- Liceo Scientifico

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- Liceo Scientifico
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NO. 12
Aprile - Giugno 2014
www.ilpitagora.it
A scuola di creatività...
Volgono al termine le attività del
progetto
F3-FSE-04-2013-16
“F.O.R.
RENDE:
Formazione,
Orientamento,
Riqualificazione. La Rete delle Scuole
di Rende e il territorio-città: osservare
i fattori di rischio per progettare e
realizzare percorsi formativi coerenti”, che
rientra nella Programmazione dei Fondi
Strutturali 2007/2013 : una straordinaria
opportunità di crescita per la nostra scuola.
Visite guidate, stage, apprendimento in
situazione si sono rivelati scelte vincenti.
L’UTILITA’ DELL’INUTILE: UN OSSIMORO VITALE
A volte la grandezza non è solo nel creare, ma nell’unire ciò che c‘è già. L’utilità dell’inutile
ne è un esempio. Si tratta di un’opera originale, sebbene riporti brani, pensieri,
riflessioni di tanti altri scrittori. L’autore, il prof. Nuccio Ordine, segue proprio questo
filo conduttore, che si arricchisce non solo di corrispondenze letterarie, ma anche e
soprattutto di affinità tematiche evidenti e, talvolta, ardite, ma sempre pertinenti. Ciò
che colpisce non è tanto il lavoro filologico, quanto i suoi sapienti riferimenti alla realtà
moderna. “L’utilità dell’inutile” effettua una serie di profonde riflessioni riguardanti la
natura del nostro mondo. Insegna a tutti noi il valore di un sorriso, che si apre senza
l’ambizione di piacere a qualcuno, la bellezza di meditare distendendosi su un divano,
l’importanza di sacrificarsi per gli altri senza chiedere nulla in cambio. Il tutto però non
è legato dai sentimenti, ma da precise “regole” naturali: l’utile e l’inutile. Sono queste
le due forze che regolano il mondo. Sono facilmente percepibili, ma difficilmente
distinguibili, in quanto a volte sono talmente legate da apparire identiche. Ma il
quesito più complicato è: “Perché l’inutile ci muove all’utile?”. Spesso alcuni concetti
semplici ma fondamentali, come l’humanitas cara agli antichi, vengono da noi scartati
e ci muovono verso ciò che, a nostro giudizio, ci aiuta a vivere, come la ricchezza, il
potere e il prestigio. O ancora, giocando sull’ossimoro, potremmo porci la domanda:
“Perché l’inutile ci ha mosso agli antipodi della cultura, della bellezza, della poesia,
spingendoci all’avidità?”. Entrambe le facce della medaglia si rivelano eloquenti, e noi
non siamo in grado di controbattere. A quel punto, non riusciamo più a distinguere
l’utile dall’inutile. E’ il nostro conflitto interiore quotidiano, il nostro principale dilemma.
Quello che ho dedotto dalla coinvolgente lettura di questo saggio-manifesto è che
l’inutile educa all’utile, ma, di riflesso, anche ad alti valori quali il rispetto, la bellezza,
l’altruismo, il lavoro, nonché ad un profondo amore per la vita.
Edoardo Marcianò,III H
Corsi di informatica, francese, inglese,
spagnolo, laboratori teatrali ed artistici:
tante le opportunità offerte dal Piano
Integrato di Istituto.
Successi sportivi per il Pitagora
Pitagorici…in corsa: a Grosseto le finali
nazionali di corsa campestre.
Finalmente la palestra!
Il taglio del nastro del dott. Oliverio,
presidente della Provincia di Cosenza, dà
inizio alla cerimonia di inaugurazione
della Palestra del Liceo: una festa per tutta
la comunità scolastica!
Malta e Sicilia le mete dei viaggi che si sono
svolti in maggio.
Il Pitagora incontra... Il Pitagora si incontra!
L’utilità dell’inutile: un libro speciale per festeggiare
venti anni di incontri con i libri e la cultura
1994-2014: il nostro laboratorio di Lettura-Scrittura
festeggia venti anni di attività. Guidati dai nostri
docenti tutor e dalle referenti del nostro storico
laboratorio, le prof.sse Giovanna Miccichè e Carmelina
Contatore, abbiamo elaborato un questionario su
“I giovani, la letteratura e la scuola”, proponendo i
dati emersi dal sondaggio effettuato nelle classi del
triennio nel corso di un incontro davvero speciale.
Nel maggio dei libri, quale occasione più opportuna
poteva presentarsi per sottolineare il nostro lavoro
se non un incontro con un libro che tanto interesse
ha suscitato nell’ambiente scientifico nazionale e
internazionale?
Mafie, istituzioni, poteri forti: questo il tema
dell’incontro tenutosi presso l’Aula Caldora
dell’Università della Calabria alla presenza di
autorità istituzionali, magistrati, docenti universitari,
giornalisti. Tra gli illustri intervenuti il direttore
dell’Espresso, Bruno Manfellotto, il rettore dell’UNICAL
prof. Crisci, il prof. Giancarlo Costabile, docente UNICAL
di Pedagogia della Resistenza. Ospite d’eccezione il
procuratore Giancarlo Caselli: un’occasione speciale
per discutere sui grandi temi della politica e della
legalità, un’autentica palestra di democrazia per
porre quesiti ed attendere risposte, incontrarsi,
confrontarsi, crescere in consapevolezza. Nella foto,
il procuratore Caselli con alcuni alunni della IV A.
2 IL PITAGORA...
E TI PORTO IN AFRICA...
Mentre noi sprechiamo tanto cibo, tanta gente muore di fame: nella nostra
civiltà dei consumi e dell’abbondanza, assai raramente riflettiamo sulle
estreme, intollerabili diseguaglianze che separano il Nord e il Sud del pianeta. La crisi attuale, in realtà, ha colpito e continua a colpire fasce sempre
più estese anche della nostra “civiltà”, tanto da indurci ad una rivisitazione
delle nostre abitudini, da imporre doverosi limiti allo spreco abituale, ai
miti moderni degli status symbol di telefonini, macchine di lusso, abiti e
accessori firmati, da esigere maggiore attenzione nei confronti del nostro
prossimo, sempre più…prossimo, spesso trattato con l’indifferenza e la
superficialità di chi finge di non accorgersi
delle difficoltà altrui.
Per una presa di coscienza ancor più “radicale” sui temi della povertà e della fame,
tuttavia, suggerisco, tra i tanti, la lettura di
un libro che mi ha particolarmente colpito :
‘’ E TI PORTO IN AFRICA’’. Scritto dal medico
Vincenzo Mallamaci, che da quasi vent’ anni
si dedica a missioni umanitarie nel continente “nero”, nei villaggi più sperduti e tra realtà
sconvolgenti, il libro percorre un viaggio
straordinario nell’Africa più profonda, rivelando volti sconosciuti e realtà impensabili
di un popolo che quotidianamente soffre e
muore. La maggior parte di noi Occidentali
non riesce a comprendere il ‘’problema povertà’’ in quanto non lo vive in prima persona, ma solo chi fa esperienze dirette tra le
popolazioni più povere e abbandonate riesce a comprendere fino in fondo i problemi
che colpiscono i paesi del ‘’Terzo mondo’’.
Le esperienze vissute in prima persona dall’ Autore, originali e toccanti,
supportate da un’affascinante documentazione giornalistica, nonché fotografica, consentono al lettore di entrare vivamente nel mondo descritto,
proponendo un’esperienza ricca di emozioni non facilmente dimenticabili,
un viaggio nella sofferenza di un continente, una presa di coscienza del
vero significato della vita.
‘’ E TI PORTO IN AFRICA’’ canta il mistero della vita e la sua realizzazione
come dono di amore per gli altri. Davvero straordinarie sono le testimonianze della gente africana, della sua capacità di trasmettere la gioia di vivere,
pur nella sua estrema povertà. Per questo l’Autore ci porta in Africa, perché
possiamo comprendere la necessità della rinuncia agli eccessi consumistici
e riusciamo ad essere in armonia con noi stessi e con gli altri.
