Sì ai dottori 24 ore su 24 “Ma ne servono di più”
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Sì ai dottori 24 ore su 24 “Ma ne servono di più”
LA RIVOLUZIONE IL PROBLEMA È LA MANCANZA DI RISORSE E DI ORGANIZZAZIONE Sì ai dottori 24 ore su 24 “Ma ne servono di più” Medici e pazienti approvano il decreto del governo sulla Sanità Ilgiudizio. Torino dice sì al decreto del ministro Balduzzi sulla Sanità, che prevede studi aperti giorno e notte. Così viene cancellata la differenza tra medici di famiglia e medici di Guardia medica che già oggi coprono le richieste di notte e quelle nei giorni festivi quando gli studi sono chiusi. I timori. Approvato il decreto non mancano a Torino le perplessità e i timori. Primo fra tutti, la mancanza di personale che dalla Guardia medica sarà destinata agli studi aperti 24 ore su 24: in città manca oltre la metà delle risorse previste, un medico ogni 13 mila abitanti anziché ogni 5 mila. L’assessore. L’assessore regionale alla Sanità, Paolo Monferino, promuove il decreto del ministro Balduzzi ma si dice seriamente preoccupato per i maggiori costi legati all’allungamento dei turni di copertura dei medici e per la mobilità del personale che il provvedimento renderà necessaria. Accossato, Castagneri, Giaimo Giacomino e Mondo ALLE PAGINE 44-45 La nuova Sanità /Che /Che cosa cosa può può succedere succedere aa Torino Torino Mancano medici per tenere aperti gli studi 24 su 24 Dottori e pazienti promuovono il decreto Balduzzi Il problema sono le risorse e i pronto soccorso pieni MARCO ACCOSSATO LORENZA CASTAGNERI Ai medici di famiglia piace il decreto Balduzzi che tiene aperti gli studi 24 ore al giorno, sette giorni su sette. Promosso, ma con alcune perplessità e timori. «In questo provvedimento - spiega il dottor Aldo Mozzone - sparisce la differenza tra medico di guardia medica e medico di base». Tradotto: chi oggi lavora per il «5747» sarà parte integrante degli studi associati. «Benissimo, ma qui - sostiene Alessandro Dabbene, segretario provinciale e regionale dei medici della Continuità assistenziale - la teoria si scontra con la realtà». Primo problema: a Torino, ad esempio, il numero di medici «5747» disponibili è meno della metà di quelli previsti sulla carta; uno su 13 mila abitanti anziché uno su 5 mila. «E meno del 50 per cento sono medici di medicina generale - sottolinea il dottor Dabbene -, mentre oltre la metà provengono da un’esperienza e da una formazione ospedaliera». Il che rende difficile l’attuazione immediata del decreto. 3.000 medici di famiglia In Piemonte sono circa tremila i medici di base coinvolti nella riforma 900 alla Guardia Medica Ma l’organizzazione è disomogenea, per cui a Torino città c’è carenza zio, «l’attuazione del decreto del ministro non significherà affatto disintasare i pronto soccorso, perché il ricorso all’ospedale non dipende dal fatto che non si trova il medico di famiglia». Questo decreto, insomma, «avrà senso se consentirà di far fronte al problema dei malati cronici». I fondi Anche sul fronte economico ci sono timori sulla copertura necessaria per sostenere un provvedimento che - deciso a livello nazionale - dovrà però basarsi su risorse regionali. «In Piemonte - sostiene il dottor Roberto Venesia, segretario regionale della Fimmg - sarà probabilmente indispensabile spostare per questo progetto 2 o 2 punti e mezzo delle risorse oggi destinate agli ospedali». Non illudiamoci. Dice il dottor Venesia che, almeno all’ini- I pazienti Girando fra gli studi medici, ascoltando anche chi è in attesa di visita, non tutti sostengono che sia così indispensabile una copertura giorno e notte. «Ben venga l’apertura degli studi la sera