N°21 – 1 Novembre - Rivista Rocca
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N°21 – 1 Novembre - Rivista Rocca
Rivista della Pro Civitate Christiana Assisi Una bomba politico-strategica Le due Afriche La lettura e l’educazione permanente Il ritorno del Ddt Etica scienza società: Di chi è la mia vita? $# ANNO NUMERO 21 periodico quindicinale Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post. dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Perugia 1 novembre 2006 A2,00 Partito Democratico: Unire senza appiattire Un moderno modello di sviluppo: Oltre la Finanziaria Inserto: Integrismo, la malattia della verità giocate gente giocate! TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE ISSN 0391 – 108X Rocca A te, insegnante ed ai tuoi studenti, Rocca propone: sommario STORIA, LETTERATURA, FILOSOFIA, ETICA, RELIGIONE, AMBIENTE, ECONOMIA, PSICOLOGIA, SCIENZA, DIRITTO, EDUCAZIONE, SVILUPPO, SPIRITUALITÀ, POLITICA, SOCIETÀ, ARTI E CULTURE... quali campi del sapere ed esperienze di vita in cui per la tua classe puoi trarre materiali di ricerca per: 4 7 11 13 14 16 18 argomenti da approfondire temi su cui riflettere 21 spunti per discutere e dibattere anche in vista dell’ esame di stato mediante la formula ABBONAMENTO CLASSE 22 25 28 29 gennaio-giugno 2007 35 Con una spesa di 10 Euro (proprio solo d i e c i) per ogni studente 12 numeri di Rocca + gratis i numeri 2006 che usciranno dal momento in cui ci perverrà l’importo cumulativo degli abbonamenti 1 novembre 2006 41 Attenzione: l’offerta è valida a partire da almeno 20 abbonamenti Versare quota cumulativa a Rocca con ccp 15157068 o bonifico bancario e inviare elenco indirizzi abbonati a: Rocca C.P. 94 - 06081 ASSISI oppure [email protected] DISPONIBILI COPIE SAGGIO PER GLI INSEGNANTI richiedere a ROCCA cas.post. 94 - 06081 Assisi e.mail [email protected] www.rocca.cittadella.org 37 21 42 44 46 Ci scrivono i lettori 49 Anna Portoghese Primi Piani Attualità Vignette Il meglio della quindicina 51 Raniero La Valle Resistenza e pace La vittoria di Schumacher 54 Maurizio Salvi Corea del Nord Una bomba politico-strategica 56 Filippo Gentiloni Partito democratico Unire senza appiattire 57 Paolo Leon Un diverso modello di sviluppo Proposte in discussione/2 Oltre la Finanziaria 58 Romolo Menighetti Oltre la cronaca Due Afriche, due opportunità 58 Pietro Greco Ambiente Il ritorno del Ddt 59 Fiorella Farinelli Rapporto Editoria La lettura e l’educazione permanente 59 Romolo Menighetti Parole chiave Nord 60 Giancarlo Zizola Cultura e religioni Integrismo, la malattia della verità 60 Giuliano Della Pergola Conflitti La guerra al tempo della guerra infinita 61 62 Giannino Piana Etica scienza società Di chi è la mia vita?/2 Luca Rolandi Torino spiritualità La rivolta delle periferie Vito Procaccini Società Giocate gente, giocate! Manuel Tejera de Meer Io e gli altri Con una goccia di miele Rosella De Leonibus Cose da grandi Come nasce una donna/2 63 Stefano Cazzato Maestri del nostro tempo Thomas Kuhn Scienza è un modo di stare al mondo Marco Gallizioli Culture e religioni raccontate Palazzo Yacoubian, come si diventa terrorista Carlo Molari Teologia La fede e la sua formulazione razionale Lidia Maggi Eva e le sue sorelle La donna giusta Giacomo Gambetti Cinema Contraddizione La stella che non c’è Roberto Carusi Teatro Un Mozart teatrale Renzo Salvi Rf&Tv Wild West Mariano Apa Arte Frangi Alberto Pellegrino Fotografia La società in posa Enrico Romani Musica Dylan, il Boss e la Finanziaria Giovanni Ruggeri Siti Internet Beni culturali e musei Libri Carlo Timio Rocca schede Paesi in primo piano Uruguay Nello Giostra Fraternità quindicinale della Pro Civitate Christiana Numero 21 – 1 novembre 2006 $# ANNO Gruppo di redazione GINO BULLA CLAUDIA MAZZETTI ANNA PORTOGHESE il gruppo di redazione è collegialmente responsabile della direzione e gestione della rivista Progetto grafico CLAUDIO RONCHETTI Fotografie Andreozzi B., Ansa, Associated Press, Ballarini, Berengo Gardin P., Berti, Bulla, Carmagnini, Cantone, Caruso, Cascio, Ciol E., Cleto, Contrasto, D’Achille G.B., D’Amico, Dal Gal, De Toma, Di Ianni, Felici, Foto Express, Funaro, Garrubba, Giacomelli, Giannini G., Giordani, Grieco, Keystone, La Piccirella, Lucas, Luchetti, Martino, Merisio P., Migliorati, Oikoumene, Pino G., Riccardi, Raffini, Robino, Rocca, Rossi-Mori, Turillazzi, Samaritani, Sansone, Santo Piano, Scafidi, Scarpelloni, Scianna, Zizola F. Redazione-Amministrazione casella postale 94 - 06081 ASSISI tel. 075.813.641 e-mail redazione: [email protected] e-mail ufficio abbonamenti: [email protected] www.rocca.cittadella.org - www.cittadella.org http://procivitate.assisi.museum Telefax 075.812.855 conto corrente postale 15157068 Bonifico bancario: Banca Pop. di Spoleto – Assisi Cin: T – ccb n. 2250 – Abi 5704 – Cab 38270 IBAN: IT59T05704382700 0000 000 2250 BIC: BPSPIT3SXXX Quote abbonamento Annuale: Italia A 45,00 Annuale estero A 70,00 Sostenitore: A 100,00 Semestrale: per l’Italia A 26,00 una copia A 2,00 - numeri arretrati A 3,00 spese per spedizione in contrassegno A 5,00 Spedizione in abbonamento postale 50% Fotocomposizione e stampa: Futura s.n.c. Selci-Lama Sangiustino (Pg) Responsabile per la legge: Gesuino Bulla Registrazione del Tribunale di Spoleto n. 3 del 3/12/1948 Codice fiscale e P. Iva: 00164990541 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Editore: Pro Civitate Christiana Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica sono riservati. Manoscritti e foto anche se non pubblicati non si restituiscono Questo numero è stato chiuso il 17/10/2006 e spedito da Città di Castello il 20/10/2006 4 Eutanasia e umana pietà Gli interventi qui pubblicati esprimono libere opinioni ed esperienze dei lettori. La redazione non si rende garante della verità dei fatti riportati né fa sue le tesi sostenute Il porre allordine del giorno proposte di legge sulleutanasia nella società di oggi, mi suscita uno sgomento agghiacciante. Non siamo maturi per giudicare con credibilità tale argomento. Per essere affidabili sulla sincera intenzione di agire per salvaguardare la libertà e la dignità delluomo davanti alla morte, bisogna dar prova di essere capaci di salvaguardare la dignità delluomo vivente. A sostegno di questa affermazione, pur essendo una persona senza particolari qualifiche, constato le molte, troppe contraddizioni fra i principi di civiltà che si proclamano e il nostro comportamento. Per rilevarne alcune, si accetta la morte di innocenti se ostacola i fini da raggiungere, liquidandola come danno collaterale. Daltro canto, si usa un uomo come semplice arma di offesa, strumento di morte più efficace ed economico di una bomba. Non ci si turba e non ci si indigna che altri uomini vicini o lontani da noi, siano privi del diritto di sussistenza, della libertà di vivere «una vita dignitosa». Come posso essere in grado di legiferare su «la libera volontà di morte?» Riconosciamo onestamente che avendo raggiunto la possibilità di allungare la vita, non sappiamo più come governarla. Per venire incontro alla disperata volontà dei pochi che chiedono di porre fine a sofferenze insostenibili, si rischia di instaurare una sorta di mobbing verso quelle persone che si ostinino a continuare a vivere una «vita non dignitosa». Lumana pietà si manifesti se sincera, nellastenersi dallaccanimento terapeutico quando porti solo a inutili sofferenze o sperimentazioni. Si faccia diventare la terapia del dolore un diritto, terapia che potrà cer- tamente svilupparsi in maniera selettiva. Si sottopongano i casi eccezionali a una sorta di tribunale del malato con tutte le salvaguardie possibili. Cè ancora una strada da percorrere: far conoscere obiettivamente specialmente alle persone sole o svantaggiate il significato delle alternative proposte e tutelare la loro volontà con una dichirazione personale. Ricordiamo comunque che anche il più equo provvedimento si vanifica se non viene recepito da una società solidale. Maria Rosa Ciampi Schaffner Firenze Perché il Movimento non assume come importante la campagna per Corpi Civili di Pace? Lattuazione della risoluzione dellOnu, che, seppur in ritardo, ha comportato la fine delluccisione di civili libanesi (in massima parte) e israeliani ha rilanciato la necessità della riflessione sulle alternative possibili alla struttura politica militare. Non possiamo però nasconderci gravi interrogativi che emergono dallanalisi della situazione, pur condividendo gli obiettivi, perseguiti in ritardo, del cessate il fuoco e della protezione dei civili che caratterizzano lintervento dei caschi blu e che, per questo, differenziano in modo evidente lintervento in Libano da quello in Afghanistan e Iraq. Quali sono le strategie possibili per evitare di essere assorbiti e travolti dalla strategia della guerra permanente e di scivolare in appoggio alla politica di dominio israeliano (visto il posizionamento esclusivo in territorio libanese e laccordo di cooperazione militare Italia-Israele)? È affidabile linterposizione effettuata da reparti militari che, in passato, si sono resi protagonisti di crimini nei confronti delle popolazioni civili in Somalia? Per questi motivi è necessario ragionare sulle possibili alternative. Ma esistono? Forse dimentichiamo che in questi anni centinaia di italiani hanno partecipato ad interventi nei Balcani, in Cile, in Bolivia, in Ecuador, in Guatemala, Honduras, in Chiapas, in Kenya, in Turchia, in Palestina, in Congo e Ruanda. E abbiamo rimosso i 1500 di «Time for Peace» (1989) e i 500 di Saraievo (1992). Inoltre, lopinione pubblica (compresa quella pacifista) non sa che da anni ci sono corsi formativi ad alto livello per la formazione di corpi civili di pace: il corso di monitoraggio del Centro studi per i diritti umani e dei popoli del professor Papisca, che in collaborazione con una decina di università europee ha formato un centinaio di persone; il corso di laurea in Scienze per la pace dellUniversità di Pisa e in Operazioni di pace che ormai hanno laureato molte decine di persone; i corsi professionali per mediatori di pace della Provincia di Bolzano e delle Regioni Piemonte, Toscana, Marche e Campania, il Comune di Bertinoro, che hanno formato almeno un 150 persone. Tra laltro, lo Stato italiano, unico al mondo, ha assegnato un milione di euro allUfficio nazionale per il Servizio Civile (Unsc) con un Comitato per la difesa civile Non Armata e Nonviolenta (Dcnanv), (decreto 18 febbraio 2004) per interventi di pace chiamati «Difesa popolare nonviolenta», cioè per la strategia di intervento contro la guerra e per la pace che obiettori e associazioni nonviolente hanno promosso da alcuni decenni in Italia. Questi corpi civili devono avere lobiettivo della non partigianeria, cioè di porsi dalla parte del più debole, affinché rinascano le condizioni per il dialogo e la trattativa; devono essere presenza di monitoraggio, tutela, promozione dei diritti umani; devono facilitare la riconciliazione che si concretizza trasversalmente attraverso tutti gli interventi di assistenza umanitaria, ricostruzione, riabilitazione e sviluppo, valorizzando le componenti della società civile locale impegnate nella promozione dei diritti umani e del dialogo. Certamente tutto questo può sperare di essere efficace se i corpi civili di pace sono distinti e autonomi dalle forze armate locali e internazionali. Per alcuni, larea nonviolenta che ha organizzato un convegno a 100 anni dal discorso con cui Gandhi ha promosso il Satyagraha, è utile intervenire in Israele e a Gaza e nei territori occupati dallo Stato di Israele. Altri, la Rete Caschi Bianchi (coordinamento degli enti: Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Caritas Italiana, Volontari nel Mondo Focsiv e Gavci) hanno dato la disponibilità a lavorare in Libano. Il Movimento per la Pace deve fare propria la Campagna per un Diverso Modello di Difesa e di Intervento nelle aree di conflitto, se non si vuole appiattire tra il sostegno (molto spesso solo a parole) alla resistenza armata islamica e lappoggio al «governo amico». È quindi possibile costruire un contesto politico favorevole che permetta di gradualmente sostituire la presenza militare con quella non armata. Perché non riprendere lelaborazione e le proposte dellassemblea di Genova «Ripartire da Genova (22 luglio 2006) e lanciare una campagna per il ritiro del contingente italiano dallAfghanistan e per INVITO AI LETTORI lunedì 30 ottobre ore 18,15 ROCCA a ROMA promosso dal Polo DidatticoProgetto Humanitas sul tema LA RELIGIONE FAI DA TE incontro con l’Autore MARCO GALLIZIOLI e con ROCCALIBRI Sede Polo DidatticoProgetto Humanitas Piazza Oderico da Pordenone 3 00145 ROMA tel. 06/5134825 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Rocca ci scrivono i lettori CI SCRIVONO I LETTORI 5 ATTUALITÀ Riguardo larticolo di Lilia Sebastiani (Rocca 16/17) bellissimo come di consueto, ne riconosco la caratteristica delle interpretazioni dei dotti: cercare di capire loscuro anche quando esistano interpretazioni semplici. Vi propongo di leggere la mia. ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Per poter capire il senso ed il significato della parabola dei talenti (Matteo 25, 1.4-10) è necessaria una breve premessa ed una sorta di microscopico vocabolarietto. Premessa è che bisogna considerare levoluzione dei tempi, delle sensibilità, della lingua; non possiamo raccontare una vicenda daltri tempi con i termini di oggi, ma possiamo capirla se ne traduciamo la terminologia. Vocabolarietto. Un uomo che dispone di servi e capitale ed ottimo reddito veniva detto signore. Si traduce: ricco imprenditore. Servo, oggi, è espressione non corretta, si dice colf, garzone. Si traduce: dipendente. I dipendenti a cui si affida gestione di danaro sono dipendenti in posizione direttiva, abitualmente apicale. A ciascuno degli alti dirigenti venne affidata la piena responsabilità dei loro reparti e finanziamento adeguato. Si traduce: budget. Dopo un viaggio durato molto tempo, si traduce: finito lanno sabbatico. Regolare i conti si traduce: 6 poco non riuscirà a godere neppure di quello che ha. Sandro Piscaglia [email protected] Pensieri e parole Desidererei esprimere dei pensieri suscitati da ciò che sento e leggo su «Rocca» e altre riviste, riguardo Dio, fede, ragione, bene, male, ecc. ecc. Chi ha creato tutte queste parole? Luomo. Ogni parola che luomo pronuncia è stata creata da lui. Dio è stato creato dalluomo. Da chi se no? Chi mi sa rispondere? La vita è immensa e noi conosciamo così poco di essa! Anche se tante cose ci sono state svelate dalla scienza, ancora tante ci sono oscure, e queste, noi, le chiamiamo mistero. Luomo è limitato e la scienza sta nelle mani limitate delluomo. Inutile però mettere un Dio nel mistero per trovare le risposte che vogliamo. Non vi pare? Tanto poi questo Dio, lo faremo sempre ragionare a modo nostro. Ognuno lo fa ragionare a modo suo. Se la persona è buona, onesta, lo fa ragionare in un certo modo, se la persona è disonesta lo fa ragionare in modo disonesto. Le guerre di religione, e non solo quelle, lo dimostrano perfettamente. Inoltre, può essere comandato lamore? Oltretutto, non è un pochino ipocrita fare il bene per andare in Paradiso? Il bene io lo faccio perché è bene, il male io lo faccio perché è male, punto. La vita, certo, non è solo bella, talvolta è anche dura e difficile, ma, a me pare che la fede e le religioni lhanno di parecchio complicata. Secondo me, che ci portano fuori strada, ci porta nellillusione, nella superstizione, nel fondamentalismo, è la paura e lignoranza. Mi sbaglio? Antonietta Bonfanti Carate Brianza (Mi) Bose spiritualità ortodossa in dialogo La parola può far morire e può far rinascere. Per questo i dialoghi del monastero di Bose (Bi), proseguiti con intelligente costanza nei convegni ecumenici con lOrtodossia vengono guardati con speranza nel complesso lavoro dialogale di riconoscimento tra cristiani dOriente e dOccidente. Questanno gli incontri settembrini hanno avuto come oggetto la «Divina liturgia» ortodossa e le «Missioni». Dal cuore della vita cristiana qual è leucaristia, si è passati alla riflessione sullannuncio del Vangelo negli immensi spazi della Russia del Nord, dalla Siberia fino al Giappone e allAlaska, in un racconto storico-geografico che è anche esperienza attualissima di ascolto della ricerca di Dio che continua ad abitare ogni uomo e ogni cultura. Alle due sessioni, bizantina (Nicola Cabasilas e la Divina liturgia) e russa (Le missioni della Chiesa ortodossa russa) hanno preso parte, accanto ai maggiori specialisti a livello internazionale, metropoliti, vescovi e monaci della Chiesa ortodossa, della Chiesa cattolica e delle Chiese della Riforma. Particolarmente nuova per i non addetti ai lavori la riflessione sulle missioni della Chiesa russa nella società contemporanea, in quel processo di rinascita spirituale che essa conosce dagli anni 90 del secolo scorso. Tra le tante, intense riflessioni, il priore Enzo Bianchi traccia, come conseguenza di entrambe le tematiche quella traiettoria che dalla comunione eucaristica porta alla missione: «solo se i cristiani sapranno essere veramente uomini e donne eucaristici, capaci di trovare autentiche vie di comunione tra loro, potranno essere credibili anche nellincontrare quanti vivono nellindifferenza religiosa, o appartengono a tradizioni religiose diverse». Oslo Nobel al banchiere dei poveri Il 13 ottobre è stato dato lannuncio dellassegnazione del Nobel per la pace e leconomia a Muhammad Yunus (nella foto, meglio conosciuto come «il banchiere dei poveri». Un premio allintuizione creatrice di un banchiere sui generis, che, attraverso il «microcredito» ha liberato tantissima gente dalle angustie della miseria, facendo dei poveri, in particolare delle donne, soggetti della loro piena realizzazione. Originario di Chittagong, principale porto mercantile del Bengala, laureatosi in economia negli Stati Uniti, Yunus ritorna in patria per dirigere il Dipartimento di economia del Bangladesh. Il dramma della povertà e delle annesse turbolenze, del ricorso agli strozzini da parte dei contadini del suo paese anche per comprare le sementi lo inquieta. Nel 1977 fonda la «Grameen Bank» (Banca rurale), un istituto di credito indipendente che pratica il microcredito. A differenza degli istituti di credito di tutto il mondo, presta soldi ai poveri, in particolare alle donne senza alcuna garanzia: «Le donne sono più affidabili. Pensano al bene della famiglia, ai figli, a risparmiare» spiega il vice amministratore della Gra- meen Bank che a tuttoggi ha concesso prestiti per cinque miliardi e mezzo di dollari; ha 14 uffici zonali e 11mila filiali locali con un giro di clienti di oltre due milioni di persone. Queste prendono allinizio a prestito 200 dollari, restituiti i quali possono chiedere altri più ampi prestiti. La restituzione attuale è del 97%. Interrogato sui principi economici ai quali la sua azione si è ispirata, Yunus ricorda il noto principio, insegnato dallinizio dei suoi anni universitari: «per creare ricchezza, bisogna dare laccesso al capitale». Malgrado gli scetticismi, le critiche, le messe in guardia, malgrado le minacce alle donne da parte dei conservatori islamici che non le avrebbero volute impegnate nel prestito nemmeno per comprare una mucca, Yunus ha continuato a prestare, aggiungendo: «I poveri non sono responsabili della loro povertà. Non sono degli incapaci ma delle vittime. È la società che il fa poveri. Bisogna dare a ciascuno la possibilità di essere un imprenditore». Crede nelleconomia, fa prestito di speranza ai poveri e rimprovera i banchieri che invece li tengono a distanza: «Un sistema che esclude i due terzi della popolazione mondiale sostiene non può essere giusto». In altre zone del mondo il microcredito è stato esportato, riscuotendo successo specie quando è stato accompagnato da altri programmi sociali. Difatti, se da tutti è ormai acquisito che il microcredito è utilissimo strumento per la riduzione della povertà comè accaduto in Bangladesh con la ridistribuzione della ricchezza in un contesto di attività tradizionali e rurali, in altri contesti più complessi potrebbe generare reddito permanente se tale ridistribuzione fosse sostenuta da altre iniziative emancipative, a cominciare da quelle verso le donne. Oggi Yunus è attivamente coinvolto nello sforzo di portare le nuove tecnologie informatiche e i sistemi di comunicazione telefonici nelle comunità rurali e nei villaggi. ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 La parabola dei talenti se subito in cassaforte e si rimise, placido, seduto alla scrivania. Quando il proprietario dellazienda rientrò dalla lunga assenza chiese relazioni e rendiconto ai tre dirigenti. Il primo mostrò un grafico in ascesa ed un rendiconto altamente positivo; il secondo fece vedere i miglioramenti adottati ed il rendiconto con un vistoso plus. Ad entrambi il Presidente fece un caldo e vivo elogio e li promosse ed entrambi li portò a condividere gli utili dellazienda. Quando si presentò quello del budget più modesto, gli riferì sullandamento quieto del reparto e dimostrò che il budget era stato rispettato e che la liquidità era nella cassa. Non si sa se quel dirigente avesse facilità di comunicazione perché oltre al riconoscimento che il padrone era un uomo ben quadrato, usò una espressione che aveva sentito in reparto: «mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso» senza rendersi conto della ambiguità di tale giudizio. Il Presidente, di fronte a tale sciatteria, usò il modo duro e schietto che gli era abituale «lei non sente affatto lo spirito dazienda e non ha alcuno spirito diniziativa. La conclusione, la può tirar da solo, è il licenziamento in tronco, esecutivo da questo momento. Vada per altre strade a cercarsi un lavoro». Linsegnamento è che bisogna amare il Padrone e la nostra azienda, il buon Dio e la Santa Chiesa. Bisogna amarli con slancio e con zelo, con ogni capacità emotiva ed intellettiva, con la mente e con tutto il cuore e in questo amore bisogna saper correre anche dei rischi. Chi opererà così avrà una vita luminosa e bella in futuro; chi, invece, opererà nel quieto vivere e nella routine quotidiana avrà la poca luce ed il pane insicuro e inquieto degli ignavi. Chi ama tanto godrà ancora di più, forse il tutto, certo il massimo. Chi ama Anna Portoghese Antonio Bruno Forum verso la Sinistra Europea Firenze presentare relazione e rendiconto. Ti darò autorità su molto, si traduce: complimenti per la promozione. Prendi parte alla gioia del tuo padrone, si traduce: avrai una compartecipazione sugli utili dellazienda. Un uomo duro si traduce: un tipo quadrato. Nascondere il talento sotto terra, si traduce: tenere la liquidità in cassaforte. (Se in privato: tenere i soldi sotto il mattone). Servo malvagio e infingardo, si traduce: dipendente senza spirito aziendale e senza iniziativa. Avresti dovuto affidare il mio danaro ai banchieri, è espressione di scherno per umiliare e mortificare un dipendente scadente. Toglietegli il talento e datelo a chi ne ha dieci, si traduce: sopprimete la sua divisione ed accorpatela quella più efficiente. Servo fannullone: dipendente che lavora solo negli orari di contratto usando i permessi e le facilitazioni sindacali. Tutte. Gettar nelle tenebre si traduce: licenziamento in tronco. Pianto e stridor di denti: vada a cercarsi un altro impiego in mezzo al traffico. In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli questa parabola: «un ricco imprenditore, partendo per una vacanza, chiamò i dirigenti della propria azienda ed affidò loro la conduzione dellimpresa. A ciascuno assegnò mansioni e budget consoni ai compiti dei dipartimenti loro affidati in relazione, anche, al giudizio che si era formato su di loro conoscendoli. Al primo assegnò tre milioni di euro e quegli iniziò subito un progetto di espansione che ebbe un insperabile successo. Al secondo diede duecentomila euro che vennero impiegati tosto nel miglioramento della funzionalità dellazienda con un vistoso risparmio a vantaggio del bilancio. Il terzo, a cui erano stati dati centomila euro, li chiu- a cura di la riduzione delle spese militari e il conseguente finanziamento di corpi di intervento nonviolento in aree di conflitto e lorganizzazione di una Difesa Popolare Nonviolenta? primipiani CI SCRIVONO I LETTORI 7 ATTUALITÀ India interrogativi sulla legge del lavoro minorile Kenya i mau mau chiedono risarcimenti Palestina a Gaza punizione collettiva È entrata in vigore da qualche settimana in India la legge che proibisce il lavoro dei minori di 14 anni, passo importante per una grande nazione che finora ha tenuto il primato nel mondo del lavoro minorile: finalmente una norma che proibisce limpiego dei minori come lavapiatti, camerieri, domestici nella case private, nelle trattorie e negli alberghi o come venditori negozi e nei banchetti. E ciò, per l analfabetismo nel quale restano i ragazzi, la compromissione del loro equilibrio psichico e della salute, il rischio, di diventare vittime di prostituzione, pedofilia, schiavismo. Come le norme verranno applicate? E i controlli? Scettico il quotidiano nazionale «The Indu» che scrive: «I grandi progetti del governo per sradicare il lavoro minorile sono rimasti progetti e basta: oggi lo sfruttamento dei ragazzi impera perfino nelle miniere e nelledilizia, settori già dichiarati pericolosi». Anche molte associazioni di volontariato temono che i piccoli, liberati dai lavori, siano abbandonati a se stessi, cioè alla strada, alla fame e alla droga. L11 ottobre un gruppo di veterani mau mau, i ribelli sopravvissuti allinsurrezione armata di 50 anni fa contro i colonizzatori britannici, hanno chiesto al governo della Gran Bretagna il risarcimento per le violazioni dei diritti umani compiute durante quel conflitto. Se listanza non sarà accolta, essi si rivolgeranno alla Corte di Londra. Le chiese (metodista e presbiteriana) del Kenya sono state coinvolte nella richiesta affinché la sostengano e si sono dichiarate disponibili. Si ricorderà come il rapporto ufficiale di quel conflitto coloniale (1961) registrasse la morte di oltre 11.000 Africani per la maggioranza civili e di 32 Bianchi. Recentemente, Caroline Elkins. Professore di storia allUniversità di Harvard e studiosa di questioni africane, ha accertato che circa 100.000 keniani morirono a causa di torture, abusi e negligenza delle autorità coloniali nei campi installati durante linsurrezione. «Gaza è una prigione e Israele sembra aver gettato via le chiavi». Così John Dougard relatore speciale Onu dal 2001 ha commentato il suo rapporto alle Nazioni Unite sulla situazione di vita dei palestinesi, che lo stesso Dougard ha definito «intollerabile, spaventosa, tragica». A Gaza è in corso una «punizione collettiva», vietata dal diritto internazionale, connessa al fatto che i palestinesi hanno scelto con elezioni regolari un tipo di governo sgradito ad Usa, Unione Europea e ad Israele. A seguito della vittoria di Hamas sono stati bloccati i fondi internazionali , così 400.000 dipendenti statali palestinesi si sono trovati senza stipendio. «In altri paesi ha commentato Dougard questo processo sarebbe descritto come pulizia etnica, ma la correttezza politica impedisce di adoperare questo linguaggio quando cè di mezzo Israele». LItalia, che in Libano ha assunto un importante ruolo perché non si attiva per eliminare tale blocco? Luciano Bertozzi Mosca uccisa la reporter dei diritti umani ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 È stata uccisa a Mosca il 7 ottobre, nell ascensore di casa, Anna Politkovskaja, reporter della «Novaia Gazeta» il quotidiano indipendente della capitale. Dopo aver attaccato la guerra in Cecenia, aver raccontato le violenze dei soldati russi sui ceceni, più volte era stata minacciata di morte, due volte era stata arrestata per le sue parole controcorrente, impietose contro le violazioni dei diritti umani. Non aveva potuto raccontare la strage dei bambini di Beslan, perché fermata da un tè avvelenato bevuto in aereo; ora la morte le ha impedito di pubblicare il reportage sulla tortura e le sparizioni sempre in Cecenia. Con acutezza conduceva il lettore a vedere dentro, oltre i fatti; per questo i suoi articoli coraggiosi le erano valsi molti riconoscimenti. Dopo Beslan aveva pubblicato allestero «La Russia di Putin», libro in cui raccontava di un potere sempre più invadente e verticistico del Cremlino. La comunità internazionale chiede indagini serie sul delitto. 8 notizie seminari & convegni Alba (Cn). A monsignor Gianfranco Ravasi, insigne biblista e Prefetto della Biblioteca-Pinacoteca ambrosiana, è stato consegnato il 14 ottobre il Premio Grinzane Cavour. Autore di oltre cinquanta pubblicazioni, Ravasi ha ricevuto la prestigiosa onorificenza anche per la sua valorizzazione del territorio come luogo dello spirito. Castelgandolfo (Roma). Si è concluso il 27 settembre il convegno ecumenico di vescovi amici del Movimento dei Focolari sul tema «Gesù Crocifis- so e abbandonato: via alla piena comunione e alla fratellanza universale». Vi hanno partecipato 45 vescovi provenienti da 20 Paesi, cattolici ma anche protestanti e ortodossi, per esprimere che «la comunione, nel rispetto della diversità delle varie tradizioni, è possibile». Sassone (Roma). Si apre il 1° novembre la XIV Assemblea della Federazione delle Chiese evangeliche dItalia. Lincontro, che si svolge ogni tre anni e che avrà come tema conduttore una citazione dellApocalisse «Ecco, io faccio nuove tute le cose», si propone come una vera e propria assise del protestantesimo italiano. I delegati sono circa 180 tra battisti, valdesi, metodisti, luterani, chiese libere, pentecostali, Esercito della Salvezza. Milano. Migliaia di detenuti, i più poveri, gli extracomunitari, non potendo permettersi un legale, spesso non godono dei benefici cui hanno diritto. Parte per loro dal capoluogo lombardo un servizio legale gratuito, garantito a turno da 350 avvocati a San Vittore, Opera e Bollate. 22 ottobre e 3 dicembre. Camposampiero (Pd). Itinerario di spiritualità coniugale e familiare, su «Sposi cristiani in una società complessa» e «Specchio di Dio e del suo amore» con gli animatori p. Giulio Cattozzo, sr. Francapia Ceccotto e alcune coppie di sposi. Informazioni: Casa spiritualità santuari antoniani 35012 Camposampiero, tel.049 930 3003, fax 049 931 663, e-mail: [email protected]. 5 novembre. Busto Arsizio (Va). «Parole e silenzi. La comunicazione nella coppia» è il tema del seminario organizzato dalla Parrocchia S. Michele Arcangelo e dal locale Consultorio. Relatori: don G. Corti, mons. C. Livetti, prof.a N. Borri-Alimenti, p. G. Bruni, don S. Guarinelli, don F. Molteni, don Sansi. Sedi: teatro Manzoni (via Calatafimi, 5) e Centro Parrocchiale (via Giotto, 8). Il Seminario è preceduto il 3 novembre dalla presentazione nella libreria Boragno (via Milano 4) del volume di p.G.Bruni «A cena con il Signore». Il 4 novembre preghiera-concerto per le famiglie nella Chiesa di san Carlo (via G.Bruno). Informazioni: Danila e Giovanni Grampa, via della Pergola, 6 21052 Busto Arsizio (Va), www.abbandoneraiaderirai.it. 8 novembre. Genova. Per il ciclo «Identità e alterità nel pluralismo culturale e religioso attuale: LOriente e noi» incontro con Paolo Magnone sul tema: «Doni e messaggi al nostro mondo dallIndia antica e contemporanea». Ore 18 presso la sede del «Gruppo Piccapietra», piazza santa Marta 2. Informazioni: 010 2180 74/010 21 61 49. 6-10 dicembre. Camaldoli (Ar). XXVII Colloquio ebraico-cristiano sul tema: «Librogiornali-Parola», introdotto dal rabbino Alfonso Arbib. Altri relatori: Roberto Colombo, Giulio Ponticelli, Osama Al Saghir, Gian Enrico Rusconi, Franco Segre, Luigi Nason, Paolo Ricca, Adnane Mokrani, Aldo Zargani, Maria Bonafede, Fouad Allam, Lorenzo Porta, Giacometta Limentani, Ottavio di Grazia, Innocenzo Gargano. Gruppi di studio, serate darte. Informazioni: Foresteria del Monastero di Camaldoli, tel. 0575 556013. 