016, da una lista che ne contiene quattromila. Hanno inclu so nei top 10
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INTERVISTA Media Culture Da House of Cards a The Crown, ha cambiato l'intrattenimento domestico.
L'uomo che guida l'azienda americana racconta risultati e strategie
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episodi da "BoJack Horseman", "Black Mirror" e "Orange is the New Black". E non puoi arrivare a un
risultato come questo giocando a conservare le posizioni. Devi costantemente correre dei rischi». Una
volta, non molto tempo fa, il successo nel pianeta televisione lo si misurava con gli indici di ascolto, che voi
non dichiarate. Perché? «Non ignoriamo gli indici. Studiamo costantemente le abitudini dei nostri abbonati,
che cosa li attrae e che cosa no. E usiamo i soldi che ci arrivano con i loro abbonamenti per dar loro in
cambio ore di gioia. Se uno show non va bene, Netfix ha meno da offrire. Vogliamo dunque fare show che
sono successi di critica e che la gente ama e per farlo usiamo strumenti di misu razione tradizionali. Ma i
nostri show non sono condannati ad affermarsi nel giro di due o tre settimane e questa è la ragione per cui
non vogliamo rendere noti i risultati. Perché se ti dico che uno show ha 30 milioni di spettatori e un altro ne
ha due, secondo gli standard tradizionali quello che ne fa due è un fallimento. E invece quei due milioni
potrebbero essere tutti fan ultra-appassionati, più facili da conservare e magari da molti plicare che gli altri
trenta». C'è chi dice che in tv c'è già saturazione, troppe reti e costi ormai sproporzionati. «I compensi che
paghiamo agli artisti e i budget delle nostre serie non sono fuori controllo. Sono anzi certo che arriverà il
giorno in cui qualcuno dirà che "The Crown" alla fne è stato un affarone. Come nello sport, ci sono giocatori
che valgono più di altri ma noi giochiamo su una scala globale, abbiamo 87 milioni di abbonati in 130 Paesi.
E alla fne la lezione è che se hai delle buone storie saranno accolte bene ovunque. Show come "The
Crown" e "Black Mirror" sono dei successi in tutto il mondo. Anche se pensavamo che fosse molto
americano, "The Gilmore Girls" sta andando benissimo e uno dei Paesi che più ci ha sor preso è proprio
l'Italia». Dove dopo "Suburra" in coproduzione con la Rai, Netflix ha comprato da Mediaset la mini-serie
"Chiamami Francesco", sulla vita di papa Jorge Mario Bergoglio. «Le cose in Italia stanno andando molto
bene. C'è molto appetito per lavori che non hanno trovato la giusta distribuzione e in arrivo dal mondo
intero. Un problema che abbiamo da voi è l'infrastruttura di Internet. Le aspettative sulla velocità della rete
sono più basse che altri in Paesi, ma continuiamo ad allargare e a migliorare il nostro catalogo. E dopo
"Suburra", che sarà un prodotto molto forte e che avrà certamente un seguito al di fuori dell'Italia,
intendiamo fare altra programmazione originale. Abbiamo molti progetti in Italia. Alcuni flm, e lo speciale di
un comico molto famoso anche a livello internazionale. Ma non sono ancora pronto a parlarne
uffcialmente»". Un comico che si chiama Roberto? «No». Com'è la divisione tra Usa e resto del mondo?
«Siamo a circa 55 a 45 per cento, ma sappiamo che il più vasto potenziale di crescita viene ovviamente dai
mercati esteri». Però in Cina non siete ancora presenti. «Il clima per le società americane di media non è
dei più favorevoli e a breve termine la possibilità di un lancio indipendente sono alquanto ridotte. Ma
abbiamo altri mercati in grande espansione in Asia. Penso soprattutto all'India. E alla Corea». Pur senza
distribuire gli indici di ascolto, avete accesso a una riserva illimitata di dati sulle abitudini e i gusti dei vostri
abbonati. Quanto influiscono nel determinare le vostre scelte creative? «I dati ci forniscono informazioni su
ciò che la gente ama e sulle tendenze, ma alla fne devi usare l'istinto. La proporzione tra scienza e arte in
queste decisioni? Direi che il 70 per cento di quello che facciamo è scienza, il 30 per cento è arte. Abbiamo
2.500 impiegati in Silicon Valley, 800 circa a Los Angeles e un centinaio in giro per il mondo. Ma questo
non signifca che la scienza vince. I nostri algoritmi si fondano sulle emozioni e sui gusti dei nostri abbonati,
nei vari Paesi. E il lavoro della Silicon Valley è al servizio dell'arte, perché lo usiamo per poi scommettere
sugli story-tellers più interes santi, per dar loro i cast che possono portare a compimento la loro visione e
per creare mondi dentro i quali la gente vuole passare del tempo». Sarandos, chi è la sua concorrenza?
Amazon? Le vecchie reti che si stanno adattando ai nuovi tempi? Gli studios di Hollywood? «Siamo in
competizione con interessi molto diversi ma il nostro concorrente più grande è il tempo che la gente passa
a leggere, a fare la siesta, a giocare a videogames. Il concorrente che mi preoccupa davvero non è ancora
emerso, non lo abbiamo ancora visto. La nostra preoccupazione più temibile sono tuttavia i cambiamenti
nelle abitudini dei consumatori. Molti quest'anno hanno passato un bel po' di tempo a giocare a Pokemon
Go. Tempo che avrebbero potuto spendere a vedere la tv». Davanti a spettacoli Netflix, ovviamente... «Noi
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cerchiamo sempre di guardare avanti, sperando in questo modo di non venire sorpresi alle spalle.
Cerchiamo continuamente di anticipare nuovi trend, per non doverli rincorrere quando potrebbe essere
troppo tardi». Foto: L. Nylind - Eyevine / Contrasto, courtesy Netflix
Foto: Ted Sarandos. A destra: Claire Foy in "The Crown"
Foto: Tre delle serie più famose prodotte da Netflix: da sinistra "Stranger Things", "Orange is the new
black" e "House of cards", con Kevin Spacey «Se uno show ha 30 milioni di spettatori e un altro due, è un
fallimento. E invece quei due milioni possono essere più facili da conser
Foto: Una scena da "Lilyhammer"
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Salto con casta
Svarioni comici e cantonate evidenti, ma i candidati sono promossi: sui concorsi per notai si allungano
ombre
Francesca Sironi
E` LO SBARRAMENTO ALL'INGRESSO dell'ultima ambizione di casta. Il passaggio obbligato per
l'accesso a una categoria che - seppur lamenti crisi - rimane in testa alle classifche di reddito, con 200 mila
euro all'anno dichiarati in media dai suoi professionisti. È il traguardo di lunghi studi e dura gavetta, ma
soprattutto la prova che tributa il ruolo di pubblico uffciale a chi frmerà atti, registri e documenti sancendone
l'autenticità con il sigillo della Repubblica. Sul con corso notarile si addensano quindi molte speranze. Ma
ora anche nuove domande. Almeno a leggere quanto rileva una denuncia che ipotizza reati sul bando per
300 nuovi notai indetto nel set tembre del 2014 - di cui gli esami scritti si sono svolti l'anno scorso, e gli orali
sono andati avanti fno allo scorso 6 dicembre. Dopo aver chiesto l'accesso alle correzioni d'esame, a cui
aveva partecipato lei stessa, l'autrice dell'esposto si è trovata tra le mani decine di compiti in parte
irregolari, testi redatti con imprecisioni tali, segnala nell'esposto, da renderli nulli secondo la legge in
almeno dieci casi, ma a cui sono stati assegnati ugualmente voti suffcienti a traghettare i candidati verso il
traguardo della nomina a notai, ormai prossima. Nell'elenco ci sono inciampi evidenti anche per chi non ha
dimestichezza con gli strumenti del mestiere - come un atto in cui un sordo muto, «legge ad alta voce» le
proprie disposizioni per l'eredità - e altri più tecnici, ma signifcativi per chi proprio in quella tecnica fa
risiedere parte della specifcità di un ruolo ancora saldamente nelle mani di meno di cinquemila persone
nell'in tero paese (vedi riquadro a pagina 52). Fra gli altri, un candidato sarebbe stato ammesso all'orale pur
avendo all'interno del proprio elaborato una pagina scritta a mano con una calligrafa diversa da tutto il resto
del suo testo. L'indagine giudiziaria avviata in seguito alla denuncia è stata chiusa nell'arco di pochi mesi, e
i pm della procu ra di Perugia titolari dell'inchiesta e competenti perché coinvolti otto magistrati romani che
fanno parte della commissione, hanno chiesto al gip l'archiviazione. Deci sione alla quale si è opposta la
denunciante che ha segna lato al giudice, che ancora deve decidere, altri errori presenti negli elaborati. E
pure nuovi quesiti sulla validità di giudizi formulati dalla commissione del concorso. GLI ERRORI Il
concorso notarile è «una delle selezioni più serie e meritocratiche d'Italia», afferma Gianluca Abbate,
consigliere nazionale dell'ordine: «Lo monitoriamo perché il numero di professionisti resti limitato». E
spiega: «Ci stiamo adeguando alle norme sulla concorrenza che prevedono l'ingresso di altri 800 notai in
ruolo attraverso gli ultimi due esami». E aggiunge che ven gono selezionati in modo «del tutto imparziale,
come ora accade». L'esame per entrare nella ridotta schiera è un test in cui bisogna «dimostrare una
perfetta conoscenza delle tecniche redazionali dell'atto pubblico, oltre che della teoria legale», spiegava il
notaio Lodovico Genghini ai suoi studenti. «Io stesso la prima volta sono stato bocciato perché avevo
dimen ticato un formalismo», racconta Ludovico Capuano, ex presidente dei giovani notai: «Certo, non era
una questione di contenuto, solo un dettaglio. Ma rendeva il documento invalido nella sua uffcialità. Per cui
hanno fatto bene a rimandarmi». Se lo dice lui, che ha rappresentato la categoria al Senato nella
discussione per l'ultimo decreto legge sulla concorrenza, è così che andrebbero allora lette le irregolarità
evidenziate nella relazione sul bando del 2014. Nella denuncia alla procu ra di Perugia viene fatto
riferimento a oltre dieci elaborati che andrebbero considerati nulli perché inciampano in errori evidenti, si
spiega nell'esposto, se confrontati con la legge notarile. E invece hanno ricevuto voti di 35, 37, 38 punti
ciascuno, abbastanza da portare i candidati all'orale. Altri 70 presenterebbero insuffcienze meno gravi, ma
comunque rilevabili. Alcune si concentrano sulla traccia con la quale i commissari chiedevano ai duemila
partecipanti al concorso di sviluppare le volontà sul testamento di un ricco possidente, un uomo che non
aveva la possibilità di udire e parlare. Ed ecco: c'è chi dimentica di citare subito l'interprete, scrivendo che
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Corporazioni
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Pag. 50 N.51 - 18 dicembre 2016
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«il com parente dichiara di essere sordomuto e di saper leggere e scrivere»; chi scorda di far sottoscrivere
l'atto anche al testimone-traduttore; chi pur spiegando che «d'ora in poi ogni dichiarazione resa e ricevuta
dal signor T. s'intende effettuata a mezzo dell'interprete», ci tiene a precisare quella lettura "ad alta voce"
nelle battute fnali. Altre inesattezze riguardano in vece la liquidazione di un patrimonio immobiliare: in
diversi compiti mancano, o sono errati, i riferimenti a planimetrie e catasto. Per una «parziale omissione»
simile a quella in cui cadono alcuni dei candidati promossi, per dire, un notaio di Roma ha dovuto subire a
giugno una sanzione disciplinare da 214 mila euro, per 415 atti zoppi. Formalismi? LE RISPOSTE Sulla
denuncia (rivelatasi così accurata da far riconoscere ai commissari, ad esempio, la trascrizione sbagliata di
un voto, che è stato poi corretto al ribasso nel verbale) viene avviata un'indagine. Gli investigatori prendono
copia dei compiti. E interrogano il vicepresidente della commissione, un consigliere della corte d'appello,
che alle domande sugli errori evidenziati nell'esposto risponde: «Non posso escludere che possano es
servi state sviste, o interpretazioni non perfettamente collimanti», ma sulla valutazione delle stesse, dice,
andrebbe sentito un notaio, e lui non lo è. L'indagine viene chiusa presto, senza che nessun notaio venga
sentito, e viene richiesta l'archiviazione; ora è stata depositata un'opposizione alla decisione della pro cura.
Intanto, i praticanti promossi stanno per diventare effettivi notai. Fra loro non mancano i "fgli di" - «questa
della casta ereditaria è una leggenda», ribatte, sul tema, il Consiglio dell'Ordine: «L'82 per cento dei notai
non è fglio di notaio» - fra i promossi con le presunte irregolarità l'erede di un celebre notaio non manca.
Come d'altronde fra gli esaminatori. «È stata una bella esperienza, far parte della commissione, ma mi
sono stancata molto», racconta un notaio che faceva parte della squadra dei valutatori. «Siamo stati tutti
molto at tenti a che non ci fossero pressioni», dice, su eventuali favoritismi. «Sono andata proprio per
verifcare questo», aggiunge. «Certo, può capitare che qualcuno ce l'abbia fatta e qualcun altro no, pur con
lo stesso errore, magari», precisa. «Ma se è successo è stato per stanchezza e per stress: ci hanno messo
molta pressione sul far presto. Io sono stata accurata al massi mo, ma non sempre alla fne della giornata
riesci ad avere la stessa lucidità». Insomma, sarebbe stato solo affaticamento da controllo - in 12 mesi - di
mille e trecento elaborati, dice il commissario. Tale da non far riconoscere imprecisioni sulle quali «non c'è
spazio interpretativo», secondo la candidata che ha denunciato: «Perché la legge notarile a riguardo è
incontro vertibile». Sui forum dei praticanti notai rimbalzano nel frattempo i dubbi di sempre. Tra la frenesia
per gli scritti che si sono appena conclusi in vista dell'ingresso di altri 500 notai, l'entusiasmo, gli auguri. E
le memorie dei test precedenti. RICORDI «Io c'ero, certo, e chi se lo dimentica», ricorda il giovane notaio
Capuano. Il riferimento è al concorso del 2010, quando l'intera platea dei candidati si sollevò perché una
delle tracce assegnate ai presenti era simile, troppo simile, a un tema già sottoposto ai propri studenti da
una scuola notarile di Roma. Gli scritti vennero sospesi. Le prove ri-as segnate. Polemiche, dibattiti, ricorsi.