dopo cena, il che va incontro a chi lavora o studia fino al tardo pomeriggio commenta Elena Pastore, 23 anni -, ma mi paiono esagerate le 24 ore continuative». Stessa opinione ha il dottor Mario Nejrotti, medico di famiglia dal ’79: «Le intenzioni del decreto sono positive, ma non credo ci sia bisogno di un’assistenza del genere: la Guardia medica è un servizio più che sufficiente, magari integrata con medici specializzandi per i quali sarebbe un’esperienza preziosa». Gli altri problemi Che possano bastare 18 ore su 24, cioè fino a mezzanotte, è un pensiero che condivide anche il segretario Fimmg, Venesia. Ma se il decreto Balduzzi per più di un medico è «il punto di partenza per organizzare la rete territoriale del futuro», il Piemonte - come forse altre regioni - deve far fronte ad altri ostacoli, oltre alla carenza dei cosiddetti «medici di continuità»: «Nella nostra regione - sottolinea il dottor Ruggero Fassone non c’è una piattaforma informatica unica per la condivisione delle informazioni cliniche». Basterebbe, a questo proposito, citare il fatto che «le postazioni di montagna della “continuità assistenziale”, cioè il 5747, non hanno in molti casi neppure collegamenti Adsl». Positivo il fatto che sia stata cancellata dal decreto l’obbligatorietà di formare un’aggregazione tra medici di famiglia: «Non ci si può aggregare per legge dal mattino alla sera...». Positivo, secondo i medici di famiglia, anche il fatto che gli ospedalieri siano stati esclusi da questa riorganizzazione. La Regione Per il governatore Cota il ministero «ha copiato il nostro modello di Centri di Assistenza Primaria». La riforma Balduzzi, in realtà, va oltre. E pone, per qualcuno, anche una questione non marginale di sicurezza: «Con gli studi aperti la notte i medici di turno potrebbero trovarsi di fronte a potenziali pericoli», osserva Mario Soffietti, un pensionato in attesa di una visita. Giorno e notte a disposizione Il decreto che moltiplica le ore degli ambulatori di medicina generale cancella la differenza tra medici di famiglia e medici di «continuità assistenziale», cioè della Guardia medica In Val di Lanzo “Potrà funzionare se collaboreremo di più con la guardia medica” «Già oggi siamo a disposizione in ogni momento della giornata» GIANNI GIACOMINO VENARIA Costantino Miravalle ha 58 anni e la metà li ha spesi come medico di famiglia nelle Valli di Lanzo, nella zona di Pessinetto. Uno di quei «dottori» che non si sono mai risparmiati, pronti a correre da un paziente che abita in una frazione isolata e poi via, per un’altra visita, magari con la neve fino alle ginocchia e il vento freddo che taglia la faccia. Giorno e notte. «E che dovrei fare? - allarga le braccia sorridendo Miravalle – in questi posti di montagna, con la gente esiste un rapporto di fiducia, diretto». Riflette: «Il mio orario di lavoro va dalle 8 alle 20 e poi subentra la guardia medica per garantire la copertura notturna,ma, ogni tanto, mi capita anche di dover alzarmi per una visita». Sulla riorganizzazione della sanità sette giorni su sette e 24 ore su 24, proposta dal ministro Renato Balduzzi, Miravalle ammette che: «Può funzionare, ma, secondo me, deve migliorare la comunicazione e l’interazione tra i medici di famiglia e quelli che fanno da guardia medica». L’idea di un nuovo assetto per l’assistenza sanitaria territoriale, per Miravalle, può funzionare: «Soprattutto dopo Costantino Miravalle che ha chiuso, nelle ore notturne, il punto di primo soccorso dell’ex ospedale Mauriziano di Lanzo, noi questo lo abbiamo percepito». Ancora: «Il progetto di raccogliere 15 o 20 professionalità mediche, con delle proprie specializzazioni, in una sola sede, credo