E ci porta in Africa…perché viviamo ogni giorno la ricchezza della condivisione e la gioia del donare. Infatti, se
ci abituiamo a donare quotidianamente
qualcosa, un gesto di solidarietà a chi
bussa alla porta del nostro cuore, allora
saremo in Africa, ed il dono, per piccolo
che sia, sarà più grande di noi stessi. E ci
porta in Africa…
Perché possiamo ogni giorno sciogliere i
legami dell’indifferenza e perché, anche
se non riusciamo a vedere con gli occhi
i volti e ascoltare con le orecchie le voci
della sofferenza nera, possiamo essere
in mezzo ai poveri.E ci porta in Africa…
Perché mentre il mondo ci insegna ad
avere per essere, dobbiamo imparare a
dare per ricevere la cosa più bella: accorgerci di esistere per quello che siamo. E’ per questo che ci porta in Africa…
Perciò ‘’ portami in Africa’’, scrive l’Autore, perché nel mio cuore, nei miei sogni
di medico senza frontiere c’è un piccolo
angelo nero, le cui costole si contano perché la povertà, la fame, la miseria
hanno segnato il suo corpo e la sua anima,e nei suoi occhi c’è una richiesta
di aiuto, sulle sue labbra c’è un sorriso che io leggo come una speranza.
La speranza che è l’ultima a morire.
Emanuela Russo, IV A
BIDEN, IL PIANETA SCONOSCIUTO, OVVERO L’INFINITO DELLA RICERCA
Fissare dei punti di riferimento nel cielo era un’esigenza vitale per le popolazioni del passato, per poter così definire delle scansioni periodiche.
L’esistenza dei popoli veniva segnata dal sorgere del sole, dalle fasi lunari,
dal ciclo delle stagioni, da eclissi solari, da altri eventi periodici o straordinari. Ne sono esempi importanti luoghi come Stonehenge nel Regno
Unito. Nel corso dei secoli, le conoscenze si spinsero a segnare traguardi
sempre più ambiziosi…Furono i Greci a scindere l’astronomia dall’astrologia, anche avvalendosi degli straordinari contributi del sapere orientale.
Ipparco inventò il primo strumento astronomico di cui si è a conoscenza,
“la diottra”, per misurare la posizione delle stelle. A Talete di Mileto viene
attribuita la divisione dell’anno
in quattro stagioni e 365 giorni,
nonché la previsione di solstizi
ed equinozi. Il grande Pitagora
intuì la sfericità della terra; la
sua scuola legò le dottrine astronomiche a quelle matematiche,
ed in seguito Filolao avviò il
modello del sistema solare non
geocentrico. Agli albori dell’astronomia l’occhio umano era
comunque l’unico rilevatore e
analizzatore naturale atto a conoscere il cielo. Uno dei primi
strumenti astronomici che conosciamo è il Merkhet, utilizzato
dagli Egiziani per individuare la
posizione degli astri: era costituito da due fili a piombo retti
da due osservatori. I Romani
non diedero molto spazio alle
scienze astronomiche. Fu Giulio
Cesare comunque a contribuire
alla creazione di un calendario (100-44 a.C.), in cui, su suggerimento di
Sosigene, inserì gli anni bisestili che vennero poi applicati a tutto l’impero. Plutarco (46-127 d.C.) filosofo e biografo, oltre a descrivere le vicende
del suo tempo intuì che la rotazione lunare era simile a quella terrestre.
E l’astronomia araba si caratterizzò per la sua straordinaria rilevanza. La
scienza moderna ebbe i suoi giganti con Copernico, Galilei, Newton…i
primi telescopi supportarono ricerche e teorie lungamente avversate. Ma
è grazie alla eccezionale accelerazione tecnologica degli ultimi secoli che
l’uomo dispone di strumenti all’avanguardia per l’osservazione dettagliata
del cielo e la scoperta di pianeti e corpi celesti nuovi.
A confermare la convinzione galileiana che la scienza è una conquista
continua, inarrestabile, un work in progress in costante evoluzione, interviene la scoperta di un nuovo pianeta, il corpo celeste più lontano dalla
terra, finora sconosciuto. Gli scienziati gli hanno dato il nome di Biden. È
un pianeta nano, secondo la classificazione adottata nel 2006 dall’Unione
Astronomica internazionale che portò già allora alla cancellazione di Plutone come ultimo pianeta del sistema solare. “Biden” si trova a 80 unità
astronomiche di distanza, ossia è situato ad una distanza ottanta volte
superiore a quella tra la terra e il
sole, che è di 150 milioni di chilometri. È collocato nella “nube di
Oort”, dal nome dell’astronomo
olandese Jan Oort, la cosiddetta
culla delle comete. La sua sigla
è 2012 VP113. Biden è stato individuato da un potentissimo
telescopio situato in Cile. La sua
natura rimane ancora misteriosa. E mentre ancora si parlava di
questa scoperta si assisteva ad
un’altra meraviglia, ossia all’avvistamento, intorno a Biden,
di due anelli di polvere simili a
quelli di Saturno. Negli ultimi
giorni di maggio, infine, è stato individuato un nuovo, grande
cratere che da pochi mesi segna
il volto di Marte: è lungo 48 metri e largo 43, è stato generato
da un meteorite che sarebbe
esploso nei cieli marziani per
poi precipitare al suolo oscurando un’area di otto chilometri di diametro.
Lo stato attuale dell’astronomia permette di immaginare scenari insoliti,
prima inimmaginabili. Le nostre “certezze” scientifiche ci convincono ogni
giorno che passa di quanto l’unica certezza effettiva, scientificamente
accertabile, consiste nel ritenere inesistente ogni certezza che presuma di
essere definitiva. E, a ben pensarci, è proprio questo che ci affascina e ci
spinge oltre: la ricerca non finisce mai, giustifica in sé la propria essenza.
L’impegno della ricerca nei vari campi della scienza non consente previsioni.
Mario Mauro Salvatore, V A
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...GUARDA IL MONDO
LA GIOVINEZZA È UN CIELO CHE NON BASTA PIÙ
“Ringrazio per la nomination e nomino a mia volta, avete 24h di tempo o
pagate da bere”; questa frase è diventata il trend-topic sui social. Da un
mese a questa parte spopolano sul web video in cui giovanissimi si sfidano
bevendo super-alcolici. Come e da dove ha avuto origine questo fenomeno?
Pare siano stati gli americani ad inventare questo
“passatempo”, talvolta spingendosi fino a vere
e proprie “sfide” di sopravvivenza che fanno già
contare le prime vittime: giovanissimi che hanno
perso la vita solo per filmarsi e non perdere la
“sfida”. “Per fortuna”, se così possiamo dire, in
Italia le “NekNominations” non sono arrivate a
tanto. E’ necessario tuttavia riflettere seriamente
su quello che solo ad una lettura superficiale può
essere considerato un gioco, ma in realtà avvicina
i giovanissimi all’alcool creando gravi danni. I dati
sono significativi: a 13 anni molti ragazzi si ubriacano per la prima volta, ed il motivo è sempre
lo stesso: voler sembrare più grandi; ma anche le
conseguenze sono quasi sempre le stesse: corse
in ospedale e, nella maggior parte dei casi, coma
etilico. Aumentano inoltre sempre di più i giovani che si rivolgono a centri
per le dipendenze e quasi l’80% è sotto i 18 anni. Le bevute di super-alcolici
non si fermano al sabato sera, ogni occasione è buona per ubriacarsi. Le
“NekNominations” rappresentano solo l’estremizzazione di un fenomeno
già diffuso da anni. Sono ormai tanti i giovanissimi che si avvicinano prematuramente all’alcool o per essere accettati dal gruppo o, nel peggiore
dei casi, per fronteggiare la noia. Di fronte al dilagare del fenomeno alcuni
genitori hanno deciso di “scendere in campo” facendo sentire la propria
voce sui social con gli hashtag #iocimettolafaccia e #insiemesiamosquadra
per fermare le “Nek” e far sentire la loro presenza . Ma è chiaro che non può
trattarsi di soluzioni sufficienti: la famiglia, così
come la scuola, devono impegnarsi in un’azione
educativa decisamente più efficace, di informazione e formazione. I ragazzi sono ragazzi e come
tali devono vivere la loro adolescenza in maniera
serena, senza bruciare le tappe, perché questo è
un periodo unico della loro vita. Rovinarlo solo per
qualche ora di “sballo” è veramente inaccettabile,
anche perché nella maggior parte dei casi i baby
alcolisti, crescendo, diventano dei veri e propri
alcolisti. Ma abbiamo bisogno di essere aiutati,
seguiti, informati, abbiamo bisogno di modelli, di
esempi positivi, di fiducia. Basta poco per procurarsi dei danni irreparabili; il messaggio che deve
arrivare a tutti noi è quello di imparare ad affrontare le sfide decisive della vita, non quelle legate
a modelli aberranti, alla capacità di “reggere” drink e cocktail. Dobbiamo
saperci divertire e vivere al meglio la nostra età: la gioventù, quel cielo il
cui orizzonte sembra non bastarci, mentre davanti a noi infuria un mare
sempre più minaccioso. Dobbiamo vincere le nostre paure … ed affrontare
il mare dell’esistenza. Insieme possiamo farcela.