Poi, più nulla. Di nuovo, nel 2013, un notaio che era stato nominato commissario d'esame venne sostituito
dopo un commento su Facebook in cui aveva scritto: «Ne ho già le scatole piene»; aggiungen do: «Però
non è che passa così, succede un casino che il tifone delle Filippine è una tenera brezza», e a un ragazzo
che gli chiedeva notizie su quei messaggi di rabbia rispondeva: «Bisogna dare le tracce per le teste di c...,
io sono di impic cio», e ancora: «Dico solo che deve essere utilizzata una pista da spazzaneve, io non
faccio al caso, rompo troppo i c...». Ora nessuno si è esposto in questi termini. Ma quelle sviste, tali da
rendere, nella pratica legale, l'atto "nullo", sviste rilevate ad alcuni, mentre ad altri no, restano indicate
nell'esposto. «Occorre distinguere la fortuna dalle scorcia toie», scriveva in Rete un avvocato. A chiedere
invece agli interessati cosa dovrebbe cambiare, di questo titanico esame, tutti sollevano in primo piano la
questione del limite di tre consegne a persona: ogni aspiran te notaio infatti può tentare il concorso,
consegnando gli scritti, soltanto tre volte, oltre che prima dei 50 anni. È un modo, spiegano, per selezionare
meglio i partecipanti ed evitare correzioni-monstre di elaborati imprecisi: solo l'or ganizzazione delle
abilitazioni forensi e del concorso per notaio nel 2014 è costata al ministero della Giustizia un milione e
500mila euro. Il limite dei tre tentativi andrebbe tolto, però, dice ad esempio il consigliere Abbate, per dare
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maggiore serenità agli studenti. «Meglio sostituirlo con cinque partecipazioni», commentano i giovani.
Mentre il notaio Genghini arriva a proporre la correzione dei compi ti in teleconferenza, per non obbligare i
singoli commissari a muoversi ogni volta. Ma soprattutto una correzione dei compiti in forma pubblica,
accessibile a tutti. Farebbe bene ai notai, dice. E alla trasparenza. illustrazione di Claudio Sale
Ora c'è chi propone la correzione dei compiti in teleconferenza
18/12/2016
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Gli oligarchi del pallone
VITTORIO MALAGUTTI STEFANO VERGINE
HANNO COMPRATO DECINE DI GIOCATORI. Sono diventati proprietari occulti di intere squadre. Hanno
sconvolto in una manciata d'anni un mondo che sembrava impermea bile a ogni mutamento esterno. Sono i
nuovi burattinai del pallone. Eppure, fino a oggi, son riusciti a rimanere nell'ombra. D'altra parte l'imbarazzo
sarebbe stato enorme se qualcuno avesse scoperto che c'erano loro dietro Doyen, il colosso del
management sportivo. Per loro stessi, innanzitutto, terroriz zati dall'idea di poter perdere ogni proprietà. Ma
anche per chi li ha appoggiati, per chi ci ha fatto affari insieme. Personaggi eccellenti. Dal presidente
kazako Nursultan Nazarbaev all'omologo turco Recep Tayyip Erdogan. Fino al nuovo presidente degli Stati
Uniti, Donald Trump. Dopo sette mesi d'inchiesta giornalistica, l'Espresso e le altre testate del network EIC
sono in grado di rivelare con certezza chi si nasconde dietro Doyen. Si chiamano Arif, sono quattro fratelli
kazaki. Oligarchi. Gente che ha fame di soldi e non si accontenta. No, controllare la ACCP, una delle più
grandi fabbriche chimiche al mondo, non bastava. Il Kazakistan stava stretto agli Arif, in particolare a Tevfk
e Refk, i fratelli più attivi della famiglia. Per loro non era suffciente nemmeno essere tra i più grandi
imprenditori della Turchia. Gli Arif volevano di più. Ed ecco allora l'idea: il calcio. Già, chi l'ha detto infatti
che con il pallone non si guadagna? Certo, bisogna creare società offshore, assol dare agenti e giocatori,
infuenzare presidenti e manager delle più famose squadre. Gli Arif hanno fatto tutto quanto necessario per
raggiungere il successo. Hanno investito, fra il 2011 e il 2015, la bellezza di 72 milioni di euro. Affdato ad
Arif, il giovane fglio di Tevfk, il compito di gestire gli affari. E scelto un frontman come Nelio Lucas,
portoghese, agente di calciatori giovane, ambizioso e poliglotta. L'unico volto noto di Doyen, fnora. La
società si presenta come un'agenzia di rappresentanza per sportivi. Nel ricco book di atleti ci sono stelle
come Usain Bolt e David Beckham, Neymar e Boris Becker. Ma anche calciatori legati alla serie A, dall'ex
juventino Alvaro Morata all'interista Marcelo Brozovic. Doyen dice di gestire i loro diritti d'immagine. I
documenti di Football Leaks dimostrano però che, almeno fno all'anno scorso, il business della società è
stata la compravendita dei diritti economici dei giocatori. Tra quelli targati Doyen, oltre al francese Geoffrey
Kondogbia, troviamo il laziale Felipe Anderson, l'interista Gabigol e Radamel Falcao del Mona co. E poi le
squadre che hanno ricevuto prestiti in cambio di una percentuale sui cartellini dei giocatori: Atletico Madrid,
Getafe, Sporting Gijon, Siviglia, Santos, Porto. D'altra parte Doyen può vantare contatti di prim'ordine.
Anche in Italia, dove la società ha più volte incrociato la strada del Milan, per esempio durante il negoziato
per la vendita (sfumata) della squadra rossonera all'imprendito re thailandese Bee Taechaubol. Adriano
Galliani, amministratore delegato del Milan, ha dichiarato a l'Espresso, tramite il suo avvocato, che «non ha
nessun rapporto con il gruppo Doyen». Dalle carte di Football Leaks emerge però un particolare che
collega direttamente il gruppo degli Arif alla famiglia Galliani. A partire dall'ottobre del 2013, Micol Galliani,
fglia dello storico collaboratore di Silvio Berlusconi, ha lavorato come consulente per Doyen Sports.
Documenti interni a Doyen che l'Espresso ha potuto visionare mostrano che la primogenita di Galliani è
stata in contatto costante con top manager del gruppo, come Matthew Kay e Simon Oliveira, e ha seguito
alcuni dossier per conto di Doyen, come le relazioni con Panini (l'azienda delle fgurine) e un progetto
immobiliare a Be verly Hills. L'avvocato di Galliani ha dichiarato a l'Espresso, che Micol Galliani «non ha
mai avuto rapporti contrattuali o di collaborazione con Doyen». Le carte di Football Leaks confermano
inoltre che già nel 2013 a Galliani furono presentate da Doyen operazioni di mercato, tra cui una con al
centro Adem Ljajic, allora alla Fiorentina. Inoltre Galliani e la fglia compaiono nell'elenco degli oltre 200
invitati alla cena di compleanno di Lucas del gennaio 2014 a Londra. Per capire come hanno fatto degli
anonimi fratelli kaza ki a diventare i protagonisti del calcio europeo, bisogna tornare ai tempi del collasso
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Esclusivo / I nuovi file Amici di Erdogan. In affari con Trump. Ecco gli Arif, padroni di Doyen, burattinai del
calcio
18/12/2016
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dell'Urss. Tevfk e Refk Arif lavorano nell'amministrazione sovietica. Burocrati trasformatisi improvvisamente
in imprenditori. A metà degli Novanta la famiglia Arif si ritrova a capo della ACCP, una delle più grandi
fabbriche chimiche al mondo per la lavorazione del cromo. I fle di Football Leaks, ottenuti dal settimanale
tedesco Der Spiegel e condivisi con le altre testate del network EIC, non dicono com'è stato possibile. Di
certo la ACCP non avrebbe potuto trasformarsi nella macchina da soldi attuale (proftti per 386 milioni di dol
lari solo fra il 2004 e il 2014) se non avesse trovato la collaborazione della ENRC, colosso minerario
controllato da Alexander Mashkevitch, Alijan Ibragimov e Patokh Chodiev. È il cosiddetto "Trio Kazako":
miliardari già coinvolti in casi di corruzione internazionale, considerati vicinissimi all'uomo forte del
Kazakistan, Nazarbaev. Sfruttando i proftti della chimica gli Arif spiccano il volo. Tevfk è il primo a lasciare
l'Asia Centrale, destina zione Turchia. Il grande salto arriva però nei primi anni 2000, quando emigra negli
Usa per fondare Bayrock, società che insieme al tycoon Donald Trump realizza hotel e appartamenti a New
York. Le cose non flano lisce. Alcuni investitori sostengono di essere stati ingannati e denunciano i
costruttori. Il direttore fnanziario di Bayrock, in una testimonianza scritta, sostiene che l'azienda ha investito
soldi della mafa russa. Le denunce non hanno portato a condanne, anche se gli Arif hanno preferito ritirarsi
dal mercato immobiliare Usa. Pochi anni dopo, nel 2010, un altro scandalo. Sul Savarona, lo yacht un
tempo appartenuto al fondatore della Turchia laica, Kemal Atatürk, la polizia turca scopre un giro di
prostituzione gestito proprio da Tevfk. Ragazze dell'Est Europa destinate a parecchi uomini, fra cui
Mashkevitch, Ibragimov e Chodiev. Dal processo gli Arif escono indenni, ma la vicenda porta a galla i loro
legami più importanti. Quelli con Erdogan, allora premier turco. E con il "Trio Kazako", appunto. È allora che
Tevfk e fratelli decidono di entrare segretamente nel calcio. Per i cinque anni successivi gli affari vanno a
gonfe vele. Merito dei Tpo, i meccanismi che permettono a società e fondi d'investimento di comprare
quote di calciatori. Gli Arif macinano proftti e li trasferiscono in società offshore tra Malta, Emirati Arabi e
British Virgin Islands. Il gioco, però, si interrompe presto. All'inizio del 2015 la Fifa vieta i Tpo defnendoli
«una forma moderna di schiavi tù». Sembrerebbe la fne degli Arif. Sebbene l'acquisto diretto di quote di
calciatori sia oggi illegale, la Fifa continua però a permettere a società e fondi di investire nelle squadre. Si
chiamano Tpi (Third-party investments) e la sostanza non cambia: il club garantisce la restituzione del
prestito con la vendita di alcuni suoi giocatori. I documenti di Football Leaks mostrano che a novembre
2015 Doyen ha compilato una bozza di con tratto con il club spagnolo del Cadice. La proposta? Un prestito
da 1,5 milioni di euro in cambio del 20 per cento di tutti i giocatori della squadra. Chissà com'è andata a
fnire. Foto: M. Luzzani - GettyImages, M. Von Holden - WireImage / GettyImages
I due fratelli kazaki erano burocrati dell'Urss. Ora sono potenti e miliardari
Foto: Geoffrey Kondogbia, centrocampista francese dell'Inter. A sinistra: Tevfik Arif con Donald Trump. I
due erano soci
Foto: Nelio Lucas, manager di Doyen Sports Investments
Foto: Nursultan Nazarbaev, presidente del Kazakistan
18/12/2016
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Mediaset gela Vivendi "Non c'è alcuna trattativa"
Confalonieri: è una scalata ostile, bene il governo che sta agendo in modo deciso
LEONARDO MARTINELLI PARIGI
Da quando Vivendi, il colosso francese dei media, nell'orbita di Vincent Bolloré, ha fatto il blitz,
conquistando il 20% di Mediaset, il messaggio che arriva da Parigi è il seguente: calma, la nostra alleanza
è inevitabile e propizia, ora parliamo. Arnaud de P uyfontaine, ad di Vivendi (e un passato da manager in
Mondadori: uno che dei Berlusconi se ne dovrebbe intendere), è venuto in Italia venerdì, inanellando
incontri a raffica, per rassicurare appunto, tra gli altri, Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico, e
Pier Silvio Berlusconi, ad di Mediaset. Dalle parti del Biscione, però, non hanno nessuna voglia di
«calmarsi». Anzi. Come si legge in un comunicato reso noto ieri dall'azienda, «Mediaset tiene a ribadire fin
da subito che non esiste alcuna trattativa». E, nell'incontro con Pier Silvio, «richiesto da Vivendi, la società
ha ribadito le proprie posizioni, tenendo conto che è suo dovere tutelare gli interessi della società e di tutti i
suoi azionisti, non solo di chi detiene il 20% del capitale». Ai vertici del Biscione non sono andate giù certe
dichiarazioni che, nella sua frenetica giornata tra Roma e Milano, de Puyfontaine ha rilasciato al Corriere
della Sera. Le sue «gravi affermazioni - recita il comunicato - troveranno adeguata replica nelle sedi più
appropriate». Sembra che i legali di Mediaset si stiano concentrando su una frase dell'ad di Vivendi,
quando ha ricordato come sono andate le cose con Premium. Questa doveva essere ceduta ai francesi in
cambio del 3,5% del capitale di Vivendi, che, grazie a un incrocio di partecipazioni, sarebbe andato al
Biscione, sulla base di un accordo dell'aprile scorso. Ma in luglio da Parigi era arrivato il dietrofront,
giustificato da una situazione contabile peggiore del previsto per la pay tv dei Berlusconi. Secondo de
Puyfontaine, «è come se ci avessero invitato a cena in un ristorante a tre stelle per poi ritrovarsi in un
McDonald's». A confermare l'irritazione dalle parti di Cologno Monzese, ieri è stato pure Fedele
Confalonieri, presidente di Mediaset. «Siamo stati scalati - ha detto -. Poi, la puoi chiamare ostile o non
ostile, ma la percezione è che Vivendi sta cercando di scalare Mediaset». «E questa è una scalata ostile
non solo dal nostro punto di vista, ma anche da quello della politica. Ci sentiamo supportati, perché il
governo sta agendo in modo molto corretto e anche molto deciso». «Ci ha fatto piacere sentirci appoggiati
dalle istituzioni - ha continuato -, perché si è capito che c'è della sostanza, qui non c'è in gioco solo
l'italianità e l'inno di Mameli, ma anche l'interesse nazionale». L'incontro tra de Puyfontaine e Calenda, in
effetti, non sarebbe stato proprio «amichevole»: il ministro ha confermato ieri di aver chiesto a Vivendi di
chiarire le sue intenzioni, anche se ha negato di avere intimato all'ad del colosso francese di non andare
oltre il 20% del capitale di Mediaset. Nell'intervista de Puyfontaine ha cercato di rilanciare il progetto iniziale
di c rea re insieme «una media company europea di dimensioni mondiali», Confalonieri ha ribattuto che,
«se l'intento lo persegui in un certo modo, è corretto. Altrimenti, è scorretto». Quanto ai p roblemi su P
remium, ha aggiunto che «hanno fatto loro la due diligence: dovevano accorgersi loro se c'erano cose che
non andavano. Non possono dire dopo che l'accordo è sbagliato». Ieri, da Vivendi, si è preferito non
reagire. Silenti, intanto, rimangono i due «vecchi» della disfida e i suoi maggiori protagonisti: Vincent
Bolloré e Silvio Berlusconi. Loro, almeno, staranno parlando? c
«Mosca prepara la guerra del gas» n Sull'Europa rischia di abbattersi una nuova «guerra del gas» come
è accaduto nel 2006 e nel 2009. A lanciare l'allarme è la Naftogaz, il colosso ucraino che gestisce la rete di
gasdotti che portano l'oro blu dalla Russia ai mercati europei. I contendenti sono sempre gli stessi: la
Gazprom, da una parte, e l'Ucraina, dall'altra. Che ha chiesto l'intervento «urgente» della Commissione Ue
con una missione di «monitoraggio indipendente» nei punti di accesso e di uscita del gas russo in Ucraina.