che sia ottimo. Poi è sufficiente coordinarsi e collaborare e il servizio potrebbe funzionare benissimo. Noi, medici di famiglia di zona, una ventina in tutto, ci ritroviamo già una volta al mese per discutere del nostro lavoro. Otteniamo un confronto costruttivo che ci aiuta nella professione». In Val Pellice “Solo slogan, chi lavora nei piccoli centri è già in servizio permanente” Nelle vallate si opera già in rete e gli ambulatori servono più Comuni ANTONIO GIAIMO PINEROLO Scuote la testa e allarga le braccia il dottor Danilo Mourglia. Lui ha appena terminato l’incontro con gli altri medici dell’équipe territoriale della val Pellice e commenta il nuovo decreto sulla sanità varato dal Consiglio dei ministri. «Hanno coniato lo slogan: sette giorni su sette per 24 ore – dice – ma noi medici della val Pellice siamo da sempre al servizio dei nostri pazienti. Chis- sà, questo può essere un provvedimento che potrebbe rispecchiare la realtà solo in una situazione a macchia di leopardo, come può accadere nelle grandi città. Ma nelle nostre valli è tutto diverso». Forse perché qui è stato raccolto il testimone lasciato nel 1978 dai medici condotti, quando questa figura è stata abolita. E chi parla da anni ha perseguito un ambizioso obiettivo, quello di fare educazione sanitaria, prescrivendo farmaci e analisi di laboratorio solo quando è strettamente necessario. Continua a raccontare: «A noi preoccupano più del decreto quelle voci che parlano di una possibile riduzione dei posti letto negli ex ospedali valdesi di Torre Pellice e Pomaretto». Danilo Mourglia è stato uno dei precursori di quel delicato Il dottor Danilo Mourglia lavoro di riorganizzazione della medicina di base che prevede la costituzione di reti poliambulatoriali territoriali. All’interno dell’équipe di medici ha messo in rete con un server i dati dei pazienti. In questo modo lavorando in gruppo si garantisce sempre la presenza di un medico in ambulatorio dalle 8 del mattino alle 19. «Facciamo spostare i dati, non i pazienti. Infatti quando arrivano in studio, anche se non c’è il loro medico curante, gli esiti della visita e le eventuali prescrizioni mediche vengono inserite e condivise sul server comune». lunghi. Il che porrà un problema». L’assessore Monferino Quale? «Chi sosterrà le maggiori spese?». “Giusto allungare i turni di copertura Ma chi si farà carico dei costi?” ALESSANDRO MONDO articoli del provvedimento. Che cosa funziona, e cosa no? Il decreto andrà letto bene, ma do un giudizio complessivamente positivo. E questo nonostante altre Regioni si siano sentite scavalcate. Io, però, sono abituato a badare al sodo». Parola di Paolo Monferino, assessore alla Sanità nella giunta Cota, tra i professionisti coinvolti dal Ministero nella messa a punto di alcuni «Una serie di novità - dai farmaci all’edilizia sanitaria, passando per la mobilità del personale sono certamente utili per affrontare i problemi sul tavolo. Altre potevano essere discusse con più calma. A fare la differenza è stata l’urgenza nell’approvazione del testo». Quali i punti di contatto tra il decreto e la vostra riforma sanitaria? «Almeno tre: presidi medici aperti giorno e notte, quelli che noi chiamiamo Centri di assistenza primaria; mobilità del personale; nomine basate sul merito, cioè salvaguardate da valutazioni politiche. Anche se, restando al decreto, voglio capire chi si assumerà di scegliere dalle graduatorie». Da voi com’è andata? «Per i direttori delle Asl e delle Federazioni ho puntato il più possibile sulla meritocrazia». Se ci avevate pensato anche voi, vi sarete posti la questione... Paolo Monferino Chenepensadeglistudimedici aperti a tutte le ore? «Che ci