Golpe in Egitto. Strage di innocenti
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Golpe in Egitto. Strage di innocenti
ENS ITALIC G A L A R I V I S T A D E G L I I T A L I A N I GOLPE IN EGITTO STRAGE DI INNOCENTI RISCHIO GUERRA MONDIALE IN SIRIA SET TEMBRE DUEMILATREDICI 2 3 ENS ITALIC G A In questo numero - Editoriale: Golpe in Egitto. Strage di innocenti. Rischio guerra mondiale in Siria - Il pentagono prepara la guerra in Siria - Siria, la demonizzazione preventiva - Carla del Ponte: Le armi chimiche in Siria sono state usate dai ribelli - Siria: Le atrocità dei ribelli sui cristiani - La guerra all’Iran si avvicina - Se Assad cade vince Al Qaeda - Mark Weber: Un profilo biografico - Uno sguardo sulla Lobby ebraica in America - Cospirazione e anticospirazionisti - Rupert Murdoch e Lord Rothschild i baroni petroliferi della Siria occupata - La Russia di Putin vuole la pace ma si prepara alla guerra - L’intervista: Valerio Cignetti segretario generale AEMN - Storia della Gens Italica: Idistaviso. La rivincita del Teutoburgo - Geni Italiani: Enrico Fermi - Attentato a Viktor Orban, primo ministro ungherese Editore: Associazione Culturale “Guglielmo Oberdan” Anno VII – settembre/ottobre 2013 Registrato presso il Tribunale di Udine, numero 1 del 10 gennaio 2007 Direttore responsabile: Stefano Salmè In redazione: Walter Qualizza, Daniela Perissutti, Massimiliano Panero, Flores Tovo, Andrea Santarossa, Athanasios Lykotrafitis [email protected] 4 5 L’ editoriale Golpe in Egitto. Strage di innocenti. Rischio guerra mondiale in Siria La “primavera dei popoli arabi” che sembrava sul punto di avverare la famosa profezia del futurologo Fukushima sulla “fine della storia”, democratizzando anche i riottosi paesi arabi alla democrazia parlamentare occidentale, è fallita. Le immagini sul golpe militare in Egitto, la strage di innocenti manifestanti che chiedevano la liberazione del presidente egiziano deposto Morsi e la contemporanea liberazione del vecchio dittatore Mubarak, hanno riportato indietro le lancette della storia. Parlare di golpe non sottintende un giudizio positivo sull’operato del governo Morsi, sostenuto dal partito islamista dei “Fratelli Mussulmani” che, invece, a nostro avviso dimostrava chiaramente l’inconciliabilità del “pensiero islamico” con la democrazia di tipo occidentale, ma chiama con il suo nome proprio, il rovesciamento di un governo legittimamente eletto da parte dell’esercito egiziano. Quello che è avvenuto oggi in Egitto con il sostegno esplicito di Israele e con la complicità tacita di Stati Uniti ed Europa, è esattamente il film già visto nel 1992 in Algeria. Nel 1989 (caduta del muro di Berlino) l’Algeria avviò una riforma della sua co- stituzione in senso democratico. Le elezioni amministrative del 1990 furono stravinte del Fronte Islamico di Salvezza (FIS) di Abassi Madani, Ali Belhadj e Abdelkader Hachani. Nel dicembre del 1991 il FIS vinse anche le elezioni politiche ma nel gennaio del 1992 i militari algerini, per impedire l’ascesa al potere del FIS, con un golpe militare instaurarono una dittatura che provocò una sanguinosissima guerra civile i cui strascichi sono ancora presenti nel paese. Tutti i governi occidentali finirono per appoggiare il governo militare algerino considerandolo il “male minore” rispetto al pericolo di una “islamizzazione del paese” da parte del FIS. In quel caso non ci furono “carte dei diritti dell’uomo”, “alti commissariati dell’ONU”, che difendessero il diritto democratico degli algerini ad autodeterminarsi, né “interventi umanitari” a suon di bombe e missili (come accadrà l’anno dopo nel Kossovo) che restaurassero la democrazia calpestata. La verità è che il “caso Algeria” del 1992 ,come del l’Egitto di oggi, dimostrano che “i sacri principi democratici” nei paesi arabi (ma come vedremo anche in Europa) sono rispettati unicamente se a vincere sono partiti o regimi che garantiscono la sostanziale sudditanza all’asse Israele-Stati Uniti-Gran Bretagna, che dal dopoguerra determina gli eventi (quelli manifesti e quelli nascosti all’opinione pubblica) nel Medio Oriente ed in generale nel mondo. Questo dimostra l’ipocrisia dell’Occidente, pronto a scatenare guerre per l’affermazione dei “sacri principi democratici” se questo può giovare ai propri interessi geopolitici, (ed economici) ma pronto pilatescamente a lavarsene le mani quando democraticamente vincono partiti non così pronti a svendere gli interessi e la cultura della propria Nazione. Ma la velocità dei fatti nel Maghreb e nel vicino Oriente di oggi ci costringe a volgere lo sguardo verso la Siria, paese tormentato da due anni e mezzo di guerra civile. Una guer- ra civile nata sulla scia delle cosiddette “primavere arabe”, fortemente infiltrata da terroristi legati ad Al Qaeda generosamente finanziati dai paesi del Golfo, legati ai ribelli da quella “solidarietà sunnita” che vede nell’Alawita (mussulmano sciita) Assad un ostacolo alla supremazia saudita nell’area. La storia di Assad, un oculista che ha studiato a Londra, che ha sempre difeso il pluralismo religioso in Siria, proteggendo i cristiani dalla pressioni del fondamentalismo islamico, induce a credere ben poco rispetto alla propaganda dei mass media occidentali mainstream, tutti accucciati sulle posizioni israeliane ed anglo- americane. La realtà è che Damasco è entrata in un gioco (pagato con la morte di 100000 cittadini siriani) geopolitico ampio, dove gli attori internazionali utilizzano la Siria come campo di battaglia per i loro interessi. Non è difficile vedere l’interesse di Israele che vuole a tutti i costi una “guerra preventiva” contro l’Iran che sembra sul punto di possedere l’atomica. Si vuol far entrare dalla finestra un conflitto che non si riesce a far entrare dalla porta (gli iraniani sono dei gran giocatori di scacchi). Anche se Israele non riuscisse a provocare subito un conflitto con gli ayatollah, far fuori Assad oggi, significherebbe eliminare l’ultimo alleato mediorientale della repubblica Iraniana. Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, sostengono ovviamente le posizioni di Israele considerata come il miglior alleato dell’Occidente in Medio Oriente (senza considerare la grande influenza della comunità ebraica negli USA) e tacciono un obiettivo geopolitico di vecchia data, escludere la Russia dal bacino del Mediterraneo. La sconfitta di Assad infatti (come avvenuto in Libia) avrebbe come conseguenza diretta una sorta di governo fantoccio nelle mani di sauditi ed occidentali che toglierebbe ai russi lo strategico controllo del porto siriano di Tartus, unico scalo della marina militare russa nel mediterraneo. Vi sono poi come sempre in Medio Oriente, grandi interessi energetici, considerando che nel mediterraneo orientale è stato individuato il più grande bacino di gas off shore, con riserve stimate maggiori di quelle petrolifere dell’Arabia Saudita. Ad oggi (5 settembre) l’intervento militare occidentale, dopo un presunto (molto presunto) uso di armi chimiche da parte dell’esercito siriano, pare prossimo, nonostante la ferma opposizione (che ha spiazzato molti occidentali) della Russia di Putin, sempre più protagonista sulla scena internazionale. La goffaggine, i tentennamenti, la mancanza di una visione globale, da parte del presidente Obama, fanno da contraltare alla fermezza, alla lungimiranza ed ad una visione multipolare del presidente Putin. E’ probabile che alla fine un limitato 6 intervento militare ci sarà. Immaginiamo che si cercherà di colpire i reparti di èlite dell’esercito siriano al fine di dar fiato ai cosiddetti ribelli che appaiono in ritirata su tutti i fronti e che senza l’aiuto di sauditi ed occidentali da molto tempo sarebbero già stati sconfitti. La partita è rischiosa, e se anche Papa Bergoglio, mette in guardia dai pericoli di una nuova “guerra mondiale”, l’Italia, capitale morale del Mediterraneo, non deve, non può non far sentire con forza la propria voce. Come spesso è accaduto nella storia (vedi prima guerra mondiale) il rischio è che un conflitto che si voleva limitato divenga, per una serie di azioni e reazioni, globale, con conseguenze disastrose, in primo luogo per quelle nazioni che nel Mediterraneo ci vivono. Un noto settimanale italiano ha calcolato in un miliardo di euro il costo di un’eventuale guerra in Siria. Ma questo è ovviamente un calcolo minimalistico, che non tiene conto della possibilità che il conflitto da locale possa trasformarsi in regionale e poi globale. Aumento del costo del petrolio, nuovo esodo di popolazioni mediorientali in Europa ed in primis in Italia. Insomma se la guerra verrà forse combattuta dagli Stati Uniti il costo però sarà essenzialmente pagato dai popoli che del Mediterraneo fanno parte. Senza considerare che la man- cata crescita del nostro Mezzogiorno (oltre ovviamente a cause locali) è dovuta anche al fatto che sono decenni che il “mare nostrum” è in una perenne, endemica situazione di conflittualità. Nel novecento gli Stati Uniti promuovevano l’indipendenza di tutti gli stati del continente americano sulla base dello slogan “l’America 7 agli Americani”, è troppo chiedere oggi agli statunitensi di essere coerenti e di lasciare che siano Europei e popoli del mediterraneo a gestire il loro destino? Stefano Salmè Il pentagono prepara la guerra in Siria La Siria non ha alcuna responsabilità per l’incidente di mercoledì. Prove convincenti incolpano gli insorti. Il 25 agosto, Reuters , CBS News, il Guardian di Londra e altre fonti di notizie titolavano la stessa storia. Un alto funzionario della Casa Bianca, rimasto Anonimo, ha riferito che non ci sono “molti dubbi” sul fatto che Assad abbia usato armi chimiche contro i civili la scorsa settimana. L’Intelligence USA non ha basato la sua valutazione su prove credibili. Lo ha fatto basandosi solo su “il numero riportato di vittime e di testimonianza indirette.” Il funzionario ha anche detto che il governo siriano non ha lasciato agli investigatori dell’ONU ispezionare il sito, per permettere in questo modo alle sostanze chimiche usate di disperdersi assieme alle prove tangibili. Al contrario Assad ha collaborato pienamente. Funzionari siriani e delle Nazioni Unite hanno concordato in anticipo quelli che sarebbero dovuti essere i siti esaminati. Domenica scorsa, la Siria ha accettato di lasciare che gli investigatori dell’ONU ispezionassero il sito Ghouta. Lo ha fatto però facendo notare che il territorio è sotto il controllo degli insorti e pertanto la protezio- ne non poteva essere garantita. Poco dopo è arrivata la tipica risposta Americana, una dichiarazione che marcava il fatto che il permesso siriano, per visitare i luogo del fantomatico attacco chimico, sia arrivata troppo tardi. L’anonimo funzionario della Casa Bianca ha mentito naturalmente. La risposta di Domenica è stata doppia. La chiara evidenza dei fatti smentisce quindi le false affermazioni della Casa Bianca. Il 25 agosto, AP titolava: “il Segretario alla Difesa Hagel dice che gli USA stanno ancora soppesando la risposta da dare in Siria.” 8 Hagel si è guardato bene dall’entrare nel dettaglio e parlare di piani specifici. Alla domanda se fosse una questione di quando, non se, ha detto: “Quando avremo più informazioni la risposta sarà chiara.” Il suo tono suggeriva chiarezza. In realtà i funzionari di Obama hanno mostrato il loro lato più autentico: la non necessità di una prova credibile. “Ci sono rischi per qualsiasi opzione. Qualunque decisione avrebbe conseguenze, sia che si faccia qualcosa sia che si resti inerti.” Hagel ha aggiunto. “Bisogna arrivare al nocciolo della questione di quello che sarebbe l’obiettivo sia che si decida di intervenire, sia che si decida non perseguire alcuna azione. Tutte queste valutazioni sono sul tavolo e vengono continuamente vagliate.” Hagel è stato volutamente vago. Una lingua biforcuta e piena di retorica non può mascherare la lunga politica di cambiamento di regime voluto in Siria. Il 24 agosto, a Londra il Guardian titolava “Siria: Cameron e Obama si muovono verso ovest, e sono più vicini ad un intervento”, dicendo: Hanno parlato Sabato. Il tempo sta per scadere, hanno detto. L’hanno detto molte volte prima. Forse questa volta fanno sul serio. Entrambi i leader “sono d’accordo che un presunto attacco chimico necessita di una ‘risposta seria.’ “ Un portavoce ha dichiarato: “ Il primo ministro e il presidente Obama sono entrambi gravemente preoccupati per l’attacco che ha avuto luogo a Damasco, il mercoledì e i crescenti segnali che questo sia stato un significativo attacco con armi chimiche condotto dal regime siriano contro il proprio popolo. “ “Essi hanno ribadito che l’uso significativo di armi chimiche meriterebbe una seria risposta da parte della comunità internazionale, ed entrambi hanno incaricato i funzionari di esaminare tutte le opzioni.” Il ministro degli Esteri britannico William Hague ha chiamato l’incidente “un attacco chimico da parte del regime di Assad.” Il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius ha detto che “tutte le informazioni a nostra disposizione convergono per indicare che ci fu un massacro chimico nei pressi di Damasco e che il governo di Assad è responsabile”. Il 25 agosto, Itar Tass intitolava “Il Pentagono si sta preparando per iniziare l’intervento militare in Siria”, dicendo: “[L’intervento in Siria] Inizierà se il presidente Barack Obama prenderà una decisione sulla Siria, ha riferito il Segretario della Difesa degli Stati Uniti Chuck Hagel.” “Ha detto che il Pentagono aveva chiesto al Dipartimento della difesa di prendere in considerazione diver- 9 se linee di azione che possano adattarsi alle diverse situazioni, e l’esercito americano è pronto a sceglierne uno di essi.” In un articolo non più accessibile del 29 Gennaio 2013, il UK Daily Mail pubblicò un rapporto intitolato “Piano di appoggio per lanciare attacchi chimici contro la Siria e dare la colpa a regime di Assad”, dicendo: “Alcune E-mail trapelate hanno presumibilmente dimostrato che la Casa Bianca ha dato il via libera a un attacco di armi chimiche in Siria, che potrebbe essere attribuito a regime di Assad e, a sua volta, per stimolare l’azione militare internazionale nel paese devastato.” “Un rapporto pubblicato il Lunedi contiene uno scambio di email tra due alti funzionari britannici che parlavano di un piano ‘approvato da Washington’ che delinea la strategia in cui il Qatar avrebbe finanziato le forze ribelli in Siria incoraggiandole ad usare armi chimiche”. “Barack Obama ha chiarito al presidente siriano Bashar al-Assad, il mese scorso che gli Stati Uniti non avrebbe tollerato in Siria l’uso di armi chimiche contro il proprio popolo.” “Si legge [dalle email di due funzionari britannici]: ‘Phil. Abbiamo una nuova offerta. Si tratta della Siria di nuovo. Il Qatar propone un affare interessante e giura che l’idea è stata approvata da Washington. “ “’Dobbiamo consegnare un carico di Armi Chimiche a Homs, le G-Shell arrivano dalla Libia ma la produzione è sovietica e sono simile a quelle che Assad dovrebbe avere.’ “ “’Vogliono inoltre impegnare il nostro personale ucraino che dovrebbero parlare russo e girare un video sul luogo dell’attacco.’ “ “’Francamente, non credo che sia una buona idea, ma gli interessi in gioco sono enormi. La tua opinione? ‘ “ “’Cordiali saluti, David.’ “ “Le e-mail sono stati rilasciati da un hacker malese che ha anche ottenuto dettagli su questi dirigenti, oltre a curriculum e copie di passaporti attraverso un server aziendale non protetto, in base alle notizie di Cyber War”. “Il profilo Linkedin di Dave Goulding lo annovera come Business Development Director di Britam Difense Ltd specializzato in Sicurezza ed Investigazioni.” “Un profilo di business networking per Phil Doughty lo annovera come Chief Operationg Officer per Britam, società degli Emirati Arabi Uniti operante nel campo della sicurezza e delle indagini.” “Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti non ha riferito alcune risposta in merito a queste email pubblicate.” Il 24 agosto, il Syrian Arab News Agenc (SANA) ha intitolato “Ministro Informazioni: Abbiamo la prova incontrovertibile che i terroristi hanno usato armi chimiche.” Il ministro dell’Informazione Omran al-Zoubi ha categoricamente negato l’uso siriano di armi chimiche “in qualsiasi modo o forma, nella zona di Ghouta in campagna a Damasco e altrove.” Al contrario, una prova convincente dimostra che gruppi di insorti hanno utilizzato “tali armi”. I proiettili lanciati a Ghouta provenivano da “siti controllati da terroristi.” Sono “pienamente responsabili” di quanto accaduto. Le forze siriane hanno sequestrato un magazzino zona Jobar. Hanno trovato “grandi contenitori di sostanze chimiche prodotte in Arabia Saudita e in alcuni paesi europei.” Ha aggiunto che la Siria sta cooperando pienamente con gli ispettori dell’ONU. Sono siti concordati in anticipo per l’esame. “Le condizioni internazionali e regionali non consentono un attacco militare degli Stati Uniti in Siria”, ha detto SANA. “Quando le indagini dimostreranno che i gruppi armati sono stati quelli che hanno utilizzato armi chimiche, cosa faranno gli Stati Uniti attaccheranno i gruppi terroristici che hanno armato? “ “La comunità internazionale deve fare una vera e propria presa di posizione o continuerà a cercare una giustificazione per l’uso di questo tipo di arma da parte dei terroristiribelli?” Il 25 agosto, il sito collegato con il Mossad, DEBKAfile (DF) titolava “L’azione militare è stata preparata per la Siria. Israele, Giordania, Turchia sono pronte per una risposta Siriana. La Russia è in allerta di guerra “. I potenti alleati di Washington sia in occidente che i medio oriente hanno Esercito italiano Alessandro Carrisi, caporale; Emanuele Ferraro, caporale maggiore capo; Massimo Ficuciello, tenente; Silvio Olla, maresciallo; Pietro Petrucci, caporale. 10 cominciato a muoversi verso “un primo attacco contro la Siria”. Ciò potrebbe “segnare l’inizio di una seria di attacchi a guida Usa volti a rovesciare il regime di Assad.” Essi possono “imporre una no-fly zone”. Essi possono iniziare “sigillando settori del nord e del sud della Siria contro le forze governative.” Obama sta si sta dirigendo verso l’intervento diretto. E ‘convinto che questi attacchi “devono essere condotte anche al di fuori della giurisdizione delle Nazioni Unite.” In questo modo viola il diritto internazionale. L’America viola questi principi ripetutamente e lo fa da sempre con impunità. Comandanti militari occidentali e regionali si incontreranno Domenica ad Amman. Sono azioni coordinate contro la Siria. “Le forze armate israeliane si stanno muovendo in segreto.” Stanno preparandosi “per contrastare la Siria e proteggersi da eventuali attacchi missilistici. Come loro anche la Giordania e la Turchia.” Una “esplosione del terrorismo” è prevista. La Russia ha collocato le sue flotte nel Mediterraneo, compresa quella proveniente dal Mar Nero e ha alzato l’allerta in “Stato di guerra”. Lo ha fatto per le sue forze di intervento rapido della zona sud / centrale. “ I leader occidentali cercano la prova che la Siria sia responsabile per l’incidente di Mercoledì. Essi non possono ottenere ciò che vogliono. “La prova forense sarà quasi impossibile da ottenere in considerazione della particolare miscela contenuta nei gusci dei gas. Solo piccole quantità di sarin sono state mescolate con una grande quantità di agenti antisommossa “. Subito si è parlato di un coinvolgimento dell’Iran ma questo non ha sorpreso. Inoltre non sono state citate alcun tipo di prove credibili. Inoltre è stato sostenuto che Teheran abbia “sviluppato” la “formula usata in questi attacchi per camuffare l’uso di armi chimiche.” Il 25 agosto, La Voce della Russia (VR) titolava “I ribelli siriani hanno prodotto armi chimiche fuori da Damasco.” Il contenuto dell’articolo riferisce le medesime notizie raccolte qua sopra. Si dice che militari Siriani hanno scoperto un magazzino con agenti chimici. Il canale Siriano Al-Ihbariya e il suo corrispondente Yara Saleh è stata tra i giornalisti presenti per ispezionare il sito. La corrispondente ha riferito a La Voce di Russia, che contestualmente è stato scoperto un laboratorio attrezzato con conchiglie piene di sostanze chimiche velenose. Gli insorti “hanno lanciato due missili pieni di gas velenoso nel quartiere Jobar che ha causato nausea e asfissia ai soldati siriani” ha detto. “Qualche tempo dopo, quando l’esercito siriano è riuscito a riprendere il controllo di quel sobborgo, hanno trovato il magazzino e il laboratorio in cui questi gusci sono stati conservati , ripieni di agenti tossici.” “Sono stati trovati anche Scatole con nuove maschere antigas. Portavano le etichette ‘Made in USA’. Il fatto che i ribelli non hanno usato quelle maschere a gas dimostra che essi non erano stati attaccati con i gas velenosi “. “Due vasi di vetro con etichette ‘Made in Arabia Saudita’ sono stati trovati anche lì. Armi ed esplosivi fatti in Arabia Saudita sono stati trovati in Siria, in passato pure. Gli esperti determineranno il contenuto di tali ritrovi”. “Inoltre, hanno trovato vasi di plastica contenenti sostanze chimiche non identificate, una strana polvere bianca e un sacco di diversi tipi di esplosivi e munizioni.” “Il governo siriano è preoccupato che i ribelli potrebbero avere più scorte di tali agenti chimici che potrebbero usare contro i civili”. Il 25 agosto, Fars Notizie intitolato “Al-Nusra minaccia di lanciare attacchi chimici sulle città siriane”, dicendo: “In un messaggio audio di due minuti oggi, Al-Nusra tramite il suo comandante Abu Muhammad al-Joulani ha minacciato il governo siriano di lanciare attacchi chimici sulle città sciita dominati, aggiungendo che il gruppo terroristico prevede di utilizzare 1.000 razzi per tale scopo.” Questo tipo di commento dimostra che le forze dei ribelli hanno accesso alle armi chimiche. Le informazioni discusse in precedenza e gli articolo precedenti indicano chiaramente chi 11 rifornisce gli armamenti chimici ai ribelli. Non aspettatevi che i mascalzoni dei media stiano li a spiegarvi il perché. Secondo la Fars News: A seguito dell’incidente di Mercoledì “due telefonate hanno rivelato che le armi chimiche in Siria sono state utilizzate dai ribelli.” “Una telefonata tra un militante affiliato al cosiddetto Battaglione ‘Shuhada al-Bayada ‘ a Homs e il suo capo chiamato Adulbasit dall’Arabia Saudita ha rivelato che i combattenti antigovernativi utilizzavano le armi chimiche in Deir Ballba nella campagna di Homs”. “Un’altra telefonata ha rivelato che due gruppi ribelli avevano cercato di ottenere due cilindri di gas Sarin da Barzeh, un quartiere di Damasco per essere utilizzato a Homs.” Russia e Cina si oppongono con forza all’intervento militare contro la Siria. La Siria e l’Iran hanno avvisato che ciò porterebbe infiammare l’intera regione. Lo hanno fatto dopo che i funzionari occidentali hanno promesso una “risposta seria.” Hanno in mente la diplomazia dei Tomahawk Sono dei missili a lungo raggio, missili subsonici da crociera. Sono stati utilizzati la prima volta nel 1970. Sono stati migliorati militarmente in modo significativo più volte nel corso degli anni. Navi di superficie e sommergibili sarebbero pronte a lanciare. Washington ha una presenza regionale formidabile. Le stelle sembrano essere allineate nel modo sbagliato. La velocità del vento di guerra è in aumento. La maggior parte degli americani si oppongono ad un attacco contro la Siria. Vogliono che le guerre attuali siano chiuse. Non ha importanza. Obama sembra puntare in tutt’altra direzione. fractionsofreality.blogspot.com 12 13 Siria, la demonizzazione preventiva L’opera di demonizzazione preventiva è sempre la stessa. La si ritrova, ugualmente modulata, su tutti i quotidiani e in tutte le trasmissioni televisive, di destra come di sinistra. In quanto totalitario, il sistema della manipolazione organizzata e dell’industria culturale occupa integralmente la destra, il centro e la sinistra. Il messaggio dev’essere uno solo, indiscutibile. Armi chimiche, armi di distruzione di massa, violazione dei diritti umani: con queste accuse, la Siria è oggi presentata mediaticamente come l’inferno in terra; per questa via, si prepara ideologicamente l’opinione pubblica alla necessità del bombardamento, naturalmente in nome dei diritti umani e della democrazia (la solita foglia di fico per occultare la natura imperialistica delle aggressioni statunitensi). Alla demonizzazione preventiva come preambolo del “bombardamento etico” siamo abituati fin dall’inizio di questa “quarta guerra mondiale” (cfr. C. Preve, La quarta guerra mondiale, All’insegna del Veltro, Parma 2008). Successiva ai due conflitti mondiali e alla “guerra fredda”, la presente guerra mondiale si è aperta nel 1989 ed è di ordine geopolitico e culturale: è condotta dalla “monarchia universale” – uso quest’espressione, che è di Kant, per etichettare la forza uscita vincitrice dalla guerra fredda – contro the rest of the world, contro tutti i popoli e le nazioni che non siano disposti a sottomettersi al suo dominio. Iraq 1991, Jugoslavia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2004, Libia 2011: queste le principali fasi della nuova guerra mondiale come folle progetto di sottomissione dell’intero pianeta alla potenza militare, culturale ed economica della monarchia universale. La Siria è il prossimo obiettivo. L’apparato dell’industria culturale si è già mobilitato, diffamando in ogni modo lo Stato siriano, in modo da porre in essere, a livello di opinione pubblica, le condizioni per il necessario bombardamento umanitario. Il presidente statunitense Obama non perde occasione per presentare la Siria come il luogo del terrorismo e delle armi di distruzione di massa, in modo che l’opinione pubblica occidentale sia pronta al bombardamento del nemico. La provincia italiana – colonia della monarchia universale – ripete urbi et orbi il messaggio ideologico promosso dall’impero. È uno spettacolo vergognoso, la prova lampante (se ancora ve ne fosse bisogno) della subalternità culturale, oltre che geopolitica, dell’Italia e dell’Europa alla potenza mondiale che delegittima come terrorista la benemerita resistenza dei popoli e degli Stati che non si piegano al suo barbaro dominio. Il primo passo da compiere, per legittimare l’invasione imperialistica camuffata da interventismo umanitario, resta la reductio ad Hitlerum di chi è a capo degli Stati da invadere, non a caso detti rogue States, “Stati canaglia” (in una totale delegittimazione a priori della loro stessa esistenza): da Saddam Hussein a Gheddafi, da Chavez ad Ahmadinejad, la carnevalata è sempre la stessa. Vengono ridotti a nuovo Hitler e a nuovo nazismo tutte le forze che non si pieghino al nomos dell’economia di cui è alfiere la monarchia universale. Del resto, l’invenzione mediatica di sempre nuovi Hitler sanguinari si rivela immancabilmente funzionale all’attivazione del “modello Hiroshima”, ossia del bombardamento legittimato come male necessario. Dove c’è un Hitler, lì deve esserci anche una nuova Hiroshima. L’ideologia della pax romana costituisce una costante del corso storico. Ogni impero qualifica come pace la propria guerra e delegittima come terrorismo e barbarie quella dei resistenti. Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant: il vecchio adagio di Tacito non è mai stato tanto attuale. La reductio ad Hitlerum si accompagna pressoché sempre all’impiego ideologico del concetto di umanità come titolo volto a giustificare – come già sapeva Carl Schmitt (cfr. Il concetto del politico) – l’ampliamento imperialistico. La guerra che si autoproclama umanitaria serve non solo a glorificare se stessa, ma anche a delegittimare il nemico, a cui è negata in principio la qualità stessa di uomo. Contro un nemico ridotto a Hitler e a essere non umano, il conflitto può allora essere spinto fino al massimo grado di disumanità, in una completa neutralizzazione di ogni dispositivo inibitorio di una violenza chiamata a esercitarsi in forma illimitata. Vale la pena di leggere il profetico passo di Schmitt: «Un imperialismo fondato su basi economiche cercherà naturalmente di creare una situazione mondiale nella quale esso possa impiegare apertamente, nella misura che gli è necessaria, i suoi strumenti economici di potere, come restrizione dei crediti, blocco delle materie prime, svalutazione della valuta straniera e così via. Esso considererà come violenza extraeconomica il tentativo di un popolo o di un altro gruppo umano di sottrarsi agli effetti di questi metodi “pacifici”». È questa l’essenza dell’odierna “quarta guerra mondiale”, puntualmente dichiarata contro i popoli che aspirano a sottrarsi all’imperialismo statunitense (e subito dichiarati terroristi, assassini, nemici dei diritti umani, “Stati canaglia”, ecc.). In coerenza con la destoricizzazione tipica del nostro presente, l’epoca che si colloca sotto lo slogan dell’end of history, la dimensione storica viene sostituita, a livello di prestazione simbolica, ora dallo scontro religioso tra il Bene e il Male (identificati rispettivamente con l’Occidente a morfologia capitalistica e con le aree del pianeta che ancora resistono), ora dal canovaccio della commedia che, sempre uguale, viene impiegato per dare conto di quanto accade sullo scacchiere geopolitico: il popolo compattamente unito contro il dittatore sanguinario (Assad in Siria), il silenzio colpevole dell’Occidente, i dissidenti “buoni”, cui è riservato il diritto di parola, e, dulcis in fundo, l’intervento armato delle forze occidentali che donano la libertà al popolo e abbattono il dittatore mostrando con orgoglio al mondo intero il suo cadavere (Saddam Hussein, Gheddafi, ecc.). Seguendo penosamente l’ideologia dominante, la sinistra italiana continua a rivelare, anche in questo, una subalternità culturale che farebbe ridere se non facesse piangere: da “L’Unità” a “Repubblica” l’allineamento con l’ideologia dominante è totale (ed è, per inciso, un’ulteriore prova a favore della tesi circa l’ormai avvenuta estinzione della dicotomia tra una destra e una sinistra perfettamente interscambiabili, composte da nietzscheani “ultimi uomini”). La parabola che porta dall’immenso Antonio Gramsci a Massimo D’Ale- ma è sotto gli occhi di tutti e si commenta da sé. Secondo questa patetica commedia, tutti i mali della società vengono imputati al feroce dittatore di turno (sempre identificato dal circo mediatico con il nuovo Hitler: da Saddam a Gheddafi, da Ahmadinejad a Chávez), che ancora non si è piegato alle sacre leggi di Monsieur le Capital; e, con movimento simmetrico, il popolo viene mediaticamente unificato come una sola forza che lotta per la propria libertà, ossia per la propria integrazione nel sistema della mondializzazione capitalistica. Come se in Siria o a Cuba vi fossero solo dissidenti in attesa del bombardamento umanitario dell’Occidente! Come se la libertà coincidesse con la reificazione planetaria e con la violenza economica di marca capitalistica! Tra i molteplici esempi possibili, basti qui ricordare quello della blogger cubana Yoani Sánchez, ipocritamente presentata dal circo mediatico come se fosse l’unica voce autentica della Cuba castrista, la sola sostenitrice dell’unica libertà possibile (quella della società di mercato) dell’intera isola cubana! L’aggressione imperialistica della monarchia universale può trionfalmente essere salutata come forma di interventismo umanitario, come gloriosa liberazione degli oppressi, essi stessi presentati come animati da un’unica passione politica: l’ingresso nel regime della produzione capi- 14 talistica e la sottomissione incondizionata alla monarchia universale. La Siria, come si diceva, è uno dei prossimi obiettivi militari della monarchia universale. È, al momento, uno dei pochi Stati che ancora resistono alla loro annessione imperialistica all’ordine statunitense. E questo del tutto a prescindere dalla politica interna siriana, con tutti i suoi limiti lampanti, che nessuno si sogna di negare o anche solo di ridimensionare. Con buona pace di Norberto Bobbio e di quanti, dopo di lui, si ostinano a legittimate le guerre “umanitarie” occidentali, la sola guerra legittima resta, oggi, quella di resistenza contro la barbarie imperialistica. Per questo, con buona pace del virtuoso coro politicamente corretto, addomesticato e gravido di ideologia, senza esitazioni occorre essere solidali con lo Stato siriano e con la sua eroica resistenza all’ormai prossima aggressione imperialistica. La Siria, come Cuba e l’Iran, è uno Stato che resiste e che, così facendo, insegna anche a noi Occidentali che è possibile opporsi all’ordine globale che si pretende destinale e necessario. Diventa, allora, possibile sostenere degli Stati resistenti quanto Fenoglio, nel Partigiano Johnny, asseriva a proposito dei partigiani (anch’essi eroi della resistenza, come oggi i rogue States): “ecco l’importante: che ne restasse sempre uno”. www.lospiffero.com Carla del Ponte: Le armi chimiche in Siria sono state usate dai ribelli. Carla del Ponte, membro della commissione d’indagine sulla violazione dei diritti umani in Siria, ha dichiarato alla televisione svizzera che le deposizioni di testimoni e vittime di Guta orientale a Damasco “E’ evidente che il sarin, un gas nervino paralizzante, è stato usato dai guerriglieri dell’opposizione”. La del Ponte ha sottolineato che “La commissione d’esperti non ha trovato prove che le truppe governative abbiano usato armi chimiche”. Allo stesso tempo però Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu, ha dichiarato che gli esperti delle Nazioni Unite sulle armi chimiche che stanno lavorando in Siria hanno bisogno di tempo per prendere una decisione e stilare il loro rapporto. 