Naftogaz, ritiene che il volume di gas disponibile per l'Ucraina sia sufficiente a garantire forniture di gas
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I FRANCESI VOGLIONO CREARE UN GRUPPO MONDIALE DEI MEDIA. MA GLI AVVOCATI DEL
BISCIONE PREPARANO NUOVE AZIONI LEGALI
18/12/2016
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«affidabili» ai consumatori ucraini per tutto l'inverno.
Foto: Le antenne Mediaset a Cologno Monzese
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18/12/2016
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Dal primo gennaio sparisce la mobilità Ai disoccupati resta solo
l'assegno Naspi
LUIGI GRASSIA
Scatta il 1° gennaio una nuova disposizione della legge Fornero: sparisce la mobilità per i lavoratori colpiti
da licenziamento collettivo. Per la precisione, quella che viene eliminata è l'indennità che finora spettava ai
lavoratori licenziati da aziende industriali con più di 15 dipendenti o da imprese commerciali con più di 50.
Ma questa cancellazione non si lascia dietro il vuoto. Un quarto di secolo dopo l'istituzione del sussidi o,
che in alcuni casi (mobilità lunga verso la pensione) poteva durare fino a sette anni (per l avo ratori anziani
licenziati al Sud), l'unico assegno di disoccupazione resta la Naspi (Nuova assicurazione sociale per
l'impiego), uguale per tutti. Solo chi è stato messo in mobilità quest'anno continuerà a percepire il vecchio
assegno. Non è questa l'unica novità del 2017 sul fronte del lavoro. Dal prossimo anno verranno meno
anche gli incentivi alle assunzioni per coloro che, licenziati quest'anno, continueranno a percepire
l'indennità di mobilità anche nel 2017. Gli sgravi riguardavano le assunzioni di lavoratori iscritti nelle liste di
mobilità indennizzata. La contribuzione previdenziale a carico dell'azienda era pari a quella degli
apprendisti, per la durata di 18 mesi in caso di assunzione a tempo indeterminato e 12 mesi in caso di
tempo determinato. A ciò si aggiungeva un contributo mensile, pari al cinquanta per cento dell'indennità
non ancora percepita per un periodo di 12 mesi per persone al di sotto dei 50 anni di età; 24 mesi per i
lavoratori ultra-cinquantenni; 36 mesi per li ultra-cinquantenni residenti nel Mezzogiorno e nelle zone ad
alto tasso di disoccupazione. S econdo uno studio del sindacato Uil le persone che rischiano di perdere gli
sgravi sono circa 185.000, così suddivise: 104 mila residenti nelle Regioni del Nord, 37 mila residenti nelle
Regioni del Cent ro, e 44 mila residenti nelle Regioni meridionali. Per queste persone, dice ancora la Uil, «a
partire dal prossimo anno sarà più difficil e, soprattutto al Sud, ricollocarsi nel mondo del lavoro». Il costo
degli incentivi, sempre secondo i calcoli del sindacato, è stato di 679 milioni di euro nel 2013, per poi calare
a 354 milioni di euro nel 2014 e a 40 milioni di euro nel 2015. Con l'abrogazione della indennità di mobilità afferma ancora la Uil - «i risparmi a regime saranno per lo Stato di oltre 2,5 miliardi di euro, a cui si
aggiunge ranno le minori spese per il cadere degli incentivi alle assunzioni». Fino alla fine del 2014 il
lavoratore del Mezzogiorno ultra-cinquantenne licenziato poteva avere fino a 48 mesi di indennità di
mobilità. Nel 2015 e nel 2016 c'è stata una riduzione a 36 mesi e poi a 24 mesi. Per il 2016 il sussidio dura
12 mesi per chi ha meno di 40 anni di età anagrafica, 18 mesi per chi ha tra i 40 e i 49 anni al Sud o per chi
ne ha più di 50 al Nord, e 24 mesi se si hanno più di 50 anni e si risiede nel Mezzogiorno. c
7 anni Il periodo massimo per cui si poteva percepire l'assegno (in casi particolari)
2,5 miliardi I risparmi a regime secondo i calcoli della Uil
Foto: ANSA
Foto: Tutele sociali La crisi e la perdita di posti di lavoro impongono di predisporre delle salvaguardie
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UNA CONSEGUENZA DELLA LEGGE FORNERO SUL LAVORO
17/12/2016
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Vivendi a colloquio da Mediaset I vertici incontrano Berlusconi jr
L'ad del gruppo francese vola a Milano e vede Pier Silvio, ma la situazione non si sblocca
FRANCESCO SPINI MILANO
Sbollita l'ira iniziale, metabolizzato lo choc per il blitz francese, tornano in campo le diplomazie. Ai massimi
livelli. L'ad di Vivendi, Arnaud de P uyfontaine, reduce da un duro confronto in mattinata a Roma con il
ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, nel pomeriggio è volato a Milano. E alle cinque della
sera ha varcato i cancelli di Cologno Monzese dove, nel suo quartier generale, ha incontrato l'ad di
Mediaset, Pier Silvio Berlusconi. Dopo la salita dei francesi al 20% e le risposte di Fininvest tra acquisti
difensivi in Borsa (con la salita al 39%) e denunce alla magistratura, i due gruppi sono tornati a parlarsi.
Non lo facevano - se non per interposta Mediobanca - dal 25 luglio scorso, quando il gruppo che fa capo a
Vincent Bolloré aveva fatto dietrofront sugli accordi di aprile, rifiutando di ricevere la pay tv Premium in
cambio del 3,5% del capitale di Vivendi che - nell'incrocio di partecipazioni - sarebbe dovuto andare al
Biscione. Il colloquio tra de Puyfontaine e Berlusconi non è stato particolarmente lungo, tantomeno
risolutivo. È stato il gesto di cortesia di un capoazienda (e componente della famiglia-azionista di
riferimento) alla richiesta del nuovo secondo socio. Quantomeno l'inizio di un dialogo richiesto dai francesi
come un chiaro segnale di pace, simbolo di quella tregua natalizia da cui Vivendi spera di uscire con un
rinnovato accordo sulla strategia di Mediaset, gruppo su cui Parigi - dopo aver speso 700 milioni - ritiene
ormai di avere interessi allineati a quelli dei Berlusconi. Già la mattina, a Roma, l'ad di Vivendi ha dovuto
sostenere un teso faccia a faccia col ministro Calenda, che lo accolto non già tra le fanfare, ma riportando
al manager francese (con un passato in Mondadori, tra l'altro) tutta l'irritazione del governo italiano per i
modi con cui è avvenuto l'ingresso nel capitale del Biscione e per i tempi in cui si è svolto: nel bel mezzo di
una crisi di governo, approfittando quindi di un momento di debolezza. De P uyfontaine non s'è scomposto,
ha ribadito che l'operazione «non è ostile» e come per parte francese non ci sia la volontà di prendere il
controllo, ma solo di riprendere trattative con i Berlusconi da soci, non più da litiganti nelle aule dei tribunali.
A de P uyfontaine il ministro avrebbe richiesto impegni precisi, anzitutto di non salire oltre il 20% del
capitale di Mediaset, quindi di risol ve re la vi cenda di P remium. E in definitiva di favorire un
rasserenamento della vicenda, chiedendo al manager di chiarire definitivamente le intenzioni e i piani
francesi nel nostro Paese. Ma che cosa voglia fare Vivendi è forse divenuto più chiaro al termine del terzo
appuntamento di giorn ata di monsieur de P uyfontaine: il consiglio di amministrazione di Telecom Italia.
Che ha deciso di premere l'acceleratore sul cosiddetto «quadruple pl ay», ov ve ro l 'of ferta congiunta di
telefonia fissa e mobile, banda ultralarga e contenuti da trasmettere via Internet. Questo accadrà con una
nu ova società, Tim Vision, che si presenterà al mercato con un'offerta video «arricchita di nuovi contenuti
premium prodotti e coprodotti a livello nazionale e internazionale», si legge in una nota. Mediaset sa rebbe
per fetta in questa strategia, destinata ad allargarsi a livello internazionale in una futura Netflix europea.
Dopo che - a causa della lite su Premium - i contatti con Mediaset (-0,51% ieri in Borsa) si erano interrotti,
Bolloré era certo che sfondando la porta di casa loro, i Berlusconi avrebbero ripreso il dialogo. Ieri ha
ottenuto un primo, piccolo segnale. c
Foto: Prove di disgelo Ieri pomeriggio alle 17, Pier Silvio Berlusconi ha incontrato a Cologno Monzese
Arnaud de Puyfontaine, ad del gruppo francese Vivendi
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IL MINISTRO CALENDA RIMPROVERA DE PUYFONTAINE SUI TEMPI E MODI IN CUI È AVVENUTA LA
SCALATA
18/12/2016
Pag. 19
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Piano Alitalia fermo sulla pista
Manca l'intesa con le banche sul progetto di sviluppo Contatti in queste ore per trovare un punto d'incontro
Domani un nuovo vertice tra Etihad e i sindacati: in ballo ci sono tra 600 e 2.000 esuberi di personale LA
COMPAGNIA PUNTA AD ADOTTARE UNA POLITICA DEI PREZZI MOLTO AGGRESSIVA CONTRO LE
LOW COST I DUBBI DI INTESA E UNICREDIT CHE VOGLIONO UN MAGGIOR COINVOLGIMENTO
NELLE SCELTE FINALI
Umberto Mancini
R O M A Bloccato sulla pista. E' fermo al palo il piano industriale di Alitalia. Strategie e linee guida che
avrebbe dovuto essere varate oltre un mese fa, ma che stentano a decollare, visto che il cda della
compagnia è ancora aperto da lunedì scorso in attesa del disco verde. Un business plan di certo
complesso, vista la difficile congiuntura del mercato aereo, e che le banche azioniste, come trapela dai
quartier generali di Intesa e Unicredit, ancora non conoscono nei dettagli. I due istituti, prima di aprire il
portafoglio (con 180 milioni di linee di credito), attendono chiarimenti sul modello di sviluppo e, anche se
non lo dicono in maniera ufficiale, sollecitano un maggior coinvolgimento nelle scelte finali, quelle decisive
per il futuro del vettore. STRADA IN SALITA Fino ad oggi Etihad ha fatto tutto da sola, lasciando ai margini
i partner finanziari che, dal canto loro, si sono disinteressati alla gestione industriale, contando forse troppo
sulla capacità degli arabi di risalire la china, battere la concorrenza delle low cost e rimediare ai tanti errori
compiuti nel passato (alleanze internazionali sbagliate, che non hanno portato utili all'azienda; contratti di
fornitura troppo onerosi; politica dei prezzi poco aggressiva). Tanti fronti con tante incognite. Ora, fanno
capire dai due istituti di credito, bisogna recuperare il terreno perduto e, per salvare la compagnia che
perde quasi un milione al giorno, almeno secondo stime sindacali, fare quadrato a patto però che cambi
l'atteggiamento dei soci arabi. Lo hanno detto in queste ore sia Carlo Messina, ad di Intesa, sia e gli uomini
di Unicredit che stanno esaminando il dossier e che ripetono come un mantra che solo di fronte «ad un
piano industriale valido sono possibili nuovi investimenti». Da qui l'impasse ma anche i continui contatti di
questi giorni per trovare un punto d'intesa, di svolta, rapidamente. Anche perchè senza l'intervento delle
banche e la conversione da parte di Etihad del bond da 216 milioni di euro, passo fondamentale per
rilanciare la compagnia, il rischio è quello di portare i libri in tribunale. Le perdite hanno fatto scattare
l'allarme rosso e serve un rafforzamento patrimoniale immediato. Per poi pensare - nei prossimi mesi - ad
una nuova iniezione di liquidità. Tutto dipenderà però dal piano industriale, il vero motore della crescita che
ha l'obiettivo prioritario di aumentare i ricavi e ridurre i costi. Sul primo fonte le idee elaborate sono definite.
