La valutazione delle macropermanenti - Lider Lab

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La valutazione delle macropermanenti - Lider Lab
La valutazione
delle macropermanenti
Profili pratici e di comparazione
a cura di
Giovanni Comandé e Ranieri Domenici
Edizioni ETS
La valutazione
delle macropermanenti
Profili pratici e di comparazione
a cura di
Giovanni Comandé e Ranieri Domenici
Edizioni ETS
www.edizioniets.com
L’Editore concede la pubblicazione gratuita
della versione elettronica di questo libro al sito
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Distribuzione
PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]
ISBN 88-467-1317-6
Indice
Premessa
V
Parte I
La biforcazione micro e macro-permanenti nella pratica giudiziale: prospettive interdisciplinari
1
Una ricerca sulle macropermanenti.: perché?
F.D. Busnelli
3
Il problema delle microlesioni: uguaglianza nella diversita’ o diversità nell’uguaglianza?
G. Ponzanelli
9
Dal calcolo a punto al calcolo a punto differenziato: una storia in evoluzione
M. Rossetti
15
Danni alla persona ed assicurazione
L. Desiderio
25
Interesse medico legale delle macropermanenti
R. Domenici
29
Lo stato anteriore e le macromenomazioni
Luigi Papi
35
Danno alla persona ed uniformità del risarcimento
A. Longo
45
Problemi e prospettive per le macropermanenti nei rapporti tra danno alla persona
e pratica assicurativa
M. Gagliardi
51
Le macropermanenti: un’analisi
C. Toni, L. Marino
61
Micropermanenti e Macropermanenti, Equità Spaziale ed Equità Intertemporale:
la Prospettiva Economica
G. Turchetti
69
Parte II
Il danno alla persona in altre esperienze: “lezioni” ed “ammonimenti”
75
Il calcolo a punto francese: applicazioni e contraddizioni
S. Cacace
77
Il modello tedesco delle Schmerzensgeldtabellen
S. Wünsch
85
L’evoluzione del modello inglese: il ruolo della Court of Appeal nel controllo dei valori liquidati
e le Guidelines dello Judicial Studies Board
L. Di Bona De Sarzana
97
Il modello spagnolo e le sue incongruenze
L. Nocco
107
L’esperienza latino-americana del danno alla persona
S. Pinto Oliveros
117
V
Le macropermanenti in Québec: l’esempio della Loi sur l’assurance automobile
M.-E. Arbour
131
Lesioni e macrolesioni nel sistema risarcitorio svedese
A. Renda
139
Parte III
La valutazione delle macropermanenti: prime sperimentazioni
153
Il calcolo a punto: le ragioni medico-legali
R. Domenici
155
Necessità dell’introduzione di un sistema di valutazione delle macropermanenti:
le ragioni del settore assicurativo
M. Scalise e M. Francescangeli
159
La “nuova” valutazione delle macropermanenti: il Sistema Informativo
per le Macropermanenti (SIM)
G. Comandé
165
Tavola SIM ordinata per somma e per funzione
173
VI
Premessa
Il presente volume raccoglie contributi sviluppati nell’ambito delle attività dell’Osservatorio sul
Danno alla Persona (ODP) costituito dalla Scuola Superiore Sant’Anna e dall’ISVAP nel 2004 ed
operante all’interno del Laboratorio Interdisciplinare Diritti e Regole (www.lider-lab.org).
Su indicazione del Comitato Scientifico dell’Osservatorio (presieduto dal Prof. Busnelli e composto, oltre che dai curatori del presente volume, dai Prof. Arbarello e Ponzanelli e dagli Avv. Francescangeli e Scalise dell’ISVAP) e tra le diverse attività di ricerca e di formazione svolte, sono stati
selezionati alcuni contributi legati dal filo rosso di un approfondimento delle problematiche giuridiche, medico legali, economiche ed assicurative connesse alla valutazione delle c.d. menomazioni
macropermanenti, nella convinzione che queste richiedano una specifica attenzione interdisciplinare e che i tempi siano maturi per una riflessione sulle peculiarità liquidative di questi danni di grave
entità.
In questa direzione approfondire le specificità che segnano una non nettissima linea di confine
tra danni alla persona di media entità e macropermanenti potrà risultare utile sia nella prospettiva di
una rilettura del sistema di responsabilità e di liquidazione del danno alla persona (si allude anche a
prospettive di indennizzo diretto in alcuni settori della r.c.) sia nella ricerca di livelli crescenti di giustizia nella liquidazione del danno alla persona. A tal fine ci è sembrato importante ed utile per il dibattito municipale così come per la prassi operativa coniugare l’approccio interdisciplinare con uno
sforzo di comparazione e di informazione.
Questo volume vuole essere un contributo, lo si ripete, sia alla comune riflessione sui danni alla
persona sia all’operare quotidiano di magistrati, avvocati, medici legali ed assicuratori. Infatti, è risultata palese l’inadeguatezza del sistema tabellare ad esprimere pienamente le peculiarità delle ipotesi di macrodanni alla persona. La riflessione interdisciplinare e gli spunti offerti da altre esperienze ci hanno indotti a costruire uno strumento innovativo per assistere coloro che devono quantificare il danno alla persona in queste ipotesi. A tal fine si è avviata la raccolta di decisioni concernenti
macro-menomazioni e si è sviluppato il modello e la base dati in cui esse confluiscono.
In appendice del volume si pubblicano le tavole estratte dal Sistema Informativo per il danno alla
persona che si sta allestendo nell’Osservatorio in modo da permettere al più presto un continuo aggiornamento degli operatori attraverso la messa a disposizione della casistica giurisprudenziale.
Quello allegato al presente volume e di seguito illustrato è un «campione» cartaceo in evoluzione
delle prospettive di documentazione (e quindi di illustrazione a fini di liquidazione del danno) per
la valutazione del danno alla salute in caso di lesioni altamente invalidanti.
Si tratta di una operazione culturale volta alla condivisione delle informazioni (ovviamente nel
pieno rispetto del codice della privacy) che richiede il contributo di tutti gli attori coinvolti attraverso la messa a disposizione delle decisioni giurisprudenziali che possono essere inviate all’ODP.
Tale operazione culturale è complessa e siamo particolarmente grati all’ISVAP che, oltre ai contributi scientifici pubblicati nel presente volume, ha contribuito al finanziamento della sua pubblicazione. Ciò ci ha consentito, grazie pure alla collaborazione dell’editore, di pubblicarlo e distribuirlo anche su Internet gratuitamente per potere dargli la massima diffusione.
Giovanni Comandé - Ranieri Domenici
Pisa, 28 giugno 2005
VII
PARTE I
La biforcazione micro e macro-permanenti
nella pratica giudiziale:
prospettive interdisciplinari
Una ricerca sulle macropermanenti: perché?
F.D. BUSNELLI
1. Un’altra estate – questa del 2005 – bussa alle porte. Sono passati due anni da quella che segnò,
con le sentenze n. 8828 e n. 8827 della Corte di Cassazione, seguite «a ruota» dalla sentenza n. 233
della Corte costituzionale1, un vero e proprio «giro di boa» per il danno alla persona2. Volendo tentare un primo bilancio di questi due anni, si può forse azzardare l’impressione che, dei «chiaroscuri» di quella estate3, il «chiaro» tende ora a prevalere sullo «scuro»; le luci del «nuovo» danno non
patrimoniale tendono ora a diradare le tenebre.
2. Fuor di metafora: quali erano state le oscurità allora evidenziate? Val la pena di sintetizzarle
schematicamente.
a) Le sentenze della Corte di Cassazione potevano ingenerare il sospetto di una, più o meno consapevole, «abrogazione criptica» dell’art. 2059. Lo aveva notato, con la consueta acutezza, anche
Paolo Cendon4 che prospettava per l’art. 2059, così «rivisitato», l’alternativa tra «un grande e luminoso futuro» e un destino «devitalizzato». Tuttavia, mi era sembrata del tutto da scartare l’idea paradossale che la Corte di Cassazione – proprio nel momento in cui manifestava l’intento di infondere
una rinnovata vitalità alla norma dell’art. 2059 – avesse consapevolmente messo in conto l’eventualità di una «dolce morte» della stessa norma per sopravvenuta inutilità di una sua persistente vita autonoma; ed avevo auspicato uno sforzo sistematico volto a dare piena luminosità al discrimen tra art.
2043 e art. 2059 «rivisitato», incanalando quest’ultimo entro nuovi argini che ne impedissero la dispersione o la banalizzazione dei caratteri distintivi. Ebbene, come si vedrà, l’auspicio sembra destinato ad avverarsi.
b) Rimaneva alquanto oscura la sorte che si intendeva riservare al danno biologico nella sua innovativa qualificazione come danno non patrimoniale. Non era possibile, più precisamente, capire se
l’ammonimento a non ritagliare all’interno della categoria generale del danno non patrimoniale «specifiche figure di danno» dovesse valere anche per il danno biologico o se a quest’ultimo dovesse essere mantenuta una qualche autonomia.
Le indicazioni che potevano trarsi dalla sentenza n. 8828 erano tra di loro contrastanti: in un passo
della motivazione si faceva riferimento al danno biologico come «peculiare figura di danno», quasi a
volerne riconoscere l’autonomia; ma poco dopo si alludeva, con una certa disinvoltura, al «cosiddetto
danno biologico», quasi a voler disconoscere quanto appena riconosciuto.
La coeva sentenza n. 8827 – la cui motivazione è quasi perfettamente sovrapponibile a quella della
sentenza n. 8828, della quale riporta tra virgolette larghi tratti – si distaccava qui dalla sua «gemella»
per accreditare esplicitamente il possibile superamento dell’autonomia del danno biologico, giudicando corretta «un’unica valutazione equitativa di tutti i danni non patrimoniali, senza una distinzione – bensì opportuna, ma non sempre indispensabile – …[di] quanto deve essere liquidato a titolo di
risarcimento del danno biologico in senso stretto». In occasione di uno dei tanti incontri suscitati dal
«giro di boa», l’estensore di questa sentenza intervenne benevolmente per sdrammatizzare la mia
1 Cass., Sez. III civile, 31 maggio 2003, n. 8828 (est. Preden) e n. 8827 (est. Amatucci); Corte cost., 11 luglio 2003, n. 233 (rel. Marini).
Vedile in Corr. Giur. 2003, pp. 1017 ss., con Nota di M. FRANZONI.
2 Il riferimento è a F.D. BUSNELLI, Il danno alla persona al giro di boa, in Danno e resp., 2003, p. 237 ss.
3 Sia consentito, anche qui, rinviare a F.D. BUSNELLI, Chiaroscuri d’estate. La Corte di Cassazione e il danno alla persona, ivi, 2003,
p. 826 ss.
4 P. CENDON, Anche se gli amanti si perdono l’amore non si perderà. Impressioni di lettura su Cass. 8828/2003, in Resp.civ. prev., 2003,
p. 691 ss.
3
F.D. Busnelli
preoccupazione di una morte «per annegamento» del danno biologico, anticipando la previsione che
esso sarebbe comunque «rimasto a galla». Ebbene, anche questa previsione – a prescindere dalla illazione, da me allora scherzosamente avanzata, che non sempre ciò che galleggia è particolarmente
apprezzabile – era destinata ad avverarsi.
c) Non era chiara, infine, la latitudine risarcitoria immaginata per gli «altri» danni non patrimoniali, una volta affrancati dal necessario ancoraggio al reato. Non mi era sembrato sufficiente, in particolare, il mero riferimento agli «interessi costituzionalmente protetti», ai quali sarebbe stato necessario assicurare «una forma minima di tutela … non assoggettabile a specifici limiti»; né mi era parso
che potesse esservi equipollenza tra la specificità costituzionale dei «diritti inviolabili dell’uomo» e
l’ordinaria generalità dei cosiddetti «interessi inerenti alla persona», indifferentemente evocati dalla
sentenza n. 8828: la quale, del resto, tradiva una certa vocazione al lassismo risarcitorio là dove essa
menzionava, tra le sentenze «antesignane», quella che per prima aveva costruito un «diritto (reciproco) di ciascun coniuge ai rapporti sessuali con l’altro coniuge»5, asserendo che «le rinunce forzate alle gioie e alla pienezza del sesso» – l’espressione è di Patrizia Ziviz, che vi ravvisava una ipotesi
di danno esistenziale6 – sarebbero «di per sé risarcibili» in quanto «menomano la persona dell’altro
coniuge nel suo modo di essere e nel suo svolgimento nella famiglia». Restava, dunque, ambigua la
posizione della Suprema Corte che, per un verso, non riconosceva il danno esistenziale come figura
a sé stante (ammonendo anzi, a non ritagliare, come si è già ricordato, «specifiche figure di danno»)
ma che, per altro verso, sembrava giustificare, o quanto meno non ostacolare, un’apertura indiscriminata alla risarcibilità di danni «bagatellari»: un’apertura che, come si vedrà, non sembra essersi
pienamente realizzata, quanto meno al livello della giurisprudenza di legittimità.
2. I due anni trascorsi dopo il «giro di boa» sono serviti, come si accennava, a diradare le oscurità, consentendo una complessa operazione di «ripescaggio» di consolidate – e non superate – acquisizioni dottrinarie e giurisprudenziali, vòlta a saggiarne la compatibilità con la, ormai indiscussa, «lettura costituzionalmente orientata» della norma dell’art. 2059. Riprendendo in esame i punti «critici» sopra evidenziati, si possono quindi tracciare alcune linee di una evoluzione, entro certi limiti,
chiarificatrice.
Sub a) La «dolce morte» dell’art. 2059 sembra scongiurata.
La Corte di cassazione ha mostrato di voler seguire, e sviluppare, le sia pur striminzite indicazioni offerte immediatamente dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n. 233/2003, aveva esplicitato la necessità di difendere «il quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello
non patrimoniale», e con riguardo a quest’ultimo aveva tracciato le linee di «una funzione tipizzante
dei singoli casi di risarcibilità» riconducibili alla nuova «trilogia»: danno morale soggettivo, danno
biologico in senso stretto, danno «derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona (spesso definiti in dottrina e in giurisprudenza come esistenziali»).
Particolarmente significativa può dirsi al riguardo la sentenza n. 10482/20047, secondo la quale
«perché sia risarcibile il danno non patrimoniale rimane pur sempre necessario che la risarcibilità di
tale danno sia prevista dalla legge, … salvo per il danno non patrimoniale da lesione di valori della persona umana costituzionalmente garantiti, … giusta quanto affermato dalla recente e condivisa giurisprudenza».
Tre sono le indicazioni che possono trarsene. Anzitutto vi è una conferma di una «tipicità» fatta di
rinvio alle regole, che continua a caratterizzare la funzione dell’art. 2059 con riguardo all’ordinaria
congerie dei danni non patrimoniali, non ulteriormente qualificati. «Straordinari», in quanto caratterizzati da una «tipicità» fatta di rinvio ai principi costituzionali – questo è il messaggio «innovativo»
5 Cass., 11 novembre 1986, n. 6607 (est. Scherni), in Nuova giur. civ. comm., 1987, p. 343 ss., con Nota di commento di G. FERRANDO.
Nello stesso senso v., successivamente, Cass. 21 maggio 1996, n. 4671 (rel. Marletta), in Resp. civ. prev., 1997, p. 123 ss., con Osservazioni
di E(nza) P(ellecchia).
6 P. ZIVIZ, Alla scoperta del danno esistenziale, in La responsabilità extracontrattuale. Le nuove figure di risarcimento del danno nella
giurisprudenza, a cura di P. CENDON, Milano, 1994, p. 43.
7 Cass., Sez. III civ., 1° giugno 2004, n. 10482 (est. Segreto), in Foro it., 2005, I, c. 1487 ss., con Osservazioni di A.L. BITETTO.
4
Una ricerca sulle macropermanenti: perché?
– sono i danni «fatti salvi» (per ben tre volte la sentenza in esame li evoca facendo precedere la loro
menzione dal sintomatico avverbio «salvo»): ipotesi, queste, di particolare rilevanza, in presenza delle
quali, «venuta meno la limitazione posta dall’art. 2059, la responsabilità oggettiva fonda non solo il
risarcimento del danno patrimoniale ma anche di quello non patrimoniale». Il che, beninteso, vale
non soltanto per i «danni morali» (specificazione, questa, che ricorre una sola volta nella motivazione) ma anche per i danni biologici (anche se non sono espressamente menzionati). Una terza indicazione, implicita, sembra potersi trarre dalle prime due: è la conferma di voler prendere «sul serio» il
rinvio ai principi costituzionali, impegnando il giudice civile – giusta un’interpretazione già prospettata in dottrina in sede di commento della sentenza n. 233/2003 della Corte costituzionale8 – «a valutare in concreto se una condotta lesiva produca un’offesa tale da coinvolgere il diritto nella sua
dimensione inviolabile, ed è facilmente immaginabile che lesioni di rilevanza minima difficilmente
superino tale vaglio, tanto più in quanto rendano anche dubbia la serietà del danno lamentato».
Sub b) Il danno biologico, nel suo «(ri)travaso» dall’art. 2043 all’art. 2059, sopravvive incontaminato, conservando in particolare quel profilo peculiare di «suscettibilità di valutazione economica»,
che in passato – e fino al «giro di boa» – aveva «pienamente giustificato il travaso di tale danno dall’art. 2059 all’art. 2043».
Emblematica è, qui, la sentenza n. 3399/2004 della Corte di cassazione9: la quale, dopo aver constatato che « non vi è più la necessità di allocare la tutela del [leso da] danno biologico nell’art. 2043,
attraverso la costruzione dell’ipotesi del ‘danno-evento’ o del tertium genus di danno rispetto al
danno patrimoniale ed al danno morale subiettivo», afferma categoricamente che «rimangono validi
i principi elaborati da questa corte per il risarcimento del danno biologico», e in particolare il criterio «che assume a parametro il valore medio del punto di invalidità, calcolato sulla media dei precedenti giudiziari», purché la relativa decisione «sia sorretta da congrua motivazione in ordine all’adeguamento del valore medio del punto alla peculiarità del caso». «Tale criterio di liquidazione del
danno biologico – questa è, sul punto, la conclusione della sentenza in esame – non muta, pur a seguito del nuovo orientamento di questa corte sulla portata dell’art. 2059».
Non soltanto, dunque, sopravvive il danno biologico; ma non cambia la relativa valutazione, con
tutte le acquisizioni (fondamentali rimangono, sul punto, i princìpi fissati dalla Corte costituzionale
con la sentenza n. 184/1986) e con tutti i problemi ancora irrisolti.
Sub c) Significativamente diverso è l’approccio alla valutazione dei danni «derivanti dalla lesione
di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona», così come enunciato da una recentissima sentenza che si è dovuta occupare degli strascichi civilistici della triste vicenda genovese del
G810: non è concepibile – questa è la conclusione – «una tabellazione del pregiudizio alla libertà di
movimento o di autodeterminazione o dell’onore». Né – può aggiungersi – si giustifica, nei frequenti casi di concorso con un danno biologico, il diffuso orientamento giurisprudenziale a valutare, in
particolare, il danno esistenziale rapportandolo «ad una frazione di quello biologico»11. D’altro
canto, la giurisprudenza non può, in prospettiva, rinunziare a darsi dei «lineamenti sistematici» muovendo, anche qui, dall’esigenza di contemperare uniformità di base e adeguamento al caso concreto;
ma l’operazione è assai più complessa, giacché – come è stato messo in evidenza – «mentre la base
omogenea del danno biologico consiste in una stima direttamente riguardante il pregiudizio …; viceversa, negli altri danni alla persona i soli criteri uniformi di riferimento consistono nel tipo e nella
gravità dell’offesa, considerati in relazione ad elementi oggettivi inerenti alla vittima, che contribuiscono a far desumere l’entità della ricaduta sulla sua esistenza»12.
Al tempo stesso, la rilevata complessità dei criteri di valutazione non può non riflettersi, per così
8
E. NAVARRETTA, La Corte costituzionale e il danno alla persona «in fieri», in Foro it., 2003, I, c. 2003 s.
Cass., Sez. III civ., 20 febbraio 2004, n. 3399 (est. Segreto), in Foto cit., 2004, I, c. 1059 ss.
10 Trib. Genova, 25 aprile 2005, n. 2295 (giud. Braccialini), ined.
11 V., da ultimo, le sentenze di merito annotate da P. ZIVIZ, e la relativa critica da parte dell’Autrice (Danni da mobbing), in Resp. civ.
prev., 2005, pp. 502 ss., 512 ss.).
12 Cfr. E. NAVARRETTA, I danni non patrimoniali nella responsabilità extracontrattuale, in E. NAVARRETTA (cur.), I danni non patrimoniali. Lineamenti sistematici e guida alla liquidazione, Milano, 2004, p. 45 s.
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5
F.D. Busnelli
dire «a monte», sulla selezione dei danni stessi, condizionando necessariamente la soluzione del
problema, aperto dal «giro di boa», della latitudine risarcitoria dei danni «derivanti dalla lesione di
(altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona».
Al riguardo, un chiarimento sembra potersi trarre, per così dire, dall’alfa e dall’omega della giurisprudenza all’uopo coinvolta: ossia da una delle più recenti sentenze della Corte di cassazione, che
ha parlato esplicitamente di «danni esistenziali» per riferirsi ai danni in questione, per un verso, e da
una delle tante sentenze dei Tribunali e (soprattutto) dei Giudici di Pace sullo stesso argomento che
si distingue dalle altre, per lo più sconfinanti nella presa in considerazione di danni «bagatellari» frettolosamente qualificati come «danni esistenziali».
La sentenza n. 2050 della Corte di cassazione13 mostra di avere piena consapevolezza dei pericoli
di un «lassismo» risarcitorio, che a suo avviso può essere scongiurato tenendo presente che «la selezione degli interessi meritevoli di tutela avviene con il parametro costituzionale (addirittura, se il riferimento è all’art. 2, con la sola considerazione dei diritti ‘inviolabili’)»; e vi si fa menzione, di un «possibile (e discusso) ulteriore criterio selettivo … che richiede inoltre, come previsto da altri ordinamenti per i danni non patrimoniali, una gravità dell’offesa che giustifichi la riparazione». Nel caso
sottoposto all’attenzione della Suprema Corte (il noto «caso Barillà», vittima di una ingiusta e prolungata carcerazione), la gravità dell’offesa è evidente; e il «danno esistenziale» viene richiamato per
sintetizzare «un caso emblematico di sconvolgimento esistenziale». Dunque, qui la qualifica di
«danno esistenziale» coincide perfettamente con un danno «derivante dalla lesione di interessi di
rango costituzionale inerenti alla persona»; e quindi tale qualifica appare superflua, finendo – come
è stato puntualmente osservato14 – «per offrire una cattiva applicazione della dottrina messa a punto
dalla Corte di cassazione», secondo la quale non sembra «proficuo ritagliare … specifiche figure di
danno, etichettandole in vario modo».
Analoga consapevolezza mostra di avere una sentenza del Tribunale di Venezia15, che ha risarcito
i danni non patrimoniali derivanti da immissioni acustiche «di intensità ben superiore alla normale
tollerabilità, protrattesi durante quasi tutte le ore del giorno e della notte per oltre dieci anni». «Per
poter essere risarcita – osserva il Tribunale veneziano – l’offesa ai beni costituzionalmente protetti …
non può consistere in un’offesa di gravità minima. Esemplificando, non paiono suscettibili di trovare accoglienza richieste di risarcimento del danno causato dallo stress e dal disagio subiti dai passeggeri del treno che arriva a destinazione con qualche ora di ritardo, ovvero dei passeggeri che rimangono bloccati in aeroporto per alcune ore a causa di un improvviso sciopero, ovvero ancora dai condomini (o vicini) che subiscono per alcune ore della notte, una tantum, immissioni acustiche dall’adiacente immobile in cui si svolge una festa di compleanno un po’ troppo rumorosa».
L’esemplificazione non è mero frutto di fantasia, ma trae spunto da una casistica giurisprudenziale
rispetto alla quale il «danno esistenziale» è improvvidamente servito a dare rilevanza a veri e propri
«danni bagatellari».
Anche questa sentenza cade nel «perfezionismo» non richiesto – né proficuo – di voler ulteriormente qualificare il danno non patrimoniale, opportunamente qui giudicato risarcibile, qualificandolo come «danno alla salute nel senso più ampio …(anche se non sub specie di danno biologico in
senso stretto)»; ma indubbio è il suo contributo critico a quella rigorosa selezione dei danni «derivanti dalla lesione di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona», autorevolmente patrocinata dalla Corte di cassazione nella sentenza sul «caso Barillà».
4. Chiari, pur se non adeguatamente definiti, sembrano dunque i segnali di un indirizzo favorevole alla piena risarcibilità dei danni non patrimoniali (se ed in quanto) «presi sul serio». La sintesi è
felicemente espressa da una sentenza del Tribunale di Bergamo16: «non ogni minimo perturbamento della dimensione esistenziale, non qualunque indebolimento di un diritto della persona è tale da
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14
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16
Cass., Sez. IV pen., 22 gennaio 2004, n. 2050 (est. Brusco), in Danno e resp., 2004, p. 966 ss., con Commento di G. PONZANELLI.
G. PONZANELLI, Commento, cit., p. 972.
Trib. Venezia, Sez. dist. di Dolo, 14 dicembre 2003 (giud. Marinai), in Danno e resp., 2004, p. 1124 ss., con Commento di F. FERRARI.
Trib. Bergamo, Sez. III, 24 febbraio 2003 (giud. Gnani), in Danno e resp., 2003, p. 547 ss., con Commento di G. PONZANELLI.
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Una ricerca sulle macropermanenti: perché?
intaccarne lo spessore di inviolabilità; … perché la Costituzione, affiancando all’inviolabilità dei
diritti il riferimento all’uomo, esprime una garanzia per quei valori che costituiscono il suo nucleo
primario ed essenziale, per quegli interessi talmente vicini alla sua sfera dell’essere che la loro lesione implicherebbe attentato alla dignità umana».
Se l’indirizzo appena sintetizzato è frutto della «lettura costituzionalmente orientata» introdotta
dal «giro di boa» avvenuto nel 2003 (la pronunzia del giudice orobico precede di pochi mesi le «sentenze dell’estate»), la «lunga marcia del danno non patrimoniale»17 era cominciata assai prima, e
aveva ricevuto una prima poderosa accelerazione con le «sentenze dell’inverno 2002».
Il 28 febbraio 2002 il Corriere della sera dava notizia, in prima pagina, di un «risarcimento record»
– «il più alto risarcimento per incidenti stradali mai stabilito in Italia» – inclusivo del danno non
patrimoniale riconosciuto dal Tribunale di Milano18 ai genitori e alla sorella di una ragazza – la vittima diretta dell’incidente – «condannata a dover essere assistita per tutta la vita 24 ore al giorno».
Sempre nel mese di febbraio le Sezioni unite della Corte di cassazione19, intervenendo su una questione di compromissione dell’ambiente a seguito di disastro colposo – si trattava della tristemente
nota vicenda di Seveso –, avevano affermato il principio («opposto», precisavano puntigliosamente
le Sezioni unite, a quello adottato dalla III sezione civile della stessa Corte sulla medesima questione) per cui «non sussiste alcuna ragione, logica e/o giuridica, per negare la risarcibilità (del danno
non patrimoniale) ove il soggetto offeso, pur in assenza di una lesione della salute, provi di avere
subito un turbamento psichico».
Per la verità, non si trattava di novità assolute. Il risarcimento del danno non patrimoniale ai prossimi congiunti dell’offeso da lesioni non mortali era già stato riconosciuto dalla Corte di cassazione
con sentenza n. 10297/2001 (espressamente menzionata dalle Sezioni unite), e prima ancora con sentenza n. 4186/1998 (espressamente menzionata da Cass. n. 8828/2003), che aveva operato un radicale revirement rispetto alla giurisprudenza precedente affermando categoricamente che «non solo
in caso di morte ma anche in caso di lesioni colpose è risarcibile il danno non patrimoniale lamentato dai congiunti dell’offeso»20.
Non solo: ma la progressiva dilatazione del danno non patrimoniale oltre il nucleo «storico» del
danno morale soggettivo era stata anch’essa da tempo avviata: Basti ricordare le sentenze che hanno
riconosciuto in margine ad altro disastro ambientale (quello non meno tristemente noto del Vajont),
al Comune di Erto e Casso e al Comune di Vajont21 nonché al Comune di Castellavazzo22 il diritto
di ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale, inteso qui come «perdita dell’identità storica, culturale, politica e sociale del comune distrutto» anche se quest’ultimo, non avendo «né corpo
né anima», non è in grado di avvertire turbamenti soggettivi».
Orbene, è appena il caso di evidenziare che le «sentenze dell’inverno 2002», così come del resto
tutte quelle fin qui menzionate, hanno ricollegato il risarcimento del danno non patrimoniale a un
fatto illecito gravemente offensivo (disastro ambientale, gravissimo incidente stradale).
In ultima analisi, la lunga marcia del danno non patrimoniale si è mossa sul binario della gravità
dell’offesa: postulata, quest’ultima, non soltanto in relazione al quantum debeatur, ma ancor prima in
ordine all’an debeatur, ossia assunta come soglia al di sotto della quale non dovrebbe esservi risarcibilità. E questo sembra essere un parametro da non trascurare nel dotare di lineamenti sempre
meglio definiti la «lettura costituzionalmente orientata» dell’art. 2059.
5. L’attenzione primaria alle ipotesi connotate dalla gravità dell’offesa deve valere, ormai, anche
17 Cfr. F.D. BUSNELLI, La lunga marcia del danno non patrimoniale, in U. DAL LAGO - R. BORDON (a cura di), La nuova disciplina del
danno non patrimoniale, Milano, 2005, p. 115 ss.