avevamo pensato anche noi, tanto più che esiste già una tendenza dei medici ad associarsi. Ovviamente, trattandosi di garantire la copertura, le strade sono due: aggiungere nuovi medici o far lavorare quelli operativi per tempi più «Noi non avevamo stabilito una copertura tassativa di 24 ore, in certi casi ne bastano 12. Penso che il ragionamento valga anche oggi. Puntiamo a coprire i turni impiegando anche personale in eccesso nel servizio pubblico. Si tratterà di definire una mobilità anche fisica». Un altro guaio? «Con il contratto attuale della sanità, sì: oggi si può spostare qualcuno solo se è consenziente, e comunque entro un raggio di 25 chilometri». E sull’uniformità dei sistemi in- formatici, peraltro necessari per mettere in rete i nuovi ambulatori? «Entro settembre avremo il capitolato per uniformare quelli relativi alla parte amministrativa del comparto sanitario: a fine 2013 ce ne sarà solo uno. Invece per i sistemi clinico-sanitari bisognerà attendere fino a metà del 2014». Quanto inciderà il decreto in termini di maggiori costi per le Regioni? «Mi preoccupa soprattutto l’allungamento dei turni di copertura degli studi medici: le Regioni, compresa la nostra, non hanno risorse aggiuntive. Su altri fronti, penso all’uso più razionale di alcuni farmaci, il provvedimento potrebbe portare dei risparmi. È ancora troppo presto per tirare le somme». In ospedale LA DENUNCIA DEI LAVORATORI La denuncia riguarda i problemi del personale che si ritrova senza difese nei turni più a rischio Per gestire i posti auto acquistate apparecchiature mai utilizzate “Abbiamo paura a lavorare la notte” Allarme sicurezza alle Molinette Furti nei reparti e aggressioni nei parcheggi Protesta dell’Ugl CLAUDIO LAUGERI Aggressioni. Furti. Parcheggiatori abusivi. I dipendenti delle Molinette sono preoccupati. «E’ ora di fare qualcosa per la sicurezza. La gente parla nei corridoi, ma nessuno ha il coraggio di sollevare il problema in modo ufficiale. La situazione deve cambiare» s’infuria Lucrezia Zurzolo, segretaria provinciale dell’UglSanità. Soltanto nell’ultima settimana, un’infermiera è finita al pronto soccorso con una clavicola rotta, un reparto operatorio è stato preso di mira dai ladri e lo stesso è avvenuto con lo studio di un dirigente medico. La dipendente è stata aggredita in pieno pomeriggio nel parcheggio pluripiano: una spinta per farla cadere dalle scale e portarle via il cellulare. Lunedì mattina, poi, medici e infermieri di un reparto di chirurgia hanno scoperto il furto di 29 fiale di morfina (custodite in cassaforte) e di una borsetta lasciata negli spogliatoi. «Ma questa è soltanto la punta dell’iceberg - aggiunge la sindacalista -. La situazione è peggiorata nel tempo. Basti pensare ai turni di notte. Fino a qualche anno fa, il personale girava tranquillo nell’ospedale. Non è più così. C’è da aver paura. Può accadere di incontrare brutti ceffi. Per un uomo, la situazione è brutta, ma per una donna è anche peggio». Ci sono da percorrere chilometri per attraversare le Molinette da una parte all’altra. L’azienda ha qualche sorvegliante, ma la notte ne sono previsti al massimo due per turno. E basta l’emergenza di un malato esagitato a bloccarli anche per ore. Di giorno, poi, ci sono zone dove campeggiano personaggi che in ospedale non avrebbero motivo di entrare. Basta andare sul terrazzino che si affaccia su corso Dogliotti per incontrare gruppi di nomadi, occupati a tenere sotto controllo i propri compari in cerca di elemosine nei parcheggi. Già, i parcheggi, altra nota dolente. I posti dentro le mura delle Molinette sono al massimo 400, i dipendenti almeno dieci volte tanto. A dirigere il traffico ci