Si punta tutto o quasi sul lungo raggio, con la revisione delle alleanze (Air France e Delta Airlines) e la
rimodulazione delle tariffe sul medio e corto raggio. Con una politica di «flex cost» aggressiva, in grado di
far concorrenza alle low cost. In seconda battuta si pensa, almeno teoricamente, anche a coinvolgere in
una sorta di alleanza commerciale Ryanair, alleanza i cui costi e benefici sono in via di esame approfondito.
Il tema più caldo riguarda invece i tagli del costo del lavoro. Domani, lunedì, ai sindacati dovrebbe essere
illustrato il piano per i prossimi anni, ma c'è anche il rischio di uno slittamento a dopo il Natale, per evitare
possibili agitazioni. I numeri che circolano parlano di un impatto che oscilla tra 600 e 2000 persone, tra
mancati rinnovi contrattuali, esternalizzazioni ed esuberi veri e propri. Il timore dei sindacati è che, a
distanza di due anni dall'arrivo del partner arabo, ci si trovi ancora una volta al punto di partenza. «Dopo
due anni e mezzo ci troviamo con una crisi pari a quella di allora e con un piano industriale che punta sul
lungo raggio come quello del 2014», osserva il segretario generale della Uiltrasporti Claudio Tarlazzi.
L'altro fronte caldo è quello della trattativa per il rinnovo del contratto del trasporto aereo, che scade il 31
dicembre. «Abbiamo presentato la piattaforma e a gennaio speriamo di trattare il nuovo contratto, ma in
questo contesto - avverte Piras della Cisl - non sembra un obiettivo facilmente raggiungibile». Intanto
Etihad ha rafforzato i legami con Lufthansa, siglando un accordo di codeshare con il gruppo tedesco, che a
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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IL CASO
18/12/2016
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sua volta ha siglato un accordo di wet lease con Airberlin, di cui Etihad detiene il 29%. Prove tecniche di un
matrimonio futuro.
Le "spine" di Etihad
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12 Conversione del bond da 216 milioni di euro Nuove linee di credito per 180 milioni da Intesa e Unicredit
Possibile nuovo aumento di capitale nel 2017 per coprire le perdite che ammontano a 400 milioni Possibili
esuberi: 600 tra il personale di terra, ma complessivamente 2.000 tra esternalizzazioni e cessazione dei
contratti a tempo determinato (possibile taglio di 100 piloti per la riduzione del medio e lungo raggio)
Revisione dei contratti con i fornitori Revisione delle alleanze con Air France e Delta Airlines per avere più
forza nel lungo raggio Rimodulazione delle tariffe con il modello flex cost per offrire un ventaglio di prezzi
articolato sul medio e cor to raggio e contrastare le low cost Nuovi slot per Linate Messa a terra di 12-13
aerei nel medio e cor to raggio Acquisto di nuovi velivoli per il lungo raggio Ipotesi di alleanza con
Lufthansa sul fronte industriale e azionario Nuova governance per coinvolgere di più le banche
Foto: L'ad di Alitalia Cramer Ball
17/12/2016
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Mps, la raccolta cala di altri 6 miliardi
Prosegue la fuga dai conti correnti dell'istituto senese: da inizio anno persi 20 miliardi. Ombrello del Tesoro
pronto Da ieri fino al 21 dicembre i 40 mila sottoscrittori dei bond subordinati potranno decidere se
convertirli in azioni della banca
Umberto Mancini
La dead line è fissata. Ci sarà tempo fino al 21 dicembre per convertire in azioni i bond subordinati di Mps.
Poi la partita sarà chiusa e, se l'intervento dei privati fallirà, spetterà allo Stato intervenire in extremis. Dopo
l'ok della Consob, arrivato nella tarda serata di giovedì, è scattata la corsa per salvare la banca senese con
capitali privati, coinvolgendo tutti i possessori di obbligazioni. ` IL PERCORSO Mps apre quindi ai 40 mila
risparmiatori che detengono oltre 2 miliardi di obbligazioni e che non avevano potuto aderire alla
conversione per via dei paletti posti dalla stessa autorità di controllo ed ora eliminati. Proprio l'incertezza di
questi mesi ha provocato una forte emorragia dei depositi della banca che ha perso 6 miliardi di raccolta
solo nel periodo tra il 30 settembre e il 13 dicembre. Due miliardi sono «fuggiti» verso lidi più sicuri il 4
dicembre, il giorno del referendum costituzionale. C'è da dire che ai 6 miliardi si aggiungono i 13,8 persi nei
primi nove mesi del 2016, portando così il saldo negativo a quota 20 miliardi. Del resto come dar torto ai
correntisti di fronte ad un quadro così complesso e confso. Di certo resta, in questa fase turbolenta, solo la
ferma volontà dell'ad Marco Morelli, che non vuole rinunciare a percorrere la «soluzione di mercato». E che
è convinto di centrare l'obiettivo sul filo di lana. L'ombrello dal Tesoro è comunque pronto ad aprirsi. Con un
decreto da 15 miliardi per garantire la ricapitalizzazione senese, insieme a quelle che incombono sulle altre
banche in difficoltà, dalle due venete a Carige, passando per le quattro good bank. Come noto, Mps parte
dagli 1,03 miliardi di euro raccolti dalla conversione dei bond chiusa lo scorso 2 dicembre, a cui si
aggiungono altri 220 milioni dalla conversione del titolo Fresh da 1 miliardo di euro che il cda ha deciso di
includere nell'operazione. Il vero obiettivo è quello di coinvolgere i piccoli risparmiatori sottoscrittori
dell'obbligazione da 2,16 miliardi, con l'obiettivo di portare le conversioni in area 2,5-3 miliardi e puntare poi
sull'adesione del Qatar (pronto a sborsare circa un miliardo) e sul collocamento agli istituzionali.
L'ammontare dell'aumento, che le banche del consorzio capitanato da JpMorgan e Mediobanca non
garantiranno, verrà invece determinato una volta conclusa la conversione. Il prezzo di sottoscrizione delle
nuove azioni sarà quindi fissato all'interno di una forchetta compresa tra i 24,9 e 1 euro (in tal caso gli
attuali azionisti verrebbero azzerati). È previsto, infine, che il 65% dell'offerta venga riservato agli investitori
istituzionali e il 35% al retail, con una quota del 30% riservata agli attuali azionisti e la possibilità di
aggiustare in corsa i rapporti. Sempre ieri la Consob ha autorizzato la pubblicazione del prospetto
dell'aumento di capitale di Mps. Adesso gli obbligazionisti retail si trovano di fronte al dilemma se aderire,
accettando titoli azionari in cambio di titoli di debito, con tutti i rischi che ne conseguono, o invece tenere i
bond, puntando sui rimborsi che lo Stato intende predisporre in caso di salvataggio pubblico ma che
dovranno fare i conti con le regole della burden sharing , che impone a soci e obbligazionisti di contribuire
al salvataggio di una banca in crisi. La Borsa scommette timidamente sul successo dell'operazione: ieri il
titolo ha guadagnato l'1,3% .
Mps: cosa può succedere
TRE SCENARI
CHI RISCHIA DI PIÙ E CHI MENO 1 Aumento di capitale da par te dei privati Nessuna perdita per i clienti
AZIONISTI OBBLIGAZIONISTI SUBORDINATI OBBLIGAZIONISTI SENIOR CORRENTISTI CASSETTE
SICUREZZA DOSSIER TITOLI FONDI COMUNI GESTIONI PATRIMONIALI 2 Inter vento dello Stato
("burden sharing") Qualche perdita per i clienti Bail-in (salvataggio interno) A carico anche di parecchi
clienti Le azioni perdono parte del valore (scenario 1) oppure lo perdono del tutto (casi 2 e 3) Esposti al
rischio banca se conver tono i loro bond in azioni (1); sono obbligati a convertirli nel caso 2; nello scenario 3
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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IL PIANO
17/12/2016
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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perdono tutto Possono perdere tutto solo nel bail-in, dopo azionisti e bond subordinati (3) Perdono i depositi
oltre i 100.000 euro nel bail-in (3) Non corrono alcun rischio di perdita 3
Foto: SE DOVESSE FALLIRE L'OPERAZIONE DI MERCATO SCATTERÀ SUBITO LA
NAZIONALIZZAZIONE DELL'ISTITUTO
SCENARIO PMI
9 articoli
19/12/2016
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Produttività, come integrare le intese
Gabriele Sepio
pagina 29 Produttività, come integrare le intese Le novità introdotte dalla legge di bilancio per il regime
agevolativo dei premi di produttività e del welfare aziendale entreranno in vigore il 1° gennaio 2017, ma - a
certe condizioni - potranno produrre effetti sugli accordi di secondo livello già operativi nel periodo d'imposta
2016. Gli accordi vigenti potranno, infatti, essere modificati o integrati tenendo conto delle seguenti novità:
1 estensione della platea dei beneficiari dell'imposta sostitutiva del 10% sui premi di produzione ai titolari di
reddito annuo di lavoro dipendente inferiore ad 80mila euro (anziché 50mila); 1 detassazione del premio
fino ad un massimo di 3mila euro (era 2mila) o 4mila euro (anziché 2.500) in caso di coinvolgimento del
lavoratore nell'organizzazione del lavoro; 1 sostituzione, per scelta del lavoratore, dei premi monetari con
assistenza sanitaria, previdenza complementare e in azioni assegnate dal datore di lavoro, anche in deroga
ai limiti imposti dall'articolo 51, comma 2, del Tuir e in totale esenzione fiscale. Con riferimento ai piani di
welfare aziendale va tenuto conto che la nuova lettera f)-quater dell'articolo 51, comma 2 del Tuir introduce
una esenzione dei premi e contributi per prestazioni aventi ad oggetto i rischi extraprofessionali del
lavoratore. Inoltre le opere e i servizi socio-assistenziali non concorrono al reddito del lavoratore anche se
previsti in esecuzione di contratti collettivi nazionali. I premi di produzione Per gli accordi di secondo livello,
già firmati e depositati, che prevedono l'erogazione di premi produttività, le nuove regole fiscali troveranno
applicazione solo alle somme corrisposte ai lavoratori nel 2017 (principio di cassa). Pertanto, solo a partire
dal prossimo periodo d'imposta,i premi finoa 3mila euro erogati a favore di dipendenti con reddito compreso
tra 50e 80 mila euro potranno scontare l'aliquota agevolata. Per recepire le novità della legge di bilancio, si
dovranno integrare gli accordi di secondo livello già esistenti. Stesso discorso vale per le imprese che, pur
avendo sottoscritto un'intesa sui premi di risultato, non abbiano ancora previsto la loro sostituibilità con
welfare azien- dale. L'accordo integrativo andrà depositato entro 30 giorni dalla sottoscrizione, insieme alla
dichiarazione di conformità. Si ritiene che l'erogazione dei premi possa avvenire in base agli obiettivi
raggiunti entro la fine di quest'anno, secondo le previsioni contenute nel contratto originario. In caso di
contratto sottoscritto ma non ancora depositato si potranno apportare le modifiche prima di procedere al
deposito. Le agevolazioni si applicheranno alle erogazioni effettuate nel 2017 anche se il deposito avviene
nel periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2016. I piani di welfare Per i piani di welfare già adottati dalle
imprese con accordi di secondo livello oppure con regolamenti aziendali, le nuove norme troveranno
applicazione relativamente ai servizi erogati e alle spese sostenute (sia dal lavoratore che dal datore)
nell'anno 2017. I premi versati dal datore per le prestazioni relative a rischi extraprofessionali (polizze vita,
invalidità e infortuni extraprofesisonali) accederanno al nuovo regime di esenzione solo se il versamento è
effettuato a partire dal 1° gennaio 2017. L'impresa potrà dedurre integralmente il costo, ai sensi dell'articolo
95 del Tuir, se il contratto, l'accordo o il regolamento aziendale già prevede tale benefit; in caso contrario si
dovrà procedere alla integrazione o modifica dello stesso, senza la quale l'erogazione si considera
avvenuta su base volontaria, con deducibilità del costo limitata al5 per mille (articolo 100 del Tuir).Gli
scenari L'INTESA IL CAMPO DI APPLICAZIONE
Un accordo di secondo livello, firmatoe depositato, prevede la verifica del raggiungimento degli obiettivi per
l'erogazione dei premi di risultatoe la maturazione dei premi alla fine del 2016. L'intesa vale anche per il
2017 Ai premi erogati nel 2016 si applicheranno le vecchie soglie (cioà premio annuo non superiore a
2.000-2.500 euro e per redditi non superiori a 50mila euro). Al contrario, i nuovi limiti della legge di bilancio
(cioè premio non superiore a 3.000-4.000 e reddito annuo non superiore a 80mila euro ) si applicheranno, in
base al principio di cassa, ai soli premi erogati a partire dal 1° gennaio 2017 Un accordo di secondo livello
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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LAVORO
19/12/2016
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è stato firmato ma non depositato. Le parti ora vogliono adeguarlo alle novità introdotte dalla legge di
bilancio 2017 Le parti avranno la possibilità di apportare le modifiche necessarie prima di procedere al
deposito. Le nuove norme della legge di bilancio si applicheranno alle erogazioni effettuate nel 2017 anche
in caso di deposito nel periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2016 Un accordo di secondo livello è già
stato firmato e depositato. Le parti lo vogliono integrare prevedendo la sostituzione dei premi con welfare
aziendale e l'erogazione di contributi per la copertura dei rischi extraprofessionali L'accordo di secondo
livello già esistente (in quanto firmato e depositato) deve essere integrato o modificato. L'integrazione va
depositata entro 30 giorni dalla sottoscrizione, unitamente alla dichiarazione di conformità. Peraltro, anche
se l'integrazione contrattuale viene perfezionata solo nel 2017, l'erogazione dei premi già con la nuova
modalità potrà avvenire in base agli obiettivi raggiunti entro la fine del 2016 (così come definiti nella
versione originaria dell'intesa) Una società eroga già nel periodo d'imposta 2016 servizi con una delle
finalità previste dall'articolo 51, comma 2, lettera f) del Tuir (ad esempio, finalità di educazione).