18 Trib. Milano, V sez. stralcio, 24 gennaio 2002, in E. NAVARRETTA, I danni non patrimoniali, cit., p. 367.
19 Cass., Sez. un., 21 febbraio 2002, n. 2515 (rel. Varrone), in Resp. civ. prev., 2002, pp. 384 ss.
20 Cass., 23 aprile 1998, n. 4186 (rel. Segreto), in Resp. civ. prev., 1998, p. 1409, con nota di E. PELLECCHIA, La Corte di Cassazione e
il risarcimento del danno morale ai congiunti in caso di sopravvivenza della vittima: qualcosa, al fin, si muove…
21 Cass., III sez., 19 giugno 1996, n. 5650 (est. Petti), in Danno e resp., 1996, p. 963 ss., con nota di COLONNA, Vajont: ultimo atto.
22 Cass., III sez., 15 aprile 1998, n. 3807 (est. Petti), in Resp. civ. prev., 1998, p. 992 ss., con nota di G.F. BASINI, La Cassazione ribadisce la configurabilità di danni non patrimoniali anche in capo alle persone giuridiche.
7
F.D. Busnelli
per i danni biologici, ora che sono tornati nell’alveo dell’art. 2059. Non si tratta, beninteso, di misconoscere le micropermanenti – del resto presidiate, nel settore della circolazione stradale, dalla legge
n. 57/2001 che si riferisce esplicitamente ai danni biologici «di lieve entità» –, alle quali peraltro è
stata finora dedicata un’attenzione prevalente, se non esclusiva. Si tratta, piuttosto, di esplorare finalmente ex professo gli «altri» danni biologici, con particolare riferimento alle macropermanenti. Ma
occorre ancor prima renderci conto che, parlando di «altri» danni biologici, si rischia di imboccare
inconsapevolmente una strada sbagliata: quella che pretenderebbe partire dalle micropermanenti per
ricostruire una nozione generale di danno biologico. Il fatto che «i sinistri con lesioni micropermanenti costituiscono il 90% circa dei casi di sinistri con danni alla persona» (M. Scalise e M.
Francescangeli), non deve trarre in inganno, anche perché sul totale liquidato per danni alla persona il 40% «è assorbito per il risarcimento dei danni relativi a macrolesioni». (Eid.).
La possibilità/necessità di riferire anche ai danni biologici la «lettura costituzionalmente orientata» dell’art. 2059 impone di invertire la rotta. Occorre partire dalle ipotesi in cui la gravità dell’offesa attribuisce al danno biologico il duplice connotato della lesione del diritto alla salute e, nel contempo – o, meglio, ancor prima – della violazione dei «diritti inviolabili dell’uomo» che attenta alla
dignità stessa della persona umana.
Occorre, allora, chiederci se «la società, attraverso le sue istituzioni, possa legittimamente operare una redistribuzione interna di risorse, privilegiando il risarcimento delle macrolesioni rispetto alle
microlesioni» (G. Ponzanelli), fermo restando che «le ragioni che giustificano un eventuale diverso
trattamento non attengono ad una diversità qualitativa o quantitativa del danno ma da un diverso
atteggiarsi degli elementi valutativi in possesso del giudice e che prospettano la necessità di dotarsi
di strumenti di apprezzamento sul piano operazionale piuttosto che ontologico» (G. Comandé).
Queste sono, in sintesi, le ragioni che giustificano la presente ricerca sulla valutazione delle macropermanenti.
8
Il problema delle microlesioni:
uguaglianza nella diversità o diversità nell’uguaglianza?
G. PONZANELLI
SOMMARIO: 1. Premessa. 2. Le caratteristiche della legge n. 57/2001. 3. L’ordinanza del Giudice
di Pace di Roma del 14 gennaio 2002: un suo esame critico. 4. L’ordinanza della Corte
Costituzionale P 64/2004 e la nuova questione di costituzionalità sollevata dal Giudice di Pace
di Roma il 17 febbraio 2004. 5. I “veri” problemi “costituzionalmente rilevanti” della disciplina normativa in tema di micropermanenti. 6. Micropermanenti e “filosofia” della responsabilità civile.
1. Premessa
Spetta esclusivamente al giudice il compito, spesso assai difficile, di quantificare il risarcimento del
danno alla persona (ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c.), ovvero, a causa della crescente complessità
di determinarne la misura (maggiore estensione del danno non patrimoniale, costi e durata della lite,
riflessi sulla garanzia assicurativa, etc.) è preferibile un intervento del legislatore, che fissi, con la
forza delle sue statuizioni, il quantum dell’importo risarcibile?
L’alternativa – judge or legislator – è classica nella storia del diritto privato della responsabilità civile e si ripropone frequentemente, soprattutto quando a qualcuno degli “attori” che operano nel settore, l’entità dei risarcimenti concessi pare particolarmente elevata, così da compromettere gli equilibri dipendenti da un corretto funzionamento delle regole dell’intera area alla luce del nesso tipico
con i meccanismi assicurativi.
Qualche volta sono proprio gli assicuratori che chiedono al legislatore una protezione, non potendo le loro valutazioni del livello e dell’estensione del rischio assicurabile essere radicalmente smentite da determinazioni ex post, spesso compiute, in termini e in modi non prevedibili, dai giudici1.
Altre volte sono gli organi di informazione che chiedono tutela al legislatore quando il livello di
risarcimenti concessi – nell’ipotesi in cui la loro attività informativa causi danni a terze persone – pare
minacciare il loro irrinunciabile ruolo di paladini della libertà informativa2.
In presenza di un contenzioso seriale sempre più complesso, che ha assunto caratteristiche di una
vera e propria mass tort litigation, il legislatore, in prima persona, ha trasposto, sia pure con scelta
assai discutibile, problemi di responsabilità civile all’interno di una diversa area (quasi sempre si è
trattato di sicurezza sociale)3.
In Italia, nel settore del danno alla persona sofferto dalle vittime della circolazione stradale e in
modo particolare per quanto riguarda il danno biologico (a quel tempo considerato, a tutti gli effetti, come un danno patrimoniale (in quanto si presta ad una valutazione secondo criteri uniformi ed
oggettivi), l’intervento legislativo fu qualche anno orsono caldamente auspicato dagli assicuratori ai
fini di una determinazione generale delle micropermanenti (le percentuali che oscillano tra l’1% e il
9% di invalidità).
1 È quanto accaduto soprattutto negli Stati Uniti d’America all’inizio degli anni ottanta,determinando una fuga dalla copertura di
alcune classi di rischi: cfr. per tutti G. PRIEST, The current insurance crisis and modern tort law, 96 Yale Law Journal,(1987), p. 1521 ss.
2 È proprio il caso italiano: il recente progetto legislativo che, oltre a depenalizzare il reato di diffamazione e di ingiuria, ha fissato
un vero e proprio cap di 30.000 euro nella misura dei danni che possono essere richiesti dal diffamato e dall’ingiuriato, superabile solo in
caso di recidiva
3 Nell’esperienza italiana viene da pensare alla discutibile scelta attuata nel 1992 (con legge del 20 febbraio n. 210): l’indenizzo ivi
previsto è stato esteso anche ai danneggiati da emoderivati e a quelli che avessero avuto un contatto da HIV.
9
G. Ponzanelli
È quanto accadde, per l’esattezza, nel 2000, sostanzialmente per due ragioni:
a) l’oggettiva congiuntura in cui si trovavavano le imprese di assicurazione, operanti nel settore r.c.
auto, a causa di una politica tariffaria eccessivamente eterodeterminata: esse, pertanto, chiedevano una riduzione dei costi risarcitori, attesa l’impossibilità di aumentare i premi;
b) il fatto che le micropermanenti rappresentano uno dei costi assicurativi più pesanti (secondo dati
recenti, si supera, infatti, il 70% della complessiva somma erogata dalle imprese assicurative a titolo di danno alla persona).
Trattandosi, poi, di lesioni minori del diritto all’integrità psicofisica, meno forte era il vulnus arrecato alla tutela di un bene fondamentale di rango costituzionale: con la predeterminazione ex ante,
veniva solo arginata l’eccessiva discrezionalità del Giudice e si ponevano le premesse di più efficaci
incentivi in vista di una definizione stragiudiziale della vertenza.
2. Le caratteristiche della legge n. 57/2001
Dopo il fallimento della legislazione di urgenza del 2000, con la legge n. 57/2001 il Parlamento italiano era riuscito, sia pur faticosamente, ad elaborare una disciplina per le micropermanenti.
Il nucleo centrale della nuova regolamentazione è costituito dalla tabella di menomazione dell’integrità psico-fisica (compresa tra 1 e 9 punti di invalidità), la cui definizione é affidata a un decreto
del Ministro della Sanità (di concerto con il Ministro del Lavoro e con il Ministero dell’Industria, del
Commercio e dell’Artigianato).
Per evitare le censure di incostituzionalità mosse in via immediata alla precedente decretazione
d’urgenza (a causa della totale mancanza di elasticità e di flessibilità: che trasformava, di fatto, il sistema ivi previsto in un meccanismo assai simile ad un sistema indennitario, in quanto veniva completamente soppresso ogni profilo di valutazione equitativa del giudice e si aveva un’assoluta uniformità pecuniaria), si era preferito disporre che la liquidazione del danno alla persona non operasse più
in modo fisso e autonomo. A ogni punto di invalidità venne attribuito un importo crescente, “in
misura più che proporzionale”, da calcolare in base all’applicazione del relativo coefficiente di cui
all’allegato A della legge.
Non solo: il danneggiato, oltre a richiedere l’applicazione della disciplina base, poteva domandare al Giudice di Pace competente che il danno biologico fosse “… ulteriormente risarcito tenuto
conto delle condizioni soggettive del danneggiato” (articolo cinque, quarto paragrafo).
3. L’ordinanza del Giudice di Pace di Roma del 14 gennaio 2002: un suo esame critico
La questione di legittimità costituzionale della normativa appena introdotta venne sollevata con
l’ordinanza del Giudice di Pace di Roma, che si presenta, a tutti gli effetti, come una sorta di manifesto contro l’intervento legislativo del 2001: un manifesto pervaso di suggestioni culturali.
Sebbene siano diverse, unica è nella sostanza la doglianza del giudice romano: la nuova disciplina
delle micropermanenti fissa un livello di risarcimento assai inferiore alla situazione preesistente, anche
in una prospettiva di analisi delle principali esperienze europee. L’“undercompensation”, censurata ed
attuata con la legge n. 57, è riconoscibile nel suo complesso e in ogni singola voce di danno prevista:
nella voce di danno risarcibile a titolo di invalidità permanente (l’importo da L. 1.200.000 a punto
costituisce “una vera e propria “sottovalutazione” del valore uomo”), in quanto previsto a titolo di
inabilità temporanea, nonché nella possibilità di personalizzare la valutazione del danno aumentando
la disciplina di base, in quanto non sono stati specificati dal legislatore i criteri per rendere più determinabile tale criterio (oltre a non permettere la personalizzazione del risarcimento, infatti, tale disposizione “contraddice per un aspetto le stesse finalità di omologazione dei diversi metodi di calcolo
adottati dalla prassi giudiziaria”: nel disegno di legge governativo, l’aumento “con equo e motivato
apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”, non può essere superiore al quinto).
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Il problema delle microlesioni: uguaglianza nella diversità o diversità nell’uguaglianza?
Le censure di incostituzionalità muovono, quindi, dall’offesa causata dalla legge n. 57 al diritto,
avente rilevanza costituzionale, all’integrale riparazione del danno alla persona: diritto di cui si ricorda,
nell’ordinanza di rimessione, l’inclusione nel novero dei diritti fondamentali dell’uomo: il provvedimento avrebbe, infatti, abbassato, come si è detto, il livello di risarcimento rispetto alla misura accolta dalla maggioranza delle Corti in base all’applicazione delle tariffe.
Si postula, in altre parole, un’innaturale equazione tra il diritto costituzionalmente garantito all’integrale riparazione del danno alla persona e quanto è stato riconosciuto giudizialmente nella situazione pregressa.
E ciò, francamente, corrisponde a un ragionamento viziato da un’inaccettabile petizione di principio: chi può dire che il quantum liquidato dai nostri tribunali e dai nostri giudici di pace, prima dell’entrata in vigore della legge n. 57, costituisse una coerente attuazione del principio dell’integralità
della riparazione, o non fosse, invero, una manifestazione, patologica, di quel fenomeno che gli studiosi nordamericani di responsabilità civile sono soliti qualificare rispettivamente di “overcompensation” e di “undercompensation”?
Giudicato il vero architrave del sistema4, il diritto all’integrale riparazione del danno, a detta del
giudice remittente, non tollererebbe alcun intervento legislativo in tema di determinazione del risarcimento: il che, di nuovo, non pare corretto.
Il Giudice di Pace difende le micropermanenti, attribuendo all’aggettivo (micro) una valenza
descrittiva (non è “una valutazione assoluta ed apodittica”) e affermando che non è ammissibile una
differenziazione gerarchica del bene della salute (ugualmente offeso da una micropermanente – il
colpo di frusta, pur mai ricordato nell’ordinanza de qua – o da una lesione di maggiore entità). Ma,
francamente, pare discutibile che “una qualsivoglia percentuale” di danno biologico, sia pur minimale, contraddistingua “il passaggio da uno stato di benessere ed uno stato di malessere”. La difesa
è comunque scontata (e accolta in sede di commento).
4. L’ordinanza della Corte Costituzionale P 64/2004 e la nuova questione
di costituzionalità sollevata dal Giudice di Pace di Roma il 17 febbraio 2004
L’eccezione di costituzionalità riguardava l’art. 5 della legge n. 57/2001, senonché la norma è stata
nel frattempo modificata con il successivo intervento legislativo (l.12 dicembre 2002, n. 273), il quale
ha sancito la possibilità, e non più la necessità, per il Giudice di aumentare la misura del danno biologico spettante alla vittima “in misura non superiore ad un quinto con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato” (la precedente norma prevedeva una vera e propria necessità per il giudice: sino, però, alla metà dell’importo liquidato a titolo di danno biologico,
“tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato”).
La norma, che è oggetto della remissione di costituzionalità, è dunque cambiata, anche se le variazioni introdotte nel 2002 rendono il quadro normativo ancor più esposto alle originarie censure,
riducendo, sia pure quantitativamente, la possibilità di un intervento equitativo.
La sostituzione della necessità alla possibilità determina “un’eccessiva ingessatura dell’equità valutativa”5, tanto più che è prevista una sempre maggiore dipendenza della valutazione del Giudice di
pace dalle valutazioni del medico legale: costui, ai sensi della “Tabella delle menomazioni alla integrità psico-fisica compresa tra 1 e 9 punti di invalidità” (approvata con decreto Ministero della Salute
del 3 luglio 2003), ha il compito di fornire “motivate indicazioni aggiuntive che definiscano l’eventuale maggior danno tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato”.
4 Ineliminabile nel settore dei pregiudizi che colpiscono la persona del danneggiato: cfr. la storica sentenza della Corte Costituzionale
del 1985, n. 132 che ha travolto le limitazioni convenzionali esistenti nel settore del danno alla persona nel trasporto internazionale dalla
Convenzione di Varsavia; meno rigoroso nel settore dei danni a cose: cfr. il dictum della Corte Costituzionale, 30 aprile 1999, n. 148, in
Foro it. 1999, I, c. 1715, in tema di espropriazione.
5 L’efficace espressione è di D. POLETTI, I riflessi del revirement giurisprudenziale nel settore Inail, p. 99, in E. NAVARRETTA (a cura
di), I danni non patrimoniali. Lineamenti sistematici e guida alla liquidazione, Milano, 2004.
11
G. Ponzanelli
Il cambiamento normativo rendeva, comunque, necessaria una trasmissione degli atti al giudice
remittente, il quale, dal canto suo, non ha avuto difficoltà alcuna a trasferirli nuovamente alla Corte
Costituzionale in pochissimi giorni, individuando ulteriori e ancor più gravi profili di contrarietà alla
Costituzione.
È necessario, quindi, aspettare il verdetto della Corte Costituzionale, confidando che sia tempestivo6. Qui ci si soffermerà brevemente sui veri profili della fattispecie, cercando di evitare gli argomenti estranei alla dimensione giuridica7.
5. I “veri” problemi “costituzionalmente rilevanti” della disciplina normativa
in tema di micropermanenti
I problemi posti dalla disciplina delle micropermanenti sono tanti.
Nella linea di legittimità costituzionale (per quelli attinenti alle funzioni della responsabilità civile, cfr. infra. par. 6), essi sembrano, però, ridursi a due:
a) ha o meno rilevanza costituzionale il diritto all’integrale riparazione del danno (qui: del danno alla
persona)?
b) in ogni caso, è costituzionalmente legittimo quanto si è prescritto nella legge del 2001 (e poi si è
modificato con la legge del 2002) lì dove sono stati previsti meccanismi indennitari, per i danni di
lieve entità derivanti da circolazione stradale, che somigliano in modo consistente ai procedimenti di liquidazione dei danni da infortunio sul lavoro?
Il primo problema è stato affrontato dalla Corte Costituzionale nel settore specifico dell’espropriazione per pubblica utilità: in quella sede, si è affermata la legittimità costituzionale della normativa
che, in presenza di un indiscutibile fatto illecito (la c.d. occupazione appropriativa), aveva introdotto
criteri predeterminati con riguardo al danno spettante al proprietario illegittimamente espropriato di
un bene, che abbia in seguito avuto una destinazione pubblica (e quindi, non modificabile)8.
Alla fine di una tormentatissima vicenda, giurisprudenziale e normativa, la Corte riconobbe legittima, e non costituzionalmente sospetta, la decisione legislativa di ancorare il risarcimento del pregiudizio sofferto dal proprietario a una misura prefissata, sempre alla condizione che tale somma
costituisca un ristoro ragionevole: questo proprio per l’assenza di un diritto di rilevanza costituzionale alla integrale riparazione del danno.
Un’analoga soluzione fu accolta con riguardo alla limitazione di responsabilità prevista nel contratto di trasporto aereo di persone.
Nel celebre caso deciso il 6 maggio 1985, la Corte Costituzionale rese inoperanti le limitazioni previste dalla Convenzione di Varsavia in tema di trasporto internazionale. Il tetto fissato dall’art. 22/1
della Convenzione (250.000 franchi oro poincaré) per il risarcimento del danno alla persona del passeggero dovuto a colpa del vettore aereo fu giudicato incostituzionale: “…la norma che di fronte alle
lesioni corporee – e addirittura, come qui accade,di fronte alla perdita della vita umana – esclude il ristoro integrale del danno non è assistita da un idoneo titolo giustificativo.Occorre quindi concludere che
essa leda la garanzia eretta dall’art. 2 Cost. a presidio inviolabile della persona”.
La Corte intervenne, quindi, nel merito, ritenendo la misura pattizia troppo bassa e troppo vicina
ad un rimedio indennitario.
Il tetto fu, quindi, innalzato a livello legislativo, ma il sistema rimase caratterizzato da una clausola di limitazione di responsabilità.
6 Sicuramente più tempestiva era stata la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 126 del 16 aprile 2003, la quale aveva giudicato,
però, inammissibile per carenza di indicazioni dei precetti costituzionali violati l’ordinanza del Giudice di Pace di Conegliano dell’11 maggio 2002.
7 Questo difetto, ad esempio, è presente in M. BONA, Liquidazione del danno biologico ex art. 5 legge 57/2001: per ora la Consulta
non risponde alle questioni di legittimità, in Danno e Resp. 2004, p. 866.
8 Si tratta di Corte Costituzionale 2 novembre 1996, n. 369, in Foro it. 1996, I, 3257, con nota di Benin, scelta interpretativa poi confermata da Corte Costituzionale 30 aprile 1999 n. 148.
12
Il problema delle microlesioni: uguaglianza nella diversità o diversità nell’uguaglianza?
Non esiste, pertanto, un principio costituzionale di integrale riparazione del danno; questa conclusione non risulta infirmata dall’obiezione secondo cui il danno, di cui si è voluto predeterminare
l’entità, riguardi la persona e non il patrimonio: il caso del trasporto aereo è paradigmatico in questa
prospettiva.
Se non è dato individuare un principio d’integrale riparazione del danno alla persona, che sia giustificabile secondo parametri di coerenza costituzionale, sembrano allora immuni da censure di carattere costituzionale le scelte attuate con la legge 57 e con le successive modifiche.
Non viene, infatti, introdotto un sistema rigorosamente indennitario (il quale trova le sue più
genuine giustificazioni all’interno di un quadro normativo di responsabilità assoluta e/o di sicurezza
sociale), ma è sempre permessa un’applicazione equitativa, volta alla personalizzazione del pregiudizio sofferto.
E la riduzione legislativa di un tale meccanismo (sino alla metà, nella legge 57; limitata ad un quarto, nella legge 273) non consente di qualificare senz’altro la somma come non ragionevole e non
costituente un’adeguata riparazione.
In altri settori, allo stesso modo meritevoli della massima considerazione, si è già provveduto in
questo senso: gli infortuni sul lavoro costituiscono, forse, l’esempio più chiaro di un’analoga tendenza, in questo caso confortata da una ultrasecolare consuetudine di saggezza legislativa.
Nell’area della circolazione stradale, per di più, il rischio dal quale possano derivare conseguenze
pregiudizievoli alla salute, pur lievi, viene in fatto assunto come proprio da ogni automobilista, il
quale sa che, di fronte a tutti coloro che prendono parte alla circolazione stradale, dovrà rinunciare
ad una parte del normale risarcimento delle piccole lesioni (quelle nelle quali il diritto alla salute
viene bensì sacrificato, ma non in misura e con modalità tali da sconvolgere quegli equilibri di politica sociale verso cui è stato molto sensibile il legislatore).
Una ragione ulteriore, quindi, per ritenere che non siano fondati i pretesi dubbi di costituzionalità.
6. Micropermanenti e “filosofia” della responsabilità civile
Se, quindi, possono essere superate le censure “costituzionali”, rimane da affrontare il profilo più
filosofico e/o strutturale posto dall’esistenza e dal risarcimento richiesto per le piccole lesioni: se,
cioè, la società, attraverso le sue istituzioni, possa legittimamente operare una ridistribuzione interna
di risorse, privilegiando il risarcimento e la riparazione delle macrolesioni rispetto alle microlesioni.
Qui, all’interno della responsabilità civile, si tratta di verificare l’operatività del generale principio
di uguaglianza: se, cioè, esso possa essere inteso in senso assolutamente uniforme, assicurando un
risarcimento, quale che sia la lesione sofferta dal danneggiato, o se, invece, esso consenta una diversa
misura, che si giustifichi proprio sulla base di una giustizia distributiva e non meramente correttiva.
Si tratta, evidentemente, di una lettura dichiaratamente funzionale delle regole di r.c., che rivela
una precisa scelta degli obiettivi, in modo libero da quelle che sono considerate a tutti gli effetti le
finalità della responsabilità civile: assicurare, cioè, riparazione del danno; prevedere l’adozione di
meccanismi che incentivino la condotta del danneggiante verso un maggior livello di sicurezza.
Se, infatti, le microlesioni vengono risarcite di meno (e tale scelta può essere giustificata per diverse ragioni: a) per la loro maggiore frequenza; b) perché il legislatore vuole ridurre i costi amministrativi di gestione della lite, favorendo, quindi, una definizione stragiudiziale delle stesse; c) perché,
dopo tutto, si tratta di più modeste aggressioni alla salute, è chiaro che in questa area vengono ad
essere compromesse anche le finalità di deterrenza.
Riparando di più le macrolesioni, proprio attraverso il risparmio risarcitorio raggiunto nel terreno
delle microlesioni, si otterrebbero risultati apprezzabili e condivisibili in termini di utilizzo delle
regole di r.c.; meno, invece, rispetto ad un’applicazione “piatta” ed “amorfa“ del generale principio
di uguaglianza.
Si tocca, in questo modo, il nodo nevralgico della responsabilità civile, se, cioè, the law of a mixed
13
G. Ponzanelli
society, come fu efficacemente qualificata da uno dei suoi più autorevoli studiosi, possa operare scelte
importanti, assicurando un maggior risarcimento a favore del macroleso rispetto a quello, con un
conseguente pregiudizio del microleso.
Oltre che in censure di carattere costituzionale (le quali, però, non reggono: il principio di integrale riparazione del danno non risulta presentare, come si è premesso, una rilevanza costituzionale), lo scontro tra gli studiosi di responsabilità civile sembra proprio risiedere nelle diverse funzioni
che vengono attribuite alla responsabilità civile e alle relative finalità.
Per chi non sente o non opera alcuna distinzione tra micro e macro lesione, la funzione della
responsabilità civile sembra essere prevalentemente riparatoria. Per chi, invece, considera le norme
di r.c. come strumento per realizzare altri e più ambiziosi progetti, le opportunità di una differenziazione risarcitoria sono una ghiotta occasione per veder soddisfatta un’idea forte: la responsabilità
deve reagire con il rimedio che le è proprio (il risarcimento del danno) in modo differenziato.
L’inosservanza del principio di integrale riparazione del danno pare, infatti, più probabile nel primo
che nel secondo caso.
Diverso è, infatti, il macroleso da colui che ha subito un colpo di frusta, e le risorse economiche
disponibili dovrebbero concentrarsi preferibilmente verso le situazioni di maggiore gravità.
Attenzione: entrambi i due lesi (i microlesi e i macrolesi) rientrano a tutti gli effetti di legge nel
perimetro della responsabilità civile e non possono essere ricondotti ad altri sistemi (in primis a quelli di sicurezza solidale).
Ora, se è vero che le risorse sulle quali si basa un sistema di sicurezza sociale sono, per definizione, limitate e fissate dal legislatore, non è altrettanto vero che il sistema di responsabilità civile goda,
invece, di infinite risorse economiche.
Pur caratterizzate dal principio di integrale riparazione del danno, le regole di responsabilità civile devono fare i conti con il meccanismo assicurativo.
I maggiori e più ampi risarcimenti concessi in presenza di piccole lesioni, al di là della portata del
principio di integrale riparazione del danno, possono innescare, alla lunga, un processo di sensibili
rialzi del livello dei premi assicurativi, che fatalmente diminuiranno il livello di benessere economico generale, che si era voluto rafforzare, anzi estendere, proprio a ragione dei risarcimenti concessi
anche in presenza di lesioni di più ridotta dimensione8.
Senza considerare, poi, i costi collegati ad una proliferazione di cause risarcitorie di modico valore.
Il caso delle micropermanenti e del risarcimento che deve essere assicurato, assume, pertanto, una
valenza simbolica delle varie anime della responsabilità civile, ponendosi così al centro dell’intenso
laboratorio intellettuale che ha caratterizzato l’evoluzione dell’istituto negli ultimi anni.
Vengono rappresentate con la massima evidenza, meglio forse di ogni altro profilo, le differenti
filosofie tra gli studiosi: i “panriparatori”, favorevoli ad un risarcimento che assicuri un’integrale
riparazione del danno anche alle piccole lesioni; i “funzionalisti”, che vogliono ridistribuire il risarcimento complessivo globalmente disponibile soprattutto a favore dei macrolesi.
Scegliere (o, meglio, avere la possibilità di scegliere) le situazioni che pur esigono, tutte, una protezione riparatoria, rivela il grado di maturità di una disciplina.
La responsabilità ha fatto passi da gigante negli ultimi venti anni.
Ha conquistato nuovi territori, che nel passato erano assolutamente impensabili.
Ora, deve considerare i successi raggiunti e guardare a nuovi obiettivi, ancor più nobili.
Una chiara risposta sulle micropermanenti può costituire il superamento del primo esame di
maturità.
9
Cfr. V. ZENO ZENCOVICH, Chi paga? Funzioni ed illusioni del sistema della responsabilità civile, in Danno e Resp. 2002, p. 457 ss.
14
Dal calcolo a punto al calcolo a punto differenziato:
una storia in evoluzione
M. ROSSETTI
SOMMARIO: 1. Genova, Pisa, Milano: l’evoluzione della aestimatio del danno nella giurisprudenza di merito. 2. La personalizzazione. 3. L’obbligo di motivazione.
1. Genova, Pisa, Milano: l’evoluzione della aestimatio del danno
nella giurisprudenza di merito
Il primo problema che gli interpreti si trovarono dinanzi, una volta ammessa l’autonoma configurabilità e risarcibilità della lesione dell’integrità psicofisica in sé e per sé considerata1, fu quello della
sua aestimatio.
Ma se nella elaborazione della categoria dogmatica del danno biologico la giurisprudenza rivelò
apprezzabile fantasia creatrice, altrettanto non può dirsi per i criteri di liquidazione adottati. Per
molti anni, infatti, questo criterio rimase quello c.d. tabellare, consistente nel moltiplicare un reddito presunto (nella prima giurisprudenza genovese, il reddito medio nazionale o, più tardi, il triplo
della pensione sociale) per il grado di invalidità permanente, per un coefficiente per la costituzione
delle rendite vitalizie corrispondente all’età della vittima.
Questo metodo può essere sinteticamente indicato con la formula
D=k*R
dove D è il danno da liquidare; k è il coefficiente di capitalizzazione; R è la rendita (ovvero il reddito con carattere di continuità) da porre a base del risarcimento.
Forse perché gli uomini non accettano mai interamente il nuovo se non dopo aver fatto ogni sforzo per ricondurlo all’antico, col criterio tabellare si perpetuava una metodologia liquidativa largamente applicata in passato, quando non si ammetteva la autonoma risarcibilità della lesione della
salute: le uniche novità – di grande rilievo, però – consistevano nella sostituzione del reddito medio
nazionale al reddito (reale o figurativo) della vittima, e della nozione di invalidità permanente a quella di incapacità lavorativa generica2.
1
La prima sentenza che ammise tale figura di danno fu Trib. Genova 25.5.1974, in Giur. it., 1975, I, 2, 54.
In giurisprudenza, gli uffici giudiziari che hanno adottato il metodo tabellare hanno scelto quale base di calcolo o il reddito medio
nazionale (in tal senso Trib. La Spezia 30-12-1991, in Dir. prat. ass., 1992, 234; Trib. Alessandria 7-1-1983, As, 1983, II, 2, 186; Trib. Roma
11-10-1979, in Foro it., 1981, I, 1885), oppure un multiplo (normalmente, il triplo), della pensione sociale (Trib. Roma 14-9-1994, in Riv.
giur. circ. trasp., 1994, 859).