Rita Barbiero, III D
LA SCUOLA HA LA STESSA IMPORTANZA PER TUTTI?
Pochi giorni fa è stato presentato il film-documentario, insignito del logo Unesco, “Vado a scuola”
diretto dal francese Pascal Plisson. La storia racconta dello sforzo di migliaia di bambini e ragazzi
provenienti da Kenya, India, Marocco, Patagonia, che devono alzarsi all’alba e attraversare fiumi,
pianure, montagne, kanyon o foreste, per andare a studiare. Alcuni devono persino caricarsi di secchi
d’acqua e di legna, perché la loro scuola non offre da bere durante la giornata e non garantisce il
riscaldamento. Storie che sembrano quasi riportare alla luce le condizioni che vivevano i nostri nonni
durante gli anni della guerra. Da quello che ci racconta il documentario, però, queste tristi realtà non
sono più sbiadite dal tempo, anzi appaiono vivide agli occhi di chi le guarda e soprattutto di chi
le vive. Sembra che nel mondo esistano due tipi di studenti: quelli “fortunati”e quelli “sfortunati”;
inutile dire che la disparità tra i due gruppi è enorme. Eppure tutti i ragazzi che appaiono nel film
vengono ricordati dallo spettatore per il loro sorriso. I piccoli scolari, infatti, non smettono mai di
sorridere pur appartenendo alla categoria degli ‘studenti sfortunati’ e non rinunciano all’opportunità
di andare a scuola e ricevere un’istruzione, perché, dicono, solo in questo modo saranno in grado di
fare qualcosa per migliorare le condizioni del loro paese e del loro popolo. La differenza sta proprio
in questo. Gli ‘studenti fortunati’, figli del consumismo, sono costantemente annoiati dallo studio,
vedono la scuola come un’imposizione e si reputano stremati dopo aver percorso pochi metri ogni
mattina per recarsi in quel luogo, che odiano. Frequentano le lezioni in modo svogliato non prestando né attenzione né il minimo interesse, solo per far piacere ai loro genitori o agli stessi insegnanti.
Non hanno ben inteso il fine ultimo dello studio, che è quello di rendere migliori noi stessi affinchè
un giorno possiamo rendere migliore il mondo in cui viviamo. Se la scuola continuerà ad essere vista
come un inutile supplizio anche dalle future generazioni, cesseranno di esistere non solo i valori più
alti, ma anche gli ideali di cambiamento e rinnovamento tesi a migliorare la società. Si vivrà in un
mondo grigio e triste, popolato da gente divorata da un costante senso di insoddisfazione. L’accidia
si impadronirà delle nostre menti e noi, ormai incapaci di prendere decisioni, ci lasceremo abbattere
anche dalla più piccola difficoltà. Sono fermamente convinta che, al contrario, abbiamo il dovere di
reagire, di alimentare il desiderio di migliorare noi stessi e la realtà che ci circonda. Per fare in modo
che questi ideali possano concretizzarsi è necessario partire, anzi ripartire dalla scuola: dobbiamo
essere coscienti del nostro essere “studenti fortunati” e lottare per migliorare la scuola “dall’interno”,
con un impegno maturo e consapevole.
Martina Luzzi, III D
4 IL MONDO...
1994-2014: VENTI ANNI DI LETTURA-SCRITTURA
UN LIBRO PER PENSARE...TANTI LIBRI PER VIVERE
Un ossimoro vitale: così noi studenti del Liceo Scientifico – Linguistico Pitagora di Rende abbiamo definito “L’utilità dell’inutile”, edito da Bompiani,
il saggio del prof. Nuccio Ordine, filosofo e ordinario di letteratura italiana
presso l’Università della Calabria, studioso di fama mondiale (tradotto in
cinese, giapponese e russo) per le sue opere su Giordano Bruno e sul Rinascimento. In una sala gremita da un folto pubblico di studenti e docenti,
dell’Istituto e di altre scuole del territorio, il Prof. Ordine ha presentato il
suo saggio-manifesto, teso a “dimostrare l’inconcludenza dell’imperante
distinzione tra cultura umanistica, ritenuta, troppo banalmente, inutile,
e la pretesa utilità di quella scientifico-tecnologica”. Certi libri hanno la
fortuna di venire pubblicati, e quindi anche concepiti, in un momento in
cui sembra avvertirsi la loro esigenza, in cui sembra vi sia la necessità di
richiamare l’attenzione su un ordine di problemi diffusamente avvertiti,
anche se non chiaramente concettualizzati. “Il sapere si pone di per sè
come un ostacolo al delirio di onnipotenza del denaro e dell’utilitarismo.
Tutto si può comprare, è vero. Dai parlamentari ai giudici, dal potere al
successo: ogni cosa ha il suo prezzo”-scrive il Prof. Ordine-“Ma non la conoscenza: il prezzo da pagare è di ben altra natura. Neanche un assegno
in bianco potrà consentirci di acquisire meccanicamente ciò che è esclusivo frutto di uno sforzo individuale e di una inesauribile passione”. Un
manifesto sulla bellezza del sapere, sulla bellezza della vita e della verità.
Un libro che forse ognuno di noi desiderava fosse pubblicato e l’attesa è
stata premiata. Ciò che colpisce non è tanto il lavoro filologico dell’autore,
quanto i suoi sapienti riferimenti alla realtà moderna. Il libro privilegia
la centralità dei testi, dando voce alle riflessioni di grandi filosofi e scrittori come Platone, Aristotele, Bruno, Cervantes, Kant, Voltaire, Foscolo,
Manzoni, Calvino, per citarne solo alcuni, a dimostrazione del fatto che a
volte la grandezza non è solo nel creare, ma nell’unire ciò che c‘è già. Si
tratta di un’opera originale, sebbene riporti brani, pensieri, riflessioni di
tanti altri scrittori. L’autore segue proprio questo filo conduttore, che si
arricchisce non solo di corrispondenze letterarie, ma anche e soprattutto
di affinità tematiche evidenti e, talvolta, ardite, ma sempre pertinenti .
“L’utilità dell’inutile ” effettua una serie di profonde riflessioni riguardanti
la natura del nostro mondo. Insegna a tutti noi il valore di un sorriso, che
si apre senza l’ambizione di piacere a qualcuno, la bellezza di meditare
distendendosi su un divano, l’importanza di sacrificarsi per gli altri senza
chiedere nulla in cambio. Il tutto però non è legato dai sentimenti, ma da
precise “regole” naturali: l’utile e l’inutile. Sono queste le due forze che
regolano il mondo. Sono facilmente percepibili, ma difficilmente distinguibili, in quanto a volte sono talmente legate da apparire identiche. Ma
il quesito più complicato è: “Perché l’inutile ci muove all’utile?”. Spesso
alcuni concetti semplici ma fondamentali, come l’humanitas cara agli antichi, vengono da noi scartati e ci muovono verso ciò che, a nostro giudizio,
ci aiuta a vivere, come la ricchezza, il potere e il prestigio. O ancora, giocando sull’ossimoro, potremmo porci la domanda: “Perché l’inutile ci ha
mosso agli antipodi della cultura, della bellezza, della poesia, spingendoci
all’avidità?”. Entrambe le facce della medaglia si rivelano eloquenti, e noi
non siamo in grado di controbattere. A quel punto, non riusciamo più a
distinguere l’utile dall’inutile. E’ il nostro conflitto interiore quotidiano, il
nostro principale dilemma. Quello che abbiamo dedotto dalla coinvolgente lettura di questo saggio-manifesto è che l’inutile educa all’utile,
ma, di riflesso, anche ad alti valori quali il rispetto, la bellezza, l’altruismo,
il lavoro, nonché ad un profondo amore per la vita.
Edoardo Marcianò, III H; Martina Caloiero,
Benedetta Benvenuti , 5G ; Deborah Lucanto,
VA
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...DEL PITAGORA
I GIOVANI, LA LETTERATURA E LA SCUOLA
I risultati emersi dal sondaggio su“I giovani, la letteratura e la scuola”,
effettuato in tutte le classi quarte e quinte del Liceo, costituiscono una
“base” su cui riflettere, evidenziano la necessità di una scuola in cui alunni
e docenti sappiano confrontarsi, discutere, costruire assieme modalità di
approccio allo studio della letteratura e dei classici sempre più consapevoli
e, soprattutto, coinvolgenti.