L'erogazione avviene in assenzadi contratto o regolamento aziendale, ma sulla base del Ccnl La norma
interpretativa introdotta dalla legge di bilancio si applicherà retroattivamente anche alle opere e ai servizi
aventi finalità socio-assistenziale erogati nel corso del 2016, laddove previsti da contratto collettivo
nazionale di lavoro, accordo interconfederale o contratto collettivo territoriale. Nel caso specifico, quindi, i
servizi di asilo nido messi a disposizione dei dipendenti già nel corso del 2016 non saranno assoggettati a
tassazione per il periodo d'imposta in corso, quando l'erogazione è prevista dal Ccnl Una piccola impresa
del settore manifatturiero priva di rappresentanza sindacale vuole erogare ai propri dipendenti premi di
produttività agevolati La mancanza della rappresentanza sindacale interna non pregiudica l'erogazione di
premi di produttività a tassazione ridotta. L'azienda deve comunque recepire il contenuto del contratto
territoriale o dell'accordo quadro firmato dalle rappresentanze sindacali più rappresentative a livello
nazionale
18/12/2016
Pag. 26
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Piano Juncker, attivati 21 miliardi
RISORSEE INVESTIMENTI Finanziati 56 progetti con risorse per 2,5 miliardi. De Vincenti: fondi nazionali e
Ue devono costruire infrastrutture fisiche ma anche sociali
Gianni Trovati
In Italia il piano Junker ha finora finanziato 56 progetti con risorse per 2,5 miliardi che con l'effetto-leva alla
base della strategia hanno attivato investimenti per 21 miliardi: da noi, quindi, si concentra al momento un
sesto del target totale del programma europeo. I numeri, rilanciati dal ministro dell'Economia Pier Carlo
Padoan nel Forum Rome Investment 2016 di Febaf, fanno del nostro Paese «uno dei maggiori beneficiari»
di un piano che è stato accolto con un discreto scetticismo, ma inizia comunque a prospettare risultati che
anche nella sempre complicata ricerca degli equilibri europei potrebbero dare argomenti a chi vuole dare
più benzina alle politiche per la crescita. Il derby continuo tra «stabilità» e «crescita», cioè fra le due parole
chiave del Patto europeo che però all'atto pratico si è sempre mostrato più attento alla prima, sono del
resto risuonate come filo conduttore delle riflessioni del forum Febaf, e sono tornate al centro dell'intervento
del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia: «Bisogna andare avanti con l'Unione bancaria - ha detto
Boccia - ma ci auguriamo che le regole e anche Basilea 4 non risultino un freno al finanziamento
dell'economia reale e alla crescita». Una crescita, ha ricordato ieri il neo-ministro per il Mezzogiorno Claudio
De Vincenti, che serve prima di tutto a ridurrei confini della geografia del disagio, perché i fondi nazionali ed
europei a disposi- zione dell'Italia devono servire alla creazione di «infrastrutture fisiche, ma anche sociali».
In quest'ottica, il piano Junker «è un piano limitato- ha ricordato Luigi Abete, che della Federazione banche
assicurazioni e finanza è il presidente - ma il fatto che ora sia in discussione un suo ampliamento mostra
che puntarci, guardando il bicchiere mezzo pieno, non è stato sbagliato. Perché il livello di investimenti
rimane troppo basso anche ora che la doppia recessioneè superata». Il piano targato con il nome del
presidente della commissione europea, nel cui cantiere rientra anche l'accordo firmato venerdì fra la Cdp e
la Bei sulle garanzie per gli investimenti nelle Pmi, resta comunque solo uno dei tasselli di una strategia che
ha tra gli obiettivi dichiaratii tentativi di rilancio della crescita «attraverso un'azione congiunta sugli
investimenti pubblicie privati». La legge di bilancio ha allargato il ventaglio degli strumenti, dal rilancio del
supe- rammortamento all'introduzione dei Pir che puntano a convogliare sugli investimenti industriali una
fetta del risparmio degli italiani, ma da Via XX Settembre non si esclude l'esigenza di «valutare misure
ulteriori». Da questo punto di vista, il semaforo rosso acceso dal voto referendario non mette secondo
Padoan in discussione il percorso delle «riforme strutturali, che vanno difese e sviluppate», accanto alla
«piena attuazione» delle misure attuate. I prossimi interventi, sostiene il ministro in linea con gli indirizzi
indicati dal neopremier Paolo Gentiloni nel dibattito parlamentare sulla fiducia al governo, andranno
declinate con l'obiettivo dell'inclusionee un occhio di riguardo al Mezzogiorno, per far crescere
l'occupazione. Proprio qui si innesta un altro collegamento referendario, tornato al centro del dibattito in
attesa della Consulta che si pronuncerà sull'ammissibilità l'11 gennaio, riguarda il Jobs Act, altro oggetto
dei rilanci del ministro dell'Economia: «Il mercato del lavoro sta migliorando grazie a questa riforma», taglia
corto Padoan, e non può essere rimesso in discussione.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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Numeri. Padoan al Forum di Febaf: «Siamo uno dei maggiori beneficiari» - Abete: ora si discute un
ampliamento, puntarci non è stato sbagliato
19/12/2016
Pag. 62 N.43 - 19 dicembre 2017
diffusione:400000
IN DUE ANNI UN IMPRENDITORE SU CINQUE HA SUBITO DISDETTE DI CONTRATTI, IL 70% FA
FATICA A INCASSARE, IL 16,8% HA AVUTO CONTESTAZIONI SULLA MERCE. NEL 2015 IL 42% HA
SPESO MINIMO 1.000 EURO IN AVVOCATI. ED ECCO CONSULENZA ONLINE E POLIZZE
Christian Benna
Milano Disdette di contratti commerciali, fatture insolute, controversie ambientali, (in)sicurezza informatica e
sul lavoro, azioni di difesa contro la falsificazione di marchi e brevetti copiati. Per le piccole e medie
imprese la lista delle "grane" di natura legale è davvero lunga. E va a riempire le scrivanie dei titolari e dei
loro amministratori, peraltro già invischiati nella palude asfissiante degli adempimenti burocratici. Con il
risultato che fare impresa diventa un sentiero sempre più stretto dove si è occupati a dirimere contenziosi
per buona parte del tempo. La tutela legale comincia ad assumere i contorni di asset irrinunciabile anche
per le Pmi. Nell'ultimo biennio, secondo un'indagine di Das Italia, un imprenditore su cinque ha dovuto far
fronte a controversie per la disdetta di contratti commerciali, il 70% fa fatica a incassare i pagamenti dovuti,
mentre il 16,8% si è trovato di fronte contestazioni su prodotti e servizi ordinati dai propri fornitori. E il 42%
delle imprese nel corso del 2015 ha pagato almeno 1.000 euro per spese legali. Affrontare un contenzioso
rischia di diventare un fatto traumatico per le 150 mila Pmi della Penisola, quelle con meno di 20
dipendenti, perché mette a rischio l'operatività aziendale. Secondo Unioncamere i costi delle controversie si
aggirano in media intorno all'1% del fatturato aziendale, per una spesa complessiva del "sistema imprese"
pari a 23 miliardi di euro. Tanto più che i tempi della giustizia, oltre 500 giorni per una sentenza di primo
grado, possono far tremare i polsi anche alle società più strutturate. Icona dei tempi in cui stiamo vivendo è
il Fondo Pmi Vittime dei cattivi donatori, nel quale il governo ha stanziato 10 milioni di euro per il prossimo
triennio a sostegno di quelle imprese che tra pagamenti in entrata e in uscita finiscono con il cerino in
mano. Basterà? Probabilmente no. Per dribblare questa marea di ostacoli anche le piccole imprese si
stanno attrezzando. C'è chi assume esperti legali in grado prevenire le controversie e avvalersi di accordi
conciliatori e della consulenza di studi professionali adeguate alla mission richiesta. L'ultima novità il
consulente legale online, Unimpresa ha stretto un accordo con Lex&Go, che permette alle società di
accedere a servizi e documentazione in Rete e in modo economico. Chi non riesce a strutturare uffici legali
comincia a rivolgersi alle polizze di tutela legale, un segmento assicurativo fino a ieri quasi sconosciuto nel
nostro paese che ora pur valendo ancora poco, circa il 3,7% del totale europeo contro il 44% della
Germania, è destinato a svilupparsi nei prossimi anni. Sottoscrivendo polizze mirate, ce ne sono per
commercianti, artigiani, edili e piccole industrie, per conducenti di Tir, le imprese cercano di mettersi al
riparo da rischi più grandi. Ad oggi, rivela l'indagine di Das Italia, il 40% delle imprese, che sceglie di
proteggersi con un tutela legale assicurativa lo fa per cautelarsi dai rischi sulla responsabilità
amministrativa e penale d'impresa e il 29% sulla salute e sicurezza sul lavoro. L'11% punta l'attenzione su
lavoro e previdenza mentre soltanto il 9% segnala la materia fiscale come ambito critico dal punto di vista
delle possibili controversie di natura legale. Il problema principale rimane quello delle fatture insolute che
riguarda due imprese su tre. La percentuale sale fino all'84% per le aziende più strutturate, con le criticità
maggiori nel settore commercio (87,6%) e nelle realtà del Sud Italia (81%). Per risolvere queste controversi
il 79% delle Pmi si rivolge all'avvocato di fiducia, e il 15% alle associazioni di categoria.
Foto: L'ultima novità è il consulente legale online . A tal fine Unimpresa ha stretto un accordo con Lex&Go
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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Boom di "grane", tutela legale asset necessario
17/12/2016
Pag. 41 Ed. Frosinone
diffusione:115344
tiratura:158020
L'INCONTRO
«Un impianto strategico che grazie ai suoi manager e ai suoi lavoratori consentirà di rafforzare la nostra
posizione sui mercati globali». Lo ha detto Christophe Lambert, amministratore delegato di Tdv Industries, il
gruppo francese che ha acquisito la Klopman. Ieri l'industriale francese ha fatto visita al polo produttivo di
Frosinone, alla presenza oltre che del management di Klopman, anche del sindaco del capoluogo Nicola
Ottaviani. Lambert ha sottolineato al primo cittadino che l'accordo è una opportunità per assicurare a
Klopman un grande futuro e ha riaffermato che le due aziende gestiranno in completa autonomia i rispettivi
marchi e le identità aziendali. Inoltre l'indipendenza dei relativi management rimarrà invariata sia nelle
persone che nelle responsabilità. «L'acquisizione - ha detto Lambert - apre ad una nuova era per i mercati
workwear, protectivewear e corporatewear assicurando al nuovo gruppo una posizione più forte e solida sui
mercati globali. L'impianto di Frosinone è per noi strategico e abbiamo una forte fiducia nelle capacità del
management aziendale che è stato capace di raggiungere in questi anni risultati eccellenti Il know-how e le
capacità dei manager di Klopman e dei suoi lavoratori, la passione e la lunga tradizione di TDV sono le più
importanti garanzie per il successo di questa acquisizione strategica». Sia il manager francese che
l'amministratore delegato, Alfonso Marra, hanno ringraziato Ottaviani per aver dato la possibilità di
spiegare, nei giorni precendenti alla chiusura della trattativa, cosa stava accadendo in Klopman. «Il
management guidato dal dottor Marra - ha dichiarato Ottaviani - ha fornito, all'amministrazione comunale di
Frosinone, elementi concreti per rinnovare un percorso di consolidamento di una delle più importanti realtà
industriali presenti sul nostro territorio. La scelta del nuovo partner francese sembra porsi in linea con
questi obiettivi, che dovranno tutelare i livelli occupazionali e la qualità di un brand manifatturiero che
proietta la Ciociaria in alto nelle classifiche mondiali dell'innovazione nella produzione di tessuti».
P.P.
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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Klopman, i francesi visitano lo stabilimento
17/12/2016
Pag. 52 N.248 - 17 dicembre 2016
diffusione:69939
tiratura:128717
La crisi si batte insieme
Sono cinque le aziende che costituiscono il gruppo fondato a Pordenone nell'ottobre del 2015 con la
sottoscrizione del contratto di rete d'impresa. E dopo un primo periodo di reciproca conoscenza e di
avviamento della collaborazione hanno già in programma l'ingresso di altre due nuove società.