La Corte di legittimità, che in passato aveva ritenuto ammissibile il ricorso al metodo tabellare fondato sul triplo della pensione sociale (Cass. 3-6-1994, n. 5380, in Corriere giur., 1994, 1360; Cass. 4-12-1992 n. 12911, in Foro it. Rep., 1992, Danni civili, 129; Cass. 11-51989 n. 2150, in Giur. it., 1989, I, 1, 1832; Cass. 16-1-1985, n. 102, in Riv. giur. circ. trasp., 1985, 521), in prosieguo di tempo ha mutato
avviso, ed è ormai costante nell’escludere che il criterio in esame potesse essere utilizzato per liquidare il danno alla salute, neppure nell’ambito dei poteri equitativi del giudice (Cass., sez. III, 18-09-1995, n. 9828, in Foro it. Rep., 1995, Danni civili, n. 249; nello stesso senso,
ex plurimis, Cass. 18-5-1999, n. 4801, in Danno e resp., 1999, 1101; Cass. 8-1-1999, n. 101, in Danno e resp., 1999, 665; Cass. 4-12-1998,
n. 12312, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 247; Cass. 25-11-1998, n. 11974, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 248; Cass. 16-11-1998,
n. 11532, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 249; Cass. 30-10-1998, n. 10897, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 250; Cass. 27-10-1998,
n. 10693, in Danno e resp., 1999, 665; Cass. 3-9-1998 n. 8769, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 252; Cass. 24-2-1998, n. 1975, in Foro
it. Rep., 1998, Danni civili, 254; Cass. 23-1-1998, n. 668, in Giur. it., 1998, 2039).
Va comunque segnalato che, nonostante il contrario avviso della S.C., molti giudici di merito hanno continuato ancora per qualche
tempo ad utilizzare il metodo tabellare fondato sul triplo della pensione sociale (Trib. Catania 3-11-1997, in Arch. circ., 1998, 53; Giud.
pace Foligno 4-4-1996, in Arch. circ., 1996, 384; Trib. Ancona 7-3-1995, Baroni c. Messersì, inedita; App. Bologna, 16-2-1994, in Arch.
circ., 1994, 743; Trib. L’Aquila 25-11-1993, Giur. merito, 1994, 852; Trib. Genova 5-7-1993, in Giur. it., 1994, I, 2, 1048; Trib. Reggio
2
15
M. Rossetti
Un primo deciso passo avanti verso la creazione di un criterio liquidativo autonomo ed originale
(sì che la nuova figura di danno potesse avere un “nuovo” criterio di liquidazione) lo si deve al tribunale di Pisa, il quale elaborò un metodo (detto appunto “pisano”, ovvero “a punto elastico”), fondato sull’idea secondo cui, dal momento che l’invalidità permanente si misura in punti percentuali,
per liquidare il danno basta individuare un valore monetario che corrisponda ad ogni singolo punto
di invalidità: il risarcimento del danno da invalidità permanente sarà dato dal prodotto del valore del
punto per il numero di punti, mentre il risarcimento del danno da invalidità temporanea sarà dato
dal prodotto della somma giornaliera (equitativamente stabilita) per il numero dei giorni di invalidità.
La flessibilità del sistema è assicurata dal riconosciuto potere del giudice di aumentare o diminuire il valore del punto (o il risarcimento giornaliero per l’invalidità temporanea) sino alla metà, per
adattare il risarcimento alle concrete caratteristiche del caso concreto3.
Il punto nodale di questo criterio di liquidazione consiste nella determinazione del valore del
punto di invalidità, che il tribunale di Pisa ricavò dalla media dei precedenti giudiziari di quell’ufficio giudiziario, limitatamente ai casi di liquidazione di danni consistenti in invalidità inferiori al 10%.
Il metodo pisano a punto è stato utilizzato da moltissimi giudici di merito4, ed è stato ritenuto pienamente ammissibile anche dalla Corte di cassazione, ma a certe condizioni. In particolare, per l’utilizzabilità del criterio in esame è necessario, secondo la S.C.:
a) che il valore del punto sia ricavato dalla media dei precedenti giudiziari;
b) che il giudice non si limiti ad indicare il valore numerico del punto e la sua maggiorazione; ma precisi per quali ragioni concrete nel caso di specie abbia ritenuto di adottare quel valore e di applicare quella maggiorazione5.
Il metodo pisano, basato sul punto d’invalidità, presenta alcuni indubbi vantaggi rispetto al metodo tabellare. Esso è assai più modulabile, e consente risarcimenti che tengano effettivamente conto
delle diversità dei casi concreti.
Questo suo innegabile pregio, però, ne costituisce allo stesso tempo anche il principale difetto, in
quanto la possibilità di aumentare o diminuire il valore del punto, sino al 50%, lascia ampio spazio
alla discrezionalità valutativa del giudice. Sicché da un lato, per essere correttamente applicato, questo metodo esige dal giudice e dalle parti grande attenzione ed accortezza nel soppesare tutte le funzionalità perdute dalla vittima; dall’altro, in mano ad operatori inesperti o frettolosi, questo metodo
può ridursi ad una semplice ed acritica moltiplicazione del grado di invalidità per il valore base del
punto, divenendo così ancora più anelastico del criterio tabellare.
Sicché, mentre il metodo genovese pecca per rigidità, penalizzando la personalizzazione del risarcimento, quello pisano pecca per elasticità, penalizzando la necessaria uniformità di trattamento che
deve stare a base delle liquidazioni.
Per ovviare agli inconvenienti appena descritti, altri uffici giudiziari, ed in particolare il tribunale
di Milano, hanno messo a punto un perfezionamento del metodo pisano, che si è rivelato il criterio
in assoluto più seguito dagli uffici giudiziari per la liquidazione del danno biologico: si tratta del
Emilia 16-6-1993, in Arch. circ., 1993, 1071; Trib. S. Maria Capua Vetere 1-9-1992, in Arch. circ., 1993, 440; Trib. Palermo 17-10-1991,
in Arch. circ., 1992, 42).
Oggi il metodo tabellare è scarsamente applicato, ed è stato abbandonato dallo stesso tribunale di Genova, che l’aveva escogitato.
3 Trib. Pisa 19-5-1982, in Giur. it., 1984, I, 2, 427, ma specialmente 440; nello stesso senso, Trib. Pisa 28-6-1984, in Arch. circ., 1985,
542; Trib. Pisa 16-1-1985, in Arch. circ., 1985, 543.
4 Ex plurimis, Giud. pace Bari 28-6-1996, in Arch. circ., 1997, 54; Giud. pace Ancona 5-6-1996, in Arch. circ., 1997, 261; Trib.
Firenze 26-1-1996, in Resp. civ. prev., 1996, 589; App. Ancona 2-3-1993, Saltamarini c. A.I.C., inedita; Trib. Busto Arsizio 13-11-1993, in
Arch. circ., 1994, 131; Trib. Ravenna 4-6-1992, in Arch. circ., 1993, 1075; Trib. Rieti 22-2-1992, in Arch. circ., 1993, 890; Trib. Reggio
Calabria 1-2-1991, Altomonte c. Amodeo, inedita; Trib. Milano 30-1-1991, in Resp. civ. prev., 1993, 640; Trib. Ravenna 13-3-1990, in Riv.
giur. circ. trasp., 1991, 853; Trib. Brescia, 28-2-1990, Terna c. Ratti, inedita; Trib. Reggio Calabria 22-12-1988, Princi c. Cotroneo, inedita;
Trib. Como 8-6-1988, in Arch. circ., 1989, 787; Trib. Crema 18-12-1987, in Resp. civ. prev., 1988, 214; Trib. Torino 26-6-1987, in Resp.
civ. prev., 1988, 70; App. Roma 2-7-1986, in Foro it., 1987, I, 235; App. Perugia 16-5-1985, Pignotti c. Istituti Riuniti, inedita; Trib. Lucca
6-4-1984, in Foro pad., 1985, 121.
5 Cass. 17-3-1999 n. 2425, in Foro it. Rep., 1999, Danni civili, n. 248, inedita con riferimento al principio qui in esame; Cass. 16-111998, n. 11532, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 249; Cass. 20-10-1998, n. 10405, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 242; Cass. 13-41995, n. 4255, in Resp. civ. prev., 1995, 519.
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Dal calcolo a punto al calcolo a punto differenziato: una storia in evoluzione
metodo c.d. del punto variabile o “metodo milanese”.
Questo sistema condivide con il criterio c.d. “pisano” il principio per cui ad ogni punto di invalidità deve corrispondere un valore monetario. Se ne discosta, però, perché la variazione del valore
del punto non è lasciata alla discrezionalità equitativa del giudice, ma è stabilita secondo una precisa funzione matematica. Il valore del punto, cioè, cresce in modo matematicamente predeterminato,
in funzione crescente rispetto al crescere dell’invalidità, ed in funzione decrescente rispetto all’età
della vittima.
Per l’esattezza, secondo questo criterio il valore del punto cresce geometricamente col crescere
dell’invalidità (sicché ad invalidità doppie corrisponderanno risarcimenti più che doppi), mentre
decresce in modo aritmetico rispetto all’età del danneggiato (sicché, a parità di invalidità, il risarcimento sarà tanto minore quanto maggiore è l’età della vittima).
In applicazione di tale criterio, la misura del risarcimento sarà pari al prodotto del valore di punto
corrispondente al grado di invalidità permanente, per il numero di punti di invalidità permanente,
per il coefficiente di demoltiplicazione rapportato all’età.
Così, ad esempio, ipotizzando che:
– la vittima sia una persona di 30 anni (per la quale sia stato previsto, poniamo, un coefficiente di
demoltiplicazione pari a 0,15, ovvero il 15%);
– abbia riportato una invalidità permanente del 7%;
– il valore del punto per invalidità del 7% sia stato prefissato in € 1.500, il risarcimento spettante
alla vittima sarà pari a
(1.500 x 7) – 15%
ovvero € 8.925.
In questo modo, viene assicurata la tendenziale corrispondenza tra gravità delle lesioni ed entità
del risarcimento, in ossequio al principio medico-legale secondo cui la sofferenza ed i disagi causati
da una invalidità crescono in modo progressivo rispetto al crescere dell’invalidità stessa.
Naturalmente, resta sempre salva la possibilità per il giudice di adattare equitativamente il risarcimento (con aumenti o riduzioni rispetto all’importo risultante dall’applicazione “pura” del criterio
ora descritto), al fine di tenere debito conto di tutte le circostanze del caso concreto.
Gli elementi essenziali del criterio del punto variabile, da stabilire ex ante, sono:
a) il valore monetario “iniziale” del singolo punto d’invalidità: vale a dire la somma che, in teoria,
deve essere liquidata per una invalidità dell’1% in un soggetto di 1 anno;
b) la funzione di crescita del valore del punto.
Il valore iniziale del punto può essere stabilito o attraverso la media dei precedenti giudiziari del
medesimo o di altri uffici, ovvero attraverso la fissazione di una somma equitativamente scelta dal giudice (il primo criterio è senz’altro da preferire, perché pur sempre meno arbitrario rispetto al secondo).
La funzione di crescita del valore del punto, che deve rispondere a criteri di scientificità, non può
essere fissata dal giudice, ma deve essere demandata all’analisi di medici legali ed esperti statistici.
In base al criterio del punto variabile d’invalidità, una volta stabilito il valore monetario iniziale
del singolo punto, e la funzione matematica di crescita, è possibile sviluppare una sorta di “prontuario”, usualmente detta “tabella”, nella quale indicare l’ammontare complessivo del risarcimento
dovuto per ogni grado di invalidità e per ogni fascia di età del danneggiato.
La c.d. “tabella” costituisce quindi lo sviluppo del metodo del punto variabile o “milanese”, attraverso un quadro sinottico in cui sia già indicato il risultato delle operazioni di moltiplicazione da
compiere per ogni misura di invalidità e per ogni fascia di età. La tabella non ha quindi nulla a che
vedere con il “metodo tabellare”, con il quale non va confusa. La prima rappresenta l’espressione
grafica di un metodo liquidativo “a punto”, la cui filosofia è antitetica rispetto al metodo tabellare:
quello si fonda sul valore monetario del punto di invalidità; questo sulla capitalizzazione di un reddito fittizio o figurato.
La “tabella”, di cui moltissimi uffici giudiziari si sono dotati negli ultimi anni, è dunque un parametro di riferimento per la liquidazione del danno da lesione della salute.
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M. Rossetti
Il criterio “milanese” del punto variabile è stato ritenuto non solo valido, ma addirittura utile dalla
Corte di cassazione, la quale gli ha riconosciuto evidenti pregi: evitare disparità di trattamento, dare
un contenuto oggettivo al giudizio di equità, consentire la prevedibilità delle decisioni giudiziarie:
purché, naturalmente, si tratti di un “vero” criterio del punto variabile, cioè fondato su una precisa
funzione matematica di crescita del valore del punto, il quale a sua volta sia stato ricavato dalla media
dei precedenti giudiziari6.
Dopo avere stabilito l’utilizzabilità del metodo milanese, e la legittimità del ricorso alle c.d.
“tabelle” (cioè, come detto, allo sviluppo del suddetto metodo), la S.C. ha tuttavia compiuto ulteriori ed importanti precisazioni, mettendo in guardia contro il rischio che la liquidazione del danno
alla salute si traduca in una sorta di “automatismo”, in cui il giudice applichi acriticamente e meccanicamente la misura risultante dall’età e dal grado di invalidità della vittima. Il giudice di legittimità ha poi precisato che il giudice di merito può legittimamente adottare non solo la “tabella” in
uso presso l’ufficio giudiziario cui appartiene, ma anche quella adottata da altri uffici giudiziari.
L’adozione di una tabella diversa, tuttavia, esige una adeguata motivazione sui motivi che giustificano tale scelta7.
In sintesi, dunque, la S.C. ha affermato l’utilizzabilità del criterio a punto e la validità delle “tabelle” elaborate dai vari uffici giudiziari, aggiungendo però alcune importanti precisazioni, quasi delle
“istruzioni per l’uso”.
È stato affermato, in particolare, che l’uso del metodo a punto non può mai servire a sollevare il
giudice da due precisi munera: da un lato, adeguare in ogni caso il risarcimento al caso concreto,
senza limitarsi a convertire automaticamente in denaro il grado di invalidità permanente fornito dal
c.t.u.; dall’altro, fornire adeguata motivazione della liquidazione operata, indicando i fattori che
hanno consigliato nel caso di specie la misura ed il tipo di personalizzazione del risarcimento8.
Ciò vuol dire che, anche quando la liquidazione del danno biologico avviene col criterio del punto
variabile, essa si articola concettualmente in due fasi:
a) una prima fase di scelta ed applicazione del parametro standard, cioè quello uguale per tutti a parità di postumi;
b) una seconda fase di personalizzazione del risarcimento, vale a dire di adeguamento della somma
risultante dall’applicazione del parametro standard al caso concreto (con maggiorazioni o riduzioni).
Quando il giudice adotta il criterio del punto variabile, egli è di fatto sollevato dall’onere di motivare tale scelta, con riferimento alla prima fase della liquidazione. Basterà, al riguardo la mera indicazione che il parametro standard sia stato desunto dalla tabella uniforme adottata dall’ufficio giudiziario, e ricavata dalla media dei precedenti. L’obbligo di motivazione permane invece con riferimento alla seconda fase (concettuale) della liquidazione, cioè la personalizzazione del risarcimento:
in questo permane per il giudice l’obbligo di motivare sull’an e sul quomodo abbia ritenuto di adattare i valori della tabella al caso concreto9.
2. La personalizzazione
La liquidazione del danno alla salute, anche quando viene compiuta col criterio “a punto”, non
deve mai costituire una operazione meccanica, ma deve sempre rappresentare una operazione di
“sartoria”, in grado di modellare il risarcimento in base alle concrete peculiarità del caso specifico.
Per garantire nel contempo l’uniformità di trattamento e la considerazione delle peculiarità specifiche, il giudice deve adottare nella liquidazione un parametro standard, uguale per tutti, al quale
apportare caso per caso le opportune variazioni (in più od in meno).
La liquidazione del risarcimento deve perciò avvenire idealmente attraverso due fasi:
6
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9
Cass., sez. III, 19-05-1999, n. 4852, in Danno e resp., 1999, 1104.
Cass., sez. III, 19-05-1999, n. 4852, cit.
Cass. 23-5-2003 n. 8169; Cass. 17-3-1999, n. 2425, inedita.
Cass. 19-5-1999, n. 4852, in Danno e resp., 1999, 1104; Cass. 25-5-2000, n. 6873; Cass. 22-5-2000, n. 6616.
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Dal calcolo a punto al calcolo a punto differenziato: una storia in evoluzione
a) la scelta del parametro standard, che consenta di garantire l’uniformità pecuniaria di base, cioè
liquidare in modo (non identico ma) analogo i casi analoghi;
b) l’adeguamento al caso concreto del parametro standard. Questa operazione prende il nome di
“personalizzazione” del risarcimento.
Ovviamente non esistono (né possono esistere) regole oggettive per la personalizzazione del risarcimento. Tuttavia è possibile elaborare in subiecta materia almeno delle linee-guida, che consentano
all’operatore pratico scelte non improvvisate.
In primo luogo, deve ricordarsi che il danno alla salute è un danno disfunzionale. Esso consiste
nella perdita o nella compromissione di attività dell’esistenza individuale del leso, e quindi è un
danno tanto più grave quanto maggiore è il numero e la rilevanza di attività perdute o compromesse. Per personalizzare il risarcimento, dunque, occorre tenere conto delle attività (nessuna esclusa)
che, svolte dal danneggiato prima del sinistro, non possono più esserlo a causa delle lesioni, ovvero
non possono più essere svolte con la stessa frequenza ed intensità.
Ove si condivida questa premessa, potrà passarsi a considerare che nella vita di ogni individuo esistono attività communes omnium, ed attività propriae singulorum. Le prime sono quelle necessariamente svolte da ogni uomo, per il fatto stesso di essere tale (camminare, mangiare, vestirsi), ovvero
svolte dagli uomini di un certo contesto storico-sociale (leggere il giornale, guardare la TV, andare a
teatro, guidare l’automobile). Le seconde, invece, sono quelle non comuni a tutti, ma praticate dal
singolo individuo per effetto di una scelta individuale. Si badi che questo secondo tipo di attività non
debbono essere necessariamente “rare”: giocare a tennis, ad esempio, pur essendo pratica larghissimamente diffusa, costituisce un’attività dell’esistenza non “ordinaria”, ai fini di cui qui si discorre.
La liquidazione del danno da lesione della salute dovrebbe pertanto partire dall’applicazione del
parametro fisso, attraverso il quale si risarcisce la perdita o la compromissione delle attività “ordinarie”, che sono uguali per tutti. Ove poi sia allegato e dimostrato in giudizio che la lesione ha causato non soltanto una compromissione delle ordinarie attività esistenziali, ma anche una compromissione o soppressione di attività extralavorative particolari o comunque non comuni rispetto all’ordinarium vitae dell’uomo medio, dì tale limitazione deve tenersi conto con l’applicazione di un parametro variabile10.
Questa distinzione tra attività ordinarie ed attività “particolari”, delle quali tenere conto ai fini
della personalizzazione del risarcimento, è implicitamente confermata da quella massima, tralatizia
nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il risarcimento del danno alla salute deve essere personalizzato tenendo conto della gravità delle lesioni, della durata della malattia, dell’età del danneggiato, delle attività svolte, delle condizioni sociali e familiari11.
Ora, se si esaminano più da vicino i parametri indicati dalla S.C, ci si avvede che:
a) l’età, il sesso del danneggiato e la gravità delle lesioni sono già utilizzati nel calcolo del parametro
standard, quale che sia il criterio adottato (sia il metodo tabellare, sia quello a punto, sono infatti
modulati in base al grado di invalidità permanente ed all’età del leso);
b) le attività svolte, l’ambiente familiare e quello sociale costituiscono giustappunto quell’insieme di
attività particolari nel senso che sopra si è indicato.
Stabilito dunque di che cosa si debba tenere conto per personalizzare il risarcimento, è giunto il
momento di esaminare in che modo se ne debba tenere conto. E poiché la personalizzazione del
risarcimento consiste in un adattamento del parametro risarcitorio standard, la misura della personalizzazione non può che avvenire in due modi: o intervenendo sul grado di invalidità permanente;
oppure intervenendo sulla somma di denaro idealmente rappresentativa di quella invalidità.
Il metodo apparentemente più semplice ed immediato per personalizzare il risarcimento consiste
nell’innalzare (ovvero nell’abbassare, a seconda dei casi) il grado di invalidità permanente. In base a
10
Trib. Roma 14-4-1994, in Riv. giur. circ. trasp., 1994, 656.
Così Cass. 16-11-1998 n. 11532, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 249; Cass. 13-4-1995 n. 4255, in Resp. civ. prev., 1995, 519;
Cass. 21-3-1986 n. 2012, in Riv. it. med. leg. 1986, II, 186; nello stesso si vedano anche, ex multis, Pret. Livorno 27-2-92, Riv. it. dir. lav.,
1992, II, 780; Trib. Monza 22-2-89, in Resp. civ. prev., 1989, 676; Trib. Palermo 3-12-88, in Temi sic., 1989, 265.
11
19
M. Rossetti
questo criterio, accertata – poniamo – nel caso di specie una anchilosi sfavorevole del ginocchio,
tabellata dalle più importanti barémes medico-legali nella misura del 15%, il risarcimento può venire
personalizzato aumentando il grado di invalidità permanente al 18%, ove si accerti che il danneggiato praticava uno sport e che tale pratica gli sarà preclusa dai postumi.
Intervenire sul grado di invalidità permanente è però semplice, come si è detto, soltanto in apparenza; in realtà costituisce una operazione non priva di insidie.
In primo luogo, tutti i barémes medico legali, nell’indicare i vari gradi di invalidità permanente per
ogni singolo tipo di lesione, fanno riferimento ad un uomo ipostatizzato, astrattamente prefigurato e
non concretamente calato nel contesto nel quale vive e lavora. Non esiste, quindi, né potrebbe mai esistere, un baréme medico-legale in grado di tabellare la perdita o la compromissione di una attività particolare (praticare uno sport o andare a caccia). Di conseguenza, sussiste il concreto rischio che l’innalzamento del valore del punto possa avvenire in modo (magari equo nel caso concreto, ma) improvvisato, e che a distanza di tempo danni analoghi possano essere personalizzati in modo diverso.
Per ovviare a questo inconveniente, per la verità, è stato proposto (ed anche applicato in sede giudiziaria), un metodo particolare, fondato sul criterio della proporzione. In base a questo criterio
occorre innanzitutto stimare, ovviamente in via presuntiva, in che misura percentuale i postumi del
sinistro incidano su quella particolare attività extralavorativa (sport, impegno culturale, ecc.) il cui
esercizio è stato precluso o limitato in conseguenza del sinistro. Si immagina cioè, come ipotesi di
lavoro, un soggetto il quale nell’arco della propria giornata non svolga altra attività che – ad esempio
– quella sportiva, e si stabilisce in via ipotetica quale sarebbe potuto essere il grado di invalidità permanente residuato al sinistro per un individuo simile.
Fatto ciò, occorre determinare, sempre in via presuntiva, quanta parte del tempo della propria esistenza l’individuo leso dedicasse all’attività in esame (ad esempio un quarto della giornata, un quinto, ecc.). Quindi, si procederà a moltiplicare sia il grado di invalidità relativo alle ordinarie attività
esistenziali, sia quello relativo alle particolari attività esistenziali, per la frazione di tempo ad esse
rispettivamente dedicata. La media dei due risultati fornirà il grado di invalidità complessivo, secondo la formula
(le * t) + (lc * t1) / (t+ t1)
dove:
le è il grado di invalidità permanente determinato secondo il parametro fisso;
lc è il grado di invalidità permanente determinato con riferimento alla lesione delle particolari attività extralavorative svolte dal soggetto;
t è il tempo dedicato alle attività ordinarie;
t1 è il tempo dedicato alle attività particolari.
Così ad esempio qualora un soggetto, campione regionale di tennis, subisca un lieve infortunio al
quale residui una limitazione dell’articolazione della spalla, secondo i barémes medico legali più diffusi tale limitazione costituirà una compromissione della complessiva integrità psicofisica nella misura del 6%. Tuttavia, ove riferita alla sola attività tennistica, tale lesione sarebbe assai più elevata: si
immagini, per ipotesi, pari al 20%. Si supponga infine che il danneggiato dedicasse alla pratica del
tennis nove ore settimanali, pari al 5% del tempo complessivo della sua esistenza. Questo tipo di
danno può essere dunque liquidato e personalizzato come segue:
lesione “ordinaria” della salute: 6% x 95 = 570
lesione della attività peculiare al soggetto leso: 20% x 5 = 100
lesione della salute personalizzata: (570+100): (95+5) = 6,712.
La personalizzazione del risarcimento operata attraverso la modifica del grado di invalidità per12 Per una applicazione pratica di questo criterio si vedano Trib. Roma 14-4-1994, in Riv. giur. circ. trasp., 1994, 656 (la quale ha in
questo modo personalizzato il danno neurotico subìto da un ginnasta); e Trib. Roma 13.7.1995, C PIANA, Intercontinentale, inedita (ove
col metodo sopra indicato è stato personalizzato il danno subìto da un campione non professionista di canottaggio, conseguito ad una frattura scomposta della tibia).
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Dal calcolo a punto al calcolo a punto differenziato: una storia in evoluzione
manente presenta però anche ulteriori controindicazioni, specie ove per la liquidazione del danno si
adotti – come accade nella maggioranza degli uffici giudiziari – il criterio del punto variabile.
Si è visto, infatti, che il valore monetario del punto d’invalidità cresce in modo più che proporzionale rispetto al grado di invalidità: sicché, se un’invalidità del 10% viene risarcita con 10 lire a
punto, una invalidità del 20% sarà risarcita non con 20 lire a punto, ma con 20 lire più x a punto.
Pertanto ove il giudice, nell’esercizio della sua attività equitativa, ritenga che la preclusione per il
danneggiato allo svolgimento delle particolari attività cui attendeva prima del sinistro comporti una
maggior sofferenza del 20% rispetto alla liquidazione standard, altro è maggiorare del 20% il grado
di invalidità, altro è maggiorare del 20% il valore del punto.
Così ad esempio, una invalidità standard del 10%, in un soggetto ventenne, viene liquidata secondo le tabelle adottate dal tribunale di Roma con la somma di € 15.354, pari a € 1.535,40 per ogni
punto d’invalidità.
Volendo personalizzare questa misura standard, se l’aumento (poniamo del 20%) viene operato sul
grado di invalidità, la liquidazione personalizzata sarà di € 19.159 (e cioè 12 – grado di invalidità –
per il valore del punto corrispondente, e cioè € 1.915,90).
Se, invece, l’aumento “personalizzante” del 20% viene operato sul valore del punto d’invalidità (e
quindi € 1.535,40+20%), il risarcimento sarà pari a € 15.661.
Infine, la personalizzazione operata sul grado di invalidità può ingenerare spiacevoli “conflitti di
competenza” tra il giudice ed il medico-legale. Ciascuno dei due, infatti, potrebbe essere indotto a
ritenere di dovere procedere alla personalizzazione del risarcimento: il primo, adeguando il valore
monetario dello stesso; il secondo, aumentando il grado di invalidità permanente. Sennonché, in questo modo, la medesima rinuncia concreta (poniamo, il non potere più andare a cavallo) viene “pesata” due volte: prima dal c.t.u., per aumentare il grado di invalidità permanente che sarebbe risultato
dall’applicazione sic et simpliciter dei valori risultanti dalla baréme, e quindi dal giudice, magari ignaro della personalizzazione già operata dal c.t.u.
A questo proposito vale la pena ricordare che il compito del c.t.u. non è quello di risarcire, ma
quello di descrivere e valutare. Il medico-legale deve, per l’esattezza, fornire al giudice il quadro
completo delle attività che saranno precluse al danneggiato per effetto della lesione. Sarà poi compito del giudice assegnare a questo tipo di perdita un valore monetario. Pertanto non sembra corretto
demandare al c.t.u. la valutazione (da compiersi sotto forma di adeguamento del grado di invalidità
permanente standard) delle concrete ripercussioni che la lesione ed i suoi postumi hanno avuto sulla
vita del soggetto. In questo modo, infatti, si affiderebbe al c.t.u. una attività squisitamente valutativa
e criptorisarcitoria, e si avvalorerebbe ancor più la sciatta prassi che fa del giudice un mero convertitore in denaro del grado di i.p.13.
Un secondo e più corretto sistema di personalizzazione del risarcimento consiste nell’intervenire
sul valore monetario del punto di invalidità (ovviamente, utilizzabile soltanto dagli uffici giudiziari
che adottano il criterio del punto variabile).Questo sistema consiste nel liquidare il danno adottando un valore di punto maggiorato rispetto a quello che risulterebbe dall’applicazione della tabella (o
comunque dal criterio) in uso presso l’ufficio giudiziario. È un sistema semplice ed immediato, ma
fondato in sostanza sull’equità pura, in quanto non esistono criteri certi per determinare il quantum
di innalzamento del valore del punto14.
Infine, deve ricordarsi che l’adeguamento del risarcimento deve sempre avvenire iuxta alligata et
probata partium.
Infatti, perché l’adeguamento del parametro risarcitorio standard al caso concreto possa avvenire,
è necessario che la parte alleghi e dimostri al giudice quale fosse effettivamente il concreto tipo di vita
condotto prima del sinistro, e come questo tenore di vita si sia modificato per effetto dei postumi.
13 Contra, però, si veda Fiori, La stima personalizzata del danno alla salute: a chi compete e con quale metodo, in Dir. econ. ass., 1998,
343 e seguenti.
14 Per un’applicazione di questo criterio si vedano Trib. Roma 21-1-1997, in Riv. giur. circ. trasp., 1997, 134; Trib. Roma 8-10-1996,
Cressini c. Allianz, inedita (ma la parte della motivazione che qui interessa può leggersi in Rossetti-Pinto-Ranieri, Il danno biologico nella
giurisprudenza del tribunale di Roma, Roma 1997, 49.