7 dicembre. Trento. Convegno «Città che sanno fare un pezzo di strada con i giovani», promosso dal Comune di Trento, dalla Cooperativa Arianna, e da «Animazione sociale». Si interroga su quali percorsi si vada incamminando leducativa di strada e quale politica civica promuovere con gli adolescenti in contesti informali. Sarà discusso un documento sul tema, elaborato da studiosi delladolescenza, operatori di strada, responsabili di politiche giovanili, amministratori. Informazioni: Francesca Pontara: cell. 335 5733089, e-mail: [email protected]. 7-10 dicembre. Montale R. (Mo). Giornate di sensibilizzazione al Volontariato Internazionale per un eventuale servizio in Africa, organizzato dal gruppo laico «Seguimi» con ladesione di molte associazioni di volontariato. Si prefiggono di orientare limpegno verso i Paesi del Sud del mondo; di fornire strumenti per affrontare esperienze di incontro con culture diverse; di rendere consapevoli della personale re- sponsabilità. Iscrizioni (entro il 30 ottobre) tel. 059 530 358, referente Carla Bazzani. E-mail: [email protected]. 7-10 dicembre. Assisi. Due seminari di formazione permanente: Il primo «Essere nel corpo per affrontare ansia e paura»: work shop di danza/movimento/terapia guidato dalla prof. Maria Elena Garcia. Esplorare con laiuto della musica, della danza e della parola poetica le energie vitali del corpo perché divengano polo positivo rispetto alla paura. Il secondo è un seminario di improvvisazione e musicoterapia, guidato dal prof. Leonello Conficoni, finalizzato al saper conoscere il rapporto con il «suono» che ci circonda, con la «voce» che ci relaziona con gli altri e con lambiente nel quale in rapporto sinstaura. Informazioni: Sezione Musica Pro Civitate Christiana - 06081 Assisi, tel e fax 075 812288, e-mail: [email protected].. Prenotazione camere tel. 075813231 fax 075812445, e-mail ospitalita @cittadella.org. 8-10 dicembre. Assisi. Alla Cittadella cristiana il Gruppo Missioni della Pro civitate Christiana e il Sermig di Torino promuovono il convegno: «La strada dellodio non porta al domani: percorsi di pace dallintegralismo al dialogo», sul grave conflitto con lIslam. Relatori: Samir Khalil dellIstituto Orientale, Ernesto Oliviero del Sermig, Vittorio Viola o.f.m., Riccardo Bonacina giornalista. Informazioni: Cittadella cristiana, 06081 Assisi, tel. 075 813231, fax 075 812445, e-mail: ospitalita @cittadella.org; www:cittadella.org. ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 a cura di Anna Portoghese primipiani ATTUALITÀ 9 10 Grande, meritato successo degli «Special Olimpics Europa Youth Games», i giochi dedicati a persone con disabilità intellettiva, conclusisi a Roma il 5 ottobre. La manifestazione solidale è stata organizzata con il preciso obiettivo del superamento dei pregiudizi, di promozione di amicizia, in particolare di miglioramento delle condizioni dei partecipanti perché si è sperimentato che lo sport, il rapporto con gli altri atleti con le medesime problematiche portano effettivi benefici sulle varie patologie. Dai 12 ai 21 anni, 1400 atleti sono convenuti da 57 Paesi dEuropa e dallAsia; e complessivamente sono stati più di 20.000 i protagonisti, tra partecipanti alle gare, accompagnatori, medici, volontari, oltre alle migliaia di spettatori sugli spalti. «È stato un evento incredibile, probabilmente lesperienza più bella ed emozionante del- dei laboratori che costituiscono il percorso di attività pratiche per ragazzi ed adulti affetti da autismo, predisposto dalla Fondazione Bambini e Autismo di Pordenone per l'integrazione di persone alle quali fino a poco tempo fa pareva precluso qualsiasi inserimento lavorativo. Il supporto tecnico è stato fornito da due maestri della Scuola Mosaicisti di Spilimbergo, preparati anche per gestire questa particolare sindrome, caratterizzata da deficit comunicativo grave, spesso associata a iperattivi- Sport i goal degli Special Olimpics tà ed autolesionismo. Accanto agli 8 ragazzi autistici hanno lavorato per mesi più di 160 bambini di scuola elementare e media della città friulana. È significativo come questa iniziativa artistica e formativa, aperta al territorio, si inserisca positivamente nel percorso riabilitativo di autonomia e di socializzazione in contesti quotidiani, finalizzato al recupero di una disabilità tanto complessa e dolorosa, per la quale lapproccio terapeutico sta cercando nuove strade. (Luigina Morsolin) la mia vita», ha commentato Raimondo Astarita presidente del Comitato organizzatore. Alla sua commozione si è aggiunta la soddisfazione gioiosa degli adolescenti, circa 2000, delle scuole medie superiori impegnati nellausilio allorganizzazione delle sette discipline di gara: basket, pallavolo, atletica, bocce, bowling, nuoto e calcio a sette. Questo particolare movimento sportivo è stato fondato da Eunice Kennedy, sorella del presidente americano, che nel 1968 diede il via a Chicago ai primi giochi internazionali. Da allora i programmi di Special Olimpics sono stati adottati in 167 Paesi, coinvolgendo nel progetto quasi tre milioni di giovani. Un grande impegno sotto il giuramento: «Che io possa vincere, ma se non riuscissi, che io possa tentare con tutte le mie forze». il meglio A fine settembre nel Parco San Valentino di Pordenone è stato scoperto il «Mosaico della pace», un pannello multicolore di quindici metri quadri applicato ad un muro rivestito in legno, per adattarlo alla struttura dellarea verde dotata di spazi gioco attrezzati. Il progetto, il cui disegno assembla i «classici» animali nati dalla matita fantasiosa di Francesco Tullio Altan mentre rincorrono una farfalla, è stato realizzato con tantissime tessere di vetro colorato su uno sfondo che riprende i colori dell'arcobaleno. Adulti (insegnanti, educatori, psicologi ), bambini e ragazzi vi hanno collaborato lavorando fianco a fianco nellOfficina dellArte, uno della quindicina La Pimpa aiuta i bambini autistici vignette ATTUALITÀ da GIORNALISTI, ottobre da IL MANIFESTO, 6 ottobre da L’UNITÀ, 12 ottobre da IL CORRIERE DELLA SERA, 4 ottobre da IL CORRIERE DELLA SERA, 9 ottobre da IL CORRIERE DELLA SERA, 13 ottobre da LA REPUBBLICA, 10 ottobre ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 a cura di Anna Portoghese primipiani ATTUALITÀ da IL CORRIERE DELLA SERA, 16 ottobre 11 61° convegno giovani 27-31 dicembre la vittoria di Schumacher in collaborazione con Agesci, Centro Sportivo Italiano, Exodus, Pax Christi E:AGERO Raniero La Valle la lanterna magica dei sensi e del tempo Il desiderio di uscire dagli schemi formali, ingessati e spesso in affanno di ossigeno, nonché il bisogno di esplorare modalità altre di rapporto con la realtà, stanno alla base della scelta del tema del 61° Convegno Giovani che intende intercettare la sete di esperienze autentiche e di assoluto in nuovi compagni di viaggio. Exagero: specie di logo intuitivo, quasi pregiudiziale provocatoria per affrontare tematiche non disinvolte: il sentire la realtà corporea e interpretare il tempo a partire da contesti diversi e simbolici. La metafora della lanterna magica indica come sentinella il sogno e il fascino dell’utopia che è di ogni giovane, nessuno escluso. alcune tematiche: i differenti colori del tempo; il cantiere dei sensi; qui, ora, altrove… in che senso, scusi?; hai un momento, Dio?; il coraggio del futuro; condividere la speranza, celebrare la festa. hanno assicurato la loro collaborazione: Roberto BATTISTON, fisico sperimentale; Gino CESARIA, attore teatrale; Francesco COMINA, editorialista de “L’Adige”; Leonello CONFICONI, docente di musicoterapia; Fabio CORAZZINA, coordinatore nazionale di Pax Christi; Rosella DE LEONIBUS, psicoterapeuta; Tonio DELL’OLIO, di Libera International, consigliere nazionale di Pax Christi; Franco FILOGRANA, artista; Elisabetta FORGHIERI, docente di danza e movimento creativo; Lidia MAGGI, pastora battista; Antonio MAZZI, fondatore di “Exodus”; Silvio SALUSSOLIA, educatore di pace; Roberto SEGATORI, sociologo; Alex ZANOTELLI, missionario comboniano Il convegno inizia mercoledì 27 alle ore 21 e termina il mattino di domenica 31 dicembre. esercizi spirituali 6-10 novembre per presbiteri, diaconi, laici, suore la Lettera di san Paolo ai Romani con don Oscar BATTAGLIA, biblista dell’Istituto Teologico di Assisi È la più lunga, la più ricca di teologia, la più difficile delle tredici lettere di San Paolo: una specie di sintesi della teologia cristiana delle origini…per nutrire la nostra fede alle sue sorgenti e per entrare in profondità nella spiritualità più genuina e impegnativa che la chiesa delle origini ci ha trasmesso. Ancora oggi è la lettera di Paolo più studiata e commentata. gli esercizi iniziano lunedì 6 alle ore 18; terminano venerdì 10 nel primo pomeriggio a Cefalù 16-19 novembre quale Dio, quale uomo oggi? convegno promosso dalle Comunità Missionarie del Vangelo, con la collaborazione della Pro Civitate Christiana richiedere informazioni a: Giangiacomo Pampalone – tel. 091/6682989 [email protected]; Nino Trentacoste – tel. 091/427309 [email protected] informazioni - iscrizioni: Cittadella Cristiana – sezione Convegni – via Ancajani 3 – 06081 Assisi/PG – internet: ospitassisi.cittadella.org – tel. 075813231; fax 075812445 – e-mail: [email protected] essuno vince da solo. Anche i ricchi più famosi celebrati come quelli che «si sono fatti da soli», in realtà sono stati fatti ricchi dagli altri; qualcuno, come è accaduto da noi, dal potere politico che gli ha messo in mano le risorse, i beni collettivi e i privilegi per vincere. Neanche nello sport si vince da soli. Persino il solitario campione di ciclismo ha bisogno dei gregari; e il primatista dei cento metri se non avesse una squadra di allenatori, di dietisti, di tecnici, non ce la farebbe. Nellautomobilismo poi ci vuole una grande industria, e una vettura perfetta in ogni ingranaggio, e pneumatici adatti alla corsa, e meccanici lesti al pit stop e tutto il resto per vincere una gara e il campionato del mondo; anche se poi il circo mediatico esalta il trionfatore che sale sul podio come lunico. Ma cè una vittoria che Michael Schumacher ha conquistato da solo. E proprio quando ha perso, quando in Giappone la macchina lha piantato, e il sogno di concludere una straordinaria carriera con un inseguimento leggendario e ancora come campione del mondo si è infranto. In quel momento il pilota tedesco, fino ad allora più ammirato che amato, è stato veramente grande. Sulla carta non tutte le possibilità erano svanite: cera ancora lultimo Gran Premio da correre in Brasile, ma per conquistare il titolo occorrevano due condizioni: non bastava che Schumacher vincesse, occorreva anche che Alonso, il rivale, non arrivasse nemmeno al traguardo tra i primi, gli si rompesse la monoposto, uscisse di pista, insomma che avesse una disgrazia. E Schumacher ha detto semplicemente, tranquillamente, che non se lo augurava neppure, che non avrebbe voluto vincere a questo prezzo, che non aveva mai iniziato una gara sperando che a un avversario andasse male, e non voleva cominciare proprio ora. Semmai avrebbe gareggiato ancora per il titolo costruttori, perché quella vittoria non aveva bisogno della disgrazia di nessuno. È un messaggio forte, in controtendenza, contro la cultura dominante e contro la regola del «Vangelo della competitività» (come lha chiamato Riccardo Petrella) e del capitalismo selvaggio. La concorrenza non punta solo sulla fortuna propria, ma N sulla disgrazia degli altri: che gli altri non ce la facciano, che vadano fuori mercato, che siano abbandonati dai clienti, che siano battuti da una pubblicità che li travolga. E nel mercato politico succede anche di peggio: lunico scopo è di distruggere lavversario, di infirmarne la credibilità, di impedirne i successi anche utili per tutti, e non cè altra attesa e altra speranza che cada «al più presto possibile», meglio oggi che domani, per poterne prendere il posto. Il corridore tedesco che parla finalmente italiano, capitalizzando nel momento della sfortuna lesperienza di una vita, ha dettato unaltra regola, che va perfino oltre la «regola aurea» che si trova allinizio della Didaché e che dice: «tutto ciò che non vorresti che fosse fatto a te, non farlo nemmeno tu ad un altro»; nella versione di Schumacher essa suona: «tutto ciò che non vorresti capitasse a te, non desiderare nemmeno che accada ad un altro, anche se dovesse venirne un vantaggio per te». Ciò che viene a dirci questo messaggio, è che la vita etica e perciò il rapporto col prossimo, non sta solo nel fare o non fare, ma anche nel desiderare. Del resto anche i comandamenti ci dicono che cosa non dobbiamo desiderare, e forse esagerano un po, perché non solo ci ordinano di non desiderare la donna di un altro, ma nemmeno il suo bue, il suo asino e qualunque altra sua cosa. René Girard sostiene che il Decalogo è così severo col desiderio, perché il desiderio è «mimetico», cioè contagioso, e quando tutti si mettono a desiderare la stessa cosa si scatena la violenza. Tuttavia non si può non desiderare, sarebbe troppo repressivo e un po troppo buddista. Il vero precetto è che il desiderio non sia diretto a soddisfarsi col possesso, non solo per evitare la rissa, ma perché questo modo di realizzarsi del desiderio vorrebbe dire il passaggio del bene desiderato dalluno allaltro, e dunque vorrebbe dire infliggere un male ad un altro; ed è questo che è contrario allamore, che è la regola delle regole. Per la stessa ragione non bisogna desiderare la sfortuna dellaltro, unicamente perché sarebbe un male per lui; e non cè bene per sé che si possa fondare sul male dellaltro. Se se lo ricordassero i capi delle nazioni che le governano da padroni! ❑ 13 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 cittadella convegni RESISTENZA E PACE COREA DEL NORD una bomba pol itico-strategica 14 T mondo contemporaneo, e per di più alla frontiera con il disastrato Iraq. proliferazione di armi nucleari Comunque, i problemi che ha sollevato il test atomico nordcoreano sono, a livello internazionale, di due tipi: il primo riguarda i timori di una ripresa su vasta scala della corsa al nucleare con una morte di fatto del Trattato di non proliferazione (Tnp) ed una estensione del dominio di questa tecnologia a decine di paesi; il secondo la possibile ripresa di conflittualità in una regione, come quella dellAsia nord-orientale, dove da qualche tempo il clima si era rasserenato, e dove Washington conta su due alleati certi come Giappone e Corea del Sud. «Ci saranno inevitabilmente delle ripercussioni, con uno scenario di proliferazione di altre armi nucleari nel mondo», ha sostenuto Mark Fitzpatrick, direttore del programma di non proliferazione nellIstituto internazionale di studi strategici (Iiss). Per lui «questo potrebbe avvenire in paesi mai presi in considerazione in questo ambito, come la Birmania». In passato, inoltre, la Corea del Nord e lIran hanno mantenuto relazioni diplomatiche strette, e non vi è dubbio che Teheran sarà stata la capitale più interessata a seguire le conseguenze politiche e anche tecniche del test atomico nordcoreano. Comunque, proprio Fitzpatrick ha attirato lattenzione sul fatto che questo esperimento è avvenuto nel momento in cui Il Cairo ed Ankara hanno annunciato la loro intenzione di sviluppare unindustria nucleare civile. «Egitto e Turchia hanno messo a punto dei progetti su questa delicata materia, per ragioni legittime di approvvigionamento energetico, ed anche per ragioni strategiche». In Medioriente, di fronte ai progetti iraniani, non è escluso che il caso nordcoreano darà altri argomenti a quanti pensano nel mondo arabo di sviluppare la tecnologia nucleare per non lasciarne il monopolio allIran. E ovviamen- te anche ad Israele, che non ha mai ammesso ufficialmente di avere armi atomiche ma che, anche secondo fonti statunitensi, dovrebbe avere fra 100 e 200 testate nucleari. Il governo egiziano, fra laltro, pur avendo firmato accordi regionali non ha perso occasione per denunciare nelle sedi internazionali il «doppio standard» di cui si beneficia Israele in campo nucleare. Se ci si riferisce al Trattato di non proliferazione del 1968, soltanto cinque potenze Usa, Russia, Francia, Gran Bretagna e Cina hanno lautorizzazione ufficiale di detenere armi nucleari. A queste però si devono aggiungere India e Pakistan (che non hanno aderito al Tnp ma che hanno dimostrato di avere armi nucleari), Israele, lIran (che ha affermato di avere la capacità tecnologica di arricchire luranio), e forse Siria, Egitto, Nigeria e Taiwan, paesi fortemente sospettati di avere realizzato attività militari clandestine. Lunico paese al mondo che, pur avendo un programma avanzato, lo ha smantellato nel 1993, è stato il Sudafrica. A beneficio delle statistiche, poi, segnaleremo che prima del test nordcoreano ne erano già stati portati a termine dal 1945 almeno 2.000. Gli Usa, unico paese che ha utilizzato una bomba atomica a fini distruttivi (in Giappone), ne ha eseguiti 1.032, la Russia 715, la Francia 210, la Cina e la Gran Bretagna 45, lIndia ed il Pakistan sei ciascuno. Giappone e Corea del Sud in allarme Ma dove la situazione, se non controllata potrebbe diventare difficilissima è proprio in Asia nord-orientale. Qui per anni ha funzionato «lombrello nucleare» organizzato da Washington per paesi come il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan. «Finora ha sottolineato Fitzpatrick questo meccanismo ha soddisfatto i governi interessati. Ma cosa succederà con il passo avanti della Corea del Nord»? Gli analisti sono concordi nel ritenere che la questione si pone particolarmente a Tokyo e contro il Giappone fra laltro che sono puntati i missili nordcoreani dove da poco è stato formato dal premier Shinzo Abe un governo con un forte carattere nazionalista che è deciso a rafforzare il proprio apparato bellico. In un paese pacifista per costituzione, e duramente colpito oltre 50 anni fa dalla follia atomica, il direttore dellIstituto di ricerche politiche del Partito liberaldemocratico, Shoichi Nagakawa, ha dichiarato che occorre discutere su scala nazionale se non sia giunto il momento di entrare nellera nucleare. Nagakawa è stato ufficialmente smentito, ma il fatto stesso del grande clamore suscitato da questa riflessione, rende lidea di quale sia limportanza di una modifica degli equilibri nella regione. Diversa infine la situazione in Corea del Sud, dove le offensive diplomatiche disposte dalla Casa Bianca, attraverso anche il Segretario di Stato Condoleezza Rice, non hanno la stessa benevola accoglienza che ricevono a Tokyo. Il governo e lopinione pubblica sudcoreana non ritengono che le relazioni con i fratelli separati nordcoreani debbano essere imposte dallesterno. Cè a Seoul una certa preoccupazione per il fatto che linsistente demonizzazione della Corea del Nord non significhi altro per Washington che la volontà di rovesciare un regime che il presidente George W. Bush ha inserito nellormai famoso Asse del Male, insieme a Iraq e Iran. I sudcoreani hanno timore infatti che uneventuale rapida caduta del regime nel paese vicino avrebbe per loro effetti catastrofici. Al riguardo il Ministro sudcoreano per lUnificazione, Chung Dong-young, non poteva essere più esplicito lo scorso anno quando ha dichiarato: «Le autorità nordcoreane chiedono a Washington garanzie. Esse pensano che gli Stati Uniti vogliono rovesciare il regime: è quindi per loro una questione di sopravvivenza. Noi diciamo allAmministrazione americana che deve concentrarsi sul problema della denuclearizzazione della Corea del Nord, ed abbandonare lintenzione di rovesciarne il regime. Poiché la miscela dei due obiettivi è esplosiva». ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Maurizio Salvi anto per fissare le dimensioni del problema, converrà sottolineare che il test nucleare realizzato dalla Corea del Nord domenica 8 ottobre in un tunnel nel nord-est montagnoso del paese aveva una potenza di mezzo chilotone, e forse anche meno. Il problema suscitato dallesperimento nordcoreano, quindi, non è tanto di ordine bellico, quanto strategico, per il significato che esso ha nei delicati equilibri asiatici, e per le interferenze che può avere nelle ambizioni degli Stati Uniti di amministrare un severo catalogo fra nazioni «buone» e «cattive». E non vi è dubbio che per gli Usa Pyongyang faccia parte delle seconde. Tornando un momento su quello che la Corea del Nord ha testato, sarà utile raffrontarlo con gli esperimenti nucleari realizzati da India e Pakistan nel 1996 che furono, secondo fonti scientifiche statunitensi, 24 e 50 volte maggiori. E forse vale la pena ricordare anche che le atomiche lanciate su Hiroshima e Nagasaki erano dellordine dei 15 chilotoni. La vera bomba nordcoreana, quindi, è stata tutta politica e strategica. Se la misura di essa fosse data dalle reazioni internazionali suscitate, allora dovremmo parlare di evento in effetti straordinario. Chiarendo che qui non si tratta tanto di giudicare il regime comunista di Kim Jong II, i cui limiti emergono da un esame superficiale, è certo che la politica di questo paese crea problemi ai suoi vicini, e perfino alla Cina, che è praticamente lunica nazione con cui i nordcoreani hanno relazioni caratterizzate da una certa fluidità. Non è sfuggito agli osservatori che la comunità internazionale è riuscita ad ottenere in poco tempo molto di più riunioni del Consiglio di sicurezza, sanzioni, intensa e concreta attività diplomatica di quanto sia stato possibile realizzare nei mesi scorsi nei confronti dellIran, che pure è ben lungi dallaver sviluppato una tecnologia nucleare applicabile al settore militare, ma che è situato in una regione crocevia di tutte le aspirazioni energetiche del Maurizio Salvi 15 PARTITO DEMOCRATICO ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Filippo Gentiloni l governo Prodi sta vivendo un presente certamente non facile: maggioranza limitatissima, problemi ereditati di estrema gravità, compagine governativa spesso rissosa. Se questo è il presente, è logico guardare al futuro, con la speranza di una maggiore tranquillità. Il futuro presenta qualche importante schiarita, ma senza grandi sicurezze. Per lo meno a tuttoggi. Un nome alimenta le speranze nel variegato e composito mondo del centrosinistra, quello del partito «democratico»: un nome fatidico, una sorta di toccasana. Dovrebbe riuscire ad unificare più o meno tutte le componenti e quindi a dare slancio e sicurezza ad una azione politica oggi troppo incerta se non addirittura contraddittoria. Modello americano e non solo. Ma il percorso appare ancora lungo e pieno di difficoltà. La maggioranza, daltronde, è talmente ridotta da non alimentare facili speranze. crazia cristiana, socialismo, comunismo. Tre grandi filoni, non sempre omogenei neppure al loro interno, raramente in accordo, spesso in conflitto. Conflitto non soltanto fra laici e cattolici, ma anche sul lavoro, sul sindacato, sulla politica estera. Sulla integrazione degli immigrati: si può dire su tutto. Una storia molto ricca, anche se spesso conflittuale. Come dimenticarla oggi? Come portare a confluire tendenze ben diverse se non addirittura contraddittorie? A questo punto è logico invocare il nome del grande oppositore, Berlusconi. Ma sarà in grado questo nome a giustificare lunione di posizioni politiche così lontane le une dalle altre? Basterà il collante anti Berlusconi a giustificare la nascita del partito democratico? Sarà sufficiente un collante «negativo»? E ci si può anche chiedere se lex premier meriti questo «onore». storie conflittuali Fra le differenze che rendono più che mai difficile e lontana loperazione del partito democratico spiccano quelle fra laici e cattolici, anche perché non pochi, da una parte e dallaltra, cercano di evidenziarle. Le identità, daltronde, sono forti e non devono essere né cancellate né dimenticate. Lunione delle forze non richiede né esige I Nel partito democratico dovrebbero confluire parecchie storie, cariche di identità forti e spesso conflittuali. Basti ricordare quei grandi filoni che per decenni hanno caratterizzato la vita politica italiana, praticamente dal dopo guerra ad oggi. Demo16 identità laica e identità cattolica Rutelli e Fassino, a fianco; Binetti, sotto una piatta «marmellata» di posizioni senza storia. Si aggiunga che il contenzioso fra cattolici e laici è oggi notevolmente ricco ed acuto: basti pensare alle questioni su famiglia e matrimonio, sulla pillola antiabortiva, sulla eutanasia e la scuola. Su queste ed altre questioni le mediazioni non saranno facili, anche perché il versante cattolico è sostenuto da una gerarchia che non ha alcuna intenzione di rinunciare al suo peso nella società italiana. Unire, dunque, senza appiattire. Sarà possibile? Lo si ripete continuamente, in tutti i convegni e in tutte le assemblee. Con maggiore o minore probabilità. Sarà forse determinante il successo di questi primi mesi di governo Prodi, decisivi non soltanto per loggi ma anche per il domani. A favore del progetto non bisogna dimenticarlo gioca indirettamente anche la crisi del centrodestra che fino ad oggi si era retto più sulla figura di Berlusconi che su un logico progetto politico: oggi il ruolo dellex premier sembra in declino. Non è improbabile che una dissoluzione dellunità del centrodestra giovi allunità del centrosinistra e faccia spuntare lalba del partito democratico salvatore della nostra travagliata democrazia. Filippo Gentiloni 17 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 unire senza appiattire UNDIVERSOMODELLODISVILUPPO:PROPOSTEINDISCUSSIONE/2 oltre la Fina nziaria Ordinario di Economia Pubblica Università Roma 3 L previdenza integrativa ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Sulla destinazione dei fondi della previdenza integrativa, prima di giungere ad un loro impiego per il finanziamento di investimenti rivolti al «futuro», è necessario ricordare che occorre assicurare ai futuri pensionati la necessaria certezza sul capitale accumulato. Se i fondi integrativi dovessero investire in fondi speculativi o in società ad alto rischio comè il caso del venture capital impegnato nelle nuove tecnologie la sicurezza del capitale non sarebbe certa, anche se il rendimento potreb18 be essere molto elevato. Tuttavia, un compromesso può essere immaginato, se il Tfr invece che in fondi speculativi fosse accumulato in fondi Inps o comunque a garanzia pubblica con lespresso obiettivo di coniugare il finanziamento di nuove tecnologie con quello di settori a rendimento sicuro (elettricità, petrolio, banche, comunicazioni tutti settori privatizzati e produttori di rendite). La Legge Finanziaria fa un passo in questa direzione, ma sembra più interessata ad accumulare fondi per coprire il deficit, che effettivamente contribuire alla crescita della competitività delleconomia. Qui, sarebbe però necessario che il sindacato e limprenditoria non si opponessero, visto che i fondi chiusi da loro organizzati non hanno questa missione; oppure che si disponessero ad assumerla come propria. chi e come Mi sembra, invece, meno realistico proporsi che le banche investano in specifiche tecnologie del futuro. Le istituzioni finanziarie non hanno nel proprio Dna alcuna propensione settoriale o macroeconomica, operando di regola per massimizzare il proprio utile: sarebbe desiderabile che non fossero così determinate, ma il cammino sarebbe molto lungo e difficile, in epoca di globalizzazione; la ben nota obiezione, in questo caso, è che le nostre banche non possono sottostare a vincoli diversi e più onerosi delle banche nel resto del mondo. Le cooperative potrebbero, invece, dar luogo ad imprese di ricerca nei campi indicati da Carra, se la legislazione cooperativa tornasse al periodo precedente il governo Berlusconi, che ha imposto alle coop, come condizione per i benefici fiscali di cui godono, il criterio della mutualità e nel settore dello sviluppo tecnologico, la mutualità non ha significato. Questo compito non sembra impossibile, anche se occorre precedere lUnione Europea per evitare che anche le coop siano lasciate al mare procelloso della globalizzazione. cultura dominante Come si vede, se le proposte di Carra sono buone, molte sono le difficoltà da superare per realizzarle. Temo che le difficoltà non siano semplicemente ostacoli da rimuovere, ma derivino da unavversa cultura dominante. Per cominciare, ogni intervento pubblico destinato a migliorare la competitività in un paese come lItalia, è contrastato dalla teoria corrente e molto diffusa, per la quale non esiste disoccupazione involontaria, e il lavoro è sempre disponibile per chi lo cerca effettivamente. In primo luogo, se la disoccupazione involontaria non esiste, non esiste nemmeno un problema di competitività: saremmo sempre in piena occupazione e lasciar fare il mercato risolverebbe anche il problema industriale. In secondo luogo, se il termine disoccupazione è esteso ai contenuti di uno stato di disoccupazione, possiamo ampliarlo e raffigurarlo come povertà, ingiustizia, infelicità, esclusione, ma allora possiamo derivare dalle teorie dominanti la ricetta di Pangloss viviamo nel migliore dei mondi possibili, dove non esiste né ingiustizia, né infelicità, né esclusione. Ora, queste teorie nascono tutte come reazione alla presenza dello Stato sia nella vita economica sia nella vita sociale. Originariamente (Von Mises, Von Hayek, più tardi Milton Friedman), la motivazione delle teorie «egoistiche» e individualistiche, derivava dal rifiuto delleconomia nazista, ma soprattutto dal rifiuto delleconomia pianificata sovietica e di quella che si riteneva fosse una sua pallida imitazione occidentale (la socialdemocrazia). Di qui il dominio, oggi poco contrastato, del pensiero liberista e la sua traduzione nelle politiche delle istituzioni internazionali: il sistema monetario internazionale, il sistema del commercio mondiale, le unioni moneta- rie o le aree monetarie regionali. Che legoismo di massa sia una cura è altamente discutibile, ma che la liberalizzazione dei mercati abbia avuto effetti reali non cè dubbio. I fatti, dunque, procedono dalle politiche, che procedono dalle teorie: una successione di cui non sono affatto sicuro, perché probabilmente le cause sottostanti sono complesse, ma che come fenomeno vale la pena osservare, soprattutto per evitare che si assolutizzi la storia nel suo presente. egoismo di massa e democrazia Lo sviluppo della Cina (quello dellIndia va valutato separatamente) è interessante per diverse ragioni: cresce il reddito di popolazioni miserabili, si aggiusta la distribuzione mondiale del reddito, il differenziale di crescita tra paesi ricchi e paesi poveri si riduce drasticamente, gli effetti negativi sul prezzo del petrolio sono parzialmente compensati dallaumento della produzione industriale a basso costo nei paesi emergenti, con la conseguente minore inflazione mondiale. Sappiamo, però, che ciò avviene con una minor crescita dei paesi ricchi, la riduzione del potere contrattuale dei lavoratori in questi paesi, la concorrenza tra lavoratori nel mondo globalizzato. Così, la distribuzione del reddito nei grandi paesi sviluppati si volge contro i salari e stipendi a favore dei profitti, e contro i profitti a favore delle rendite finanziarie. Questo stesso cambiamento, rispetto ai decenni precedenti gli anni 80, riduce la domanda effettiva nei paesi sviluppati, fa crescere il numero degli esclusi, e soprattutto genera una corsa alla ricerca di protezione. Così, crescono i profitti dei settori protetti (i servizi, detto in modo generico), ma soprattutto cresce la reazione contro il mercato, si rafforza la ricerca dellidentità comunitaria, cresce lidentificazione tra popolo (razza, storia, comunità) e religione. Paradossalmente, legoismo di massa si trasforma in forme più o meno ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Paolo Leon e tre indicazioni di Carra (Rocca n. 20) sono largamente condivisibili. Sullambiente, che linquinatore debba pagare è principio ammesso sia dalla legislazione italiana sia da quella europea. Il problema è che lamministrazione pubblica non sembra capace (interessata?) di rilevare linquinamento o, quando ne è capace, ha scarsi mezzi (giuridici, finanziari, tecnici) per costringere linquinatore a ripristinare lambiente nello statu quo ante. Anche lamministrazione della giustizia ha difficoltà, perché non possiede tutti i mezzi per rilevare linquinamento; e quando lo fa, deve sempre superare scogli di natura giuridica nellindividuare le responsabilità. Non si creda che sia così semplice rilevare le cause di tutti gli inquinamenti i casi recenti di Bhopal e di Porto Marghera sono lì ad ammonirci sullattuale debolezza del processo sanzionatorio. Tra laltro, le difficoltà sono anche tecniche, soprattutto per gli ambienti-flusso. I danni allatmosfera, ad esempio, non sono nemmeno considerati nella recente direttiva sul danno ambientale dellUe. Qui, tuttavia, è solo questione di volontà e di mezzi oltre che della necessaria concertazione con le imprese per far comprendere quanto il danno provocato alla collettività finisca per ricadere anche sugli inquinatori. 