15 16 Siria: Le atrocità dei ribelli sui cristiani La tragica denuncia di un sacerdote siriano “I terroristi islamici hanno rapito 200 donne cristiane: saranno stuprate fino alla morte”. La tragica denuncia di un sacerdote siriano di Padre Nader Jbeil Cari Amici, A fallen chandelier lies on debris in Im Al-Zinar church that was damaged during clashes between Syrian Rebels and the Syrian Regime in Bustan al Diwan, Homsvi scrivo con grande rammarico e con il cuo- re profondamente ferito per l’ondata di violenza provocata dai terroristi mussulmani che trafigge giornalmente la Siria e che ha colpito anche il Libano. Ne è la prova il recente attentato a Beirut, dove con un’autobomba piazzata dai ribelli islamici sono morti più di quaranta civili e altri cinquecento sono stati feriti. La paura e l’orrore era visibile negli occhi di noi tutti. Tutto ciò si inserisce in quella drammatica spirale di sangue dove centinaia di innocenti 17 ogni giorno perdono la vita. Questa amici carissimi è solo una goccia nell’oceano di violenza che ogni singolo giorno sono costretti a subire i nostri fratelli cristiani. In Siria, la notte di Ferragosto ad Homs, nel villaggio cristiano di Marmarita dove c’è un santuario dedicato alla Madonna, i terroristi islamici di Jabhat al Nusra, per la sua posizione strategica hanno occupato l’antico castello trasformandolo nel loro nascondiglio e vi hanno consumato un nuovo massacro. Atrocità indescrivibili contro civili innocenti divenuti vittime sacrificali nel vortice della violenza compiuta da “bestie” assetate di sangue, trentacinque cristiani uccisi, non si conta il numero di feriti, e più di duecento donne (soprattutto ragazze) rapite, letteralmente trascinate e ridotte in schiavitù nel villaggio di Der al Zor, roccaforte dei terroristi di Jabhat al Nusra. Il destino di ognuna di loro è segnato dalla violenza e dalla crudeltà che subiranno, saranno torturate e stuprate, fino a quando la “morte” le libererà da tanta malvagità. La violenza continua nella città di Damasco dove anche ieri i terroristi islamici hanno bombardato il quartiere cristiano e dato alle fiamme l’ennesima chiesa, attacchi sempre mirati per colpire al “cuore” dei cristiani rimasti nella loro patria a difendere quello che di più sacro ha ogni essere umano il diritto alla propria dignità e a professare liberamente il proprio “credo”. L’obiettivo è annientare a qualunque costo, i luoghi che da duemila anni sono la “culla” del cristianesimo, e sottomettere tutti alla legge dell’islam, come è già successo in Afghanistan. Non c’è più un posto sicuro per i nostri fratelli “cristiani”, giorno dopo giorno c’è solo dolore e pianto di mamme disperate a cui uccidono figli e rapiscono figlie, anziani che silenziosamente vivono questo orrore impotenti davanti a tanta crudeltà e devastazione, padri inermi perché non possono difendere le proprie famiglie e dar loro un sicuro rifugio. Amici, le immagini delle continue atrocità a cui assisto ogni giorno, sono impresse nella mia mente, e il mio cuore è gonfio di angoscia, vi chiedo di unirvi a noi nella fervente e incessante preghiera al cuore Immacolato di Maria, nostra mediatrice presso Dio perché il seme della pace abiti in ogni cuore. Per questo chiedo ancora il vostro sostegno, avete già fatto tanto, ma vi chiedo di fare ancora di più, abbiamo bisogno di ogni più piccolo aiuto che ognuno di voi ci possa dare, aiuti economici e aiuti materiali, vi prego non lasciate inascoltato il mio grido che è la voce di migliaia di grida strazianti di chi ormai vive solo tra dolore e lacrime e ha perso tutto. Che il Signore benedica voi e le vostre famiglie. Direttore Radio Sawt el Sama 18 19 La guerra all’Iran si avvicina Esistono fattori ed elementi oggettivi che indicano l’avvicinarsi, forse anche più rapido di quanto previsto all’indomani delle elezioni americane, della guerra contro l’ Iran. Guerra che vedrà protagonisti gli Stati Uniti, Israele, l’ Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Kuwait e la Turchia. Gli indicatori e i segnali sono molteplici e come dicevamo sono oggettivi. Vediamoli insieme L’Iran ha aumentato in modo considerevole, per non dire impressionante, le proprie capacità di arricchimento dell’Uranio nel sito sotterraneo di Fordow rendendo i due siti più famosi di Parchin e Natanz degli obiettivi secondari sia delle eventuali ispezioni IAEA, sia di un possibile attacco aereo alleato. Nonostante ciò l’installazione delle nuove centrifughe IR2 a Natanz fa sì che dopo Fordow anche Natanz potrebe essere colpito dallo Strike Le trattative del Gruppo dei 5+1 sono sempre più dei vuoti esercizi accademici di diplomazia, l’Iran ha dichiarato attraverso alti rappresentanti delle commissioni inerenti la sicurezza nazionale che accetterà di partecipare a colloqui costruttivi solo in condizioni di pari dignità rispetto agli altri paesi, richiedendo espressamente lo stop alle sanzioni economiche e commerciali. In Kazakistan ad Almaty si é svolto un round decisivo, ma nessun accordo é stato raggiunto e se, anche nei colloqui di aprile non si registreranno progressi, la finestra utile per la diplomazia si chiuderà rapidamente Alcuni report indicano che si sia proceduto ad una precoce estrazione e verifica delle barre di combustibile irradiato nella centrale nucleare di Busher nel mese di ottobre. Le barre di combustibile erano state inserite nel reattore solo alcuni mesi fa, e avrebbero potuto fornire energia al reattore per un periodo di tempo decisamente maggiore, lo scopo della loro sostituzione non è noto. Strettamente legate alle attività presso la centrale di Busher potrebbero ricollegarsi le missioni di Droni americani nella zona, missioni che si sono concentrate, per stessa ammissione degli iraniani in una loro denuncia alle nazioni unite di venerdì 23 novembre 2012, nell’area della centrale. All’apice di questi episodi si è registrato il tentativo dell’aviazione delle Guardie della Rivoluzione di abbattere un predator americano che sorvolava il braccio di mare nei pressi della centrale. Elemento che va considerato come un atto ostile se non un vero e proprio atto di guerra. L’Iran ha ammesso di fornire con regolarità ad Hamas armi offensive come i missili Fajer 3 e Fajer 5, in grado di colpire in profondità il territorio di Israele ed in particolare le grandi aree urbane civili. Un atteggiamento non solo di sfida ma un concreto atto ostile nei confronti dello stato di Israele e degli Stati Uniti. In questa ottica va tenuta in grande considerazione la possibile spedizione di tali armi via mare con destinazione il porto commerciale di Port Sudan. In Turchia sono state dispiegate sei batterie del sistema antimissile Patriot, e potrebbe essere operativa una piccola flotta di aerei radar AWACS e JSTAR. Ufficcialmente questi asset operativi sono dispiegati in Turchia per contrastare la potenziale minaccia siriana nel caso la guerra civile degeneri rapidamente. Sarà fondamentale capire se verranno schierate altre batterie Patriot o THAAD, e se soltanto una di esse fosse posizionata a difesa di un’area metropolitana lontana dal confine siriano, pensiamo alla stessa capitale Ankara o addirittura Istanbul, sarebbe un segnale chiaro che i missili Nato non sono in Turchia per difendere il territorio solamente dagli Scud di Al Assad ma per difendere basi aeree, installazioni radar e città turche dai missili balistici iraniani Shahab-3, che sono in grado di raggiungere tranquillamente ogni angolo di suolo turco. Inoltre alcuni giorni fa il ministro degli interni turco ha apertamente accusato gli iraniani di fornire supporto attivo ai nazionalisti curdi che combattono la Turchia. L’america ha rimandato il dispiegamento delle proprie unità portaerei, ufficialmente per problemi di Budget, ma questa mossa consente agli Stati Uniti di poter schierare simultaneamente 4/5 Gruppi di Attacco Portaerei (CSG) nei punti caldi del globo nei prossimi mesi. I primi B/2 in grado di trasportare le MOP (Massive Ordnance Penetrator) le bombe da 15000 kg in grado di bucare Fordow, sono entrati in linea di volo e sono Combat Ready Negli Emirati Arabi Uniti Stazionano ormai con regolarità 8 F/22 Raptor, che i nostri analisti ritengono essere mezzi potenzialmente utilizzabili non nel loro classico ruolo di superiorità aerea, ma nel’insolito ruolo di Bombardieri Stealth supersonici per un second Strike, quando la sopravvivenza dei B/2 non sarebbe garantita in un’ottica di Strike mirato e chirurgico. Sempre negli Emirati staziona un gruppo di velivoli Eurofighter della Gran Bretagna, mezzi ideali per supportare sia le missioni SEAD ( Suppression of Enemy Air Defence, la distruzione dei sistemi antiaerei del nemico) che di superiorità aerea. Negli Emirati e in Baharein stazionana un’imponente flotta di cacciamine e di mezzi per le forze speciali, guidata dalla Uss Ponce una vecchia nave da sbarco americana trasformata in base comando per le forze speciali e la caccia alle mine. In Arabia Saudita mezzi aerei americani e sauditi sono concentrati nelle principali basi aeree del paese in un ambiente ostile come il deserto con alti costi di mantenimento e manutenzione, in tempi di crisi la volontà di mantenere tale forza pronta all’impiego deve essere sottesa a confrontare una minaccia concreta e presente. In Israele data la tensione con la Siria i sistemi antimissile Patriot e Iron Dome sono dispiegati, “condizio sine qua non” per un attacco all’Iran, ciò perché poche ore dopo lo Strike le città e le installazioni strategiche civili e militari di Israele subiranno un Barrage di Razzi e Missili; per questo motivo i sistemi antimissile devono essere già dispiegati. L’Iran svolge con regolarità manovre di tutte le sue forze militari e paramilitari, e con grande regolarità presenta al mondo nuovi prodotti dell’industria bellica: sottomarini tascabili, nuove unità navali leggere, piccoli caccia derivati dall’americano F/5, nuovi mezzi corazzati e sistemi antiaerei sia navali che terrestri. Questi sono parte dei fatti che ci inducono a pensare che la guerra tra l’Iran e gli Stati Uniti sia più vicina che mai, tutto il nostro gruppo spera che la diplomazia e la ragione prevalgano sulla forza delle armi ma questi sono i segnali che arrivano dalla regione, questi sono fatti concreti raccolti su fonti Open Source che documentano i preparativi di una guerra nel Golfo Persico e in tutta la regione mediorientale. www.geopoliticalcenter.com 20 Se Assad cade vince Al Qaeda 21 Il “casus belli” non va ricercato sui campi di battaglia della Siria, ma all’interno dello Studio Ovale Invia per Email Stampa agosto 29, 2013 Gian Micalessinwww.tempi.it Le prove sull’uso di armi chimiche da parte del regime non ci sono. Mentre cresce il sospetto di un’operazione militare propagandistica decisa a tavolino da Obama, Hollande e Cameron. La solita guerra Barack ObamaIn un’intervista televisiva alla Pbs, il presidente Obama ha detto che ”non abbiamo preso ancora alcuna decisione, ma quando e se la prenderemo, l’intervento in Siria sarà limitato, non vogliamo un lungo conflitto. Ma il regime di Assad riceverà un durissimo colpo”. Secondo Obama, è sicuro che sia stato Assad a usare le armi chimiche. In questo articolo tratto dal settimanale Tempi (che esce oggi in edicola), l’esperto inviato di guerra Gian Micalessin ci spiega “cosa non torna” nella decisione obamiana di attaccare in Siria. Noi vi ricordiamo di firmare l’appello contro l’intervento armato Oscenità morale. John Kerry liquida così l’episodio di Ghouta, la località siriana alle porte di Damasco dove a dar retta al segretario di Stato statunitense il governo siriano avrebbe usato le armi chimiche contro i ribelli. In verità più che di oscenità morale si tratta di oscenità intellettuale. Gettata in faccia ai cittadini america- ni, ai loro alleati e al resto del pianeta. Chiederci di scendere in guerra e avallare le avventure obamiane sulla base di quanto successo in quel villaggio alle porte di Damasco è il vero insulto al buon senso del mondo e dei suoi abitanti. Per comodità di chi non avesse seguito la vicenda riassumiamo. Nelle campagne di Ghouta, alla periferia della capitale siriana, l’esercito governativo fronteggia da mesi le formazioni dei ribelli anti Assad, tra cui una vasta compagine di Jasbat al Nusra, la fazione esplicitamente legata ad Al Qaeda. Da mesi i governativi bombardano le postazioni dei guerriglieri. Da mesi gli insorti si muovono di casa in casa spostandosi attraverso tunnel sotterranei e occupando le abitazioni dei civili. A Ghouta come a Jobar, un villaggio distante un paio di chilometri dal centro della capitale, la maggioranza della popolazione ha da tempo abbandonato le case cercando rifugio o a Damasco o in zone rurali non toccate dai combattimenti. Nella cronaca di questo stillicidio bellico s’inserisce, il 18 agosto, l’arrivo a Damasco di una squadra di osservatori dell’Onu mandati a indagare sull’uso di armi chimiche da parte del governo e dei ribelli. Esattamente 72 ore dopo l’arrivo degli ispettori, i ribelli incominciano a diffondere, prima su Youtube e poi su Al Jazeera e su Al Arabiya, le immagini di un presunto attacco chimico contro la popolazione civile. ribelli-siria-terrorismo-nusra-jihadQuel che stupisce in quelle immagini è l’evidente diversità rispetto a quanto visto nel marzo 1988 ad Halabja dove Saddam Hussein utilizzò i gas per sterminare le popolazioni curde. Ad Halabja ben poche delle persone contaminate vennero soccorse sul posto. Vittime e sanitari morirono raggomitolati nelle strade, stroncati in pochi minuti dalle esalazioni velenose. Si salvò solo chi riuscì a spostarsi in fretta verso la periferia della cittadina, muovendosi nella direzione opposta rispetto a dove il vento spingeva la nube tossica. Soccorsi e cure mediche vennero prestati solo a debita distanza. A Ghouta, zona di guerra da molti mesi, assistiamo invece a una sorprendente presenza di civili e di sanitari impegnati a far funzionare ospedali e pronto soccorsi. Ancor più stupefacente è la perfetta forma fisica di medici e infermieri capaci di operare senza mascherine e prestar soccorso a bimbi e donne agonizzanti a causa dei gas. Singolare è anche la severa e disciplinata perfezione con cui i fanciulli avvolti nei sudari di morte vengono allineati non vicino ai familiari caduti, ma in una ordinata fila riservata agli obiettivi di macchine fotografiche e telecamere. La tragedia riassunta in quel composto ordine filmico assume l’aspetto di una farsa. Una farsa sceneggiata per 22 descrivere una strage degli innocenti, far sanguinare i cuori e suscitare l’indignazione dell’opinione pubblica occidentale. Nell’apparente perfezione di queste immagini quel che continua a mancare è la logica dei numeri. L’osservatorio per i diritti umani di Londra, un’organizzazione finanziata dal Congresso americano e legata all’opposizione moderata, registra 322 vittime. Le altre fonti ribelli fanno salire il bilancio fin oltre i 1.700 morti. In questa lotteria, a una settimana di distanza non esiste ancora una verità accertata. L’unica certezza è il tentativo di accreditare l’utilizzo di armi chimiche da parte di un regime deciso a sterminare gli oppositori arrivati a minacciare da vicino le zone governative di Damasco. La verità però è molto diversa. siria-ribelli-nusraPerché Assad dovrebbe suicidarsi? Mentre i ribelli distribuiscono quelle immagini l’esercito di Assad non si muove di un millimetro, non tenta nemmeno di approfittare