I primi diagrammi si riferiscono alla definizione di letteratura e di classico.
Le risposte prevalenti evidenziano scelte correlate ai nostri studi, a ciò che
ci viene insegnato a scuola, e corrispondono mediamente a quel che percepiamo riguardo alla letteratura e ai classici, non certo limitati all’antichità
greca o latina, ma opere che appartengono ad ogni tempo, che non hanno
mai finito di dire quel che hanno da dire, per citare Calvino.
Il terzo grafico è relativo alle scelte implicite al fare letteratura. La percentuale maggiore ritiene che la scelta preminente sia quella utilitaristica,
nella convinzione che chi fa consapevolmente letteratura intenda esprimere il suo messaggio, ed anche essere utile, in senso funzionale. Rilevante
è anche la percentuale di chi ritiene che il fare letteratura implichi una
scelta estetica, minoritaria quella che la connette con il consumismo. Chi
ha optato per la scelta pratica ha inteso sottolineare le finalità pratiche di
certa letteratura.
Il grafico 4 evidenzia la prevalenza di chi ritiene maggiormente coerente la
definizione di genere letterario in senso lato. La domanda n.5 ci chiedeva
come ritenessimo lo studio della letteratura a scuola. Sulla voce “interessante” prevale l’elemento “formativo”, e non manca chi ritiene che lo studio
sia una dura necessità. Decisamente minoritaria la percentuale di chi la ritiene sostanzialmente inutile, significativa la percentuale di chi la definisce
utile per arricchire la propria cultura. Basse percentuali, ma comunque tali
da far riflettere, le voci di chi la sente lontana dalla realtà o noiosa.
A confortare in qualche modo i nostri insegnanti provvede il grafico n.6: lo
studio della letteratura a scuola ha decisamente migliorato i nostri rapporti
con il libro. Il grafico 7 evidenzia la nostra preferenza per la prosa sulla
poesia. Alla domanda 8 abbiamo risposto attribuendo ad ogni genere
letterario, nel senso lato del termine, un punteggio da 1 a 10. Il massimo
delle preferenze è toccato al genere avventuroso, seguito da quello fantascientifico; in ordine decrescente il giallo, l’horror, Il genere umoristico,
poi quello introspettivo, lo storico, lo scientifico. Il genere biografico ed
il rosa hanno gli ultimi posti di questa nostra classifica. Alla voce “altro”
molti hanno segnato il fantasy.
Il nostro desiderio di autonomia è rimarcato dal penultimo grafico. Preferiamo di gran lunga un libro scelto da noi piuttosto che un classico
consigliato a scuola. L’ultimo grafico lo conferma: nella scelta dei libri una
percentuale minima segue i consigli del libraio, maggiore è l’influenza
degli insegnanti, che prevale su quella dei familiari. I consigli degli amici
hanno un ruolo importante, alcuni si lasciano guidare dalle classifiche dei
best seller, ma le voci prevalenti sono nettamente quelle che evidenziano
il nostro bisogno di assecondare i nostri gusti e le nostre curiosità.
Ed è proprio sul piano della curiositas che la scuola deve, a nostro parere,
raccogliere la “sfida” della conoscenza: i docenti nel sollecitare di continuo
la nostra motivazione ad apprendere, noi alunni nel non sottrarci allo
studio come ricerca continua.
Martina Brogno, M. Erika D’Alessandro,
M.Francesca Sacchini, IV A
6 MENS SANA...
PROGETTO PON“RECUPERA, RICICLA, REGALA…” : UN NOME, UN’ IDEA!
L’idea guida del percorso che abbiamo seguito è stata quella di recuperare e riciclare rifiuti di vario tipo, trasformandoli in modo originale, fantasioso e sorprendente in altri oggetti, per poi… regalarli! Ma quello
che noi abbiamo intenzione di offrire è molto più di un semplice fiore ricavato dalla plastica o di una cornice
interamente di carta, noi regaliamo
il nostro tempo, il nostro impegno e
il nostro entusiasmo, sperando che
coloro che si interessano al nostro
progetto si dimostrino altrettanto
sensibili e si impegnino con tutte
le loro forze, per difendere il nostro
pianeta e proteggerlo. I modi sono
tanti: raccolta differenziata, riutilizzo dei materiali, parsimonia nell’utilizzo delle risorse…necessitano solo
di una manciata di amore in più per
l’ambiente in cui viviamo… e per noi
stessi. Abbiamo lavorato con semplici materiali, reperibili in ogni casa, e
ne abbiamo fatto ciotole, fiori, portacandele, gioielli e persino quadri!
Con l’aiuto del nostro tutor di classe
e degli esperti che ci hanno guidati
in questa avventura, abbiamo dato
libero sfogo alla fantasia e persino
noi siamo rimasti sorpresi di quanto
siamo riusciti a realizzare. Abbiamo scoperto quante idee, quante
possibili soluzioni si celino in una
semplice bottiglia di plastica o in un
foglio di giornale e abbiamo imparato che non è indispensabile che
qualcosa sia nuovo per farne un uso
intelligente e creativo.
Giulia Fiorillo 2H
In mezzo alla natura,
stanchi ed appagati,
d’aver visto spazzatura
diventar oggetti riciclati.
Carta riciclata
abbiamo realizzato,
con giornali, acqua e riviste
abbiamo lavorato.
Cornici con giornali,
colla in quantità,
petali di plastica,
riciclo a volontà!
GIULIA FIORILLO, MATTEO FERRARA, MARTA
MISITI, MATTIA MAGLIOCCO,GIUSEPPE PERRI, II H
SPORT E COSCIENZA DEL BENESSERE
I moduli svolti nei vari istituti
della rete del progetto F3
sono stati caratterizzati da
attività creative centrate
sul rapporto sport-energia
cinetica; cibo-apporto caloricoe ne r gia . L’ap p re n dim e nto
in situazione e la pratica di
varie attività sportive si sono
rivelati straordinariamente
coinvolgenti. Nelle foto,
impegnati in un percorso
acrobatico tra gli alberi del
Parco-Avventura di Lorica, gli
allievi del modulo “Pitagorici in
corsa”, della classe IIG del Liceo.
7
… IN CORPORE SANO
VIVERE LO SPORT: LA PAROLA…ALLE IMMAGINI
Erika Serravalle, campionessa regionale 2014, Aldo Arcuri, III A: ottimo il suo piazzamento alle Benedetta Garritano , IV C, ha difeso a Grosseto
finalista nazionale di salto in lungo a L’Aquila.
finali nazionali di corsa campestre a Grosseto. le posizioni della squadra femminile.
Gli allievi della I B vincitori del torneo di calcio a Anche quest’anno le attività di rafting sul fiume La squadra di rugby costituitasi quest’anno.
Lao hanno rappresentato uno dei “momenti
cinque interno alla scuola.
forti” delle nostre attività sportive
La nostra Preside con la squadra maschile di corsa
campestre vincitrice della fase di istituto.
La DS Prof.ssa Policicchio con la squadra La squadra di Atletica Leggera del Liceo
classificatasi seconda alla fase regionale.
femminile di corsa campestre.
La prof.ssa Paparo ha accompagnato al torneo nazionale di scacchi Gli studenti del Pitagora che hanno rappresentato la Calabria alle finali di Cross
tenutosi a Terrasini (Palermo), la delegazione del Pitagora costituita di Grosseto,con i proff. Luciano Bove e Lidia Cino e Stefano Baldini, campione
da Simone Greco e Alessio Marigliano, IV B, Francesco Monaco e olimpionico di Maratona Atene 2004.
Francesco Reda, IV C. Particolarmente pregevole la prestazione di
Simone Greco, classificatosi sesto nelle gare individuali!
8 LEGGERE...
‘SIDDHARTHA’: UN LIBRO PER LA VITA
“Siddhartha’’, edito nel 1922 dallo scrittore tedesco Hermann Hesse,
è un romanzo che parla della ricerca di qualcosa che sembra essere
“fuori”, ma che alla fine alberga dentro di noi. Siddharta è un ragazzo
indiano che ha bisogno di trovare la sua strada e si incammina nell’India
del VI secolo assieme al suo amico Govinda. Iniziano così il loro percorso, e
durante il viaggio incontrano i Samara,
uomini che riescono a vivere con poco
e si immedesimano in tutto ciò che
gli sta intorno. Dopo aver condiviso
con loro questa esperienza mistica,
incontrano il Buddha Gotama. Sarà in
seguito a questo incontro che Govinda
decide di non proseguire con Siddharta
il cammino e si aggrega alla setta.