«Un'esperienza positiva», ha detto il presidente di Retelia Pietro Aloisio, «e da condividere con altri anche
per esaltarne i benefici. Abbiamo superato la fase del timore e già condiviso in un'unica banca dati di 5.200
riferimenti in Italia e 80 in Europa tutti clienti. Abbiamo partecipato alla Fiera delle Aggregazioni organizzata
a Mogliano Veneto da Unint di Treviso proprio per dire chi siamo e, soprattutto, per attrarre nuovi soci». La
natura merceologica di Retelia è composita e il manifatturiero sta accanto ai servizi e alla consulenza. Ma si
riscontra un duplice comun denominatore: sono tutte piccole imprese (il fatturato complessivo è di 7,5
milioni di euro con un centinaio di addetti) e appartengono allo stesso territorio, prevalentemente il
Pordenonese. La sede è presso il Polo Tecnologico, l'assistenza per arrivare al contratto di rete è stata
fornita da Comet, Cluster Metalmeccanica Friuli-Venezia Giulia, una aggregazione di 3 mila e 773 imprese
attive, export pari a 6 miliardi di euro e più di 56 mila addetti. La collaborazione del cluster con Retelia è
ancora attiva per lo sviluppo commerciale: Comet ha infatti assegnato al gruppo un proprio manager. Uno
dei primi risultati da mostrare alle aziende aggregate è certamente l'ampliamento della loro clientela e, ai
potenziali clienti, la capacità di avere un solo interlocutore, la rete, per prodotti e servizi diversi. Sta qui
probabilmente il significato del manager di Comet assegnato a Retelia. I prodotti/servizi forniti dalla rete di
imprese sono la gestione della proprietà intellettuale ossia dei brevetti e delle invenzioni, analisi di
laboratorio, consulenza ambientale e gestione di pratiche ambientali, formazione anche in ambito agroalimentare e turistico, analisi sensoriale, gestione e smaltimento dei rifiuti, fornitura di impianti industriali,
sicurezza e salute nei luoghi di lavoro: questo il «catalogo» assegnato al manager commerciale. Le aziende
in rete sono Applika di Pordenone, che fa riferimento al presidente Pietro Aloisio, Eurochem 2000 di Porcia,
Propria di Pordenone che si occupa anche di marchi e modelli, Geodesia di Udine e Deteco, azienda
manifatturiera di Porcia, specializzata in progettazione, ricerca, costruzione, installazione, manutenzione e
commercio di impianti di depurazione aria, fumi e solventi, di aspirazione e di condizionamento e
riscaldamento. «La domanda dei mercati globali richiede oggi aziende in grado di poter soddisfare
'pacchetti' di esigenze di imprese, enti pubblici e privati», ha detto Aloisio, «possibilmente con un unico
interlocutore in grado di produrre sinergie. Il nostro territorio è caratterizzato da piccole e micro imprese che
per crescere devono pur arrivare sul mercato globale, ma solo se aggregate hanno la forza di arrivarci e di
proporre quindi in un mercato ampio i loro servizi e i loro impianti. La nostra analisi ci ha condotti alla
convinzione che ogni azienda potenziale cliente è una rete di domande e noi siamo una rete di risposte.
Siamo soddisfatti e ottimisti, perché dove c'è bisogno di un nuovo impianto industriale c'è bisogno pure di
formazione, di sicurezza, eccetera. Manifatturiero e servizi e consulenza sul mercato hanno lo stesso Dna»,
ha concluso Aloisio. (riproduzione riservata)
Foto: Pietro Aloisio
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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RETELIA Pagina a cura di Guido Lorenzon
19/12/2016
Pag. 19 N.300 - 19 dicembre 2016
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tiratura:133263
Tariffe scontate a eco-imprese
Tagli del 30% del fi sso al Gse per progetti di effi cienza
CINZIA DE STEFANIS
Sconto del 30% alle pmi che presentano progetti al Gse corredati di diagnosi energetica. Introduzione di un
nuovo metodo di valutazione standardizzata degli incentivi legati ai certifi cati bianchi, chiamato progetto
standard (PS), in luogo delle attuali schede standard e analitiche. Controllo del gestore dei servizi
energetici sugli interventi di effi cienza energetica mediante verifi che documentali ovvero ispezioni e
sopralluoghi in situ, al fi ne di accertare la corretta esecuzione tecnica e amministrativa dei progetti per i
quali è richiesto o concesso o richiesto l'accesso agli incentivi. Queste le importanti novità contenute nella
bozza di decreto interministeriale (dicastero dello sviluppo economico e quello dell'ambiente) inviato dal
Ministero dello sviluppo economico all'esame della conferenza unifi cata (la cui data per l'esame è fi ssata
per il prossimo 22 dicembre) e alla valutazione dell'autorità per l'energia a cui è richiesto un parere sul testo
in materia di incentivi legati ai certificati bianchi. I certifi cati bianchi riconosciuti per progetti di effi cienza
energetica per cui è stata presentata istanza di incentivo al gestore dei servizi energetici, non sono
cumulabili con altri incentivi, erogati dallo stato, dalle regioni e dagli enti locali. Il metodo di valutazione a
consuntivo, quantifi ca il risparmio energetico addizionale, conseguito attraverso la realizzazione del
progetto di effi cienza energetica, tramite una misurazione puntuale sia nella confi gurazione ex ante sia in
quella post intervento. Le nuove linee guida si propongono di superare alcune rilevanti criticità insite nel
meccanismo, e cioè il rischio di conteggiare risparmi e attribuire certifi cati bianchi per risparmi futuri o solo
potenziali e la necessità di una metodologia più oggettiva per la valutazione dei progetti dei settori
industriali e infrastrutturali. Obiettivi nazionali. Lo schema del decreto all'articolo riporta gli obiettivi nazionali
annui di risparmio energico da conseguire nel periodo 2017-2020 attraverso i certificati bianchi. Questi
sono: • 7,14 milioni di Tep (un certificato equivale al risparmio di una tonnellata equivalente di petrolio) di
energia primaria nel 2017; • 8,32 milioni di Tep di energia primaria nel 2018; • 9,71 milioni di Tep di energia
primaria nel 2019; • 11,19 milioni di Tep di energia primaria nel 2020. I certifi cati bianchi, anche noti come
«titoli di effi cienza energetica» (Tee), sono titoli negoziabili che certifi cano il conseguimento di risparmi
energetici negli usi fi nali di energia attraverso interventi e progetti di incremento di efficienza energetica. Il
sistema dei certificati bianchi è stato introdotto nella legislazione italiana dai decreti ministeriali del 20 luglio
2004 e seguenti e prevede che i distributori di energia elettrica e di gas naturale raggiungano annualmente
determinati obiettivi quantitativi di risparmio di energia primaria, espressi in tonnellate equivalenti di petrolio
risparmiate (Tep).
Le novità sugli incentivi Per le Pmi che presenteranno un progetto di effi cienza energetica al Gse •
corredato da diagnosi energetica sarà previsto uno sconto del 30% rispetto alla tariffa che l'impresa deve
versare per la valutazione del progetto Riconoscimento degli incentivi esclusivamente alla componente di
effi• cienza energetica delle fonti rinnovabili, cui oggi è riconosciuta tutta la produzione in quanto risparmio
di energia fossile (non conteggiabile ai fi ni degli obiettivi di effi cienza) Introduzione di un nuovo metodo di
valutazione standardizzata, chiamato • progetto standard (PS), in luogo delle attuali schede standard e
analitiche Nuova forma di corresponsabilità tra il soggetto che effettua effettivamente • l'investimento
(soggetto titolare del progetto) e il soggetto eventualmente incaricato da esso per la presentazione della
domanda (soggetto proponente).. Al soggetto proponente, ove espressamente richiesto dal titolare,
possono anche essere direttamente riconosciuti i certifi cati bianchi
L'attività di controllo Il Gse svolge il controllo sugli interventi di effi cienza energetica mediante • verifi che
documentali ovvero ispezioni e sopralluoghi in situ, al fi ne di accertare la corretta esecuzione tecnica e
amministrativa dei progetti per i quali è richiesto o concesso o richiesto l'accesso agli incentivi Ai fi ni della
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Lo prevede il decreto sui certifi cati bianchi, all'esame della conferenza unifi cata
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verifi ca del diritto all'incentivo e della relativa determinazione, • il Gse, valuta, nell'esercizio delle funzioni di
controllo , la possibilità di effettuare operazioni di campionamento e caratterizzazione dei combustibili o di
altri materiali impiegati negli interventi Le attività di controllo sono effettuate nell'interesse pubblico da
persona• le che costituisce il gruppo di verifi ca, dotato di adeguata qualifi cazione tecnica, e opera con
indipendenza e autonomia di giudizio e nell'esercizio di tali attività riveste la qualifi ca di pubblico uffi ciale
ed è tenuto alla riservatezza delle informazioni acquisite Le attività di controllo sono effettuate nell'interesse
pubblico da persona• le che costituisce il gruppo di verifi ca, dotato di adeguata qualifi cazione tecnica, e
opera con indipendenza e autonomia di giudizio e nell'esercizio di tali attività riveste la qualifi ca di pubblico
uffi ciale ed è tenuto alla riservatezza delle informazioni acquisite
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MAPPARE LE ECONOMIE DI FRONTIERA / 1
I player globali che vogliono realizzare una crescita a due cifre sono a corto di opportunità. Colossi
emergenti come Brasile, Russia e Cina sono alle prese con un rallentamento dell'economia. Come basi
operative sono sempre più costosi ed esportarvi e importarvi è più difficile di prima.
ALDO MUSACCHIO, ERIC WERKER
Di conseguenza, le multinazionali stanno mettendo gli occhi su Paesi a basso reddito e ad alto rischio sia
come nuovi mercati per vendere beni e servizi, sia come piattaforme da cui esportarli altrove. Queste
"economie di frontiera", come le definiamo, potrebbero apparire poco promettenti; sono caratterizzate da
mercati soggetti a manipolazioni politiche, sistemi legali deboli e un basso reddito pro-capite o un PIL
declinante. Ma dei 25 Paesi previsti più in crescita nei prossimi cinque anni, 19 sono economie di frontiera
come Myanmar, Mozambico, Vietnam e Ruanda. Molti possiedono le più grande riserve non sfruttate di
minerali e metalli del mondo e, nonostante la lenta discesa dei prezzi, l'investimento globale nello sviluppo
di queste risorse continuerà a sostenere il reddito e la crescita. È un dato importante perché vuoi dire che
nelle economie di frontiera la crescita dipende relativamente poco dai trend economici generali e che chi fa
la prima mossa può ottenere ritorni su investimenti esteri che restano più elevati di quanto non potrebbero
suggerire i rischi-Paese, talora allarmanti. Alcuni di questi rischi, per giunta, appaiono esagerati, come
stanno scoprendo le aziende più accorte. Nelle economie di frontiera, le distorsioni politicamente
orchestrate del mercato sono limitate spesso a settori contraddistinti da grandissimi investimenti di capitale,
come l'estrazione di risorse naturali o le infrastrutture. Per contro, i settori in cui sono in gioco somme molto
minori (come la trasformazione ad alto valore aggiunto delle risorse) tendono a suscitare meno interesse a
livello politico, dunque c'è spazio per competere sul valore e far crescere rapidamente dei settori
sottosviluppati. Per esempio, Tiffany & Company ha laboratori efficientissimi di raffinazione dei diamanti in
Cambogia, Botswana, Mauritius e Vietnam, oltre a quello situato in Belgio. Anche nei settori in cui la
competizione è falsata dalla manipolazione del Governo, i player stranieri che prendono di mira i settori
giusti con le strategie giuste possono prosperare. In realtà, le aziende che operano nelle economie di
frontiera incontrano spesso molta meno concorrenza di quella che incontrerebbero in un Paese BRIC o in
una delle "tigri asiatiche", perciò dovrebbero riuscire ad assicurarsi margini di profitto più elevati per periodi
più lunghi. In queste pagine presentiamo uno schema di riferimento che vi aiuterà a capire se e dove
competere e come vincere negli ambiti che sceglierete. Mappare le opportunità La prima cosa da fare per
identificare delle opportunità in una economia di frontiera è valutare l'ambiente competitivo dei suoi diversi
settori su due dimensioni: (1) la misura in cui la profittabilità è determinata dalla competizione tra aziende e
non dalle politiche e dalle azioni del Governo e (2) la focalizzazione principale di ogni singolo settore, ossia
se opera prevalentemente sul mercato nazionale o sull'export. I settori rientreranno in una di queste quattro
categorie. Cavalli da tiro. In questa categoria, aziende relativamente piccole vendono a clienti nazionali e
competono tra di loro usando normali strategie di business, ossia ricercando il vantaggio competitivo
tramite la differenziazione dei prodotti, Fefficienza operativa, il marketing e lo sviluppo delle risorse umane.
Tipici cavalli da tiro sono i produttori (mobilieri e imbottigliatori di acqua minerale), i fornitori di servizi
(piccole imprese edili, taxisti), i dettaglianti (supermercati, farmacie) e le piccole aziende agricole locali che
servono il mercato interno. In quasi tutte le economie di frontiera, i cavalli da tiro danno lavoro alla maggior
parte della forza lavoro. Una tipica azienda estera che opera in questa categoria è Unilever. che produce e
vende detergenti ai consumatori locali dei Paesi africani. Costruttori di aggregati. Le aziende che rientrano
in questa categoria competono tra di loro in business rivolti all'esportazione, spesso come partner della
supply chain di grandi imprese estere che servono dei mercati sviluppati. Si collocano quasi sempre in
"cluster" di settore per sfruttare i bassi costi di produzione, la disponibilità di manodopera qualificata o a
basso costo e di altri input, la presenza di più fornitori sofisticati o la domanda del mercato locale. Poiché
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Grandi idee
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competono sul prezzo e sulla qualità, le aziende che fanno parte dei cluster di esportatori traggono
beneficio da leggi e regolamenti chiari e favorevoli alle aziende e hanno bisogno di istituzioni ben sviluppate
che garantiscano la piena applicazione dei contratti. Tipici costruttori di aggregati sono i produttori di
elettronica e di abbigliamento e fornitori internazionali di servizi come le aziende di trasporti o i cali center.