del caos e della paura generate da quei gas per far indietreggiare i nemici e riprendersi i villaggi contesi. Assad, insomma, dopo aver tenuto sotto chiave per oltre due anni e mezzo le scorte di armi chimiche accumulate nei decenni, avrebbe deciso di incominciare a sperimentarne l’uso sotto il naso degli ispettori chimici alloggiati in un hotel distante non più di venti chilometri da Ghouta. E come se non bastasse, lui e i suoi generali avrebbero deciso di affrontare la condanna del mondo senza cercare di trarne alcun vantaggio strategico. Avrebbero disseminato sarin e altri veleni non per riconquistare la zona di Ghouta e dintorni, ma semplicemente per diffondere il terrore chimico. Vien da chiedersi allora perché non lo abbiano fatto ad Al Qusayr, la roccaforte dei ribelli al confine con il Libano, riconquistata a giugno dopo due mesi di durissimo assedio costati la vita di migliaia di combattenti di entrambe le parti. Vien da domandarsi perché non lo facciano ad Aleppo, dove dall’agosto del 2012 l’esercito sacrifica uomini e mezzi per impedire ai ribelli d’impadronirsi del secondo centro urbano del paese. O perché non l’abbiano fatto sulle montagne sopra Latakia, dove ai primi di ago- sto gruppi di miliziani jihadisti sono entrati nei villaggi alawiti sgozzando e massacrando decine di civili colpevoli soltanto di appartenere alla stessa religione del presidente. Insomma, a dar retta a Kerry e all’amministrazione Obama, sostenuti in questa pretestuosa ricerca di un “casus belli” da Londra e Parigi, Bashar Assad avrebbe deciso il suicidio politico militare offrendo all’Occidente lo stesso cavillo usato per far fuori Saddam Hussein. Si trattasse solo di Assad e dei suoi generali potremo, forse, anche crederlo. Il problema è che in questa vicenda lo scontro non è solo con loro, ma anche con Vladimir Putin e gli ayatollah di Teheran. Ed è sinceramente poco credibile che alleati smaliziati come l’Iran e la Russia permettano a un proprio protetto di offrire un gancio clamoroso a un Obama, un Hollande o un Cameron alla ricerca di pretesti da ormai molti mesi. In verità, l’autentico “casus belli” non va ricercato sui campi di battaglia siriani, ma all’interno stesso dello Studio Ovale. In cinque anni di mandato il presidente democratico ha collezionato una serie di insuccessi senza precedenti. Siria, decine di vittime a Damasco dopo due attentatiL’ansia di riscatto della Casa Bianca Ha iniziato la presidenza tendendo la mano ai popoli arabi e si è ritrovato a delegare a Qatar e Arabia Saudita, due paesi che a casa loro non hanno mai permesso una singola elezione democratica, la costruzione di un islam democratico. Da lì è iniziato il disastro che ha regalato la Tunisia, la Libia e l’Egitto al fondamentalismo e al caos. Ma ora rimettere il genio nella bottiglia è impossibile e dunvolta que Obama non può che continuare sulla stessa strada. Il suo obiettivo è giocarsi il tutto per tutto con un conflitto risolutivo per accreditarsi il merito di aver eliminato un dittatore come Bashar Assad e di aver frantumato l’area d’influenza iraniana in Medio Oriente. Questa lotteria finale è però assai rischiosa. Questa 23 davanti a sé l’America di Obama non ha un dittatore solo e isolato, come lo erano Saddam e Gheddafi. Davanti a sé Obama ha una coalizione di potere e d’interessi che unisce Putin, gli ayatollah di Teheran, i miliziani sciiti di Hezbollah. Dietro ha un’Europa esitante e sempre più divisa, con una Germania, un’Italia e molti altri paesi poco disposti a combattere al fianco dei fondamentalisti per difendere l’immagine di Obama, gli affari di Hollande con il Qatar o gli imperscrutabili calcoli geo-economici dell’Inghilterra di Cameron. L’Obama alla disperata ricerca di un riscatto dopo cinque anni di fallimenti, rischia dunque di ritrovarsi da solo sull’orlo di un conflitto di dimensioni mondiali. Un conflitto capace di far tracimare il caos della Siria in tutta la regione, gettare nella confusione l’intero bacino del Medio Oriente e trasformare una presunta e mai provata oscenità in un inesauribile e irrisolvibile orrore. www.tempi.it Mark Weber: un profilo biografico Mark Weber è uno storico americano, autore, conferenziere e attuale analista di affari con una conoscenza specialistica della politica estera degli Stati Uniti, le relazioni internazionali, la seconda guerra mondiale, e, più in generale, della storia europea e americana del ventesimo secolo. Weber è autore di numerosi articoli, recensioni e saggi che si occupano di questioni politiche, storiche e sociali, che sono apparsi in varie riviste, e in una serie di lingue. Nel corso degli anni ha tenuto numerose conferenze e interviste sulla politica estera degli Stati Uniti, a lungo termine delle tendenze socio-politiche negli Stati Uniti, e le relazioni internazionali. Ha prodotto molte decine di colloqui di broadcast. Weber è stato ospite di numerosi talk show radiofonici, ed è apparso molte volte in televisione, anche sulla trasmesso a livello nazionale “Hannity e Colmes” e “Montel Williams” spettacoli. Ha condotto innumerevoli interviste con televisione, radio e stampa ai giornalisti di tutti gli Stati Uniti, e da molti paesi d’oltremare. Weber è anche direttore del Institute for Historical Review , un indipendente, di ricerca di interesse pubblico e centro editoriale nel sud della California che si occupa di promuovere la pace, la comprensione e la giustizia attraverso una maggiore consapevolezza pubblica del passato. In particolare, la RSI si sforza di migliorare la comprensione delle cause, la natura e le conseguenze della guerra e dei conflitti. Mark Weber è nato nel 1951 a Portland, Oregon, dove è stato anche sollevato. Ha studiato storia all’Università dell’Illinois (Chicago), l’Università di Monaco di Baviera (Germania), e Portland State University, dove ha ricevuto una laurea in storia (con il massimo dei voti). Ha vissuto e lavorato per due e mez- zo anni in Germania (Bonn e Monaco di Baviera), e per un certo tempo in Ghana (Africa occidentale), dove ha insegnato inglese, storia e geografia in una scuola secondaria. Durante i cinque anni ha vissuto a Washington, DC, ha svolto un’ampia ricerca storica presso l’Archivio Nazionale e la Biblioteca del Congresso. Egli è a volte denigrato come un “negazionista”, un’etichetta che respinge come falsa e diffamatoria. Uno sguardo sulla lobby ebraica in America Per decenni Israele ha violato i principi codificati del diritto internazionale e sfidato numerose risoluzioni delle Nazioni Unite a proposito dei territori palestinesi occupati, delle uccisioni extra giudiziarie e dei suoi ripetuti atti d’aggressione militare. Gran parte del mondo considera la politica israeliana, e specialmente la sua oppressione dei Palestinesi, come vergognosa e criminale. Questa opinione comune internazionale è riflessa, per esempio, in numerose risoluzioni dell’ONU che condannano Israele e che sono state approvate da schiaccianti maggioranze. “Il mondo intero” - ha recentemente affermato il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan - “chiede che Israele si ritiri (dai territori palestinesi occupati). Ed io non credo che il mondo intero... possa essere in errore.” (1) Solo negli Stati Uniti i politici ed i media sostengono ancora fedelmente Israele e la sua politica. Per decenni gli Stati Uniti hanno fornito ad Israele un cruciale sostegno militare, diplomatico e finanziario oltre ad un aiuto economico annuo di più di tre miliardi di dollari. Perché gli Stati Uniti restano il solo bastione di supporto per Israele? Il Vescovo del Sud Africa Desmond Tutu, che fu insignito nel 1984 del premio Nobel per la Pace, ha candidamente illustrato la ragione: “Il governo d’Israele è posto su di un piedistallo (negli Stati Uniti) e la sua critica è immediatamente sospettata d’antisemitismo. La gente di questo paese ha paura di dire pane al pane e vino al vino perché la lobby ebraica è potente, molto potente.” (2) Il Vescovo Tutu dice il vero. Sebbene 24 gli ebrei costituiscano solo circa il tre per cento della popolazione degli Stati Uniti, essi controllano un immenso potere ed esercitano un’influenza molto maggiore di quella d’ogni altro gruppo etnico o religioso. Come l’autore ebreo e professore di Scienze Politiche Benjamin Ginsberg ha argutamente mostrato: “Dagli anni sessanta gli ebrei sono arrivati a detenere una considerevole influenza in America sull’economia, la cultura, la vita politica ed intellettuale. Gli ebrei hanno giocato un ruolo centrale nella finanza americana durante gli anni ottanta ed essi sono stati i maggiori beneficiari di fusioni e riorganizzazioni economiche. Oggi, sebbene appena il 2% della popolazione nazionale sia ebraica, quasi la metà dei suoi miliardari è ebrea. I vertici degli uffici esecutivi dei tre maggiori network televisivi e i quattro maggiori proprietari degli studios cinematografici sono ebrei come i proprietari dei più influenti giornali, il New York Times... Il ruolo e l’influenza degli ebrei nella politica americana è egualmente significativo... Gli ebrei sono meno del tre per cento della popolazione nazionale ma comprendono l’undici per cento di quello che gli studi definiscono l’élite nazionale. Inoltre gli ebrei costituiscono più del 25% delle élite giornalistica e editoriale, più del 17% dei leader d’importanti organizzazioni di volontariato ed interesse pubblico e più del 15% degli alti ranghi dell’amministrazione statale.” (3) Stephen Steinlights ex-direttore del National Affairs of the American Jews Committeee similmente rilevava “lo spropositato potere politico” degli ebrei che è “senza dubbio il più grande rispetto ad ogni altro gruppo etnico/culturale in America.” Egli proseguiva spiegando che “il potere e l’ influenza economica degli ebrei sono concentrate in modo spropositato a Hollywood, nella televisione e nell’industria mediatica.” (4) Due ben noti scrittori ebrei, Seymour Lipset ed Earl Raab scrivevano nel loro libro Jews and the New American Scene del 1995: “Durante gli ultimi tre decenni, gli ebrei (negli Stati Uniti) hanno superato il 50% tra i maggiori 200 intellettuali... il 20% tra i professori nelle università più prestigiose... il 40% tra i soci dei maggiori studi legali a New York e a Washington... il 59% dei direttori, scrittori, e dei produttori delle 50 maggiori pellicole cinematografiche dal 1965 al 1982, e il 58% dei direttori, scrittori e produttori in due o più serie televisive di prima serata.” (5) L’influenza dell’ebraismo americano a Washington, notava il quotidiano israeliano Jerusalem Post “è largamente sproporzionata rispetto alle di- 25 mensioni della comunità, ammettono i leader ebrei ed americani. Ma così è l’ammontare della somma di denaro che essi elargiscono per le campagne (elettorali).” Uno dei membri dell’influente Conference of Presidents of Major American Jewish Organizations “stimava che gli ebrei hanno da soli contribuito con il 50% dei fondi per la campagna di rielezione del Presidente Bill Clinton del 1996.” (6) “E’ completamente privo di senso cercare di negare la realtà del potere ebraico ed il suo predominio nella cultura popolare” ammette Michael Medved un noto scrittore e critico cinematografico ebreo “Ogni lista dei più influenti produttori cinematografici produrrebbe una preponderante maggioranza di riconoscibili nomi ebraici.” (7) Una delle persone che ha più attentamente studiato questo argomento è Jonathan J. Goldberg, adesso editore dell’influente settimanale della comunità ebrea Forward. Nel suo libro Jewish Power del 1996 scriveva: “Nei settori chiave dei media, specialmente negli studi cinematografici di Hollywood, gli Ebrei sono così numericamente dominanti che definire questi affari sotto controllo ebreo è poco più che un’osservazione statistica... Hollywood alla fine del ventesimo secolo è ancora un’industria con una pronunciata coloritura etnica. Praticamente tutti i capi delle produzioni cinematografiche sono ebrei. Scrittori, produttori, e anche i meno evoluti direttori sono in larga maggioranza ebrei - un recente studio ha mostrato come superino il 59% tra i produttori di film a budget più elevato. Il peso di tanti ebrei in una delle più lucrose ed importanti industrie americane conferisce loro uno straordinario potere politico. Essi sono la maggior riserva di denaro per i candidati Democratici.” (8) Specularmente alla loro forte presenza nei media americani gli ebrei sono abitualmente descritti come molto intelligenti, altruistici, degni di fede, compassionevoli e meritevoli di simpatia e sostegno. Mentre milioni di americani si adattavano prontamente a queste immagini stereotipate qualcuno non si lasciava impressionare. “Sono molto arrabbiato con qualcuno degli ebrei” - dichiarava l’attore Marlon Brando in un intervista del 1996 - “essi sanno perfettamente che tipo di responsabilità possiedono... Hollywood è governato dagli ebrei, ed essi dovrebbero manifestare una grande sensibilità per la gente che sta soffrendo.” (9) A Well-Entrenched Factor Il potere d’intimidazione della “lobby ebraica” non è un fenomeno recente, ma è stato da molto tempo un importante fattore della vita sociale americana. Nel 1941 Charles Lindbergh parlò della pericolosità del potere ebraico nei media e nel governo. Il timido trentanovenne - famoso in tutto il mondo per il suo primo ed epico volo transatlantico del 1927 da New York a Parigi, - si rivolgeva a settemila persone a Des Moines, Iowa, l’undici settembre del 1941 illustrando il pericolo del coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra che si stava svolgendo in Europa. Egli spiegò che i tre più importanti gruppi di pressione che spingevano gli Stati Uniti verso la guerra erano i britannici, gli ebrei e l’amministrazione di Roosevelt. A proposito degli ebrei egli disse: “Il più grande pericolo per questo paese sta nelle loro immense proprietà e nella loro grande influenza nel nostro cinema, sulla nostra stampa, la nostra radio e il nostro governo.” E aggiunse: “Per ragioni che sono comprensibili dal loro punto di vista, che non è il nostro per il motivo che essi non sono americani, desiderano coinvolgerci nella guerra. Noi non possiamo biasimarli poiché essi perseguono quelli che ritengono essere i loro interessi ma dobbiamo difendere i nostri. Noi non possiamo seguire le naturali pulsioni e i pregiudizi degli altri popoli per condurre il nostro paese alla distruzione.” Nel 1978, l’autore ebreo americano Alfred M. Lilienthal scrisse nel suo dettagliato studio The Zionist Con- nection scrisse: “Come è stata imposta la volontà sionista al popolo americano?... E’ la ‘Jewish connection’, la solidarietà tribale tra correligionari, l’incredibile vantaggio sui non ebrei, che ha forgiato questo potere senza precedenti... Nelle grandi aree metropolitane la ‘Jewish-Zionist connection’ pervade completamente gli influenti circoli finanziari, commerciali, sociali e ricreativi.” (10) Il risultato del dominio ebraico sui media, scriveva Lilienthal, è che la copertura informativa delle notizie sul conflitto Israelo - Palestinese nella televisione e sulla stampa americana è inesorabilmente a favore d’Israele. Ciò si manifesta per esempio nel deformante ritratto del “terrorismo” palestinese. Come puntualizza Lilienthal: “I reportage unilaterali sul terrorismo, in cui la causa non è mai relazionata all’effetto, sono possibili perché la più efficiente parte della ‘Jewish connection’ è probabilmente il controllo dei media.” One - sided ‘Holocaust’ History Il controllo ebraico della vita culturale ed accademica ha avuto un profondo impatto sul modo in cui gli americaniguardano al loro passato. In nessun posto più che nella campagna mediatica sull’Olocausto e sul destinodegli ebrei in Europa durante la seconda guerra mondiale la visione giudeo - centrica della storia è più radicata. 