Siddharta, invece, prosegue da solo per
la sua strada e subito incontra Kamala,
dalla quale imparerà l’arte dell’amore,
ma anche i modi per guadagnare
e divertirsi. Inizia proprio a questo
punto il processo di conoscenza del
proprio ‘io’ del protagonista, poiché il
giovane si lascia andare alle pulsioni,
ai desideri e alle debolezze tipiche
degli uomini, cosa che fino ad allora
aveva considerato come atteggiamenti
negativi da evitare, peccati di cui non
sporcarsi. Il senso di colpa e la consapevolezza di aver sbagliato, di
essersi lasciato cadere nella tentazione, in uno sbaglio, conducono
Siddharta alla fuga, lasciando la donna amata, che dovrà accudire da
sola il figlio concepito con lui. L’analisi della propria vita determina come
conseguenza in Siddharta la necessità di una purificazione interiore
che il ragazzo inizialmente medita di raggiungere tramite il suicidio.
Ma la vita sembra dargli un’altra possibilità, o per lo meno un segnale
che distoglie il suo pensiero da quella tetra e cupa idea, quando, a
distanza di anni, incontra nuovamente il suo vecchio amico Govinda
e lì, sulle sponde di un fiume dove tutto sembrava volgere al termine,
ritrova il desiderio di ricominciare. Si imbatte, poi, in un barcaiolo che
gli insegna l’essenza dell’acqua, mostrandogli il proprio spirito, come
se il fiume fosse un’entità viva. Ci saranno ancora molti incontri da cui
Siddharta imparerà qualcosa e saprà trarre insegnamenti e ci saranno
anche altrettanti ricordi che gli restituiranno immagini apparentemente
dimenticate, che lo condurranno al suo passato. Il registro usato è
B
molto originale: unisce la lirica all’epica ed è un mix di sentimenti ed
emozioni che, portando a riflessioni sulle proprie esperienze, rende
l’opera tuttora affascinante. Il libro mi ha particolarmente toccato per
il suo contenuto molto riflessivo. Mi hanno molto colpito i pensieri
acuti, così profondi e così saggi di Siddharta, il quale credo sia un
esempio per tutti noi: ha continuato
a cercare senza mai accontentarsi.
Per questo, a mio parere, esemplare
è l’idea che il protagonista espone a
Kamala, durante uno dei loro tanti
dialoghi: “Vedi, Kamala, se tu getti una
pietra nell’acqua, essa si affretta per
la via più breve fino al fondo. E così io,
quando ho una meta, un proposito”.
Siddhartha non fa niente, aspetta,
pensa e digiuna, ma passa attraverso
le cose del mondo come la pietra
attraverso l’acqua, senza agitarsi: viene
attratto e si lascia cadere. La sua età lo
tira a sé poichè nell’anima propria egli
non fa penetrare nulla che potrebbe
contrastare a tale meta. Questo è
ciò che gli stolti chiamano magia,
credendo che sia opera dei demoni.
Ognuno può compiere una magia,
ognuno può raggiungere i propri fini,
se sa pensare, aspettare e digiunare.’ A mio parere importantissimo,
ai fini del messaggio, è il passaggio lento di Siddhartha tra tantissime
esperienze: ha, così , modo di capire che quello che studia sui libri,
quello che cercava all’interno della propria persona, è ben diverso da
quello che prova a pelle, da quel che sente e da quello che vede con i
suoi occhi. Lo scrittore tedesco Hermann Hesse in “Siddharta” vuole,
inoltre, esprimere la necessità di conoscenza del mondo circostante e
soprattutto di quello interiore attraverso un percorso spirituale e fisico
che conduce a se stessi. Vuole mettere in luce l’essenza del peccato che
si nasconde in ogni uomo, anche in chi appare saggio e puro, ma Hesse
vuole, soprattutto, mostrare quante alternative e possibilità ha ognuno
di noi per trovare la redenzione e una pace interiore che non sia solo
fittizia. E questo può avvenire solo grazie alla conoscenza, alla messa
in discussione e alle esperienze che arricchiscono ogni essere umano.
Francesco Catera, II C
LA SCUOLA A CINEMA: NOI SIAMO INFINITO
asato sul romanzo di Stephen Chbosky The Perks of Being a Wallflower, Ragazzo da parete nella traduzione italiana, Noi siamo infinito è
un film drammatico diretto dallo stesso Chbosky nel 2012, centrato
sul tema dell’adolescenza ed i complessi problemi che la caratterizzano.
E’ il 1991 e Charlie, il protagonista, è un adolescente intelligente e sensibile
ma allo stesso tempo timido e introverso, che osserva il mondo intorno
a sè tenendosi in disparte: un ragazzo da parete (Wallflower), una sorta
di soprammobile che si lascia trascinare per la paura di esporsi e di essere giudicato. Alcune traumatiche esperienze,
come il suicidio del migliore amico e la morte
della sua adorata zia, lo fanno piombare in uno
stato di apatia che gli impedisce di relazionarsi col mondo esterno. Al suo ingresso nelle
scuole superiori entra in un turbine di “prime
volte”: la prima festa, la prima rissa, il primo
bacio, la prima cotta. Fanno breccia nella sua
solitudine l’esuberante Patrick e la sua bellissima sorellastra Sam, due carismatici ragazzi
dell’ultimo anno che lo prendono sotto la loro
ala protettrice e lo accompagnano verso un
mondo completamente diverso: nuove amicizie, il primo amore, le prime feste e la ricerca
della colonna sonora perfetta per la loro vita.
Sam e Patrick lo aiuteranno a scavare a fondo
nella coscienza, senza preconcetti, a mettere
da parte i brutti ricordi per dar spazio a nuove
esperienze. Quando però i suoi amici si preparano a lasciare il liceo per il college, l’equilibrio
del ragazzo inizia a sgretolarsi, e tutto pare
tornare come prima. Un punto di riferimento
importante sembra rimanere soltanto il suo
insegnante di letteratura, il quale lo incoraggia,
gli fa da confidente e lo spinge ad esercitarsi
nell’arte della scrittura. Charlie porta infatti dentro di sé un oscuro segreto
riguardante il suo passato, un turbamento inspiegabile, un torto inflitto
alla sua innocenza di bambino, ricordi del passato che lo disturbano e lo
costringono ad assumere psico-farmaci. La scrittura gli si rivela una prezio-
sa valvola di sfogo per poter esprimere compiutamente se stesso: Charlie
decide di utilizzarla sotto forma di lettera al suo migliore amico, anche se
non è più in vita, per renderlo partecipe di quello che gli sta accadendo.
Descrivere le sue emozioni e venire a capo dei suoi turbamenti attraverso la scrittura: è questo il suo scopo, i suoi problemi nel relazionarsi con
gli altri dipendono infatti da motivi ben più gravi della timidezza.
Il film ci ha coinvolto profondamente, in quanto affronta temi complessi
che fanno parte della realtà adolescenziale: l’amore, l’amicizia, il rapporto
con la famiglia, la scoperta dell’identità sessuale,
l’uso di sostanze stupefacenti. Noi siamo infinito
ci mostra come i problemi e le infelicità dell’adolescenza vadano oltre la singola crisi esistenziale,
oltre la prima delusione amorosa, oltre i problemi
di scuola, oltre gli attriti con famiglie più o meno
“sfasciate”. Il film racconta la tensione all’estremo
di se stessi, la ricerca dolorosa del proprio posto
nel mondo, gli istinti distruttivi, i compromessi ,le
disfatte, le rivincite in una società fondata sulla
superficialità, che non considera minimamente
i valori autentici e che anzi li calpesta per raggiungere scopi materiali per l’appagamento momentaneo. Ragazzi come Sam, Charlie e Patrick,
evidenziano quelle difficoltà che spesso noi adolescenti incontriamo per ambientarci e integrarci,
ma soprattutto l’importanza dell’amicizia . Dire
che ci siamo rivisti molto in Charlie è dire poco!