La produzione di abbigliamento di Gap in Myanmar fa parte di questa categoria. Detentori di potere. Le
aziende che rientrano in questa categoria servono il mercato nazionale, al pari dei cavalli da tiro, ma
operano in settori all'interno dei quali l'influenza politica ha un ruolo molto consistente. Esempi tipici sono le
grandi imprese di telecomunicazioni, le utility, i fornitori di infrastrutture. i produttori di cemento e i
distributori di carburante. Un nuovo player estero che sta entrando in questo ambito competitivo è Symbion
Power, un'azienda energetica basata a Washington. D.C.. che progetta e gestisce centrali elettriche in
Tanzania, in Kenya, in Madagascar e in altri Paesi di frontiera. Nei Paesi sviluppati, le aziende di questo
tipo vengono quasi sempre assoggettate a regolamentazione per promuovere la concorrenza o per tutelare
i consumatori. Nelle economie di frontiera, tuttavia, la regolamentazione serve principalmente a dirottare i
profitti sul governo 0 ad asservirli a interessi particolari. Rentier. Le aziende che rientrano in questa
categoria sono orientate all'export, ma le condizioni della loro operatività, comprese le imposte, le royalty e
altre obbligazioni, sono stabilite da contratti stipulati con il Governo. Si tratta quasi sempre di grandi
imprese, che lavorano "su concessione" - ossia su licenza governativa - e includono le società minerarie
che estraggono petrolio, gas naturale, minerali e altre sostanze. Qui l'applicazione di regolamenti e accordi
è debole per definizione, e crea spesso problemi ambientali e di sicurezza. I profitti sono funzione dei costi ossia dei livelli di efficienza con cui riesce a operare l'azienda - ma i ricavi dipendono in larga misura dalla
quota di fatturato che spetta al Governo. In Mongolia, dove estrae dal sottosuolo rame e oro, il colosso
minerario Rio Tinto opera da rentier. Occorre tener presente che i settori si possono inquadrare in diverse
categorie nei diversi Paesi. Pensate all'elettronica di consumo. Samsung è un'azienda esportatrice nel
Vietnam, ma in Kazakhstan le sue vendite sono prevalentemente nazionali. E non bisogna definire i settori
in maniera troppo ampia. Molti, per esempio, potrebbero dipendere dalle politiche e dalle azioni del
Governo, ma contenere nicchie significative per i "cavalli da tiro". Nell'industria petrolifera, gli estrattori
negoziano le condizioni di licenza coi Governi e si assumono il rischio di esproprio, mentre le aziende dei
servizi competono sugli appalti delle grandi compagnie tramite i canali usuali. Una volta completata la
categorizzazione dei settori, potete segmentare di conseguenza il PIL dell'economia di frontiera. Ciò vi
permette di capire come si suddivide l'economia del Paese, facendo emergere gli interessi locali dominanti
e vi da un'idea di quelle che potrebbero essere le dimensioni dell'opportunità. (Il box "Mappatura delle
frontiere" vi mostra come si confrontano due economie di frontiera molto diverse tra di loro). Oltre a rivelare
dove si trovano le vostre migliori opportunità, Fesercizio di mappatura dei settori rispetto alle quattro
categorie tipologiche vi aiuta anche a identificare la strategia migliore per perseguirle. Questo perché ogni
categoria si associa a una determinata strategia dominante ed è esposta a tutta una serie di rischi specifici.
Partiamo dall'esame delle strategie e dei rischi per i cavalli da tiro. Strategie per i cavalli da tiro I cavalli da
tiro di successo assomigliano alle aziende di successo di qualunque altro Paese: adattano e sfruttano le
capacità in essere e adeguano le proprie strategie di marketing e distributive ai gusti e ai vincoli locali. Le
grandi multinazionali potrebbero aspettarsi di far meglio dei concorrenti locali, ma non è sempre così. Le
aziende locali hanno sviluppato le relazioni con gli stakeholder che sono necessarie per il successo. (Per
l'esempio di un temibile concorrente allevato in casa, si veda il box "La concorrenza potrebbe essere più
dura di quanto non pensate"). Per i nuovi entranti esteri, competere con aziende locali fortemente radicate
vuoi dire spesso introdurre qualche innovazione disgregante che mette in discussione il modello di
business dominante e potrebbe benissimo richiedere anche la ridefinizione del prodotto o del servizio del
nuovo entrante. Prendete il caso di Unilever. Nei Paesi di frontiera dell'Africa, i supermercati e le superette che hanno un ruolo-chiave nella sua tipica supply chain - servono solo una percentuale minima del
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mercato. Là i consumatori guadagnano meno di due dollari al giorno, perciò acquistano giornalmente
bustine di detersivo, di dentifricio o di grassi per cottura nelle botteghe informali delle proprie comunità. I
proprietari di questi micro-empori ne acquistano grosse confezioni nelle cittadine del circondario o dai
distributori e preparano direttamente delle bustine, che poi vendono a prezzi altissimi per oncia o per
grammo. Attingendo all'esperienza della sua consociata indiana, Lever Hindustan, Unilever si è resa conto
che in Africa si potevano servire i clienti tagliando fuori l'intermediario e producendo direttamente miniconfezioni a un prezzo inferiore. Come aveva già fatto in India, ha creato una rete di venditori nelle zone
rurali, con un sistema distributivo multilivello nel quale dei distributori regionali si incaricavano di portare il
prodotto ai distributori locali, che fornivano addestramento e attrezzature ai venditori. Benché i margini
unitari fossero bassi per via dei costi di distribuzione e di confezionamento, c'era la possibilità di vendere
volumi colossali. In altri mercati africani. Unilever ha modificato non solo il packaging ma anche le
caratteristiche dei prodotti; per esempio, ha sviluppato una margarina che non ha bisogno di refrigerazione.
Le nicchie che si offrono ai cavalli da tiro nei settori rentier o detentori di potere sono spesso buoni mercatiobiettivo pe- gli entranti esteri e possono fungere da piattaforme per la crescita futura. Prendete il caso del
gruppo nigeriano Sea Trucks. Fondata nel 1977 dall'imprenditore olandese Jacques Roomans, Sea Trucks
è nata come broker assicurativo per le aziende che estraevano petrolio e gas naturale nel delta del Niger.
Oggi, l'azienda offre un'ampia gamma di prodotti e servizi tecnologicamente sofisticati, tra cui i cosiddetti
SURF (raccordi, alzate e condotte per il pompaggio in profondità), infrastrutture sottomarine e posa in
opera di pipeline rigide. Sea Trucks massimizza la partecipazione dei nigeriani alla pianificazione, alla
progettazione, alla implementazione e alla consegna di impianti per i clienti del Paese africano. Roomans.
CEO e presidente del gruppo, e il suo team hanno continuato a lavorare nei dintorni di Lagos anche se
l'azienda ha esteso la propria attività ad altri Paesi emergenti e di frontiera, vincendo appalti in Malaysia.
Angola. Ghana. Brasile. Russia e Messico. Strategie per i cluster di esportazione Molte aziende, attratte
quasi sempre dal basso costo della manodopera. si approvvigionano da fornitori che operano in Paesi di
frontiera o vi installano delle unità produttive. In alcune economie di frontiera, peraltro, gli abusi sono
all'ordine del giorno e non sempre i Governi locali si sforzano di reprimerli per paura di perdere opportunità
di esportazione. Ma i consumatori dei Paesi sviluppati sono sempre più sensibili al trattamento dei
lavoratori, ai danni ambientali e all'oppressione dei Governi nelle economie di frontiera; il loro
comportamento può cambiare drasticamente il quadro economico. Nel 2001. più di metà dell'export di
abbigliamento del Myanmar, che valeva 850 milioni di dollari, andava negli Stati Uniti. Ma di fronte
all'attivismo popolare e ai boicottaggi contro il regime autoritario del Paese asiatico, seguiti nel 2003
dall'embargo sui prodotti in arrivo da laggiù, le aziende americane del settore hanno lasciato il Myanmar e
le sue esportazioni sono crollate. Naturalmente, il pendolo può oscillare anche nel senso opposto - nel
2010. con la liberazione di Aung San Suun Kyi, investitori, multinazionali (incluso il colosso americano
dell'abbigliamento Gap) ed enti di sviluppo sono tornati in massa nell'ex-Birmania. Se le aziende vogliono
mantenere una presenza produttiva stabile nelle economie di frontiera, le loro strategie devono andare al di
là del semplice accesso a una manodopera a basso costo; devono agire da costruttori di aggregati. Le
aziende avvedute sono sempre più consapevoli delle sinergie di lungo periodo - in termini di competenze
dei lavoratori, densità dei fornitori e supporto normativo - che si possono ottenere quando molte imprese
dello stesso settore esportatore coesistono in un'economia di frontiera. I cluster aiutano anche a sbloccare
dei vincoli normativi nei mercati sviluppati che servono e fanno da calamità per gli aiuti e per gli investimenti
finalizzati alla crescita. Considerate la Integrated Tamala Fruit Company (ITFC), che opera nella parte
settentrionale del Ghana, una regione poverissima, con un nucleo centrale e una struttura altamente
decentrata: il suo business è l'esportazione di mango biologico nel mercato europeo. ITFC ha una sua
azienda agricola, gestita professionalmente, che si estende su una superficie di 400 acri, ma impiega
anche più di 1200 piccoli agricoltori indipendenti (i "piantatori-satellite") nella zona circostante. In cambio di
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un prestito in natura senza interessi e di una formazione estensiva, i piccoli agricoltori si impegnano a
coltivare i manghi su uno o due acri della propria terra con tecniche naturali e a venderli sui canali di
marketing di IFTC. I proventi vengono usati per rimborsare i prestiti. Promuovendo questo cluster di
agricoltori, l'azienda può operare su una scala più vasta senza dover aumentare la superficie coltivata
direttamente, in un'area tradizionalmente dedita all'uso comune della terra secondo una logica tribale. Gli
sforzi di ITFC, che hanno fatto crescere esponenzialmente il reddito dei piccoli produttori locali, hanno
attirato l'attenzione di enti di sviluppo come l'African Development Bank e la Millennium Challenge
Corporation del Governo americano, oltre che del Governo ghanese. Queste organizzazioni sono
intervenute per sostenere ed espandere il modello di aggregazione e per finanziare il miglioramento delle
strade rurali. La costruzione di aggregati nelle economie di frontiera investe anche i settori dell'alta
tecnologia. Socialatom Ventures. una società di venture capitai basata negli Stati Uniti, investe in startup
che vendono servizi su scala globale utilizzando talenti latino-americani. A Medellin, in Colombia, si è
associata a Ruta N, un'azienda pubblica che ha il fine istituzionale di promuovere l'innovazione nella città,
per sviluppare un cluster locale di start-up e programmatori. Socialatom ha unito le forze anche con delle
università locali per migliorare i corsi di ingegneria. E tramite la sua fondazione Conderise, tiene corsi di
design thinking e programmazione per i ragazzi delle periferie degradate. Strategie per i detentori di potere
e per i rentier In linea generale, identificare e proteggere gli interessi nei settori rentier o detentori di potere
è più difficile che operare in un settore cavallo da tiro o in un cluster di esportazione. In molti casi, questi
progetti assumono identità molto visibili che portano con sé rischi politici significativi. La cosiddetta Guerra
dell'Acqua che ha agitato la Bolivia è un esempio illuminante a questo proposito. Nel 1999, il Governo
boliviano ha privatizzato SEMAPA, l'azienda pubblica che forniva acqua potabile alla città di Cochabamba.
Aguas del Tunari. una joint venture formata da Bechtel, Edison e l'azienda energetica spagnola Abengoa,
si è aggiudicata l'appalto della fornitura, che comportava anche la modernizzazione degli impianti. (Un 40%
della popolazione si ritrovava spesso con i rubinetti asciutti. Gli utilizzatori marginali, che erano
relativamente poveri, pagavano a metro cubo più dei grandi utilizzatori ricchi. E i più poveri, che non
avevano accesso alla rete distributiva, dovevano rifornirsi dalle autobotti a prezzi esorbitanti). Aguas del
Tunari ha esteso rapidamente la fornitura di acqua a un altro 30% della popolazione locale. Per aiutare
l'azienda a finanziare questo miglioramento, ed altri già in progetto, nel gennaio 2000 il Governo ha
autorizzato un aumento tariffario del 35%. ONG e attivisti sociali hanno contestato immediatamente il
rincaro e migliaia di persone sono scese nelle vie di Cochabamba per chiedere il ritiro della concessione ad
ADT. In aprile il Governo ha ceduto, prima annullando gli aumenti e poi revocando la concessione. Le
aziende estere possono ridurre questo tipo di rischio aumentando il numero e la diversificazione degli
stakeholder da cui dipende il loro successo. A questo scopo si potrebbero creare, per esempio, delle
nicchie per cavalli da tiro tramite programmi di sensibilizzazione alla responsabilità sociale d'impresa (RSI).