26 Lo storico israeliano Yehuda Bauer professore all’università ebraica di Gerusalemme ed esperto dell’Olocausto ha notato: “Sia se presentato realisticamente o in modo inautentico, sia se compatibile con i fatti storici o in contraddizione con questi, sia se rappresentato con empatia e comprensione o come un monumento al kitsch, l’olocausto è diventato un simbolo dominante della nostra cultura. Difficilmente trascorre un mese senza una nuova produzione televisiva, un nuovo film, un nuovo spettacolo, dei nuovi libri di prosa o poesia commercializzino il tema, e il flusso è in crescita più che in diminuzione.” (11) Le sofferenze dei non-ebrei non meritano le stesse attenzioni. Fuori dal focus della vittimizzazione ebraica sono, per esempio, i milioni di vittime del colonialismo, quelle della Russia stalinista, più di dieci milioni di vittime del regime maoista in Cina e dai 12 ai 14 milioni di tedeschi, vittime della fuga e delle espulsioni dal 1944 - 1949 in cui circa due milioni persero la vita. La ben finanziata campagna mediatica ed ‘educativa’ sull’Olocausto è di cruciale importanza per gli interessi di Israele. Paula Hyman professore di storia ebraica moderna all’università di Yale ha osservato: “Con i ringraziamenti d’Israele, l’Olocausto può essere usato per prevenire le critiche politiche e sopprimere il dibattito; esso rinforza il senso degli ebrei di essere un popolo assediato che può difendersi solo facendo affidamento solo su se stesso. L’invocazione delle sofferenze patite dagli ebrei sotto i nazisti,spesso, occupa il posto delle argomentazioni razionali ed è usato per convincere i dubbiosi della legittimità dell’attuale politica del governo d’Israele.” (12) Norman Finkelstein, autore ebreo che insegna scienze politiche all’università di New York (Hunter College), scrive nel suo libro, The Holocaust Industry [ed. italiana “’industria dell’Olocausto” Rizzoli 2002] “invocare l’Olocausto” è “un espediente per delegittimizzare ogni critica rivolta agli ebrei”. (13) “Attraverso il conferimento delle totale impunità degli ebrei, il dogma dell’Olocausto immunizza Israele e l’ebraismo americano da ogni legittima censura... L’ebraismo organizzato ha sfruttato l’olocausto nazista per deviare le critiche rivolte ad Israele e la sua moralmente indifendibile politica.” Egli scrive della vergognosa “estorsione di denaro” fatta alla Germania, alla Svizzera e ad altri paesi da Israele e dalle organizzazioni ebraiche “per estorcere miliardi di dollari.” “L’Olocausto” - predice Finkelstein - “può trasformarsi nella più grande rapina della storia del genere umano.” “Gli ebrei in Israele si sentono libe- 27 ri di effettuare ogni atto di brutalità contro gli arabi”- scrive il giornalista israeliano Ari Shavit - “credendo con certezza assoluta, che ora, con la Casa Bianca, il Senato e molti dei media americani nelle loro mani, la vita degli altri non conta come quella ebraica.” (14) L’Ammiraglio Thomas Moorer, ultimo presidente del US Joint Chiefs of Staff, ha parlato con schiettezza esasperatadella supremazia ebraicoisraeliana negli Stati uniti: “Non ho mai visto un presidente non importa chi egli sia - che li abbia contrastati (gli israeliani). E’difficile anche solo immaginarlo. Essi hanno sempre ottenuto quello che vogliono. Gli israeliani sanno sempre quello che succede. Arrivai al punto che mi era impossibile scrivere qualcosa sull’argomento. Se il popolo americano capisse che tipo di dominio questa gente ha sul nostro governo insorgerebbe in armi. I nostri cittadini certamente non hanno nessun idea di quello che succede.” (15) Oggi il pericolo è più grande che mai. Israele e le organizzazioni ebraiche, in collaborazione con le lobby filosioniste di questo paese stanno incitando gli Stati Uniti - la maggior potenza mondiale militare ed economica - ad una nuova guerra contro i nemici d’Israele. Come ha recentemente riconosciuto l’ambasciatore francese a Londra, Israele - che egli ha definito “that shitty little country” - è una minaccia per la pace mondiale. “Perché il mondo dovrebbe rischiare a causa di questa gente la terza guerra mondiale?” (16) Riassumendo: gli ebrei controllano un immenso potere ed esercitano una pesante influenza negli Stati Uniti. “La lobby ebraica” è un fattore decisivo per il sostegno statunitense ad Israele. Gli interessi ebraico-sionisti non sono identici agli interessi americani. Nei fatti, spesso, sono in conflitto. Fino a che la potentissima lobby ebraica rimarrà al suo posto non ci sarà fine alla sistematica distorsione degli avvenimenti presenti e della storia, alla dominazione ebraico - sionista del sistema politico degli Stati Uniti, all’oppressione sionista in Palestina, al sanguinoso conflitto tra ebrei e non-ebrei nel Medio Oriente e alla minaccia israeliana alla pace. Di Mark Weber NOTE 1. Citato da Forward (New York City), 19 Aprile 2002, p.11. 2. D. Tutu, “Apartheid in the Holy Land”, The Guardian (Gran Bretagna), 29 Aprile 2002. 3. Benjamin Ginsberg, The Fatal Embrace: Jews and the State (Università di Chicago, 1993), pp.1, 103. 4. S. Steinlight, “The Jewish Stake in America’s Changing Demography: Reconsidering a Misguided Immigration Policy”, Center for Immigration Studies, Novembre 2001. Http://www. cis.org/articles/2001/back1301.html 5. Seymour Martin Lipset e Earl Raab, Jews and the New American Scene (Harvard Univ. Press, 1995), pp. 26-27. 6. Janine Zacharia, “The Unofficial Ambassadors of the Jewish State”, The Jerusalem Post (Israele), 2 Aprile 2000. Ristampato in “Other Voices”, Giugno 2000, p. OV-4, un supplemento al The Washington Report on Middle East Affairs. 7. M. Medved, “Is Hollywood Too Jewish?”, Moment, Vol. 21, No. 4 (1996), p. 37. 8. Jonathan Jeremy Goldberg, Jewish Power: Inside the American Jewish Establishment (Addison - Wesley, 1996), pp. 280, 287, 288. Vedi anche pp. 3940, 290-291. 9. Intervista con Larry King, CNN network, 5 Aprile 1996. “Brando Remarks”, Los Angeles Times, 8 Aprile 1996, p. F4 (OC). Poco tempo dopo Brando fu obbligato a chiedere scusa per le sue considerazioni. 10. Lilienthal, The Zionist Connection (New York: Dodd, Mead, 1978), pp. 206, 218, 219, 229. 11. Da una conferenza del 1992, pubblicata in: David Cesarani, ed., The Final Solution: Origins and Implementation (London e New York: Routledge, 1994), pp. 305, 306. 12. Paula E. Hyman, “New Debate on the Holocaust”, The New York Times Magazine, 14 Settembre 1980, p. 79. 13. Norman G. Finkelstein, The Holocaust Industry (London, New York: Verso, 2000), pp.130, 138, 139, 149 ed. italiana: L’industria dell’Olocausto, Milano, Rizzoli, 2002. 14. The New York Times, 27 Maggio 1996. Shavit è un giornalista di Ha’aretz, un quotidiano israeliano in lingua ebraica, “da cui questo articolo è adattato.” 15. Intervista con Moorer, 24 Agosto 1983. Citata in: Paul Findley, They Dare to Speak Out: People and Institutions Confront Israel’s Lobby (Laurence Hill, 1984, 1985), p. 161. 16. D. Davis, “French Envoy to UK: Israel Threatens World Peace”, Jerusalem Post, 20 Dicembre 2001. L’ambasciatore francese citato è Daniel Bernard. 28 29 Cospirazione e anti-cospirazionisti La CIA e le tecniche di manipolazione mentale: “Complottista” e “Teoria del complotto”. Nuovi studi rivelano: i ‘Complottisti’ più sani mentalmente dei credenti della ‘versione ufficiale’ .Lo studio più recente è stato pubblicato l’8 luglio dagli psicologi Michael J. Wood e Karen M. Douglas dell’Università del Kent (Regno Unito). Intitolato: «E a proposito dell’edificio 7? Uno studio di psicologia sociale riguardante le discussioni on-line delle teorie della cospirazione riguardanti l’11 Settembre 2001”, lo studio ha comparato i “cospirazionisti “(teorie pro-cospirazione) e i “non-cospirazionisti “(anti-cospirazione) tramite i loro commenti su vari siti web. Gli autori sono stati sorpresi di scoprire che allo stato attuale è più convenzionale lasciare i cosiddetti commenti cospirazionisti rispetto a quelli che seguono le teorie ufficiali: “dei 2174 commenti raccolti, 1.459 sono stati codificati come cospirazionisti e 715 come convenzionalisti” In altre parole, tra le persone che commentano articoli di notizie, coloro che non credono alle versioni pubbliche di tali eventi come l’11 Settembre e l’assassinio di JFK sono più numerosi dei ‘credenti’ della versione ufficiale, addirittura in un rapporto di 2:1. Ciò significa che i commentatori pro-cospirazioni esprimono quello che oggi è considerata la saggezza convenzionale, mentre i commentatori anti-cospirazione stanno diventando un piccolo numero, una minoranza, oramai, assediata. Forse perché il loro presunto pubblico tradizionale dei media mainstream non rappresenta più la maggioranza. Addirittura i commentatori anti-cospirazione esprimono spesso posizioni di rabbia e ostilità: “La ricerca ha dimostrato che le persone che hanno favorito e creduto alla versione ufficiale dell’11 / 9 sono stati generalmente più ostile quando si è trattato di convincere i loro rivali delle versione governativa. “ Inoltre, si è scoperto che il popolo anti-cospirazione non erano solo ostilei ma fanaticamente attaccati alle proprie teorie del complotto. Secondo loro, la loro teoria del 9/11 - una teoria della cospirazione che vede 19 arabi, nessuno dei quali poteva pilotare un aereo non avendo alcuna competenza in merito, riuscire nel crimine del secolo sotto la direzione di una persone in dialisi in una grotta in Afghanistan - era indiscutibilmente vera. I cosiddetti cospirazionisti, d’altra parte, non pretendono di avere una teoria che spieghi completamente gli eventi del 9/11: “Per la gente che pensa che l’11 Settembre sia stata una cospirazione del governo, il focus non è sulla promozione di una specifica teoria, ma nel cercare di sfatare la versione ufficiale. “ In breve, il nuovo studio di Wood e Douglas suggerisce che lo stereotipo negativo del teorico della cospirazione - un fanatico ostile sposato alla verità della sua teoria descrive con precisione le persone che difendono la versione ufficiale dell’11 / 9, non quelli che tentano di contestarla. Inoltre, lo studio ha trovato che i cosiddetti cospirazionisti discutono del contesto storico (come ad esempio la concezione dell’omicidio di JFK come un precursore per l’11 Settembre ) più degli anti-cospirazionisti. Lo studio ha inoltre rilevato che ai cosiddetti cospirazionisti non piace essere chiamati “cospirazionisti” o “teorici della cospirazione”. Entrambi questi risultati sono amplificati nel nuovo libro Conspiracy Theory in America dal politologo Lance DeHaven-Smith, pubblicato all’inizio di quest’anno dalla University of Texas Press. Il professor De Haven-Smith spiega perché alla gente non piace essere chiamato “teorico della cospirazione”: Il termine è stato inventato e messo in circolazione dalla CIA per diffamare le persone che mettono in discussione l’assassinio di JFK! “La campagna della CIA per diffondere il termine ‘teoria del complotto’ e fare dei cospirazionisti un bersaglio di scherno e ostilità deve essere considerato, purtroppo, come una delle più riuscite iniziative di propaganda di tutti i tempi.” In altre parole, le persone che usano i termini “teoria del complotto” e “teorico della cospirazione” come un insulto stanno attuando il risultato di una ben documentata, indiscussa e storicamente acclarata cospirazione da parte della CIA per coprire l’assassinio di JFK. Quella campagna, tra l’altro, era completamente illegale, e gli agenti della CIA coinvolti erano dei criminali. La CIA è esclusa da tutte le attività domestiche, ma 30 ordinariamente infrange la legge per condurre operazioni nazionali che vanno dalla propaganda agli omicidi. DeHaven-Smith spiegano anche perché coloro che dubitano delle spiegazioni ufficiali di alti crimini sono desiderosi di discutere il contesto storico. Egli fa notare che un gran numero di teorie della cospirazione si sono rivelate per essere vero e che sembrano esservi forti relazioni tra molti delitti non ancora risolti e i “crimini di stato contro la democrazia” Un esempio evidente è il legame tra gli assassinii di JFK e RFK, che hanno aperto la strada a presidenze che hanno continuato la guerra del Vietnam. Secondo DeHaven-Smith, dobbiamo sempre discutere gli “omicidi Kennedy”, al plurale, perché i due omicidi sembrano essere legati dallo stesso piano omicida a più ampio respiro. La psicologa Laurie Manwell della University di Guelph concorda che la definizione creata ad arte dalla CIA, ovvero la “teoria della cospirazione” ostacola la funzione cognitiva. Si fa notare, in un articolo pubblicato nel Comportamento scientifico Americano (American Behavioral Scientist) (2010), che le persone anti-cospirazione non sono in grado di pensare con chiarezza su tali crimini apparentemente crimini di stato contro la democrazia come l’11 Settembre a causa della loro incapacità di elaborare le informazioni in conflitto con convinzioni pre-esistenti. Nello stesso numero di ABS, Il professore Steven Hoffman dell’Università di Buffalo, aggiunge che le persone anti-complottiste sono tipicamente preda di una forte “fame di conferme” - cioè, essi cercano le informazioni che diano credito a tutte le loro convinzioni pre esistenti, e per fare questo utilizzano meccanismi irrazionali (come ad esempio l’etichettatura di “teoria della cospirazione”) per evitare di raccogliere informazioni contrastanti con le loro idee preconcette. L’estrema irrazionalità di coloro che attaccano le “teorie del complotto” è stata sapientemente esposta da un team di professori dediti alla comunicazioni: Ginna Husting e Martin Orr della Boise State University. In un articolo del 2007 dal titolo “macchinari pericolosi: il ‘teorico della cospirazione’ come strategia per l’Esclusione”, hanno scritto: “Se io ti chiamo un teorico della cospirazione, poco importa che tu abbia effettivamente sostenuto una cospirazione o se hai semplicemente sollevato una questione che avrei preferito evitare ... Per averti dato 31 questa etichettatura, ti escludo strategicamente dalla sfera pubblica in cui avvengono dibattiti, discussioni e dove ci si scontra sulle motivazioni di una teoria rispetto ad un’altra.” Ma ora, grazie a internet, le persone che mettono in dubbio le storie ufficiali non sono più essere escluse dalla conversazione pubblica; I 44 anni della campagna della CIA per soffocare il dibattito con la l’espressione “teoria del complotto” è quasi logora. Negli studi accademici, come nei commenti su articoli riguardanti le notizie, le voci pro-complotto sono ormai più numerose- e più razionali di quelli anti-cospirazione. Nessuna meraviglia che il popolo anti-cospirazioni suoni sempre più come un gruppo di ostili, manovrati paranoici. Tradotto e Riadattato da Fractions Of Reality Rupert Murdoch e Lord Rotschild i baroni petroliferi della Siria occupata Milioni di americani prendono le notizie dalla FOX News, il Wall Street Journal, o attraverso altri organi d’informazione di proprietà di Rupert Murdoch. Generalmente, questi organi d’informazione sono a favore di un’azione militare contro la Siria, ma non informano i loro spettatori e lettori che il signor Murdoch ha investito interessi nella guerra con la Siria. Rupert Murdoch è comproprietario di una compagnia israelo-americana alla quale è stato concesso il diritto di cercare petrolio nelle alture del Golan – il territorio siriano occupato da Israele. È alquanto amorale che la FOX News non riveli queste informazioni al suo pubblico. Israele ha accordato i diritti per la ricerca di petrolio all’interno della Siria, nel Golan appunto, alla Ge- 32 nie Energy. Rupert Murdoch e Lord Jacob Rothschild sono i principali azionisti della Genie Energy – la quale si interessa anche di gas da argille negli Stati Uniti e di olio di scisto in Israele. Anche Dick Cheney fa parte del comitato consultivo della compagnia. Secondo il diritto internazionale, è illegale che Israele accordi diritti di ricerca del petrolio su territori occupati, come scrive Craig Murray nel suo articolo del febbraio 2013, dal titolo “Israele accorda diritti petroliferi in Siria a Murdoch e Rothschild”: Il tentativo di Israele di sfruttare le risorse minerarie del territorio occupato delle alture del Golan è completamente illegale per il diritto internazionale. Singapore ha fatto causa al Giappone presso la Corte Internazionale di Giustizia per lo sfruttamento del suo petrolio durante la seconda guerra mondiale. Il contenzioso era basato sulla norma internazionale per cui una potenza occupatrice è in diritto di utilizzare pozzi petroliferi già in funzionamento e utilizzati dalla potenza sovrana, al cui posto è subentrata la potenza occupatrice; ma tra le autorità e i precedenti legali non c’è alcun disaccordo sul fatto che la realizzazione di nuovi pozzi – per non parlare delle fratturazioni idrauliche – da parte di una potenza occupatrice è illegale. Il fatto che Jacob Rothschild e Rupert Murdoch abbiano investito nei tentativi di ricerca di petrolio nei ter- 33 ritori siriani occupati suggerisce