19 20 contraddizioni della Finanziaria Queste considerazioni non sono ancora così estremizzate in Italia, ma tutte sono presenti. I governi di destra non sono liberali, comè noto, e la risultante è che il centro sinistra è spesso più liberale della destra una contraddizione distruttiva per la società italiana. Se si guarda alla motivazione profonda delle politiche economiche e sociali, ne abbiamo una conferma. Alla sua origine, la Legge Finanziaria per il 2007 risponde in primo luogo alle raccomandazioni (non sono obblighi) del Patto di Stabilità e Crescita dellUe, e per farlo deve inevitabilmente sacrificare pezzi di Stato Sociale universale, dalla sanità, alla scuola, alla previdenza, allassistenza; contemporaneamente, mentre afferma la necessità di elevare la competitività, non finanzia seriamente né la ricerca né linnovazione e le proposte di Carra sembrano lontanissime dai propositi del legislatore attuale. Lidea della Legge Finanziaria, infatti, è che un migliore equilibrio di bilancio porta con sé crescita e piena occupazione (questultima, peraltro, sempre ottenibile, dato che parte importante del governo ritiene non esista la disoccupazione involontaria, che è la premessa della Legge Biagi) e ambedue queste condizioni possono sostituire lo Stato Sociale universale da un lato, e le politiche industriali dallaltro. È vero che si parla, nella Legge Finanziaria, di politiche industriali. Ma è perfettamente in linea con il pensiero ora descritto che queste politiche favoriscano i margini di profitto delle imprese perché si sostiene che se i margini crescono cresceranno anche gli investimenti. Invece, è evidente che se la domanda dei beni e dei servizi prodotti dalle imprese non cresce, laumento dei margini non si traduce in aumenti della capacità produttiva, ma in finanza, investita per lo più sui grandi mercati dei capitali internazionali. Questa finanza, a sua volta, sceglie investimenti con rendite e profitti più elevati, e si rivolge a localizzazioni a più basso costo del lavoro e di stabilimento comprese le peggiori condizioni sociali, ambientali, politiche e ad investimenti a rendimento rapido. Quanto più sincentivano le imprese attraverso riduzione di costi, di imposte, o con sussidi, tanto più si fa crescere la lotta tra lavoratori. OLTRE LA CRONACA ricerca e innovazione Non voglio dire che una politica dellofferta sia dannosa o inutile se riesce a innovare i prodotti, un mercato si trova per le produzioni nazionali. Ma se non cè una politica della domanda almeno altrettanto forte, il risultato è crescita bassa, e democrazia più debole. Del resto, le politiche dellofferta non sono inutili, ma hanno bisogno di due ingredienti fondamentali. Il primo è il tempo, perché la traduzione in innovazione della ricerca, anche di quella applicata, richiede tempo, soprattutto dopo un così lungo periodo di vacche magre (essenzialmente dal 1992). Il secondo è la presenza di organismi che intermedino, traducendola in tecnologie, la ricerca e questi sono organismi pubblici e privati, ambedue da finanziare con il ricorso al bilancio pubblico. Ladattamento di enti pubblici e imprese private ai nuovi compiti dellinnovazione, a sua volta, richiede tempo. Ne deriverei una conclusione: ricerca e innovazione, sempre necessarie, non sono sufficienti a garantire la crescita delleconomia, tanto meno la sostenibilità ambientale di quella crescita. Perché aumentino la loro efficacia, non sono oggetti da trattare in Legge Finanziaria. Lo strumento, infatti, è buono solo per rammendare congiunture e difficoltà finanziarie, non per ricostruire una struttura produttiva, qualè la ricerca. responsabilità europea Poiché senza un aumento di domanda effettiva, anche la ricerca può rivelarsi inefficace, emerge il punto centrale del problema italiano: il peso del debito e del deficit del settore pubblico, e la regola di Maastricht, impediscono che si possa uscire dal declino, anche se si opera sullofferta. Dunque, il pallino è anche a Bruxelles e i nostri governi sembrano deboli, di fronte ad una Commissione Europea tutta schierata sul pensiero unico dell«egoismo di massa». Può darsi che, riconquistata la credibilità nei confronti della Commissione, si possa tornare a parlare di politica, ma è imprudente lasciare il punto nelle mani della Commissione, perché tutto lonere della prova ricadrebbe sul nostro governo. Paolo Leon due Afriche due opportunità Romolo Menighetti A fronte della corsa verso la Cina di politici ed imprenditori italiani, attratti dai buoni affari che quel mercato (un miliardo e duecento milioni di persone) promette, affiora la domanda: e con lAfrica cosa facciamo? Essendo superficiale parlare di una sola Africa (sono almeno tre: quella bianca del litorale mediterraneo, quella nera subsahariana, e il Sudafrica, dove bianchi e neri convivono), è necessario articolare il discorso. Circa lAfrica subsahariana, con un reddito medio per abitante di 470 dollari lanno, annoverando una quindicina di conflitti in corso, con trenta milioni di persone infettate dallHiv, avendo 322 milioni di poveri che vivono con un dollaro al giorno, non è proprio il caso di parlare di possibili buoni affari per gli Occidentali. Ma è soprattutto la mancanza di mercato che rende non appetibile lAfrica ai nostri cercatori di profitto. Tale mancanza è la conseguenza di millenni di economia agricola di sussistenza, di secoli vissuti da quelle popolazioni lontano dalla costa, isolate entro le foreste, perché era dal mare che arrivavano i negrieri. Per mezzo millennio lunico rapporto che il continente nero ha avuto con il mondo esterno è stato di tipo predatorio. Oggi, infine, leccessiva frammentazione degli Stati, e le guerre che endemicamentre si incrociano, rendono quasi impossibile complementare la produzione tra paesi vicini. Perciò è ancora difficile avviare un abbozzo di mercato. Sempre a danno dellAfrica, però, un certo rapporto con lOccidente continua. È, infatti, deleteria per le fragili economie locali la politica del Fondo Monetario Internazionale, che per concedere prestiti agli Stati impone labbattimento delle barriere doganali e la liberalizzazione incondizionata. In tal modo, la valanga di beni a basso costo che dallOccidente li invadono, distrugge le produzioni del posto, provocando disoccupazione e miseria. Porta poi verso il disastro ecologico il sempre più frequente uso del territorio africano come discarica di rifiuti pericolosi e radioattivi da parte dei paesi ricchi. Somalia e Mozambico sono destinazioni privilegiate per i trafficanti di veleni. La Direzione Antimafia di Milano ha recentemente individuato unarea per lo smaltimento illecito di rifiuti tossici di 150 ettari in località Boane, in Mozambico. Ancora, è di tipo predatorio linteresse che Europa e Stati Uniti mostrano nei confronti delle risorse naturali africane (petrolio in Nigeria; diamanti in Angola, Sierra Leone e Liberia; legname pregiato in Liberia e Congo; coltan in Congo), per il controllo delle quali non si fanno scrupolo a fomentare guerre tra fazioni locali, le quali, tra laltro, fruttano il profitto aggiuntivo derivante dalla vendita di armi. Nei confronti dellAfrica nera affiora dunque ancora limpronta della rapina e dello sfruttamento piuttosto che la collaborazione alla pari. È perciò preliminare cambiare radicalmente il segno di tale rapporto. Altro discorso può farsi per lAfrica bianca. Il Nordafrica, e in particolare Marocco e Tunisia, appaiono sempre più integrati nei processi di globalizzazione e libertà economica (Rapporto 2007 sulla libertà imprenditoriale nel mondo, pubblicato dallInternational Finance Corporation e dalla Banca Mondiale). In generale, la maggiore stabilità raggiunta dai regimi politici nordafricani, e la loro lontananza dagli epicentri delle crisi mediorientali, rendono quellarea appetibile per gli investitori stranieri. Ciò è favorito anche dal ritorno entro la comunità internazionale della Libia, la qual cosa ha disinnescato il principale fattore di incertezza dellarea. Perciò il rischio politico ed economico dovrebbe continuare a diminuire, mentre pare si allarghino i margini di libertà imprenditoriale. Sempre dal citato Rapporto emerge anche la funzione trainante delleconomia sudafricana. Quella nazione, grazie soprattutto alla sorprendente opera di riconciliazione tra neri e bianchi attuata dai governi insediatisi con la fine della segregazione razziale, è anchessa ora in grado di attrarre ingenti capitali esteri. Dunque, due opportunità si offrono agli Occidentali nei loro rapporti con lAfrica. Lopportunità, verso quella nera, di riparare alle passate rapine, e loccasione, verso quella bianca, di inserirsi in aree in crescita, con reciproci vantaggi. ❑ 21 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 UN DIVERSO MODELLO DI SVILUPPO: PROPOSTE IN DISCUSSIONE/2 evidenti di cesaro-papismo, fascismo, nazionalismo. Si indebolisce il potere delle istituzioni che ostacolano questa involuzione: lo Stato, il sindacato, la politica, le assemblee. AMBIENTE ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Pietro Greco 22 ra stato inserito dufficio nella «sporca dozzina», lelenco dei 12 composti chimici (compresi le diossine e più in generale i policlorobifenili) sospettati di provocare il cancro e capaci di albergare a lungo nellorganismo umano, e messo al bando. Ma ora il Ddt non è più un (il) nemico. Anzi, se usato in maniera appropriata può diventare uno dei principali alleati della lotta alla malaria, la malattia infettiva che colpisce 500 milioni di persone ogni anno (l86% nellAfrica sub-sahariana), uccidendone oltre un milione: quasi tutti bambini e quasi tutti abitanti del continente nero. La riabilitazione del Ddt, nel gergo dei chimici diclorodifeniltricloroetano, è avvenuta a metà settembre a opera dellOrganizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Ed è per certi versi clamorosa. Non tanto perché giunge inattesa ai medici, che sanno come il primo pesticida moderno, prodotto a partire dal 1939, ha aiutato a debellare la malaria e a salvare migliaia di vite umane non E solo nellimmediato dopoguerra (anche in Italia) ma ancora in tempi recenti (per esempio in India). Ma perché giunge inattesa al grande pubblico che da quarantanni associa alla sigla del composto aromatico il volto subdolo della chimica. da salvatore ad aggressore Un po di storia, dunque. Il Ddt nasce nellepoca doro della sintesi chimica organica, messo a punto dal tedesco Othmar Zeidler nel 1874. Ma è solo negli anni 30 del secolo successivo che lo svizzero Paul Hermann Müller scopre che è un potente insetticida: il più efficace nella lotta alle zanzare. Comprese le zanzare anofele, gli insetti che diffondono il Plasmodium falciparum, lagente causale della malaria. Durante la Seconda guerra mondiale gli eserciti alleati lo usano per proteggere i loro soldati, per esempio nelle paludi dellIndocina. Ma con lesercito anglo-americano nel 1943 il Ddt sbarca anche in Italia e contribuisce a debellare la malaria dal nostro paese. I successi sono tali che nel 1948 Paul Hermann Müller viene insignito del premio Nobel per la scoperta dellefficacia insetticida di quella molecola assurta a emblema del successo della medicina moderna contro le malattie infettive: un successo che sembra inarrestabile e che induce moltissimi a sostenere che luomo ha ormai vinto la sua battaglia contro il Quarto cavaliere dellApocalisse. Ma passano appena due anni e già si insinuano i primi dubbi. Nel 1950 la Food and Drug Administration, lagenzia responsabile della protezione sanitaria dei cittadini americani, sostiene che se è giustamente riconosciuta laggressività del Ddt contro gli insetti forse è stata sottovalutata quella contro luomo. È linizio della fine per limmagine della molecola. Le istituzioni sanitarie di tutto il mondo cominciano a studiarne gli effetti nel lungo periodo. Cè il sospetto che sia cancerogeno. Nel 1962, poi, Rachel Carson pubblica la Primavera Silenziosa, in cui accusa in maniera specifica il Ddt, perché aggredisce le uova degli uccelli e, di conseguenza, rende silenziosi i campi. Il libro è un impietoso atto di accusa non solo contro il diclorodifeniltricloroetano, ma contro luso smodato dei pesticidi e, in definitiva, contro lindustria chimica. Molti sostengono, addirittura, che sia stato il grido di Rachel Carson a tenere a battesimo il movimento ambientalista. Il Ddt non sopravvive molto a quellaccusa. Anche perché continuano gli studi che dimostrano lattività cancerogena non solo del diclorodifeniltricloroetano, ma in pratica di tutti gli aromatici clorurati. Fatto è che nel 1972 il Ddt viene messo al bando negli Stati Uniti. E nel 1978 anche in Italia. In meno di tre lustri, da salvatore dellumanità è assurto a simbolo dellaggressione antropica allambiente. ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 il ritorno del Ddt tossico e inquinante organico persistente La molecola non solo fa male, ma persiste 23 i rischi e di benefici Che il Ddt sia un inquinante ambientale, non cè dubbio alcuno. Meno evidente è quanto la sostanza sia da considerarsi tossica per luomo. Non è un «tossico acuto», nel senso che non fa male immediatamente. Tuttavia si è trovata una certa correla24 zione tra lesposizione al Ddt e due tipi di cancro (al fegato e al seno). Inoltre il Ddt può alterare il sistema endocrino. E un feto esposto alla sostanza può avere uno sviluppo alterato. Insomma non è una sostanza innocua. Si tratta di pesare i rischi e i benefici. Lo ha fatto, di recente, il British Medical Journal, che in un editoriale pubblicato nel 2004, sostenendo che, poiché la malaria uccide centinaia di migliaia se non milioni di persone ogni anno e poiché la lotta contro la malaria, soprattutto in Africa, sta fallendo, allora bisogna considerare il Ddt come uno strumento utile e sicuro, soprattutto se spruzzato a piccole dosi, contro la malattia. Leditoriale era lespressione di un convincimento sempre più forte della comunità medica internazionale. Eccoci, dunque, allannuncio dellOrganizzazione Mondiale di Sanità. Il Ddt resta una sostanza pericolosa, con deboli ma reali effetti cancerogeni. Tuttavia, se linsetticida è ben utilizzato, i rischi per luomo possono essere resi minimi e persino annullati. Mentre resta intatta (o quasi) la sua potenza contro le zanzare e, di conseguenza, contro la malaria. RAPPORTO EDITORIA importanza del fattore ambientale In realtà bisogna tener conto di almeno altri due fattori di complicazione. Primo: nel tempo le zanzare «imparano» a resistere al Ddt. O, detto in maniera più corretta, la selezione naturale fa emergere i ceppi di zanzare più resistenti alla molecola. Secondo: i fattori ambientali e gli stili di vita delle persone che lo usano, possono ridurre lefficacia insetticida del Ddt. Se, per esempio, uno vive in capanna, con porte e finestre perennemente aperte, deve trovare altri sistemi per combattere le zanzare. E finché miliardi di persone non avranno accesso ad acqua pulita e a servizi igienici primari, finché vivranno vicini a fogne a cielo aperto, allora la battaglia contro le zanzare portatrici dellagente infettivo della malaria difficilmente potrà essere vinta. Tutto questo dovrebbe insegnarci, ancora una volta, una banale verità: che non esiste in natura e neppure nei laboratori umani il bene assoluto o il male assoluto. Tutte le sostanze possono essere farmaci o veleni. Molto quasi tutto dipende dalluomo. Da come le usa e in quale contesto. Pietro Greco la lettura e l’educazione permanente Fiorella Farinelli on una biblioteca in casa di almeno 100 titoli, i risultati scolastici sono parecchio migliori (+17%) che con una casa senza biblioteche. E questo non stupisce, perché i libri leggerli, acquistarli, raccoglierli vanno di solito insieme a diplomi e lauree, e il livello culturale dei genitori, la madre soprattutto, ha fin troppa influenza sul successo scolastico dei figli. Più difficile da capire è perché, con una sola televisione in casa, a scuola si riesca meglio che quando ce ne sono di più; e perché succeda allincirca lo stesso con il numero dei telefoni cellulari utilizzati in famiglia. Forse tutto ciò significa che lap- C prendimento, o addirittura la cultura, vanno più volentieri a braccetto con la sobrietà, la concentrazione mentale, la parola distesa? E che, viceversa, leccessiva frequenza della comunicazione facile, colorata, spezzettata, banalizzata di cellulari e Tv disturba, a lungo andare, la conoscenza? La ricerca sul ruolo della lettura nello sviluppo culturale ed economico del paese, svolta per conto dellAssociazione Italiana Editori (1), purtroppo si limita a segnalare le correlazioni tra i fenomeni, senza troppo approfondire temi che, del resto, sono al centro della riflessione pedagogica. Ma le curiosità offerte dallincrocio dei dati 25 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 AMBIENTE a lungo negli organismi ed è capace di risalire la catena alimentare. Nel corso degli anni si scopre, infatti, che il composto è un «inquinante organico persistente», che si accumula negli organismi dove ha un tempo di dimezzamento (il tempo necessario a diminuire della metà la quantità di sostanza iniziale) compreso tra 2 e 15 anni. E, infatti, tracce del contaminante sono state trovate nelle mammelle e, più in generale, nei tessuti adiposi di molte donne in occidente e persino di foche e orsi nelle gelide e lontane acque dellArtico. In acqua dura molto di meno: il tempo di dimezzamento nellacqua di un lago è di 56 giorni, di 28 giorni nelle acque di un fiume. È anche per questo che, non più di cinque anni fa, il Ddt è stato incluso dalle Nazioni Unite nel pacchetto delle 12 molecole, la «sporca dozzina» appunto, di cui decretare il «bando totale». Dopo unaccanita resistenza, anche i paesi del Terzo Mondo, che continuano a usare linsetticida contro le zanzare, acconsentono. Il guaio è che, intanto, anche il successo delluomo nella lotta alle malattie infettive, che sembrava inarrestabile, perde colpi. Nei paesi in via di sviluppo, in particolare, persistono molte delle malattie debellate in Occidente. Prima fra tutte, la malaria. I motivi sono molti. Non è questa la sede per richiamarli. Tuttavia è un fatto che le zanzare continuano a diffondere il Plasmodium falciparum. E che in alcuni paesi, come lIndia, medici e cittadini preferiscono il rischio cancro debole e di lungo periodo al rischio malaria, più immediato e visibile. Con un uso, peraltro sempre più accorto, del Ddt, gli indiani riescono ad abbattere del 90% la trasmissione della malaria. Il successo, ancora una volta, è tale da indurre alcuni paesi come il Sud Africa a soprassedere sul bando e a reintrodurre il Ddt. Ormai sono almeno 10 i paesi dellAfrica sub-sahariana che usano la molecola nebulizzata con il classico spray negli interni per contrastare le zanzare anofele. RAPPORTO EDITORIA 26 Non è vero, inoltre, che la lettura è patrimonio solo delle famiglie e delle persone con i redditi migliori e con le collocazioni professionali più alte: rapportando la spesa delle famiglie per lacquisto di libri (non scolastici ed universitari) alla spesa complessiva di prodotti non alimentari, si scopre unaltra interessante curiosità: con il loro 0,67% destinato allacquisto di libri, le famiglie operaie sono allineate a quanto spendono le famiglie di dirigenti e di professionisti, e spendono comunque di più di quanto facciano i lavoratori in proprio (0,59%). Un dato che, in presenza di redditi certamente molto diversi, sembrerebbe suggerire una diversificazione di atteggiamenti tra i gruppi sociali nei confronti della necessità di mantenersi aggiornati, incrementare le proprie conoscenze professionali, informarsi sulle cose del mondo, accrescere la propria cultura. Gli operai sono dunque ancora, nonostante le batoste degli ultimi anni, un ceto che spera, attraverso linvestimento in conoscenza, di migliorare la condizione propria e dei propri figli? i risvolti economici LAssociazione Italiana degli Editori, ovviamente, deduce da questi e da altri dati la necessità di «politiche istituzionali coerenti e continuative nel tempo», capaci di sostenere la produzione, la commercializzazione, la vendita di libri; e di promuovere, insieme con lo sviluppo culturale del paese, lo sviluppo delleditoria. Cè un interesse «di parte», dunque, e unattenzione a cose concretissime, come la tutela del diritto dautore, gli investimenti pubblici nelle biblioteche, le politiche dello Stato e degli Enti Locali di supporto alle librerie, le imposizioni fiscali sul settore. Ma cè, con tutta evidenza, anche una questione di interesse generale. Se è vero, infatti, che esistono rapporti stretti non solo tra lettura e sviluppo civile ma anche tra lettura e sviluppo economico, i dati offerti dallindagine Aie delineano, per il nostro paese, una situazione di autentica emergenza. Perché da noi si legge poco, e comunque molto meno che in altri paesi europei. Anche se la situazione è cambiata in positivo negli ultimi cinque anni, con unarea della «non-lettura» che si è ridotta dal 61,4% del 2000 al 57,7% odierno, siamo ancora una ventina di punti percen- tuali sotto le performances di altri paesi europei: in Italia dichiara di avere letto almeno un libro nellultimo anno il 42,3% della popolazione contro il 61% della Francia, il 66% della Germania, il 73,5% del Regno Unito; siamo tra gli ultimi posti nellEuropa dei 15 anche per la spesa procapite nellacquisto di libri; e perfino nelle categorie dei professionisti e dei dirigenti il tasso di lettura non supera il 46%. I lettori «forti», cioè quelli che leggono almeno un libro al mese, sono solo il 5,7%, mentre sono il 16,5% quelli che ne hanno letti da 4 a 11, e il 20,1% quelli che sono arrivati a 3. Sembra inoltre diffondersi, più che in altri paesi, lidea che per aggiornarsi professionalmente o per essere allaltezza delle complessità della modernità, basti ed avanzi la consultazione di Internet, la partecipazione a convegni, la piatta sinteticità delle diapositive in power point. E che bastino ad informarsi le fonti televisive, con tutto il settore della carta stampata anchessa in crisi di finanziamenti, di lettori (e quindi anche delle risorse della pubblicità). cause e responsabilità Quali sono le cause? E dove si annidano le responsabilità? Cè, è vero, il fattore pesante dato da livelli di istruzione media della popolazione ancora molto modesti, ma cè anche dellaltro. Gli editori segnalano le gravi disparità territoriali nella diffusione delle librerie (il 50,9% è nel Nord, il 21,5% nel Sud) e la scarsità di biblioteche di pubblica lettura, anchesse più presenti nel Nord che nelle altre aree territoriali, spesso con dotazioni librarie poverissime (il 50% non ha più di 5.000 volumi, un numero da biblioteca domestica di famiglia mediamente colta), frequentemente con risorse economiche ridotte allosso. Ma problemi serissimi ci sono anche nelle strutture formative: nella scuola italiana ci sono pochissime biblioteche scolastiche, il loro orario medio di apertura è di 2 ore giornaliere, il loro funzionamento si basa su personale scarso e non professionalizzato continuando a mancare negli organici del sistema scolastico la figura del bibliotecario specializzato, gli studenti che frequentano le biblioteche sono solo il 13,6%, gli insegnanti il 2%. E anche nelle università le cose non vanno meglio: non solo dal punto di vista della disponibilità di biblioteche e di spazi per la lettura, ma anche perché la frantumazione degli insegnamenti in corsi di poche decine di ore favorisce il ricorso a materiali di studio più leggeri e diversi dal libro e una crescente disabitudine alluso di testi complessi. Sembrano i tratti di una crisi irrimediabile del libro e della lettura, travolti da stili di vita, comportamenti, sistemi di valore, tecnologie comunicative lontane ed estranee da quelli richiesti per un rapporto vivo e quotidiano con la parola scritta. Ma le cose stanno, in verità, assai diversamente. Perché quando ladozione scolastica dei libri di testo non è la cultura didattica prevalente, quando le politiche locali promuovono le strutture, i contesti, le sollecitazioni giuste, quando le famiglie sanno sottrarsi al monopolio di mezzi di comunicazione culturalmente mortificanti, il panorama cambia. Il festival della letteratura di Mantova attrae ogni anno decine di migliaia di appassionati del libro e degli incontri con gli autori. La rete delle biblioteche civiche di Roma, ricche di strumenti multimediali e di continue attività di promozione della lettura vede ogni anno crescere il numero dei frequentatori e dei prestiti. Le biblioteche scolastiche che restano aperte anche di pomeriggio e permettono laccesso anche ai non studenti diventano centri importanti di lettura e di scambi culturali. Le librerie che sanno offrire servizi di accoglienza e di consultazione hanno successo. E chi ha livelli di istruzione buoni, percorsi formativi di qualità, condizioni di lavoro stimolanti, combina insieme libri e internet, giornali e televisione, aggiornamento professionale e università popolari. Non cè, dunque, una sola soluzione e una sola politica, per promuovere la lettura. Occorrerebbe svilupparne tante, e in diversi campi, per raggiungere lobiettivo. Ma cè un paese consapevole della sua importanza? E determinato a realizzarlo? ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 numerosissime e relative a diversi campi di analisi non lasciano indifferenti. Colpiscono e fanno riflettere, per esempio, i risultati che emergono mettendo in relazione landamento della produttività nelle venti regioni italiane nel periodo 1980-2003 con i tassi medi di lettura delle stesse aree territoriali. Si scopre infatti non solo che la lettura incide di più e più positivamente dei livelli medi di istruzione formale, cioè dei titoli di studio, ma anche che cè una quasi perfetta correlazione tra le due serie di dati: le regioni del Nord, che contribuiscono per il 54,02% al Pil nazionale, raccolgono il 53,4% del totale nazionale dei lettori; quelle del Centro, che contribuiscono al Pil per il 21,03%, hanno il 20,24% dei lettori; quelle del Sud, che contribuiscono al Pil per il 24,9%, hanno il 26,2% dei lettori. E un allineamento ancora più fedele viene rilevato prendendo in esame i dati regione per regione, e incrociandoli con quelli dei libri acquistati in libreria: il Piemonte contribuisce all8,3% del Pil, ha l8,7% di lettori, concentra l8,8% delle vendite in libreria; la Puglia contribuisce al 4,7% del Pil, ha il 4,6% di lettori, concentra il 4,8% delle vendite in libreria, e così via. I titoli di studio sono importanti nello sviluppo economico del paese, ma lo è ancora di più che durante tutta la vita gli adulti acquistino e leggano libri: di aggiornamento professionale, di saggistica, di letteratura, di informazione. Anche per questa via, dunque, viene a galla il valore anche economico non solo della prima istruzione ma anche delleducazione permanente, non solo dei percorsi e dei diplomi formali (che non sempre determinano automaticamente una disponibilità positiva all«apprendere sempre») ma anche della responsabilità individuale nella propria crescita culturale e delle politiche istituzionali nella promozione e nel sostegno dellapprendimento e dellautoapprendimento in età adulta. Perché, come è noto, «non è mai troppo tardi» e, anche se avere avuto poca o cattiva scuola influisce sul rapporto con la cultura che si avrà nel corso della vita, è importantissimo poter accedere sempre alle opportunità formative, vivere in realtà lavorative, sociali e territoriali che stimolano, disporre sotto casa di librerie, biblioteche, musei e gallerie, cinema, teatri. Fiorella Farinelli (1) La ricerca, condotta da Antonello Sorcu professore di politica economica a Bologna e da Edoardo Gaffeo professore di economia politica a Trento, è stata presentata agli Stati Generali dellEditoria (Roma, 21 settembre). 