sono 39 dipendenti delle Molinette, che distribuiscono «pass» di vari colori a seconda della zona di collocazione dei parcheggi. «I furbi prendo il primo permesso che capita e vanno a mettere l’auto do- ve vogliono» aggiunge Zurzolo. Tutto questo, nonostante da un anno sia pronto un sistema automatizzato, costato svariate centinaia di migliaia di euro. E mai utilizzato. «Bisogna affrontare questi problemi, prima che accada il peggio - dice ancora la sindacalista -. Certo, non è possibile piantonare i reparti e neppure dare un posto auto a ciascuno sotto la finestra dell’ufficio. Ma ci sarà pure una via di mezzo. Anche soltanto garantire il passaggio di qualche sorvegliante la notte potrebbe essere un inizio, come anche far funzionare macchinari pagati fior di quattrini pubblici». il caso VINCENZO AMATO OMEGNA I Ciss (Servizi socio assistenziali) sono salvi, ma resta ancora molta confusione sulla composizione e sul ruolo che dovranno avere. Sul futuro dei Consorzi ci sono ancora idee poco chiare che rischiano di generare delle incomprensioni fra i comuni che vi fanno parte e gli altri enti, quali le comunità montane, alle quali sembrava dovessero essere demandate alcune attività socio-assistenziali. «Le cose non stanno esattamente così - dice il commissario del Ciss Cusio Augusto Quaretta - il dispositivo di legge che ha regolamentato la materia prevede la soppressione da parte dei comuni degli enti che svolgono funzioni loro assegnate, tranne che per quegli enti Salvi i servizi sociali Ma con meno risorse si tagliano le attività Una delle proteste dei mesi scorsi contro i tagli ai servizi sociali che svolgono servizi di tipo socio-as- andare avanti anche a prezzo di enorsistenziali. Il nostro caso». mi sacrifici. Lo scoglio da superare Un altro punto della legge, ogget- era innanzitutto legislativo, e qualto di controversa interpretazione, fa- che perplessità come si è visto rimaceva pensare che i comuni usciti dai ne, ma soprattutto di natura econoconsorzi non potessero più rientrare. mica dal momento che ai Ciss sono «In effetti è vero, ma ciò non riguar- state tolte molte risorse e le amminida nessun comune dei nostri consor- strazioni locali non sono in grado di zi nel Verbano Cusio Ossola dal mo- intervenire più di tanto». I comuni mento che nessuno se ne è andato - cusiani si sono impegnati economicaprosegue Quaretta - qualora avesse mente «sborsando» tre euro per ogni lasciato potrebbe abitante in più ricomunque rientraCISS CUSIO spetto a quanto verre in forma associain precedenSalta il progetto dedicato savano ta. In pratica solo i za e salvando così il alle persone con disabilità Consorzio. L’ente consorzi sciolti Minori aiuti agli anziani dal canto suo è stanon potrebbero più ricostituirsi, to costretto a rinunma da noi ciò, per fortuna, non è avve- ciare ad alcuni servizi, tipo l’appartanuto». Un rischio questo al quale è mento dedicato ai disabili che facevaandato molto vicino proprio il Ciss no esperienza di vita sociale e autodel Cusio che un anno e mezzo fa, noma dalle famiglie. Tagliati anche quando era in scadenza, avrebbe do- alcuni contributi che venivano assevuto essere chiuso in virtù della legge gnati a persone anziane o non auto«Calderoli» che scioglieva i consorzi. sufficienti economicamente. Inoltre «Invece scegliemmo la strada del il Consorzio Cusiano ha dovuto ridurcommissariamento in attesa che ve- re anche le ore lavorative dei soci delnisse fatta chiarezza - aggiunge Au- la cooperativa con la quale collabora gusto Quaretta - e abbiamo deciso di da decenni. NOVI LIGURE. LA SEDE È ALL’OSPEDALE SAN GIACOMO Procreazione assistita, si è bloccato l’unico laboratorio Asl in provincia