Charlie passa dall’essere infantile e immaturo ad
una saggezza consapevole e spensierata ad un
tempo, ma non in maniera definitiva. Cambierà,
crescerà, ma sarà sempre se stesso. E’ una storia
verosimile scandita dalla musica e il finale è perfetto! Ci sarebbe piaciuto vedere come sarebbe
diventato Charlie da adulto. Potrebbe essere questo uno spunto per un nuovo film di Stephen Chbosky
Francesca Barbuscio, Michela Brogno,
Lara Napoli, Alessandra Serpe, IV B
9
...CHE PASSIONE!
I
STORIA DI UNA LADRA
DI LIBRI
il rumore assordante delle bombe. Da quelle storie si può trarre conforto
n questo mondo ormai soffocato dalle tecnologie, il libro sembrerebbe
non avere più il valore di una volta, non suscitare più, nello sfogliare
le pagine, emozioni che stimolino ad evadere dalla realtà che ci
circonda. Il libro è, invece, l’unico oggetto inanimato che custodisce
all’interno di sè un sogno. Forse era questo lo scopo del regista Brian
Percival nel film “Storia di una ladra di libri”: ricordarci l’importanza
di un libro e tutti i sentimenti che riesce a suscitare. Brian Percival ha
ispirato il suo film al romanzo di Markus Zusak, “la bambina che salvava i
libri”. Il film è ambientato all’epoca della seconda
guerra mondiale, in una piccola cittadina della
Germania. Liesel Meminger (Sophie Nelisse) è
una ragazza che ha perduto da poco il fratellin; la
madre, costretta ad abbandonarla e fuggire dalla
Germania a causa delle sue idee politiche, la affida
alla famiglia Hubermann. Hans (Goeffrey Rush,
attore australiano, premio Oscar e indimenticato
interprete di film come “La migliore offerta” e
“Il discorso del re” ) è il padre, dotato di grande
dolcezza e humour. Mamma Rosa (Emily Watson,
attrice inglese, candidata più volte al premio
Oscar) all’apparenza si mostra come una donna
austera, ma sotto la sua corazza si cela un carattere
sensibile e generoso. La bambina custodisce
gelosamente due oggetti molto cari: una
fotografia del fratellino morto e un libro trovato
sulla neve dopo la sua sepoltura. Ma Liesel non sa leggere, così il padre
adottivo l’aiuta e le insegna… in che modo? Immergendosi insieme a lei
nella lettura. Il loro appuntamento serale diventa qualcosa di magnifico.
Nel sotterraneo di casa ella crea un suo mondo dove rifugiarsi a leggere,
scrivere sulle pareti le parole che incontra e che la incuriosiscono. Quel
mondo di parole l’aiuta ad ambientarsi e a legarsi presto alla sua nuova
famiglia, creandosi un clima pur illusorio di pace e serenità, mentre la
guerra avanza e le bombe iniziano a cadere. I momenti chiave del film
sono quelli che esaltano il valore dell’amicizia, dell’altruismo, della
letteratura e della cultura in generale come antidoto alle brutture della
vita, ed alle dittature che strumentalizzano l’ignoranza. Indimenticabile
la scena del rogo dei libri, messi al bando dalle autorità naziste, mentre
Liesel si preoccupa di salvarne almeno uno. Altra scena chiave è quella
che si svolge nei rifugi sotterranei, dove la gente trema per la paura di
morire o di trovare la casa distrutta dalle bombe. Liesel legge il terrore
nei volti, e il suo amore per i libri sembra lenire l’orrore della guerra:
racconta le storie che ha letto e la magia del racconto par quasi superare
in tempo di guerra, ma anche l’amicizia, la solidarietà, la fedeltà hanno
un valore prezioso. Hans deve nascondere Max Vandenburg, un ragazzo
ebreo sfuggito alle persecuzioni., per una promessa fatta al padre del
giovane. Anche lui ha rubato un libro e tra i due ragazzi scoppia una
grande alchimia. Grazie a Max Liesel guarda il mondo con occhi diversi,
approfondendo ancor di più il suo amore per la letteratura. Quando
il giovane si ammala gravemente, Liesel gli sta vicino leggendogli i
libri “rubati” dalla biblioteca del borgomastro. Max
guarisce e ringrazia Liesel perché a tenerlo in vita
sono stati i suoi racconti, il suo amore e la capacità
di fargli “esplorare” il mondo pur nelle strettoie di
una stanza. Riprese le forze, deve fuggire: i soldati si
avvicinano, non c’è più tempo. I due si incontreranno
di nuovo tanti anni dopo, a guerra finita. Il film è
drammatico e questa drammaticità è resa ancor più
fortemente dalla scelta del narratore, che è la morte.
Il narratore interagisce con il pubblico sottolineando
le scene di maggiore impatto emotivo con interventi
che invitano ad inquadrare gli avvenimenti in un
contesto più generale, a non soffermarsi sui singoli
episodi e ad accettare qualsiasi esperienza senza
panico e con fiducia nella vita di cui la morte è parte.
Questa fiducia nella vita è espressa bene nel finale, in
cui Liesel ritrova la moglie del borgomastro e si avvia
ad affrontare un’altra vita, libera dall’orrore della guerra, ma anche
in ogni momento in cui viene messo in risalto il coraggio della piccola
ladra di libri e dei personaggi che le ruotano intorno. Il pubblico si sente
subito empaticamente attratto da questi personaggi, perché hanno una
grande umanità e sono tratteggiati con caratteristiche fisiche, mimiche,
di linguaggio che ne evidenziano bene il carattere e li fanno imprimere
nella memoria: Hans e la sua fisarmonica, l’evoluzione di Liesel, l’amore
puro di Rudy, la rude tenerezza che intravvediamo nell’espressione
del viso di Rosa. Il film è spettacolare, la ricostruzione degli ambienti
veramente fedele e suggestiva. Le scene dei bombardamenti hanno
una grande credibilità e drammaticità. La visione è da suggerire a
tutti, ma in particolar modo ai ragazzi, perché oltre ad essere un
film spettacolare, che propone la visione dell’Olocausto filtrata dallo
sguardo di un’adolescente, suggerisce l’approfondimento di valori
eterni e importanti in una maniera non retorica, avvalendosi delle
interpretazioni sobrie e misurate di grandi e bravi attori.
CONFESSIONI DI UN SICARIO DELL’ECONOMIA
“Confessioni di un sicario dell’economia”: un titolo intrigante per un
libro che tante polemiche ha suscitato negli ultimi anni. Non certo un
romanzo di fantascienza, non un thriller frutto della fertile fantasia di
uno scrittore di gialli, ma un libro autobiografico scritto dall’ex banchiere
John Perkins, che racconta parte della sua vita lavorativa nella Chas T.
Main Inc nel ruolo di economista capo. Il racconto inizia con una breve
introduzione sui motivi che hanno spinto l’autore a scrivere, e sulle varie
complicazioni che hanno accompagnato le varie stesure: iniziato nel 1982,
ripetutamente interrotto per pressioni esterne, e poi terminato nel 2004.
Il racconto della vita di Perkins si sviluppa dai primi anni trascorsi in college all’ingresso nella NSA (National Security Agency), fino all’esperienza
lavorativa all’interno della società di consulenze ed alla maturazione della
consapevolezza di essere diventato un “sicario
dell’economia”: “Ero un sicario dell’economia,
parte di un gruppo d’elite di moderni “killer
professionisti” che promuovono gli interessi
delle grandi multinazionali e di alcuni settori
del governo americano. Avevo una qualifica
di “Chief economist” e uno staff di economisti, consulenti d’imprese e analisti finanziari
super qualificati che producevano imponenti
relazioni che potevano legittimare qualunque
cosa, ma il mio vero lavoro era ingannare e
saccheggiare il Terzo mondo”. Le pagine del
libro, per esplicita ammissione dell’autore,
rivelano che “I sicari dell’economia sono professionisti ben retribuiti che sottraggono migliaia di miliardi di dollari
a diversi paesi in tutto il mondo. Riversano il denaro della Banca Mondiale, dell’Agenzia statunitense per lo Sviluppo Internazionale(USAID)
e di altre organizzazioni “umanitarie” nelle casse di grandi multinazionali e nelle tasche di un pugno di ricche famiglie che detengono il
controllo delle risorse naturali del pianeta. I loro metodi comprendono il falso in bilancio, elezioni truccate, tangenti, estorsione, sesso e
omicidio. Il loro è un gioco vecchio quanto il potere, ma che in quest’epoca di globalizzazione ha assunto nuove e terrificanti dimensioni”.