27 CULTURA E RELIGIONI nord ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Romolo Menighetti 28 l Nord Italia, inteso come «questione settentrionale», incomincia ad imporsi allinizio degli anni Novanta del secolo scorso, in forza della maggiore crescita, e del conseguente più diffuso benessere, che si sviluppano in quelle regioni rispetto al resto del Paese. Tale crescita rende più sensibile il Settentrione alla forza di attrazione del modello di sviluppo europeo, con il quale si sente ormai in maggiore sintonia rispetto alle altre regioni italiane. Questa situazione determina un fatto nuovo: la divergenza tra i modelli di sviluppo economico e sociale tra Nord e Sud. Fino a venti anni prima i due modelli tendevano a convergere, e il divario era percepito come una distanza da colmare. Ora però è la convergenza sullo stesso modello di sviluppo delle due Italie ad essere messa in discussione. Ciò anche a causa del fallimento delle politiche di intervento pubblico per ridurre la forbice. Questa, nonostante i soldi impegnati, si è maggiormente allargata. Tale fallimento, unito al fatto che lEuropa si è imposta come prospettiva unificante della Nazione, configura ora il Sud come una palla al piede per il Nord. Da qui il porsi del Settentrione come «questione» nel contesto nazionale. Ma cè un motivo più contingente, che aggrava la «questione». Si tratta del fatto che gran parte del Nord, il cuore imprenditoriale del Paese, nelle ultime elezioni politiche (aprile 2006) ha votato in maggioranza per i partiti di opposizione. Ciò significa che la parte trainante dellintera Italia non si fida della Sinistra governante, e non solo per motivi ideologici. A diffidare infatti non sono solo i ricchi e i padroni, ma anche gli artigiani e gli operai, che spesso si sentono solidali con gli imprenditori e le imprese. Insomma, gli abitanti del Nord hanno la sensazione che i valori che li caratterizzano capacità imprenditoriale, etica del lavoro di tipo protestante, insofferenza per le lungaggini burocratiche siano poco apprezzati dalla Sinistra. Che fare? O meglio, prima di tutto, cosa non fare? I Resistere alla tentazione di liquidare senza appello la questione settentrionale come rivendicazione di un autonomismo egoistico e corporativo, evasore fiscale e protezionista per vocazione. In misura diversa, le istanze del Nord che fanno «questione» infrastrutture, liberalizzazioni, riduzione dei costi della politica, recupero dellevasione fiscale finalizzata al taglio delle tasse, abbassamento del costo del lavoro, maggiore sensibilità ai valori espressi dal territorio sono istanze dellintera nazione. Propositivamente, si tratta di impostare una politica più attenta e vicina al territorio, onde intercettare gli interessi del Nord e dellItalia tutta. In particolare, la Sinistra governante, per aderire maggiormente ai vissuti e ai valori del Nord, deve superare le posizioni e le affermazioni eccessivamente ideologizzate. Si tratta insomma di articolare politiche più pragmatiche e meno legate a geometrie ideologiche. Promuovendo una maggiore vicinanza dei vertici partitici e politici con la gente, dovrà anche superare lostacolo frapposto dallattuale legge elettorale, che ha scippato ai cittadini il potere di indicare i propri rappresentanti in Parlamento. I grandi orientamenti e le strategie di fondo devono essere comuni per tutto il Paese, ma dovranno essere declinate con più aderenza ai particolari bisogni locali. Ad esempio, la necessaria lotta contro la precarietà del lavoro, non può trascurare il fatto che questa colpisce anche gli imprenditori, specie i piccoli e i piccolissimi, e che perciò anche per essi devono studiarsi adeguate misure di protezione contro la concorrenza sleale, ammortizzatori sociali appropriati, e una diversa politica del credito. Tutti questi provvedimenti sono al di là di unetichettatura di destra o di sinistra. Sotto questa problematica cè però inquietante una dimensione della questione settentrionale che attiene alla politica e alla cultura. Cè la cultura della Lega Nord, in gran parte reinterpretata da Forza Italia. Dietro gli slogans di «Roma ladrona» e «no allo statalismo» serpeggia in realtà il rifiuto del riconoscimento dellautorità istituzionale e delle leggi non collimanti con i particolari interessi che da essa promanano. integrismo la malattia della verità Giancarlo Zizola isogna che non ci vergogniamo di riconoscere la verità e di farla nostra, da qualsiasi parte venga. Perché, per colui che cerca la verità, nulla è più prezioso della verità stessa. Ed essa non svilisce mai, non abbassa mai colui che la cerca» al-Kindi, Preface to Methaphisics, metà del IX secolo. Questa raccomandazione ci viene da molto lontano, eppure sembra così pertinente alla nostra situazione postmoderna. Mai nella storia si è data una base tecnologica così avanzata per la verità comunicativa, su scala globale, eppure molta parte del mondo è inabissata nellinvisibilità organizzata, tutto sembra già visto, tutto accessibile, niente e nessuno esiste se non passa alla televisione, ma sempre più cose non si vedono e una gran parte del mondo, delle sue guerre, dei suoi orrori e delle sue mafie rimane nellombra, faccia nascosta e inesistente della Terra globale. Poi dilaga limpostura politica programmata e scontri di civiltà fanno correre sangue e fanatismo sguainando la verità come una spada. Linvito ci viene recapitato da un grande maestro alle origini del pensiero islamico, al-Kindi, morto nellanno 873, circa due secoli e mezzo dopo Maometto. Possiamo dire che al-Kindi sta allislam come San Tommaso dAquino, B CULTURA E RELIGIONI 30 centramento: un vero fallimento dellanima. il mercato nero delle anime Non saprei se questa lezione sia stata ancora pienamente imparata, diffido di quegli intellettuali antimodernisti che hanno bisogno di esercitarsi nellarte pigra della maledizione contro «questo dannato mondo». Vedo che se la menzogna è uno spaccio corrente nelle società democratiche, se si tenta perfino di manipolare linformazione dei grandi media americani, anche la verità ha i suoi anticorpi, e mai come ai nostri tempi il naso di Pinocchio ha la vita così breve: si comincia a capire che senza verità orientativa nessuna comunicazione sarebbe realmente, anche se ognuno dei sette miliardi di abitanti della Terra, inclusi i neonati, fosse munito di un videotelefonino digitale. Forse, è arrivata lora della parola profetica, dellinvettiva cruda e del silenzio meditativo, ma la voce dei visionari, dei predicatori dellimpossibile o è dispersa o viene sommersa dal frastuono dei reality show, viene tolta la parola proprio a coloro che potrebbero farne buon uso per aiutare tutti a trovare lorientamento smarrito. Diventa per questo più difficile bandire la menzogna non solo dalle sedi politiche e finanziarie ma anche dalle nostre anime. Cè un mercato nero delle anime, e questo è il mercato più terribile che esista al mondo. il messaggio di al-Kindi Mi limiterei dunque a mettere in luce tre aspetti che mi sembrano attuali del messaggio di al-Kindi e che possono aiutarci a quel mutamento di forma mentale di cui abbiamo disperatamente bisogno, quasi per una nuova iniziazione che ci faccia attingere alle risorse dei valori fondamentali e resistere alla menzogna che ci assedia da ogni parte e ci toglie il respiro: 1. la verità è un bene alla portata di tutti, che non si possiede in toto ma si cerca per frammenti. Ha bisogno di una tensione, del dubbio approfondito, del dubbio su- perato, del forse. È un processo di scarto. Mantiene un suo grado di enigmaticità e di sofferenza, è un simbolo molto più che un dato certificato, è una metafora che rinvia a qualcosa di inedito e di incompiuto sempre, imprevedibile, insaziabile e complesso. Come diceva SantAgostino: «Cercare per trovare, e dopo aver trovato, cercare ancora» (De Trinitate): la verità è mescolata e perplessa, permixta et perplexa. Più una penombra che una luce abbagliante. 2. la verità ha bisogno di essere cercata nella storia e chi la cerca è importante, anzi insostituibile per la verità stessa. Senza i suoi cercatori, la verità astratta, sola con se stessa, diventa facilmente muffa, irrisione, mistificazione, propaganda e maschera, lupo vestito da agnello che devasta lovile. Solo sciogliendosi nella pasta la verità raggiunge il suo fine, che è quello di essere fermento positivo della storia. Una verità pensata e praticata come acciaio diventa facilmente guerriera, assassina e fanatica. Ogni parola deve servire la vita, ogni dottrina la sapienza del cuore. La proprietà della verità è di essere solubile: solo se è solubile diventa efficace. 3. qualunque cercatore della verità ha una propria dignità, in quanto cercatore sinceramente impegnato nel percorso del bene, indipendentemente se la ha raggiunta o meno. Mi sembra interessante ricordare come alKindi arriva a questa idea complessa e dinamica della verità, che è il vaccino per combattere la febbre virale dellintegralismo e del fondamentalismo (ricordiamo per inciso che la rapida diffusione dellislam è molto più debitrice della sua capacità di adattamento che alla sua forza espansiva delle sue conquiste militari: non ha dogmi, non ha clero, né chiesa, i popoli assoggettati potevano continuare a praticare la propria religione, la sua tolleranza era molto maggiore di quella esercitata allora dai regni cristiani verso i pagani e gli eretici, tanto che lislam divenne ben presto una civiltà di altissimo livello, al cui confronto limpero carolingio era una congerie di paesi barbari. Nessuna città medievale pareggiava in splendore di opere e intensità di produzioni culturali le città islamiche come Damasco, Baghdad, Cordova. Si può dire che il fondamentalismo islamico non esiste nella storia islamica, è un fenomeno del tutto recente). intrecci articolati tra culture, religioni, ricerche Al-Kindi ci arriva attraverso la riflessione sullottica. E attraverso la teoria musicale sulla divisione delle scale e dei toni. È lui lautore di uno dei testi fondatori dellottica araba, dal titolo Sulla diversità delle perspettive. Loriginale di questo libro (uno dei 241 libri scritti da al-Kindi) è andato perduto, a noi è pervenuta una traduzione di Gerardo da Cremona dal titolo De aspectibus (letteralmente, Sulle cause delle diversità degli aspetti). Sappiamo anche che questa traduzione fu una guida fondamentale per Ruggero Bacone, John Peechman e Roberto Grossatesta, cioè per i principali fondatori medievali della scienza e dellastronomia nel mondo latino. Ciò che collega tra loro questi pensieri fondatori è lidea che lo scienziato, come il filosofo e ogni cercatore deve percorrere senza tregua tutti i luoghi, giammai si può appoggiare ad un punto fisso, deve rifiutare, anche rischiando di mancare totalmente il suo obiettivo, qualsiasi tentazione di centralismo culturale e di storia lineare. Ogni punto di vista è la vista da un punto. Per cui il rispetto della diversità del punto di vista altrui è la garanzia del mio stesso cammino verso la verità: questo principio è costitutivo del sistema democratico, per questo ogni volta che emergono fenomeni di disprezzo o di emarginazione verso le viste da altri punti, in una società politica o anche in una Chiesa, a causa della pretesa di un pensiero ufficiale dominante, arredato dalladulazione dei cortigiani e dalle «servitù volontarie» (la genuflessione ai poteri fittizi di cui parlava Etienne de la Boétie) non solo la democrazia corre serio pericolo di totalitarismo e di conformismo, ma è la verità stessa a essere in pericolo. Ricordo un discorso di Vaclav Havel, un altro intellettuale perseguitato: «Penso che lintellettuale debba mettere in allarme, provocare con la sua indipendenza, ribel- ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 quattro secoli dopo, sta al cristianesimo. Anche al-Kindi è influenzato dalla filosofia greca, e in particolare da Aristotele e dai neoplatonici. Anche lui tenta di conciliare la fede con la ragione ed è il primo a farlo nella storia dottrinale dellislam. Unintelligenza universale, per questo aperta alla complessità: un cercatore della verità in ogni campo, nello studio delle scienze fisiche, delle matematiche, della musica. La sua biblioteca a Baghdad era piena di opere da lui stesso tradotte dal greco. Troppo lungo sarebbe soffermarsi sui contenuti della sua dottrina, direi solo che aveva operato la distinzione tra i due campi, quello della scienza umana e quello della scienza divina, riconoscendo a ciascuno la propria autonomia, e assegnando alla filosofia, come farà San Tommaso, il ruolo di ancella della teologia. Proprio per questa sua posizione laica, antiintegralistica, a lui toccò la sorte di ogni intellettuale onesto, che non può rinunciare alla propria funzione critica, e mai dogmatica e apologetica: fu accusato di eresia, gli venne confiscata la biblioteca e subì varie persecuzioni. Del resto sappiamo che anche a San Tommaso dAquino toccò in sorte lemarginazione dai custodi dellortodossia ufficiale del suo tempo, fino al rogo della Summa Teologica acceso sul sagrato di Notre Dame. Ci sono sempre delle spade che si snudano per la difesa della verità con la V maiuscola, in nome dei sommi princìpi, in nome delle identità da preservare, e si tende a dimenticare che anche Robespierre (che alcuni stanno riabilitando) era indiscutibilmente un uomo di principi, ma purtroppo aveva un debole per la ghigliottina. La verità ha mietuto in ogni tempo delle vittime. E questa scia di sangue non sembra fermarsi. Direi anzi che la violenza più cruenta della storia è quella che si appella alla verità religiosa, che usa il cielo come arrotino per affilare la spada e spalma Dio come vernice celestiale sui campi di battaglia. È una sacra truffa che ha riempito lungo il Novecento le fosse comuni, le camere di tortura, i campi di con- 31 CULTURA E RELIGIONI 32 damentalista dellOccidente come Oriana Fallaci. Il suo concittadino di Firenze, certo Dante Alighieri, prende lo schema della sua Divina Commedia da un testo islamico (il Libro della Scala, un classico arabospagnolo, letto da Dante nella biblioteca di Brunetto Latini). Né si comprenderebbero le scienze arabe senza la religione. Cè questa fondazione religiosa della scienza nel mondo islamico, che è ancora un problema irrisolto per il modello laico della scienza in Occidente, che si vuole programmaticamente veicolo della secolarizzazione. Non sarebbe possibile capire la novità di Cartesio senza conoscere lalgebra araba che Leonardo Pisano, agli inizi del XIII secolo, importò in Europa. Questo sguardo alla complessità, agli intrecci infinitamente articolati lungo i secoli tra le culture, le religioni, le ricerche, è una grande lezione per noi che abbiamo la responsabilità di partecipare al processo di globalizzazione del mondo. Abbiamo a che fare con una coabitazione di segni, simboli, linguaggi, religioni. E dopo il crollo delle ideologie dellOggetto, vediamo il nuovo rinascimento del Soggetto, che cerca di affermare le prerogative della propria diversità, della propria coscienza, del proprio diritto di esistere in dignità eguale. Un Soggetto che però non si pensa solo, ma in rete. un artiglio rapace e potente Allo stesso tempo vediamo irrompere su questo immenso e poliforme brulicare umano un artiglio rapace e potente di individualismo, di conformismo, omologazione, un pensiero-scimmia prodotto dai mass media per ogni dove, una spinta a alzare i ponti levatoi, a rifiutare lAltro, a barricarci in difesa contro le diversità, viste a priori come attentati alla propria identità prima che alla propria incolumità. Si fanno leggi per autorizzare a sparare a vista, ma prima ancora si inocula ogni giorno la cultura del nemico, lideologia della paura che è sempre stata organizzata e perfino sacralizzata ogni volta che nella storia lOccidente ha avuto a che fare con lo Straniero, in funzione della conser- vazione dellordine costituito. Ma è ben noto che le identità veramente forti non hanno bisogno di erigere mura. Al contrario, sono le identità deboli che hanno bisogno di barricate e di propagande fasulle. la politica degli innesti È interessante ricordare lesperienza dei miei contadini veneti. Nessuno ha una premura più gelosa per la salvezza delle loro vigne. Il loro prosecco, e il Cartizze specialmente, è una specie molto mitica di pratica religiosa, ma allo stesso tempo è un prodigio della scienza. Quale il nemico più insidioso per questo loro dio? Non è unideologia, non è neanche il terrorismo. È molto più del fondamentalismo islamico. È la filossera. Ora per sconfiggere questo Bin Laden delle vigne i miei contadini non fanno ricorso al fosforo democratico usato dagli americani a Falluja, non alle torture naturalmente democratiche, non al colpo in canna già pronto a uccidere ogni ladro di polli. La loro arma letale è una sola: la politica degli innesti. È solo grazie agli innesti da altre viti che il pericolo terrorista viene sconfitto, dunque è moltiplicando le amicizie, le relazioni, i confronti, gli scambi con altri modi di vita che si preserva la vita e si sconfigge la catastrofe. la scuola della montagna La montagna è una scuola molto adatta per confondere i furori degli integralisti. Non si sale in vetta se non passo dopo passo, faticando e cercando il sentiero più adatto. Ci si saluta tutti, in tutte le lingue, ci si ospita a vicenda, perché ogni essere umano quando va in montagna si riconosce prossimo allaltro nel saliscendi della vita ed è pronto a dargli una mano, se si trova in difficoltà, e a condividere acqua, corda e cibo. Dove passano i confini, su quale pascolo finisce una nazione, o una proprietà privata, su quale picco ne comincia unaltra? Queste ascensioni imprimono una lezione di umiltà, di ospitalità, di senso dei beni della creazione creati per tutti, e non solo per alcuni privilegiati, una lezione di soli- darietà e di tolleranza. È mettendo un piede dopo laltro sui tratturi che si riesce a vedere più chiaramente una verità a riguardo della verità: che la verità non vale niente se non è comunicativa. Se non è una verità di relazione, ma solo astratta, categorica, strategica, militante, frettolosa e intransigente. la malattia della verità Vorrei invitare a riflettere su un paradosso, che forse sfugge a coloro che hanno il chiodo fisso del pericolo del relativismo: non vorrei essere troppo antropomorfico e presuntuoso, ma oso pensare che se Dio Padre avesse ceduto ad una minima traccia di ossessione per il relativismo penso che avrebbe trovato qualche difficoltà a decidere di entrare in relazione con lumanità. Penso che il relativismo sia la malattia della verità quando funziona a circuito chiuso, senza entrare in relazione, senza farsi veicolo per trasportare lamore. In montagna si impara a rispettare la legge della gradualità e ad aspettarsi a vicenda: la verità consiste nellaspettare la verità, non nel possederla. È un percorso molto più che una cima da raggiungere. È la verità dei gabbiani che aspettano la luce che sorge e la luce che tramonta sulla spiaggia della vita. La verità è lenta. Si fa assimilare dolcemente, per tragitti non predefiniti in nessuna mappa dogmatica. La lentezza è la condizione che assegna più spazio allazione dello Spirito e rifiuta la pretesa di prevaricare con lefficienza diplomatica e politica. Una verità cercata con concupiscenza rende ciechi. Allo stesso modo anche la lentezza del cammino comunica un segreto sulla verità: si sale lentamente, chi si inerpica correndo o a scatti in montagna non conosce lalfabeto della montagna. E finisce il più delle volte con i crampi alle gambe. La verità è diversa. Voglio che ci rilassiamo con una storiella circolata in Vaticano, che ha strappato una risata perfino al severissimo Papa Ratzinger quando era cardinale: «La verità gli spagnoli la difendono alla Don Chisciotte, gli italiani la possiedono, i francesi la cercano, i tedeschi la complicano, gli inglesi la vendono. E quanto agli ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 larsi a tutte le manipolazioni e a tutte le pressioni, essere colui che principalmente mette in dubbio i poteri e le loro formule magiche, essere il testimone delle loro menzogne. Non può rientrare nella storia dei vincitori. Non si adagia in nessun posto. È sempre ai ferri corti con le categorie del potere. In un intellettuale che vince cè qualcosa di sospetto». Torna opportuna la lettura di un brano delle Vespe di Aristofane (un altro commediografo, un intellettuale pacifista perseguitato a causa della sua libertà critica nelle commedie, vissuto tra il 445 e il 385 avanti Cristo. Voleva che gli Ateniesi facessero la pace con lodiata Sparta, e veramente la sua commedia La Pace concorse alla Pace di Nicea. Ma poi fallì nellipotesi di fondo del suo capolavoro Gli Uccelli, dove sosteneva che solo laicizzando i conflitti, sostituendo gli uomini al governo degli dèi sul mondo si riesce a chiudere lepoca degli scontri di civiltà, della lotta allultimo sangue tra Bene e Male, letà del Cielo usato in terra come arrotino delle spade e vernice pseudoreligiosa sui campi di battaglia. Questa era una canzone troppo dura per i suoi concittadini e sembra che su questa terra non sia cambiato molto da allora, se non la ferocia dellOro ): «Sostenete quelli che cercano di farvi sentire qualcosa di diverso e conservate i loro pensieri. Riponeteli in cassapanca come le mele cotogne, così i vostri panni odoreranno intelligenza tutto lanno». Siamo ancora allapologia dei pensieri difformi. Anzi, alla necessità delle differenze, delle verità parziali. Solo uno sguardo capace di spiazzamento può percepire il valore delle risorse culturali, provenienti da tutte le rive del Mediterraneo, ma anche dalla Cina, la dialettica incessante delle permanenze e delle rotture, che ci proibisce ogni presunzione etnologica anche nel campo scientifico a esclusivo brevetto dellOccidente. La scienza è piena di parentele. Ogni rivendicazione nazionalistica è antistorica: non si comprende Avicenna senza Aristotele e nulla di San Tommaso senza Avicenna. Ancora più radicalmente, non ci sarebbe pellegrinaggio alla Mecca senza Abramo, cosa che forse è sfuggita ad una fon- 33 CULTURA E RELIGIONI 34 possibile. Vorrei concludere con il racconto di una leggenda ebraica. «Il creatore stava per fare luomo e gli angeli di servizio non erano daccordo sullidea. Alcuni erano favorevoli alla creazione, altri contrari. Come recita il Salmo 85: «La Bontà e la Verità si sono incontrate, la Giustizia e la Pace si sono baciate». Il che fa supporre che, prima di questo embrassons-nous, non fosse precisamente larmonia che regnava tra loro. Infatti la Bontà diceva: «Dio crei pure luomo perché sia pieno di capacità di comprensione». Ma la Verità era risolutamente contraria: «Dio non lo crei, perché sarà pieno di menzogna». Quanto alla Giustizia, il suo parere era presto detto: «Voto a favore perché possa raddrizzare dei torti». Contraria la Pace: «Non lo crei, perché non sarà che violenza». Che fece allora il Creatore? Egli prese la Verità, che era il leader dellopposizione, e la scagliò a terra, come sta scritto nel libro del Profeta Daniele: «Egli gettò la verità a terra». Gli Angeli di servizio gli dissero allora: «Maestro dei Mondi, come puoi tu disprezzare i tuoi stessi Saggi?». E il Maestro dei Mondi ordinò: «Che la verità salga da terra». Sta scritto infatti: «La verità si solleverà da terra». Questa verità dalla Terra, forgiata nel tessuto delle relazioni, delle passioni, delle lacrime e delle gioie, dei silenzi e delle parole, delle solitudini disperate e delle ricerche mai stanche dellInfinito, è una costruzione pudica, umile, approssimativa, che non ha bisogno di spade, ma solo di mitezza per rivelarsi. È un processo sempre ripreso e sempre da riprendere. Fa fatica a farsi vedere, ma quando si mostra ti colma di gioia. Ed è forse di questo senso complesso e comunicativo della verità che si solleva da terra che la Terra ha bisogno per governare la pace dei mondi futuri. Giancarlo Zizola la guerra al tempo della guerra infinita Giuliano Della Pergola iflettere sulla guerra e sulle modificazioni della natura della guerra è diventato un esercizio mentale necessario per cercare di capire qualcosa di quel che avviene nel mondo. Mimmagino che esistano dei teorici della guerra, e io non sono uno di loro. Sono solo un lettore di giornali, un appassionato di politica e di scenari bellici, non un conoscitore dinterpretazioni della guerra, e poi non sono capace di compiere su questo tema comparazioni tra un autore e laltro. Non per questo, tuttavia, voglio sottrarmi a darmi delle spiegazioni, incalzato come sono dalla mia inquieta coscienza che non capisce pur senza arrendersi, che non sa pur senza voler smettere dinterrogare, che rimane stupefatta, stupita dalle continue anse della storia, ma che continua a domandare. Non conosco altro metodo per approfondire il tema della guerra. Non è vero che viviamo in pace: a lato della nostra esperienza empirica, le guerre continuano. R potenza e impotenza degli arsenali Non so più chi disse che se un paese possiede una grande forza navale, o un esercito numeroso e ben preparato, o la bomba atomica, è immaginato come un paese forte, ma il giorno in cui questo stesso paese sgancia la bomba atomica, improvvisamente perde limmagine di essere un paese forte per trasformarsi agli occhi dellopinione pubblica in un paese aggressivo. Come se, dunque, la forza stesse solamente nella potenza, solo nella possibilità di esercitare unaggressione, ma non nellaggredire. Infatti, il più forte che aggredisce il più debole è solamente un vigliacco. Invece, il più forte che fa intravedere di poter mettere mano ai propri immani arsenali, incute paura, chiede soggezione ed il timore che esercita sugli altri si colora in costoro di fantasie dinvincibilità. Per essere ritenuti invincibili bisogna avere gli arsenali pieni, ma non aggredire nessuno. Questo paradosso, bizzarro eppure credibile, sè visto il giorno dopo che gli Stati Uniti lanciarono la bomba atomica su Hiroshima. Ma sè ripetuto, in piccolo, anche il 30 luglio 2006, quando gli israeliani alla ricerca di Hezbollah frammisti alla popolazione civile libanese, hanno colpito senza volerlo a Cana una casa, uccidendo bambini e vecchie. Limmagine di quei corpi martoriati e già cadaveri, estratti dalle rovine delledificio, ha fatto il giro del mondo. Con una violenza inaudita ha trasformato la forza bellica israeliana in unaggressione violenta, con lesito di avvicinare il governo libanese di Siniora alle milizie Hezbollah, ottenendo dunque leffetto di unire tra loro due soggetti che diventavano un unico nemico. Bene lha messo in evidenza Zeev Sternhell, il grande studioso israeliano autore del libro Nascita di Israele (vedi il Corriere della sera del 31 luglio 2006, pag. 9). Le eventuali ragioni politiche che Israele fin lì poteva accampare, cioè le aggressioni continue in Alta Galilea da parte degli hezbollah con razzi a media gittata, scomparivano nei confronti della violenza subita dalla popolazione libanese. Una volta di più abbiamo assistito al fatto che il deterrente bellico, se messo in azione, aggredisce il nemico ma culturalmente induce effetti diversi circa linterpretazione delloperazione. Non entra in discussione la capacità degli armamenti, ma la dignità di chi li possiede e di chi li usa. Fino al tempo di Hitler e di Stalin non era così: chi aveva armi più sofisticate di altri le usava e allora si guardava ai progressi delle tecnologie belliche con ammirazione (ad esempio, il ricorso ai sonar e ai radar nelle battaglie navali tra tedeschi e inglesi nel Baltico), oppure al ricorso alla mitica arma segreta V2, creduta fino ad allora in possesso di Hitler. Invece, oggi non è più così. Possedere unarma intelligente, capace dincunearsi nei meandri dei cunicoli sotterranei, e tale da indurre i guerriglieri ad uscire dai loro nascondigli, se spedita per drammatico errore in una casa di Cana, più che altro mette in evidenza lefferatezza dellinventore, la sua diabolica capacità di uccidere degli inermi tra le braccia delle loro madri, mentre il progresso tecnologico applicato alla sofisticazione di armi micidiali, ci appare nel suo profilo ignobile, vergognoso, degradato di qualsiasi inventiva, degna di questo nome, senza alcuna originalità, o fantasia creativa. 35 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 americani, la comperano!». Per dire come variano i modi di relazione che poi forgiano i riflessi reali della verità nelle multiformi storie della vita. Ma una cosa è stata raggiunta, dopo le tragedie delle Verità astratte e delle Verità Uniche nel secolo più assassino della storia, il Novecento che ci siamo lasciati alle spalle: Lerrore di ogni intolleranza è di vedere nella verità una realtà metafisica. Cè una forma di verità assoluta che uccide sempre e richiede di essere uccisa: è la verità totalmente nuda, svelata certo in nome del Bene e in odio alla menzogna, vista come una statua greca alla luce del giorno, fissata, strappata dal suo contesto spaziale (il luogo umano dove è stata forgiata) e dal suo tempo, dal processo evolutivo che lha portata alla luce. Mi pare difficile non condividere la conclusione di Friedrich Nietzsche nell Anticristo: «Bisogna considerare se le convinzioni non siano, per la verità, dei nemici più pericolosi delle menzogne». In nome della verità sono stati riempiti i lager e accesi i roghi degli eretici. Oggi comprendiamo meglio che non cè verità se non si ama e che nello stesso amore si accende la luce del vero, è lamore che fa conoscere realmente se stessi attraverso la conoscenza dellaltro. Una seconda lettura la colgo dal Mahtma Gandhi con la sua metafora dellalbero. Ora le metafore sono il tipico linguaggio dellanima, sono la madrelingua della verità, lo si vede bene nelle parabole dei Vangeli. «Se vi è una aspirazione sincera, si comprenderà che quelle che sembrano differenti verità, in realtà sono come innumerevoli e apparentemente diverse foglie di uno stesso albero. Lo stesso Dio non viene forse concepito dai diversi individui sotto forme diverse? Eppure noi sappiamo che egli è Uno. E verità è il giusto appellativo di Dio». A distanza di quasi mille anni la invenzione culturale di al-Kindi è stata una spora che il vento imprendibile dello Spirito ha deposto e impollinato nel teorico della nonviolenza. Perché soltanto in questa visione complessa, umile, non violenta della verità «da qualsiasi parte» si vede bene che sta la fondazione della pace universale CONFLITTI l’infinito nascosto nella guerra ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 La guerra in Libano non nasce dal rapimento di tre soldati, e se fosse questa la causa della guerra, allora i lai sulla sproporzionalità tra causa e conseguenze apparirebbe monumentale. Invece, la questione va posta in altri termini: esistevano le condizioni perché Israele attaccasse gli hezbollah in quanto con lassassinio del presidente Hakiri, il suo successore, Siniora, era antisiriano. Gli hezbollah erano dunque presi tra due fuochi: quello israeliano a sud e quello governativo a nord. I guerriglieri serano trovati intrappolati, e Olmert ne approfittò. Doveva cercare un pretesto, e questo pretesto gli fu offerto dai tre soldati scomparsi (effettivamente presi prigionieri, o fatti sparire momentaneamente per offrire un pretesto allesercito israeliano di scatenare la guerra. Noi sappiamo solo quel che scrivono i giornali, ma non abbiamo per davvero notizie attendibili). Quando un soggetto scatena la guerra, accampando o no una scusa, sottolineando il casus belli, inizia una pagina della storia che non si sa dove porterà. Si conosce linizio, e presumibilmente si può immaginare la sola pagina successiva, quella dei bombardamenti a tappeto, la guerra dallalto, dove laviazione detiene la parte del leone. Quel che invece non si sa, quel che resta imprevedibile e ignoto, è lo svolgimento successivo fino alla vittoria di una delle due parti. Un tempo, era più facile prevedere che il più forte sarebbe stato anche il vincitore, ma dopo la guerra in Vietnam noi non possiamo più dirci altrettanto sicuri. Il più forte è il più forte, e questo conta moltissimo nellinfliggere allavversario perdite dolorose e ingenti, ma la vittoria finale oggi si gioca su molti fronti, di cui quello strettamene bellico è solamente uno. I vietnamiti, tanto più militarmente deboli dellesercito americano, riuscirono a fare desistere Nixon a continuare laggressione. Perché se sincontrano una guerra contro una guerriglia, la guerriglia ha, dalla sua, armi che lesercito 36 non possiede: la conoscenza del territorio, la solidarietà della popolazione civile, leffetto sorpresa, limboscata, linformale azione di disturbo. Nel caso libanese, tra hezbollah e popolazione civile, dapprima (quando Olmert iniziò loffensiva aerea), cera inimicizia, ma poi, dopo la strage di Cana, un sentimento anti israeliano così forte si dovette diffondere nel sud del Libano, che quellerrore costò a Israele, oltre che lostracismo morale di tutto il mondo nelle parole del segretario dellOnu Annan, anche il ricompattamento tra guerriglia e società civile. Lo scenario generale cambiò: proprio quando militarmente Israele stava vincendo, le sorti del conflitto iniziarono a prendere unaltra, imprevista, piega. Perché? Per lincapacità dei generali israeliani di imprimere allavversario una pressione decisiva? Non lo so. Ma quel che so è che chi oggi apre una guerra spalanca una porta che dà sul vuoto: un precipizio dai contorni imprevedibili gli si para dinnanzi, e i suoi piani militari, preparati con accuratezza prima, si dimostrano fatui. La guerra contiene un infinito, un qualcosa che è senza limiti ed è inutile credere di potere seguire un piano come fosse un giro turistico tutto compreso. Olmert scatenò lesercito contro gli isolati hezbollah e si trovò a sua volta isolato: tra i guerriglieri sciiti, la popolazione libanese, i siriani e gli iraniani, venne a crearsi un fronte che avrebbe reso il conflitto internazionale e a rischio nucleare. Così Israele pensò di dichiararsi vincitore e tornò allinterno dei suoi (illegali) confini. Il Libano distrutto chiederà un risarcimento morale e materiale pari a molti anni di lavoro degli israeliani, e tutto il mondo sarà contro laggressione israeliana. Aggredito dai razzi katiusha nei suoi kibbutzim della Galilea, fino a Haifa, Israele ha mutato a proprio sfavore lopinione pubblica internazionale. Un colossale fiasco. Derivato dal fatto che per il patriottismo israeliano il conflitto con la guerriglia hezbollah è solo questione locale, legata alla sicurezza e alla sopravvivenza di Israele; per lopinione pubblica internazionale che con il fiato sospeso seguiva lo sviluppo degli eventi bellici era invece uno scenario che scavalcava il dato etnico locale, per diventare una volta di più il palcoscenico ove un potente, quando scatena la propria forza militare, dichiara limpotenza della ragione e della politica; mentre allopposto quando la guerriglia gioca con un esercito formale anche se non lo è appare Davide contro Golia. Giuliano Della Pergola ETICA SCIENZA SOCIETÀ di chi è la mia vita?