Chiuso «per ferie» non riapre: manca un dirigente con i requisiti richiesti A rischio di chiusura l’ambulatorio di «procreazione medicalmente assistita», il Pma, aperto nel 2005 all’ospedale San Giacomo di Novi. Il servizio, collegato con i reparti di Ginecologia e Andrologia, studia e diagnostica le cause del- l’infertilità maschile e femminile: unico in provincia, copre l’intero territorio e accoglie anche richieste extra regionali. La riduzione dell’attività era già stata segnalata all’inizio dell’estate da parte di alcuni utenti che non erano riusciti ad ottenere l’appuntamento per una visita. In quel periodo l’Asl dichiarò che l’attività era temporaneamente sospesa in concomitanza con la stagione estiva. «Questo periodo – era stato precisato - sarà l’occasione per progettare la riorganizzazione del centro, sia sotto il profilo del personale che del servizio. A tale proposito sono in fase di definizione alcuni accordi per creare sinergie con l’ospedale di Asti, sede di un centro di procreazione di secondo livello”. Il Pma di Novi è infatti un centro di primo livello, ciò significa che l’inseminazione avviene per via intrauterina attraverso la preparazione del liquido seminale che si immette tramite catetere, a differenza del centro di secondo livello dove la fecondazione avviene in vitro. Ma probabilmente le cose sono andate diversamente. «Al Fecondazione artificiale, una pratica sempre più sfruttata momento non può riprendere l’attività del Pma – dicono all’Asl – per un motivo formale: manca la figura di un dirigente responsabile che abbia i requisiti previsti dalla legge. Senza questa figura, non facile da reperire, è impossibile proseguire con l’attività». Così gli utenti sono costretti a rivolgersi ai centri di Torino, Pavia, Milano [G. FO.] o dell’Emilia. RIFORMA SANITARIA. IL DECRETO DEL MINISTRO BALDUZZI “La medicina di gruppo è realtà” Il dottor Modina della Fimmg «Nel Biellese ci sono già esperienze» Per decongestionare il pronto soccorso il decreto-sanità di Balduzzi prevede la nascita dei super-ambulatori dei medici di base, aperti 7 giorni su 7, 24 ore su 24 dove dirottare i codici bianchi che possono essere seguiti dalla medicina di base. «Per realizzarli però servo- no strutture e risorse», dice Enrico Modina, presidente della sezione biellese della Federazione italiana dei medici di medicina generale. Modina pensa che il lavoro di gruppo sia il futuro per i medici di famiglia che nel Biellese sono circa 140: si ottimizzano le spese, ci si confronta con i colleghi e tutti gli assistiti sono in una base di dati comune per recuperare facilmente le informazioni durante le sostituzioni. Lui stesso a Vigliano condivide l'ambulatorio con altri due dottori e una pediatra. «Oltre alla nostra, nel Biellese ci sono altre 3 esperienze di ‘’medicina di gruppo’’, una a Nuova riforma della Sanità Cossato e due a Biella, ma sono iniziative private e i costi di gestione sono a carico nostro. Per noi già abituati a lavorare insieme non ci sarà molta differenza, ma per chi ancora lavora da solo sarà una rivoluzione». Con il decreto cosa cambia? «Che le Regioni e le Asl dovranno individuare le strutture e stanziare le risorse per ambulatori che possano ospitare circa 15 medici di base più i pediatri, gli infermieri e le guardie mediche per garantire l'apertura 24 ore su 24. Nei paesi dove l'Asl biellese ha le strutture sarà facile, negli altri sarà un problema, si dovranno forse fa- re convenzioni con le realtà esistenti», aggiunge Modina. Per il presidente della Regione Cota con i super-ambulatori Balduzzi ha «copiato» le strutture polifunzionali Cap (Centri di assistenza primaria) già previsti nel piano