21
M. Rossetti
Da un punto di vista processuale, è insignificante per il danneggiato allegare di avere riportato
una anchilosi dell’articolazione del ginocchio, se non si aggiunge quali rinunce quella menomazione
funzionale abbia comportato: se abbia costretto il danneggiato a rinunciare alla poltrona od alla bicicletta, alle passeggiate od alle corse campestri15.
Purtuttavia l’esperienza rivela che, contrariamente ai princìpi testé affermati, è rarissimo che l’attore dichiari esattamente quali ordinarie attività esistenziali, oltre quella lavorativa, gli siano state precluse della lesioni subite; e non è quindi un caso se la personalizzazione del risarcimento, specie per
i danni di piccola o media entità, sia di fatto inesistente.
Nella maggioranza dei casi infatti il giudice non sa nulla di quale fosse la vita del danneggiato
prima del sinistro, e di come sia cambiata dopo di esso. Non sa, il giudice, se il danneggiato – rispetto a quanto faceva prima del sinistro – coltivi gli stessi hobbies, conservi le stesse abitudini, pratichi
gli stessi sport, e via dicendo. Questa prassi, unicamente all’altra – pure largamente diffusa – in virtù
della quale il danneggiato non compare neppure in giudizio, delegando il proprio avvocato a rispondere all’interrogatorio libero nell’udienza di trattazione, impedisce al giudicante qualsiasi contatto
con l’attore in quanto persona. Si realizza così una specie di “spersonalizzazione” o “dematerializzazione” dell’attore, ridotto – specie nei grandi uffici giudiziari – da persona dotata di una propria irripetibile individualità, a mero “fascicolo”, o “pratica”, da evadere attraverso l’adozione di criteri standardizzati e sempre uguali. Sarebbe invece sommamente opportuno che, specie nel caso di danni
medi o gravi, l’attore si facesse presente in giudizio come persona, come portatore di un vissuto compromesso dalla lesione, e non come reperto di laboratorio da percentualizzare.
3. L’obbligo di motivazione
Quale che sia il criterio di liquidazione del danno concretamente adottato dal giudice nel caso concreto, egli ha comunque l’obbligo di dare adeguata motivazione sia della scelta compiuta, sia del
modo in cui ha ritenuto, nel caso di specie, di personalizzare il risarcimento.
Che il danno alla salute debba essere liquidato secondo equità, non vuol dire che possa essere
liquidato con criteri arbitrari. L’equità di cui all’art. 1226 c.c., infatti, presuppone pur sempre la possibilità di verificare ex post l’iter logico seguito dal giudice.
La valutazione equitativa non è, concettualmente, diversa dalla valutazione di conformità di qualsiasi fatto reale ad una fattispecie giuridica. La valutazione equitativa non è una appercezione intuitiva, ma una deduzione sillogistica, nella quale la premessa maggiore è costituita dal generale principio di equità e dalle circostanze del caso concreto. Da ciò consegue che, anche quando decide secondo equità, il giudice non può limitarsi a motivare la propria decisione con mihi videtur del tipo “si
ritiene equo”, “appare equo”, “appare conforme ad equità”, e simili.
Questi princìpi sono, tuttora, puntualmente applicati dalla S.C., la quale ha stabilito che “sulla
valutazione dello specifico danno alla salute, nonché’ sulla liquidazione del corrispondente risarcimento, il giudice del merito ha dovere di motivare in sentenza, anche se si avvalga di criteri equitativi per
fini strettamente estimativi. L’equità, invero, opera nel momento di formazione della regola del giudizio liquidatorio nel caso concreto, non in quello della doverosa, ufficiale dichiarazione degli estremi,
logico-giuridici e fattuali, giustificativi della regola stessa nella sentenza (art. 111, comma primo, Cost.
Rep., art. 132, n. 4, cod. proc. civ.) (…). In ogni caso, degli estremi di fatto e di diritto del ragionamento decisorio, il giudice del merito ha dovere di dare concisa notizia nella motivazione della sentenza di
liquidazione del danno alla salute, affinché consti sia che la regula iuris è stata esattamente rinvenuta
ed è appropriata, sia che ne è stata fatta corretta applicazione nella specie” (Cass. 13-1-1993 n. 357, in
Foro it., 1993, I, 1897).
Deve di conseguenza ritenersi affetta da vizio di motivazione la sentenza nella quale il danno alla
salute venga liquidato con formule apodittiche come “tenuto conto delle circostanze del caso con15
Trib. Pescara 5-3-1992, in PQM, 1992, fasc. 2, 73.
22
Dal calcolo a punto al calcolo a punto differenziato: una storia in evoluzione
creto, si stima equo liquidare il danno in € …”.
Formule di questo tipo infatti non consentono di verificare in che modo il giudice di merito ha
fatto applicazione dei princìpi di equità, adattandoli al caso concreto. Dinanzi a decisioni siffatte, di
conseguenza, non è preclusa l’impugnazione per cassazione, sotto il profilo di erroneità od insufficienza della motivazione. Anche quando decide secondo equità, infatti, il giudice deve dare espressione coerente e completa delle ragioni che sorreggono la decisione equitativa, non fondata su asserzioni tautologiche16 o contraddittorie17, o comunque insufficienti18.
16
17
18
Cass. 22-4-1993 n. 4725.
Cass. 5-9-1986 n. 5420, 16-6-1990 n. 6056, 9-6-1992 n. 6067, 22-4-1993 n. 4725, 13-7- 1996 n. 2167.
Cass. 29-9-1998 n. 9734, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 279, inedita nella motivazione.
23
Danni alla persona ed assicurazione
L. DESIDERIO
In una conversazione dedicata ai problemi della risarcibilità del danno alla persona, l’Isvap,
Organo tecnico di vigilanza sulle imprese impegnate a ristorare tale pregiudizio, è chiamato ordinariamente a fornire dati numerici indicativi dell’impatto che i risarcimenti hanno sui conti delle
Compagnie.
Certo, su un aumento del costo medio dei sinistri R.C. Auto che è stato nel 2002 del 6% rispetto
al 2001, il costo medio dei danni a persona è cresciuto del 12,5%; il 66% degli esborsi complessivi
delle compagnie riguarda tale tipologia di danno, contro il 33% dei danni a cose. Ma di questi dati
l’Osservatorio sul danno biologico, istituito presso la Scuola, non ha bisogno, dal momento che ai
suoi lavori di analisi l’Isvap partecipa fornendo tutto il bagaglio informativo disponibile in materia.
Il che mi affranca dal presentare una relazione irta di numeri, raffronti, percentuali che indurrebbe
alla noia più profonda l’uditorio, mentre mi permette di esporre qualche riflessione di tipo sabbatico (sono in libera uscita rispetto alla quotidianità del mio lavoro) sulle tendenze che si vanno registrando nella soluzione dei problemi della responsabilità civile, del danno procurato alla persona,
della relativa quantificazione e risarcibilità, del rapporto fra risarcibilità e assicurazione; tendenze di
lungo corso, frutto di un’evoluzione lenta dei concetti giuridici, di una storia “geografica” (direbbe
Braudel) degli istituti a misura dei mutamenti geologici, avvertita solo se ci stacchiamo dalla storia
degli avvenimenti spiccioli, la storia “avvenimenziale” per dirla sempre con Braudel, la piccola cronaca quotidiana.
Esordisco con una banalità se dico che la quantificazione del danno – sia esso a cose o (e soprattutto) a persone – costituisce uno degli aspetti più problematici del capitolo della responsabilità, quello in cui il diritto è forzato – contro la sua stessa natura di scienza logica – a far ricorso a strumenti di
altre discipline, così dandosi carico, come fossero sue, di approssimazioni e di convenzionalità, oserei dire di insufficienze, che sono di altri comparti disciplinari, non del comparto giuridico.
Vero è che il risarcimento, quando si fa moneta, diventa prezzo; e tuttavia, se v’è prezzo per le
cose, non ve ne è per le persone, a causa dell’incommensurabile valore che la vita umana assume.
Ed è la consapevolezza di questa incommensurabilità che spinge forse la teoria ad ampliare il
campo del danno risarcibile, sia dando nuovi contenuti ai profili di danno già noti (il danno patrimoniale, il danno morale), sia affiancando ai danni noti figure nuove di danno (il danno biologico, il
danno estetico, il danno alla sfera sessuale, il danno esistenziale, il danno alla vita di relazione, il
danno tanatologico e chi più ne ha più ne metta).
Esemplifico. Il danno è un elemento oggettivo dell’illecito; nel danno patrimoniale l’oggettività si
dovrebbe elevare al quadrato in modo da dare al valutatore elementi certi, sicuri di calcolo in termini di quantificazione sia del danno emergente che del lucro cessante. Senonchè nel lucro cessante,
componente del danno patrimoniale, si tende ad annoverare secondo qualche sentenza la perdita di
chance, con una prospettazione che apre voragini all’immaginazione su ciò che avrebbe potuto essere
e non è stato. Un recente film di qualche notorietà, Sliding doors, ha dato rappresentativa evidenza ai
mutamenti che il destino di un uomo (nella specie, una donna) può ricevere dal fatto di giungere un
attimo prima o un attimo dopo all’appuntamento con le porte di un vagone della metropolitana.
E che dire del danno morale, del pretium sceleris da corrispondere in caso di delitto per compensare il dolore di una perdita inferto nella carne o nello spirito della vittima (c.d. primaria) o dei suoi
cari (vittime secondarie)?
Come si possono compensare in moneta le sofferenza di un uomo condannato a passare il resto
dei suoi giorni su una sedia a rotelle o, peggio ancora, le lacrime di una madre cui hanno ucciso il
25
L. Desiderio
figlio? E anche qui si tende ad andare oltre le angustie della norma, statuendosi da alcune sentenze
che non occorre la condanna del reo con sentenza irrevocabile perchè nasca il diritto al risarcimento del danno morale, è sufficiente una sentenza di 1° grado, anzi basta che si stia procedendo in sede
penale anche se il processo non sia, non si dice concluso, ma addirittura neppure avviato. Nasce da
qui la configurazione del danno morale soggettivo, inteso come patema d’animo, come sofferenza o
turbamento psichico transeunti, determinati da fatto illecito riconducibile ad un’ipotesi astratta di
reato, che – nel pensiero della Cassazione (sent. n. 8827/03) – “è risarcibile anche se il fatto non sia
configurabile come reato”. E così, si è data una bella spallata all’art. 185 c.p..
Tuttavia, pur con queste forzature, siamo ancora lontani dal ritenere appagata l’ansia risarcitoria.
Di qui la tendenza a dilatare i confini del danno alla persona attraverso nuove figure che tanto meno
si riescono a delimitare quanto più la responsabilità civile tende a fondarsi sul rischio, più che sulla
colpa; e ciò con buona pace di quel danno ingiusto che, nel contesto dell’art. 2043, presuppone un
comportamento doloso o, almeno, colposo. Che altro è se non una responsabilità senza colpa, di puro
rischio, quella che ai sensi dell’art. 2054, co. 1, c.c. si addebita al conducente del veicolo, se non prova
di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno? Se il danno è lì, bello e verificato, sostenere di aver
tentato con ogni mezzo di evitarlo diventa (come ha notato Guido Alpa) una probatio diabolica.
In questa propensione a spostare in avanti le barriere della risarcibilità, teoria e prassi giurisprudenziale trovano terreno fertile nei principi costituzionali, si tratti di richiamare i doveri di solidarietà di cui all’art. 2, o la tutela della salute di cui all’art. 32, o i doveri di sicurezza di cui all’art. 41.
Del resto la giurisprudenza della Cassazione, fornendo un’interpretazione costituzionalmente
orientata dell’art. 2059, postula una nozione amplissima del danno non patrimoniale, includendovi
ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona (si leggano in tal senso le sentenze n.
8827/03 e 8828/03).
In effetti la strada dell’ampliamento e, si direbbe, della proliferazione delle categorie di danno non
patrimoniale era stata aperta dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 233/03, e prima ancora
con le sentenze n. 356/91 e n. 184/86, ove non solo si è teorizzata la risarcibilità del danno “(spesso
definito in dottrina e giurisprudenza esistenziale) derivante dalla lesione di qualsiasi interesse di
rango costituzionale, diverso dalla salute, che inerisca alla persona”, ma – quanto al danno biologico
– si è dedotto che vi sia compreso qualsiasi pregiudizio operante non soltanto nella sfera produttiva,
ma anche nella sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva e di ogni altro ambito o modo in
cui il soggetto svolge la sua personalità.
E si comprende bene che, se distinti sono i valori costituzionali di riferimento, diverse potranno
essere le nuove figure di danno risarcibile.
Nasce presumibilmente da qui la difficoltà di ricondurre ad unità le diverse fattispecie via via elaborate dalla speculazione giuridica e, per questa via, costruirle in numero chiuso come forse si è illuso di fare il legislatore della legge 5 marzo 2001, n. 57, quando – nel tentativo di arginare la marea
montante dei danni da risarcire – ha evocato (sia pure con riguardo alle lesioni di lieve entità) il
danno biologico come danno medicalmente e (si direbbe) conclusivamente collegabile alle diverse
forme di invalidità fisio-psichica.
La stessa pia illusione probabilmente coltiva il Legislatore dell’imminente Codice delle
Assicurazioni, quando cerca di ancorare il risarcimento al reddito più elevato dell’ultimo triennio
quale risulta dalla dichiarazione dei redditi, col deterrente di una denuncia all’Agenzia delle entrate
se il danneggiato provi di avere percepito un reddito superiore di oltre un quinto a quello denunciato al Fisco (art. 171 del Progetto); e ancor più quando, ai fini del calcolo del danno biologico, fissa
specifici coefficienti di invalidità, consentendo al Giudice di superarli non oltre il quinto “con equo
e motivato apprezzamento” (art. 173 Progetto).
Io non credo che il positivismo legislativo riesca a porre un freno alla configurazione di nuove figure di danno, alla loro messa al bando dalle cattedre dell’accademia o dalle aule dei tribunali. E se ciò
pure avvenisse, resterebbe pur sempre la varietà dei criteri tabellari, espressione più veritiera – anche
se grossolana – dell’indipendenza dei giudici, intesa come capacità di fare a proprio modo, senza raccordi con nessun altro se non con la propria coscienza e volontà decisionale.
26
Danni alla persona ed assicurazione
Le recenti tabelle del Tribunale di Milano, con incrementi di per sé consistenti rispetto alla prassi precedente, per di più aumentabili fino al 30% dal Giudice nell’ambito della personalizzazione del
danno, confermano che la “piaga delle ipervalutazioni”, come l’ha definita Busnelli, è lungi dall’essere bloccata o ridotta.
Ma ecco il punto. Quale potrà essere il momento di arrivo di questa corsa allo scavalco, se l’iniziativa dei giudici e la riflessione degli studiosi non riesce a fare i conti con i limiti di sopportabilità
dell’onere risarcitorio? Cui prodest, in altri termini, proporre sommatorie incredibili di indennizzi se,
non si dice per la minoranza dei ricchi Epuloni, ma per la generalità dei consociati quelle somme
sono destinate ad iscriversi nel mare perso dei crediti che non saranno mai onorati?
La domanda è a suo modo provocatoria perché induce a sospettare che tanto ardore speculativo
ed applicativo di giudici e cattedratici nella ricerca di forme sempre più ampie di risarcibilità trovi
giustificazione nel fatto di avere di fronte un interlocutore professionalmente capiente. E vengo all’altro termine del rapporto indicato nel titolo della mia conversazione.
Si vuol dire, in altre parole, che si coglie un filo rosso di collegamento fra risarcibilità ed assicurazione sicchè più si amplia il presidio della tutela assicurativa, più cresce la propensione a caricare di
obblighi risarcitori aggiuntivi un soggetto che, per vocazione imprenditoriale, tali obblighi è destinato ad assumere.
È in questa prospettiva fortemente dialettica di interessi contrapposti e (spesso) male arbitrati che
si va a collocare l’obiettivo per l’Organo di vigilanza di evitare che la pur legittima pretesa ad un risarcimento soddisfacente si trasformi in un “massacro” per il patrimonio delle imprese di assicurazione.
Un massacro per modo di dire – va soggiunto – perché i maggiori oneri di cui parliamo si scaricano pur sempre sulla mutualità generale, col corollario di aumenti tariffari, resistenze processuali
all’ultimo sangue, rifiuti – quando non vi sia l’obbligo assicurativo – di coperture (il caso della responsabilità professionale dei medici fa testo). L’aumento dei massimali – 1 milione di Euro per vittima,
5 milioni di Euro per sinistro – disposto dalla imminente Quinta Direttiva R.C. Auto, è – ahinoi! –
foriero di ulteriori inasprimenti di tariffe di cui, per vero, non si sentiva in alcun modo il bisogno.
A chi giova tutto questo? È guardando agli interessi generali che l’Isvap sostiene ogni iniziativa
mirante a trovare soluzioni di razionale convenzionalità nella determinazione dei criteri di calcolo del
danno alla persona.
Lo ha fatto contribuendo all’elaborazione di un progetto di legge solo in parte attuato; lo fa sostenendo i lavori dell’Osservatorio pisano sul danno biologico; lo farà intervenendo nelle sedi opportune per accrescere la sensibilità collettiva attorno ad un problema che troppo spesso si affronta con
superficialità ed una punta di demagogia.
Che il risarcimento del danno alla persona si fissi con criteri di calcolo diversi in ragione della
diversa opinione di questo o di quel giudice, è conclusione che fa a pugni con elementari principi di
giustizia sostanziale e di uguaglianza formale.
La necessità di un sistema tabellare unico, che copra l’intero territorio nazionale ed ispiri unitariamente le decisioni dei giudici, dovrebbe rappresentare un dato di partenza di massima condivisione.
Si legge tuttavia sulla stampa che un appello è stato rivolto al Presidente della Repubblica da parte
dell’Osservatorio vittime della Lega italiana dei diritti dell’uomo, perché intervenga a sospendere i
lavori che sono in atto presso il Ministero della Salute con l’obiettivo di predisporre una tabella delle
menomazione da 10 a 100 punti all’integrità psico-fisica; e ciò in quanto la Commissione di lavoro
non sarebbe composta da esperti democraticamente eletti. L’invito della L.I.D.U. si inquadra nel
contesto di una più generale mozione di opposizione alla predisposizione di una tabella unica del
danno biologico da valere per l’intero territorio nazionale.
Richiamo questi eventi non senza ricordare che censure di incostituzionalità sono state a suo
tempo mosse anche nei confronti della tabellazione delle micropermanenti (da 1 a 9% di invalidità)
disposta con la legge n. 57/01.
Dunque, siamo ancora lontani dal registrare la maturazione di una generalizzata consapevolezza
in ordine alla necessità che il problema della risarcibilità del danno alla persona trovi soluzione in un
sistema definibile (ripeto) di convenzionalità ragionevole.
27
L. Desiderio
Un sistema di convenzionalità ragionevole passa attraverso tre riconoscimenti di principio; e cioè
che:
a) occorre una tabella di valori da applicare all’intero territorio nazionale;
b) tale tabella, per quanto sofisticata possa essere, non potrà mai dismettere un connotato di convenzionalità in ragione dell’impossibilità di misurare col metro monetario la sofferenza della vittima o dei suoi cari;
c) in ragione di tale incommensurabilità di base, la valutazione tabellare deve incontrare un limite nel
livello di sopportabilità economica dell’onere risarcitorio, faccia esso direttamente capo al responsabile o invece all’impresa che professionalmente si surroga nell’esborso.
Se non saremo consapevoli che nessuna tabella, per quanto tecnicamente ben costruita, riuscirà
mai a dare senso e misura al ristoro di una umana sofferenza e che, al di là di taluni riconoscimenti
monetari imposti da ragioni di rispetto e di civiltà per il sofferente, sussiste un confine invalicabile di
sopportabilità economica per chi è chiamato a risarcire, la materia del danno risarcibile continuerà
ad essere palestra di diatribe senza costrutto e di polemiche inconcluse.
Lo dico pensando non solo ai limiti di risarcibilità previsti dal Codice assicurativo, ma anche a
quelli del disegno di legge che staziona dinanzi al Parlamento (il d.d.l. A.S. n. 4903 presentato nel
1999 dal Ministero della Giustizia cui ha collaborato l’ISVAP, integrato dal suggerimento di sostituire all’indennizzo una tantum una rendita vitalizia in favore dei macrolesi).
La verità è che una regolamentazione puntuale del danno biologico non piace ai Giudici, che
vedono ristretti i loro poteri decisionali; ma non piace nemmeno a quel coacervo di interessi più o
meno corporati (medici, avvocati, associazioni consumeristiche, periti, faccendieri) che nel meccanismo risarcitorio dei danni (anche) a persone intravvedono una modalità di redistribuzione del reddito; e poichè in talune zone d’Italia il risarcimento a carico delle compagnie funziona anche da
ammortizzatore di tensioni sociali, viene il dubbio che una disciplina rigida non trovi il favore neppure dei politici. “Giova sperare, caro il mio Renzo” fa dire lo scetticismo del Manzoni al protagonista del suo romanzo. Lo diciamo anche noi, cercando di mettere d’accordo l’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione.
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Interesse medico legale delle macropermanenti
R. DOMENICI
Le cosiddette “macropermanenti” – ovvero quelle menomazioni che danno luogo a percentuali
molto elevate di invalidità, indicativamente superiori al 60-70% – costituiscono un problema valutativo medico-legale di grande interesse, per più di una ragione. La prima, ovvia, consiste nel rischio
di un risarcimento inadeguato alla gravità e alla complessità del danno e comunque non proporzionato a quelli che ordinariamente vengono corrisposti per i postumi di media entità e (a maggior
ragione) per le micropermanenti. Tuttavia, non è necessario soffermarsi su questo aspetto, che di
sicuro è ben presente a giuristi, magistrati, avvocati, medici legali, assicuratori, come a chiunque altro
operi nell’ambito del risarcimento del danno alla persona, e riguardo al quale si riscontra una sensibilità ampiamente condivisa: sicchè sarebbe difficile trovare chi non convenga che ogni sforzo debba
venir esperito al fine di assicurare il più equo ristoro ai portatori di menomazioni che così pesantemente incidono sul loro modo di essere. Conviene, piuttosto, attrarre l’attenzione sulle specifiche difficoltà che la quantificazione medico-legale del danno da macropermanenti comporta in un sistema
valutativo incentrato sul pregiudizio della “capacità di vivere”, anziché della capacità di produrre.
In realtà, l’affermazione della dottrina del danno biologico ha rappresentato una vera e propria
“rivoluzione copernicana” nel sistema valutativo medico-legale del danno in responsabilità civile.
Non si è trattato, come alcuni hanno preteso, della semplice introduzione di una nuova (e, comunque, autonoma) posta di pregiudizio accanto a quelle già esistenti e consolidate nel tempo. E, neppure, della mera sostituzione di un parametro valutativo ormai divenuto obsoleto (la c.d. “capacità
lavorativa generica”) con uno più attuale. Si è invece inteso dar vita ad un innovativo metodo globale di stima del danno alla persona, basato sul prioritario apprezzamento della compromissione dell’integrità psico-fisica del leso, che è il necessario fondamento di ogni voce di danno suscettibile di
valutazione medico-legale. Perciò, vecchi schemi operativi e categorie di giudizio, nel passato utilizzati dagli esperti, debbono ormai essere abbandonati. Questa asserzione è specialmente appropriata
se si fa riferimento alle macropermanenti.
Un sistema valutativo basato sulla misura della capacità produttiva deve ammettere, di necessità,
l’esistenza di persone non più in grado di produrre. Di qui la convenzione, non controversa, secondo cui la “capacità lavorativa generica” – che possiamo, tradizionalmente, intendere come la potenzialità nei confronti di un ipotetico lavoro, di ordinario impegno energetico e a prevalente impostazione manuale, cui possa attendere l’“uomo medio” – è esauribile. Pertanto, tutti i baremes fondati
sulla “capacità lavorativa generica” prevedono un “tetto” del 100%, raggiunto il quale la potenziale
attitudine a produrre viene a mancare. Le persone che hanno perduto la loro efficienza produttiva
(secondo la convenzione sopra ricordata) sono state definite “prive di valore economico”: una definizione senza dubbio provocatoria e offensiva del comune sentire, ma perfettamente consequenziale.
Ai fini valutativi, in tale sistema, poco importa di qual misura codesto “tetto” sia stato sfondato:
ha ugualmente perso il 100% della “capacità lavorativa generica” tanto chi sia divenuto cieco, quanto chi sia diventato insieme e cieco e sordo, quanto infine (per portare all’estremo l’esempio) chi
abbia perso ad un tempo e vista e udito ed entrambe le mani. Detto con altre parole, il parametro
della capacità produttiva, su cui si è basato il sistema valutativo tradizionale, è uno strumento scarsamente sensibile per graduare condizioni di grave (o gravissima) compromissione dell’integrità psicofisica. Non appaia ironico, ma tale circostanza ha agevolato, nel passato, il compito dell’esperto
medico-legale, poiché ha consentito una sostanziale convergenza entro un ristretto range di valutazioni percentuali di una pluralità di menomazioni incidenti in maniera sensibilmente diversa sulla
salute del leso.
29
R. Domenici
Inoltre, nel sistema tradizionale, il pregiudizio delle energie destinate alla produzione di reddito
trovava espressione medico-legale nel binomio “capacità lavorativa generica”/“capacità lavorativa
specifica”, mediante l’attribuzione di due distinte percentuali che, naturalmente, in sede di liquidazione dovevano essere composte (e non sommate tra loro) per dar luogo al quantum di risarcimento
del danno patrimonale. Tale operazione di sintesi, sebbene le sue modalità fossero state analiticamente descritte nell’aurea monografia di Antonio Cazzaniga1, non appariva sovente agevole ed i suoi
variegati esiti dipendevano in buona parte dal creativo empirismo di chi doveva procedere alla liquidazione. Peraltro, nel caso delle macropermanenti, l’annullamento (o la gravissima contrazione) della
“specifica” finiva, di solito, con l’assorbire la compromissione della “generica”, la cui importanza
come parametro di valutazione del danno veniva dunque ad essere fortemente ridimensionata.
In un sistema valutativo incentrato, come l’attuale, sull’apprezzamento della menomazione dell’integrità psicofisica – primariamente per il pregiudizio che essa arreca al bene costituzionalmente
tutelato della salute ed, in seconda istanza, per quello, eventuale, all’attività (piuttosto che alla mera
potenzialità) produttiva – le regole per la quantificazione medico-legale del danno da macropermanente non possono che essere diverse.
Mentre la “capacità lavorativa generica” è, per convenzione, esauribile, cosicchè il 100% di perdita può essere raffigurato mediante la metafora di un tetto (non importa in quale misura “sfondato”, nel singolo caso), il bene salute è per sua natura inesauribile nel vivente, per modo che la nozione di 100% di danno biologico non è altrettanto facile da definire. Certo, se si possono concepire
uomini senza valore economico, non è dato immaginare un uomo, ancora in vita, privo di “valore
biologico”. Si è detto che il 100% di danno biologico corrisponde alla morte, ma questa asserzione
è fuorviante, poiché “la lesione dell’integrità fisica con esito letale non può considerarsi una semplice sottoipotesi della lesione alla salute in senso proprio” (Corte Cost. n 327, 27/10/94): menomazioni e morte incidono su due beni giuridici differenti (l’integrità psico-fisica e la vita) e ledono quindi
due diversi diritti. Neppure è facile figurarsi la fattispecie tipica di danno che maggiormente si
approssimi alla perdita completa della salute. Si è fatto l’esempio dello stato vegetativo persistente,
che è senza dubbio la condizione durevole nel tempo che più si avvicina alla morte. Ma se è vero che
il soggetto in tale stato si trova al vertice della scala di gravità del danno per quanto concerne la compromissione dell’integrità psico-fisica e della capacità di compiere gli atti quotidiani del vivere, è discutibile che il conseguente turbamento del suo modo di essere attinga al massimo grado, in mancanza
del requisito essenziale della consapevolezza della menomazione.
Se si immaginasse di ordinare in una scala di crescente gravità, da 1 a 100, la sterminata moltitudine delle menomazioni (o dei complessi menomativi) che affliggono gli esseri umani – usando quale
criterio ordinatore il grado di compromissione del bene salute, anziché della capacità produttiva – si
otterrebbe una linea la cui crescente ascesa non si conclude in un più o meno lungo plateau (il “tetto”
della perdita della “capacità lavorativa generica”), ma tende invece, in maniera che i matematici
direbbero asintotica, al limite del 100. Secondo questa metafora, il 100% di danno biologico piuttosto che a una specifica condizione (o a più specifiche condizioni di pari gravità) corrisponde al limite a cui tende la scala progressiva delle menomazioni dell’integrità psicofisica.
Il modello che si è proposto offre una rappresentazione visiva della difficoltà che si incontrano a
quantificare il danno biologico conseguente a macropermanenti in termini meramente percentualistici. Infatti, man mano che la curva si approssima al 100%, a menomazioni di crescente gravità corrispondono differenze di percentuale progressivamente minori. È vero che, in sede di liquidazione,
si può ovviare in parte a tale inconveniente applicando il principio secondo cui l’incidenza della
menomazione sulla vita del danneggiato cresce in modo più che proporzionale rispetto all’aumento
percentuale assegnato ai postumi, non solo in termini assoluti, ma anche relativi. Tuttavia, il conseguente correttivo – basato sul progressivo aumento del valore economico del punto, man mano che
aumenta la percentuale di invalidità – può spesso rivelarsi insufficiente. D’altra parte, se qualsiasi esti1
A. CAZZANIGA, Le basi medico-legali per la stima del danno alla persona da delitto e quasidelitto Istituto Editoriale Scientifico, Milano
1928.
30
Interesse medico legale delle macropermanenti
matore del danno appena competente sa discriminare con sicurezza e con adeguata motivazione
un’invalidità del 5% da una del 10%, anche il medico legale più esperto avrebbe serie difficoltà a giustificare la scelta di attribuire il 95% anziché il 90% (per non dire il 93%) ad una macropermanente, salvo non possa far sicuro riferimento ad una voce archetipa provvidenzialmente tabellata. Da
tutto ciò deriva un paradossale inconveniente, che contribuisce ad inficiare ancora di più l’approccio
meccanicamente percentualistico alla valutazione delle macropermanenti: quanto maggiore è il valore economico del singolo punto percentuale, tanto minore è l’accuratezza della stima medico-legale.