/2 Giannino Piana a riapertura in Parlamento e nel Paese di un acceso e ampio dibattito sul tema della «eutanasia», a seguito soprattutto dellautorevole sollecitazione del Presidente Napolitano, evidenzia la grande attualità assunta anche in Italia da problemi che toccano profondamente la coscienza perché coinvolgono il senso della vita e della morte. Al di là delle complesse e delicate questioni di ordine politico e giuridico, che vanno affrontate con grande prudenza in una prospettiva non puramente individualista ma attenta ai risvolti sociali e culturali delle decisioni, il nodo fondamentale che occorre sciogliere riguarda lesistenza o meno del diritto di autodeterminazione nei confronti della morte. La risposta a tale importante quesito non è facile: esistono anche in ambito di etica laica posizioni diverse; mentre allinterno delletica di ispirazione cristiana, dove la dottrina ufficiale è caratterizzata dal radicale rifiuto di tale diritto, non mancano ipotesi alternative (sia pure minoritarie) che partono dalla critica alle argomentazioni addotte per rifiutarlo. È utile perciò fare il punto sulle diverse posizioni in campo (con particolare attenzione a quelle del L mondo cattolico), nellintento di chiarire i presupposti di ordine etico, che sono alla base dellattuale discussione. una questione antica Anche nel pensiero morale laico al problema dellautodeterminazione di fronte alla morte non si danno come si è ricordato soluzioni univoche. È innegabile la presenza di un giudizio negativo nei confronti del suicidio in quanto atto che comporta la rinuncia ad assumersi la propria responsabilità sociale; ma è altrettanto innegabile lesistenza del riconoscimento della sua plausibilità quando risulti motivato si pensi al caso di Socrate dalla volontà di rendere fino in fondo testimonianza (martyria, da cui «martirio») ai valori in cui si crede. Leutanasia come espressione dellautodeterminazione soggettiva in contesti situazionali di particolare gravità non è pertanto, in termini assoluti, respinta; è considerata moralmente lecita o illecita a seconda delle ragioni che vengono invocate nel caso concreto. Sollecitata anche dallemergere di una casistica nuova dovuta agli sviluppi della tecnologia, la bioetica laica contemporanea, che ha posto al centro della 37 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 CONFLITTI Una volta, un casus belli era un evento cui imputare la causa dello scoppio della guerra. Oggi, chi artatamente cerca di fare apparire casus belli un qualsiasi pretesto da cui rincominciare ad interpretare una nuova fase della guerra (come nella recente guerra in Libano il rapimento prima di uno solo e poi di due altri soldati israeliani), corre il rischio del grottesco che nasce dal ridicolo allinterno di un grande dramma storico, e così anche dapparire screditato. ETICA SCIENZA SOCIETÀ la dottrina della chiesa cattolica ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Diversa è senza dubbio la posizione ufficiale della chiesa cattolica. È inutile cercare nella rivelazione biblica riferimenti specifici a questioni morali come quelle qui affrontate: altro è infatti il contesto odierno rispetto a quello in cui sono nati gli scritti sia vetero che neotestamentari. Ciò non toglie che si trovino nella bibbia preziose indicazioni circa gli orizzonti valoriali ai quali riferirsi per conferire alle nor38 mative di carattere etico, che è urgente elaborare su temi tanto importanti, un carattere umanizzante. Una presentazione organica della dottrina tradizionale cristiana sulla «vita», a partire dal messaggio biblico, è presente nellenciclica Evangelium vitae di Giovanni Paolo II (1995), che costituisce (anche in ragione della sua vicinanza nel tempo) un utile riferimento per lillustrazione della posizione oggi prevalente allinterno del mondo cattolico. Il presupposto da cui prende avvio la riflessione del Papa è la concezione della vita come «dono» di Dio, dunque come realtà che luomo non possiede ma da cui è posseduto in maniera sempre parziale, essendo la sua vita partecipazione a quella del Vivente. «La vita delluomo scrive Giovanni Paolo II proviene da Dio, è suo dono, sua immagine e impronta, partecipazione del suo soffio vitale. Di questa vita, pertanto, Dio è lunico signore; luomo non può disporne. [...] La vita e la morte delluomo sono, dunque, nelle mani di Dio, in suo potere: Egli ha in mano lanima di ogni vivente e il soffio di ogni carne umana esclama Giobbe (12,10). Il Signore fa morire e fa vivere, fa scendere agli inferi e risalire (1Sam 2,6). Egli solo può dire: Sono io che do la morte e faccio vivere (Dt 32, 39)» (n. 39). Da queste considerazioni, che conferiscono alla vita umana un carattere radicalmente «sacrale», discende la sua inviolabilità, il fatto che ad essa sia dovuto un rispetto incondizionato. Il diritto ad esistere assume perciò i connotati di un diritto fondante, che sta cioè a fondamento di ogni altro diritto, e che deve essere tutelato senza alcuna eccezione (n. 40). La consapevolezza che tanto della vita quanto della morte non si è padroni sollecita, da un lato, la coltivazione di un atteggiamento di affidamento alla volontà divina (n. 46) e implica, dallaltro, la formulazione di una severa condanna morale di ogni forma di attentato alla vita e alla sua integrità, incluso il suicidio e leutanasia, la cui inaccettabilità etica, al di là delle ragioni personali e sociali, va soprattutto ricercata è questa la tesi di Agostino ripresa successivamente da Tommaso dAquino nel rifiuto della sovranità di Dio sulla vita e sulla morte (n. 60). Non mancano nel documento papale due importanti annotazioni che sembrano at- tenuare la rigidità con cui i principi sono enunciati o, quanto meno, suggerire una certa flessibilità nella loro applicazione. Si vuole alludere, per un verso, al riconoscimento della relatività della vita terrena, allammissione che essa non è realtà «ultima» ma soltanto «penultima», e che di conseguenza si può (talora si deve) rinunciare ad essa per un bene superiore (nn. 2 e 47); e, per altro verso, allammissione della presenza di situazioni complesse e conflittuali nelle quali «i valori proposti dalla Legge di Dio appaiono sotto forma di un vero paradosso»; situazioni che esigono pertanto il ricorso a forme di compromesso o di mediazione (n. 55). A queste importanti affermazioni di principio non fa, tuttavia, seguito alcuna loro traduzione nellambito dei vissuti, tale da lasciare trasparire la possibilità di un giudizio meno severo nei confronti del tema che qui ci interessa. una posizione alternativa La riflessione teologica (quella più impegnata nella ricerca) si è sforzata, in questi ultimi decenni, di aprire piste diverse, sollecitata dalla complessità delle situazioni esistenziali cui allude lo stesso Pontefice. Ad essere sottoposta, in primo luogo, a vaglio critico è la dottrina tradizionale sul suicidio; rilevando come si dia nella tradizione cristiana la giustificazione della legittimità di mettere a repentaglio o di sacrificare la vita per un altro valore ad esempio la castità, la libertà, la giustizia alcuni teologi sono giunti alla conclusione che il suicidio non debba essere considerato a priori come unazione in sé cattiva, ma possa essere espressione di esercizio di vera responsabilità morale, quando è risposta a una situazione umanamente destituita di senso, che risulti oggettivamente tale da un corretto confronto di beni e di valori. Altri e in particolare Hans Küng (cfr. H. Küng-W. Jens, Della dignità del morire. Una difesa della libera scelta, Milano 1966, soprattutto alle pp. 60-90) si sono spinti più avanti, affermando lesistenza di un diritto cristianamente responsabile allautodeterminazione nel morire. Nel diritto a una vita degna non può, secondo il teologo svizzero, non rientrare anche la possibilità per luomo di decidere quando e come morire. Tale diritto, che va esercitato nel contesto di una libertà consapevole da non confondere con larbitrio o con il capriccio, è da Küng giustificato mediante il ricorso ad argomentazioni etiche e teologiche che meritano seria considerazione: dalla rilevazione che il diritto a continuare a vivere non può diventare un dovere assoluto il diritto alla vita non può essere scambiato per una coercizione a vivere alla tesi che, essendo linizio della vita umana posto da Dio nelle mani della responsabilità delluomo, si può analogamente pensare che anche la fine della vita venga da Dio posta sotto tale responsabilità. In questo contesto leutanasia acquisirebbe legittimità come espressione di unetica della responsabilità che ricupera lautonomia delluomo in quanto fondata sulla stessa volontà divina: il contesto di alleanza in cui il «dono» della vita si inscrive implica infatti la libera risposta delluomo. La libertà di decidere in coscienza il modo e il tempo della morte sarebbe dunque, secondo Küng, una prerogativa delluomo. La certezza di fede che la morte non è lultimo traguardo, ma che la vita mortale si apre verso la vita eterna, renderebbe, daltra parte, poco importante il prolungamento indefinito della vita biologica in condizioni umanamente non dignitose; mentre, a sua volta, il fatto che le scienze biomediche favoriscano la possibilità di tale prolungamento non farebbe che accentuare è ancora Küng a rilevarlo la necessità di un supplemento di consapevolezza soggettiva, dando un più solido impulso al diritto allautodeterminazione e al suo esercizio. La provocazione di Küng, le cui argomentazioni vanno criticamente discusse, ci fa comunque intuire che la questione dellautodeterminazione di fronte alla morte è una questione complessa, che va come tale fatta oggetto di attenta considerazione. Il che non implica necessariamente è bene sottolinearlo il passaggio immediato al suo riconoscimento in campo legislativo, dove come si è ricordato fin dallinizio entrano in gioco nel giudizio altri importanti fattori di ordine sociale e culturale. Implica, tuttavia, che ci si accosti ad essa liberi da pregiudizi e da dogmatismi, così da poter esprimere una valutazione spassionata, guidata unicamente dalla ricerca del bene della persona umana. ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 propria riflessione il principio di autonomia (o di autodeterminazione), sostiene in generale la possibilità, di fronte a situazioni estreme, di porre fine alla propria vita e di essere aiutati a farlo. Questa posizione viene motivata in base alla considerazione che non si dà, sul piano puramente razionale, un dovere incondizionato di continuare a vivere e che non si può invocare il concetto di «interesse della vita», laddove esiste uno stato di grave sofferenza e la vita non può più essere vissuta in condizioni umanamente accettabili. In questo caso il diritto a determinare la propria morte altro non sarebbe che una forma di tutela della dignità umana, che potrebbe rendere persino doveroso lintervento di terzi per consentirne la realizzazione. Vanno senzaltro sottoposte a serio discernimento posizioni che possono, se radicalizzate, dare luogo ad atteggiamenti di facile indulgenza verso il fenomeno delleutanasia. Ma si deve riconoscere che non esistono, sul piano meramente filosofico, ragioni tanto apodittiche da escludere radicalmente ogni possibilità di autodeterminazione rispetto alla morte. È come dire che il suicidio non quello dovuto a stati patologici che allentano o tolgono la responsabilità soggettiva, ma quello cui si va incontro lucidamente quando si è giunti alla convinzione che la vita ha ormai perso il suo senso pur non potendo costituire secondo lopinione più diffusa un diritto, non può essere moralmente riprovato, non esistendo di per sé un diritto alla vita a ogni costo, ma solo un diritto a vivere dignitosamente, e dovendo di conseguenza riconoscere che, quando ciò non può più verificarsi, è lecito darsi la morte, anche rivolgendo ad altri la richiesta di collaborazione. Giannino Piana 39 la rivolta delle periferie Luca Rolandi O biettivo dichiarato è da cinque edizioni affrontare le grandi domande che nel resto dellanno inquietano lanima. Ma anche riscoprire il silenzio, categoria mentale prima ancora che condizione acustica, che sta diventando sconosciuta ai più. Ritrovare la capacità di rivolgersi al divino, o quella di ascoltare chi lo fa, cantando, pregando, meditando. E scoprire laltro, vicino o lontano che sia, dallIslam alle altre forme di spiritualità è lobiettivo di «Torino spiritualità. Domande a Dio», rassegna multidisciplinare in costante ascesa. Vi sono state analisi, ricerche e riflessioni di un fenomeno in crescita e di non facile interpretazione: il bisogno di spiritualità. La città si è confrontata con Dio, leterno problema del male e con il difficile e sofferto rapporto tra oriente e occidente. Torino Spiritualità ha messo in relazione il pubblico con filosofi, teologi, storici delle religioni, scrittori, giornalisti, scienziati e personalità della politica e delleconomia provenienti da tutto il mondo, per far sì che la conoscenza potesse scaturire dal dialogo e dal confronto con un maestro. In questottica, hanno assunto un valore particolare le lezioni partecipate, che hanno stimolano lauditorio a un atteggiamento attivo. Il programma della rassegna verteva su tre temi guida: «LOriente al di là dellOccidente». «Conflitti, convivenze e riconciliazioni», «Le nuove moralità: il valore del silenzio». Tra le novità, il campus Giovani leader per la pace, incontri tra israeliani e palestinesi sulla «tolleranza che conviene»; la sezione Domande al male, curata da Ernesto Ferrero; e Food for peace, menu a tema che, nei ristoranti torinesi, mostrano in collaborazione con Slow food come popoli in conflitto tra loro siano vicinissimi dal punto di vista della cultura alimentare. ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Parigi e le altre periferie Uno dei temi più dibattuti e analizzati è stato quello relativo al fenomeno della rivolta delle periferie francesi. Del problema delle periferie francesi ne hanno parlato a Torino Sergio Cofferati, sindaco di Bologna e lantropologo Marc Augè, mentre in un secondo dibattito alta e significativa la testimonianza di don Luigi Ciotti del gruppo Abele. 40 Mediante una dettagliata analisi sociale degli eventi attraverso temi come il multiculturalismo, la segregazione, la precarietà e le diseguaglianze intergenerazionali, La rivolta delle periferie affronta questioni scottanti, confrontando il caso francese con la situazione italiana e tracciando possibili vie duscita atte a pensare nuove forme di solidarietà trasversali e a difendere la città come spazio di integrazione e di mixité sociale. Dagli anni Novanta il problema in Francia non è più o solo religioso. Lislam non centra e non è nemmeno un problema culturale. Milioni di cittadini francesi musulmani dimostrano ogni giorno di essere perfettamente integrati. I problemi che hanno, e che chiedono vengano affrontati, sono soprattutto di ordine sociale. La realtà delle banlieues è quella di migliaia di persone ammassate nei ghetti. I francesi sono molto critici nei confronti del modello anglosassone, dicono che il multiculturalismo ha creato ghetti etnici. Se gli inglesi hanno creato ghetti etnici, i francesi hanno creato degli alienanti ghetti economici. In Francia, ci sono persone che vivono ai margini della società. A loro vengono propinate solo grandi discussioni sullintegrazione, la laicité, il secolarismo. Gli si spiega che devono essere parte della società ma senza ascoltarli. Laltra costante presenza nei ghetti è la polizia. Si adottano politiche molto repressive. Ma hanno bisogno, prima di tutto, di essere considerati cittadini francesi a tutti gli effetti. Il punto è che i giovani non dovrebbero sentirsi immigrati ma cittadini. Dopo 4-5 generazioni, ancora non vengono considerati francesi. E questo è razzismo. Non è un caso che in Francia il 78% percepisca lislam come un pericolo. Se questo è il quadro generale, bisogna cominciare a parlare di soluzioni. A partire da serie politiche sociali. Dobbiamo riconoscere che il sistema scolastico mainstream non funziona nelle banlieues. Ci sono doppi standard: cè una scuola per i giovani francesi dei sobborghi e unaltra scuola per chi vive nelle zone residenziali. In altre parole, il sistema scolastico che dovrebbe essere strumento di uguaglianza, in realtà non fa che moltiplicare diseguaglianze. Ma nei sobborghi non ci sono servizi sociali. Perché questi sono percepiti come luoghi senza diritti. Con le conseguenze che vediamo in termi- le domande sbagliate Questo scollamento ci pone di fronte ad un serio pericolo: una frattura con una parte di società. Questi giovani chiedono una sorta di rappresentanza. Ma a monte di tutto, cè il fatto che non sappiamo come affrontare la questione dellIslam. Non sappiamo come porci di fronte a musulmani che sono europei. Non vogliamo accettare il fatto che lislam è una religione europea. E poiché non abbiamo un discorso chiaro su questo, quando ci troviamo di fronte ai problemi sociali, non sappiamo che fare e non cè alcun partito oggi, in Gran Bretagna o in Francia, in grado di ascoltare queste rivendicazioni e questo nuovo modo di definire se stesso come cittadino europeo. Il problema allora è non sapere ascoltare questi nuovi cittadini europei. Di fronte a questa nostra incapacità, continuiamo a parlare di integrazione culturale e religiosa. Diciamo quello che si deve essere e fare per essere davvero europeo. Senza vedere che per la maggior parte di questi cittadini è già un problema risolto. Finché a prevalere sarà questo discorso di britishness, identità, francesità, si continueranno a porre le domande sbagliate. Cè unossessione: definisci te stesso, chiediti chi sei veramente, francese o inglese. Tutte domande che ci allontanano dalle questioni reali e cioè le politiche sociali, la giustizia, agire contro le discriminazioni. Il risultato è il bisogno di sicurezza. Sviluppare una politica sociale forte in tre campi: scuola, politiche sociali e partnership sul territorio. Per cercare di fare emergere ed emancipare e realizzare le nuove generazioni è necessario costruire quello che è un movimento nazionale di iniziative locali, dove costruire spazi di fiducia reciproca. Lucida e di grande spessore e lungimiranza la riflessione di Luigi Ciotti, che parlando delle periferie italiane ha trovato analogie con quelle francesi, ma proposto anche ricette per affrontare il problema. Spesso sono proprio le situazioni difficili, quelle in cui ci sentiamo soli, smarriti, segnati dalla fatica, ad aprirci gli occhi, renderci più attenti e umani. Ritroviamo il centro di noi stessi solo trovando il coraggio di abitare la nostra periferia, accettandola come parte di noi. La periferia non è solo un luogo geografico. Cè «periferia» ogni volta che viene meno lattenzione, laccoglienza, la possibilità dincontro. Ogni volta che non viene riconosciuta la centralità della persona. Le grandi migrazioni hanno ridisegnato la composizione e il paesaggio delle nostre città, colorandole di volti e di storie che vengono da lontano, portate dalla povertà, dalle guerre, da un modello economico che ha reso intollerabile la distanza tra i pochi che hanno troppo e i tantissimi che non hanno nulla. Eppure la città è spesso soltanto un contenitore, uno spazio di coabitazione ma non dincontro, dove i centri urbani sono deserti affettivi non meno delle periferie, specchi di una «periferia dellanima» dove regna la freddezza e lindifferenza. E dove anche le forme di accoglienza e di attenzione non riescono a trasformare la solidarietà in quella corresponsabilità che sta alla base di una vera convivenza. Le recenti vicende delle periferie francesi sono state un campanello dallarme: se manca il riconoscimento sociale, se lintegrazione è solo superficiale, se il modello sociale e economico provoca frustrazione, disoccupazione, precarietà, anche le periferie più attrezzate finiscono per esplodere. Sono necessarie politiche che rimettano al centro la dignità della persona, i suoi diritti e bisogni fondamentali, e che agiscano sulle cause strutturali di unurbanizzazione sempre più frenetica e disperata. Un recente rapporto dellOnu lancia a riguardo dati inquietanti. Ogni giorno 180 mila persone emigrano nelle città in cerca di una «casa», tanto che nel 2007, per la prima volta, la popolazione dei centri urbani supererà quella rurale. Cinquantanni fa erano solo due le città con più di 10 milioni di abitanti: ora sono quaranta. Lo scenario è angosciante, perché chi emigra nelle città è mosso dalla speranza di un futuro migliore, mentre ad aspettarlo sono quasi sempre gli inferni delle baraccopoli e delle bidonville, nelle quali sono costrette a vivere già più di un miliardo di persone. È per questo che una politica che abbia a cuore i destini dellumanità non può prescindere dal problema delle periferie. Ma per farlo deve sapere trasformare ancora una volta quei non-luoghi di condanna in luoghi di salvezza, architravi di una convivenza fondata sul rispetto dei diritti e della dignità di ciascuno. Abbandonando lindifferenza di Pilato, uomo di Centro e di Palazzo, e facendo proprio lo sguardo profetico di Gesù di Nazareth, ribelle non-violento e uomo delle periferie. ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 TORINO SPIRITUALITÀ ni di disoccupazione, disagio. Siamo dunque di fronte, non ad un problema con lislam, ma ad una discriminazione sociale, istituzionalizzata. Purtroppo, la sinistra è totalmente scollegata da questa realtà. A tratti riesce ad aggregare chi vive nei ghetti, nei sobborghi, ma solo quando si tratta di reazioni emotive. Non riesce però a promuovere una consapevolezza, un movimento politico reale in grado di affrontare i problemi. Luca Rolandi 41 SOCIETÀ ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Vito Procaccini 42 on Ferdinando Quagliuolo, protagonista di «Non ti pago» vive piuttosto agiatamente e gioca al lotto quasi per divertimento, per il gusto di farlo, anche perché quale gestore di un banco sarebbe ben strano che non fosse il primo a giocare. Ma sono tanti quelli che giocano per bisogno, affidando alla sorte il desiderio disperato di migliorare le proprie condizioni. Nella Napoli profonda cè stato anche chi per giocare ha impegnato i pochi oggetti di valore o addirittura le pannine, la biancheria di casa. Ma non si creda che il fenomeno sia circoscritto territorialmente. Il giro daffari di Gorizia la colloca al terzo posto in Italia, in rapporto alla sua popolazione di 40.000 abitanti circa. Altra sorpresa è la Milano, tecnologica e avanzata; è la città dove si gioca di più, prevalentemente con sistemi orientati sui numeri ritardatari. Il grande Pascal studiò il calcolo delle probabilità proprio su sollecitazione di un accanito giocatore che gli pose un quesito sul lancio dei dadi. Sappiamo bene che linseguimento dei numeri in ritardo è quasi una moda, ma è chiaro che si tratta di una forzatura alimentata non da elementi oggettivi, ma assolutamente soggettivi. Come si fa ad attribuire la memoria al caso che, comè noto, è assolutamente smemorato? A Napoli compete invece il primato per il numero delle giocate, che sono mediamente di modesto importo. Lassiduità a volte viene premiata, anche se con piccole vincite, mentre quelle clamorose hanno un effetto di trascinamento. In ogni caso, fa certamente più rumore la modesta vincita di un conoscente che non la massa silenziosa di quanti perdono una quantità enorme di danaro, sia pure frazionata in tante microgiocate. D giocate! I «premi» distribuiti sono fortemente squilibrati rispetto agli incassi e di questo non poteva non accorgersi la delinquenza che col totonero prospera allombra delle lotterie di Stato assicurando ai fortunati vincite più sostanziose. Si affannano gli psicologi per tentare di dare una risposta a questi comportamenti sociali che sono evidentemente irrazionali, visto che il gioco non è mai equo. Cè lansia di riscatto, il rancore sordo degli emarginati; giudicarli significherebbe negare loro il diritto di sperare, di sognare. Per quanti si sentono ininfluenti rispetto ai processi decisionali, cè anche il desiderio di decidere in autonomia del proprio destino; è una forma di individualismo esasperato. Cè chi ama lemozione tout court e si sente vivere solo se lo scuote il rischio; cè il piccolo borghese per il quale la puntata al casinò è prevista nel pacchetto dellagenzia turistica. Per Gorizia è stata scomodata la nevrosi delle città di confine. Non manca neppure chi collega lincremento delle giocate e il ricorso alla cartomanzia al senso di insicurezza scaturito dallattentato alle Torri gemelle. La paura indurrebbe molti a rifugiarsi nei sogni. Quanti guai da quell11 settembre! lo Stato biscazziere Su tutte queste esigenze e motivazioni veglia sovrano e indulgente lo Stato biscazziere. Le vecchie ricevitorie, sparute e polverose, dove gli operatori si affannavano a tradurre in numeri i sogni consultando le smorfie (ampia la letteratura in proposito), sono state premurosamente aumentate e sostituite da quelle moderne, con tanto di apparecchiature elettroniche. Nellinteresse del giocatore, inoltre, quasi tutti i tabaccai oggi ne sono provvisti, senza contare poi le sale per scommesse che proliferano e prosperano. In questi piccoli paradisi del gio- co è possibile tirare la coda alla fortuna, per dirla alla Dostojevski (Il giocatore). Che dire poi dei giochi televisivi, in cui lentità della vincita è direttamente proporzionale allidiozia della formula? A nessuno degli allocchi caduti nella rete di Vanna Marchi è venuto mai il sospetto che la «negatività» che veniva loro diagnosticata fosse soltanto un altro nome della dabbenaggine o della disperazione? E perché poi, se i numeri erano «sicuri», non se li giocava lei, limbonitrice che per tanti anni ha impunemente imperversato in Tv? Secondo alcuni moralisti barbosi la televisione non dovrebbe patrocinare questi giochi, perché diffondono ansietà e fiducia incondizionata nel colpo di fortuna risolutore, invece che nella metodicità del proprio impegno quotidiano. Volendo dare una lettura «religiosa» al fenomeno, si potrebbe anche dire che in quellimpegno si ravvisa una visione protestante della vita, con la ricchezza come segno non della semplice fortuna, ma della benevolenza divina verso il lavoro svolto. Ma codesti signori non sono che gufi che portano jella e non si comprende, poi, perché certi compiti «educativi» per i quali lo Stato si autoesonera, dovrebbero essere assolti dalla Tv. La Repubblica è dunque fondata sul lavoro e/o sulla speranza. Ed è per incentivare la speranza che nella primavera del 1997 venne istituita la nuova estrazione del lotto del mercoledì, con limpegno però di destinare i proventi al restauro di opere darte. LItalia è lo scrigno darte più grande e prezioso del mondo ed ingenti sono le spese di manutenzione e restauro. Lottima idea ha avuto successo, perché i giocatori incalliti non si sono lasciati sfuggire loccasione di un ulteriore tentativo, altri hanno subito aggiornato la smorfia e i numeri a seconda dei restauri, altri ancora si sono cimentati... nel superiore interesse dellarte. Si ha tuttavia limpressione che lo Stato biscazziere in questo caso si sia procurato un alibi, un po come quel ragazzino che, colto con le mani nella credenza, confessa di rubare la marmellata perché piace tanto al suo fratellino. Sullonda di cotanto successo era stato anche proposto di inserire nel carrozzone omnibus della finanziaria qualche altra estrazione. Lidea è per ora rientrata, ma non si sa mai... Si tratta, in fondo, di unautotassazione volontaria. Perché non approfittarne per fare cassa? Qualcuno dubita che invece di essere cittadini da amministrare ed educare, siamo dei sudditi o consumatori da «utilizzare». Ma queste sono quisquilie, come diceva Totò. Questo comportamento dello Stato ricorda un po una favola riportata dal prof. Macry, docente di Storia contemporanea allUniversità di Napoli: un contadino, per vincere la riluttanza dei figli al lavoro dei campi, fa balenare il miraggio di un tesoro nascosto sottoterra. E allora, che il gioco sia! Può anche accadere che la passione degeneri in vizio, con conseguenze anche drammatiche, come il suicidio di una signora proprio a causa del lotto. Il meccanismo del gioco è infernale, perché ti costringe ad aumentare ogni volta la posta e quando le cifre diventano insostenibili... Ecco allora la proposta formulata da un sottosegretario: destinare una quota delle vincite non riscosse delle lotterie nazionali a progetti di recupero di coloro che sono affetti dalle patologie del gioco. È la semplificazione della schizofrenia. Per un verso lo Stato incentiva le giocate, per altro verso cura chi diventa succube del gioco. Giocate, dunque, giocate gente, ma con misura, senza esagerare. Est modus in rebus. Che diamine! ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 giocate gente Vito Procaccini 43 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 N 44 IO E GLI ALTRI con una goccia di miele Manuel Tejera de Meer altri. Un volto cupo ed oscuro invia, invece, informazioni di rifiuto sociale. l’individuo disgregante Diciamo, perciò, che la tendenza alla disgregazione si può percepire anche attraverso il linguaggio del volto. In un modo più eclatante, lindividuo disgregante, oltre agli atteggiamenti ed ai comportamenti appena accennati, si esprime verbalmente di solito in modo critico o aggressivo. Nelle sue manifestazioni vocali usa toni autoritari, difende con una certa violenza il suo diritto alla parola, lascia poco spazio agli altri. Luso indiscriminato dellurlo, che crea, come si sa, reazioni simili (in una strana competizione per vedere chi urla più forte) è un elemento abitualmente presente. È frequente, pure, la tendenza a «togliere la parola», a scavalcare laltro, a non lasciarlo parlare. Le interruzioni provocate e gli «accavallamenti» negli interventi verbali, allo scopo di tentare un dominio assoluto o prevalente sugli altri, dimostrano sicuramente una certa struttura mentale di tipo autoritario e violento, fondato, come accennavo pocanzi, sul senso di superiorità, su quel segreto «razzismo» che in alcune persone è rilevante. Latteggiamento razzista è radicato proprio nelle zone più profonde della personalità ed appare attraverso locculta sensazione di inferiorità dellaltro. Si basa sulla credenza pregiudiziale della maggiore competenza che si ha, rispetto agli altri, per i titoli di studio, per lesperienza, per letà o semplicemente per la gerarchia formale che possa essersi costituita, nellambito professionale o in qualsiasi altra situazione in cui si stabilisca unartificiale divisione gerarchica, con lattribuzione di poteri superiori e poteri subordinati. Questa specie di «razzismo inferiorizzante» che alcuni preferiscono chiamare con leufemismo di «razzismo differenziante» per togliere la negatività che è inclusa nella parola «inferiore» (tutti siamo diversi, nessuno è inferiore) esiste ancora in tante relazioni umane. Quando, in una situazione di gruppo, qualcuno pensa daver scoperto dentro di sé alcuni di questi pregiudizi, è facile che rifiuti questa presa di coscienza. Ma, in una ricerca più profonda delle più intime sensazioni, appariranno sempre residui e rigurgiti di questi vecchi e dilaganti pregiudizi. Secondo ricerche di tipo psicosociale, la grande diffusione di principi egualitari e la consapevolezza di dover evitare ogni forma di «superiorità» sugli altri (per la risonanza sociale negativa che queste idee possono suscitare) non sono sufficienti per supe- rare del tutto quellidea sulla connotazione negativa dellaltro, e la susseguente diffidenza che abitualmente si ha. In una personalità sufficientemente matura, la consapevolezza di questi residui arcaici pregiudizi, viene superata con un controllo liberante che porta a tentare abitualmente di sentire e di vivere lo spirito di uguaglianza, il desiderio di contatto e la disponibilità verso gli altri in una crescita continua del proprio capitale sociale. Tuttavia, quando le pulsioni narcisiste e liperbolico senso della propria «superiorità» prevalgono sulla necessaria ed utile autocritica circa lesistenza e la forza di questi meccanismi interiorizzanti, riappaiono le tendenze disgreganti che portano alla separazione, a creare fazioni opposte, con un facile scatto di meccanismi di razionalizzazione per «giustificare» questi comportamenti: «nessuno mi capisce», «è difficile che gli altri riconoscano la loro ignoranza», «non si vuole accettare la mia esperienza ed il mio sapere» spirito d’unione Molte altre persone dimostrano abitualmente una disponibilità interna a stare con gli altri, a creare legami ed a difenderli dai rischi di disgregazione. Sono soggetti che sanno ascoltare, che lasciano spazio agli altri, che sanno pure mediare quando si creano situazioni di tensione che potrebbero condurre a discussioni violente, ad arrabbiature ed a contrasti che possono portare al distacco ed alla rottura. Hanno una grande forza aggregante, una specie di «cemento» che mantiene tutti uniti. Sono persone che amano gli incontri, la comunicazione, il piacere della conversazione (un piacere che, secondo i sociologi, si sta oggi perdendo). Persone che sanno godere della soddisfazione di stare semplicemente insieme. Persone che amano la compagnia, le grandi tavolate, durante le quali, al piacere del mangiare e bere insieme, si unisce la spontanea espressione di sé in spontanee comunicazioni gratificanti. Star bene con gli altri, con spirito di solidarietà, con la costante disponibilità a fare un piacere, ad offrire un aiuto, a dare una mano. Persone che non sanno usare, nelle conversazioni, né il sarcasmo né linsulto. Persone che sanno anche «mostrare laltra guancia», quando si sentono oggetto daggressione, che sanno pure aspettare e cercare la pace in mezzo alla tempesta. Persone miti, profondamente convinte che, come diceva S. Francesco di Sales, «si prendono più mosche con una goccia di miele che con un barile daceto». ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 ei nostri incontri con gli altri ci troviamo con varie tipologie di persone. Voglio riferirmi oggi a quegli individui che dimostrano naturalmente (come se fosse una nota del loro carattere) una tendenza a fare gruppo, a stare con gli altri, un impulso allaggregazione. Vi sono altri, invece, la cui tendenza «naturale» sembrerebbe che sia, allopposto, la disgregazione. Questa dicotomia non è così radicale, come succede in tutte le divisioni bipolari. Infatti, la gamma di condizioni personali tra laggregazione e la disgregazione è assai ampia, così come tra il nero e il bianco vi sono tante tonalità di grigio. La personalità «disgregante» dimostra una tendenza a creare distanze tra gli individui quando si trovino in gruppo. Con il suo comportamento ed i suoi discorsi crea o contribuisce a creare ostilità. Abitualmente non è un atteggiamento intenzionale. Perciò abbiamo detto che è come se fosse una nota del proprio carattere. La tendenza a creare od a favorire lostilità ed a separare le persone, a provocare emarginazioni, cioè la tendenza disgregante, può essere riconosciuta praticamente in situazioni concrete, attraverso atteggiamenti ben definiti, come, ad esempio, con una forma larvata di razzismo che si manifesta in un senso interno di «superiorità» nei confronti degli altri. Questa sensazione si esprime esternamente in tanti modi: con lo spirito di contraddizione e di polemica nei confronti di quanto gli altri dicono, con la perenne posizione mentale del rifiuto del dialogo e dellascolto, con un atteggiamento dispregiativo, più o meno esplicito, espresso, se non con le parole, con il linguaggio del corpo e del viso. Si sa diciamo tra parentesi che il volto umano, pur non volendo, esprime tanti stati danimo e trasmette vari messaggi. Lespressione del viso è, sicuramente, uno strumento importantissimo di comunicazione. Anche quando esista nellindividuo lo sforzo per presentare allesterno un volto che non esprima i veri sentimenti, e, cioè, anche quando si tenti di recitare una parte, la persona con cui si sta (che assiste, perciò, allo «spettacolo») può percepire limbarazzo della contraddizione tra il mondo interno e lesterno, soprattutto se si è un cattivo attore. Nel caso di unottima recitazione, si trasmettono in qualche modo (dicono gli autori in forma misteriosa ) le condizioni personali più profonde di disponibilità allincontro ed alla socievolezza, o limpulso al rifiuto dellaltro, il desiderio di esserci o la voglia di rimanere in quel gruppo di persone. Un volto solare ed aperto trasmette accoglienza e disponibilità nei confronti degli Manuel Tejera de Meer 45 come nasce una donna/2 Rosella De Leonibus asciarsi alle spalle lincosciente fanciullezza, la sottomissione inconsapevole e magari anche beata, e aprire gli occhi, fare contatto con la realtà delle situazioni, cercare e rischiare in prima persona, invece che abbandonarsi passivamente al corso delle cose. Sviluppare una evoluzione personale al femminile. È Erich Neumann, nel suo lucidissimo testo Amore e Psiche (Astrolabio, 1989) che ci guida in questa lettura. Abbiamo lasciato la fanciulla Psiche della fiaba di Apuleio con la lampada in mano, al culmine del suo primo atto di coraggio, trepidante e decisa allo stesso tempo davanti al marito dormiente. Ha acceso la luce la ragazza, ora niente sarà mai più come prima. Né col suo uomo né, più che mai, con se stessa, né con se stessa nel mondo. L fine dell’illusione ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Le lampade, si sa, quando finalmente fanno luce, possono rivelare di tutto. La mano pronta a colpire il mostro si blocca, luomo beatamente addormentato era bellissimo, dolcissimo, incantatore anche nel sonno. Ecco allora che Psiche rimane come fulminata, e riconosce nel marito Eros in persona. «E vide la belva più dolce di tutte le belve», scrive magicamente Apuleio. La parte animalesca e la parte divina del maschile sono finalmente riunite in un unico soggetto, e nel cuore della ragazza esplode lamore. Non lamore che viene da fuori, dal fatto di sentirsi «rapita» da un uomo, ma lamore che nasce da dentro, dal mettersi in gioco attivamente, lucidamente, dal voler uscire dal sogno e vedere le cose come stanno. Basta questo trasalimento dellanima a farle tremare la mano, e una goccia dellolio bollente della lampada cade sulla spalla delluomo. Si sveglia, lui, è furente. Come hai osato?, le grida in faccia, dopo tutte le promesse che avevi fatto? Traditrice, non mi avrai mai più, tutto è perduto . Queste le terribili parole dello sposo. Cè un costo da pagare, ora. Lidillio che viveva nel buio è rotto per sempre, a questo livello di evoluzione la figura maschile fug46 ge dal confronto con un femminile più attivo e consapevole. Psiche deve permettersi di perderlo, non è più questo il modo di amare ed essere amata che per lei è accettabile. Ormai lei può amare solo nella luce, solo nella scelta attiva. Eros vola via. Lillusione si invola, e per unultima volta questa umanissima Psiche, straziata, si aggrappa letteralmente, nella fiaba lei si appende ai piedi di Eros che vola via a quella vecchia idea, a quellimmagine di sé ignara e (quasi) felice. Dipendere vuol dire proprio letteralmente pendere da, stare appesi a qualcosa o a qualcuno. Fino a che Psiche non ce la fa più e cade a terra. Eros qui tuttavia si comporta un po meglio di molti maschi contemporanei: le dà una ragione, le spiega come stanno le cose davvero, e le confessa di aver disubbidito alla madre Venere, che lo voleva complice per liberarsi di quella ragazza troppo bella. Subito dopo Eros torna dalla madre, a farsi curare la bruciatura che lamore di Psiche gli aveva inferto. Per la fanciulla invece comincia un lungo viaggio, quello che in ogni fiaba porta alla maturità attraverso prove e pericoli. inizio del cammino Mentre lei cercava in lungo e in largo il marito fuggito, Venere viene a sapere da un pettegolissimo gabbiano di essere finita sulla bocca di tutti a causa del suo stesso figlio e della ragazzetta qualunque di cui si era invaghito. E che la fanciulla era proprio Psiche. Come la regina di Biancaneve, subito emana un bando per catturare Psiche e intanto, perché non combini altri guai, imprigiona il figlio Eros in una gabbia dorata. Attenzione, è la seconda gabbia dorata della fiaba, anche da questa bisognerà uscire. Una sua ancella di nome Consuetudine, è tutto un programma trova finalmente Psiche e altre due ancelle Inquietudine e Tormento frustano a sangue la fanciulla. Voleva ucciderla, Venere, ma prima perché non torturarla un po, tanto per mostrarle il suo potere? Ecco larchetipo della madre cattiva, la matrigna, la strega, la suo- cera gelosa dellunico suo figlio maschio che avrebbe voluto per sempre con sé. La parte terribile e distruttiva del femminile, crudele e tagliente, ma anche, proprio per questo, capace di svegliare le fanciulle, molto più efficacemente del semplice bacio del principe. Nel tentativo di distruggere Psiche, Venere le impone quattro prove. Di solito gli eroi maschili ne superano tre, nelle fiabe, e già su questo cè una riflessione da fare. Sulla quarta prova si gioca infatti la carta della differenza di genere. La prima prova è un lavoro di riordino e classificazione dei soliti semi diversi mescolati che incontriamo nelle fiabe con protagoniste femminili di ogni parte del mondo. Il compito naturalmente è impossibile, e per di più Venere umilia Psiche e cerca di minarne lautostima Se i semi mischiati sono le idee confuse, ecco che tutto è chiaro. Il primo compito evolutivo femminile è proprio quello di imparare a pensare ordinatamente, in modo chiaro e distinto, di non lasciarsi confondere dalla 47 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 COSE DA GRANDI promiscuità col maschile, nel buio della notte dove tutte le vacche sono nere. Pazienza e tenacia, e un principio ordinatore umile è rappresentato dalle formiche che corrono in suo aiuto proprio quando lei, disperata, schiacciata dal disprezzo di Venere, stava rinunciando. Primo, non rinunciare, non arrendersi, secondo: lattitudine selettiva. Serve tantissimo a noi donne, è la via per sviluppare il proprio talento, per dare forma ordinata e riconoscibile alle proprie potenzialità. La seconda prova è recuperare un fiocco di lana di certe pecore. Sembrerebbe roba da nulla, invece qui è una canna di palude che aiuta Psiche, la mette in guardia sulla ferocia di questi montoni, sarebbe pericolosissimo affrontarli direttamente! Sono un simbolo della forza distruttiva maschile, della aggressività che a volte il maschile esprime, della quale bisogna appropriarsi almeno un pochino il fiocco di lana ma non con inutili e masochistici scontri diretti. Basta aspettare che i montoni si impiglino sulla siepe, sono così irruenti che finiscono per strapparsi la lana da soli, e sarà facile allora prelevarla. La canna le insegna a valutare il pericolo, a proteggersi dallesposizione diretta alla violenza, a tutelarsi. Aspetta il momento giusto, agisci in modo preordinato, non casuale, non lottare frontalmente col maschile, strappandogli la pelle, contendendogli il primato dellaggressività distruttiva e cieca. Piuttosto che sviluppare come donna una aggressività e una competitività copiata dai modelli culturali maschili, cerca una forma diversa per il potere che ti appartiene, una forma che rispetti il genere, che onori loriginaria matrice generativa della tua potenza femminile. Non si tratta di affermarsi lottando contro laggressività maschile, questo insegna la canna di palude. Impara a non farti del male inutilmente, non cè solo la guerra come mezzo di soluzione del conflitto. Prendi il potere che ti serve, usalo in pieno, ma nel tuo modo. Una forma diversa di coraggio, non mortifera, un coraggio che non uccide e non ferisce, e non si ferisce inutilmente. Apuleio non ne sapeva ancora niente di filosofia della differenza di genere, ma il mito sì. Terza prova: prendere lacqua di una speciale fonte in cima ad un monte altissimo ed aspro. Imbrigliare la potenza massima della forza generatrice lacqua sorgiva senza distruggersi. Stavolta Psiche non se ne sta a piangere disperata per limpossibilità del compito: oggi diremmo che era già migliorato il suo sentimento di autoefficacia percepita: risolve- ritorno al sé profondo ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Lultima prova, la quarta, il sovrapprezzo rispetto a qualunque eroe maschile è vero oggi anche in molti altri campi, a cominciare dal lavoro, dalla politica... è addirittura la discesa agli inferi. Per prendere una potentissima crema di bellezza per Venere, che avrebbe reso la dea di nuovo giovane e adorabile. Stupendo, qui la fiaba è più che contemporanea. Mentre per le prime tre prove cerano i soccorritori, qui Psiche deve ballare da sola. Cè una torre che le dà dettagliate istruzioni: è una «torre che guarda lontano», simbolo di fortezza, maschile e femminile insieme, cittadella fortificata che protegge ed emblema di potere. E poi la torre non è creatura della natura, come le formiche, la canna, laquila, è creatura della cultura, dellingegno e dello sforzo coordinato di molti. Cè un sapere stratificato e storico e collettivo nella torre, quella solida appartenenza a radici e fondamenti culturali che rende una donna capace di andare e tornare dagli inferi. Dio solo sa quante volte una donna nella sua vita simbolicamente si inoltra in vari inferni, il più delle volte ne esce ancora viva. Ecco, la torre le impartisce istruzioni minuziose, le insegna ad essere strategica, a non lasciare al caso, e nemmeno alla sola forza dellintuizione, lincontro con situazioni al limite del sopportabile. Va, Psiche, attraversa gli inferi, lucida e determinata, precisa, non dimentica neppure i dettagli, come le monetine da conservare per il barcaiolo nel viaggio di ritorno dagli 48 inferi. E porta con sé il famoso vasetto con il balsamo della giovinezza. Lultimo straordinario inganno di Venere sta tutto qui, nella tentazione a cui Psiche non si sottrarrà. Lo apre, la fanciulla, il vasetto, pensa di farsi bella dopo tanti patimenti, e come in tante fiabe più moderne, cade in un sonno simile alla morte. Attenzione però: non è solo vanità, la sua, non è solo il richiamo di bisogni narcisistici. È linizio di un rapporto molto diverso con il maschile, è una morte che contiene una rinascita. Eros dalla sua gabbia dorata vede tutto ciò, finalmente rompe le sbarre, si libera dal vincolo della madre, corre in soccorso a Psiche, e da fanciullo selvaggio, solo inutilmente ed occasionalmente ribelle, si trasforma con questo gesto in un uomo che si assume il peso delle sue scelte. Anche in lui può nascere un amore consapevole, pronto a fare quel che va fatto, pronto a compiere passi da cui non si può tornare semplicemente indietro. Da qui nasce un legame fortissimo, che ogni autorità celeste e terrena dovrà riconoscere, e da quel legame nasce una bellissima figlia, il cui nome suonerà come Gioia, Beatitudine. Non un bambino, come nelle fiabe più moderne, ma un nuovo sé femminile. La via femminile alla realizzazione del proprio percorso di crescita non prevede di uccidere il mostro, ma di allargare la coscienza fino a farlo evolvere, fino a poterlo accettare. Col vasetto in mano, quantunque avvertita dalla sapienza della torre, Psiche sceglie di onorare il proprio essere donna, decide di rischiare in proprio, di non pagare questo ultimo tributo alla dea. Non le è bastato acquisire discernimento, forza danimo, intelligenza delle cose, queste sono virtù che anche un eroe maschile può raggiungere. Lei vuole anche conservare la sua essenza di donna, la magìa del suo nucleo profondo di femminilità. Non è vano narcisismo il suo, è rapporto profondo con la totalità del suo sé, che comprende anche il corpo, mai disgiunto dalle qualità spirituali. Un femminile che ha raggiunto questo livello di integrazione, questa totalità dellessere, muore simbolicamente alla stagione di vita precedente, e rinasce nellincontro con un maschile che per lei e con lei si è evoluto e trasformato. Il buio dellincoscienza iniziale è riproposto in una edizione completamente nuova e rovesciata: stavolta è Eros che si sveglia, e la risveglia, non per caso ma per scelta, decide e agisce con la propria volontà, finalmente è pronto ad incontrare questa donna, una donna vera. Rosella De Leonibus MAESTRI DEL NOSTRO TEMPO Thomas Kuhn scienza è un modo di stare al mondo Stefano Cazzato econdo positivismo e neopositivismo, la scienza non dovrebbe avere alcun rapporto con altri saperi, a meno di non voler compromettere le sue certezze inoppugnabili con le opinioni e tradire così la sua missione che, almeno da Galileo in poi, sarebbe stata quella di osservare e registrare i fatti per trarne leggi generali. Questo dogma scientista è stato ridimensionato dallopera di Thomas Kuhn, professore di storia della scienza allUniversità di Princeton e autore di alcuni importanti lavori che, insieme a quelli di Lakatos e Feyerabend, hanno ripensato lepistemologia contemporanea su basi non fattualistiche. Se oggi molti filosofi della scienza hanno accettato lidea che le dottrine scientifiche siano il prodotto della cultura più che della natura, e siano perciò soggette a un processo di revisione e di superamento, ciò è dovuto in particolare al concetto di para- S digma che Kuhn ha introdotto nella cultura scientifica già sul finire degli anni sessanta. Paradigma è un quadro concettuale di riferimento, una visione del mondo condivisa, radicata ma non eterna. Più precisamente un orientamento del pensiero dentro cui nascono e si sviluppano, accettate dalla comunità scientifica, una serie di spiegazioni che, mutato paradigma, vengono via via sconfessate e rifiutate. Questo orizzonte non è influenzato solo dalla scienza ma anche dalla tradizione, dalla filosofia, dalla religione, dalla politica, dalle credenze, fattori che gli studiosi di scienza normalmente ignorano ma che, secondo Kuhn, sono alla base di molte spiegazioni: essi agirebbero come dei potenti meccanismi di selezione delle idee scientifiche consentendo lalternanza tra immobilismo e novità, tra periodi di sistemazione teorica e periodi di incertezza, tra situazioni di normalità e situazioni di anomalia e di rottura rivoluzionaria. «La scienza va avanti sostituendo vecchie teorie con nuove teorie». Le teorie mutano quando entra in crisi il paradigma di riferimento ma un paradigma entra in crisi se avviene una trasformazione radicale di diversi campi del sapere intrecciati, se cambiano non solo i metodi e le categorie delle singole scienze ma la mentalità collettiva e limmagine complessiva che luomo ha di sé e del mondo. la rivoluzione copernicana Una conversione di paradigma a fondo indagata da Kuhn è stato quello dal geocentrismo alleliocentrismo. «Quello che luniverso aristotelico aveva fatto per lastronomia a terra centrale, luniverso newtoniano doveva farlo per lastronomia coperni49 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 COSE DA GRANDI re un problema, svolgere fino in fondo un impegno aiuta a percepirsi a diventare più forti. Allora si mette a scalare la montagna, ma stavolta lanimale soccorrevole, unaquila reale, la ferma. Dove vai a farti male, non tutte le imprese si compiono con i piedi sanguinanti sulle pietre aguzze. Serve la testa, a volte, la mente, la forza dello spirito che vola al di sopra del problema. È ancora una volta la luce della coscienza, con la sua acutezza visiva, che può aiutarti, fanciulla, a dominare e far tua la straordinaria potenza generativa della vita. Non tutto si fa col cuore, con le lacrime e il sangue. Ci vuole mente lucida, e saper volare alto. Sopra i picchi taglienti. Venere, il principio femminile non evoluto, mosso dalla vendetta e dalla gelosia, non riteneva certo possibile che la forza danimo, la prudenza e laudacia potessero nascere in un animo di fanciulla, e che tutto questo non finisse per renderla una più o meno riuscita imitazione del maschio. 50 chi in un paradigma credeva che fosse un pianeta, spostandosi nel paradigma opposto deve ammettere che si sbagliava. CULTURE E RELIGIONI RACCONTATE le teorie come sistemi di azione Al di là delle polemiche spesso accademiche, il merito del filosofo di Princeton, a quarantanni dalla pubblicazione dei suoi lavori maggiori, è stato quello di aver sottolineato laspetto pragmatico della ricerca scientifica mostrando che le teorie, in quanto rispondono a esigenze storiche delle società umane, non sono solo teorie, cioè strumenti di conoscenza della realtà, di crescita e di classificazione del sapere, ma sistemi ben strutturati e coesi di orientamento e di azione nel mondo, sistemi spesso ideati dai gruppi religiosi, politici, tecnico-scientifici che sono al potere e rifiutati da quelli che vi si oppongono. I quali, naturalmente, ne propongono di alternativi. Ad esempio, quella copernicana, come molte altre rivoluzioni scientifiche, non ha riguardato solo una disciplina (lastronomia) o un settore del sapere ma è stata una rivoluzione antropologica, esistenziale, etica. Ha intaccato la struttura della società, i suoi rapporti di forza, lequilibrio tra potere e ricerca e ha segnato il passaggio dal destino alla libertà, dallordine alla scelta, dalletà dellinnocenza e della protezione a quella dellinsicurezza e della responsabilità. Nel cosmo aristotelico gli uomini, abitanti di una terra eletta, pensata e creata per loro, consideravano se stessi in relazione al divino da cui traevano i segni certi della condotta morale. Nel cosmo copernicano, orfani della centralità della terra e dellelezione divina, gli uomini si rappresentano in un mondo separato e autonomo dove, ancorché smarriti, cominciano a essere i protagonisti. Con il progredire della scienza, ci ha insegnato Kuhn, cambiano non solo i modi della conoscenza ma anche i modi (i simboli, i valori, le credenze) di stare al mondo. Stefano Cazzato Bibliografia essenziale T. Kuhn, La rivoluzione copernicana, Einaudi, 1981 R. Boyd/T. Kuhn, La metafora nella scienza, Feltrinelli, 1983 T. Kuhn/J.D. Sneed/W. Stegmuller, Paradigmi e rivoluzioni nella scienza, Armando, 1983 T. Kuhn, La tensione essenziale, Einaudi, 1985 T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, 1995 palazzo Yacoubian come si diventa terrorista Marco Gallizioli apparso di recente in traduzione italiana il romanzo-scandalo dello scrittore egiziano Asa al-Aswani Palazzo Yacoubian (1), in cui si compone un ritratto al vetriolo della complessa società egiziana contemporanea. Si tratta di unopera corale, di un grande affresco della «commedia umana», per usare la celebre espressione balzachiana, che cerca di rendere ragione dellintricata natura sociale di un paese ricco di storia e di tradizioni differenti quale lEgitto, descrivendo un microcosmo estremamente rappresentativo: la variegata comunità che popola palazzo Yacoubian, situato nella centralissima arteria commerciale Suleyman pasha. Ledificio è allegoria delleterogeneità sociale dellEgitto, ma, più in generale, di tutte le realtà umane che caratterizzano i paesi in via di sviluppo, sospesi tra passato e modernità, tra spinte conservatrici e forti scossoni inferti dal dinamismo dei modelli globali, tra visioni mitiche e prosaiche. Nei dieci piani nobili del palazzo, infatti, abitano i nuovi borghesi, quelli arricchitisi attraverso le speculazioni e grazie alla corruzione politica, quelli che emergono sempre perché capaci di cavalcare londa lunga di ogni cambiamento, di essere modernisti e filooccidentali negli anni Settanta e neo-conservatori negli anni Ottanta e Novanta. Nelle decine di microstanzini situati nellampio lastrico solare delledificio, invece, vive una fauna umana sommersa, povera, costretta ad arrabattarsi per sopravvivere e abituata a pagare il conto dei soprusi che hanno consentito al mondo borghese di creare la propria fortuna economica. Ma la penna abile e accorta di AlAswani rifugge da ogni schematismo grazie ad una prosa che è capace di tratteggiare elementi di sconfitta e di riscossa in ciascuno di questi due polmoni sociali. In più, lo scrittore è in grado di analizzare, attraverso la forza della sua prosa, i motivi che determinano le evoluzioni dei per- È sonaggi, dedicando a ciascuno poche pagine alla volta e annodando le vicende degli uni a quelle degli altri, in un continuo abbandonare e riprendere, che rappresenta in modo sublime londivago cammino dellumanità. Così, il lettore naviga nelle prodezze erotiche e sentimentali dellanziano ingegnere Zaki bey, nel cui sostrato sembra riecheggiare tutta la tradizione novellistica della letteratura araba a cominciare da Le mille e una notte, cui si contrappone lipocrisia religiosa dellaffarista Hagg Azzam, espressione di quel mondo ormai anni luce lontano dalle seduzioni mitiche e tutto proteso verso la logica di un interesse, fintamente mascherato da scrupoli religiosi irritanti quanto fatui. O ancora, si incaglia nella vicenda umana di Taha, figlio del portiere del palazzo forse il personaggio meglio riuscito del romanzo attraverso il quale si può comprendere come un giovane si possa ritrovare a percorrere quel tremendo sentiero in discesa che conduce ad abbandonare gli ideali e la ragione per abbracciare la logica elementare e povera del fondamentalismo. Oppure, si commuove con Hatim Rashid, giornalista omosessuale, proveniente da una famiglia aristocratica di cultura europea, testimone di un mondo in cui gli ideali illuministici ai quali la sua cultura francese lo aveva iniziato sembrano frantumarsi progressivamente in un Egitto sempre più sordo allOccidente e ai suoi valori. E ci si scontra con la vita dura e votata al sacrificio delle protagoniste femminili: Buthayna, prima fidanzata senza volerlo a Taha, e poi, dopo un lungo processo di formazione, capace di riscattarsi attraverso lamore salvifico del vecchio Zaki bey; Suad, giovane e avvenente vedova, costretta dalle circostanze a diventare la seconda moglie di Hagg Azzam e a subire da questultimo profonde e laceranti umiliazioni; Radwa, vedova di un terrorista kamikaze e sposa, in seconde nozze, del giovane Taha, divisa tra il dovere di 51 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 MAESTRI DEL NOSTRO TEMPO cana. Ciascuno rappresentò una visione del mondo che legò lastronomia alle altre scienze e la mise in rapporto anche con il pensiero non scientifico. Ciascuno fu uno strumento ideale, un modo di organizzare la conoscenza, di valutarla e di incrementarla; e ciascuno dominò la filosofia e la scienza di unintera epoca». Quella di Kuhn è una lettura insieme teorica e sociologica della rivoluzione copernicana, una riflessione sulla struttura stessa della scienza di cui fanno parte non solo le osservazioni empiriche, i calcoli, le tecniche, gli strumenti di indagine quantitativa, le scoperte ma anche le rappresentazioni sociali, culturali, simboliche che ispirano e condizionano il lavoro scientifico. Ripensando la scienza come un fatto culturale e sociale e collegandola con la storia delle idee, Kuhn lha sottratta al dominio esclusivo degli specialisti e lha integrata nella cultura del nostro tempo come un bene pubblico da valorizzare e difendere almeno quanto, sino agli anni settanta, si era valorizzata e difesa la tradizione letteraria. Nello stesso tempo però ha relativizzato la scienza intendendola non più come un serbatoio di verità statiche ma come un processo incompiuto e aperto regolato da valori e istanze storiche. Scrive infatti che «solo lelenco dei fenomeni spiegabili si allunga; mentre per le spiegazioni stesse non esiste alcun processo cumulativo del genere. Come la scienza progredisce, i suoi concetti vengono ripetutamente invalidati e sostituiti e oggi i concetti newtoniani non sembra facciano eccezione». Dalla relativizzazione al relativismo il passo, si sa, è breve, e Kuhn si è dovuto difendere dallaccusa di aver ridotto la scienza a un sapere retorico privo di validità sovrastorica e universale e basato solo sul consenso comunitario. In particolare lo si è accusato di non aver provveduto, se non tardivamente, a trovare dei criteri oggettivi di commensurabilità dei paradigmi in modo da poter comparare e valutare teorie concorrenziali per decidere se una teoria è migliore di altre. Kuhn ha risposto a queste accuse ma senza modificare limpianto sostanzialmente storico della sua proposta epistemologica il cui nocciolo sta nella convinzione che «sostenitori di paradigmi opposti vedono cose differenti quando guardano dallo stesso punto nella stessa direzione. Ciò però vale la pena di ripeterlo non significa che essi possono vedere qualunque cosa piaccia a loro. Entrambi guardano il mondo. E ciò che guardano non cambia». La luna è la luna ma CULTURE E RELIGIONI RACCONTATE dentro il cuore della società egiziana Nel romanzo si analizza una selva umana intricatissima e avvincente, quindi, che ci porta continuamente vicino e lontano da palazzo Yacoubian e che insieme lascia affiorare in superficie ragioni, sensibilità e linguaggi di una cultura che, pur con le sue contraddizioni, si rischia sempre di analizzare dallesterno e di giudicare dalla comodità irreale dei nostri salotti. Al-Aswani ci conduce per mano dentro il cuore pulsante della società egiziana, che riesce a tradurre in storie, vissuti ed emozioni, e di cui è capace di lasciar emergere, impietosamente, le contraddizioni, e, insieme, i forti valori. Per le ragioni che ho esposto, è di fatto impossibile soffermarsi su tutti gli aspetti interessanti che il libro offre al lettore occidentale. Conviene, quindi, concentrarsi sopra un problema che si staglia in modo netto e che merita di essere dibattuto in modo più dettagliato, per la sua unicità e per il valore disvelante che possiede, ossia quello rilanciato dalle vicende del giovane Taha. ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 le cause dello spaesamento 52 Al-Aswani, infatti, ci permette di comprendere le motivazioni socio-culturali interne allEgitto, che contribuiscono a determinare le cocenti delusioni esistenziali da cui, a volte, si sviluppano le scelte più estremistiche di alcuni giovani. Allinizio della narrazione, infatti, Taha è un ragazzo animato da buoni sentimenti, studioso, serio, pervaso da un autentico e semplice sentimento religioso. Pur essendo mira degli sfottò e dei risentimenti dei ricchi inquilini del palazzo, la sua visione del mondo è salda e ancorata a schemi implicitamente desunti dalla religione musulmana. Taha compie il suo dovere religioso, adempie agli obblighi della preghiera e del digiuno secondo il calendario liturgico e ritiene che occorra affidarsi al volere di Allah, nel quale riversa una fede solida per quanto elementare. Secondo lui, Dio è il grande ricompensatore, è Colui che vede i soprusi e protegge il giusto, anche se con tempi e modalità che non è dato alluomo conoscere. Per questo, dopo aver terminato il liceo, confida che con laiuto del Signore riuscirà a passare la selezione per entrare allAccademia della Polizia, pur sapendo che generalmente ciò non è usuale per un ragazzo del suo livello sociale. Il sistema quadrato di Taha comincia ad entrare in crisi proprio in seguito alla grande delusione provocata dalla bocciatura allesame, imputabile solo ai natali poveri del ragazzo. Tuttavia, animato ancora da una profonda fiducia nella giustizia e nella forza propulsiva del bene, Taha firma una lettera di protesta indirizzata al Presidente della Repubblica, ricevendo una risposta formale e sintetica dal Direttore dellufficio reclami dei cittadini che sostanzialmente ricusa ogni addebito e protesta, senza circostanziare nulla, la regolarità dellesame. Anche se il mondo comincia a sembrare meno ordinato di quanto pensasse, Taha crede ancora che tutte le avversità siano delle prove da attraversare e con questo spirito decide di iscriversi alla Facoltà di Scienze politiche della capitale. Limpatto con gli altri studenti, per la maggior parte provenienti dalle file della media e alta borghesia della città, è estremamente difficile. Temendo di dover fornire quelle informazioni sui suoi natali che lavrebbero reso ridicolo davanti ai compagni, Taha decide di fare vita ritirata e di non rivolgere la parola a nessuno. Le ferite castali che piagano la società egiziana si sono impresse anche nella sua coscienza, rendendolo paranoico e circospetto, nel continuo timore di incrociare lo sguardo irrisorio di qualche figlio dei ricchi inquilini di Palazzo Yacoubian. Preso così dallo sconforto, si reca alla moschea e qui gli si palesa una realtà del tutto differente: il luogo sacro risulta essere frequentato da persone che, come lui, sembrano spaesate, timide e indossano abiti poco costosi. Con un passaggio fugace e molto amaro, Al-Aswani osserva: «Come lolio che mischiato con lacqua si separa immediatamente, fin dal primo istante, gli studenti ricchi si separano da quelli poveri e cominciarono a formare gruppetti molto chiusi: era tutta gente diplomata nelle scuole straniere, che possedeva automobili e vestiti dimportazione, fumava sigarette americane e attirava le ragazze più belle ed eleganti. Gli studenti poveri invece si raggruppavano come topi spaventati e parlottavano timidamente» (2). in moschea In moschea, Taha fa la conoscenza di uno studente più grande, Khaled Abd-al- Rahim, che si distingue dagli altri sia per lestrema povertà dellabbigliamento sia per la profonda devozione che anima la sua preghiera. Dopo qualche mese, Khaled introduce Taha in un gruppo ristretto di ragazzi, tutti poveri e molto devoti, che si riunisce settimanalmente per riflettere sulla condizione contemporanea dellEgitto. Agli studenti, ispirati dalla lettura dei grandi classici islamici, sembra palese che il potere politico, corrotto e violento, sia in realtà ispirato a princìpi pre-islamici, contrari agli insegnamenti del Profeta e che occorra tornare alla lettera degli insegnamenti coranici per salvare il paese. Taha comincia a frequentare Khaled e i nuovi amici anche fuori dallUniversità, recandosi ogni venerdì alla moschea dello sheikh Mohammed Shaker. Le parole pronunciate dallo sceicco durante la predica del venerdì scuotono profondamente la coscienza del ragazzo: lo sceicco esalta i valori teocentrici e metafisici, ricordando a tutti i presenti che luomo è chiamato da Dio alla vita eterna e che la morte stessa è solo un passaggio verso tale eternità. Il solo scopo dellesistenza, sottolinea il predicatore, è combattere per esaltare la parola di Dio, senza temere la morte e considerando la vita terrena come un accidente, effimero e infinitamente breve. Trascurando il jihad, dice lo sceicco, inteso come lotta contro il potere che obnubila il messaggio divino e contro il materialismo che incatena lindividuo a ciò che non ha significato, lislam si è trasformato in una religione, in un formalismo rituale senza spessore (3). Lislam, ricorda lo sheikh, è invece un grande invito a servire lunico Iddio, combattendo ciò che rende vuoti i suoi insegnamenti, ossia il potere politico che, uniformandosi ai valori occidentali della democrazia, consente, sul piano della morale privata, il consumo degli alcolici, le relazioni extraconiugali e lomosessualità, mentre, sul piano delletica pubblica, alimenta i soprusi, la corruzione e la povertà. Per questo, conclude lo sceicco, «Islam e democrazia sono due concetti inconciliabili, come lacqua e il fuoco, la luce e le tenebre. LIslam riconosce solo il governo di Dio» (4). Taha è rapito dalle parole del religioso; avverte che la lettura della realtà offerta dallo sheikh è capace di fornire risposte ai drammi della propria esistenza e finisce col credere che la corruzione dei costumi e del potere, quella che lo ha escluso, sia frutto del «male» democratico. la morte agognata Nelle vibranti parole dello sceicco e poi nellamicizia fraterna dei compagni, Taha ritrova un senso forte che si sostituisce allo smarrimento provocato dagli insuccessi; gli sembra di comprendere che solo una riconversione alla lettera dellIslam possa ricondurre lEgitto alla salvezza e alla giustizia; gli pare di riacquisire un linguaggio, delle categorie e dei valori semplici e immediati attraverso i quali rileggere tutto il modo e restituire un senso allinsensatezza. Per questi motivi abbraccerà la causa fondamentalista, seguirà lapprendistato militare e parteciperà ad un agguato terroristico dove troverà la morte agognata. Ed è nella delineazione di questo personaggio che il romanzo di Al-Aswani si rende indispensabile per comprendere come, davvero, la retorica fondamentalista faccia breccia in coscienze lacerate dalle ingiustizie e sia frutto indiretto dei sistemi profondamente corrotti che governano molta parte del Medio Oriente. Se poi a queste ingiustizie si risponde con nuove oppressioni o con sistemi che, semplificando la realtà, rispolverano vecchie incrostazione teocentriche, è ovviamente unaltra questione la cui analisi non rientra nelle intenzioni dellautore. Al Aswani, tuttavia, ci permette qualcosa di veramente importante: di sporgerci nellabisso di un mondo che non conosciamo per tentare di capire come avviene che dei giovani colpiti duramente dalle ingiustizie della vita arrivino a credere che solo con la morte e la violenza si potrà ripristinare un ordine giusto e sacro. Per queste ragioni, e per moltissime altre, consiglio vivamente la lettura di questo capolavoro, che è costato al suo autore durissime condanne dagli ambienti più integralisti dellislam. note Marco Gallizioli 1 A. Al-Aswani, Palazzo Yacoubian, Feltrinelli, Milano 2006. 2 Ib., p. 77. 3 Per chi volesse approfondire le questioni correlate al jihad si vedano i saggi sintetici, ma molto illuminanti di: L. Pellicani, Jihad: le radici, Luiss University Press, Roma 2004; L. Massignon, La suprema guerra santa dellIslam, Città aperta, Troina (En) 2003; o il ponderoso e approfondito studio di G. Kepel, Jihad. Ascesa e declino, Carocci, Roma 2004. 4 Al-Aswanu, op cit., p. 81. ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 essere al servizio della causa islamica combattente e i sentimenti che faticano ad affiorare perché soffocati dal tampone di ovatta degli insegnamenti guerrafondai dello sheikh Shaker. 53 la fede e la sua formulazione razionale Carlo Molari a lezione magistrale tenuta da Benedetto XVI nellUniversità di Regensburg, ha suscitato molte reazioni. Non intendo esaminarle. Vorrei solo raccogliere la provocazione del Papa sulla razionalità della fede e sul legame intrinseco tra cultura greca e dottrina cristiana, per capire cosa può implicare per la teologia una scelta di questo tipo sia dal punto di vista del metodo che della dottrina. L la ragione e il dialogo ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Credo sia chiaro dal contesto e dalle sue esplicite parole che Benedetto XVI non ha inteso tanto compiere un atto di Magistero Pontificio, quanto riprendere momentaneamente la sua funzione di antico docente di teologia, che ricorre ad argomenti razionali per chiarire la fede e per spiegare le sue intrinseche dinamiche. Ha esordito infatti con le parole: «per me è emozionante stare ancora una volta sulla cattedra delluniversità e una volta ancora poter tenere una lezione». In essa il Professor Ratzinger sembra guidato da una duplice preoccupazione: che la ragione resti il riferimento assoluto del dialogo fra le culture o le religioni, e che, anche per questo, alla teologia venga conservato un posto nelle Università statali. Le due preoccupazioni si intrecciano fra di loro e costituiscono come la trama o la cornice inclusiva di tutte le riflessioni. Ricordando, infatti, gli inizi del suo insegnamento nella Università di Bonn (1959) egli ha osservato: «Luniversità, senza dubbio, era fiera anche delle due facoltà teologiche. Era chiaro che anchesse, interrogandosi sulla ragionevolezza della fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del tutto dellUniversitas scientiarum, anche se non tutti potevano condividere 54 no. Il coraggio di aprirsi allampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza, è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. «Non agire secondo ragione (con il logos) è contrario alla natura di Dio» ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, allinterlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo è il grande compito delluniversità». ellenizzazione del cristianesimo Chiarito il principio e richiamatone il senso con la riflessione dellimperatore bizantino il Papa si chiede: «La convinzione che agire contro ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è solo un pensiero greco o vale sempre e per se stesso?». La risposta è molto chiara: «Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia». E conclude: «Dio è logos, Dio è ragione» per questo agire contro ragione è agire contro Dio. Largomentazione è sintetica e riassume diversi passaggi. La tesi potrebbe essere espressa in questo modo: agire secondo ragione corrisponde alla natura di Dio ed è quindi necessario in tutte le circostanze. Ora imporre la fede con la violenza è agire contro la ragione e quindi contro la volontà divina. Ciò che i greci hanno intuito corrisponde alla realtà delle cose e quindi deve essere osservato da tutti e sempre. Se «agire contro ragione contraddice la natura di Dio» è un principio vero, esso deve essere ritenuto non più esclusivo dei greci, perché tutti possono pervenirvi e formularlo in altri contesti partendo da esperienze storiche diverse. Ratzinger deduce, invece, che il rivestimento greco della rivelazione biblica non è occasionale, bensì necessario e assoluto, così da restare per sempre: «Lincontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso». Per mostrarlo ricorda il sogno di Paolo che «vide un Macedone e sentì la sua supplica: passa in Macedonia e aiutaci (cfr At 16, 6-10)» e commenta: «questa visione può essere interpretata come una condensazione della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e linterrogarsi greco». Ci si potrebbe chiedere se lincontro tra Vangelo e cultura greca fosse allora necessario perché costituiva loriz- zonte comune del mondo mediterraneo oppure perché un disegno divino legasse indissolubilmente grecità e Vangelo. Il Papa sceglie questa seconda alternativa: «lavvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e linterrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale, un dato che ci obbliga anche oggi». Da questa conclusione egli deduce che il rivestimento greco della fede cristiana è vincolante per tutti e per sempre. Per questo egli considera necessario resistere ad ogni tentativo di liberare il cristianesimo dalle forme ellenistiche assunte nei primi secoli. Il Papa elenca tre ondate di questi tentativi: la riforma protestante, lilluminismo razionalista e lattuale criterio della inculturazione quando viene indicato come regola assoluta della missione. Il Papa riassume così questo ultimo tentativo: «Si ama dire oggi che la sintesi con lellenismo, compiutasi nella chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture. Queste dovrebbero avere il diritto di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione per scoprire il semplice messaggio del Nuovo Testamento e inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti». Egli osserva che cè verità in questa posizione perché «non è semplicemente sbagliata», ma aggiunge che questa affermazione «è grossolana e imprecisa». Il problema che sorge da tali premesse si pone in questi termini: se la nostra generazione si trova nella necessità di riformulare la dottrina della fede secondo nuovi paradigmi, la riformulazione deve partire dagli stessi contenuti intellettuali espressi nelle formule antiche bibliche e dogmatiche, che sono state redatte in lingua greca? Oppure è possibile e anzi necessario seguire un altro metodo? Chi sostiene la seconda alternativa afferma che la formulazione della fede non deve essere tratta dalle formule antiche, bensì dalla attuale esperienza di fede in Dio, vissuta tenendo conto delle formule antiche, ma espressa secondo le categorie della cultura in cui lesperienza si compie. Il problema merita di essere esaminato dettagliatamente per individuare in che senso, il metodo, «non è sbagliato» e in quale senso come dice il Papa, «è grossolano e impreciso». (continua) ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 TEOLOGIA la fede, per la cui correlazione con la ragione comune si impegnano i teologi». Riferendosi alla tradizione del dies accademicus, il giorno in cui tutti i professori si presentano insieme agli studenti ha osservato: «il fatto che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dellunica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione questo fatto diventava esperienza viva». Riportando poi il detto di un professore per il quale la teologia era senza senso perché «il suo oggetto non esiste», il Papa ha continuato: «Che anche di fronte ad uno scetticismo così radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione e che ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione della fede cristiana: questo nellinsieme delluniversità, era una convinzione indiscussa». Quella che egli chiama: «la coesione interiore nel cosmo della ragione» rendeva possibile il dialogo non solo nella scuola ma soprattutto nella vita. In conclusione il Papa riprende le due preoccupazioni con laffermazione riassuntiva: «la teologia, non soltanto come disciplina storica e umano-scientifica, ma come teologia vera e propria, come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nelluniversità e nel vasto dialogo delle scienze. Solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni di cui abbiamo un così urgente bisogno». Lurgenza attuale del dialogo tra le culture e le religioni condotto secondo argomenti di ragione è stato lappiglio per ricordare laffermazione dellimperatore bizantino Manuele II Paleologo sul modo di diffondere la fede. Limperatore allo scadere del 14° secolo scriveva: «non agire secondo ragione è contro la natura di Dio... Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia. Per convincere unanima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire, né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte». Il Papa cita la sentenza allinizio e la riprende nel riassunto conclusivo della lezione: «Loccidente da molto tempo è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così può subire solo un grande dan- Carlo Molari 55 CINEMA EVA E LE SUE SORELLE 56 l libro dei proverbi nella Bibbia ci offre una raccolta di insegnamenti sapienziali capace di fotografare la società antica di riferimento. Non ha la pretesa di dire una parola rivelata. La sapienza è sempre radicata alla terra: nasce dal tentativo di rispondere con praticità alla vita. I proverbi vogliono insegnare a vivere, provano a codificare la realtà per poter camminare nel mondo senza inciampare. Un testo conservatore, dunque, che non mette in discussione le regole sociali ricevute. Non ci aspettiamo di trovare immagini di donne reattive alla cultura patriarcale. Stupisce pertanto che la conclusione dellintero libro sia affidata alle donne. Nella prima parte del capitolo 31 sono raccolti gli insegnamenti di una madre. Segue un testo poetico, un canto alla donna ideale che vuole offrire dalla a alla z (la composizione è un acrostico dove ciascun verso inizia con una lettera progressiva dellalfabeto) il ritratto della donna «perfetta». La tesi che fa da sfondo allinno e che si pone come epilogo dellintero insegnamento sapienziale è che il matrimonio è una cosa importantissima. È necessario scegliere la donna giusta, ma non è semplice: «Una donna forte e virtuosa chi la troverà?» (31,10). Ecco allora una descrizione, ideale, e tuttavia non utopica, di come dovrebbe essere la donna giusta. Viene presentata una figura femminile necessariamente inserita nel suo contesto patriarcale. Fin qui tutto normale. Ciò che appare paradossale oggi è che se questa donna ideale che non questiona il mondo antico di riferimento, rischia invece di mettere in discussione la nostra realtà per almeno due ragioni. La prima può sembrare effimera, ma ha conseguenze devastanti sulle giovani generazioni: usciamo ogni anno stremati dal concorso di Miss Italia. Bombardati per giorni da sfilate di carne da macello che chiamano ragazze. Ogni giorno le nostre figlie, i nostri giovani e noi stessi siamo assediati da immagini mediatiche che propongono canoni di bellezza artificiali: modelle anoressiche o veline supermaggiorate. La bellezza fisica, omologata alle richieste del mercato, diventa la caratteristica necessaria per «stare al mondo». La donna dei proverbi non è lodata per la sua bellezza, ma per la sua forza, la sua autonomia e la sapienza delle sue parole. Il secondo motivo è più tragico ed è legato alla precarietà lavorativa. Mi capita sempre più spesso di ascoltare vissuti familiari dove la fatica economica mina le relazioni affettive. Nellera del precariato, di fronte allo spettro della disoccupazione, si percepisce un diverso sguardo di genere. La donna che lavora si trova a dover giustificare la scelta, più o meno forzata, di «lasciare» i figli per la professione; e quando non le è dato di lavorare, vive certo lansia economica, ma raramente il degrado e la perdita della dignità. La narrazione maschile è invece più dolorosa. Accanto alla privazione del lavoro convive la vergogna. Luomo disoccupato, o precario, sente di non essere in grado di assolvere al compito sociale a lui destinato: mantenere la famiglia. Le aspettative sociali lo spingono a sentirsi responsabile economicamente per lintero nucleo familiare. Lemancipazione delle donne aveva arginato questo sentire e sollevato il maschio dal dover farsi carico dellintero fardello economico. La precarietà lavorativa, che colpisce in primo luogo le donne, tra i mille problemi ripropone un simbolico familiare tuttaltro che superato. La donna dei proverbi non risponde allantico detto veneziano: «che piaccia, che taccia, che stia in casa»: ha un carattere forte ed intraprendente. Provvede ai bisogni familiari non soltanto gestendo la casa, ma intraprendendo attività commerciali. Si parla nellinno di prezzo, guadagno, compravendita, stima della mercanzia, produzione: «Guarda un campo e lacquista, pianta una vigna, commercia con il frutto delle sue mani». Ha contatti con mercanti che viaggiano lontano e le aprono nuovi orizzonti. Vende loro la merce da lei prodotta. Una donna così ha necessariamente una forte autonomia, pur inserita nel contesto patriarcale. Certo, è unimmagine idealizzata, ma cè da chiederci oggi quale ideale, quali immagini di donne ci suggerisce la nostra realtà «emancipata». La Scrittura ci propone uno sguardo alternativo, per certi versi rivoluzionario, anche in testi che sono conservatori. Proprio come dice Walter Benjamin, «la rivoluzione è un balzo di tigre nel passato». a stella che (forse) manca sulla bandiera cinese dice il film può essere quella della innocenza. Vincenzo Buonavolontà è un tecnico che ha lavorato negli impianti siderurgici di Bagnoli, impianti ormai definitivamente chiusi. Una delegazione cinese è a Bagnoli per lacquisto di un altoforno e alcuni dirigenti degli impianti ne sottolineano la grande efficienza, la fabbricazione recente e i molteplici controlli effettuati. Laccordo è praticamente concluso quando Vincenzo Buonavolontà che si presenta come «manutentore» ormai disoccupato entra quasi di forza nella stanza della riunione e, rivolgendosi al capo della delegazione cinese lì riunita, dichiara che laltoforno ha dei gravi «difetti». Il capo della delegazione, il signor Ciong, lo accoglie con simpatia, quando alla fine capisce di che cosa si tratta, poiché la giovane interprete aveva avuto qualche difficoltà nella traduzione delle frasi concitate dello stesso Vincenzo, poi intervenuto con alcuni termini tecnici addirittura in cinese, per chiarire il suo pensiero. Succede che poi Vincenzo Buonavolontà (un nome un programma) decida di sua iniziativa di partire per la Cina e di recarsi a Shanghai con una «centralina» di ricambio, per sottolineare direttamente là i difetti dellimpianto e per porvi rimedio. Ma a Shanghai, presso la fabbrica a cui si reca, non trova il signor Ciong, nel frattempo «dismesso», bensì un altro dirigente che, con cortesia e con molta fermezza, gli dice che laltoforno è stato inviato a una certa fabbrica di una città lontana, perché la loro azienda di Shanghai ha soltanto compiti di distribuzione. Vincenzo si dedica allora alla ricerca della giovane interprete: quando la trova, lei allinizio sembra non riconoscerlo o, comunque, di non L Contraddizione La stella che non c’è volergli parlare. Ma poi la giovane lo reincontra alla mensa, e Vincenzo insiste perché lei lo aiuti e vada con lui in quella città lontana. Lei sembra rifiutare, ma lindomani lui la ritrova alla stazione ferroviaria per partire insieme. Comincia così un lungo viaggio, per Vincenzo e per la sua accompagnatrice-interprete, la quale chiede di essere profumatamente pagata per il lavoro che si accinge a fare, ma contemporaneamente non dice mai quanto vuole. Fin qui il film suscita alcune perplessità di logica narrativa e cioè di sceneggiatura, anche se qualcuno può non ritenerle importanti: dove ha trovato il disoccupato Vincenzo i soldi per il viaggio?; un viaggio dallItalia alla Cina viene soddisfatto senza alcuna organizzazione e soltanto con un piccolo bagaglio, «due paia di calzoni e qualche camicia»?; può un italiano con nessuna esperienza pensare di cavarsela viaggiando in Cina da solo? Detto questo, dobbiamo aggiungere che il film entra in un itinerario assolutamente precario. Linterprete porta Vincenzo perfino nella città dove è nata, e incontrano una nonna sorpresa, ma non troppo: poi cè un figlio «nascosto». I due seguono le tracce dellaltoforno che sembra spostarsi, quasi di propria volontà (e per fare andare avanti il racconto), da una città allaltra, da una regione allaltra, e arrivano in verità un po stancamente fin quasi in Mongolia. Nel frattempo la ragazza scioglie la sua scontrosità, confessa le debolezze della propria vita, è una ragazzamadre, che ha lasciato il suo uomo giudicandolo troppo giovane e debole, ha perduto il lavoro probabilmente in seguito ai suoi errori e ai suoi limiti di interprete messi in evidenza proprio da Vincenzo a Bagnoli. Quasi con dei flash di passaggio Vincenzo vede dei bambini che lavorano semi-emarginati e soli in una fabbrica; naviga sul Fiume Azzurro su unarea che grazie ad una diga enorme fornirà sì energia elettrica a varie città e a decine di milioni di persone ma ha ormai sommerso case, villaggi, depauperato terreni fertili e popolazioni già di per sé povere. Il «pretesto» dellaltoforno è sempre meno in evidenza, anche nelle preoccupazioni di Vincenzo. Questi, da un lato, ogni tanto, sembra sottolineare che il difetto è grave, ma che si può riparare con facilità; dallaltro diventa sempre più un osservatore socialmente impegnato nei confronti delle contraddizioni (che ben conosciamo) della Cina di oggi. Ci sono squilibri di vita enormi, le Olimpiadi di Pechino 2008 sono alle porte (a Pechino si svolgerà quasi tutto il programma, qualcosa a Shanghai, forse le gare di vela, e poco ancora altrove), tutto potrebbe addirittura cominciare fra sei mesi, ma accanto ai grattacieli la Pechino storica non esiste più, e al di là dei grattacieli che a Shanghai si contendono. primati mondiali, al di là di insegne luminose enormi, dei supermagazzini, delle strade completamente rifatte (come la vecchia e tradizionale via Nanchino dei mercatini, proprio a Shanghai, trasformata ormai una sorta di Champs-Elysées), ci sono situazioni quotidiane umanamente tremende. I figli dopo il primo vengono multati (due sono concessi se entrambi i genitori sono figli unici), daltronde un miliardo e mezzo di abitanti sono tanti e tanti, mentre ancora oggi sembra impossibile ma è vero, lo diciamo per testimonianza diretta il grande film di Antonioni Chung Kuo-Cina, a suo tempo, inizio anni Settanta, inviso alla Rivoluzione Culturale, continua a essere giudicato da molti con diffidenza. Il film di Amelio La stella che non cè allude a tutto questo, ma non cancella limpressione che proprio il suo filo conduttore sia poco più che uno spunto come usava una volta per un progetto sicuramente valido di coproduzione cinematografica e, insieme, per organizzare una bella trasferta. Dove Amelio ha inventato unattrice (Tai Ling, nella parte della ragazza Liu Hua), con un grande direttore della fotografia in Luca Bigazzi, insieme a Sergio Castellitto, quasi sempre stupìto e monocorde Vincenzo Buonavolontà. Ma di Amelio (1945) preferiamo di gran lunga il primo ormai lontano periodo, in cui dopo importanti e ben riusciti film per la televisione campeggia il grande Porte aperte (1989), insieme a Il ladro di bambini (1992) e a Lamerica (1994). ❑ 57 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Lidia Maggi la donna giusta I Giacomo Gambetti RF&TV ARTE Roberto Carusi Renzo Salvi Mariano Apa Un Mozart teatrale a regìa del Don Giovanni di Mozart (andato in scena al Teatro Comunale di Treviso) è stata affidata ad Eugenio Monti Colla, direttore artistico della Compagnia Marionettistica Carlo Colla e Figli. Il regista, cui si devono anche le scene e i costumi, è stato intelligentemente rispettoso di un siffatto classico. Ma è stato, al tempo stesso, innovatore nei confronti di tante messinscene che della grande opera mozartiana han fatto spesso chi una polverosa riesumazione, chi una immotivata attualizzazione. Monti Colla ha invece scelto la cifra di un gioioso teatro nel teatro. Compaiono, in un breve prologo e in altrettanto brevi interludi, le marionette. Egli cita così Il convitato di pietra, uno scenario secentesco della Commedia dellArte da cui traggono origine tutte le versioni della tragicommedia di Don Giovanni: in prosa, in versi, in musica, per marionette. Questa messinscena è come un ricco telaio in cui sintessono la qualità della compagnia di cantanti, il vivacissimo coro, la brillante tavolozza di sonorità che il maestro Zsolt Hamar, concertatore e direttore, riesce a cavare dalla partitura. Gli interpreti aggiungono alla indiscutibile bravura canora bella presenza scenica, gradevole aspetto, dizione chiara e vibrante. Emerge così una felice caratterizzazione registica che li fa giocare dentro e fuori dal proprio personaggio. Il che è ulteriormente accentuato dal cambio a vista di fondali e quinte sospesi a lunghe funi. La trama è nota: Don Giovanni, impenitente sedut- ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 L 58 tore, passa da una conquista allaltra del gentil sesso. Il gioco da commedia (ricco di sensualità nella vocalità e nelle posture sceniche) sincastona tra un inizio e una fine che sfioran la tragedia. Il sipario si apre infatti sulluccisione del Commendatore da parte di Don Giovanni sorpreso nottetempo nel tentativo di sedurre la di lui figlia Donna Anna. E sul finir dellopera lo stesso Don Giovanni è trascinato nelle fiamme infernali dal monumento funerario della sua vittima. Conclude il tutto un lieto fine argutamente moralistico in cui coloro che han subìto le prepotenze del seduttore se ne fanno ciascuno per la sua parte severi giudici. Nellintera vicenda Leporello servitore semplicione eppure astuto di Don Giovanni fa pensare alla Commedia dellArte e, ancor più, a Gerolamo (la maschera ricorrente negli spettacoli dei Colla), pieno di una saggia bonomìa che alla fine viene sempre premiata. Al regista il merito daver saputo dintesa col maestro concertatore creare i movimenti con cui, senza soluzione di continuità, i personaggi si prendono tutto lo spazio scenico. Le tonalità cromatiche della scenografia e dei costumi sono ora evidenziazione del contrasto drammaturgico tra i personaggi, ora invece compatta armonia dei momenti corali. Una regìa così «teatrale» permette anche di comprendere lossimoro che sta nelle parole «dramma giocoso» con cui il grande librettista Lorenzo Da Ponte volle sottolineare lo spirito composito di questa sua opera. ❑ Wild West e carovane che muovevano verso la Frontiera dellOvest americano, talvolta, si perdevano: soccombendo in scontri armati contro popoli indiani che (giustamente) si opponevano allavanzata della colonizzazione, annegando nel guado dei fiumi gonfiati dalle piogge, bruciando per larsura nel grande deserto salato... Così, almeno, raccontarono alle nostre infanzie i film western e i fumetti di Tex Willer, Bleck Macigno, Capitan Miki. Wild West, reality di RaiDue ambientato in un simil/mondo di cow boy è il primo caso di una carovana che si perde, nellasprezza del palinsesto tv, partendo da un deserto di idee e approdando a un deserto di pubblico. «Ovviamente» format, ovviamente (risparmiamo le virgolette) di importazione, ovviamente gestito da una società di produzione esterna allente televisivo (la Rai) che lo propone, Wild West è, infatti, ovviamente diseducativo e notevolmente cialtrone come tutti i reality dinvasione recente, ma non per questo è stato cancellato dalla serata televisiva di rete (il martedì) che lo ospitava: non per il cianciare vano di chi Alba Parietti conduceva quelle tre-e-passa ore; non per il nulla di contenuto trasmesso; non per la mancanza di piacevolezza nellintrattenere; non per il finger sentimenti (dal cameratismo, allamicizia, alle possibili love story su copione) che quel gruppo di apprendisti cow boy aveva da metter in scena dallArizona in diretta via satellite. No: il fatto è che al trasferimento della mandria mancava il pubblico del dopo cena. La cancellazione della serata è comunque un dato positivo, anche se rimangono la fascia quotidiana pre/serale e se è stata aggiunta L una coda «Selvaggio West», alla programmazione dei pomeriggi di rete, come prosecuzione de LItalia su Due. In questi spazi lirriducibile 7% scarso di pubblico televisivo che dedicava una sera della sua unica vita ogni settimana a Wild West potrà continuare a sentire alcune canoniche frasi dellideologia (ormai...) del realitysmo: «Hanno imparato in una settimana cose incredibili!»; «...abbiamo montato con loro» (e sintende a cavallo); «da donna vi dico che voi siete più belle di quando siete partite...». Negli Stati Uniti Wild West ha avuto successi di pubblico strepitosi: forse perché gli ascoltatori sono di gusti (medi) più facili e certamente perché il mito archetipo della frontiera ancora fa presa nella sua terra dorigine. In Italia qui il discorso si fa più tecnico e professionale non cè stata nemmeno la capacità di reinventare lidea di base calibrandola sulle immagini di West che stanno nella nostra memoria nazionale per il tramite di fumetti e film. E magari anche ricordando che quando Buffalo Bill e il suo circo passò in Italia, agli inizi del secolo scorso, un rodeo che vide gareggiare cow boy americani e butteri toscani fu vinto dai «nostri». Ma questo