che siano a favore del rovesciamento del governo Assad di Damasco, in modo da indebolire la Siria e dividere la nazione più o meno alla stessa maniera della Jugoslavia negli anni 90. di Christopher Bollyn therebel.org La Russia di Putin vuole la pace ma si prepara alla guerra Uno spietato “memorandum un’azione urgente” pubblicato oggi dal presidente Putin per le Forze Armate della Federazione Russa è ordinare un “massiccio attacco militare” contro l’Arabia Saudita nel caso in cui l’Occidente attacchi la Siria. Secondo fonti del Cremlino Putin è diventato “infuriato” dopo il suo 34 incontro all’inizio di agosto con il principe saudita Bandar bin Sultan, che ha avvertito che se la Russia non accetterà la sconfitta della Siria, l’Arabia Saudita avrebbe scatenato i terroristi ceceni sotto il loro controllo per causare la morte e il caos durante i Giochi Olimpici Invernali che si terranno dal 7 al 23 Febbraio 2014 a Sochi, in Russia. Il quotidiano libanese As-Safir, ha confermato questa incredibile minaccia contro la Russia, dice che il principe Bandar s’impegnerà a salvaguardare la base navale della Russia in Siria se il regime di Assad sarà rovesciato, ma ha anche accennato ad attacchi terroristici ceceni sulle Olimpiadi invernali della Russia a Sochi, se non vi è alcun accordo: “Io posso dare una garanzia per proteggere le Olimpiadi invernali del prossimo anno. I gruppi ceceni che minacciano la sicurezza dei giochi sono controllati da noi “. Il Principe Bandar ha continuato a dire che i ceceni che operano in Siria sono stati uno strumento di pressione che potrebbero essere accesi o spenti. “Questi gruppi non ci spaventano. Li usiamo contro il regime siriano, ma non avranno alcun ruolo nel futuro politico della Siria “. Londra, The Telegraph News Service oggi ha riportato inoltre la notizia che l’Arabia Saudita ha segretamente offerto alla Russia un ampio accordo per il controllo del mercato mondiale del petrolio e del gas, se il Cremlino si allontana dal regime di Assad in Siria, Putin ha risposto dicendo “La nostra posizione su Assad non cambierà mai. Noi crediamo che il regime siriano è il miglior oratore in nome del popolo siriano, e non i mangiatori di fegato” [riferendosi al filmato che mostra un ribelle jihadista mangiare il cuore e il fegato di un soldato siriano], e il principe Bandar ha avvertito che non ci può essere “nessuna fuga da l’opzione militare”, se la Russia rifiuta il ramo d’ulivo. Le immagini contenute in questi video sono esplicite e raffigurano scene di guerra in Siria. E’ sconsigliata la visione ad un pubblico non adulto e facilmente impressionabile. Importante notare, che i Servizi di Sicurezza Federali (FSB ) hanno confermato la validità dei messaggi di posta elettronica forniti dagli hacker sulla società britannica di difesa, Britam Difesa che incredibilmente avvertono che il regime di Obama si stava preparando a scatenare una serie di attacchi contro la Siria e l’Iran, gli esperti del intelligence russi hanno avvertito potrebbe benissimo causare la Terza Guerra Mondiale. Secondo questo rapporto FSB, Britam Difesa, una delle più grandi forze mercenarie private del mondo, è stato il bersaglio di un “massiccio attacco hacker” dei propri file nei computer da parte di uno “stato sconosciuto che ha sponsorizzato l’operazione”, 35 lo scorso gennaio che ha poi rilasciato una serie di email critiche dei due migliori dirigenti, il fondatore Philip Doughty e il suo Business Development Director David Goulding. Le due email più importanti tra Doughty e Goulding, in questo rapporto, affermano che il regime di Obama ha approvato un attacco falso in Siria usando armi chimiche “false flag”, e che Britam ha approvato la sua partecipazione: Email 1: Phil, Abbiamo una nuova offerta. Si tratta di Siria di nuovo. Il Qatar proporre un affare interessante e giuro che l’idea viene approvata da Washington. Dovremo offrire una CW (un’arma chimica) a Homs (Siria), di origine sovietica g-shell dalla Libia simili a quelli che Assad dovrebbe avere. Vogliono che schieriamo il nostro personale di ucraini che dovrebbero parlare russo e fare un video. Francamente, non credo che sia una buona idea, ma gli importi proposti sono enormi. La tua opinione? Cordiali saluti David Email 2: Phil, Consultate e allegate relative misure preparatorie concernenti la questione iraniana. La partecipazione di Britam nell’operazione è confermata dai sauditi. Con gli eventi ormai fuori controllo in Siria, l’Independent News Service di Londra riferisce che il principe Bandar ”spinge per la guerra”, il ministro degli Esteri russo portavoce Alexander Lukashevich ha ulterior- mente messo in guardia l’Occidente oggi affermando: “I tentativi di bypassare il Consiglio di Sicurezza, ancora una volta a creare scuse infondate artificiali per un intervento militare nella regione saranno motivo di nuove sofferenze in Siria e conseguenze catastrofiche per gli altri paesi del Medio Oriente e del Nord Africa.” Incurante degli avvertimenti russi che sono caduti nel vuoto, invece, il primo ministro britannico David Cameron questa mattina ha chiesto al Parlamento britannico di votare per attaccare la Siria, come il regime di Obama ha improvvisamente annullato l’incontro con la Russia in programma sulla ricerca di una via per la pace per la Siria, e l’Occidente inizia i suoi piani per attaccare la nazione siriana “entro pochi giorni”. Mentre la Siria è avvertita che dovrebbe essere attaccata dall’Occidente ci sarà “un caos globale “, perché ai popoli occidentali, non è stato detto che il 17 maggio 2013, Putin ha ordinato alle forze militari russe di “spostare immediatamente” la situazione operativa da guerra locale a guerra regionale e di essere “pienamente preparati” per espandere la guerra su larga scala. Stati Uniti ed Unione Europea, dovrebbero entrare nella guerra civile siriana. Il precedente ordine di Putin, ora è combinato con il suo nuovo ordine di massicci attacchi di rappresaglia contro l’Arabia Saudita, qualsiasi attacco alla Siria è visto dalla Russia come un attacco alla stessa. La guerra in Siria, è guidata da Arabia Saudita e Qatar e il loro cagnolini alleati occidentali, è hanno un unico obiettivo: rompere la presa della Russia sul mercato dell’Unione Europea di gas naturale con un oleodotto che dovrebbe essere realizzato attraverso la Siria, come riportato dal Financial Times News Service di Londra lo scorso giugno: “Il piccolo stato del Qatar ricco di gas, ha speso fino a 3 miliardi di dollari nel corso degli ultimi due anni, sostenendo la ribellione in Siria, di gran lunga superiore a qualsiasi altro governo, ma ora fa a gomitate con l’Arabia Saudita come prima fonte di armi ai ribelli. Il costo dell’intervento del Qatar, la sua ultima spinta per eseguire una rivolta araba, equivale ad una frazione del suo portafoglio di investimenti internazionali. Ma il suo sostegno finanziario per la rivoluzione che ha trasformato in una feroce guerra civile adombra drammaticamente il sostegno occidentale per l’opposizione. Il Qatar inoltre ha proposto un gasdotto dal Golfo alla Turchia, l’emirato sta valutando una ulteriore espansione delle esportazioni di gas naturale nel mondo, dopo aver completato un ambizioso programma di oltre il doppio della capacità di produzione di gas naturale liquefatto (GNL ). ” La causa più inimmaginabile per iniziare la terza guerra mondiale sulla Siria è stata esposta dal portavoce del ministero degli Esteri russo, Aleksandr Lukashevich che ha detto la scorsa settimana: “Stiamo ottenendo nuove prove che questo atto criminale era di una natura provocatoria. In particolare, ci sono i rapporti che circolano su Internet, che i materiali della vicenda e le accuse contro le truppe governative erano state inviate diverse ore prima del cosiddetto attacco. Quindi, era un’azione preprogrammata.” Per l’Occidente l’avere progettato velocemente un altro “false flag” attacco per giustificare una guerra dove hanno pubblicato il video di questo cosiddetto attacco chimico un giorno prima che si è verificato, è segno di arroganza e disprezzo, ma i loro cittadini che soffrono di sonnambulismo, ancora una volta, cadranno come hanno fatto tante volte in passato. Angelo Iervolino - lenewsdiangelo- iervolino.altervista.org 36 L’intervista: Valerio Cignetti Segretario Generale dell’AEMN (Alleanza Europea dei Movimenti Nazionali). Nato il 14 maggio 1962 a Strambino (TO), diplomato in marketing presso la scuola di Palo Alto (nel 1999), è assistente-funzionario al Parlamento Europeo per la Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia; per la Delegazione alle commissioni di cooperazione parlamentare UE-Kazakistan, UE-Kirghizistan, UE-Uzbekistan e per le relazioni con il Tagikistan, il Turkmenistan e la Mongolia; per la Commissione per i bilanci; e per la Delegazione alla commissione di cooperazione parlamentare UE-Russia. È stato membro del Movimento Sociale Italiano e del Fronte della Gioventù (dal 1979) ed è stato componente del Consiglio Comunale di Strambino (Capogruppo della Fiamma Tricolore) dal 1995 al 2005, Dalla fondazione dell’AEMN, cui ha attivamente contribuito, né è il Segretario Generale. D. Sig. Segretario, la situazione nel Medio Oriente sembra sul punto di precipitare, ad oggi, (28 agosto 2013) Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia minacciano un intervento armato dopo il presunto attacco chimico compiuto dalle forze di Assad. Che ne pensa? Non si tratta d’altro che dell’ennesima manovra operata dai poteri finanziario-massonici che dominano in Occidente per avere una nuova guerra e, nel contempo, dare sostegno occulto alla jihad wahabita voluta da Arabia Saudita e Qatar (tra l’altro detentori di larghe quote dell’economie Occidentali). D. L’Iran e soprattutto la Russia hanno già ammonito sulle “gravi conseguenze” che un attacco militare potrebbe causare. Rischiamo una guerra globale? Il rischio è oggettivamente serio, molto più che in altre crisi recenti, anche perchè il “campo” non è assolutamente chiaro e l’eventuale intervento dell’Occidente a sostegno dei terroristi islamici è solo ulteriormente destabilizzante. D. Non crede che la “guerra alla Siria” nasconda in realtà la volontà di accendere le polveri contro l’Iran considerato il vero nemico n’1 dell’asse ISRAELE-USA-G Come ho detto, la guerra alla Siria mira a creare una nuova forte destabilizzazione per tutta l’area, certemente con 37 obiettivi secondari quali avvicinare altre truppe ad un eventuale “scenario iraniano”, ma anche per consentire la pratica sul campo a tanti nuovi terroristi jihadisti che, purtroppo, hanno passaporti Occidentali (anche italiani!) e si preparano (come ha anche riconosciuto il Direttore del GENS ITALICA controterrorismo USA, Matthew Olsen) a nuovi attentati nei propri Paesi, così da poter continuare a mantenere sempre più alta la tensione generale. D. In tutto questo contesto, qual’ è l’interesse nazionale italiano? Certamente innanzitutto non ripetere gli errori commessi con la crisi libica, che ci ha visto appiattiti e genuflessi sulle posizioni altrui con il solo obiettivo di non vedere eccessivamente ridotte le nostre commesse! E solo l’assumere posizioni anche forti, come non concedere l’utilizzo delle proprie basi o il sorvolo del territorio nazionale, può portare l’Italia ad assumere un ruolo nuovo e importante su tutto il bacino del Mediterraneo. D. Le Nazioni Unite come sempre dimostrano tutta la loro inadeguatezza, l’Unione Europea come sempre opta per il “rompete le righe” lasciando che siano Francia e Gran Bretagna ad occuparsene. Stiamo assistendo al fallimento delle organizzazioni sovranazionali e al ritorno della “politica delle cannoniere” di novecentesca memoria? L’Europa, così come attuata e concepita fino ad ora, non ha né capo né coda, e con l’Alleanza lo diciamo da sempre. Anzichè essere un’unione di nazioni e di popoli che hanno storie, lingue e tradizioni comuni, è una macro-banca che opera ad esclusivo sostegno della grande finanza, imponendo direttive che cadono sulle nazioni molto dal di sopra rispetto all’ambito democratico parlamentare. Purtroppo non si tratta affatto, per chi l’ha pensata e voluta così, di un fallimento, bensì di un operazione di successo, stomachevole e drammatica, ma di successo. Le cannoniere creano nuovi mercati e la finanza specula sul sangue delle nazioni. D. Nell’agenda delle istituzioni europee c’è anche il cosiddetto “mercato unico euroatlantico”, qual è la posizione dell’AEMN a riguardo? Ovviamente fortemente contraria. E non solo per le conseguenze drammatiche che provocherà senza dubbio al comparto agricolo di tutta Europa, ma anche (per esempio) per l’impossibilità di controllare la diffusione degli OGM che si verrà a creare. Se a ciò aggiungiamo la deregolamentazione in materia di protezione dei dati personali e la semplificazione delle norme ambientali e sanitarie, ci troveremo in breve tempo anche qui da noi, con la stessa giungla ultracapitalista che vi è dall’altra parte dell’Atlantico. Va osteggiato in ogni modo, soprattutto prima che diventi anche premessa di un’integrazione politica! 38 39 D. Il generale De Gaulle parlava di un’Europa delle Nazioni dall’Atlantico agli Urali. È utopia? No. In verità è l’unica speranza per l’Europa di tutelare la propria esistenza, i propri cittadini e i propri diritti, conquistati in lunghi secoli di lotte e progresso dall’antica Grecia ad oggi. L’AEMN parla da sempre dell’Europa come di quel continente che parte da Lisbona e arriva a Vladivostok e le vicinanze culturali, storiche, religiose e ideali tra le Nazioni che abitano questa fetta di mondo, sono certamente più prossime le une alle altre rispetto ad altrove, anche rispetto all’altra sponda dell’Atlantico. D. Le rivelazioni di Wikileaks hanno reso pubblico che gli americani spiano metodicamente le istituzioni europee. Come bisognerebbe reagire? Non solo le istituzioni, ma anche le intenzioni dei media e i semplici cittadini. Si sà da decenni e mai nessuno ha fatto nulla. Ogni tanto un nuovo scandalo richiama l’attenzione dell’opinione pubblica e poi ricade tutto nel dimenticatoio. I fautori del “Nuovo Ordine Mondiale” vogliono ridurci tutti quanti in schiavitù e la prima reazione importante sarebbe quella di prenderne coscienza. Poi, l’unica risposta che si potrebbe dare sarebbe quella di sostenere le politiche nazionaliste e di tutela del singoli territori nazionali, stroncando così il tentativo di omologazione generale, per rilanciare infine l’attenzione e il sostegno per i più deboli (con minore attenzione ai mercati e ai “PIL” e maggiore spazio alle saggie e vecchie “politiche sociali”). D. Tra meno di un anno si voterà per il rinnovo del Parlamento Europeo, in tutta Europa si assiste ad una crescita dei movimenti nazionalisti ed identitari. Riusciremo ad avere finalmente un gruppo parlamentare unico dei diversi movimenti che compongono quest’area? Questo è quanto stiamo cercando di fare con l’Alleanza. Certo la legge elettorale non ci agevola, se non addirittura ci ostacola, ma - a volte - le risposte delle urne sono sorprendenti. Sono molto fiducioso! D. Il suo personale futuro politico? Per prima cosa vorrei vedere confermata e solida l’Alleanza, quale partito europeo e gruppo parlamentare, visto che ho contribuito moltissimo ad idearla e crearla. Poi si vedrà Daniela Perissutti 40 41 Storia della Gens Italica Idistaviso - La rivincita di Teutoburgo In questo autunno è ricorso il bimillenario della battaglia di Teutoburgo quasi completamente ignorato in Italia, a differenza di quanto accaduto in Germania, ove da secoli quell’evento è impresso nell’immaginario collettivo come il primo glorioso episodio della storia patria, risalente all’epoca augustea. In Italia memoria indelebile è, invece, serbata al condottiero che fu vindice di quell’agguato, Giulio Cesare Germanico, il quale già nel nome ereditato dal padre recava il destino di trionfatore sulla barbarie teutonica. Dopo le campagne di Druso e di Tiberio, che avevano condotto le legioni sino all’Elba, il territorio ad est del Reno, conosciuto quale Germania magna, sembrava usufruire dell’effetto benefico dell’azione pacificatrice delle vittorie romane. Fu in questo contesto che Augusto, ritenendo giunto il momento di introdurre nella nuova provincia il diritto e le istituzioni, inviò in Germania come governatore, già più che sessantenne, Publio Quintilio Varo, il quale, come