Vi sono dunque fondati motivi, attinenti a difficoltà tecniche di valutazione, che inducono a considerare secondaria (se non marginale) l’espressione percentuale del danno ai fini del ristoro delle
macropermanenti. Non meno importanti sono però le ragioni che attengono, per così dire, alla “filosofia” della valutazione del danno biologico.
Il sistema di valutazione vigente fino a non molti anni addietro, per essere basato su parametri reddituali (seppure presuntivi, quando non fittizi), poteva venire considerato una derivazione di quelli
infortunistici, privati e di legge, facenti capo a tabelle in cui erano prese soprattutto in considerazione, all’interno di un numero assai contenuto di voci, le menomazioni agli arti ed in particolare le
mutilazioni, per le quali era piuttosto agevole stabilire (convenzionali) indicazioni percentuali. Con
l’avvento del danno biologico, quale fondamento della valutazione, questa situazione è radicalmente
cambiata. In luogo di quei semplici “tariffari” – poco più che elenchi di percentuali riferite ad alcune menomazioni tipiche, sebbene nel tempo integrati ed aggiornati dall’opera pregevole di studiosi2
– si è avvertita la necessità di vere e proprie “guide”, concepite in maniera più organica ed esaustiva,
che segnassero il passaggio da un empirismo eccessivamente discrezionale, alimentato da tramandate massime d’esperienza, ad una metodologia maggiormente improntata a caratteri di scientificità.
Tale metodologia, che è estesa a coprire la totalità degli apparati e dei sistemi dell’organismo
umano, si fonda sulla premessa di una rigorosa oggettivazione del danno, privilegia la descrizione
sistematica degli esiti invalidanti, delle loro estrinsecazioni sintomatologiche e delle loro ricadute
sugli atti ordinari del viver comune, è focalizzata alla ricerca di criteri di graduazione della compromissione anatomo-funzionale, da cui far discendere (da ultima e per ultima) la percentuale del danno,
proposta in forma più indicativa che prescrittiva.
Questi concetti sono stati lucidamente enunciati dalla commissione di esperti cui la Società
Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni nel 1992 aveva affidato la compilazione di una guida
per la valutazione del danno biologico, pubblicata nel 1996 e che nel 2001 è giunta alla terza edizione3. Di seguito, si riportano alcune pertinenti citazioni, tratte dal “decalogo” per l’uso di detta Guida
(pagg. XLVII-LI).
Dal punto 2: “La descrizione delle menomazioni e la loro incidenza sulla efficienza psicofisica della
persona rappresentano la vera essenza dell’apporto che il medico legale può recare alla valutazione
del danno alla persona …”
Dal punto 3: “Le percentuali di invalidità hanno sempre valore orientativo. Esse danno accesso alla
valutazione medico-legale, ma questa richiederà il ricorso ad apprezzamenti e a considerazioni di
specie, allorchè le menomazioni da sottoporre a stima non sono elementari, ma risultano invece più
gravi o complesse … In altri termini, le percentuali sono la estrema sintesi di una materia che spesso
non può essere condensata …”
Dal punto 4: “… Le grandi invalidità incidono generalmente in maniera molto più grave, per le effettive conseguenze negative sul soggetto che ne è portatore, di quanto non significhi l’indicazione numerica, espressione di un ingannevole rapporto di proporzionalità diretta …”
Ma è opportuno soffermare l’attenzione sul punto 10 del decalogo, che riguarda in specie le
macropermanenti. Gli autori avvertono che le percentuali superiori al 60%, che pure figurano nella
2 Come l’ottima Guida alla valutazione medico-legale dell’invalidità permanente di R. LUVONI et al (Giuffrè, Milano 1970) che, nelle
sue successive edizioni, per molti anni ha rappresentato il più autorevole riferimento tabellare per la stima del danno alla capacità lavorativa generica.
3
M. BARGAGNA-M. CANALE-F. CONSIGLIERE-L. PALMIERI-G. UMANI RONCHI, Guida orientativa per la valutazione del danno biologico. Giuffrè, Milano 2001.
31
R. Domenici
Guida, vi sono state inserite solo per “completezza e per lato orientamento”. In casi del genere, l’esperto non dovrebbe fare “stretto ricorso” a tali indicazioni percentuali, ma piuttosto descrivere analiticamente la portata invalidante delle menomazioni, “suggerendo a chi deve liquidare il danno di
far ricorso alla procedura incentrata sull’esame delle precedenti pronunce”. La “filosofia” del nuovo
sistema valutativo, basata sulla prevalenza del momento descrittivo su quello della formulazione
numerica, trova la sua più compiuta espressione nella stima delle grandi invalidità. E, d’altra parte,
il perseguimento di un miglior ristoro di tali invalidità induce a prospettare una complementarietà
tra il metodo della valutazione per baremes, proprio della tradizione del nostro Paese (come di altri
Paesi latini), e quello sulla base dei precedenti, praticato nel mondo anglosassone e germanico, che
ha dato luogo alla pubblicazione di raccolte giurisprudenziali come lo Schmerzens-geld Beträge4 e le
Guidelines for the assessment of general damages in personal injury cases5.
L’approccio medico-legale alle macropermanenti richiede dunque l’adozione di una criteriologia
valutativa articolata, “in quanto articolata e complessa è la realtà di questi danni biologici”6. Una
prima distinzione da fare è tra macroinvalidità derivate dalla compromissione di un singolo organo
o apparato e quelle che sono il risultato di più menomazioni a carico di organi o apparati diversi.
Nella seconda fattispecie, la stima in termini percentuali comporta una ulteriore difficoltà, rispetto a
quelle già descritte. Infatti, anche ammesso che sia relativamente agevole stabilire il quantum attribuibile ad ogni singola menomazione, non esiste poi una regola semplice che consenta di ricomporre i valori parziali in una valutazione percentualistica globale. Il ricorso a formule matematiche di
tipo infortunistico è fortemente sconsigliato7, poiché tali formule si basano su fondamenti che sono
propri della misura della capacità produttiva e non del danno biologico. (In particolare, si ammette
che la capacità lavorativa residua si ottenga sottraendo dal “tetto” del 100% la quota parte di capacità perduta e che il valore del punto rimanga costante indipendentemente dal tasso di incapacità.)
Piuttosto, con apprezzamento di specie e attraverso un non facile giudizio sintetico, si dovrà valutare l’effettiva incidenza delle menomazioni, considerate nel loro più o meno intricato interagire, sulla
salute del leso.
La descrizione delle conseguenze negative che le menomazioni anatomo-funzionali hanno nei confronti del “fare” del soggetto portatore di macroinvalidità (e quindi del suo modo di “essere”) potrà
rivelarsi un compito più o meno complesso a seconda della natura delle menomazioni stesse. In
poche circostanze – come nell’esempio della cecità totale – l’inquadramento diagnostico (nosologico
e funzionale) è immediato e natura ed entità del pregiudizio sono sufficientemente evidenti anche al
profano. Nella maggioranza dei casi, tuttavia – si pensi a quelli, purtroppo non rari, di paresi in esito
a traumi vertebro-midollari – si impone una descrizione analitica del danno iniziale, delle funzioni
perdute e delle residue abilità, nonché dei presidi sanitari e tecnologici richiesti per vicariare le une
e potenziare le altre. Spesso si renderà necessaria una valutazione preliminare che dia conto delle perdite comunque non più recuperabili (per consentire una prima erogazione risarcitoria, a titolo di
provvisionale), seguita poi, trascorso un adeguato periodo di riabilitazione, da una valutazione definitiva del danno ormai stabilizzato. Per espletare al meglio il suo compito in codesti casi complessi,
il medico legale dovrà sovente avvalersi di competenze multidisciplinari. Sempre indispensabile una
relazione dettagliata da parte dei sanitari che hanno seguito il leso durante la rieducazione.
Non bisogna poi dimenticare che una parte non irrilevante della somma destinata al risarcimento
delle grandi invalidità serve spesso a coprire il danno emergente di natura patrimoniale per l’acquisto di presidi speciali (carrozzelle a motore, letti e poltrone ergonomiche, automobili con comandi
4
5
S HACKSE-A RING-P BÖHM: Schmerzens-geld Beträge ADAC Verlag, München, 1a ed 1957
THE JUDICIAL STUDIES BOARD: Guidelines for the assessment of general damages in personal injury cases. Blackstone, London, 1a Ed
1992.
6
M. BARGAGNA et al, op cit.cfr nota n 3.
Cfr punto (6) delle istruzioni per l’uso della Guida Orientativa per la Valutazione del Danno Biologico, cit “In caso di menomazioni complesse … non è corretto né opportuno fare ricorso a formule matematiche di tipo infortunistico” – ed anche punto (7) del decalogo SIMLA (IV Giornate Estensi di Medicina Legale e della Assicurazioni, Ferrara, 2001): “In caso di menomazioni plurime la percentuale del danno biologico permanente deve essere espressa in base alla valutazione della effettiva incidenza del complesso delle menomazioni stesse sull’integrità psico-fisica della persona comprensiva delle limitazioni dinamico-relazionali”.
7
32
Interesse medico legale delle macropermanenti
personalizzati, computer concepiti per disabili etc), per l’esecuzione interventi edilizi (apprestamento di bagno per portatori di handicap, istallazione di elevatori, etc), per l’acquisizione di protesi
anche sofisticate e per l’erogazione di cure e assistenza. L’esatta descrizione dei presidi e delle tecnologie richieste (e del loro grado di utilità) serve, quindi, non solo ai fini dell’apprezzamento del
danno biologico, ma anche della riparazione del danno economico. Sempre con riguardo al pregiudizio patrimoniale (questa volta da lucro cessante), va rimarcato che tali presidi possono rappresentare mezzi necessari per una qualificazione, o riqualificazione, professionale che eviti l’espulsione del
leso dal mondo del lavoro. E anche codesto aspetto dovrà essere discusso dall’esperto valutatore.
Per concludere. L’equo risarcimento del danno da macropermanenti rappresenta una sfida importate e molto impegnativa per tutti gli operatori del settore. Tra questi, il medico legale può fornire un
essenziale contributo attraverso un’attenta analisi della natura e dell’entità delle menomazioni, della
loro concreta incidenza sugli atti del viver quotidiano, dell’eventuale necessità di assistenza personale, delle possibilità di riadattamento mediante presidi sanitari. La mera indicazione percentualistica
risulta invece tanto meno significativa quanto più gravi sono le menomazioni (e di codesta circostanza si dovrebbe tener conto anche nell’ipotesi della promulgazione di una tabella di legge per le
invalidità comprese tra il 10% e il 100%). La traduzione in moneta di indicazioni medico-legali prevalentemente qualitative, anziché quantitative, richiede uno speciale impegno da parte di chi è chiamato a liquidare il danno. L’adempimento di questo difficile compito può essere agevolato dal ricorso a procedure basate sull’esame dei precedenti, secondo modelli già adottati presso altri Paesi. Da
qui l’opportunità di intraprendere una raccolta di sentenze relative al risarcimento del danno da
grandi invalidità. Raccolta che si auspica potrà nel tempo essere estesa fino a includere un ambito
sufficientemente ampio di macromenomazioni, descritte in adeguato dettaglio nella loro natura, entità e nelle loro conseguenze pregiudizievoli.
33
Lo stato anteriore e le macromenomazioni
L. PAPI
L’adeguato apprezzamento di un’eventuale condizione di compromissione dell’integrità psico-fisica antecedente il verificarsi di un danno alla persona da fatto illecito rappresenta, da tempo, uno dei
più complessi e controversi problemi operativi e metodologici che ricorrono nell’attività medicolegale ed uno degli argomenti maggiormente dibattuti dalla dottrina specializzata nel settore, soprattutto a seguito dei ben noti mutamenti giurisprudenziali in materia.
Nell’“era” risarcitoria fondata in maniera esclusiva sull’aspetto strettamente patrimoniale del risarcimento del danno all’integrità psico-fisica, sostanzialmente identificato con il concetto di lucro cessante, il problema in oggetto non turbava più di tanto i pensieri degli operatori. Poiché, difatti, l’oggetto finale della stima era essenzialmente rappresentato dall’apprezzamento della differenza tra la produttività del soggetto precedente al sinistro e quella (ridotta) ad esso residuata, la procedura valutativa poteva sostanzialmente prescindere dalla individuazione e quantificazione di eventuali infermità
preesistenti che, di per sé, determinassero una pregressa contrazione della primitiva capacità reddituale
rispetto a quella di un lavoratore di pari grado in piena efficienza psico-fisica, poiché l’oggetto della
valutazione era unicamente rappresentato dalla differenza produttiva ante- e post- evento risarcibile.
Ovviamente tale grossolana metodologia valutativa, se da un lato rispondeva appieno alle (modeste) esigenze di un siffatto modello risarcitorio, non di meno realizzava situazioni di iniquità a scapito del danneggiato, poiché, evidentemente, la riduzione ai minimi termini della capacità lavorativa in
un soggetto già debilitato dal punto di vista produttivo determinava, pur a parità di entità menomativa in senso assoluto (e quindi di differenza in termini di produttività), una condizione pregiudizievole ben più grave rispetto a quella realizzata a carico di un lavoratore precedentemente sano. In altri
termini, rifacendoci alla celeberrima “regola del calzolaio” ideata da Melchiorre Gioia, supponendo,
per ipotesi, il verificarsi di una menomazione tale da determinare una diminuita produzione di trenta paia di scarpe al mese, ben diverso risultava l’esito finale in un lavoratore integro e capace di produrre cento paia di scarpe prima del sinistro, rispetto ad uno già menomato e capace di produrne
soltanto cinquanta, poiché a parità di risarcimento (sussistendo un rapporto di proporzionalità diretta tra entità menomativa e liquidazione) quest’ultimo vede notevolmente ridotta la propria “riserva”
di produttività necessaria per garantirgli una dignitosa condotta di vita.
I successivi mutamenti dottrinali e giurisprudenziali, riferiti alla individuazione di adeguate modalità di liquidazione del danno alla persona sono ben noti, ma soltanto quelli più recenti, vale a dire
inerenti la sostituzione del parametro “lavorativo” con quello “biologico”, hanno comportato una
radicale rivisitazione del problema relativo alla valutazione dello stato anteriore del danneggiato nell’ottica di un equo ristoro.
L’impostazione sopra esemplificata, basata cioè sulla stima di un mero differenziale tra la capacità
produttiva preesistente e quella residuale, rimase sostanzialmente vigente nelle fasi primordiali dell’evoluzione del modello risarcitorio giuridico e medico-legale, volgenti ad affrancare, sebbene parzialmente, il parametro valutativo della menomazione dalla mera concezione patrimoniale del danno
(fondato cioè esclusivamente sul detrimento del patrimonio economico del danneggiato derivante
dalla compromissione della capacità di lavoro specifica) ad una visione settoriale (ma più estesa) del
danno alla persona. Difatti, anche a seguito della formulazione della fictio iuris rappresentata dal ricorso al concetto di capacità lavorativa generica, necessaria per giustificare la liquidazione dei danni alla
persona che, pur non incidenti concretamente nel reddito (in quanto non afferenti agli apparati organo-funzionali concretamente impiegati nell’attività lavorativa) erano comunque responsabili di una
compromissione dell’attitudine lavorativa genericamente (leggi “manualmente”) intesa, il problema di
35
L. Papi
una adeguata valutazione dello stato anteriore del danneggiato era essenzialmente avvertito nell’ottica
di evitare risarcimenti non dovuti per condizioni menomative pretestate piuttosto che per compensare adeguatamente il maggior danno eventualmente realizzatosi a carico di individui già menomati.
In questo senso si esprimevano chiaramente due autorevoli maestri della disciplina medico-legale,
il Cazzaniga (1928) ed il Giolla (1957), nei loro notissimi studi in materia di valutazione medico-legale del danno alla persona in responsabilità civile.
Il Cazzaniga1, i cui studi arrecarono un notevole apporto allo sviluppo del concetto di validità
medico-legale del danneggiato proponendo una propria percentualizzazione delle menomazioni che
aveva per oggetto non più la capacità lavorativa intesa come ridotta attitudine allo svolgimento di un
lavoro manuale, ma rispondente ad un concetto più ampio dell’attitudine produttiva dell’uomo, inerente anche le capacità intellettuali e quindi definita “ultragenerica”, a proposito dello stato anteriore, affermava che:
“L’accertamento (nella persona lesa) di una minorazione deve difatti essere riferito alle sue possibilità individuali, non già ad una capacità media meramente presuntiva; occorre in altri termini precisare il
più esattamente possibile lo stato anteriore del soggetto ricavandolo sia in via anamnestica sia con il riferimento e la sistemazione cronologica dei dati obiettivi in atto. La conoscenza dello stato anteriore non
è del resto utile soltanto per la valutazione dello scarto in peggio avvenuto nell’efficienza personale per
effetto dell’evento lesivo ma anche, come ho detto, per evitare il pericolo di pretestazioni e di false attribuzioni che in buona o in mala fede il leso sia per mettere innanzi a scopo di risarcimento”.
Il Giolla2, analogamente, sosteneva che
“La conoscenza dello stato anteriore non è soltanto utile per una valutazione dello scarto in peggio
avvenuto nella efficienza personale per effetto dell’evento lesivo ma anche per evitare il pericolo di pretestazioni e false attribuzioni”.
Vi fu anche qualcuno, come l’Irneri3, che si spinse oltre, affermando non soltanto che l’esatta
conoscenza dello stato anteriore del danneggiato era indispensabile per “dedurre” dal risarcimento
le conseguenze non dirette ed immediate dell’evento colposo (definizione questa propria dell’infortunistica privata piuttosto che della responsabilità civile), ma anche per accertare se le condizioni
menomative preesistenti avrebbero potuto eventualmente determinare, di per se stesse, una futura
compromissione della vita lavorativa del danneggiato, sicché da ridurre ulteriormente la riconducibilità al sinistro risarcibile delle limitazioni permanenti alla produttività della vittima del danno.
«Nella valutazione dello stato anteriore per l’accertamento del danno risarcibile da fatto illecito,
anche se tale stato anteriore avrà aggravato le conseguenze del sinistro e quindi sarà considerabile come
concausa di lesione, il danno andrà risarcito nell’intero ammontare. Invece se il sinistro avrà determinato un aggravamento dello stato anteriore sarà quindi configurabile come concausa di menomazione,
andrà dedotta dal danno complessivo quella derivante dalla menomazione già esistente nel sinistrato;
infatti, in tale caso, lo stato anteriore non è considerabile come conseguenza diretta ed immediata del
fatto colposo altrui. Oltre a ciò per determinare il quantum del sinistro in ambedue le ipotesi, si dovrà
accertare se ed entro quali limiti lo stato anteriore, indipendentemente dal sinistro, avrebbe influito sull’intensità e durata della vita fisica e della vita lavorativa del sinistrato».
Invero, l’orientamento sopra sinteticamente illustrato non era unanimemente condiviso, e gli stessi Cazzaniga e Giolla, nelle loro indicazioni metodologiche, pur con diversi espedienti, proponevano
accorgimenti atti ad integrare la valutazione percentuale, nei casi di aggravamento di apparati organo-funzionali già menomati, per modo da addivenire ad una stima complessiva sensibilmente superiore a quella derivante dalla applicazione sic et simpliciter della indicazione percentuale corrispondente alla voce menomativa tabellata; dal punto di vista metodologico, il Cazzaniga propose l’applicazione di coefficienti predeterminati, mentre il Giolla invitò a considerare la reale riduzione della
1
A. CAZZANIGA: Le basi medico-legali per la stima del danno alla persona da delitto e quasidelitto, Ed. I.E.S. Milano 1928.
P. GIOLLA, Valutazione del danno alla persona in responsabilità civile, Ed. Giuffré, Milano 1957.
3 P. IRNERI, La valutazione dello stato anteriore nel risarcimento del danno alla persona, Atti delle giornate medico-legali triestine del
14-15 settembre 1962.
2
36
Lo stato anteriore e le macromenomazioni
capacità lavorativa come un po’ più grave di quella indicata nelle tabelle (ferma restando però la riduzione del valore economico del 100% nel soggetto già menomato).
Così il Cazzaniga
“La base di calcolo per la capacità lavorativa generica (è) fornita, negli individui per così dire normali,
da una cifra media, ricavata statisticamente … Ora è chiaro che questa base non può servire nei riguardi di chi, per essere già menomato, non dispone di quella polivalenza che consente l’applicazione da ogni
specie di lavoro e che noi dobbiamo, salvo prova contraria, presumere presente in ognuno. La cifra base
espressiva di questa capacità generica deve pertanto, nel caso del già menomato, venir preventivamente
ridotta, e ridotta proporzionalmente, in cifre centesimali secondo le tabelle prospettate nei paragrafi precedenti che servono per il computo della incapacità generica. Questo procedimento corrisponde ad una
esigenza fondamentale … che poggia sopra un inoppugnabile principio di diritto, quello cioè che il
responsabile sia tenuto a risarcire tutto il danno, ma non più del danno, e che se la cosa danneggiata era
fin da prima difettosa, di questo difetto si debba tener conto. Di qui la necessità di stabilire il valore anteriore della cosa, nel nostro caso della persona, di qui la cura che mi sono data di segnalare anche i coefficienti, per così dire, negativi, di questo valore. Ma io ho pure avvertito che la coesistenza di una menomazione anteriore, anche quando non sia concause vera e propria della nuova menomazione (come lo è
della cecità del monoculo offeso all’occhio superstite ha tuttavia per effetto di rendere relativamente più
dannosa quest’ultima solo per il fatto che viene a colpire un organismo che dispone già di una efficienza organo-funzionale minore. Pur non modificando dunque quanto più sopra è detto, in merito al minor
valore che a attribuito all’individuo già menomato, è logico che nel computo della riduzione operata
dalla nuova menomazione si tenga conto del gravame proporzionalmente maggiore che, coeteris paribus,
questa induce, il che praticamente si risolve nella applicazione di un coefficiente di maggiorazione il
quale, a parer mio, può aggirarsi a seconda dell’entità della menomazione resistente, fra il 5 e il 10% in
più di quello che è attribuito nelle tabelle alle singole menomazioni”.
Così il Giolla:
«Quando si tratti di un caso da valutarsi alla stregua della capacità specifica, non vi è che da attenersi alla norma comune, stabilire cioè la differenza fra il grado di produttività anteriore e quello della produttività residua; quando invece il giudizio debba impostarsi sopra la capacità lavorativa generica, vale
quanto poco più sopra si è detto, e cioè si abbassa … la base del calcolo (cioè la cifra corrispondente al
100%), ma si considera ciò che è riduzione reale della capacità come un poco più grave di quello che non
sia indicato nelle tabelle».
Un altro autorevole medico-legale, Cesare Gerin, al quale va ascritto il merito di aver introdotto il
concetto di “validità” dell’uomo intesa come valore economico di per sé considerata, e pertanto
quale bene risarcibile al verificarsi di una contrazione dell’efficienza funzionale di un organo o di un
apparato, indipendentemente dai riflessi sul mercato del lavoro4, affrontò il problema relativo alla
valutazione dello stato anteriore ritenendo sostanzialmente applicabili all’ambito risarcitorio della
responsabilità civile i principi metodologici tipici dell’infortunistica del lavoro5, facendo espresso
ricorso alla nota formula di Gabrielli per le invalidità funzionalmente concorrenti (preesistenti e successive) e limitando invece la valutazione del danno alla sola menomazione sopravvenuta nel caso di
semplice coesistenza, salvo però richiamare l’attenzione del medico sulla necessità di informare il
Giudice sulle complessive condizioni del danneggiato (evidentemente allo scopo di favorire un
apprezzamento equitativo che, in qualche modo, tenesse conto anche delle condizioni di disabilità
indipendenti, sia causalmente che funzionalmente, da quelle derivate dal fatto illecito).
«Nell’ipotesi di concorso di invalidità policrone, una utile indicazione potrà venire dall’applicazione
della nota formula infortunistica del Gabrielli. Il che non significa applicazione rigida ed assoluta in tutti
i casi delle formule medesime, ma utile orientamento per una soluzione valutativa il meno empirica possibile e, direi, il meno soggettiva possibile. Per ciò che concerne la coesistenza di invalidità policrone, è
4 C. GERIN, La valutazione medico-legale del danno alla persona in responsabilità civile. Dalle giornate triestine del 1952 all’incontro
pisano del 1986, Riv. It. Med. Leg., VIII, 1986, pp. 287-297.
5 C. GERIN, La valutazione medico-legale del danno alla persona in responsabilità civile, Giuffrè, Milano 1973.
37
L. Papi
evidente che si dovrà prendere in considerazione, ai fini valutativi, il solo danno derivato dal sinistro,
informando però il giudice di ogni aspetto dello stato anteriore del leso».
A seguito del radicale mutamento introdotto in materia di valutazione del danno alla persona in
responsabilità civile dall’affermazione del parametro indefettibile rappresentato dal danno biologico,
inteso come menomazione dell’integrità psico-fisica del danneggiato indipendentemente dai riflessi
sull’attività produttiva, le tematiche metodologiche ed operative in merito alla adeguata considerazione dello stato anteriore del danneggiato si sono ancor più accentuate ed arricchite di nuovi spunti di riflessione, tanto da indurre, negli studiosi, la tendenza a rifuggire (opportunamente) da schematismi procedurali comprensivi di formulazioni predeterminate onnivalenti, più o meno mutuati
dall’ambito infortunistico, per limitarsi tendenzialmente alla proposizione di concetti generali di
inquadramento del problema.
Precedentemente alle innovazioni sopra menzionate, già nella elaborazione delle note tabelle
medico-legali concepite in occasione del Convegno di Como del giugno-luglio 19676, che hanno rappresentato per molti anni il riferimento principale per la valutazione del danno alla persona in
responsabilità civile sia direttamente che indirettamente, mediante le Guide valutative ad esse ispirate, le indicazioni relative alla valutazione dello stato anteriore sono contenute in due punti del decalogo (più precisamente indicato come «Criteri di comune esperienza per la valutazione del danno alla
persona») che hanno un contenuto affatto generico e che così recitano:
6) La valutazione dell’invalidità deve tener conto dello stato anteriore del soggetto
7) lo stato anteriore comprende età, sesso costituzione, preparazione tecnico-professionale del soggetto, tare morbose, eventuali menomazioni preesistenti.
Così nella terza edizione della diffusissima Guida di Luvoni, Bernardi, Mangili7, ispirata (almeno
nelle prime edizioni) all’impianto valutativo derivante dalle tabelle di Como-Perugia, il commento a
tali punti del decalogo si mantiene su linee assolutamente generiche ed esemplificative.
«Il discorso si riallaccia a quanto già si è detto in precedenza a proposito dell’uomo medio. Le percentuali della Tabella sono applicabili nei casi medi, ma se da questa media ci si discosta per effetto dello
stato anteriore del soggetto, le percentuali andranno variate di conseguenza. Si pensi come diversamente può incidere una menomazione dell’efficienza estetica a seconda dell’età e del sesso del danneggiato;
come una menomazione artuale possa essere sopportata e compensata da un giovane rispetto ad un
oggetto in età avanzata; come può diversamente incidere una menomazione di un organo o di un arto
già menomato rispetto ad uno integro».
Con l’affermazione definitiva del danno biologico quale parametro di valutazione del danno alla
persona in responsabilità civile il problema, come detto, assume una connotazione più complessa,
anche in riferimento alla esigenza, richiamata dalla stessa Corte Costituzionale nella nota sentenza n.
184/86, di personalizzare la stima medico-legale, per quanto la valutazione dello stato anteriore della
vittima rappresenti solo un aspetto particolare della personalizzazione del danno.
Forse proprio la complessità del problema ha indotto gli estensori di documenti “ufficiali” in
materia di danno biologico ad un approccio assolutamente generico circa la valutazione del ruolo
delle preesistenze, tanto da risultare di fatto privo di utilità pratico-operativa. Così nel decalogo della
Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni al punto 6)8 si afferma che:
«La valutazione del danno biologico permanente deve tener conto dello stato anteriore del danneggiato in rapporto alla minore o maggiore incidenza invalidante dei postumi che può derivarne”
e nel recente testo di legge relativo alla tabella delle menomazioni della integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità, nei criteri applicativi9 si legge:
6 Per informazioni dettagliate sulla genesi di queste tabelle vedi, tra gli altri, M. DUNI-M. CATTABENI-G. GENTILE, La valutazione del
danno alla persona; Giornate medico-legali di Como, Ed. Giuffrè, Milano 1968.
7 R. LUVONI-F. MANGILI-L. BERNARDI, Guida alla valutazione medico-legale del danno biologico e dell’invalidità permanente; Terza edizione, Ed. Giuffrè, Milano 1986.
8 Per un commento articolato a tale decalogo, vd. R. DOMENICI, Il decalogo della S.I.M.L.A. sul danno biologico (Ferrara, 2001) Il
punto di vista del medico legale, Danno e Responsabilità n. 6/2002:675-681 e G. COMANDÉ, Il punto di vista del giurista pp. 681-683.
9 Decreto Ministeriale 3 luglio 2003 pubblicato su “Gazzetta Ufficiale” serie generale n. 211 dell’11 settembre 2003.
38
Lo stato anteriore e le macromenomazioni
«Nel caso in cui la menomazione interessi organi od apparati già sede di patologie od esiti di patologie, le indicazioni date dalla tabella andranno modificate a seconda della effettiva incidenza delle preesistenze rispetto ai valori medi».
La mancanza di indicazioni procedurali sufficientemente condivise ed accettate nella pratica operativa è verosimilmente uno dei motivi per i quali, dall’analisi del problema da noi operata mediante lo studio di un cospicuo numero di sentenze (con correlate consulenze tecniche d’ufficio) relative
ad una ben definita entità menomativa (esiti di trauma distorsivo del rachide cervicale) è emersa una
notevole “schizofrenia” metodologica sia da parte dei giudici che dei medici legali, nonostante la
omogeneità della fattispecie menomativa10,11.
