CONVEGNO “LA PSICOLOGIA POSITIVA

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CONVEGNO “LA PSICOLOGIA POSITIVA
CONVEGNO
“LA PSICOLOGIA POSITIVA”
Prospettive di ricerca, settori di intervento e sbocchi lavorativi.
Padova, 26 Ottobre 2013
IL PROCESSO DI RESILIENZA: CARATTERISTICHE E FATTORI CHE NE FAVORISCONO LO SVILUPPO.
Dr.ssa Alessia Daminato, Psicologa Psicoterapeuta
SOCIALI
FAMIGLIARI
INDIVIDUALI
La resilienza è un concetto che trae origine dalla fisica dei materiali e indica la proprietà che hanno i corpi
posti sotto pressione di modificarsi senza rompersi.
Se trasliamo questo concetto dalla fisica dei materiali alla psicologia, la resilienza è la capacità che hanno le
persone che hanno vissuto esperienze traumatiche, di intravedere fiducia e speranza all’interno della ferita
subita, di vivere e di svilupparsi positivamente nonostante il trauma.
Secondo Bonanno (2004) la resilienza è un processo e un prodotto dello sviluppo evolutivo della persona,
che pur avendo vissuto esperienze avverse, riesce a mantenere un funzionamento psicologico sano e
stabile nel corso del tempo, riesce a vivere emozioni positive e condurre esperienze generative.
Questo costrutto psicologico è un concetto “interattivo-dinamico” (Costantino, Camuffo, 2009), dove i vari
fattori si intrecciano, si combinano e si inseriscono nella storia della persona che vive all’interno di una
famiglia, nella cornice di una comunità appartenente ad una cultura: possiamo dunque parlare di più livelli
di resilienza (Manetti, Zunino, Frattini, Zini).
I fattori, sia di rischio che di protezione, che concorrono allo sviluppo del processo di resilienza possono
essere:
- Individuali
- Famigliari
- Sociali
Essi sono riportati nella tabella sottostante.
Questa tripartizione è confermata dalla maggior parte della letteratura sull’argomento (Garmezy, 1985,
1993; Malaguti, 2005; Masten, Coatsworth, 1998; Jourdan-Ionescu, 2001; Yates, Egeland, Sroufe, 2003;
Werner 1993; Milani, Ius, 2010).
FATTORI DI RISCHIO
FATTORI PROTETTIVI
Disabilità fisica/mentale, deficit cognitivi/fisici;
qualità negativa dell’attaccamento rispetto alle figure
genitoriali;
uso di sostanze psicoattive;
isolamento sociale; insuccesso scolastico
Intelligenza, abilità sociale;
competenza comunicativa; empatia;
autostima, senso di efficacia;
internal locus of control;
senso dell’umorismo; capacità di problem solving.
Disturbi psichiatrici o fisici in famiglia;
decesso di almeno uno dei genitori;
separazione prolungata dal caregiver;
litigi ricorrenti in famiglia; violenze famigliari; alcolismo;
tossicodipendenza.
Buona struttura educativa;
clima famigliare affettuoso e accogliente;
interazione positiva tra genitori e figli;
valori e credo famigliari condivisi;
attaccamento sicuro genitore-figlio.
Condizioni di povertà; disoccupazione;
Migrazione, isolamento relazionale.
Presenza di un ricco gruppo sociale di pari;
presenza di un adulto significativo al di fuori della famiglia con il
quale stabilire una relazione duratura nel tempo e di sostegno
affettivo;
supporto ai genitori rispetto all’educazione dei figli da parte della
rete formale e informale dei servizi; comunità collaborante;
partecipazione a una struttura sociale positiva; ambiente
scolastico attento.
I vari fattori (di rischio e protettivi) che concorrono allo sviluppo del processo resiliente, non possono
essere considerati singolarmente: nessun fattore considerato in modo isolato può essere predittivo di
resilienza; solamente l’interazione tra i vari fattori può determinare effetti significativi (Costantino,
Camuffo, 2009): un buon livello d’intelligenza ad esempio, pur essendo un fattore protettivo, se
considerato distintamente, non sembra proteggere contro il processo di rischio e non appare correlato alla
resilienza (Rutter, 2007).
Uno stesso fattore solitamente considerato di rischio, come può essere il divorzio dei genitori per un
bambino, può essere considerato un fattore protettivo per un altro soggetto (Waller, 2001).
La resilienza è un processo, un divenire all’interno dello sviluppo evolutivo della persona (Cyrulnik,
Malaguti, 2005), un “work in progress” in cui i fattori si combinano e interagiscono in modo sempre diverso
a seconda delle predisposizioni individuali, del contesto famigliare, sociale e culturale. Non c’è un singolo
modo di essere resilienti e di conservare l’equilibrio, ma una serie di percorsi di resilienza multipli (Luthar,
Doernbergher & Zigler, 1993): ogni persona può essere resiliente o vulnerabile a seconda delle circostanze.
La presenza di un fattore di rischio può essere mitigato da uno di protezione, e allo stesso modo, un fattore
di protezione può essere un fattore di rischio in un’altra circostanza (Manetti, Zunino, Frattini, Zini).