consigliere privato, lo aveva seguito nel viaggio compiuto in oriente che aveva consentito il recupero delle insegne perdute da Crasso nella disfatta di Carre. Ottimo amministratore e oratore di non poco conto, come dimostra la circostanza che spettò a lui l’onere dell’elogio funebre di Vipsanio Agrippa, padre di sua moglie Vipsania nonché amico intimo di Augusto e artefice delle fortune dell’Impero, a Varo fu affidato il compito di amministrare e imporre l’ordinamento giuridico su un territorio vastissimo e per lo più sconosciuto che si estendeva tra la Danimarca e la Boemia. Non senza un’amara ironia Velleio Patercolo riporta che Varo: “Preso il comando dell’esercito in Germania, si illuse che fossero veri uomini quei barbari che nulla di umano avevano tranne le membra e la voce, e che con le leggi potessero venir placati quelli che non si erano potuti domare con la spada. Inoltratosi nel bel mezzo della Germania con questo convincimento, fece trascorrere il tempo della campagna d’estate nell’amministrare la giustizia civile e nell’istruire processi uno dopo l’altro davanti al suo tribunale, come se si trovasse tra uomini che godono del beneficio della pace. Ma quelli (astutissimi – cosa che stenterebbe a credere chi non li ha conosciuti – pur nella loro estrema barbarie, gente fatta apposta per la menzogna) simulando tutta una serie di fittizie controversie, e ora provocandosi l’un l’altro a contesa, ora mostrandosi riconoscenti del fatto che la giustizia romana dirimesse le liti, che la loro natura selvaggia si addolcisse mercè una nuova disciplina a loro sconosciuta, e che così si risolvessero con la legge casi che si solevano definire con le armi, indussero Quintilio alla più completa negligenza, tanto che egli si illudeva di far da giudice in foro come pretore urbano, e non già di essere il capo di un esercito nel cuore della Germania”. Era il settembre dell’anno 9 e.v. e Varo doveva spostarsi dall’accampamento estivo sulla riva occidentale del fiume Weser verso ovest, per raggiungere il Reno, ove si trovavano gli insediamenti invernali. Invece di percorrere la via usuale, al comando di tre legioni, la XVII, XVIII e XIX, reparti ausiliari e numerosi civili, il governatore decise di muoversi in direzione ovest, affidandosi alle indicazioni di Arminio, figlio di un principe cherusco, capo di una milizia di cavalieri ausiliari germanici a servizio di Roma, malgrado lo zio di quest’ultimo, Segeste, lo avesse avvertito del progetto di un’imboscata. A Varo sembrò impossibile che il pluridecorato condottiero germanico, insignito della cittadinanza romana per meriti militari, che aveva sempre trattato come un figlio, potesse venir meno alla fides, alla volontà di giusti rapporti, di legami permanenti, di accordi profondi che contraddistinguevano l’essere romano e “non solo non credette a tutti quelli che sospettavano del tradimento e che lo invitavano a guardarsi alle spalle, anzi li rimproverò per aver creato un inutile clima di tensione e di aver calunniato i Germani…” (Cassio Dione Cocceiano, Storia Romana, LVI, 19). Fu così che l’enorme corteo, che si snodava per circa quindici-trenta chilometri, composto da quindiciventimila soldati, oltre a quattrocinquemila tra cavalli e animali da traino, si inoltrò in una foresta su un terreno impervio, ove la terra sprofondava sotto le pesanti ruote dei carri, mentre una pioggia torrenziale accresceva l’oscurità provocata dalla fitta vegetazione, impedendo di vedere anche a poca distanza. E’ con tutta probabilità accanto alla collina calcarea di Kalkriese, divisa da una grande palude da una striscia di terra, ove in alcuni punti non po- trebbero marciare affiancati più di quattro uomini, che si perpetrò l’agguato. I Romani furono attaccati non soltanto dalle tribù germaniche, ma anche dalle stesse truppe ausiliarie comandate da Arminio che piombarono da ogni parte. Le condizioni atmosferiche avverse resero inservibili le armi da lancio inzuppate di acqua e gli stessi scudi che, costruiti con strati sovrapposti di legname e pelle, iniziarono rapidamente a scollarsi. Nonostante ciò, bruciati i carri inservibili, Varo riuscì a riorganizzare l’esercito, ostacolato dalla presenza di numerosi civili, tentando un’avanzata verso la salvezza. Il terzo giorno di battaglia la pioggia e il vento si scatenarono nuovamente, contribuendo ancor più ad appesantire le armature indossate dai legionari spossati, decimati e impossibilitati ad adottare alcuna formazione che potesse contrastare gli attacchi dei barbari per l’angustia dei luoghi, “… per questi motivi Varo, e gli altri ufficiali di alto rango, nel timore di essere catturati vivi o morire per mano dei Germani… compirono un suicidio collettivo…” (Cassio Dione Cocceiano, Storia Romana, LVI, 21,5). Anneo Floro descrive la sorte dei vinti: “Non vi fu nulla di più cruento di quella strage nelle paludi e nelle selve, nessun più intollerabile insulto inflitto dai barbari, specialmente quelli diretti contro gli avvocati. Ad 42 alcuni strappavano gli occhi, ad altri tagliavano le mani, ad uno fu cucita la bocca dopo che gli fu tagliata la lingua”. La testa di Varo mozzata fu inviata da Arminio nella lontana Boemia al re dei Marcomanni, Maroboduo, quale invito a coalizzarsi contro Roma. Quest’ultimo, tuttavia, mantenne fede ai patti stipulati con Tiberio tre anni prima e restituì ai familiari di Varo il macabro trofeo che, per volere di Augusto, fu seppellito nel mausoleo eretto per sé e la sua famiglia in Campo Marzio. Una volta divenuto Imperatore, Tiberio si ricorderà della lealtà di Maroboduo, nel frattempo caduto in disgrazia presso il suo popolo, concedendogli asilo politico a Ravenna. Arminio, da cui si vantava di discendere il precettore delle SS Karl Maria Wiligut, divenne Hermann. “Mann” uomo ed “Heer” esercito, uomo dell’esercito nella traduzione del nome latino in tedesco operata dal suo ammiratore Martin Lutero, osannato come liberatore di Germania per una vittoria frutto di un inganno. Con queste gesta belliche è difficile dar torto a Velleio Patercolo che considerava i Germani “astutissimi nella loro estrema barbarie e stirpe nata per la menzogna”. In onore di Arminio-Hermann, poco lontano dalla città di Detmold, in un bosco che oggi porta il nome di Selva di Teutoburgo, a una settantina di chilometri da dove si svolse la batta- glia, fu eretta, tra il 1841 e il 1875, una statua di rame alta 28 metri per ricordare che il trionfo dell’unificazione tedesca in età moderna affonda le radici già in epoca romana. Come argutamente osserva Peter Heather ne “La caduta dell’Impero romano” (Garzanti): “I nazionalisti tedeschi dell’Ottocento fecero benissimo a mettere il monumento di Hermann nel posto sbagliato, dato che ne avevano compreso così male il significato: non fu la potenza militare dei Germani a tenere a bada l’Impero, fu la loro miseria”. Fu, infatti, Tiberio, il successore di Augusto, fedele alla decisione di questi di mantenere i confini dell’Impero invariati, cercando di salvaguardare i territori interni e di assicurarne la tranquillità, a comprendere che non valeva la pena sottomettere la Germania, non offrendo né terre fertili da sfruttare, né la possibilità di un adeguato gettito tributario per l’arretratezza e la povertà delle popolazioni che l’abitavano. Ciò non toglie che la rottura della fides e l’oltraggio alle Aquile delle legioni dovevano essere punite e a Roma fu deliberata l’implacabile vendetta. Tiberio decise di affidare il compito a Germanico, generale, pronipote di Augusto, designato al trono imperiale, letterato e poeta. Amato dai soldati che ebbero in lui, sul Reno e poi in Oriente, il condottiero migliore dopo Giulio Cesare, il giovane Germanico 43 godeva non solo dell’eredità morale e politica del padre Druso, ma aveva anche, attraverso la madre Antonia Minore, figlia di Ottavia, nelle vene sangue di stirpe Giulia. Il 14 e.v. Germanico, insignito dell’imperio proconsolare maius sugli eserciti renani, decise di gettare un ponte sul Reno, facendovi transitare quattro legioni, ventisei coorti di fanteria ausiliaria e otto di cavalleria, piombando sui Marsi, una delle tribù assoldate da Arminio nell’agguato di Teutoburgo. I villaggi furono messi a ferro e fuoco e la repressione attuata con inusitata spietatezza, dal momento che i legionari si erano riproposti di sacrificare sul campo di battaglia, alla vendetta e alla gloria, i perfidi violatori della pace. Fu un massacro e Germanico per aumentare il raggio di devastazione nell’arco di cinquanta miglia divise le legioni in quattro cunei. L’anno successivo, passato nuovamente il Reno, Germanico, dopo essersi accampato sulle rovine di un precedente forte costruito dal padre, Druso, si addentrò nel territorio dei Catti, vicini e alleati dei Cheruschi, con i quali erano uniti da solidi legami parentali, spingendosi sino alla capitale Mattium, vicino l’attuale Niedenstein, incendiandola e saccheggiandola. Dopo aver sconfitto anche i Bructeri e recuperata l’Aquila della XIX legione, caduta in mano ai Germani sei anni prima, Germanico, mandato in avanscoperta Aulo Cecina Severo tra le gole dei monti immerse nelle foreste, avanzò alla caccia di Arminio verso Teutoburgo, guidato dai superstiti all’infame agguato e dalle truppe ausiliarie che ben conoscevano quei tristi luoghi. Il desolante scenario che si offrì agli occhi dei Romani è descritto dalle vivide parole di Tacito: “… nel mezzo del campo biancheggiavano le ossa ammucchiate e disperse… sparsi intorno… frammenti di armi e carcasse di cavalli e teschi conficcati sui tronchi degli alberi. Nei boschi vicini si vedevano altari barbari, presso cui i Germani avevano trucidato i tribuni e i centurioni di più alto grado. I superstiti di questa strage, scampati alla battaglia o alla prigionia, ricordavano che qui erano caduti i legati e là erano state rapite le Aquile; mostravano ove Varo ricevette la prima ferita e dove si colpì a morte, suicidandosi; mostravano il rialzo del terreno da cui Arminio aveva arringato i suoi, i numerosi patiboli preparati per i prigionieri, le fosse per i vivi e con quanta traco- tanza egli avesse schernito le insegne e le Aquile imperiali…” (Cornelio Tacito, Annali, I, 61). Seppelliti i resti di quei corpi straziati, dopo aver reso gli onori funebri, Germanico riprese l’inseguimento di Arminio senza, però, ottenere alcun concreto risultato. Sulla via del ritorno verso il Reno, Arminio, tuttavia, decise di tendere un agguato a quella parte dell’esercito di Germanico condotta da Aulo Cecina Severo attraverso i pontes largi, uno stretto passaggio tra foreste e vaste paludi costruito da Domizio Enobarbo circa quindici anni prima. Cecina, che aveva alle spalle una onorata carriera di oltre quaranta anni, diversamente da Varo non si lasciò sorprendere e ricacciò i Germani nella foresta prima del calare delle tenebre, seppure con molte perdite. Tacito racconta il sogno che in quella difficile notte si manifestò ad Aulo Cecina Severo: “… gli parve di vedere Publio Quintilio Varo uscire dalle paludi, interamente coperto di sangue, e gli sembrò di udirlo come se lo chiamasse, egli invece non lo seguiva e spingeva lontano da sé la mano che Varo tendeva…” (Cornelio Tacito, Annali, I, 65). La mattina seguente Arminio attaccò al grido di: “Ecco Varo e le sue legioni, dello stesso destino sono ormai presi in una morsa!”. L’esito dello scontro si rivelò essere molto distante dalle previsioni di Arminio, costretto a una fuga ignominiosa, mentre ad Aulo Cecina furono decretate le insegne trionfali. Nel 16 e.v. sulle rive del fiume Visurgi, attuale Weser, si trovarono finalmente di fronte sulla piana di Idistaviso Germanico e Arminio. Un segno fausto annunziò al condottiero romano le sorti della battaglia, otto aquile furono viste volare verso i nemici in direzione della foresta alle loro spalle. Giove Ottimo Massimo aveva emesso il suo ineluttabile decreto: i barbari dovevano pagare l’oltraggio arrecato, con l’inganno, a Roma. Fu allora che Germanico comandò ai suoi di marciare avanti e di seguire gli uccelli simbolo di Roma, protettori delle legioni! (Cornelio Tacito, Annali, II, 17). Si combattè ininter- 44 rottamente dalle undici fino a notte e Arminio riuscì a stento a salvarsi, dopo essersi imbrattato con il sangue il viso per non essere riconosciuto durante la fuga. I cadaveri dei barbari uccisi coprirono la piana per almeno diecimila passi e i legionari, dopo aver acclamato Tiberio Imperatore, innalzarono, quale trionfo, un tumulo con le armi degli sconfitti e i nomi dei popoli vinti. La battaglia ebbe un seguito, perché Arminio, riorganizzati i suoi uomini, decise di attaccare nuovamente l’esercito romano in un luogo chiuso tra il Visurgi e le foreste, ove si trovava una pianura stretta e umida, in cui la popolazione degli Angrivari aveva costruito un lungo terrapieno dietro cui si attestò la fanteria germanica. Dopo il lancio dei frombolieri e l’uso delle macchine da guerra che provocò lo scompiglio tra i difensori del vallo, Germanico, alla testa delle coorti pretorie, guidò l’attacco nella foresta, togliendosi l’elmo dal capo – come Alessandro Magno nella battaglia di Isso – per essere meglio riconosciuto nella furibonda mischia corpo a corpo che ne seguì. Ancora una volta la vittoria romana fu schiacciante e per celebrarla Germanico fece innalzare un secondo trofeo recante l’iscrizione: “L’esercito di Tiberio Cesare, vinte le popolazioni tra l’Elba e il Reno, consacrò questo monumento a Marte, a Giove e ad Augusto” (Cornelio Tacito, Annali, II, 22). Così Marte e Giove Ultori e i Mani di Augusto vennero placati e il nome di Idistaviso rimase per sempre legato a quello di Teutoburgo, come il castigo che segue il misfatto. Compiuta la vendetta, l’esercito romano si mise in marcia verso gli alloggiamenti invernali sia per via di terra, sia per la maggior parte per via fluviale, discendendo il fiume Ems fino al Mare del Nord, per intraprendere il viaggio di ritorno attraverso l’Oceano. Durante la navigazione infuriò una terribile tempesta, tanto che alcune navi colarono a picco e altre riuscirono ad approdare seppure gravemente danneggiate. I naufraghi sopravvissuti ai marosi furono recuperati non soltanto sulle isole e sulle coste tedesche, ma addirittura sul litorale della lontana Britannia, ove vennero soccorsi dai capi locali e restituiti a Germanico. La notizia del disastro patito dalla flotta romana rinfocolò le speranze dei Germani di ribaltare le sorti della guerra, spingendoli a riaprire le ostilità. Germanico decise allora di reprimere ogni velleità sul nascere, inviando Gaio Silio a combattere i Catti, mentre egli con la maggior parte delle forze sbaragliò i Marsi, rinvenendo in un bosco la seconda Aquila legionaria perduta a Teutoburgo. La terza e ultima sarà recuperata, regnante Caligola, figlio di Germanico, da Publio Gabinio Secondo durante la campagna del 39-41 e.v. oltre Reno a seguito di una vittoria sui Cauci. L’ennesimo successo di Germanico gettò i vinti in preda al terrore: “Andavano dicendo che i Romani erano invitti, e che nessuna sciagura poteva piegarli, poiché distrutta la flotta, perdute le armi, coperte le spiagge di carcasse di cavalli e di cadaveri, erano tornati ad assalire con lo stesso indomito valore e fierezza, quasi che si fossero moltiplicati di numero” (Cornelio Tacito, Annali, II, 25). Il bel verso degli Annali di Ennio, Fortes Romani sunt tamquam caelus profundus, trovava così nella millenaria storia dell’Urbe l’ennesima sfolgorante conferma. La riconquista delle insegne perdute da Varo ‘ductu Germanici auspiciis Tiberi’ fu celebrata con l’erezione a Roma di un arco a Tiberio, mentre il 26 maggio del 17 e.v. Germanico si meritò il trionfo sulle “tribù fino all’Elba”. Nel corteo trionfale sfilarono pubblicamente, quale ostaggi, la moglie di Arminio, Thusnelda, e suo figlio Tumelico. Quanto all’invocato “liberatore” di Germania, di lì a poco nel 19 o nel 21 e.v., finì per essere ucciso dai suoi stessi parenti in una lotta di potere scatenatasi in terra cherusca. Fu alla memoria di Germanico e al suo fulgido esempio vittorioso che si rivolse l’Italia nel momento di maggior tensione della Prima Guerra mondiale, che doveva ristabilire quei confini sacri che Catone, richiamandosi a un’arcaica norma di diritto, individuava nelle Alpi, muro derivato, in illo tempore, dal tracciato dell’aratro divino. Il Corriere d’Italia del 22 aprile 