Per svolgere il suo lavoro Perkins inizia a girare il mondo, a visitare paesi
come l’Indonesia, Panama, l’Arabia Saudita, Ecuador, Iran nei quali, come
egli racconta, gli viene chiesto di creare previsioni false e gonfiate di un
Roberta Sole, IV H
imminente boom economico per giustificare prestiti miliardari dagli
organismi internazionali. Perkins conosce, seduce, corrompe e costringe i leader locali a sfruttare il proprio popolo, accettando prestiti che
quei paesi non potranno mai pagare, privatizzando i beni dello Stato,
legalizzando la distruzione di un ambiente fragile e rendendo queste
risorse preziose alle multinazionali americane. Si trattava di una forma
di “capitalismo Predatorio”, forse il peggiore della storia, forse anche alla
base dell’attuale crisi economica globale. Il contatto con le popolazioni
locali, i loro bisogni, le loro miserie, induce tuttavia l’autore a riflettere,
facendo maturare in lui una vera e propria crisi di coscienza, quella che
lo spinge ad “autodenunciare” se stesso ed il “sistema” di cui fa parte.
Il finale del libro esprime al meglio il pensiero dell’autore: “Davanti a
questo Tsunami economico globale sta a ognuno di noi decidere quale futuro vogliamo immaginare e anche contribuire
a creare. Questo è quello per cui ho deciso di impegnare il
resto della mia vita. Vogliamo un mondo governato da pochi
miliardari, occupati a controllare le risorse del pianeta con
l’unico fine di servire i loro appetiti? Vogliamo più debito,
privatizzazioni e mercato in cui i signori del furto si innalzano al di sopra di leggi che valgono solo per il resto della
popolazione? Vogliamo comprare da aziende che finanziano
il rovesciamento di governi eletti democraticamente? Vogliamo continuare a crescere e far crescere i nostri figli in un
pianeta dove meno del 5% della popolazione consuma più
del 25% delle risorse,e meno del 10% di quel 5% controlla
i patrimoni,e dove circa metà del mondo vive in povertà?”
“Confessioni di un sicario dell’economia” è un libro difficile da digerire,
una sorta di “Gomorra” americano. Con la differenza che, mentre in Italia
diciamo di essere a conoscenza del potere e della presenza delle mafie,
nel libro di Perkins è raccontata una storia che troppi non hanno sentito
o non vogliono sentire. Vogliamo che gli sforzi e il rischio che si è assunto
quest’uomo siano vani ed inutili? Nel mondo abbiamo bisogno di tanti
altri John Perkins. Il potere non spetta a nessun sicario dell’economia,
politico o signore del furto. Il potere spetta solo ed esclusivamente a noi,
che dobbiamo esplicitarlo nei modi e nelle forme consentite da una autentica democrazia. Dovremo fare di tutto perché questo accada, un giorno.
Adolfo Rovella, IV A
10 SECONDO NOI
SE FOSSI UN LIBRO
Come disse un famoso scrittore italiano, Tiziano Terziani: “I migliori compagni di viaggio sono i libri: parlano quando si ha bisogno, tacciono quando si
vuole silenzio. Fanno compagnia senza essere invadenti. Danno moltissimo
senza chiedere nulla.” Un libro è … un mondo! Si, un libro è un mondo che
ci porta via dai problemi della vita quotidiana, una via di fuga, che ci fa sognare
attraverso le sue storie e personaggi. Possiamo considerare un libro come un amico,
il nostro migliore amico, a volte sembra
racconti proprio la nostra storia, ci aiuta
a conoscere noi stessi attraverso le parole
degli altri. Non mi sono mai piaciuti i libri
che a scuola mi hanno imposto di leggere,
penso che non ci sia cosa più bella di entrare in una libreria e stare ore ed ore a scegliere il libro grazie al quale ancora una volta potremo sognare, verso l’infinito. Vorrei
essere quel libro che custodiremo sempre
con molta cautela, come se fosse un tesoro,
quello che quando ci sentiamo soli ci farà
compagnia nonostante lo abbiamo letto
migliaia di volte, quel libro che attraverso
le frasi che sottolineeremo, le pagine quasi
ingiallite , ci comunichi sempre le emozioni
che ci ha suscitato la prima volta , quel libro per il quale abbiamo pianto, quel libro
che ci ha talmente appassionato da esser “divorato” in massimo due giorni,
quello di cui, quando sarà ormai finito, sentiremo molta nostalgia, come se
perdessimo un nostro carissimo amico.
Tra i vari libri letti quello che mi ha emozionato di più è stato: “ I passi dell’amore” di Nicholas Sparks. Questo libro è bellissimo, molto veloce da leggere,
è un romanzo d’amore che insegna ad amare, narra le vite diverse di due
ragazzi innamorati posti dinanzi agli ostacoli della vita, ma il cui amore è
così potente da resistere anche alla morte! Landon Carter, un adolescente
vivace e irrequieto, vive In una piccola cittadina del North Carolina. Lasciato
dalla fidanzata pochi giorni prima del ballo della scuola, decide di invitare
come sua “ultima scelta” Jamie, la figlia del reverendo, una ragazza completamente diversa da lui. Orfana di madre, molto religiosa, è una ragazza
assai timida, ingenua, non ha amici. Dopo il ballo, tra i due nasce un’inaspettata amicizia che in breve tempo
si trasforma in un sentimento intenso e
travolgente, drammaticamente segnato
dalla grave malattia di Jamie, consapevole di avere pochi mesi di vita. Landon
decide di soddisfare tutti i suoi desideri, tra cui quello di sposarsi nella stessa
chiesa dove si era sposata sua madre. Il
libro termina con il matrimonio dei due
ed il successivo racconto della morte di
Jamie. Questa naturalmente è una sintesi del libro, è molto più emozionante
leggerlo. Io personalmente consiglio a
tutti i miei amici, coetanei e non, di leggerlo, perché è un libro che affronta
moltissimi temi: l’amore, la speranza, il
perdono, ma soprattutto lo scontro tra
bene e male.
Se fossi un libro, sarei appunto questo:
mi ha fatto capire che nella vita basta
solo essere sempre se stessi, avere tanta
speranza e non permettere a nessuno di
cambiarti : non importa come ti vesti , come ti trucchi, importa solo scoprire
le parti più belle del nostro carattere e farle emergere . “L’amore è sempre
paziente e gentile, non è mai geloso…non è mai presuntuoso o pieno di sé,
non è mai scortese o egoista, non si offende e non porta rancore. L’amore
non prova soddisfazione per i peccati degli altri ma si delizia della verità. È
sempre pronto a scusare, a dare fiducia, a sperare e a resistere a qualsiasi
tempesta.” – I passi dell’amore.
Alessandra Serpe, III B
SPIRAGLI NELLE OMBRE
Nessuno aveva il permesso di toccare la mia ombra, né tantomeno calpestarla.
A me piaceva la sua compagnia, il suo seguirmi ovunque andassi. Detestavo infatti la notte, che voleva portarmela via. Apparteneva a me. Una volta
provai a far notare ad un passante qualunque quanto non fosse carino non
rispettare la sensibilità delle ombre. Ma lui non prestò attenzione, poiché
temo avesse pensato fossi matta, o peggio, che stessi parlando da sola. E qui
dovrei introdurre l’argomento che più m’addolora: la solitudine (ah, brutta
cosa!). Se non vi dispiace, preferirei continuare il discorso sulle ombre. Trovavo una certa somiglianza tra me
e loro: non possono rimpicciolirsi
o spostarsi quando vogliono, debbono obbedire alla persona, all’animale o all’oggetto al quale appartengono. Sono schiave. In base a
come il corpo impedisce alla luce di
passargli attraverso, esse mutano.
Io mi sentivo un’ombra la maggior
parte del tempo. Non ero libera di
andare dove avrei voluto o avere
la forma che avrei desiderato. Inoltre il buio mi spaventava, esattamente come pensavo spaventasse
le ombre che, a causa sua, dopo
aver lavorato tanto per conto della
luce, sono costrette a scomparire.
Oh, quasi dimenticavo, dovrei assolutamente aprire adesso una parentesi sull’ombra che se ne stava
sul muro di camera mia, probabilmente in cerca di un proprietario.