La resilienza non è una caratteristica statica o un tratto permanente: si può essere resilienti di fronte ad un
avvenimento e non ad un altro (es. si può essere resilienti di fronte ad un maltrattamento, ma non alla
morte di uno dei genitori) (Costantino, Camuffo, 2009).
Le ricerche sostengono che tra i fattori protettivi la sensazione di avere un“locus of control” interno sembra
rappresentare il più consistente elemento predittivo di resilienza a tutte le età (Scudder, Sullivan, CopelandLinder, 2008). E ancora dalle ricerche emerge che, le relazioni affettive di sostegno sembrano essere uno
dei fattori più significativi nello sviluppo di giovani resilienti: gli individui che risultano più resilienti hanno
vissuto in famiglie con una struttura educativa adeguata sia dal punto di vista normativo che affettivo
(Turner, 2007).
I fattori protettivi appartengono alla sfera delle relazioni, della qualità e della coloritura affettiva del
contesto relazionale; i processi protettivi determinano il modo in cui i fattori protettivi tutelano in caso di
situazione di rischio (Masten, Reed, 2002).
La resilienza inoltre è un costrutto che si esprime in modo differente, secondo le diverse culture: non ha
senso studiare la resilienza se non inserendola all’interno di un contesto culturale e socio-economico di
riferimento (Ungar, 2008).
Le ricerche che valutano l’influenza della cultura sulle traiettorie dello sviluppo della resilienza non sono
molte; recentemente sono stati condotti degli studi sulle popolazioni palestinesi e israeliane che vivono
stress da terrorismo ormai da anni: Feldman, Masalha, (2007); Gelkopf, Solomon, Berger, Bleich (2008);
Hobfoll, Canetti-Nisim, Johnson, Palmieri, Valery, Galea (2008); Nguyen-Gillham, Giacaman, Naser, Boyce,
(2008).
I dati hanno confermato che la cultura ha un’influenza specifica sullo sviluppo umano, in modo particolare
nel determinare fattori di rischio e fattori di protezione che concorrono alla formazione del processo
resiliente.
Altri elementi protettivi che se presenti possono mitigare e compensare i funzionamenti distruttivi sono:
- la presenza di “tutori di resilienza”
- la ricostruzione del senso di ciò che è accaduto: la possibilità di dare senso narrativo alla propria vita.
- l’umorismo
- la creatività
- la spiritualità
Dalla letteratura emerge che la resilienza nei bambini che hanno vissuto eventi sfavorevoli, è maggiore se
essi nel corso della loro vita hanno incontrato un adulto, o più, che ha offerto loro un reale sostegno a
livello affettivo e ha avuto per loro una funzione di guida autorevole e benevola.
Il tutore di sviluppo “dedica del tempo, riconosce e conosce, vede il bambino” (Milani, Ius., 2010, pag. 278):
risponde cioè al bisogno del bambino di essere riconosciuto nella propria singolare identità. Lo aiuta a
costruire e raccontare la propria storia.
Il tutore di resilienza è un adulto solido, che ha una presenza stabile e duratura nel tempo, che ascolta il
bambino, ne valorizza e ne stimola le capacità, la curiosità e lo accompagna lungo il processo della crescita
(Milani, Ius, 2010). E’ un caregiver che trasmette fiducia al bambino, in quanto dedicandogli del tempo,
ascoltandolo, dialogando con lui gli veicola il messaggio fondamentale che lui è una persona importante e
che merita di essere amato solo perché esiste (Mastromarino, 2000 p. 4). Questa convinzione di essere
degno di amore, insieme alla decisione e alla convinzione di essere competente rappresentano i due pilastri
fondanti dell’autostima (Mastromarino, 2000).
Altro elemento protettivo importante nel processo resiliente è riuscire a comprendere e rielaborare il
trauma subito: questo avviene se c’è la possibilità di parlare dell’evento traumatico, di dare all’accaduto un
significato e di rappresentare il trauma sottoforma di narrazioni, di emozioni e di immagini. Questo
conferisce dignità alla persona e ne conferma la sua sofferenza, in modo tale che diventi narrabile e entri a
far parte della sua memoria e storia senza esserne un tabù (Cyrulnik, 2001).
Altri fattori che promuovono la resilienza sono: l’umorismo, la creatività e la spiritualità.
L’umorismo porta alla scoperta del lato positivo della vita: infatti quando i problemi e le difficoltà rischiano
di sommergere il piacere, l’umorismo aiuta a ritrovare il senso, il significato e la fiducia nella vita.
L’umorismo è un “ingrediente” dell’intelligenza che in situazioni sconvenienti permette, sdrammatizzando e
usando l’ironia, di percepire l’esistenza come positiva nonostante tutto.
Questo fattore funziona come “rivelatore” poiché ricorda il lato positivo ed essenziale della vita (Cyrulnik,
Malaguti, 2005).
La creatività coincide con il saper produrre nuove idee e punti di vista, pensare e dare origine a qualcosa
che ancora non esiste, proiettare in avanti un’immaginazione o un’intuizione: questo implica avere una
visione del futuro e può implicare avere fiducia e desiderio di condurre esperienze generative. Il concetto di
generatività viene considerato una categoria di fattori protettivi (Milani, Ius, 2010).