Prendete il caso del colosso minerario BHP Billiton (BHPB). che ha fatto un grandissimo investimento in
Mozambico con la sua fonderia di alluminio. Nel 2001, in collaborazione con il Governo del Mozam- CHRIS
BUZELLI
L idea in breve IL PROBLEMA I player globali alla ricerca di opportunità di crescita a due cifre le stanno
trovando in Paesi a basso reddito e ad alto rischio come Myanmar, Mozambico, Vietnam e Ruanda, dove
chi fa la prima mossa può ottenere dei ritorni molto alti. MAPPARE LE OPPORTUNITÀ Confrontate i settori
economici di un Paese su due dimensioni: la misura in cui la profittabilità è determinata dalla competizione
tra aziende anziché dall'influenza del Governo e la focalizzazione principale del settore, sul mercato
nazionale o sulle esportazioni. STRATEGIE PER IL SUCCESSO Ognuna delle quattro categorie di settori
si associa a una strategia specifica, che va dal convenzionale (sfruttare capacità preesistenti, adattarsi ai
gusti locali) all'insolito (rendersi indispensabili per i player locali che hanno in mano il mercato).
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La matrice di frontiera Le matrici di frontiera vi aiutano a identificare opportunità competitive in un Paese
valutando l'orientamento (al mercato interno o all'export) del cliente e l'entità dell'interferenza e del controllo
(alti o bassi) da parte del Governo.
CLIENTI NAZIONALI CAVALLO DA TIRO PLAYER ESTERO UNILEVER PRODUCE E VENDE
DETERGENTI IN AFRICA DETENTORE DI POTERE PLAYER ESTERO SYMBION FORNISCE ENERGIA
ELETTRICA ALLA TANZANIA CLIENTI ESTERI COSTRUTTORE DI AGGREGATI PLAYER ESTERO
GAP PRODUCE ABBIGLIAMENTO IN MYANMAR RENTIER PLAYER ESTERO RIO TINTO ESTRAE
ORO E RAME IN MONGOLIA
Che cos'è un'economia di frontiera? Noi definiamo un'economia di frontiera come un Paese che
presenta una o più di queste tre caratteristiche: Prosperità in declino. Il Paese non è ancora riuscito a
garantire una prosperità stabile ai suoi cittadini. Vale a dire che ha un reddito annuo prò capite inferiore a
TSOO dollari e/o ha fatto registrare un calo di almeno il 20% nel PIL reale in un periodo di sei anni nei due
decenni precedenti. Il Venezuela, per esempio, è un'economia di frontiera, perché nonostante un reddito
pro-capite molto superiore a 1500 dollari, il suo PIL è calato di quasi il 25% tra il 1998 e il 2003. Corruzione.
I settori produttivi del Paese sono caratterizzati da distorsioni del mercato di origine politica 0 da
concessioni statali, anziché dall'innovazione 0 dalla differenziazione competitiva. Le economie di frontiera si
posizionano sotto il 35° posto nel Corruption Perception Index di Transparency International, un indicatore
che stima la misura in cui il potere pubblico viene usato impropriamente a beneficio dei privati. Applicazione
arbitraria di regole e norme. I leader del Paese hanno ampi spazi di manovra, in assenza di un sistema
costituzionale che preveda pesi e contrappesi. Le economie di frontiera si posizionano al di sotto del livello
3 sull'indicatore di "vincoli normativi" Polity IV, largamente usato dagli economisti per misurare l'entità dei
limiti istituzionali al potere decisionale dei leader politici.
Mappatura delle frontiere Queste chart confrontano i PIL sulle quattro categorie di settori - cavalli da tiro,
costruttori di aggregati, detentori di potere e rentier - per due economie di frontiera. Le aziende possono
usare questo approccio per identificare le economie di frontiera che offrono le migliori opportunità.
ANGOLA REPUBBLICA DOMINICANA
L'ANGOLA dipende pressoché totalmente, per i cambi esteri e per le entrate governative, dall'estrazione di
risorse naturali - una condizione non molto promettente per le aziende che necessitano di una solida base
produttiva. Per gli elevati costi operativi e l'apprezzamento dei tassi di cambio reali, praticamente non ci
sono cluster di esportazione in Angola - ma le multinazionali che sanno sfruttare il potere dello stato e si
muovono agilmente in ambienti economici condizionati dalla politica hanno la possibilità di prosperare. LA
REPUBBLICA DOMINICANA offre un terreno fertile alle imprese che vogliono competere in settori orientati
al mercato nazionale o creare una base per le esportazioni. Ha risorse naturali limitate, perciò il Governo si
affida ai costruttori di cluster di esportazione per soddisfare i suoi fabbisogni di moneta forte. Le zone
franche attirano produttori di fascia bassa, specie nell'abbigliamento, creando un ambiente di business
positivo in cui possono prosperare cavalli da tiro e costruttori di aggregati. La corruzione esiste, ma non
arriva al punto di minacciare la competitivita.
Quali mercati in rapida crescita sono economie di frontiera? Anche se presentano le caratteristiche
tipiche delle economie di frontiera, quasi tutti i Paesi in questo elenco offrono opportunità alle multinazionali
che perseguono una crescita a due cifre. PAESE BHUTAN LIBIA MYANMAR COSTA D'AVORIO INDIA
LAO P.D.R. MOZAMBICO CAMBOGIA SENEGAL RUANDA BANGLADESH ETIOPIA NIGER TANZANIA
GIBUTI KENYA PANAMA FILIPPINE VIETNAM CINA BRUNEI GHANA UGANDA BURKINA FASO
UZBEKISTAN TASSO DI CRESCITA ANNUO (%) 8,47 8,04 7,88 7,71 7,58 7,37 7,16 6,94 6,92 6,86 6,84
6,80 6,75 6,72 6,70 6,31 6,30 6,28 6,22 6,14 6,11 5,94 5,85 5,74 5,71 NOTE CRESCITA MEDIA ANNUA,
PREVISIONE 2016-2020 FONTI: FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE, WORLD ECONOMIC
OUTLOOK; CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX 2015; POLITY IV XCONST INDEX
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MERCATO DI FRONTIERA CORRUZIONE APPLICAZIONE ARBITRARIA DELLE NORME PROSPERITÀ
IN DECLINO REDDITO PROCAPITE <$1500 CALO DEL PIL REALE PRO-CAPITE >20% (NELL'ARCO DI
6 ANNI)
La concorrenza potrecoe essere più dura di quanto non pensate Si tende a dare per scontato che le
multinazionali che entrano nei settori cavalli da tiro possano sfruttare capacità organizzative e pratiche
operative superiori, e quindi sconfiggere i concorrenti locali. Ma non è sempre così. Le imprese locali sono
spesso altrettanto sofisticate, sanno muoversi bene sul mercato domestico e conoscono molto meglio il
cliente. Prendete il caso di Securico, un'azienda di servizi di sicurezza che opera nello Zimbabwe, un
Paese dominato dall'instabilità politica e dal caos economico. Fondata e diretta da Divine Nhdlukula, una
delle maggiori imprenditrici africane, è un'azienda estremamente competitiva e molto moderna. È stata la
prima azienda di servizi di sicurezza dello Zimbabwe a ottenere la certificazione ISO, il che assicura ai suoi
clienti - grandi imprese e diplomatici - il rispetto degli standard internazionali. Securico si focalizza sulle
relazioni con i clienti e con i dipendenti. Tutti i neoassunti seguono un corso di formazione di due settimane,
il più completo offerto dal settore; i dipendenti vengono pagati sempre puntualmente (anche nelle fasi di
iperinflazione); si cercano regolarmente guardie-donna, il cui valore viene comunicato ai clienti; e c'è un iter
di carriera chiaro e definito. Ciò si traduce in un turnover del 5%, in un settore caratterizzato dall'elevata
mobilità del personale. E i manager contattano regolarmente i clienti per avere il loro feedback e adeguare
di conseguenza l'offerta di servizi. In meno di vent'anni, Securico ha conquistato una grossa fetta del
mercato e continua crescere.
Foto: DOVE GIOCARE E COME VINCERE DI AÈDO MUSACCMO E ERIC WERKER
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MAPPARE LE ECONOMIE DI FRONTIERA / 2
ALDO MUSACCHIO, ERIC WERKER
bico e con l'International Finance Corporation, ha lanciato lo Small and Medium Enterprises Empowerment
and Linkage Program. L'iniziativa forniva agli appaltatori locali le competenze necessarie per tentare di
aggiudicarsi i contratti offerti da BHPB e addestrare i loro operai. Ciò ha promosso lo sviluppo di aziende
impiantistiche locali e la diffusione di best practice sugli acquisti, sulla movimentazione dei materiali e sui
servizi di engineering. BHPB ha iniziato a offrire alle imprese locali grosse quote della sua catena del
valore, apportando tanti benefici positivi alla comunità. Le aziende estere dovrebbero rendersi conto che
quando coinvolgono degli stakeholder. sarà un impegno di lungo termine. Il colosso estrattivo ed energetico
canadese Sherritt l'ha capito molto bene. Il suo progetto Ambatovy. realizzato in Madagascar. ha richiesto
l'opera di quasi 11.000 operai locali nella fase di costruzione, il che ne ha fatto il più grande datore di lavoro
del Paese. La forza lavoro dell'azienda era un alleato potentissimo, pronto a scendere in piazza se il
Governo avesse revocato l'appalto a Sherritt. Ma gli operai avrebbero anche preso molto male i
licenziamenti che sarebbero stati inevitabili con l'avanzare dei lavori. Per mantenere la pace sociale nei
trentanni di sviluppo del progetto. Sherrit ha deciso di continuare a retribuirli anche dopo la fase di
costruzione. Come ha spiegato il CEO di allora. Ian Delaney, «Abbiamo creato un sistema in grado di
assicurare agli operai locali che avevamo assunto per il progetto [e che non erano più alle nostre
dipendenze] almeno un pasto al giorno. E abbiamo evitato una crisi finanziaria pesantissima sia per loro sia
per il Paese continuando a pagarli da 5 a 15 dollari al mese». In alternativa all'assunzione di impegni
duraturi con vari stakeholder, le imprese possono rendersi indispensabili per i key-player locali in vari modi,
anche al di fuori del core business. Sherritt ha usato questo approccio a Cuba. Aveva bisogno di un tipo
particolare di minerale per la sua raffineria di Alberta e nel 1994 ha deciso di aprire una miniera a Cuba.
Per tutelare i suoi interessi. Sherritt ha creato una joint venture con il Governo cubano, con il quale ha
condiviso sia la proprietà della miniera sia la proprietà della raffineria canadese. Inoltre, Sherritt si è
impegnata ad addestrare gli operai e ha aiutato il Governo cubano ad abbozzare una legge sugli
investimenti esteri. Alcuni anni dopo l'entrata in funzione della miniera, il Governo dell'isola caraibica. a
corto di liquidità e impossibilitato ad accedere ai mercati internazionali, ha chiesto a Sherritt di aiutarlo a
trovare dei finanziamenti per lo sviluppo di alcuni giacimenti petroliferi abbandonati. Sherritt ha emesso un
bond sulla piazza di Toronto e ha investito in una nuova joint venture con il Governo cubano. Insieme
hanno creato altre joint venture per rifornire di energia elettrica la cittadina turistica di Varadero e gestire un
albergo, una compagnia telefonica e un impianto di lavorazione della soia. L'ottimo rapporto instaurato da
Sherritt con il Governo locale, per non parlare della capacità di mettergli a disposizione l'agognata moneta
forte, ne ha fatto un player stabile e profittevole a Cuba fin dal 1994. MOLTI ANALISTI VEDONO nel
quadro macroeconomico attuale - caratterizzato dall'incremento dei tessi di interesse e dal calo dei prezzi
delle commodity - una valida ragione per tenersi alla larga dalle economie di frontiera. Ma seguire quel
consiglio potrebbe causare gli stessi rimorsi provati dalle tante multinazionali che hanno abbandonato i
mercati emergenti dopo la crisi finanziaria asiatica del 1998: hanno perso quindici anni di ritorni
stratosferici. Poiché i mercati azionari non sono abbastanza sviluppati da consentire alla maggior parte
degli investitori di quotarsi nelle economie di frontiera, gli investimenti da effettuare in quei Paesi saranno
necessariamente diretti e operativi, e potrebbero richiedere decenni per generare ritorni adeguati. La
pazienza, un'attenta analisi del potenziale di crescita sul lungo termine e la scelta appropriata della
strategia premieranno le aziende che acquisiranno una presenza significativa nelle economie di frontiera di
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 19/12/2016 - 19/12/2016
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Grandi idee
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Mappare le economie di frontiera
Aldo Musacchio e Eric Werker
Gli attori globali che puntano a una crescita a due cifre cominciano a veder scarseggiare le opportunità.
Colossi emergenti come Cina, Russia e Brasile stanno attraversando una fase di rallentamento economico.
Stanno diventando sempre più costosi come base operativa e l'import-export è più difficile che in passato.
Di conseguenza i Paesi a basso reddito e ad alto rischio sono sempre più considerati dalle multinazionali
sia come nuovi mercati di sbocco per i propri prodotti sia come piattaforme da cui esportare altrove. Anche
laddove la concorrenza è alterata dall'intervento governativo, gli attori stranieri che individuano i settori
giusti e si muovono con le giuste strategie possono ottenere risultati interessanti. Il primo passo per
identificare le opportunità in un'economia di frontiera è valutarne il panorama competitivo nei diversi settori
sotto due profili: 1. In che misura la redditività dipende dalla competizione tra aziende e non dalle politiche o
dagli interventi governativi. 2. Se il settore di interesse è orientato principalmente al commercio interno 0
alle esportazioni. A questo proposito l'articolo individua quattro categorie in cui un settore può collocarsi e a
ognuna assegna una strategia diversa, dalla più normale (far leva su capacità esistenti, adattarsi alle
preferenze locali) alla meno conosciuta (rendersi indispensabili a potenti attori locali). In questo articolo gli
autori offrono alle aziende un quadro di riferimento che le aiuti a capire se e dove entrare in gioco e come
risultare vincenti negli spazi in cui scelgono di competere.
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