Mi affascinava molto. Invidiavo la
sua libertà, il suo riuscir a tener testa perfino alla notte, che non aveva la capacità di mandarla via. Ogni
tanto le parlavo, quando non riuscivo a dormire a causa degli incubi, ma lei non rispondeva. Ero convinta che
fosse per la sua timidezza. Cercavo infatti di comprenderla nel suo silenzio,
data la nostra somiglianza. Una volta l’attraversai. Mi ritrovai in un posticino
(un’astronave?) bianco, luminoso e circolare abitato da tanti esserini paffuti,
del medesimo colore delle pareti. Tentai, presa dalla curiosità, di scambiare
due o tre parole con uno di loro. Gli chiesi perché l’ombra della mia camera
non avesse mai parlato, considerato che era abitata, ma finii soltanto per spaventarlo. Farfugliò chissà cosa tutto confuso, mentre forse cercava di capire
che genere di creatura si trovasse davanti. Fu proprio quando rivolse ancora
una volta i suoi occhietti verso il tetto per osservarmi che mi accorsi d’essere
in un luogo privo di gravità. Stavo galleggiando! Tuttavia il mio viaggio nello
spazio durò poco, solo 25 secondi terrestri, poiché fui subito rispedita a casa.
Mi avrebbe fatto piacere poter raccontare la mia avventura a qualcuno, ma
per evitare di stravolgere i principi della fisica decisi di tenere
il ricordo per me. Dopo essermi
smaterializzata per la seconda e
ultima volta trovai sul mio letto un
vecchio libro sulla quadridimensionalità. Ne lessi qualche riga:
“I wormhole o cunicoli spaziotemporali sono una caratteristica
dello spazio-tempo. Si tratta di
percorsi rapidi che permettono
di viaggiare da un punto all’altro
dell’universo.”
Imparai molto. Se l’universo è
immaginato come un grande foglio, esso può piegarsi e i punti di
contatto permettono di collegare luoghi che altrimenti sarebbero lontanissimi tra loro. Difficile
da immaginare, perché il foglio
dell’universo ha tre dimensioni
(senza contare il tempo) e non solo
due, ma così è, o meglio, potrebbe
essere.
Sto ancora cercando altri wormhole da visitare. Si nascondono nelle
ombre? Credo proprio di sì, le mie care ombre si divertono nel veder qualcuno riuscire a viaggiare più velocemente della loro padrona, la luce. Un
wormhole, poi, permette di sfuggire al buio, se necessario, e questo per
un’ombra conta parecchio, non credete?
Alice Barberi, III C
11
SECONDO NOI
RONDINI
AFRICA
Un mattino
t’affacci alla finestra
per guardare negli occhi
il nuovo giorno,
che si fa largo
tra le residue luci della notte ,
e t’accorgi che sono tornate le rondini.
E con loro è tornato, tanto atteso,
l’inebriante profumo della primavera,
dopo un lungo e piovoso inverno.
Ti fermi a osservarle,
indaffarate,
la creta in bocca
a costruire un nuovo nido.
Vanno e vengono
con ritmo frenetico,
sfidano l’immensità del cielo
e l’infinità del mare,
lucida giacca nera,
camicia bianca.
E poi, finita un’altra estate,
le rondini sceglieranno nuove rotte,
e tu, incurante dei tuoi giorni
senza ritorno,
ne attendi la danza leggera.
Vorrei avere tanta acqua
per dissetare il tuo deserto
e danzare coi tuoi ritmi
attorno al primo fiore che nasce
e spaurito cerca il sole,
come il bimbo appena nato
cerca il seno di sua madre.
Vorrei rimanere estasiata
per i tramonti della tua terra,
e i colori e le infinite emozioni
che regali,
vorrei osservare le tue piante,
e gli alberi, e gli elefanti,
e contemplare
la sabbia del tuo deserto,
che al calare del sole
si veste di un mantello dorato,
e saluta le tigri e i leoni,
dando inizio ad una nuova notte
di ombre e di segreti.
Vorrei offrirti il mio cibo
per sfamare la tua gente.
Vorrei costruire scuole
per insegnare a leggere le favole,
continuare a sperare
e credere nei sogni.
Vorrei costruire ospedali
per vincere la paura e la morte
e regalare sorrisi.
E attorno a questa Africa,
senza più fame né sete
vorrei costruire un mondo nuovo
di pace e di giustizia.
Maria Erika D’Alessandro, IV A
Maria Erika D’Alessandro, IV A
“L’AGENDA DI MIO NONNO”
Qualche volta mi capita di essere un po’ giù di morale o di non sapere che
fare, così mi butto sul letto e mi immergo nei ricordi di quando ero una bambina. In quelle immagini scolorite vedo mia madre, mio padre, mia sorella,
riesco perfino a ricordare mio fratello che, all’epoca, era solo un neonato, ma
la figura che riaffiora maggiormente nei miei ricordi è mio nonno, un uomo
molto alto, magro, con i capelli neri e con un paio di occhialoni da vista sul
naso. Lo guardo nei miei sogni e penso a quanto fosse bello vederlo sorridere, felice, circondato dalle persone a
lui più care. Ricordo come si emozionasse
mentre osservava i nipotini giocare e di
quanto mi rendesse orgogliosa e fiera il
fatto di averlo accanto o vicino. Era tutto
più tranquillo un tempo, perché se accadeva qualcosa di spiacevole arrivava
lui, mio nonno, sempre impeccabile, col
suo bel vestito, a rimettere la pace e la
serenità in famiglia, o, se qualche figlio
aveva problemi, lui era sempre in prima
fila a soccorrerlo, per aiutarlo a sollevarsi,
a rimettersi in piedi, lentamente. Lui per
me era un idolo, un modello da seguire,
era la persona che più stimavo e amavo
al mondo, perché viveva dei suoi sacrifici,
cercava in ogni circostanza di accontentare tutti e, soprattutto, di non lasciare
niente in sospeso. Il mio unico rimpianto è
quello che io non sia potuta crescere con
lui, che non abbia potuto condividere le
mie emozioni con le sue e che non lo abbia conosciuto fino in fondo; il destino, purtroppo, ha deciso di portarmelo
via 7 anni fa.
Mentre studiavo arrivò quella telefonata che mi sconvolse la vita, piansi di
nascosto perché non volevo far provare ai miei fratellini la stessa tristezza e
malinconia di quell’istante, così andai, sola, nella mia camera e setacciai la
stanza per trovare un oggetto che a me, tutt’ora, è molto caro e prezioso,
la sua agenda. Pochi sanno cosa essa significhi per me, quanta felicità e
tristezza si nasconda a tenere stretto al petto un oggetto dei ricordi , solo
chi ha provato il mio stesso dolore può comprenderlo, soltanto chi è stato
davvero affezionato a qualcuno, a tal punto da aggrapparsi ad un passato
che ormai è trascorso, può veramente capirmi. In questa agenda ci sono ancora scritti i suoi appunti, i suoi pensieri
e le varie liste della spesa. Ricordo che fu
lui stesso a donarmela dicendomi di custodirla, perché di me si fidava e sarebbe
stato fiero se avessi continuato ad usarla
per i miei appunti ed i miei pensieri. Lui ,
peraltro, era un uomo di grande cultura,
adorava la scuola e gli piacevano molto
le sfide, specialmente in ambito scolastico o lavorativo, per questi io mi impegno
molto a scuola, e ciò non mi spiace affatto, infatti adoro studiare e mettere me
stessa in gioco per imparare come lui a
vincere, a non perdere mai, ad aiutare le
persone in difficoltà, a vivere di sacrifici e
ad amare gli altri come lui amava me e la
sua famiglia, in modo da richiamare alla
memoria la sua esistenza, perché lui c’è
ancora e vivrà per sempre nel cuore di chi
gli voleva e vuole tuttora bene.
Ciao nonno. Tua Benedetta
Benedetta Iantorno, I G
12 SECONDO NOI
UN ANNO RICCO DI EMOZIONI..
REDAZIONE
Direttore Responsabile: Prof.ssa Elisa Policicchio, Dirigente Scolastico
Coordinamento Redazione: Prof.ssa Carmelina Contatore
Docenti Tutor del Laboratorio di Lettura –Scrittura: Prof.sse Lida
Barazzutti, Cinzia Bianco, Barbara Colistra, Carmelina Contatore,
Daniela Romeo, Carmela Esposito
Impaginazione: Andrea Nisticò, Martina Brogno, M.Francesca Sacchini,
Francesco E. Esposito, Anna Gioia
Grafica: Alessandra Marasco, M.Erika D’Alessandro
Fotografia: Martina Brogno, Chiara Paletta, Rosy Vigna, Prof.ssa Lidia
Cino
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