1917 riporta la cerimonia con cui il giorno precedente, nel Natale di Roma, era stata offerta all’esercito 45 italiano la riproduzione della moneta che il Senato Romano aveva fatto coniare nel 17 e.v. per celebrare la vittoria che Germanico aveva conseguito sulle orde semi selvagge guidate da Arminio: “Onori insigni furono decretati in Roma a Germanico trionfatore, fra gli altri, appunto, la coniazione della moneta, nella quale al diritto si scorge il Vincitore con le insigne del trionfo, su carro trainato da quattro frementi cavalli. Nel rovescio Germanico, eretto in tutta la sua maestà di vincitore e la scritta ‘Signis recept, devictis germ’ (Recuperate le insegne, sconfitti i Germani). A diciannove secoli da quei giorni la Latinità si è trovata ancora una volta impegnata contro l’immutata barbarie germanica, ma forte dei suoi santi diritti, affidati alle sue armi possenti ed al valore dei suoi duci, essa ancora una volta sgominerà i discendenti di Arminio! I Comitati e le Delegazioni di Roma e di Torino per i Doni ai combattenti della IV Armata vollero che, ad opera della Regia Zecca, fosse riprodotto il prezioso cimelio, quale sicuro auspicio per quella completa e definitiva Vittoria Latina cui sempre più tendono con sublime eroismo i cuori degli italiani e dell’intero mondo civile! […] L’epigrafe, che si accompagna alla riprodotta moneta, recita ‘A voi ufficiali che – nel nome dell’Italia e per la civiltà – rinnovate gesta di antico valore – i Comitati e le Delegazioni – di Roma e di Torino – per i doni ai combattenti della IV armata – auspicio di vittoria – offrono segnato nel bronzo – il simbolo che da XIX secoli – ricorda il trionfo latino – sui Germani di Arminio’”. Il conflitto, che Gabriele D’Annunzio definì come “la lotta suprema dei Latini contro i Germani” e “lo sforzo di Roma e di tutti i suoi secoli”, era iniziato per l’Italia da oltre due anni, in un “radioso” 24 maggio, ricorrenza del giorno natale di Gaio Giulio Cesare Germanico, Duce fatale che doveva punire il tradimento di Teutoburgo. Vittorio Sorci Geni Italiani: Enrico Fermi Pubblichiamo un documento raro e sconosciuto ai più, risalente al 25 Ottobre 1934. Si tratta del deposito sul richiesto riconoscimento di privativa industriale, da parte di Enrico Fermi, Edoardo Amalfi, Oscar d’Agostino, Bruno Pontecorvo, Franco Rasetti, Emilio Segrè e Giulio Cesare Trabacchi, sotto il titolo: “Metodo per accrescere il rendimento dei procedimenti per la produzione di radioattività artificiali mediante il bombardamento con neutroni“. Già prima della laurea Fermi pubblicò alcuni notevoli lavori riguardanti la relatività. Laureatosi nel luglio del 1922, discutendo una tesi, necessariamente sperimentale, sulla formazione di immagini con i raggi X, Fermi, rientrato in famiglia a Roma, chiese consiglio sulla strada da intraprendere a O.M. Corbino, direttore dell’Istituto di Fisica dell’Università di Roma. Questi riconobbe subito l’eccezionalità del giovane e lo indirizzò alla carriera universitaria, aiutandolo successivamente a creare a Roma una scuola di fisica avanzata. Grazie a delle borse di studio, nel 1923 Fermi si recò in Germania, a Gottinga presso M. Born, e nel 1924 in Olanda, a Leida presso P. Ehrenfest. Poté così finalmente rendersi conto di cosa volesse dire lavorare in un ambiente dove la produzione scientifica era a livelli di avanguar- dia e dove si aveva modo di discutere i propri problemi con maestri di grande spessore e con giovani validissimi colleghi. A Leida Fermi ebbe modo di conoscere A. Einstein che mostrò nei suoi confronti stima e simpatia. Alla fine del 1924, si traferì a Firenze come professore incaricato di Fisica Matematica e oltre a svolgere varie 46 ricerche teoriche si dedicò con F. Rasetti, che era stato suo collega di Università a Pisa, ad esperimenti di spettroscopia. Negli anni precedenti Fermi si era tra l’altro occupato del problema della quantizzazione del gas perfetto, in relazione alla determinazione della costante dell’entropia di tale gas, e delle incongruenze che affioravano nell’applicazione delle condizioni quantiche di Sommerfeld a sistemi contenenti elementi identici. Così, sul finire del 1925, venuto a conoscenza del principio di esclusione di W. Pauli, in brevissimo tempo ne trasse le conseguenze per la meccanica statistica delle particelle che obbediscono a tale principio, cioè, come si chiarirà in seguito, delle particelle a spin semintero (elettroni, protoni, neutroni), oggi dette per l’appunto fermioni. La nuova statistica, che diverrà nota come statistica di Fermi-Dirac (avendola il grande fisico inglese P.A.M. Dirac dedotta successivamente in modo formalmente più rigoroso), fu il maggior contributo teorico di Fermi alla fisica quantistica. Con questa scoperta Fermi acquistò una notevole fama a livello internazionale. Corbino riuscì a istituire presso l’Università di Roma una cattedra di fisica teorica, la prima in Italia, alla quale fu chiamato Fermi. Così, nell’autunno del 1926, Fermi si trasferì a Roma nell’Istituto di Via Panisperna, dove iniziò il periodo più fecondo della sua vita scientifi- ca e dove ben presto, grazie al pieno appoggio di Corbino, creò un gruppo di collaboratori: il primo fu Rasetti, al quale si aggiunsero E. Segré, E. Amaldi, B. Pontecorvo. Saltuariamente, e solo per quanto riguardava i problemi teorici, partecipava ai lavori del gruppo anche E. Majorana. Come altri grandi fisici del passato, Fermi realizzò nella propria attività di ricerca una stretta unità di competenze e capacità teoriche e sperimentali. Il gruppo dei “ragazzi di Corbino” si occupò inizialmente di spettroscopia (per es. dell’effetto Raman) ottenendo notevoli risultati. Ma all’inizio degli anni Trenta fu chiaro che lo studio del nucleo atomico era molto più promettente delle ricerche di spettroscopia e pertanto i vari membri del gruppo si recarono in laboratori all’estero per apprendervi le tecniche sperimentali necessarie per condurre esperimenti di fisica nucleare Sul finire del 1933, mentre il gruppo procedeva lungo la strada intrapresa, Fermi elaborò la teoria del decadimento beta, in assoluto il suo lavoro teorico più importante. Numerose sostanze radioattive decadono emettendo elettroni i quali presentano uno spettro di energia continuo: per spiegare questo spettro continuo W. Pauli aveva nel 1930 ipotizzato che nel decadimento beta di un nucleo venisse emesso insieme all’elettrone anche un’altra particella, elettricamente neutra e di massa molto piccola, il 47 cosiddetto neutrino, difficilmente rivelabile. Fermi su questa base costruì la teoria del decadimento beta “per analogia con la teoria della emissione di fotoni dagli atomi“. Il processo fondamentale della teoria di Fermi è la transizione di un neutrone (n) in un protone (p) con la creazione di un elettrone (e) e di un neutrino (n): n -> p + e + n. Sviluppata la teoria di questo processo, risultò subito chiaro a Fermi che per riprodurre i valori delle vite medie osservate era necessario attribuire il processo stesso a un’interazione estremamente più debole di quella elettromagnetica, detta in seguito interazione debole o fermiana. Molti concordano nel ritenere che questa ricerca di Fermi segnò la nascita della moderna fisica teorica delle particelle elementari. Il lavoro sul decadimento beta non era ancora comparso nella letteratura internazionale, quando nel gennaio del 1934 I. Curie e F. Joliot annunciarono a Parigi di aver osservato la radioattività artificiale provocata da particelle alfa in elementi leggeri (boro, alluminio e magnesio). All’inizio di marzo del 1934, Fermi pensò che il modo migliore per produrre la radioattività artificiale dovesse consistere nell’impiegare come proiettili i neutroni (scoperti solo due anni prima da J. Chadwick) che essendo elettricamente neutri non subiscono la repulsione coulombiana del nucleo. Dopo alcuni tentativi infruttuosi, egli ottenne prima della fine del mese un risultato positivo nel fluoro e nell’alluminio, utilizzando una sorgente di neutroni del tipo radon-berillio (le particelle alfa emesse dal radon sono assorbite dal berillio che si trasforma in carbonio con l’emissione di un neutrone veloce). Rendendosi subito conto dell’ampiezza del nuovo fenomeno, Fermi ne iniziò uno studio sistematico in collaborazione con F. Rasetti, E. Segré, E. Amaldi, il chimico O. D’Agostino, ai quali nel settembre si aggiunse il neolaureato B. Pontecorvo. Durante i mesi di aprile, maggio e giugno 1934 furono irraggiati 62 elementi e in 37 fu osservato almeno un nuovo atomo (nucleo) radioattivo. Complessivamente furono individuate 50 nuove specie di nuclìdi radioattivi. In 16 casi il nuovo radionuclìde fu identificato chimicamente con la tecnica dei portatori. Le reazioni con le quali si forma il radionuclide sono di tre categorie: reazioni in cui il neutrone è assorbito dal nucleo bersaglio che emette una particella alfa o un protone (osservate solo in elementi leggeri, con Z < 30) e reazioni (dette di cattura radiativa) in cui viene emesso un fotone di alta energia (emissione gamma). A seguito di alcune anomalie manifestatesi nell’attivazione dell’argento (la cui radioattività indotta variava fortemente a seconda dei materiali che si trovavano in prossimità del campione da attivare e della sorgente di neutroni), nell’ottobre 1934 Fermi e collaboratori scoprirono che per urti successivi contro i nuclei dell’idrogeno di un materiale idrogenato i neutroni vengono notevolmente rallentati e che i neutroni lenti così prodotti sono fino a cento volte più efficaci dei neutroni veloci nel produrre le reazioni nucleari di cattura radiativa. Il lavoro intensissimo dei “ragazzi di Via Panisperna“ sulla fisica del neutrone proseguì nel 1935, ma sul finire di quell’anno Rasetti si recò in America, Pontecorvo a Parigi, Segré come professore a Palermo. Fermi e Amaldi proseguirono le ricerche, scoprendo l’assorbimento risonante dei neutroni da parte di certi nuclei. Fermi formulò in questo periodo la teoria del rallentamento dei neutroni che conteneva molte delle idee fisiche e dei metodi matematici che saranno alla base della teoria dei reattori nucleari. Sul finire del 1938, poco dopo la promulgazione in Italia delle cosiddette leggi razziali, Fermi si recò a Stoccolma per ricevere il premio Nobel, conferitogli per i suoi fondamentali contributi alla fisica dei neutroni, e di lì proseguì per gli Stati Uniti dove si stabilì (prendendo la cittadinanza nel 1944). La decisione di emigrare da parte di Fermi fu presa anche perché sua moglie, Laura Capon, era ebrea. Fermi era giunto negli Stati Uniti da poche settimane quando O. Hahn e F. Strassmann annunciarono la sco- perta della fissione dell’uranio. Immediatamente Fermi iniziò lo studio della fissione, in particolare dei neutroni emessi in questo processo. Ebbe così ben presto chiaro che era possibile realizzare una reazione a catena capace di produrre energia su scala macroscopica. La realizzazione di un dispositivo nel quale produrre in modo controllato la reazione a catena divenne lo scopo centrale delle ricerche di Fermi, che si conclusero il 2 dicembre 1942, con l’entrata in funzione a Chicago del primo reattore nucleare a fissione. Poco prima Fermi aveva dato la sua adesione al progetto Manhattan, per l’utilizzazione bellica dell’energia nucleare. Subito dopo la fine della guerra, si dedicò a studi teorici sulla fisica delle particelle elementari (atomi mesici, reazioni ad alta energia, origine dei raggi cosmici). All’inizio degli anni Cinquanta condusse, con una macchina acceleratrice in grado di produrre pioni, lo studio sperimentale della collisione pione-protone, scoprendo la prima risonanza di questo processo. Nell’estate del 1954, dopo una breve permanenza in Italia, si manifestarono i sintomi del cancro allo stomaco che lo portò alla morte il 28 novembre dello stesso anno. 48 49 Attentato a Viktor Orban primo ministro ungherese Vi era un tempo in cui, con la forza delle idee, il fervore delle fedi religiose, la volontà delle nazioni, si scriveva la Storia. Certo le élite dominanti hanno sempre tentato di giostrare a proprio tornaconto - in ogni era - i mutamenti negli equilibri e, fin dalle epoche classiche, l’omicidio dei propri avversari è stato strumento della politica e dell’amministrazione del potere ma, mai come nell’era dell’informazione assoluta, della trasparenza e della cosiddetta democrazia globale, questo strumento è stato usato in modo tanto indegno, riuscendo ad occultarlo spesso anche quando in piena luce. Esempi eccellenti, negli anni recenti, sono di certo sia quello di Enrico Mattei, che con l’ENI dell’immediato dopoguerra tentò un rilancio economico e un’autonomia energetica per l’Italia che mal si comparava con i piani delle Sette Sorelle del petrolio (e quindi scomparso a seguito di un attentato dinamitardo, spacciato per incidente aereo), sia anche quello di Albino Luciani, noto invece per le sue posizioni fortemente avverse ai potentati economici del Vaticano (e “inspiegabilmente” trapassato dopo soli trentatré giorni di pontificato). Dalla storia recente balziamo ora alla cronaca, anche se i media mondiali non hanno minimamente riportato la notizia: Viktor Orban, il primo ministro ungherese è infatti scampato, poche settimane or sono, ad un attentato spacciato per improbabile incidente automobilistico. Improbabile giacché segue di pochi giorni alcune sue importanti dichiarazioni politiche. Appena un mese fa, infatti, il premier Orban ha cacciato dall’Ungheria il Fondo Monetario Internazionale, suggerendone la chiusura degli uffici locali, e mostrando chiaramente - anche a livello internazionale - la linea politica di Budapest, attraverso l’intenzione di anticipare la restituzione della parte finale del prestito da 20 miliardi di euro ottenuto nel 2008 da FMI e BCE, a seguito delle speculazioni e dei rifiuti da parte dei mercati dell’asta obbligazionaria ungherese. Grazie quindi a coraggiose misure di risanamento e di riforme strutturali, quali il taglio del deficit di bilancio statale al di sotto del 3% del PIL, la nazionalizzazione di più di 10 miliardi di euro di beni precedentemente gestiti da privati, l’emissione di imposte altissime per banche e società e la tassazione di tutte le transazioni finanziarie, l’Ungheria ha avviato un nuovo percorso che, alimentando un forte spirito di conservazione e salvaguardia nazionale, ha saputo dare risposta concrete e nuove alla crisi economica globale e alle speculazioni della finanza. La scelta quindi di versare in anticipo la rata di 2,2 miliardi di euro a saldo del prestito ha sortito un effetto eclatante ed inaspettato. Non si è però trattato di una replica motivata del FMI, oppure di una dichiarazione che sottolineasse gli 50 eventuali benefici del controllo del Fondo sulle politiche nazionali ungheresi, bensì di un gravissimo - quanto strano e improbabile per la sua stessa dinamica - incidente, che ha coinvolto le auto del convoglio di Orban durante una visita in Romania: incidente che si sarebbe rivelato assai provvidenziale, se avesse fatalmente coinvolto il premier, per chi invece vede nella grande finanza lo strumento per “delineare il Nuovo Ordine Mondiale”, come disse Mario Monti. Certo si tratta solo di un sospetto, ma di un sospetto forte e legittimo, per un evento sotto gli occhi di tutti eppure tenuto in ombra, come nello stile dei cosiddetti “poteri occulti”. Ora, sperando che il traffico stradale sia meno pericoloso, quello aereo ben monitorato e nessun “folle solitario” si aggiri per le strade di Budapest, l’Ungheria potrà proseguire nelle proprie politiche di divieto assoluto verso gli OGM e potrà puntare alla rinazionalizzazione delle sua Banca Centrale. Non si tratta d’altro che di ridare centralità alla nazione, ponendo il benessere e la crescita dei propri cittadini al primo punto dell’agenda di governo ma, per il diabolico cancro mondialista, per coloro che creano debiti fittizi e inestinguibili per i Paesi e spacciano le guerre per missioni di pace, è come fumo negli occhi. La chiamata alla raccolta di tutta la Nazione rilanciata da Orban dopo l’incidente-attentato può essere la campana che tutte le nazioni d’Europa aspettano ma, al tempo stesso, chi sogna di disegnare a tavolino il suo Nuovo Mondo sulla pelle e sulla vita di tutti noi, non starà a guardare. Aspettiamo eventi drammatici, il peggio non ce l’hanno ancora mostrato. Massimiliano Panero 51