Diversamente, in ambito dottrinale, pur nella complessità della tematica, si possono individuare
alcune linee di riferimento comuni, sulle cui direttive si articolano le singole proposte metodologiche.
La prima, fondamentale, distinzione che viene costantemente operata è fra preesistenze concorrenti (od omogenee), vale a dire incidenti sullo stesso apparato o su apparati funzionalmente correlati, e preesistenze coesistenti (od eterogenee), cioè afferenti apparati organo-funzionali del tutto
indipendenti.
Nel caso di concorrenza si deve ulteriormente distinguere se la nuova menomazione peggiori effettivamente la condizione preesistente (ed in tal caso si tratterà solitamente di adeguare, maggiorandola, la valutazione riferita al caso medio) ovvero se afferisca ad un apparato già di per sé funzionalmente inutilizzabile, condizione che può ridurre (sino ad annullarla) la portata menomativa del
danno sopravvenuto.
La situazione di coesistenza delle infermità viene diversamente interpretata dai vari Autori, nel
senso che alcuni la ritengono del tutto indifferente ai fini valutativi della menomazione sopravvenuta mentre altri la interpretano quale antecedente “svalutativo” del “valore uomo” iniziale rispetto al
100% ideale, corrispondente alla piena integrità psico-fisica.
Così, ad esempio, recentemente argomenta Umani Ronchi12:
“In caso di invalidità plurime “policrone”, traumatiche e non, ove le stesse siano “coesistenti” il riferimento allo stato anteriore – svalutato da preesistenti infermità – risulterebbe penalizzante (ad. es. il
cieco invalido all’80% che perda un arto). La valutazione pertanto deve riguardare solo la menomazione “attuale” senza tenere conto delle invalidità preesistenti in modo che il leso venga interamente risarcito del pregiudizio subito come se si trattasse di un individuo normale, con la attribuzione delle stesse
quote di invalidità.
Ove si tratti invece di infermità “concorrenti” la valutazione deve considerare il fatto che il danno può
essere di maggiore entità di quello che si sarebbe verificato in un soggetto integro: ad esempio, ove venga
interessato l’arto sano di un poliomielitico o di un emiplegico, così da rendergli impossibile la deambulazione; ben diverso il caso dell’invalido che subisca un danno a carico di un arto già praticamente inutilizzabile: in questo caso il danno derivato dal sinistro sarà minore o praticamente nullo”.
I già richiamati autori Luvoni, Bernardi e Mangili, nella quinta edizione della loro Guida13, oltre ad
una premessa metodologica generale, propongono uno schema metodologico che tenga conto della
coesistenza o concorrenza delle infermità e della minore o maggiore entità delle stesse, così articolato:
10 L. PAPI, La valutazione medico-legale dello stato anteriore, ne “Osservatorio della giurisprudenza in tema di danno alla persona”
Danno e Responsabilità anno V, n. 11, 2000 pp. 1065-1069.
11 L. PAPI-M. RATTI, La valutazione medico-legale dello stato anteriore, ne “Osservatorio della giurisprudenza in tema di danno alla
persona” Danno e responsabilità n. 11/2002, pgg. 1080-1085.
12 G. UMANI RONCHI, L’évaluation des invalidités multiples, “Rapport au XIV Journées Méditerrannes de Médecine legale”, Madeira,
31 mai-4 juin 2000.
13 R. LUVONI-F. MANGILI-L. BERNARDI, Guida alla valutazione medico-legale del danno biologico e dell’invalidità permanente; Quinta
edizione, Ed. Giuffrè, Milano 2002.
39
L. Papi
PREESISTENZA
Coesistente o concorrente
di modesta entità
Coesistente o concorrente
di modesta entità
Coesistenti di entità
rilevante o grave
Coesistenti di entità
rilevante o grave
Concorrenti di entità
rilevante o grave
MENOMAZIONE INDOTTA
Di modesta entità
VALUTAZIONE
Come in soggetti “normali”
Di entità rilevante o grave
Come in soggetti “normali”
Di modesta entità
Come in soggetti “normali”
Di entità rilevante o grave
Come in soggetti “normali”
Di modesta entità
Concorrenti di entità
rilevante o grave
Di entità rilevante o grave
Per solito di entità maggiore in
relazione alla maggiore riduzione
della validità residua, tenendo peraltro conto della preesistente svalutazione biologica del soggetto.
Di entità maggiore in relazione alla
maggiore riduzione della validità
residua quale oggettivamente in atto.
In maniera più semplificativa, il Chini14 proponeva di distinguere i soggetti integri, cioè con stato
di salute pari a 100, da quelli nei quali le preesistenze determinano una riduzione di tale valore, dalla
quale scaturisce un coefficiente D, ricavato dalla formula D = 100-E/100, dove E rappresenta il valore percentuale dello stato preesistente, che deve essere rispettivamente utilizzato per maggiorare o per
ridurre la valutazione tabellata a seconda che si tratti di menomazioni coesistenti ovvero concorrenti, poiché nel primo caso si deve considerare ridotto il valore globale del soggetto menomato mentre
nel secondo caso si verifica un’amplificazione dell’entità menomativa dell’infermità sopravvenuta.
La criticabilità di tale impostazione, oltre che nella eccessiva esemplificazione e standardizzazione
della procedura maggiorativa o riduttiva in base alla concorrenza o coesistenza della menomazione,
si fonda sul presupposto fondamentale che l’integrità psico-fisica (e non più la capacità lavorativa)
possa effettivamente essere graduata su una scala centesimale finita, mentre appare più logico ritenere, in considerazione della inesauribilità del bene salute rapportato alla efficienza psico-fisica, la
inadeguatezza di tale schematismo matematico, sul quale si fonda il calcolo dei coefficienti.
Sempre il Chini, in riferimento alla valutazione dell’invalidità in un soggetto anziano (e pertanto
da ritenersi, anche se indenne da eventi menomativi, meno valido, in quanto ad efficienza psico-fisica, rispetto ad un individuo “medio” ideale), affermava l’importanza di non equiparare tale situazione a quella di un soggetto menomato, poiché l’individuo anziano, sia pur dotato di minori risorse
energetiche, possiede un “proprio cento” di validità cui rapportare la valutazione percentuale.
“se il valore umano … si identifica con la sua capacità di estrinsecazione di energie utilmente impiegabili le quali possono riguardare qualunque attività anche se non lavorativa, non vi è dubbio che il vecchio … ha un suo stato di salute che gli consente di sfruttare al meglio le sue energie, anche se ridotte,
ma sempre proporzionate alla sua età, in attività per lui esistenzialmente importanti oltre che utili per
cui il suo stato di salute, malgrado l’età, deve essere comunque riferito a 100. Pertanto si deve distinguere uno stato di benessere assoluto che corrisponde allo schema astratto dell’uomo perfetto, da quello relativo che è della singola persona quale era prima dell’incidenza dannosa del fatto illecito e che non
sempre, ovviamente è assimilabile al primo per cui è solamente a questo stato preesistente di benessere
individuale che il medico-legale dovrà far riferimento nella sua indagine al fine di accertare come e quanto tale stato sia stato compromesso”.
Il concetto di un altro “cento”, diversamente proporzionato, applicabile anche a soggetti precedentemente menomati, è stato richiamato anche dagli Autori della Guida orientativa per la valutazione del
14
A. CHINI, Semeiotica medico-legale, Ed. SEU, Roma 1988.
Lo stato anteriore e le macromenomazioni
danno biologico permanente15 con queste considerazioni:
«La valutazione della menomazione dell’integrità psico-fisica non può prescindere dallo stato anteriore del danneggiato, vale a dire dall’età e dalle menomazioni congenite e/o acquisite. L’apprezzamento
dovrà essere praticato caso per caso, valutando e dando atto della “validità residua” analiticamente
descritta prima e dopo l’evento lesivo in esame. Nel caso di compromissione della integrità psico-fisica
preesistente, anche se grave ed altamente menomante, restano altri attributi che, opportunamente adattati, possono consentire ancora un’esistenza più o meno accettabile. Questa condizione può essere considerata un altro “cento esistenziale”. Nel caso di una nuova menomazione la valutazione dovrà essere
adattata a tale realtà, tenendo presente l’effettiva incidenza peggiorativa che ne deriva alle condizioni
preesistenti. Da ciò potrebbe vedersi riconosciuta una percentuale superiore di quella tabellata così come,
ad esempio, nel prodursi di una sordità in un non vedente. Sotto questo profilo la concezione relativa al
danno biologico concorre all’equità. In altri termini, anche dopo le menomazioni che hanno annullato
la capacità lavorativa, resta un nucleo di potenzialità esistenziali, se si vuole, un altro e nuovo “cento”
più piccolo, diversamente dimensionato, quasi mai da identificare con il risultato di una semplice differenza tra le percentuali di menomazione tabellate. Si tratta di un ragionevole suggerimento imposto
dalla scelta fatta in conseguenza del ricorso alle indicazioni percentuali».
Non si tratta però della stessa impostazione espressa dal Chini, sia perché qui si esplicita chiaramente la necessità di una valutazione caso per caso dello stato anteriore, rigettando totalmente qualsiasi formulazione matematica, sia perché questo nuovo “cento esistenziale” costituisce un’entità ben
diversa dal cento per cento inteso come piena validità psico-fisica, in quanto in esso “diversamente
dimensionato”, possono trovare maggiore valorizzazione (rispetto alle indicazioni tabellari standardizzate) quegli apparati organo-funzionali sui quali il soggetto impernia il valore residuale della sua
efficienza psico-fisica.
Anche da parte nostra, in altro contributo16, si è tentata una delineazione metodologica della valutazione del ruolo delle preesistenze in ambito di responsabilità civile, addivenendo, in estrema sintesi, alla seguente schematizzazione propositiva:
1) preesistenze omogenee: può essere applicata la regola della differenza tra menomazione preesistente e menomazione finale; l’apparente iniquità del metodo, richiamata nelle righe introduttive
dedicate al sistema valutativo incentrato sulla compromissione della capacità produttiva, viene
superata dal fatto che, nel sistema liquidativo basato sulla crescita più che proporzionale del valore monetario rispetto al punto percentuale, l’entità della somma liquidata sulla base della differenza tra le due stime valutative è sempre maggiore del corrispettivo monetario del valore percentuale equivalente a tale differenza.
2) preesistenze eterogenee a loro volta differenziabili, in base al rapporto con la infermità sopravvenuta, in:
a) indifferenti: quando gli apparati interessati non condividano, neppure in via latamente ipotetica, interferenze funzionali, specie nel caso di preesistenze modeste e localizzate (es. sopravvenuta zoppia in soggetto edentulo). In tale caso la valutazione della menomazione non risente in
alcun modo della patologia preesistente e si effettua secondo la consuetudine operativa.
b) condizionanti una ridotta valenza funzionale dell’apparato leso: es. zoppia residua in un individuo già affetto da grave cardiopatia e pertanto con limitazioni importanti nello svolgimento di
attività fisica: la funzione deambulatoria era dunque già in precedenza “svalutata” nell’economia di vita del leso, pertanto, in simili fattispecie, il risarcimento per la menomazione può essere proporzionalmente minore, in funzione della minore utilità d’uso dell’apparato menomato;
c) condizionanti una maggiorata valenza funzionale dell’apparato leso: si tratta di quelle situazioni
nelle quali, in ragione della preesistenza, un organo o un apparato, pur anatomicamente e funzio15 M. BARGAGNA-M. CANALE-F. CONSIGLIERE-L. PALMIERI-G. UMANI RONCHI, Guida orientativa per la valutazione del danno biologico permanente, Giuffrè, Milano 2001, 3ª Ed. pubblicata sotto l’egida della Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni.
16 R. DOMENICI-L. PAPI, La consulenza tecnica d’ufficio, ne “La valutazione del danno alla persona” a cura di M. Bargagna e F. D.
Busnelli, quarta edizione, Cedam, Padova 2001.
41
L. Papi
nalmente distinto da quello già menomato, venga ad acquisire maggiori (o nuove) utilità, fattispecie per la quale il soggetto leso avrebbe diritto ad una percentuale superiore a quella tabellata.
A nostro avviso è opportuno che le diverse proposte metodologiche sopra sinteticamente illustrate, o quelle che eventualmente verranno in futuro realizzate, non vengano tradotte in formulazioni
matematiche preconfezionate poiché la estrema variabilità delle condizioni preesistenti e la loro
diversificata interferenza con le infermità residuate rende necessaria una valutazione caso per caso
delle singole fattispecie valutative.
Tali regole generali trovano peraltro delle peculiari specificità laddove si tratti di procedere alla
valutazione di macromenomazioni, vale a dire di lesioni all’integrità psico-fisica per le quali sono previste attribuzioni percentuali superiori al 70% di danno biologico permanente.
Il problema è di notevole rilevanza anche in relazione al fatto che la finalità tendenzialmente solidaristica, da molti ritenuta ineludibile anche per l’istituto della responsabilità civile quando il danneggiato versi in condizione di grave o gravissima disabilità, trova ulteriore rafforzamento al cospetto di situazioni nelle quali la vittima del danno ingiusto risulti, precedentemente ad esso, già affetta
da importanti minorazioni anatomo-funzionali di per sé limitative delle possibilità di una adeguata
condotta di vita.
Le difficoltà tecniche valutative sono in primo luogo correlate alla estrema artificiosità (e sostanziale inadeguatezza) che si realizza nel tentativo di sintetizzare in un’espressione numerica una realtà biologica così complessa e diversificata per singolo individuo quale è quella rappresentata da una
condizione di rilevante disabilità.
Inoltre è da considerare che, in caso di macro-invalidità, ben difficilmente gli effetti disabilitanti
rimangono circoscritti all’apparato(i) organo-funzionale direttamente interessato(i), mentre più frequentemente vi è un coinvolgimento di tutto l’organismo, o quanto meno di altri apparati ordinariamente indipendenti e non correlati sul piano funzionale, ma ai quali il soggetto frequentemente può
affidare le proprie riserve energetiche con finalità vicariante, od almeno compensatrice del grave
danno subito. Tale circostanza rende dunque più difficilmente applicabili quelle distinzioni tra coesistenza e/o concorrenza delle menomazioni, dai più ritenute indispensabili nell’approccio metodologico alla valutazione dello stato anteriore e, per certi versi, può apparentemente semplificare le procedure valutative limitando il novero delle fattispecie ipotizzabili.
In effetti la ricorrenza di una macromenomazione a carico di un singolo apparato può far sì che
l’attribuzione della relativa espressione percentuale (quando possibile ed adeguata) “assorba” l’eventuale disabilità preesistente, od addirittura, per le caratteristiche proprie della fattispecie menomativa, la annulli completamente sul piano funzionale. Si pensi, ad esempio, alle menomazioni a carico di un arto superiore, per cui il raggiungimento di una attribuzione di macro-invalidità si ottiene
per condizioni tali (amputazione alta o paralisi nervosa completa) da elidere completamente eventuali “difettosità” preesistenti, indipendentemente dal loro grado di gravità, così come una condizione di paraplegia renderà del tutto ininfluenti eventuali, anteriori, difetti deambulatori. Del pari,
ad esempio, a proposito di menomazioni viscerali, l’insorgenza di una grave insufficienza renale cronica con ricorso al trattamento dialitico assorbe e sopprime del tutto una eventuale patologia preesistente a carico delle vie urinarie, e così via.
Si tratta invero di fattispecie ipotetiche piuttosto standardizzate e vincolate alla premessa che la
macromenomazione dipenda dall’interessamento di un singolo apparato organo-funzionale e che
questo si identifichi, anatomicamente e funzionalmente, con quello precedentemente debilitato.
Nelle situazioni in cui la situazione menomativa concretamente in essere si discosti da quella precedentemente ipotizzata, lo scenario muta completamente e si rendono necessarie opportune riflessioni tecniche del tutto diverse da quelle sopra prospettate.
Così, per ipotesi, nel caso di gravissima invalidità a carico dell’arto superiore destro in un individuo affetto da precedente infermità a carico dell’arto superiore controlaterale, ovvero nella situazione (non infrequente) in cui la macromenomazione sia determinata dal concorso di plurime menomazioni tra le quali ricorra una condizione di paraparesi in un soggetto con preesistenti difficoltà
deambulatorie per rigidità articolari.
42
Lo stato anteriore e le macromenomazioni
Per inciso, si deve considerare un’ulteriore evenienza rappresentata dal fatto che la condizione di
macro-invalidità, effetto ultimo del danno alla persona, non dipenda dalla portata dell’infermità conseguente al fatto illecito, ma dal concorso di questa con la condizione menomativa antecedente. Gli
esempi di scuola, a tale proposito, sono numerosi; basti ricordare, per tutti, la evenienza del soggetto
monocolo che subisca la perdita anatomica o funzionale dell’occhio superstite (voce menomativa di
per sé tabellata convenzionalmente attorno al 25%), ovvero del soggetto monorene che vada incontro ad una irreversibile compromissione della funzionalità dell’organo (considerando che anche la
perdita del rene in soggetto integro è valutata ordinariamente attorno al 25%). Si tratta di situazioni
che esulano parzialmente dal contesto nel quale si discute, in quanto realizzatesi a seguito di eventi
invalidanti di portata limitata, il cui riconoscimento liquidativo non può essere equiparato a quello
corrispondente al verificarsi di un danno biologico di notevole entità, ma che comunque meritano
(magari in altra sede) di essere anch’esse analizzate nel dettaglio dal punto di vista metodologico.
Tornando all’ambito proprio della presente trattazione, è pacifico che la macromenomazione, che
di per se stessa determina uno sconvolgimento generalizzato dell’economia di vita dell’individuo,
vede amplificati i suoi effetti disabilitanti nel momento in cui gli apparati che funzionalmente
potrebbero svolgere un’azione compensatrice (pur con i limiti indotti dalla entità della menomazione) e che quindi acquistano nell’individuo una valenza funzionale superiore a quella dell’uomo
medio in riferimento al quale sono percentualmente tabellati, risultino a loro volta precedentemente
menomati. Tale condizione può realizzarsi non soltanto per quegli apparati che, seppur anatomicamente distinti, concorrono dal punto funzionale, ma anche, in caso di macro-invalidità, per entità
anatomo-funzionali solitamente non reciprocamente interferenti; si pensi, ad esempio, all’individuo
che, affetto da disabilità motorie, vada incontro alla necessità di dover effettuare sedute trisettimanali di trattamento dialitico presso strutture ospedaliere.
La difficoltà di apprezzare ed esprimere percentualmente queste condizioni di disabilità, che pure
devono essere distinte dalla ricorrenza di una macro-invalidità in un soggetto precedentemente integro, è correlata alla compressione della scala della invalidità verso il limite tendenziale (ed irraggiungibile per definizione stessa del concetto di danno biologico) del 100% e dalla sostanziale impossibilità di giustificare e discernere tecnicamente tra loro valutazioni percentuali che si approssimano al
limite massimo. Tali problematiche, che rendono del tutto impensabile poter addivenire ad un equo
ristoro del danno alla salute per macro-invalidità sulla base della sola differenziazione percentuale del
danno biologico permanente, limitano considerevolmente anche l’apporto correttivo che l’espediente rappresentato dalla crescita più che proporzionale del valore del punto può arrecare alla soluzione del problema, anche se tale metodo, ormai consolidato in dottrina e giurisprudenza vivente, contribuisce comunque in misura non trascurabile alla realizzazione di una liquidazione più adeguata
alla concreta realtà menomativa.
Allo stato dei fatti pertanto l’unico rimedio che ci pare ipotizzabile per una adeguata compensazione risarcitoria delle fattispecie in oggetto consiste nel far ricorso (così come previsto per la liquidazione delle macro-invalidità “pure”) ad un apprezzamento medico-legale che, oltre a fornire la sintesi numerica secondo le procedure sopra indicate (ma senza tema di rifiutare di formulare proposizioni percentuali quando queste appaiano decisamente inadeguate o inopportune) riservi la sua effettiva validità tecnica nell’opera di esaustiva descrizione della condizione menomativa concretizzatasi
a carico del danneggiato, sottolineando eventualmente le maggiori disabilità correlate alla condizione preesistente, per modo da fornire al Giudice un quadro integrale della compromissione individuale, sociale e lavorativa del soggetto sulla quale fondare un adeguamento equitativo rispetto alla
stima liquidativa derivante dall’applicazione della metodologia standardizzata.
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Danno alla persona ed uniformità del risarcimento
A. LONGO
L’art. 2043 del codice civile è una di quelle norme legislative che sono riuscite a mantenere la propria formulazione originale fin dalla promulgazione del codice stesso, nel 1942, in quanto ha la caratteristica di essere attuale in ogni tempo, secondo parametri via via modellati dalla Giurisprudenza,
che è finora riuscita con la propria specifica attività interpretativa a mantenerne l’equilibrio con il
veloce passo dell’evoluzione del vivere civile, con riferimento specifico alle questioni legate alla giustizia del risarcimento del danno da lesione personale. In tale contesto operativo, dalla giurisprudenza è pervenuta la definizione di forme di risarcimento del danno fondate non tanto sulle perdite
patrimoniali in sé, quanto sulla necessità di tenere conto anche con riferimento al risarcimento del
danno ingiusto del diritto alla integrità della persona.
La risposta della giurisprudenza nel tempo ha favorito il riconoscimento di forme ulteriori ed
aggiuntive del risarcimento del danno alla persona, svincolate dal rigido riferimento al parametro
della perdita patrimoniale sotto il profilo lavorativo, liberando in qualche misura la tecnica del risarcimento delle lesioni personali dal criterio della perdita di produttività o di redditività, per trasferirne il riferimento verso la valutazione della tutela della salute costituzionalmente garantita, e verso la
tutela delle relazioni sociali, della personalità nelle sue diverse forme di espressione, della tutela della
qualità della vita vissuta, della protezione dal dolore non solo fisico ma anche psicologico; si tratta di
forme di tutela che, superando lo stretto legame tra danno e relative conseguenze patrimoniali, realizzano il precetto costituzionale della tutela della salute, della personalità, della uguaglianza dei cittadini tra loro e rispetto alle specifiche potenzialità personali. In tal senso, la “scoperta” del danno
biologico come danno svincolato dal concetto di capacità produttiva della vittima avviene da parte
della Giurisprudenza attraverso l’apprezzamento del valore dell’affermazione della persona nel contesto sociale nel quale ogni soggetto si colloca, e del contributo personale che tale soggetto riceve o
rende a detto contesto aggregativo.
La forma più oggettiva di tutela rispetto al danno ingiusto resta comunque in qualche modo la
reintegrazione per equivalente, attraverso la quale si opera la trasformazione in moneta della riparazione del danno subito, reintegrazione che viene cronologicamente dopo la qualificazione del danno
subito, sulla base dei criteri giurisprudenziali finora individuati, normalmente accettati nella società
a meno di particolari situazioni valutabili come atipiche e non esportabili verso la generalità dei casi.
Il momento di maggior rilievo nella fase della tutela della integrità fisica della persona, ovvero della
risarcibilità del danno subito, passa quindi necessariamente per l’individuazione delle diverse qualificazioni di danno alla persona, dal danno strettamente patrimoniale, a quello biologico, alle altre
categorie di danno come quello esistenziale, che intervengono nel panorama delle problematiche in
esame ponendo nuove questioni non solo interpretative ma anche pratiche ed operative.
La classificazione di diverse voci di danno risarcibile, e dei relativi criteri per la conseguente liquidazione in danaro per equivalente, comporta infatti conseguenze importanti sotto il profilo economico, soprattutto per la rilevanza che il risarcimento del danno assume per il settore delle assicurazioni, dove l’entità globale dei livelli di risarcimento incide direttamente sia sugli impieghi delle
imprese necessari per fare fronte agli indennizzi, sia sulla determinazione delle tariffe e della relativa
consistenza dei premi di polizza da richiedere agli assicurati, come fabbisogno tecnico di base per la
correttezza delle previsioni di costi da affrontare per i prevedibili sinistri.
Sotto questo specifico profilo si può ricordare come i diversi tentativi di attribuire al danno alla
persona un criterio di classificazione che possa fungere (tecnicamente) da riferimento certo per le
compagnie assicurative al fine di formulare previsioni attendibili sulla sinistralità attesa hanno avuto
45
A. Longo
vita particolarmente difficile, se si considera che fin dall’inizio degli anni ’90 si sta tentando di predisporre un criterio tabellare su scala nazionale per la valutazione oggettiva di questi danni che, nonostante le cautele rappresentate dalla previsione del ricorso al giudice per i casi specifici non ha avuto
sorte positiva, se non per la parte relativa alla quantificazione delle invalidità micropermanenti da
danno biologico.
La ragione di fissare una tabella, o quantomeno un criterio al quale potersi ispirare per definire
l’entità del danno alla persona risiede sostanzialmente nella esigenza di avere a disposizione preventivamente criteri per i termini e le modalità di calcolo dei danni, in modo da poter assumere, con sufficiente approssimazione, delle previsioni di indennizzo globale per la voce danni alla persona, e determinare così le basi tecniche per il calcolo del fabbisogno tariffario, dei rispettivi premi contrattuali, e
conseguentemente approntare le risorse patrimoniali per fronteggiare i sinistri che si presenteranno
da liquidare in futuro. Obiettivo ulteriore è quello di conferire anche agli operatori del diritto la disponibilità di criteri uniformi a livello nazionale, e non solo all’interno delle diverse Corti d’appello.
D’altra parte, va anche ricordato che la soluzione di una tabella unica è stata avversata nella convinzione che possa rappresentare contenuti di iniquità, laddove produca solo l’effetto di omogeneizzare genericamente gli indennizzi e di “omologarne” i diritti dei rispettivi titolari, senza la predisposizione dei necessari correttivi e strumenti di flessibilità tali da garantire comunque il ricorso alla
valutazione singolare nel rispetto dei diritti della persona.
È certamente questa la ragione per la quale si è giunti a predeterminare, per legge, soltanto i criteri ed i moltiplicatori di riferimento per la liquidazione del danno biologico di lieve entità, nella considerazione ormai generalizzata e condivisa in Giurisprudenza e Dottrina che entro tali limiti (percentuali di danno biologico permanente accertato fino al 9%) l’oscillazione della definizione del
danno, e la sua incidenza sostanzialmente uniforme sulla vita dei soggetti lesi, rendono maggiormente
plausibile il ricorso alla sua predeterminazione.
In questo modo, almeno per la fascia di danno biologico di lieve entità, si riesce ad ottenere il risultato di pervenire ad una liquidazione del danno che, fondata su termini oggettivi e disancorata dalla
condizione personale del soggetto leso, consente di pervenire rapidamente alla sua definizione, di
evitare il contenzioso giudiziario che in questa fascia di danno è stato particolarmente gravoso per i
tribunali, di ridurre il costo complessivo del sinistro depurandolo nella maggior parte dei casi dai
costi aggiuntivi, di consentire alle imprese di assicurazione di approntare le riserve tecniche in misura congrua e prevedibile.
La soluzione ormai acquisita per il danno biologico, quanto alle relative invalidità micropermanenti predeterminate, appare quindi aver superato con abilità le strettoie della valutazione (equa) del
giudice (che resta comunque competente a valutare eventuali situazioni soggettive, aumentando il
valore del danno fino ad un quinto della tabella), per utilizzare i criteri univoci e predeterminati dalla
legge, nella consapevolezza che entro i ristretti termini percentuali del danno in questione non potesse, ma soprattutto non dovesse, esservi discussione davanti ai giudici, che possono in tal modo concentrarsi invece sui casi di maggiore peso sociale e di singolare sofferenza personale, determinando
nel contempo le condizioni oggettive per la predisposizione, da parte delle imprese di assicurazione,
di previsioni ancorate il più possibile a valutazioni oggettive, predeterminate.
E certamente la questione supera anche il vaglio della incostituzionalità, laddove la predisposizione di criteri uniformi e sostanzialmente vincolanti consente di raggiungere un certo equilibrio tra le
esigenze di certezza della esposizione massima per i danni da responsabilità civile e l’interesse del
danneggiato a pervenire ad una concreta liquidazione del danno, in tempi ragionevolmente veloci e
sulla base di criteri liquidativi oggettivi.
Appare invece più complessa la possibilità di pervenire a risultati analoghi per il danno alla persona non lieve, la cui liquidazione resta tuttora determinata dai diversi (e spesso troppo difformi) orientamenti della giurisprudenza, ma per la quale non possono valere in assoluto gli stessi ragionamenti
validi per le micropermanenti di danno biologico, e di conseguenza resta maggiormente difficile trovare un punto di equilibrio tra le esigenze di oggettivizzazione del danno e il diritto al giusto risarcimento. Entrano qui in gioco i diritti della persona in quanto soggetto partecipante alla vita sociale, la
46
Danno alla persona ed uniformità del risarcimento
cui espressione della personalità è tutelata dalla Costituzione in tutte le sue forme, mentre l’intervento autoritativo della legge, limitando la possibilità di una valutazione soggettiva intesa come valutazione del danno riferito allo specifico soggetto passivo, può scivolare più facilmente verso l’irrazionalità costituzionale, laddove sia suscettibile – in mancanza di adeguati correttivi – di una sostanziale lesione dei diritti di affermazione dell’individuo e della sua persona, se si considera che l’evento
dannoso, secondo gli attuali orientamenti giurisprudenziali, può incidere sull’esercizio di diritti di
diversa natura, costituzionalmente garantiti o comunque direttamente discendenti da questi.