sarebbe stato un approccio troppo colto al reality delle vacche. Valga allora, come chiusa pescando sempre dalla memoria e dalle icone duna generazione: Carosello quel che ritmava una strofetta pubblicitaria di carni in scatola: «Laggiù nel Montana / tra mandrie e cow boy / cè sempre qualcuno / di troppo tra noi...». A Wild West, per una volta, «di troppo» eran tutti. «Griiingo, Gringooo!». ❑ FOTOGRAFIA Alberto Pellegrino Frangi vvenimento a Firenze. Una esposizione-istallazione di Giovanni Frangi alla Galleria Poggiali e Forconi in via della Scala. Un trittico in cui due «camere» «Disgelo» e «Fondo del mare» si ripetono nei quadri a parete. Superficie e volume per poter nominare una «unità percettiva» (per dirla con Corradini) che afferma una capace investigazione del vedere in quanto partecipazione alla sapienza dellimmagine. I testi di Giovanni Agosti catalogo «5 Continents Editions» ripropongono la eticità di una partecipazione, dello storico al procedere dellartista, di una antica tradizione oramai «persa». Come per lo struggente e filologico omaggio allindimenticata mostra di disegni di Lorenzo Bonechi al Gabinetto degli Uffizi (cat. Olschki, 1996), Agosti riesce con Frangi a introdurci nella dureriana- albertiana «Camera» con cui, certo, ricordare il biografico-duchampiano «Etant donnes», ma quando Agosti ricorda che prima di Richter «ci scappa un vecchio Morlotti, una Sera sullAdda degli anni cinquanta», ci invita a riflettere sul trascorso testoriano della manipolazione dei materiali in quanto esistenziale messa in discussione del proprio corpo in quanto corpo del linguaggio. Le libertà sintattiche della cultura postconcettuale possono non stringere nellideologia della tautologia. E Giovanni Frangi proprio manipolando la sua pluralità dei materiali dimostra che si può fare pittura come corpo della emozio- A ne, come corpo di un vedere che si fa carico dello sporco e dello splendore, della mistica luminosità della notte e della lancinante alterazione percettiva della verità del morire nellesistere. Eliminando tutte le tautologie e le letterature alchemiche della Concettualità là dove lo scaldarsi erotizzato apre ed è capace di ascoltare, lartista, gli esoterici sciamanesimi del giustamente ricordato Monte Verità , Frangi impone il rigore (della camera prospettica albertiana-dureriana) del guardarsi «dentro». Certo il «solido» del ghiaccio verte al «liquido» degli abissi, come dal basso si ri-«sale» allalto: e anche la Maria ascende in virtù degli Scapoli; e gli oggetti trovati sono levidenza di un matericismo usuale che ecco Frangi raccoglie, davvero come in un lampo apostrofa Agosti, il lascito del «Mare di ghiaccio di Friedrich, ma senza naufragi». È il trionfo della pittura, questa istallazione di Frangi. E davvero si dimostra la triade dettata dal critico: «il Duchamp estremo, i Sacri Monti, i ViewMaster». Una pittura che coinvolge il pensiero e il sentimento come corpo che si lascia incontrare, lotta con lAngiolo, «Sermone» bretone declamato tra le spezie di una Firenze che vedeva i giovanissimi Papini e Prezzolini intenti al loro sulfureo «Leonardo». Ma il tutto è dallartista come raccontato in una passeggiata al dolce estivo imbrunire della prima sera, tra i viali della Brianza di Testori. ❑ La società in posa criveva Piovene nel 1941: «La scoperta della fotografia ha mutato profondamente il costume degli uomini, forse più di qualunque altra invenzione della scienza Quanto sia vasta linfluenza sugli uomini della fotografia si misura da un fatto: che tutti gli uomini sono stati mutati nel loro modo di vedere e di immaginare». È questo il filo conduttore del terzo volume di LItalia del Novecento. Le fotografie e la storia (Einaudi, Torino, 2006), intitolato La società in posa, in cui viene analizzata limportanza della fotografia nel suo impatto con la società, del come essa abbia influenzato i sentimenti, i modelli culturali e i comportamenti quotidiani degli italiani. Queste trasformazioni emergono chiaramente dal saggio di Maurizio Ridolfi Gli spazi della vita pubblica e da quello di Silvia Salvatici Uomini e donne sulla scena pubblica. Vengono analizzati i passaggi tra Otto e Novecento per quanto riguarda modelli sociali e stili di vita, la modernizzazione autoritaria imposta dal fascismo tra le due guerre mondiali, le prime trasformazioni nellItalia Repubblicana, il cambiamento di costumi e consumi dagli anni del boom economico fino alla chiusura del secolo: diventa sempre più sottile il confine tra vita pubblica e privata; si aprono ai cittadini i luoghi istituzionali (scuole, caserme, tribunali); si verifica la politicizzazione delle masse e si diffonde la cultura di massa attraverso le varie forme di spettacolo, lo sport, il turismo; si trasforma la religiosità e si S diffonde il benessere; si assiste alla spettacolarizzazione di eventi privati, battesimi, matrimoni, funerali; si ha una diversa collocazione della donna nella società, dalla miss alla valletta, dalla manager al magistrato. Di grande importanza è il saggio di Elio Grazioni su I generi fotografici tra realtà e finzione (Il canone, Il potere, La finzione, I ruoli, La realtà, Lo spettacolo), mentre Uliano Lucas e Tatiana Agliani hanno analizzato il rapporto tra società e fotogiornalismo in Da Miss Italia a Padre Pio; a sua volta Stefano Musso ha tracciato la storia del mondo lavorativo in Sguardi sul lavoro. Infine Giorgio Olmotti, ne Il mestiere della fotografia, ha registrato il passaggio della fotografia dalla passione dilettantesca alla professionalità: levoluzione dai fotografi ambulanti agli studi professionali, il contributo fondamentale dato dagli «operatori Luce» e quello determinante dei grandi fotoreporter italiani dal secondo dopoguerra a oggi con il parallelo evolversi in senso positivo degli studi sulla storia, il linguaggio e lestetica della fotografia. ❑ 59 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 TEATRO SITI INTERNET MUSICA Enrico Romani Giovanni Ruggeri ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 V 60 zie allavvedutezza, una volta tanto, di Massimo DAlema. Poi una discesa vorticosa fra ministri che straparlano, un indulto che riesce lì dove la destra aveva fallito per cinque anni, salvare Previti (e gli altri settantasei condannati per reati finanziari contro lo Stato, settantasette in tutto, altro che carceri strapiene!) i tassisti in rivolta che bloccano le città, e perfino i professionisti in piazza contro le liberalizzazioni e a difesa dei propri ingiusti privilegi (fossero stati studenti, operai o no-global sarebbero stati massacrati dalla Polizia...). E questa legge che con una mano in effetti qualcosa dà alle famiglie, per poi riprenderselo con laltra, se è vero come è vero che la Corte dei Conti e il Governatore Draghi hanno sentenziato: «Troppe tasse», un punto medio percentuale in più. E per fortuna il governo ha rimandato a gennaio il discorso pensioni, sul quale vale la pena far notare che in un suo articolo su repubblica Luciano Gallino spiegava come la spesa previdenziale dellInps sia soltanto un terzo del totale: il resto sono spese assistenziali di vario genere che dovrebbero essere a carico di tutti i contribuenti, e non solo di coloro che versano allInps. Se poi ci mettiamo che non è stato creato quel «conflitto di interessi» fra il dentista, per dire, che ti fa il «favore» di non farti la fattura perché altrimenti dovresti pagare molto di più della già onerosa parcella (cifra con guadagno secco, al netto delle tasse, evase) e tu cliente che non puoi invece trarne beneficio fiscale, di cosa stiamo parlando, di bruscolini? Insomma, i conti dello Stato torneranno pure in ordine, ma le canzoni di Dylan e del Boss sono tutte ancora valide. ❑ Beni culturali e musei ostituisce un indiscutibile valore aggiunto per la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale limpiego delle nuove tecnologie, che rivelano significative potenzialità non solo in ambito operativo (sia da parte di quanti lavorano nel settore per catalogazione, restauro, promozione ecc. sia da parte dei cosiddetti fruitori per accesso a distanza, acquisizione di informazioni ecc.) ma anche in ordine ad una più facile comunicazione tra quanti si interessano, a vario titolo, di questi temi. Accanto infatti alla tradizionale valorizzazione di Internet per accedere a distanza a collezioni di musei o database di biblioteche, nascono nuove esperienze, come ad esempio community (come si suol dire con sgradevole ma obbligato gergo inglese) tra operatori, ricercatori e professionisti del settore i quali, grazie ad un sistema di mailing list e un sito internet riescono, con minima spesa, a costruire interessanti modelli di interazione e produzione culturale, ad esempio allestendo nuovi sistemi per la circolazione delle esperienze. È il caso dellottimo www.musei-it.net, forse il sito più originale del settore, nato dalla passione di tre studiosi e centinaia di utenti della rete. Questa la descrizione che del sito danno gli autori stessi: «È una mailing list molto seguita e vivace; è da anni un sito dedicato allInformation Technology nei musei italiani; è una serie di eventi, convegni e workshop su musei e tecnologia; è una community che unisce operatori culturali, ricercatori, studenti e professionisti; è un portale verso i migliori siti di musei in Italia e nel mondo; è uniniziativa no-profit e senza fini di lucro». Tra gli aspetti C meritevoli di segnalazione, vi è lattenzione che il sito presta alla valorizzazione anche economica delle risorse culturali, capitolo sommamente importante per il nostro Paese, unitamente allo spazio accordato ad aziende specializzate nelle applicazioni informatiche e multimediali per musei, gallerie, biblioteche e istituzioni culturali, cui il sito consente di segnalare gratuitamente i propri servizi. Di impianto classico e imponente nella sua struttura è www.museionline.it che, frutto di una partnership nientemeno che tra Microsoft e Adnkronos Cultura, raccoglie informazioni costantemente aggiornate su oltre 3.500 musei. Il sito nasce con lobiettivo di valorizzare e promuovere nel mondo il patrimonio culturale italiano. Oltre a dettagliate informazioni di servizio su ogni singolo museo, fornisce informazioni su eventi culturali e artistici e aggiornamenti su novità e iniziative culturali, mostre e sulla realtà museale italiana. Buon esemplare di sito dedicato specificamente ad un museo di settore è invece www.museoscienza.org, del Museo nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, mentre un utile collettore di link a diversi grandi musei classici di tutto il mondo è dato da w w w. f r e e u n i v e r s e . i t / musei.htm. La versatilità di Internet è tale da riuscire ad ospitare tra le sue pagine anche musei che ancora non esistono! È il caso del futuribile Museo della Bora di Trieste (www.museobora.org), dedicato ai mille segreti di questo freddo vento del Nord. Difficile, si sa, trovar casa alla bora. Ma Internet ci prova! ❑ Piergiorgio Cattani Dio sulle labbra delluomo. Paolo De Benedetti e la domanda incessante Il Margine, Trento 2006 pp. 207 Curatore del Dizionario delle opere e dei personaggi, redattore e correttore di bozze, docente di giudaismo a Milano, Trento e Urbino, animatore e insegnante di lingua ebraica nei corsi di Biblia, la prestigiosa associazione laica di cultura biblica, autore di saggi, libri e articoli sparsi in riviste piccole e grandi, semplici e accademiche, scrittore ironico di letteratura nonsensica (da lui definita «combinazione di totale irrealtà e totale mediocrità... unavventurina irrealissima sulla mattonella di realtà, sempre la stessa mattonella»), voce qualificata del dialogo ebraico-cristiano, interprete originale dellebraismo e della tradizione ebraica, amico di Umberto Eco e del cardinal Martini, Paolo De Benedetti, definito da Valentino Bompiani «il più eretico dei cristiani e il più ortodosso degli ebrei», è uno di quei rari maestri che, dal Vaticano II in poi, ha formato unintera generazione di allievi e di lettori che, attraverso i suoi testi, le sue conferenze e la sua semplice presenza e amicizia, ha scoperto un modo diverso e liberante di leggere la bibbia e di parlare di Dio, come è accaduto allestensore di queste righe che, da quando ebbe la fortuna di trovarsi tra le mani il suo libro La morte di Mosè e altri esempi (Bompiani, Milano 1971), non ha più cessato di leggerlo e apprezzarlo. Piergiorgio Cattani, laureato in lettere moderne e filosofia ed editorialista del quotidiano «Trentino», che di Paolo De Benedetti ha seguito un corso allIstituto di Scienze Religiose sullebraismo, sconvolto da «quel- lenigmatico professore che apriva orizzonti nuovi su di un mondo quello ebraico perseguitato, dimenticato, frainteso da troppe generazioni di cristiani» (sono parole sue), fattosi discepolo e lettore attento delle sue opere, ha ricostruito, in cinque capitoli, i tratti portanti e originali del suo pensiero: 1. Lascolto e la scrittura; 2. Linterpretazione infinita; 3. Quale Dio?; 4. La chiesa e la sinagoga; 5. La riflessione sugli animali. Di Paolo De Benedetti il cardinal Martini ha scritto che «il contatto con lui non finisce» mai «di stupire», perché «egli è come quel padrone di casa che continuamente estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». Al lettore di queste pagine, alle quali si deve il merito di presentare per la prima volta la mappa orientativa dellavventura spirituale debenedettiana, la sorpresa di verificare questo giudizio. Carmine Di Sante Brunetto Salvarani Educare al pluralismo religioso Emi, Bologna 2006, pp. 222 Non cè più la «religione degli italiani»: cè «lItalia delle religioni». Questo è il dato di fatto che Salvarani documenta ampiamente. Ma le istituzioni hanno colto che questo è un cambiamento permanente? Non pare. Gli antichi rabbini dicevano che il mondo si regge sul respiro degli studenti. Ma, nonostante tanti anni di insegnamento della religione cattolica (Irc), lignoranza religiosa degli italiani è madornale. In particolare, «la nostra realtà scolastica non è, attualmente, in grado di far fronte alla nuova situazione» della società plurireligiosa (p. 177). Salvarani, teologo e scrittore, educatore allinterculturalità, ha promosso in Italia la giornata di dialogo cristiano-islamico, non ancora assunta dalla Cei, ma diffusa in centinaia di centri nel Paese. Egli vi vede un kairos, unoccasione storica di col-loquio (parlare insieme), alternativo allo scontro e allindifferenza. Il cuore del libro è una proposta per la scuola. Nonostante limpegno di molti (non tutti!) gli insegnanti, lIrc non è sufficiente per far prendere coscienza e per educare al pluralismo religioso. Oltretutto, il regime concordatario e confessionale, getta i non-avvalentisi in un monstrum pedagogico, l«ora del nulla». Sarà molto difficile superare tale regime, ma è molto importante parlarne, creare coscienza. La proposta è una «ora delle religioni». Lesperienza esemplare, ampiamente riferita nel libro, è quella della città pluriculturale inglese di Bradford, nella quale, dopo un periodo di scontri interetnici, pedagogisti, istituzioni, leaders religiosi hanno responsabilmente costruito insieme un programma scolastico articolato per imparare le religioni e imparare dalle religioni. Il fine dello studio fenomenologico delle religioni è una educazione alla saggezza, alla capacità di convivere imparando reciprocamente, e di scegliere una via personale che dia senso alla vita. Il Syllabus di Bradford, tradotto, si può ricevere gratis scrivendo a [email protected] La proposta non è solo una storia delle religioni, perché ha al centro i testi letterarireligiosi e anche le diverse espressioni cultuali. Si tratta di affermare nella scuola la dignità e lo statuto conoscitivo proprio delle «scienze religiose». Finora, invece, laicismo e clericalismo sono stati complici nel relegare la cultura religiosa nel recinto confessionale. Salvarani parla di una «laicità per addizione», non per sottrazione: «una laicità, cioè, non di pura garanzia o di pura distinzione, bensì capace di riconoscere particolari tradizioni, che nel loro impiantarsi non ledano i diritti di nessuno, ma, semmai, arric- chiscano la comunità di nuovi valori e nuovi costumi» (p. 175). In particolare, lAutore segnala, come anche grandi intellettuali laici tra cui Bobbio, lassurdità di una scuola in cui si studia Omero e non la Bibbia, che è comunque il grande codice della cultura occidentale, incomprensibile senza di essa. Sarà difficile, in tempi brevi, superare il regime dellIrc, ma si potrà immettere in esso la nuova cultura interreligiosa (senza la quale, oggi, non si è davvero religiosi). Il problema non sono tanto gli insegnanti di religione, ma le autorità religiose cattoliche che, in Italia, non accettano neppure di discutere. Enrico Peyretti Emanuele Severino Fondamento della contraddizione Adelphi, Milano 2005 pp. 483 La scrittura di Severino, si sa, è assai densa e impegnativa e lo si nota anche in questo articolato volume che raccoglie una serie di testi apparsi a cavallo degli anni cinquanta e sessanta più un inedito da cui prende il titolo. Il libro è un altro capitolo della più ampia riflessione che lautore, ormai da decenni, va conducendo ( per dirla col titolo del suo lavoro forse più conosciuto) sullEssenza del nichilismo. In particolare Severino qui analizza e sviluppa il senso e le conseguenze sulla cultura occidentale della prima e più compiuta formulazione del principio di non contraddizione, quella aristotelica della Metafisica, mostrando il turbamento cui è stata soggetta la filosofia, almeno da Platone in poi, quando ha dovuto misurarsi con la possibilità stessa dellerrore e dellinganno. Stefano Cazzato 61 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 Dylan, il Boss e la Finanziaria i chiederete cosa diavolo centrino Bob Dylan e Bruce Springsteen con la nostra legge di bilancio, argomento principe dibattuto anche nei bar al posto della nazionale di calcio. Ci azzeccano, per dirla alla Di Pietro, ci azzeccano. Il primo pubblica un album intitolato Modern Times, con un omaggio esplicito a Charlie Chaplin e al suo celebre film sullalienazione in fabbrica dovuta allimplacabile catena di montaggio. Ma non si limita a questo Dylan, ripesca anche la musica di quel periodo tra la fine degli anni 30 e i primi quaranta, con blues morbidi e ritmati dalle spazzole della batteria, e ballate da crooner swing da night club che richiamano latmosfera di quegli anni in cui lAmerica si riprese dalla Grande Depressione di inizio decennio. E Dylan la evoca proprio, quella piaga, in «The Leeves Gonna Break» là dove afferma: «La gente per strada trascina tutto quello che possiede». Laltro, il Bruce del New Jersey, riprende invece le canzoni folk di lotta contadina e operaia raccolte o scritte da Pete Seeger, il padre assieme a Leadbelly e Woody Guthrie della canzone folk di protesta, portando anche in tournée quei suoni di fisarmoniche, banjo, violini, ottoni che fondendo gospel, blues, jazz, country e bluegrass sottintendevano lAmerica rurale e urbana dello stesso periodo a cavallo della guerra. Entrambi dunque schierati dalla parte delle classi lavoratrici, degli afro-americani, dei più deboli. Ecco il nesso: quanto questa Finanziaria dà ai più deboli, ai lavoratori impoveriti da cinque anni di Berlusconi? Bisogna dire che il centrosinistra aveva indovinato le prime mosse, gra- LIBRI Uruguay tato dellAmerica latino con uno sbocco sullOceano Atlantico, lUruguay è delimitato a nord e a est dal Brasile, a ovest dallArgentina e a sudest dal Rio de la Plata. Esplorata nel 1516 dallo spagnolo Juan Dìaz de Solìs, la regione si trovò a lungo contesa tra le aspirazioni coloniali della Spagna e del Portogallo. Il primo insediamento permanente degli spagnoli fu realizzato nel 1624. Sfidando la supremazia spagnola sul territorio, i portoghesi, intorno al 1680, fondarono vari insediamenti lungo il Rio de la Plata. Dopo circa un secolo di rivalità, i due paesi firmarono il trattato di San Ildefonso, che assegnava la regione alla Spagna. I primi anni del XVIII secolo furono caratterizzati da una serie di moti indipendentisti, capeggiati dal caudillo José Gervasio Antigas. Dopo aver costituito un governo nazionale, egli avviò un programma di riforme sociali. Con lintervento degli spagnoli e dei portoghesi, Antigas venne sconfitto, quindi, ripristinato lordine, lUruguay fu annesso al Brasile con il nome di Provincia Cisplatina. Nel 1825 i cosiddetti Treinta y Tres Orientales, sotto il comando di Juan Antonio Lavalleja, dopo aver debellato i portoghesi, proclamarono lindipendenza del Paese, la cui Costituzione entrò in vigore nel 1830. Agli inizi del XX secolo, i due movimenti rivali che si scontrarono in una cruenta guerra civile, in cui intervenne anche Giuseppe Garibaldi, si trasformarono in due schieramenti politici moderni: i ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 S 62 blancos divennero il partito conservatore mentre i colorados costituirono il partito riformista. Tra il 1903 e il 1915, il Presidente José Batlle y Ordóñez, riformò profondamente lo stato sociale, facendo dellUruguay il Paese più avanzato dellAmerica latina: fu abolita la pena di morte, venne garantita listruzione elementare gratuita, fu ammesso il divorzio e venne ridotta la giornata lavorativa. Indicata come la «Svizzera dellAmerica latina» a causa delle conquiste sociali e la relativa prosperità conseguita, il Paese vide successivamente deteriorarsi le istituzioni democratiche e le proprie strutture economiche. Durante la seconda guerra mondiale lUruguay dichiarò guerra alla Germania e al Giappone e nel 1945 aderì alle Nazioni Unite. Nel corso degli anni Cinquanta, il calo del prezzo della lana e la diminuzione delle esportazioni di carne, causarono una grave crisi economica, che generò un crescente malcontento tra la popolazione. Nel 1958, dopo quasi un secolo di ininterrotta supremazia dei colorados, i blancos ottennero una schiacciante maggioranza parlamentare. In conseguenza dellavvio di un severo programma economico, presero corpo forti agitazioni sociali, fomentate anche dalle organizzazioni dellestrema sinistra e in particolare del gruppo di guerriglieri dei cosiddetti tupamaros. Per far fronte al clima di profonda tensione che da tempo attanagliava il Paese, il Presidente Juan Marìa Bordaberry dichiarò lo stato di guerra e sospese ogni garanzia costituzionale. Nel 1973 con un colpo di stato, le forze armate assunsero direttamente il potere, venne sciolto il Parlamento e venne instaurata una brutale dittatura. In quegli anni lUruguay attraversò il periodo più buio della sua storia. Migliaia di membri del sindacato e delle forze della sinistra vennero arbitrariamente arrestati. Numerose persone furono torturate e uccise: centinaia furono i desaparecidos. I militari tentarono di istituzionalizzare il regime dittatoriale attraverso un referendum, ma lesito finale del voto non permise loro di realizzare questo obiettivo. Così, nel 1984, si assistette al ritorno di un civile al potere. Gli anni Novanta si contraddistinsero per una forte austerità economica, imposta dalla Banca Mondiale, che prevedeva il taglio della spesa e dei posti di lavoro pubblici oltre che la privatizzazione delle imprese statali. Seguirono unondata di proteste e un forte malcontento sociale. Nelle elezioni amministrative del 2000 si è registrata laffermazione della coalizione della sinistra. Nello stesso anno, lUruguay, investito dalla crisi economica che ha colpito Argentina e Brasile, suoi principali partner commerciali, è entrato in recessione. Lintervento degli Stati Uniti e del Fondo monetario internazionale ha salvato il Paese dalla bancarotta. Popolazione: la maggioranza degli uruguayani è di origine europea. Circa il 10% della popolazione (costituita da quasi 3,5 milioni di persone) ha una provenienza etnica mista, mentre lelemento indio è quasi del tutto estinto. Contrariamente agli FRATERNITÀ Nello Giostra altri paesi dellAmerica meridionale, lUruguay è un Paese quasi interamente popolato da bianchi. La tradizione culturale autoctona è stata completamente eliminata dalloccupazione culturale europea. Religione: fatta eccezione per la presenza di minoranze di ebrei e protestanti, il Paese è principalmente cattolico. Economia: allevamento, la zootecnica, principale attività del settore, costituisce la base delleconomia uruguayana, contribuendo per circa il 40% al volume complessivo delle esportazioni, grazie soprattutto alla lana (di cui il Paese è secondo esportatore mondiale), alla carne a alle pelli. Anche lindustria sta conoscendo una fase di sviluppo: importanti sono la lavorazione della lana e la raffinazione del petrolio. La ripresa economica, iniziata nel 2004 con una crescita di circa il 10% del Pil, che si è ridotto al 6,2% lanno successivo. Situazione politica e relazioni internazionali: le elezioni politiche dellottobre 2004 hanno consegnato il potere, per la prima volta nella storia del Paese, nelle mani dellesponente della coalizione della sinistra progressista, il candidato Tabaré Vazquez Rosas. Una delle prime misure di politica internazionale assunte dal neoeletto Presidente è stata la riapertura dei rapporti diplomatici con Cuba, dopo la brusca rottura durante la precedente amministrazione. A più di ventanni dalla restaurazione della democrazia, ex agenti della dittatura verranno processati in Argentina per crimini commessi tra il 1973 e il 1985. In Uruguay una legge del 1986, e poi approvata tramite referendum, ha introdotto lamnistia per i reati compiuti durante la dittatura. ❑ In questo periodo, abbiamo ricevuto telefonicamente i ringraziamenti per quanto è stato dato da Fraternità, ma ancor più numerose sono giunte lettere con bollettini da pagare per arretrati, richieste per acquistare i libri per frequentare le scuole riaperte, domande di aiuto per affrontare cure per malattie. Fraternità si fa interprete e ringrazia tutti coloro che, costantemente, consentono di continuare questo cammino di condivisione con chi è in difficoltà. «Ogni volta che avete fatto qualcosa a uno dei più piccoli di questi miei fratelli lo avete fatto a me» Matteo 25, 40 che sono giovane ma purtroppo lavoro non ce nè. Per giunta sono in depressione e mi servono le medicine per potermi curare. Se potete non ci dimenticate e pregate per noi, come io faccio per voi. Vi benedico e ringrazio con immenso affetto. » D.G. Due figli con problemi Grazie «Cara Fraternità, per prima cosa spero che stiate tutti bene e che Dio vi benedica e protegga. Sono T. voglio ringraziarvi della vostra disponibilità e buon cuore che avete tutti. Oggi ho ricevuto la vostra lettera con la bolletta pagata, vi ringrazio dal profondo del cuore e che Dio mi possa aiutare a trovare lavoro». O.T. *** Senza lavoro «Vi scrivo dopo un pò per farvi sapere che purtroppo le cose non vanno bene: sono due mesi che sono rimasta senza lavoro perché la signora dove andavo a lavorare è partita perché si è trasferita. Io adesso la vedo proprio brutta, con due figli da mantenere, mio marito che lavora poco perché non trova, non ce la facciamo proprio. Adesso sono iniziate le scuole e non posso comprare i libri ai ragazzi, abbiamo queste bollette da pagare di acqua e spazzatura e in più sono in ritardo con laffitto di casa, devo pagare due mesi e sono 300 euro. Prima riuscivo a pagarle le bollette perché andavo pure io a lavorare. Mi rivolgo a Fraternità e chiedo di aiutarmi ancora una volta, mi vergogno «Carissimi fratelli, sono R. lavoro saltuariamente per poter aiutare le mie due figlie che hanno problemi, una con la giustizia e ha difficoltà a trovare lavoro e laltra ragazza ha problemi di salute. Da più di tre anni ha il diabete e non accetta questa malattia. Fa linsulina tre volte al giorno e ha bisogno di mangiare determinate cose, ma io non riesco a comprarle perché non ho un lavoro continuo. Spero mi aiuti il mio Parroco facendomi fare le pulizie in Chiesa e qualche volta, anche se non ha bisogno, mi compera lo stesso le medicine. Vi mando la bolletta della luce che non ho potuto pagare, prima che mi tolgano la luce e rimango al buio. Ho due mesi di casa da pagare. Spero tanto che lassistente sociale mi mandi a chiamare come fa ogni anno per lavorare tre mesi per fare le pulizie a Scuola o al Cimitero. Vi ringrazio in anticipo e porgo assieme alle mie due figlie rispettosi saluti». R.V. Ashalayam Casa della Speranza «Carissimi Amici e Benefattori, comincio a scrivere questa lettera, dopo esser passato attraverso le viuzze più contorte e affol- late di questo lembo della città di Calcutta, per arrivare alla Casa dei «Ragazzi della Strada». Non è solo la folla ma sono gli sgangherati bus, i tassì, i tricicli che trasportano ferramenta o verdure ai mercatini... che ingorgano le strade in tal modo che niente si può muovere, finchè qualcuno grida: «eh tu, spostati di dieci centimetri e tu va indietro un po... e tu non aver fretta... mentre tutti i clacson fanno un rumore assordante. Sono venuto qui a vedere i ragazzi della strada e la loro condizione per parlarvi di questo lavoro faticoso che richiede pazienza, costanza e molta speranza. Ashalayam vuol dire Casa della Speranza, dove sono accuditi i ragazzi della strada. Sono ragazzi dai 10 ai 15 anni. Cambiare lo stile di vita di giovani sui 1820 anni necessita tutto un altro metodo e molto più tempo. Cominciata come un semplice posto in cui si distribuivano medicine, poco alla volta si trasformò in rifugio per la notte e poi in un posto dove stare a cominciare una nuova vita. Alcuni ragazzi sono mandati alle scuole governative. Poi si cominciò a insegnar loro un mestiere, con la frequenza presso la nostra scuola di arti e mestieri, poco distanti. Si trovò la necessità di dividerli in piccoli gruppi a secondo delletà e a metterli sotto la tutela di un volontario, che si prenda cura di loro. Alcuni ragazzi si dedicano ai lavori dei campi e degli orti, dove imparano a coltivare verdure da vendere poi nei diversi mercatini. Altri ragazzi che hanno un pò di pro- pensione, fanno dei piccoli cartoncini con disegni di paglia. Le possibilità di farli industriosi in India sono molte. Viene dato lincentivo a mettere da parte qualche soldo su un conto loro, che poi potranno impiegare per fare piccole spese. A poco a poco, passando attraverso diversi stadi, i giovani si abituano a vivere la vita in un modo più umano. Non sempre si riesce a farli preparare al matrimonio, ma una buona percentuale riesce ad arrivare a metter su famiglia. Per coinvolgere altri ragazzi di strada, si tengono ogni mese, in posti differenti, delle piccole fiere organizzate solo per loro. A poco a poco alcuni di essi si decidono a stare per qualche anno alla Casa della Speranza e cominciare così una nuova fase della loro vita. I ragazzi sono educati a dare il proprio valore alle cose, a valutare il beneficio del risparmio. Attorno e nelle vicinanze ci sono circa 20 centri-famiglie per gruppi di ragazzi accuditi da una persona, ma sempre sotto locchio paterno di un sacerdote. Ci sono anche le sezioni per le ragazze di strada guidate da Suore e laici preparati per questo. Sono organizzati gruppi di scout e guide che funzionano molto bene. Tutto sommato in questa Ashalayam (Casa della Speranza) abbiamo circa 350 giovani che ricevono un incoraggiamento e forte aiuto a cambiare vita. Con cuore grato vi ringrazio per laiuto generoso che ci date anche per questo lavoro. Iddio vi benedica. Padre G.V. Si possono inviare offerte con assegni bancari, vaglia postali o tramite c.c.p. n. 10635068 intestato a «Fraternità» Cittadella Cristiana 06081 Assisi. 63 ROCCA 1 NOVEMBRE 2006 paesi in primo piano Carlo Timio rocca schede Vuoi esaminarla? La trovi alla pagina 2 Una interessante proposta per te insegnante e per i tuoi studenti TEMPO di Rocca TEMPO di scuola TEMPO di autunno