La sorellina - Fabbri Editori

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La sorellina - Fabbri Editori
GLI
AFFET TI FAMILIARI
Lalla Romano
La sorellina
Fratelli e sorelle non sempre vivono d’amore e d’accordo: spesso tra loro
affiorano gelosie, rivalità, contrasti.
In questo brano autobiografico la scrittrice Lalla Romano rievoca con
sincerità e semplicità gli stati d’animo, le sensazioni fisiche, le difficoltà
di rapporto che da bambina aveva nei confronti della sorella minore.
TEMI
1. balia: donna che una
volta veniva assunta per
allattare un neonato.
2. governante: donna
assunta per provvedere
all’educazione dei bambini.
3. era stata … campagna: era stata mandata
in campagna durante il
periodo dell’allattamento.
4. aia: cortile delle case
di campagna.
5. aggrottata: con gli
occhi socchiusi per proteggersi dai raggi del
sole.
6. turbato: interrotto,
disturbato.
7. vestita da tirolese:
con il vestito tipico delle donne del Tirolo: gonna ampia e arricciata,
camicia bianca, bustino
ricamato.
8. glabra: liscia, com-
pletamente priva di peluria.
9. pelle del latte: pel-
licola che si forma quando il latte viene bollito.
1
La sorellina era trattata in tutt’altro modo da me; ma non nel senso
di maggiore severità. Lei stessa richiamava altri modi: più allegri, più
leggeri.
Soltanto io mi vergognavo di lei. Provavo fastidio, non certo gelosia,
era chiaro che non era presa sul serio. Per me avevano preso la balia1
in casa e poi una governante2; la sorellina era stata messa a balia in
campagna3: per lei non si erano fatte cose eccezionali.
Nei pomeriggi d’inverno, se c’era il sole, si andava a vedere la sorellina.
La strada era una pista di neve dove i piedi affondavano, scivolosa.
Qualcuno mi teneva per mano. Trovavamo sull’aia4 asciutta la sorellina
affondata in un seggiolone rustico, aggrottata5 per il sole. Intorno c’era
odore di latte e di stalla. La mamma si preoccupava delle mosche.
In quei momenti la sorellina mi ripugnava già un poco, per quell’insieme di odori di nido e di cuccia; ma non sapevo che sarebbe venuta
a casa.
Quando fu a casa, si vide quanto era pacifica, ma credo che soffrissi
del silenzio turbato6. Io «parlavo da sola», e la mamma mi lasciava
fare, non mi interrompeva.
La sorellina aveva una bambola di pezza vestita da tirolese7; la prendeva per le braccia e la scuoteva, dicendo senza fine: «Ghi-go, goghi». Tutti trovavano graziosa quella cantilena.
Quando la sorellina andò all’Asilo, ne parlava sempre. Tutto era importante: il cestino, l’uovo, le pastiglie che le dava la direttrice.
La suora preferita dalla sorellina non era bella; aveva la faccia pallida, glabra8, e lei l’aveva soprannominata «la Maestra Liscia». Io mi
vergognavo di quel nome, lo trovavo indecente.
A me la sorellina stessa pareva indecente, perché era grassa. Mi accorsi allora di essere magra. La mamma penava per me perché non
volevo mangiare. La sorellina «mangiava di tutto». A me piacevano
soltanto le patate fritte. Odiavo il latte. Alla sorellina piaceva il latte,
perfino la schifosa «pelle del latte9».
Tutti la volevano baciare. Lei si lasciava prendere sulle ginocchia e
baciare. Io la giudicavo senza dignità.
A me i baci facevano ripugnanza, perché lasciavano bagnato sulla
faccia, o pungevano. In questo io e la mamma eravamo uguali: anche
lei non poteva soffrire i baci.
Rosetta Zordan, Il Narratore, Fabbri Editori © 2008 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education
GLI
AFFET TI FAMILIARI
10. protuberanze: spor-
genze.
11. alla paggio: capelli
corti con frangia.
TEMI
12. ruota della fortuna: era un modo per
consolare la bambina del
fatto che la sua frangia
anziché rimanere bella diritta e liscia si scomponeva assumendo una
forma rotonda, circolare.
13. corromperla: farle
fare azioni cattive.
Tutti ammiravano «gli occhioni» della sorellina. Lei li spalancava
tranquilli, guardava diritto in faccia la gente. Io guardavo di solito
da un’altra parte. Per lo più per noia e distrattamente; o evitavo di
proposito di guardare in faccia le persone, se esse mi guardavano.
Provavo disagio per quell’eccesso di intimità e persino paura: le facce erano troppo marcate, piene di protuberanze10, peli, macchie. Mi
piaceva solo guardare le persone belle, che appartenevano a un’altra
specie, come le figure dei libri.
Volevo che non mi scrutassero. Forse perché stavo zitta, sembravo
pensierosa.
A me premeva di essere presa sul serio. Tutt’e due noi bambine eravamo pettinate «alla paggio11», come usava. La sorellina aveva una bella
frangetta liscia, mentre la mia era sempre scomposta. In un punto i
miei capelli non volevano star giù. Era, mi dicevano, la «ruota della
fortuna12», ma io capivo che mi volevano consolare. Mi irritava che
mi compiangessero: che cosa mi importava della frangia?
La sorellina divertiva tutti con le sue ingenuità. Io provavo imbarazzo
per lei e avrei voluto farla tacere.
Avevo detto che a scuola la bidella metteva l’inchiostro nei calamai;
la sorellina credeva che la bidella fosse un uccello, che mettesse l’inchiostro infilando il becco nei calamai. Rimanevo sbalordita dalla
sua capacità di immaginare cose simili, ma non la apprezzavo, perché la giudicavo irragionevole.
La sorellina impersonava tutto quello che non mi piaceva: la condiscendenza, la credulità. Non la maltrattavo certo; ma avevo come
un istinto di corromperla13. Una volta la condussi per mano a rubare
dei dolci da una scatola che la mamma teneva in un cassetto. Non
ero nemmeno golosa, ricordo invece la sottile gioia cattiva di indurre
l’innocente a far qualcosa di proibito.
Solo dopo che fu nata la sorellina, scopersi di essere cattiva. Questo
fu motivo di rimorso, e persino di timore tanto il mio istinto mi pareva invincibile.
(da La penombra che abbiamo attraversato, Einaudi, Torino, rid.)
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Rosetta Zordan, Il Narratore, Fabbri Editori © 2008 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education