Fallaci: «Berlinguer, lei è un poeta» : nei nastri, ritrovati gli inediti

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Fallaci: «Berlinguer, lei è un poeta» : nei nastri, ritrovati gli inediti
Comunisti Italiani - Federazione di Messina
Fallaci: «Berlinguer, lei è un poeta» : nei nastri, ritrovati gli inediti dell'intervista nell'80
domenica 16 dicembre 2007
Ultimo aggiornamento domenica 16 dicembre 2007
Fabio Cutri - Corriere della Sera - 14 dicembre 2007
Lei che elogia un discorso di Tito. Lui che confessa di non apprezzare troppo John Kennedy. Lei che definisce una
catastrofe gli interventi degli Stati Uniti in America Latina. Lui che rivela di essere stato prima anarchico che comunista.
Non c'è niente di scontato quando lei è Oriana Fallaci e lui Enrico Berlinguer. Sono uno di fronte all'altra nell'ufficio del
segretario al secondo piano di Botteghe Oscure. Il tavolo pieno di carte, la foto di Gramsci alla parete. Parlano e fumano
per quasi sei ore. La giornalista, come al solito, registra. E non tutto quello che si dicono finisce poi nell'intervista
pubblicata il 26 luglio 1980 in contemporanea sul Corriere della Sera e sul Washington Post. Piccoli retroscena inediti,
rivelati dai nastri, restituiscono in pieno due visioni politiche e due personalità che non potrebbero essere più distanti. «Io
voglio dimostrare agli americani, che non capiscono nulla perché sono ignoranti, che il Partito comunista italiano oggi
non è più il partito di "Ha da veni' Baffone"», dice la Fallaci. E per dimostrarlo le prova tutte: cerca di provocare
l'interlocutore, di estorcergli una sfuriata contro un alleato o un avversario, di fargli confessare una debolezza. «Lei mi
vorrebbe spingere all'invettiva, ma io tento di trovare soluzioni, non di lanciare anatemi», la rimprovera con garbo
Berlinguer. E ancora: «Affronta tutto come se fosse un dilemma estremo, non può vedere solo un lato della questione».
Ma lei non demorde: «Vada tranquillo, con me, Berlinguer, non si spazientisca, faccio la parte del diavolo». Un'intervista
decisamente riuscita quella con il segretario del Pci (è uno degli incontri raccontati nella sezione dedicata ai politici
italiani della mostra «Oriana Fallaci. Intervista con la Storia», che apre domani a Roma). Berlinguer afferma di sentirsi
più al sicuro nel Patto Atlantico di come starebbe in quello di Varsavia, critica la mancanza di libertà in Urss, condanna
l'invasione sovietica in Afghanistan. Si parla molto di America. Quando la Fallaci gli dice che Washington punta su
Bettino Craxi («In America quando mi vogliono insultare mi chiamano commy, comunista»), Berlinguer fa notare che in
Portogallo un simile endorsement non ha portato bene a Mario Soares. «Succedesse la stessa cosa a Craxi, accenderei
un cero alla Madonna», sbotta subito lei. Poi comincia un siparietto assai gustoso, che sembra lontano da noi non
ventisette, ma mille anni. «Tutti i comunisti che son venuti a New York, io li raccatto sempre, si sono innamorati
dell'America — racconta maliziosamente la Fallaci —. Piace più a loro che a me. A me piace New York,
l'America non è però tutta bella gli dico io, ma non c'è niente da fare, per loro è tutto meraviglioso ». Lui chiede allora chi
sarebbero questi comunisti, lei gigioneggia: «I comunisti italiani, davveeeero, davveeeero... E credo che l'America
piacerebbe anche a lei». «Non vorrei pronunciarmi prima di aver visto — risponde un Berlinguer serioso e fiero
della propria diversità —, ma non penso che lo stile di vita americano possa piacere tanto ai comunisti ». Si parla
anche dei tassisti, e qui si ha invece l'impressione di origliare da dietro la porta dell'odierno sindaco di Roma. Criticando
la proverbiale obbedienza dei militanti rossi, la Fallaci racconta: «Il tassista che mi ha accompagnata era un comunista,
ma mi ha giurato che loro a Roma non vi votano più: "Ce l'hanno con noi — diceva inferocito — e noi gli
buttiamo via il sindaco, rivogliamo l'amministrazione democristiana" ». «È per la questione delle licenze », le spiega
Berlinguer. «Sì, sì — riprende lei —, ma non si preoccupi, mi ha anche detto che alle politiche vi voteranno
comunque». Il «fuori onda» forse più emblematico e attuale comincia quando la Fallaci si scaglia contro l'Iran,
deplorando la brutale lapidazione di due adulteri e due omosessuali. «Non molti secoli fa anche in Europa si andava al
rogo — le fa notare Berlinguer —. Ora lei mi dirà che approvo Khomeini, ma è solo che non accetto questo
Occidente che dà sempre lezioni...». «Io sono orgogliosa di essere occidentale — lo interrompe la Fallaci —
e oggi questo è diventato quasi un crimine». «Anche io ne sono orgoglioso», aggiunge paziente Berlinguer, che spiega
come però il credere di avere tutte le ragioni dalla propria parte e l'incapacità di comprendere l'altro siano il peggiore guaio
del mondo. Bisogna essere razionali, rifiutare la logica del «nemico» e ogni sorta di fanatismo: «Perché la distensione è
la condizione imprescindibile per chiedere il rispetto dei diritti umani». Il braccio di ferro continua. La chiacchierata
potrebbe benissimo finire in un litigio. Di solito capita, lei è sempre la prima a cercare lo scontro e oggi non le
mancherebbero certo i pretesti. Invece tutto fila liscio. Non è solo una questione di cortesia. La stima della Fallaci per il
segretario del Pci è quasi palpabile. Pajetta le è molto simpatico, considera Amendola un amico, ma il fascino di Enrico
Berlinguer è tutta un'altra cosa. «Lei ha l'animo di un poeta, non quello di un politico — gli dice a un certo punto la
Fallaci —. E a star qui con lei imparo a parlar diplomatica pure io».
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