Il punto in questione è quindi trovare il modo di contemperare l’interesse al risarcimento del
danno alla persona inteso nella sua accezione di tutela della sua integrità con i non trascurabili interessi delle imprese di assicurazione, che si riflettono direttamente sulla stessa collettività con riguardo alla misura delle tariffe e dei premi praticati, ad ottenere per quanto possibile una pre-classificazione delle categorie di danno, e conseguentemente una pre-determinazione dei rispettivi criteri di
liquidazione. Ciò appare ancor più complesso se si ritiene che in materia di lesioni personali non lievi
i criteri di liquidazione e l’individuazione stessa della tipologia del danno subito rispondono a concetti correlati proporzionalmente alla evoluzione economica e sociale del contesto in cui il danneggiato si colloca, e quindi difficilmente contenibile in un contesto normativo stretto, rigido, se non è
dotato di strumenti che ne consentano l’agevole revisione in relazione al mutare delle esigenze stesse, anche sulla base di quanto riconosciuto dalla Giurisprudenza. La predeterminazione definita di
criteri e categorie di danno condurrebbe poi alla conseguenza del contenimento della finora copiosa elaborazione da parte della giurisprudenza di nuove ipotesi e configurazioni evolutive del danno
alla persona, attività che però ha comunque garantito – seppure con qualche eccesso – l’equilibrio
della tutela del danno alla persona con il pressante sviluppo del contesto economico e sociale.
Si tratta di scegliere una soluzione la quale, garantendo in ogni caso la funzione equitativa della
giurisprudenza, consenta di pervenire alla definizione di criteri improntati all’uniformità, per porre
le condizioni preliminari per la definizione del danno alla persona sulla base di elementi di valutazione oggettivi di base, e dei necessari elementi legati alla singola persona danneggiata. Vanno tenuti infatti ben presenti le difformità notevoli nelle valutazioni effettuate da tribunale a tribunale, da
regione a regione, e spesso anche da città a città, con conseguenze anche qui direttamente incidenti
sull’eguaglianza del trattamento dei cittadini, difforme il più delle volte in ragione della casuale competenza territoriale dei diversi tribunali aditi. E tale situazione determina incertezza ed imprevedibilità nei maggiori attori del settore, i diversi istituti assicurativi non solo privati, che su questa base di
sostanziale disomogeneità sono costretti a formulare previsioni tariffarie e di costi per sinistro del
tutto congetturali, impostate su dati difficilmente riconducibili a criteri di univocità, con particolare
riferimento alla valutazione quantitativa dei danni da lesione personale. Né si può tacere della singolare situazione certamente non sconosciuta, con riguardo al fatto che il ricorso alla cognizione del
giudice del risarcimento del danno alla persona ha assunto in molti casi carattere di strumentalità ed
a volte di pressione nei confronti delle imprese di assicurazione, favorita in qualche misura sia dalla
disomogeneità evidente delle numerose decisioni adottate, che dal tempo entro il quale normalmente si giunge a decisioni definitive, dalle quali derivano l’incertezza sugli esiti finali, e la certezza della
lievitazione dei costi associata alle esigenze di difesa processuale e di consulenza tecnica.
Va comunque ricordato che nel caso del danno alla persona, più che in altre ipotesi, la funzione
insostituibile della Giurisprudenza è stata quella di rendere applicabile, senza la necessità di modifiche legislative, nel corso del tempo l’art. 2043, ed i principi e le regole ad esso collegati, a tutela del
danno alla persona, in relazione all’evoluzione economica sociale del nostro Paese, anche in ragione
dei principi stabiliti dalla Costituzione.
In sostanza nel caso del danno alla persona il valore dell’apporto sostanziale della Giurisprudenza
risiede nella garanzia di valutazione dei casi di maggiore rilievo sotto il profilo della specificità, e quindi suscettibili più di altri di costituire la base per la possibile evoluzione della tutela della persona; realizza quindi la premessa per una valutazione ancorata al contesto reale nel quale la persona si esprime,
e per costituire, di conseguenza, le linee di valutazione generale per casi simili, attraverso l’individuazione di nuove e possibili forme di danno e di soggetti riconosciuti come aventi diritto al risarcimento.
47
A. Longo
La situazione attuale necessita comunque, per i motivi detti, di opportuni correttivi, che siano in
grado di conferire un ragionevole livello di certezza attraverso soluzioni indirizzate verso una sufficiente stabilità nel tempo, e che consentano così agli operatori diretti ed indiretti della tutela del
danno alla persona di avere dei riferimenti cui attenersi per l’assolvimento efficiente ed efficace del
loro compito. È però da evitare che la Giurisprudenza, pur orientata in via generale sui criteri normativi cui ispirarsi per la liquidazione dei danni, possa perdere la possibilità di interpretare, inserendoli nel proprio effettivo contesto di possibile novità e di aderenza al tessuto sociale in evoluzione, quei casi e criteri di valutazione dei danni che possano consentire di elaborare nuove ipotesi e
nuove figure maggiormente rispondenti alle pulsioni della società, assicurando così anche al danno
alla persona quella naturale evoluzione tipologica, come finora si è potuto verificare, che ha garantito l’equilibrio della tutela riconosciuta al danno alla persona rispetto alle mozioni sociali. Le nuove
forme di danno rilevate dalla giurisprudenza in questi anni sono infatti la rilevazione di situazioni
ormai consolidate nella realtà sociale, ben sedimentate nel tempo e definite con chiarezza.
Risulta quindi necessario ricercare soluzioni che, al di là di rigide formule legislative di rango primario, consentano di costruire modelli di regolazione, o quantomeno modelli di riferimento comunemente accettati, i quali ricostruendo i principi della Giurisprudenza e della scienza medico-legale,
riescano ad individuare parametri di base generalmente applicabili, sostanzialmente stabili per periodi di tempo sufficienti, ma che mantengano nel contempo lo spazio sufficiente per la stessa
Giurisprudenza a valutare le situazioni che, sfuggendo alla normale qualificazione dell’evento ormai
consolidata, possano costituire l’avvio di una analisi di fatto tale da costituire un possibile precedente cui far riferimento per la valutazione degli eventuali casi analoghi o consimili, e quindi assumere
quella funzione di interpretazione innovativa utile per la definizione di nuovi canoni di valutazione
del danno alla persona.
Dal recente parere, reso il 22 giugno 2005 dalla VI^ Commissione parlamentare Finanze della
Camera dei deputati, e della X^ Commissione permanente Attività produttive del Senato sullo
schema di decreto legislativo contenente il Codice delle assicurazioni private, emerge l’indicazione al
Governo di inserire tra le nuove disposizioni tempi e criteri direttivi per la predisposizione di una
tabella unica nazionale per le menomazioni e dei relativi valori economici, derivanti da lesioni personali di non lieve entità.
Il pregio di una tabella unica nazionale è certamente quello di offrire ai soggetti “riparatori” del
danno sufficiente uniformità di prevedibilità, struttura dei danni e di stabilità nel tempo della loro
esposizione patrimoniale, con intuibili effetti sotto il profilo della possibilità di fissare tariffe e premi
sufficientemente stabili e coerenti ai costi da sostenere nel tempo. Ciò, inoltre, dovrebbe comportare anche l’avvio di un processo virtuoso, laddove favorisca l’abbandono di pratiche poco commendevoli, consistenti nella artificiosa determinazione dei presupposti per il risarcimento del danno alla
persona, con sicuro vantaggio del generale sistema assicurativo ed in definitiva della collettività che
potrà vedere in tal modo alleggerito il carico di tali pratiche sulla struttura delle tariffe e dei relativi
premi di polizza.
D’altra parte va pure segnalato il rischio di una sostanziale traslazione dell’esperienza – positiva
certamente, per le ragioni spiegate sopra e riconosciute dalla dottrina e dalla Giurisprudenza – già
vissuta con la fissazione della tabella per il risarcimento del danno biologico di lieve entità. Qui la
ragione di una ammissibilità senza riserve, e del ricorso alla giurisprudenza sostanzialmente delimitato al massimo possibile, risiede nella residualità della incidenza del danno sulla persona, pur se
riconosciuto come esistente, e per questa ragione la necessità di un adeguamento non si avverte come
negli altri casi.
Nella definizione del danno di non lieve entità va invece considerato il rilievo sostanziale dell’incidenza del danno sui diritti della persona e della sua integrità psicofisica, ed il ricorso alla tabellazione deve funzionare come criterio uniformatore, non rigido, ma flessibile e nel contempo di stabile riferimento per tutti gli operatori, giudici compresi, in modo che possano ottenersi valutazioni
complessivamente coerenti con i livelli normalmente raggiunti nell’esame delle singole fattispecie,
valutate con l’applicazione dei criteri generali. A questo proposito va opportunamente valutata la
48
Danno alla persona ed uniformità del risarcimento
necessità di un periodico aggiornamento dei criteri generali di liquidazione, non solo su base monetaria, ma anche in ragione delle decisioni giurisprudenziali, così da consentire l’aggiornamento dei
criteri rilevati. La funzione dell’adeguamento della tabella si presenta in tale soluzione come garanzia di perequazione dei livelli di risarcimento nel tempo, e del relativo aggiornamento alle decisioni
giurisprudenziali, cui solo spetta il compito di verificare la tenuta nel tempo e nella società dei principi stabiliti per il risarcimento del danno alla persona. L’efficacia della tabella, in sostanza, potrà
essere misurata dalla sua effettiva rispondenza nel tempo ai criteri verificati dalla Giurisprudenza,
nella sua funzione di adeguamento costante del diritto alle esigenze di sviluppo della società civile.
Ed a tale fine non dovrebbe sfuggire alla Giurisprudenza l’analisi delle situazioni di più difficile
inquadramento, laddove o non siano qualificabili con i criteri generali, o siano di significativa ed
oggettiva specificità rispetto alle situazioni ordinarie. La cautela nel prevedere soluzioni attraverso le
quali si riesca a “costringere” il danneggiato a limitare il ricorso al giudizio è d’obbligo, al fine di evitare ogni rischio di illegittima compressione di altri diritti costituzionalmente garantiti.
In questa ottica potrebbe rivelarsi particolarmente utile l’osservazione costante sia delle sentenze,
sia, nei limiti del possibile, delle liquidazioni effettuate dalle stesse compagnie (naturalmente tutte in
forma anonima ed aggregata, nel rispetto della privacy di ogni soggetto interessato) sulle diverse casistiche presentate all’esame dei diversi attori, in modo da poter disporre di dati concreti sui quali fondare l’aggiornamento dei criteri e l’analisi delle nuove tendenze dell’evoluzione giurisprudenziale.
Nondimeno la collaborazione dei magistrati potrebbe rivelarsi utilissima nella valutazione di questi
dati raccolti, e nella elaborazione dei risultati da adottare poi come parametro valutativo, una volta
validati in un provvedimento di natura regolamentare. In tal modo la cultura della liquidazione del
danno alla persona, pur partendo da una definizione pre-determinata dei suoi criteri, potrebbe
riuscire a mantenere quel sufficiente livello di aggiornamento, non solo in termini economici e monetari ma anche qualitativi, mentre potrebbe essere sviluppata ed alimentata nella sua naturale evoluzione da un numero sempre maggiore di soggetti, dai magistrati agli avvocati, ai medici legali ed agli
assicuratori, e rendere questa materia più stabile nel tempo, nella qualificazione delle figure di danno,
nella definizione dei criteri di valutazione ed al contempo aperta ai cambiamenti resi necessari dallo
sviluppo della società. In questo ambito e con queste prospettive, l’Osservatorio per il danno alla persona, frutto della collaborazione sinergica tra ISVAP e Scuola Superiore S.Anna di Pisa, può assumere un ruolo importante per svolgere tale funzione, ed offrire un contributo operativo efficace per
la determinazione di criteri generali rispondenti alle aspettative di tutte le parti interessate dal tema
della liquidazione del danno alla persona.
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Problemi e prospettive per le macropermanenti nei rapporti
tra danno alla persona e pratica assicurativa*
M. GAGLIARDI
SOMMARIO: 1. La copertura del danno alla persona e le obbligazioni dell’assicuratore nell’assicurazione di responsabilità civile: il massimale di polizza. 2. La copertura del danno alla persona e le obbligazioni dell’assicuratore nell’assicurazione di responsabilità civile: prospettive
dalla bozza di Codice delle Assicurazioni private. 3. Le assicurazioni che concorrono (o possono concorrere) alla copertura dei danni alla persona.
1. La copertura del danno alla persona e le obbligazioni dell’assicuratore
nell’assicurazione di responsabilità civile: il massimale di polizza
L’art. 1917 c.c., in tema di assicurazione della responsabilità civile, descrive l’obbligazione dell’assicuratore come quella di “tenere indenne” l’assicurato di quanto questi debba pagare a un terzo, in
dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto.
Da un lato, emerge la particolare rilevanza del profilo giuridico nella qualificazione delle obbligazioni delle parti. Infatti, la somma che l’assicurato deve pagare (e di cui l’assicuratore deve tenerlo
indenne) dipende dalla responsabilità dedotta – e così come è dedotta – nel contratto. Ciò comporta la necessità di considerare la fattispecie di responsabilità in tutti i suoi elementi, nonché le regole
che presiedono ai risarcimenti. Su tali aspetti si avrà modo di tornare nel prosieguo, evidenziandoli
di volta in volta in relazione agli istituti più significativi che si prenderanno in esame.
Dall’altro lato, l’uso del termine “indenne” non è privo di significato, in quanto ribadisce la validità nell’assicurazione della responsabilità civile del principio indennitario che presiede a tutte le
assicurazioni contro i danni1 e che mira ad evitare che l’assicurato possa lucrare sulla differenza tra
la somma versata dall’assicuratore e la perdita patrimoniale gravante direttamente su di lui.
Peraltro, da tale circostanza consegue (nell’interpretazione della giurisprudenza e non senza autorevoli voci contrarie2) che il debito dell’assicuratore – tenuto conto della sua determinazione limite,
la somma di denaro espressa nel massimale – è debito di valuta. Tuttavia, all’interno del massimale
l’obbligo corrisponde a quanto l’assicurato deve pagare al terzo in virtù del suo debito di responsabilità che, invece, è debito di valore. Questa è senz’altro una delle spiegazioni della giurisprudenza
maturata in tema di superamento del massimale per mala gestio dell’assicuratore, tema centrale nelle
problematiche di cui ci si occupa.
* Il presente contributo trae spunto dalla lezione dal titolo “Danno alla persona e pratica assicurativa”, tenuta il 15 dicembre 2004
presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa nell’ambito del corso su “Il danno alla persona: profili pratici e di diritto comparato” organizzato dall’Osservatorio Isvap sul Danno alla Persona e dalla Scuola Superiore Sant’Anna. Ne costituisce, tuttavia, un ampliamento ed
una specificazione. La lezione originale, come gli altri atti del corso, è disponibile in file audio sul sito del Laboratorio Interdisciplinare
“Diritti e Regole” della Scuola Sant’Anna, all’indirizzo www.lider-lab.org. L’elaborato si iscrive anche nell’ambito della ricerca Le nuove
frontiere dell’assicurazione tra atipicità e principio di precauzione, Anno 2003, prot. 2003124144_003.
1 Su questi profili, si veda D. DE STROBEL, L’assicurazione della responsabilità civile, in Manuale di tecnica delle assicurazioni a cura
di A.D. CANDIAN e S. PACI, Tomo I, Giuffrè, Milano 2002, 263-372, pp. 298 s.. Cfr. anche ID., L’assicurazione di responsabilità civile,
Giuffrè, Milano 2004.
2 In proposito, per l’acutezza delle argomentazioni, si veda L. STANGHELLINI, Sul massimale di polizza nel contratto di assicurazione
per responsabilità civile, in Responsabilità civile e assicurazione obbligatoria a cura di M. COMPORTI e G. SCALFI, Giuffrè, Milano 1988, 305349. Più di recente, cfr. le osservazioni di M. ROSSETTI, L’obbligazione indennitaria dell’assicuratore della responsabilità civile come obbligazione di valuta: profili teorici e (inaccettabili) conseguenze pratiche, nota a Cass. civ., sez. III, 26 aprile 1999, n. 4155, in Assicurazioni,
1999, II, 231-242.
51
M. Gagliardi
Infatti, per superare il limite del massimale è stato necessario ricorrere all’affermazione di una
sorta di responsabilità professionale, che discende dal comportamento dell’assicuratore nella gestione giudiziale o stragiudiziale della vertenza, e quindi da un fatto che non si collega con la natura dell’obbligo quantitativo. La responsabilità dell’assicuratore in questo caso discende da titolo diverso da
quello della responsabilità dedotta in polizza.
Per altro verso, la possibilità di obbligare l’assicuratore oltre il limite del massimale viene fatta
discendere anche dalla valutazione della buona fede nella pronta offerta di indennizzo (e quindi di
liquidazione) dopo la messa in mora da parte del danneggiato. Nella valutazione, come intuitivo,
rientrano anche le caratteristiche di detta messa in mora: se sono generiche, inidonee alla valutazione della responsabilità e del quantum, probabilmente la richiesta di risarcimento non sarà idonea a
far decorrere lo spatium deliberandi cui la legge ricollega l’effetto suddetto3.
In estrema sintesi, la giurisprudenza di legittimità4 è costante nel ritenere che nell’assicurazione
della responsabilità civile da circolazione di autoveicoli “l’obbligazione dell’assicuratore verso il danneggiante… non è perciò un’obbligazione di risarcimento (integrante un debito di valore), ma un’obbligazione di pagare una somma di denaro, che trova il suo limite nel massimo dell’indennità che l’assicuratore si è contrattualmente obbligato a pagare e che entro questo limite si rapporta a quanto l’assicurato deve pagare al danneggiato. Si tratta perciò di un debito di valuta la cui entità è determinata, entro il limite del massimale, dall’entità di un debito di valore”5; tra assicuratore e danneggiato
sorge un rapporto d’indennità, per cui la mora nell’adempimento dell’obbligazione di pagare l’indennità genera per l’assicuratore le conseguenze proprie della mora nelle obbligazioni pecuniarie,
dando luogo all’obbligazione di pagare anche gli interessi moratori ed il saggio legale sul capitale,
anche oltre i limiti del massimale; nel rapporto (di natura contrattuale) tra assicuratore e assicurato/danneggiante il danno cagionato al cliente dall’assicuratore che non esegua in buona fede il contratto o che non estingua tempestivamente la sua obbligazione risarcitoria in misura corrispondente
all’indennità dovuta è risarcibile all’assicurato stesso anche oltre il limite del massimale.
Infine, e per completezza espositiva, l’assicuratore può essere tenuto a pagare una cifra oltre i limiti del massimale anche nell’ipotesi di cui al 3° comma dell’art. 1917 c.c.: le spese sostenute dall’assicurato per resistere alla pretesa risarcitoria del terzo sono a carico dell’assicuratore nei limiti di un
quarto della somma assicurata, e quindi questi può trovarsi a pagare complessivamente una somma
superiore all’importo del massimale. Non può, invece, superare il massimale l’importo del debito dell’assicuratore che sia comprensivo delle spese della lite sostenute dall’attore danneggiato che siano
imputate alla parte soccombente ex art. 91 c.p.c., in quanto – salvo patto contrario – esse costituiscono un accessorio dell’obbligazione risarcitoria dell’assicurato e, come tale, gravano sull’assicuratore
nei limiti della somma assicurata6. Ciò, peraltro, può creare notevoli problemi dal punto di vista pra3 Nella valutazione delle caratteristiche della messa in mora e della relativa idoneità alla valutazione della responsabilità e del quantum,
si fa spesso riferimento in giurisprudenza alla valutazione in base al canone di buona fede o correttezza, con risultati assai oscillanti, che non
favoriscono certamente le esigenze di certezza necessarie a ridurre la litigiosità e costantemente invocate dal comparto assicurativo.
Tra le decisioni più recenti delle corti di merito, si veda per esempio Trib. Santa Maria Capua Vetere, Sez. dist. di Cerinola, 5 maggio
2004, in Danno e resp., 2005, 304-305, con osservazioni di A. PIRONTI, Assicurazione e applicazione della clausola generale di buona fede,
ivi, 306-308. In questo caso, il giudice ha ritenuto contrario ai doveri di diligenza, buona fede e correttezza il controllo sommario da parte
dell’assicuratore della richiesta risarcitoria, con conseguente esclusione dell’appartenenza del responsabile al novero dei suoi assicurati
sulla sola base dell’erronea indicazione della targa del veicolo assicurato e non anche dei dati esatti del titolare e del conducente del veicolo stesso.
In materia di buona fede e richiesta di provvisionale, nell’ambito di una recente riflessione sui rapporti tra art. 22 l. 990/1969 e art. 5
l. 57/2001 in tema di r.c.a., si veda A.R. CAVICCHI, Un punto d’incontro tra l’art. 22 della legge 990/69 e l’art. 5 della legge 57/2001, nota a
Giudice di Pace di Modena, 24 febbraio 2003, in Assicurazioni, 2004, II, 48-63, partic. p. 61.
4 Da ultimo, si vedano: Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2005, n. 2653; Cass. civ., sez. III, 6 novembre 2004, n. 21279; Cass. civ., sez. III,
27 settembre 2004, n. 19321; Cass. civ., sez. III, 8 luglio 2003, n. 10725, in Danno e resp., 2004, 415-417, con nota di A. LANOTTE,
Responsabilità dell’assicuratore oltre il massimale. Limiti temporali all’adempimento?, ivi, 417-423; Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2002, n.
17831; Cass. civ., sez. III, 26 aprile 1999, n. 4155, in Assicurazioni, 1999, II, 231-242, con nota di M. ROSSETTI, L’obbligazione indennitaria dell’assicuratore della responsabilità civile come obbligazione di valuta: profili teorici e (inaccettabili) conseguenze pratiche, cit..
5 Così, testualmente, Cass. civ., sez. III, 8 luglio 2003, n. 10725, cit., p. 416.
6 Cfr. Cass. civ., sez. III, 15 marzo 2004, n. 5242, in Assicurazioni, 2004, II, sez. II, 238-244, con nota di M. ROSSETTI, Le spese di lite
nell’assicurazione della responsabilità civile, ivi, 238-245.
52
Problemi e prospettive per le macropermanenti nei rapporti tra danno alla persona e pratica assicurativa
tico del perseguimento di un effettivo ristoro del danneggiato, non solo nei casi futilmente litigiosissimi delle micropermanenti, per cui si spendono tempo e soldi per perizie ed accertamenti per ottenere un punto d’invalidità in più o in meno, ma anche e soprattutto nelle ipotesi di contestazione delle
menomazioni di entità grave. Infatti, in questi casi, le maggiori spese eventualmente sostenute per l’accertamento delle invalidità e dei danni – che contribuiscono ad innalzare ulteriormente il livello dell’obbligazione risarcitoria complessiva, già alta per la natura e l’entità del danno e per la quale quasi
sempre il massimale risulta incapiente – restando a carico del danneggiante assicurato finiscono per
aggravare il debito personale di quest’ultimo e ne seguono le sorti sia in termini di solvibilità, sia dal
punto di vista dell’effettivo conseguimento di un pieno ristoro da parte del danneggiato.
Discorso analogo, su un piano più generale ed a prescindere dal costo del giudizio, può essere
fatto per l’intera vicenda relativa alle conseguenze della responsabilità dell’assicuratore nei limiti del
massimale sulla problematica degli obiettivi della responsabilità civile in tema di danno alla persona,
con particolare (ma non unico) riferimento alle macromenomazioni.
Posto che l’assicurazione di responsabilità civile7, principalmente nei casi in cui sia prescritta
obbligatoriamente ed in quelli in cui sia prevista l’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore del danneggiante, è considerata ed utilizzata dall’ordinamento quale strumento per rafforzare la garanzia che la vittima di un danno derivante da illecito civile ottenga effettivamente (parte
de) il risarcimento che le spetta, risulta chiaro che da questo obiettivo ci si allontana tutte le volte che
venga a crearsi uno iato tra la cifra liquidata (e spettante in risarcimento al danneggiato) e quella
dovuta dall’assicuratore. Infatti, in queste circostanze, la maggiore certezza del ristoro patrimoniale
per il danneggiato è limitata alla parte di risarcimento coperta dall’assicuratore. Per il residuo, che
grava interamente sul patrimonio del danneggiante, restano le incertezze di effettività presenti ordinariamente in tutti i casi di debito nascente da responsabilità.
L’assicurazione resta istituto autonomo dalla responsabilità civile e dalle relative vicende risarcitorie; tuttavia, il fatto che essa – sul piano di scelte e valutazioni di politica del diritto – possa talvolta
svolgere compiti e funzioni ulteriori impone all’interprete di tenerne conto, in modo da segnalare
problemi e sviluppi.
In tale prospettiva, è bene ampliare il quadro di riferimento attraverso alcune necessarie precisazioni.
Con l’assicurazione di responsabilità civile, le parti convengono l’ammontare del premio corrispondente al rischio coperto. Questo è costituito dalla descrizione della responsabilità in dipendenza
della quale l’assicurato sarà tenuto indenne dall’assicuratore e dai limiti patrimoniali entro cui quella
responsabilità è trasferita all’assicuratore (c.d. somma assicurata), cioè – appunto – il massimale.
Per un verso, la prassi assicurativa ha elaborato diverse opzioni con riferimento al massimale applicabile, quali il massimale unico per ogni tipo di danno per sinistro, il massimale tripartito (valore
totale massimo per ogni sinistro, valore massimo per danni alla persona, valore massimo per danni a
cose), il massimale per anno assicurativo, il massimale per sinistro in serie, etc.
Per altro verso, la valutazione del rischio in una assicurazione di responsabilità civile comporta l’esame di vari fattori (per esempio l’ipotesi dell’azione diretta, visti i casi in cui l’assicuratore può essere ritenuto responsabile oltre il limite del massimale), tra cui il primo è senza dubbio il regime normativo della responsabilità civile dello specifico settore in cui è inquadrabile il rischio da assumere8.
Viene, infatti, in considerazione una prima distinzione, tra criteri di imputazione della responsabilità basati sulla colpa o invece su presunzioni di colpa o responsabilità oggettiva. Risulta di immediata evidenza infatti, il diverso grado di probabilità (dovuto alle difficoltà probatorie) di riuscire a provare l’estraneità ai fatti. Per questa ragione, solitamente, per le responsabilità fondate sulla colpa la
7 In questa sede, si tiene conto del solo aspetto della “rilevanza sociale” dell’assicurazione in relazione agli obiettivi di compensation
della responsabilità civile, prescindendo anche dal solo riferimento ai complessi rapporti tra assicurazione e responsabilità civile.
Sull’argomento la bibliografia è sconfinata. Per una prima informazione, si rinvia a: G. PONZANELLI, La responsabilità civile, Bologna, Il
Mulino, 1992; G. COMANDÉ, Risarcimento del danno alla persona e alternative istituzionali, Torino, Giappichelli, 1999; D. DE STROBEL,
L’assicurazione di responsabilità civile, cit.; A.D. CANDIAN, Responsabilità civile e assicurazione, Milano, EGEA, 1993.
8 In tema, cfr. l’analitica esposizione di D. DE STROBEL, L’assicurazione della responsabilità civile, cit., pp. 311 ss..
53
M. Gagliardi
valutazione del rischio si basa principalmente sulle caratteristiche tecniche dell’attività svolta.
Diversamente, negli altri casi, essa viene ricollegata all’analisi (non più solo statistica) delle risultanze giurisprudenziali di vicende analoghe (c.d. componente giuridica del rischio). Inoltre, ben può
comprendersi come gli stessi trend giurisprudenziali vadano tenuti in debita considerazione. Infatti,
nei casi in cui le regole di imputazione della responsabilità siano modificate nella loro portata concreta attraverso l’interpretazione giurisprudenziale di alcuni elementi della fattispecie (si pensi, per
esempio, a quanto può incidere su una responsabilità per colpa la lettura del nesso di causalità),
anche le serie storiche precedentemente osservate e il riferimento ai precedenti diventano assai meno
significativi, sia per la frequenza, sia per il costo medio9.
Quest’ultimo (il costo medio) è un altro snodo centrale della copertura assicurativa di responsabilità civile e, in particolare, del calcolo del massimale. Infatti, uno sviluppo importante tanto quanto quello dei criteri di imputazione della responsabilità ha riguardato nel tempo anche le voci di
danno ed il calcolo della relativa consistenza. Tali evoluzioni hanno costituito elementi di incertezza
e variabilità, con chiari riflessi sulle problematiche assicurative. Da un lato, è evidente che nella stessa fase di valutazione del rischio emerge la rilevanza delle possibili voci di danno che possono concorrere a formare l’entità dell’obbligazione risarcitoria dell’assicurato danneggiante. Dall’altro lato,
tali elementi possono presentare corollari di incertezza anche nella fase di liquidazione del sinistro.
In particolare, si pensi alle conseguenze che le contestazioni e i tentativi di mutare il quadro giuridico esistente possono avere in termini di litigiosità: i corollari più importanti sono costituiti dai problemi di (estensione della) copertura e da quelli di adeguatezza del massimale.
Per comprendere meglio la portata delle considerazioni che precedono, possono citarsi alcuni dei
punti recentemente più controversi in giurisprudenza ed in dottrina in tema di danno alla persona:
la base di calcolo (criteri di liquidazione) del danno alla salute10; i casi di riconoscimento del danno
alla salute ed i soggetti a vario titolo legittimati a chiederne il risarcimento (invalidità permanente,
invalidità temporanea, danno da morte, sia iure hereditatis, sia iure proprio ai congiunti11 anche fuori
dai casi di morte); i problemi legati alle assicurazioni obbligatorie ed al raccordo con le somme erogate dagli assicuratori sociali12; l’emersione del c.d. danno esistenziale; i limiti di risarcibilità del
9 Il discorso si presenta parzialmente diverso in alcuni settori, quale quello della responsabilità civile per la circolazione dei veicoli e
la relativa assicurazione obbligatoria. Infatti, salvo quanto si avrà occasione di precisare in seguito, vi sono aree del diritto in cui le caratteristiche dei sinistri e le tendenze giurisprudenziali hanno generato una maggiore uniformità valutativa e, comunque, un supporto statistico imponente.
10 Basti qui ricordare l’imponente dibattito sviluppatosi intorno alla necessità di raggiungere uniformità liquidativa sul territorio
nazionale ed alle modalità per perseguirla. La letteratura sul tema è infinita. Pertanto, si rinvia, per tutti, a AA.VV., La valutazione del danno
alla salute, a cura di M. BARGAGNA e F.D. BUSNELLI, Padova, CEDAM, ult. ed., ed alla bibliografia ivi elencata. Il tema è tuttora dibattuto, anche in conseguenza della nuova nozione di danno non patrimoniale (su cui si tornerà infra, nota n. 13) introdotta a seguito delle note
sentenze della Corte di Cassazione nn. 8827 e 8828 del 2003, allo scopo di individuarne i parametri liquidativi. In proposito, a titolo esemplificativo, cfr. Trib. Siena, sez. stralcio, 25 marzo 2003, in Danno e resp., 2003, 1119-1122, con commento di A. BONETTA, Il dolore dei
congiunti della vittima principale, ivi, 1123-1128.