Altro elemento importante del processo resiliente è la spiritualità che spesso implica una profonda
religiosità e un senso di appartenenza ad una comunità di fedeli. Questo aspetto dell’esistenza delle
persone può essere considerato una “base sicura” da cui trarre forza nei momenti più difficili e dolorosi,
influenzando così il processo di resilienza (Walsh, 1998).
Non solo: emerge da alcune ricerche che le persone in grado di perdonare chi ha provocato loro il trauma,
risultino più resilienti. Con il perdono il carico di sofferenza viene alleggerito (Semizzi, 2009).
La Psicologia Positiva può dare il suo contributo allo studio e nel favorire il processo di resilienza nelle
persone:
- studiando le emozioni positive
- puntando sul ruolo educativo dell’adulto: formando tutori di resilienza
- promuovendo azioni di sostegno alla genitorialità
- focalizzandoci sull’analisi delle risorse delle persone (le potenzialità, le virtù e le abilità), piuttosto
che sul disagio
Studio delle emozioni positive
Le emozioni positive (gioia, contentezza, serenità, interesse, orgoglio, gratitudine e amore) sono essenziali
per la sopravvivenza e per l’adattamento, perché collegano l’individuo al mondo e agli altri. Le emozioni
piacevoli producono effetti motivazionali, migliorano la performance e l’apprendimento. Hanno un ruolo
fondamentale nel piacere che proviene dal senso di padronanza, dal raggiungimento di una competenza e
dalla creazione di legami sociali (Greenberg, Paivio, 2000)
L’interesse e la gioia attivano e guidano il comportamento esplorativo alla ricerca di novità, questo
promuove crescita, sviluppo e apprendimento. Allo stesso modo amore e gioia motivano la formazione e il
mantenimento di relazioni, in quanto promuovono i legami interpersonali (Greenberg, Paivio, 2000).
Capacità di problem solving, creatività, competenza, senso di efficacia e buone relazioni interpersonali sono
tutti fattori che concorrono al “processo protettivo” che promuove resilienza (Masten, Reed, 2002).
Inoltre uno dei meccanismi più importanti della resilienza è la capacità di saper passare da emozioni
negative a emozioni positive e nell’essere in grado di riservare un certo distacco per mantenere la
separazione tra emozioni piacevoli e spiacevoli durante i periodi stressanti (Semizzi, 2009).
Altro contributo importante che come psicologi possiamo offrire è: formare adulti (operatori dei vari servizi
alla persona) come tutori di resilienza, che sappiano trasmettere fiducia, speranza e apertura al futuro alle
persone di cui saranno i tutori.
E’ importante aumentare la quantità e la qualità delle interazioni reali sia tra adulti, sia tra adulti e bambini:
è fondamentale che ci sia più tempo per il dialogo e per l’ascolto, più spazio per stare insieme e per fare
qualcosa insieme responsabilizzandosi reciprocamente e prendendosi cura l’uno dell’altro (Milani, Ius,
2010).
Per questo è importante anche investire sulla genitorialità, aiutando i genitori nel complesso ma
fondamentale ruolo educativo che è finalizzato a creare risorse di crescita, a trasmettere fiducia e
competenza, condizioni che rendono libere le persone permettendo loro di sfuggire dalla logica del
determinismo secondo cui ciò che sono dipende da ciò che hanno vissuto (Milani, Ius, 2010).
Le persone possono invece imparare, usando la propria creatività e le proprie risorse, a scrivere la propria
storia.
Nel nostro lavoro come psicologi è fondamentale focalizzarsi sull’analisi delle risorse e delle abilità degli
individui: pur senza negare i problemi o le difficoltà, è opportuno puntare l’attenzione sui loro punti di forza
come base per aiutare le persone a costruire un proprio benessere o una propria “difficile normalità” di cui
nonostante tutto possono essere soddisfatte (Milani, Ius, 2010 p.25).
E’ importante dunque “non clinicizzare qualunque problema” e cercare “qualcosa che si salva” all’interno
della difficoltà, della vita quotidiana e della rete informale di aiuto (Milani, Ius, 2010, p. 298) e a partire da
questo, aiutare le persone a costruire un nuovo finale per la propria vita.
La resilienza infatti non è una concezione “tutto o nulla” (Costantino, Camuffo, 2009; Semizzi, 2009), ma è
una condizione complessa in cui possiamo trovare contemporaneamente spazio per note di ottimismo,
positività e fiducia e note di esasperazione, pessimismo e sofferenza: è un “affresco contraddittorio”
(Semizzi, 2009, p. 20) in cui disagio e benessere coesistono e convivono, in una sorta di “magia ordinaria”
(Masten, 2001), dove la magia la fanno l’ambiente umano e la relazione interpersonale che risultano essere
la cura principale. “Solo la relazione, dopo il trauma, può essere farmaco, viatico, protezione che aiuta la
ripresa interrotta della crescita” (Milani, Ius, 2010, p. 285).
“C’è una crepa in ogni cosa, ma è da lì che passa la luce”
Leonard Coen
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