socio-sanitario piemontese. Il direttore generale dell'Asl Gianfranco Zulian pensa che sia presto per fare un discorso preciso sul Biellese: «Il decreto dovrà essere applicato in base ai singoli contesti territoriali. Il modello dei medici di famiglia attivi sulle 24 ore si confà maggiormente alle esigenze e ai flussi delle aree urbane e cioè a realtà come Biella e Cossato. In riferimento agli altri Comuni, occorrerà trovare il giusto compromesso tra centralizzazione dei servizi e capillarità, in modo che restino comunque quanto più possibile vicine alle [F. FO.] persone più fragili». SANITÀ TAGLI E RIORGANIZZAZIONE “Il Saluzzese non può perdere l’ospedale Non ci arrendiamo” MONICA COVIELLO SCARNAFIGI I sindaci del territorio vogliono vederci chiaro sui tagli che riguardano l’ospedale di Saluzzo: ieri undici fra primi cittadini e assessori comunali si sono riuniti nella sala del Consiglio di Scarnafigi per un dibattito e per elaborare le strategie per opporsi alle decisioni che, sono tutti concordi, «piovono dall’alto». «L’ospedale è cresciuto, e oggi ha raggiunto un livello di avanguardia – spiega Mario Lovera, sindaco di Scarnafigi -. Proprio adesso vogliono ridurre i servizi per il cittadino, e sembra che sia quasi tutto deciso. Mi auguro che ci sia ancora qualche possibilità per farci sentire: Saluzzo non ha mai avuto episodi di malasanità, ma adesso la situazione potrebbe cambiare». C’è bisogno di un confronto serio tra gli amministratori locali, secondo Sergio Banchio, sindaco di Moretta: «L’ospedale dovrebbe diventare poco più di centro poliambulatoriale: stiamo per perdere le specialità che avevano reso Saluzzo un punto di riferimento, come l’Or- Ieri in assemblea 11 Comuni della zona «Dobbiamo far sentire più forte la nostra voce» topedia, riconosciuta a livello regionale. Ma questo territorio sembra finito in una cappa d’ombra: la pianura ha alternative, ma i Comuni di montagna e di collina no. Viene da chiedersi perché, quando ci sono dei tagli da fare, il Saluzzese è sempre il primo della lista: ab- biamo già perso la ferrovia e il tribunale. Ma c’è un punto oltre il quale non si può andare. Bisogna dire basta, cercare spiegazioni». Carlo Manzo, sindaco di Cardè: «Avvertiamo un senso di impotenza: il Saluzzese ha subito un attacco scriteriato, e le decisioni arrivano dall’alto. La marginalità è imposta da scelte tecniche di chi non sta ad ascoltare la voce della gente». Secondo Milena Cordero, primo cittadino di Polonghera, il problema è che «noi non abbiamo molti santi in Paradiso, e a tutte le manifestazioni partecipano gli amministratori, ma manca la rabbia della cittadinanza. Bisognerebbe che la gente scendesse in piazza, altrimenti pare che si accetti tutto con rassegnazione (ci sarà una manifestazione pubblica, il 21 settembre, alle 17,30, davanti In municipio a Scarnafigi Dopo l’assemblea di ieri ci sarà un’iniziativa pubblica il 21 settembre alle 17,30 davanti all’ospedale di Saluzzo [FOTO MARCO BERTORELLO] all’ospedale di Saluzzo)». Concorde Mario Guasti, di Manta: «Il Piano sanitario è già diventato legge. Sembra di fare la veglia a un morto».Secondo Ernesto Testa, sindaco di Lagnasco, «teoricamente la democrazia impone il confronto, ma anche quando abbiamo subito i tagli nel settore socio assistenziale, nessuno ci ha chiesto che cosa avessimo intenzione di fare, né ci ha spiegato come prepararci». «Ormai c’è da tempo un attacco alle autonomie locali. Abbiamo espresso molti dissensi, ma il governo non ne ha tenuto conto. I giochi però possono anche cambiare, a patto che ci sia una presa di posizione forte. Ma bisogna fare in fretta», aggiunge Gianfranco Marengo, sindaco di Verzuolo.