Sofferenza e Amore per la...buona battaglia!

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Sofferenza e Amore per la...buona battaglia!
di Mario M. Merlino
Credo di aver già scritto come gradisca poco intromettermi nelle vicende politiche,
soprattutto in vista delle elezioni e di un ambiente (mio? nostro? Ormai distante e
perduto?) che ha nessun senso del ‘pudore’ proponendosi con tre o quattro sigle alla
destra della destra. Prevedo, senza scomodare il mio fantasioso antenato, che
potremo utilizzare le varie percentuali di ciascuno quali prefissi telefonici. Non è,
però, mia intenzione, nè qui nè altrove, sostituirmi agli uffici competenti di statistica
o alle compagnie rivali delle telecomunicazioni. O, se volete, memore della canzone
di Giorgio Gaber, mitico, ‘Al caffè Casablanca’ dove si beve si mangia il gelato e si
parla di rivoluzione con i giornali di Lotta continua sotto o sopra i tavolini.
Ovviamente senza più intrattenersi su rivolte bastoni e barricate che darebbe il
legittimo, pur se auspicabile mi viene a volte la tentazione di pensare, sapore triste
dell’amarcord, come intitolava Fellini un suo film e come si dice in dialetto di
Romagna dove sono cresciuto.
Sabato pomeriggio sono stato al convegno, organizzato da una giovane comunità
locale, su Codreanu e la Guardia di ferro in un agriturismo nei pressi di Fiuggi, di cui
ho anticipato l’evento in precedente mio intervento. Fra l’altro erano presenti tre
esponenti dell’Asociatia Noua Dreapta, uno dei quali rientrato in Italia dalla Spagna
dove, ogni anno, si rinnova il ricordo della morte in combattimento di Ian Motza e
Vasile Marin, volontari nella guerra civile, a Majadahonda, nei pressi di Madrid ai
primi del 1937. Qui dal 1970 è stato eretto, con gli esclusivi fondi degli esuli, un
monumento. Diversi gli interventi, tutti ad alto livello, tutti appassionati, rigorosi,
tutti capaci di confermare quanto già aveva rilevato Maurice Bardéche essere, cioè,
‘la più originale e affascinante prova compiuta e più pura della grandezza morale a
cui può condurre l’idea fascista’.
Hanno chiesto, i giovani organizzatori, che fossi io a concludere, magari per rispetto
ai capelli bianchi più che per l’autorevolezza del sapere. E – modestamente, mai –
non li ho delusi… Tutta questa premessa per riportare una affermazione del
Mario Michele Merlino
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Capitano, risposta al magistrato che, malevolo e subdolo, gli chiedeva quali fossero i
criteri per entrare nella Legione e accedere alle gerarchie e competenze funzionali:
‘E’ la quantità di sofferenza e di amore’. Ed ho voluto sottolineare il termine ‘amore’
perché ciò che colpisce, mi colpisce, è l’assoluta convinzione di Codreanu che non è
sufficiente essere predisposti ad affrontare la ‘buona battaglia’, bisogna essere
capaci di viverla, renderla azione. Attraverso i campi di lavoro, il commercio
legionario, la doppia gerarchia e, va da sé, il sacrificio perché il sangue versato alla
terra dei padri dà allo spirito la forza d’affermarsi…
Sappiamo quanto feroce fu la repressione operata ai danni del movimento legionario
e quanta forza spirituale seppero dimostrare nella tormenta i suoi aderenti.
Sappiamo anche quanto i Fascismi al potere faticarono ad intenderne il valore,
diffidarono, preferirono il governo militare del generale Antonescu più che il
successore di Codreanu, Horia Sima. Politica e iniziazione spirituale, la tensione
mistica del radicalismo romeno apparivano collocarsi ben oltre a quanto, pur
presente e significante, vi era nella religiosità del fenomeno fascista…
Sono gli anni ’70 che, nelle realtà giovanili della destra di partito e radicale,
scoprono Codreanu e trasformano ‘Il Capo di Cuib’ in una lettura di formazione del
militante. Davanti all’invadenza di un mondo giovanile votato alla sinistra, con i
cortei di migliaia di partecipanti, con slogan e referenti di un marxismo nei suoi
molteplici rivoli, nell’arroganza di uno spirito illuminista e giacobino che si arrogava,
come cantava Francesco Guccini, di stare sempre dalla parte della ragione e mai del
torto, con la ferocia la brutalità la sicumera d’essere in tanti, rivendicare la
superiorità dell’ardua scelta ove tutto donare e donare anche se stessi. Quando
Franco Anselmi bagna il proprio passamontagna con il sangue ancora caldo di
Stefano Recchioni sull’asfalto, egli compie – consapevole o meno, ben poco importa –
un gesto ‘legionario’. Di quei legionari che, dopo aver compiuto l’esecuzione di
Calinescu, l’uomo dal ‘monocolo nero’, artefice dell’assassinio del Capitano e dei
tanti camerati, si consegnano o danzano e cantano intorno al letto del traditore
giustiziato in attesa d’essere arrestati e inviati nelle miniere di sale o direttamente
strozzati nelle celle.
‘La quantità di sofferenza e di amore’, appunto…
Poi, poi… per molti, troppi, ‘il tradimento dei chierici’ al lavoro, inteso non come
strumento ma finalizzato al guadagno, i miti consumistici macchina sportiva cellulare
d’ultima generazione, abito firmato, ostriche e champagne. E la politica come
carriera. Che ciò sia avvenuto anche ‘a sinistra’ perché dovrebbe scandalizzarci,
lasciare l’amaro in bocca? Non pensammo – e così ci educarono i nostri maestri, ad
esempio Julius Evola o Drieu la Rochelle – che americanismo e bolscevismo erano le
facce d’un medesimo conio? E, proprio contro di loro, ritenemmo che il Fascismo
‘immenso e rosso’, la ‘guerra del sangue contro l’oro’ aveva combattuto una lotta
mortale e noi, eredi di quell’avventura, con lui.
Oggi quei giovani di allora, molti, troppi di loro, sono fra coloro che selezionano o
sono candidati alle prossime elezioni e alla ‘quantità di sofferenza e di amore’ hanno
sostituito ruffianeria corruzione e denaro… mentre le ali dell’Arcangelo Michele, le
Mario Michele Merlino
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sue piume sono state disperse e calpestate…
Mario Michele Merlino
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