11 Il riconoscimento della possibilità in capo ai congiunti di agire per il risarcimento del danno autonomamente subito in conseguenza
della morte o delle gravi menomazioni della vittima primaria comporta che il limite del risarcimento (il massimale) applicabile non è cumulativamente per tutti i congiunti quello previsto per una sola persona danneggiata, bensì è distintamente per ognuno quello previsto per ciascuna persona danneggiata. In proposito, Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2005, n. 2653, riportata in sintesi in Danno e resp., 2005, p. 439.
Tale riconoscimento ha sicuramente creato qualche problema agli assicuratori che nel calcolo del massimale avevano tenuto conto del
differente trend precedente. Per il futuro, invece, è prevedibile che vi siano degli adattamenti nelle formule relative al massimale (nuove
ripartizioni, limiti al numero dei soggetti danneggiati, etc..).
12 Si allude, in particolare, alle evoluzioni subite negli ultimi anni dalle regole che presiedono agli istituti del regresso e della surroga
degli assicuratori sociali verso l’assicuratore del responsabile con riferimento alle somme pagate. Con una serie di interventi della Corte
costituzionale, si è ottenuto il risultato di impedire agli enti gestori delle assicurazioni sociali di recuperare dall’assicuratore del responsabile quanto corrisposto al danneggiato tutte le volte in cui l’azione di surrogazione potesse pregiudicare l’assistito nel “risarcimento dei
danni alla persona non altrimenti indennizzati”. Cfr. Corte cost., 6 giugno 1989, n. 319, in NLCC, 1990, 942. Le dichiarazioni di incostituzionalità muovono dalla considerazione per cui la tutela costituzionale del diritto alla salute, attuata anche attraverso la risarcibilità del
danno biologico, non può essere inficiata neanche dalle altre importanti finalità perseguite attraverso l’attribuzione all’assicuratore (nella
specie, l’assicuratore sociale) del diritto di surroga. Pertanto, la tutela risarcitoria del danno biologico deve essere integrale e non limitabile, con la conseguenza che le somme dovute al danneggiato a titolo di risarcimento per tale voce di danno non possono essere stornate
a favore dell’assicuratore per compensare l’indennità già erogata, peraltro non comprensiva della voce di danno stessa. In altri termini, la
funzione indennitaria dello strumento assicurativo non deve compromettere la finalità riparatoria della responsabilità civile. Si vedano:
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Problemi e prospettive per le macropermanenti nei rapporti tra danno alla persona e pratica assicurativa
danno non patrimoniale13 e le relative difficoltà di liquidazione; i problemi di imputazione e/o di
copertura assicurativa, in mancanza di clausole claims made, dei sinistri long tail o tardivi; l’incerta
rilevanza giuridica delle scoperte scientifiche successive o diversi apprezzamenti giurisprudenziali,
nonché i problemi legati in responsabilità civile ai c.d. rischi da sviluppo; la peculiare problematica
della risarcibilità e della copertura assicurativa dei danni cagionati in altri paesi quando la garanzia
vi è estesa (casi in cui l’obbligazione risarcitoria potrebbe comprendere voci di danno molto diverse
per tipologia o per ammontare da quelle normalmente riconosciute in Italia e tenute in considerazione nelle rilevazioni statistiche del mondo assicurativo: si pensi all’esperienza dei punitive damages
negli Stati Uniti d’America).
Ciò che accomuna gli esempi citati è l’idoneità a generare una situazione di incertezza con riguardo, da un lato, alla copertura assicurativa – particolarmente evidente nel caso di tipologie di danni o
di voci di danno “nuove” o di derivazione non nazionale – e, dall’altro lato, alla adeguatezza del massimale di polizza. Come è intuitivo, l’incertezza sulla possibilità di considerare coperte voci di danno
ed eventi particolari, unita ai dubbi sulla possibilità di adeguare o modificare il valore del massimale in base alle novità legislative o giurisprudenziali, può facilmente dare luogo ad un aumento della
litigiosità, nonché a problemi sul livello dei premi.
Corte cost., 6 giugno 1989, n. 319, in Foro it., 1989, I, 2695 pronunciatasi in materia di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile da circolazione di autoveicoli; Corte cost., 18 luglio 1991, n. 356, in Resp. civ. prev., 1991, 689, pronunciatasi più in generale sulla surrogazione di cui all’art. 1916 c.c.; Corte cost., 27 dicembre 1991, n. 485, in Resp. civ. prev., 1992, 58 sul diritto di regresso dell’INAIL.
A seguito delle sentenze della Consulta, la Corte di Cassazione non soltanto ha applicato e specificato i principi emersi da quelle, ma
si è spinta oltre, applicando lo stesso tipo di ragionamento anche ai casi di surrogazione dell’assicuratore volta a rivalersi delle somme spettanti al danneggiato assicurato per risarcimento del danno morale, nei limiti in cui questo non fosse incluso tra le voci di danno coperte
dall’assicurazione. Per tale vicenda, si rinvia alla nota seguente. Infine, i più recenti influssi della problematica descritta si riscontrano nella
discussione intorno al c.d. danno differenziale, su cui, da ultimo, cfr. Trib. Torino, sez. lav., 22 dicembre 2003, in Danno e resp., 2004,
1230-1233, con commenti di N. CASUCCIO, Infortunio sul lavoro, danno biologico e risarcimento del danno differenziale, ivi, 1234-1236 e
di M. BONA, Le ragioni a sostegno del “danno biologico differenziale” (succinte annotazioni a margine di un indirizzo giurisprudenziale non
condivisibile), ivi, 1236-1241.
Per una prima informazione sull’argomento della surrogazione assicurativa, si rinvia a D. POLETTI, Danno alla salute e infortuni sul lavoro: dall’evoluzione giurisprudenziale alla riforma legislativa, in La valutazione del danno alla salute a cura di M. Bargagna e F.D. Busnelli,
Padova, CEDAM, 2001, 215-260, ed a A. GIUSTI, Il danno alla salute nella giurisprudenza costituzionale, in La valutazione del danno alla
salute, 2001, cit., 189-214.
13 Recenti sviluppi giurisprudenziali hanno ridisegnato la tematica del danno non patrimoniale, apportando – per quanto qui interessa – alcune novità in tema di limiti di risarcibilità. In particolare, il danno non patrimoniale è considerato comprensivo del danno biologico in senso stretto, del danno morale soggettivo come tradizionalmente inteso e dei pregiudizi diversi ed ulteriori, purché costituenti
conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto. Tutte le volte che si verifichi la lesione di un tale tipo di interesse, il
pregiudizio consequenziale è risarcibile anche se il fatto non sia configurabile come reato. Da ciò discende che, se alla liquidazione del
danno biologico possono continuare ad applicarsi gli stessi criteri liquidativi a prescindere dall’aggancio normativo, i limiti di risarcibilità
del “vecchio” danno non patrimoniale (cioè il danno morale derivante da reato) cedono il passo alle nuove prospettive di risarcibilità in
caso di lesione di interessi costituzionalmente protetti. In tal modo, da un lato, i precedenti relativi al risarcimento del danno non patrimoniale – morale non paiono più idonei a costituire una guida sicura all’interno dei meccanismi assicurativi; dall’altro lato, si apre la problematica dell’individuazione di idonei criteri e parametri di liquidazione del “nuovo” danno non patrimoniale. Per una prima, essenziale, informazione sul revirement giurisprudenziale, si vedano Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828, in Danno e resp., 2003,
816-825 ed i relativi commenti: F. D. BUSNELLI, Chiaroscuri d’estate. La Corte di cassazione e il danno alla persona, ivi, 826-829; G.
PONZANELLI, Ricomposizione dell’universo non patrimoniale: le scelte della Corte di cassazione, ivi, 829-831; A. PROCIDA MIRABELLI DI
LAURO, L’art. 2059 c.c. va in paradiso, ivi, 831-835.
Interessanti spunti possono trarsi dal fatto che, sulla scorta del nuovo assetto dell’istituto della surrogazione assicurativa, così come delineato dalla serie di pronunce menzionate nella nota precedente, si è assistito ad ulteriori sviluppi che in materia sono stati generati dalla giurisprudenza di legittimità. Infatti, benché la Corte costituzionale abbia escluso la rilevanza costituzionale del risarcimento del danno morale (salvo quanto di diverso potrà dirsi in prospettiva, visti gli sviluppi del tema in esame nella “nuova stagione del danno non patrimoniale”
che ha appena preso avvio), nondimeno la Suprema Corte ha ribadito il principio sottostante al revirement in materia di surrogazione, pur
sganciandolo dalla problematica del danno alla salute, per farlo coincidere con la semplice questione della coincidenza delle voci di danno
dovute al danneggiato e quelle per cui l’assicuratore ha versato l’indennizzo previsto dal contratto di assicurazione, in ossequio al principio
indennitario governante il rapporto assicurativo. Si vedano: Cass., 20 giugno 1992, n. 7577, in Dir. econ. assic., 1992, 626-631 con nota di
G. GIANNINI, Art. 1916 cod. civ. e surroga INAIL: ultimo atto?, ivi, 631-637; in Foro it., 1993, I, 3134-3147 con note di G. DE MARZO, Danno
morale e limiti oggettivi alla surroga dell’assicuratore, ivi, 3134-3139 e di D. POLETTI, Surroga assicurativa e danno morale: un ripensamento
del supremo collegio, ivi, 3139-3146; Cass., 6 dicembre 1993, n. 12055, in Giur. it., 1995, I, 1, 312-318 con nota di G. GIACCHERO,
Surrogazione dell’assicuratore nel diritto al risarcimento del danno biologico e del danno morale, ivi, 311-314; A. MONTI, Unitarietà della nozione di danno biologico e limiti alle azioni di surroga e di regresso dell’assicuratore sociale, in Dir. econ. assic., 1996, 574-583; D. CHINDEMI,
Rapporti tra assicuratore della responsabilità civile obbligatoria e assicuratore sociale, in Dir. econ. Assic., 1996, 447-484, p. 456.
55
M. Gagliardi
In riferimento alla litigiosità, in ambiente assicurativo è stata fatta notare14 la bassa percentuale di
vertenze che arrivano in giudizio (e – tra queste – molte finiscono transatte subito dopo gli accertamenti probatori) ed il fatto che ciò solitamente è dovuto alla contestazione dell’invalidità residuale e
della responsabilità e non anche al valore del punto di invalidità o al quantum liquidato. Tale circostanza dovrebbe parzialmente ridimensionare i problemi cui finora si è fatto cenno. Tuttavia, dall’epoca di tale rilievo il diritto della responsabilità civile per danno alla persona ha visto non poche novità, in cui i problemi di (certezza e standardizzazione della) liquidazione si sono posti non solo in
quanto tali, bensì anche e soprattutto per nuove voci di danno e per problemi di eventuali duplicazioni risarcitorie.
Inoltre, il fatto stesso della transazione presuppone una rinuncia, quindi una riduzione in termini
d’importo, il che rende evidente come l’interesse preponderante per l’assicuratore sia quello alla
definizione della vertenza. Circostanza che può contribuire al perseguimento di certezza e definitività nei singoli casi. In tal modo, i dubbi e le sperequazioni liquidative non condizionerebbero il
comportamento in giudizio dell’assicuratore. Tuttavia, resta il problema dell’incidenza di tali fattori
sulla valutazione del rischio e quindi sui premi e sul massimale.
Infine, ampliando la prospettiva ed inserendo le problematiche più strettamente assicurative nel
contesto dell’efficacia riparatoria dei meccanismi di responsabilità civile, non può non segnalarsi il
fenomeno più rilevante – quantomeno dal punto di vista del danneggiato – che consegue all’intreccio tra componente giuridica del rischio nei contratti di assicurazione di responsabilità civile e limite inframassimale dell’obbligazione dell’assicuratore del responsabile. Invero, il connubio tra responsabilità civile e assicurazione, ancor più nei casi in cui l’ordinamento abbia appositamente previsto
l’assicurazione obbligatoria, risulta particolarmente utile anche ai fini dell’effettività del ristoro del
danneggiato, che ha di fatto la garanzia (nei limiti, appunto, di quanto dovuto dall’assicuratore) che
almeno una porzione dell’equivalente pecuniario del danno subito gli venga effettivamente versata.
Da questo punto di vista, e con particolare evidenza nei casi di macropermanenti, non è raro che il
limite del massimale risulti non abbastanza alto, con il risultato di far gravare direttamente sul patrimonio del danneggiante assicurato una parte del debito risarcitorio, con tutti i rischi di solvibilità che
possono immaginarsi. Naturalmente, in presenza di un massimale indistinto per voci di danno che
non venga adeguato alle novità legislative e giurisprudenziali, il rischio è che il massimale diventi relativamente più basso, quasi vanificando l’assicurazione di responsabilità.
In estrema sintesi, a fronte di un ammontare potenzialmente illimitato del debito risarcitorio di
responsabilità civile, in cui il peso assoluto e relativo delle singole componenti è (ancora) in gran
parte incerto, si pongono una serie di problemi: la sufficienza del massimale a coprire l’intero
ammontare dei risarcimenti, che si pone in dubbio paradossalmente proprio nei casi più gravi
(macropermanenti) di danno alla persona, nei quali maggiori sono le esigenze anche di garantire al
danneggiato un effettivo ristoro; la concreta possibilità di migliorare ed ampliare la copertura dei
rischi di responsabilità civile attraverso l’adeguamento delle polizze di assicurazione di responsabilità civile, che per la loro tradizionale struttura e costruzione non possono non fare rinvio (includendoli o escludendoli) ai rischi legati alla realtà del diritto dell’illecito civile, attraverso i meccanismi
contrattuali propri dell’assicurazione; il naturale contraltare del pur auspicabile innalzamento dei
massimali, che rebus sic stantibus finirebbe per essere un proporzionale innalzamento dei premi.
Il modo migliore di gestire tali problematiche non è di facile individuazione. In questa sede ci si
limita ad evidenziarle ed a segnalare alcune strade, per la relativa maggiore o minore praticabilità,
nella convinzione che l’avere chiaro il quadro della situazione sia l’indispensabile premessa per avviare un proficuo dibattito sul tema. In quest’ottica, i paragrafi che seguono costituiscono il necessario
completamento del quadro.
14 S. BADALASSI, Rilievi dell’Assicuratore, in Rapporto sullo stato della giurisprudenza in tema di danno alla salute del Gruppo di ricerca C.N.R. sul danno alla salute, coordinato e diretto da M. Bargagna e F.D. Busnelli, Padova, CEDAM, 1996, 235-238.
56
Problemi e prospettive per le macropermanenti nei rapporti tra danno alla persona e pratica assicurativa
2. La copertura del danno alla persona e le obbligazioni dell’assicuratore
nell’assicurazione di responsabilità civile: prospettive dalla bozza di Codice
delle Assicurazioni private
Un dato da tenere presente è senza dubbio costituito dalle esperienze di uniformazione dei risarcimenti (almeno per la liquidazione di alcune voci di danno) in materia di danno alla persona. Il riferimento è, ovviamente, agli “esperimenti” settoriali avviati nel nostro ordinamento per la liquidazione delle micropermanenti nel settore r.c.a. ed in quello degli infortuni sul lavoro. Tuttavia, non può
prescindersi altresì dagli esempi che provengono da altri ordinamenti e che forniscono spunti interessanti. L’esito naturale della riflessione consiste nell’interrogarsi circa l’opportunità, oggi, dell’emanazione di una tabella per lesioni di non lieve entità: sia di per sé, come opportunità di una tabellazione delle macropermanenti, sia in relazione alle prospettive o ai tentativi di armonizzazione a
livello europeo. Opportunità che ha guadagnato l’attenzione degli osservatori anche in vista dell’emanazione del Codice delle Assicurazioni private, la cui bozza è stata approvata dal Consiglio dei
Ministri nel luglio 2004.
L’indispensabile premessa da cui bisogna prendere le mosse è costituita dalla necessità di rispettare i principi che governano il risarcimento del danno alla persona: dignità, salute e uguaglianza.
Nella bozza del suddetto codice si presta sufficiente attenzione al problema dei criteri di valutazione in tema di liquidazione del danno alla persona15. Tuttavia, le previsioni del codice si inseriscono
nel corso normativo precedente senza apportare, da questo punto di vista, nulla di nuovo. Pertanto,
i rilievi che seguono valgono anche a proposito della legge n. 237 del 2002, così come era anche già
stato detto della legge n. 57 del 200116.
In primo luogo, se lo stabilire dei criteri uniformi per la liquidazione del danno, sia per le lesioni
di lieve entità, sia per quelle di non lieve entità, forse avvicina il modello di risarcimento ad un sistema indennitario più che ad uno di risarcimento in senso proprio17 (benché ci sia da discutere sulla
qualificazione in termini di indennizzo di tale sistema), in ogni caso costituisce un buon punto di partenza per raggiungere due obiettivi di notevole importanza in materia di danno alla persona. Da un
lato, la maggiore uniformità e prevedibilità dei risarcimenti contribuisce al migliore funzionamento
delle assicurazioni, favorendo l’applicazione dei principi economici e contabili del comparto ai rami
interessati; dall’altro lato, si crea un più alto grado di certezza utile anche ai fini di riduzione del contenzioso ed in vista di un risarcimento il più possibile uniforme, che risulta quindi ispirato a istanze
di uguaglianza tra i danneggiati.
Tuttavia, e in secondo luogo, nonostante tali rilievi preliminari, emerge un problema: la bozza di
codice, all’articolo 172, fa riferimento, come appunto anche i provvedimenti normativi precedenti18,
alla futura predisposizione da parte dei ministri interessati, di un decreto per la “predisposizione di
15 Le problematiche connesse alla valutazione del danno alla persona ed al suo risarcimento evidenziano, soprattutto nei settori in cui
il risarcimento del danno alla persona postula uno stretto coordinamento con i meccanismi assicurativi, una realtà che è stata definita (Cfr.
F.D. BUSNELLI, Il danno alla persona al giro di boa, in Danno e responsabilità, 2003, 237-243, p. 238) in termini di “processo di frammentazione della responsabilità civile”. Le esigenze dei danneggiati da un lato (ottenere un certo e pieno risarcimento del danno subito), e
quelle del mondo assicurativo dall’altro (maggiore certezza sul quantum liquidabile per gli stessi danni) portano infatti all’esigenza di creare una base di riferimento uniforme, anche se (temporaneamente) limitata a specifici settori. Esempio paradigmatico, in materia, è quello
della r.c.a. e relativa assicurazione obbligatoria.
16 Cfr., infra, il contributo di G. PONZANELLI.
17 Nel dettare – dapprima con la legge n. 57/2001 e poi con la n. 273/2002 – criteri uniformi per la liquidazione delle micropermanenti, il legislatore ha di fatto creato un “meccanismo che tende a condurre la problematica della riparazione di lesioni di lieve entità da
un’ottica risarcitoria ad una di carattere indennitario. In questo senso il legislatore si è parzialmente uniformato alle direttive auspicate
dalle società assicuratrici, evidentemente interessate a scorporare la categoria delle micropermanenti dai meccanismi risarcitori di responsabilità civile, data anche la netta prevalenza numerica delle occasioni di danno da cui si originano lesioni di lieve entità rispetto alla totalità dei sinistri”. Si veda L. DI BONA DE SARZANA, La valutazione delle “micropermanenti” tra capacità lavorativa e danno biologico: il punto
della Cassazione, nota a Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 2002, n. 15289, in Danno e resp., 2003, 874-877, p. 875. Sul punto, è il caso di segnalare che alcune delle applicazioni del c.d. danno differenziale si basano proprio sul presunto carattere indennitario (o, comunque, inferiore e non uniforme ai risarcimenti liquidabili in base ad altri parametri di legge o tabellari) delle somme liquidate in base a norme di legge
settoriali. Per esempio, si vedano le argomentazioni riportate (e contestate) in Trib. Torino, sez. lav., 22 dicembre 2003, cit..
18 Per l’identica formulazione, si veda l’art. 23, comma 4, legge n. 273/2002, ma cfr. anche l’art. 5 della legge n. 57/2001.
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M. Gagliardi
una specifica tabella unica su tutto il territorio dello Stato: a) delle menomazioni alla integrità psicofisica compresa tra i 10 e i 100 punti; e b) del valore pecuniario da attribuire a ogni singolo punto di
invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti al soggetto leso”. Non è questa la
sede per ripercorrere o ribadire quanto già detto sull’esigenza di non limitare simili previsioni al solo
comparto assicurativo e alla sola area della responsabilità civile derivante dalla circolazione di autoveicoli. Invero, il risarcimento del danno in responsabilità civile è e dovrebbe essere attuato dando a
ciascuno un pieno ristoro del pregiudizio subito su base egualitaria, quindi al di là dei settori.
Per quanto riguarda il problema centrale delle macropermanenti, la necessità di redigere una
“tabella” è fortemente sentito al punto che moltissimi giudici, in assenza di una simile tabella, hanno
ritenuto opportuno in più occasioni estendere19, sia fuori dalla responsabilità civile derivante dalla
circolazione di autoveicoli (r.c.a.), sia al di là delle micropermanenti, i criteri previsti per la redazione della tabella relativa a queste ultime.
Se, da un lato, sono da apprezzare i tentativi dei giudici di colmare un vuoto normativo in tal
senso, dall’altro lato, preme sottolineare che si riscontra una difficoltà, avvertita anche nei tentativi
giurisprudenziali menzionati, che è destinata a riproporsi anche in occasione della redazione dell’ipotetica tabella nella scelta dei criteri da utilizzare20 e questo sotto almeno due punti di vista: uno è
la redazione di un baréme medico-legale che serva ad identificare l’entità, quindi la percentuale di
menomazione da risarcire; l’altro è quello di come costituire i criteri della redazione della tabella di
risarcimento. Sotto quest’ultimo profilo, può segnalarsi che i criteri di riferimento esistono, sono già
stati più o meno applicati per le micropermanenti, e – segnatamente – sono quelli indicati a suo
tempo dal gruppo di ricerca CNR sul danno alla salute21.
Ciò che sarebbe importante tenere presente è che l’incidenza delle menomazioni sulla vita del soggetto danneggiato cresce in modo più che proporzionale all’aumentare della percentuale e questo può
creare problemi per le lesioni non solo di non lieve entità, ma soprattutto per quelle di grandissima entità, ovvero le macropermanenti, quelle – per intendersi – solitamente indicate come superiori al 60-70%
di invalidità. Da questo punto di vista, possono farsi due brevissime notazioni: la prima è che si potrebbe provare a guardare, nella redazione di queste tabelle, a dei criteri un po’ più ampi rispetto alla semplice indicazione di una percentuale di invalidità, su un modello che in Europa hanno posto in essere
ambienti di operatori, sia in Germania con le Schmerzensgeldtabellen22, sia nel Regno Unito con le pubblicazioni del Judicial Studies Board 23. In questi casi, si sono pubblicate raccolte di sentenze ed “elenchi” di descrizioni di menomazioni più o meno tipiche, corredate dai corrispondenti risarcimenti, soli19 Si vedano, a titolo esemplificativo: Trib. Venezia, sez. Chioggia, 11 maggio 2001, in Resp. civ. e prev., 2002, 469-472, con nota di
G. FACCI, La legge sulle “micropermanenti”: sospetti di illegittimità costituzionale, applicazioni a casi avvenuti prima della sua entrata in vigore e proposte di modifica, ivi, 473-488; Trib. Venezia – Sez. dist. di Dolo, 11 luglio 2002, in Danno e resp., 2003, pp. 886-893, con commento
di M. GAGLIARDI, Parità di trattamento nella liquidazione del danno biologico e inefficacia di clausole assicurative; D. SPERA, Danno biologico: una spallata alle “tabelle” dalla nuova riforma delle micropermanenti, in Guida al diritto dell’8 settembre 2001, 10-12.
20 Nel vuoto dell’attesa, però, rimane sul tappeto il dubbio se, pur dovendosi estendere i criteri di calcolo a punto differenziato oltre
la percentuale di invalidità permanente del 9%, la logica tabellare risponda a criteri di giustizia sostanziale anche per le ipotesi di danni
più gravi o se le macromenomazioni maggiori non richiedano regole diverse per soddisfare esigenze di giustizia sostanziale. Pur tenendo
in debito conto i più recenti sviluppi giurisprudenziali, “con l’avviata nuova sistematica del danno non patrimoniale lo schema logico concettuale del danno alla salute può fare da modello per la liquidazione piuttosto che da contenitore di voci di danno. La possibilità di tipizzare situazioni prive di «elementi peculiari» in una griglia orientativa che tenga conto dell’incidenza diversificata e crescente in modo più
che proporzionale della menomazione rende possibile l’elaborazione di tabelle indicative”. Cfr. G. COMANDÉ, Danno biologico: sì al modello anglo-tedesco per superare le incongruenze di sistema, in Guida al diritto, 12 giugno 2004, n. 23, p. 11. Su tali aspetti, si vedano, ampiamente, i contributi di G. COMANDÉ, di R. DOMENICI e di L. MARINO – C. TONI, infra. Per una rilettura critica del tema, attuata attraverso
l’analisi dell’esperienza tedesca delle Schmerzensgeldtabellen, si veda anche il contributo di S. WUENSCH, infra.
21 Cfr. G. TURCHETTI, Gli sviluppi dello studio sulla determinazione del valore monetario base del punto di invalidità e G. COMANDÉ,
La sperimentazione di una Tabellazione Indicativa Nazionale tra esigenze di prevedibilità ex ante del danno e di liquidazione equitativa ex
post, entrambi nel Rapporto sullo stato della giurisprudenza in tema di danno alla salute del Gruppo di ricerca C.N.R. sul danno alla salute, coordinato e diretto da M. Bargagna e F.D. Busnelli, cit., rispettivamente 171-199 e 201-207.
22 Cfr. F. D. BUSNELLI, Il danno alla salute: un’esperienza italiana; un modello per l’Europa? in La valutazione del danno alla salute a
cura di M. Bargagna e F. D. Busnelli, IV ed., 2001, cit., 3-18, p. 12. Sulle Schmerzensgeldtabellen, si veda diffusamente il contributo di S.
WUENSCH, infra, cit.
23 Iniziativa fondata sull’ampio effetto del consenso corrente in relazione a differenti categorie di lesioni, che indicano il range di risarcimento accordabile, sulla base dei risarcimenti passati e la prassi corrente. Simili raccolte servirebbero a facilitare accordi transattivi così come
a raggiungere maggiore certezza nelle decisioni dei giudici. Sull’esperienza inglese, si veda il contributo di L. DI BONA DE SARZANA, infra.
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Problemi e prospettive per le macropermanenti nei rapporti tra danno alla persona e pratica assicurativa
tamente ricondotti ad una forcella di valori risarcitori, con descrizione delle circostanze particolari che
hanno indotto il giudice a liquidare una somma piuttosto che un’altra. Tali esperienze, peraltro, forniscono un modello di riferimento per i risarcimenti che può contenere anche voci di danno che nel
nostro ordinamento sono spesso liquidate in maniera autonoma e svincolata dall’entità della menomazione. Potrebbe trattarsi di una strada su cui riflettere anche nella prospettiva di trovare soluzione ai
problemi legati al sorgere di “nuovi” danni o voci di danno di cui s’è detto nel paragrafo precedente.
3. Le assicurazioni che concorrono (o possono concorrere) alla copertura
dei danni alla persona
Uno dei dati più importanti in tema di rapporti tra danno alla persona e pratica assicurativa è la
tipologia di polizza normalmente utilizzata per la relativa copertura. Infatti, a parte il rilievo per cui
la problematica del danno alla persona viene tradizionalmente affrontata nell’ambito del diritto della
responsabilità civile, con conseguente considerazione prevalentemente dell’assicurazione della
responsabilità civile stessa, sono le caratteristiche dell’indennità assicurativa a non prestarsi completamente alla semplificazione di alcuni dei problemi che si è cercato di individuare in precedenza.
Invero, l’assicurazione di responsabilità civile fornisce un indennizzo per le perdite economiche, derivanti all’assicurato da un debito di responsabilità, ed ha un massimale solitamente unico per tutte le voci
di danno, con le menzionate conseguenze sulla parte di risarcimento che ecceda il massimale stesso.
Sono disponibili sul mercato, benché in certa misura ignorate nell’ambito del dibattito relativo ai
nostri temi, altre tipologie di assicurazione diretta, quali l’assicurazione contro gli infortuni o quella
per caso di malattia, ma si tratta pur sempre di coperture che mirano a fornire all’assicurato che subisca un infortunio o una malattia un semplice indennizzo o rimborso per le spese sostenute o le perdite di natura economica24. Infatti, l’analisi dell’attuale rapporto tra impresa di assicurazione e cittadino in relazione a tutti gli aspetti che in qualche modo attengono alla salute di quest’ultimo, indica
che detto rapporto è oggi basato quasi esclusivamente sulla tutela del patrimonio. La Polizza
Infortuni, la Polizza Invalidità Permanente da Malattia, la Polizza Indennità da Ricovero per Malattia
o Infortunio, nonché la stessa Polizza Vita (almeno nei suoi modelli più tradizionali), non hanno altro
scopo se non quello di tutelare l’assicurato da un danno economico da lucro cessante, temporaneo o
permanente che sia, derivato da una malattia, da un infortunio, dalla morte; la Polizza Rimborso
Spese Sanitarie (R.S.S.) ha sempre e comunque per oggetto solo la tutela del cosiddetto danno economico emergente correlato ad un evento malattia/infortunio.
Tale constatazione, per quanto possa sembrare banale, apre la strada a due rilievi. Il primo consiste nella altrettanto ovvia constatazione che l’ammontare delle spese/risarcimento indennizzabili e,
quindi, coperte dall’assicurazione, è comunque limitato (anche dalla presenza di meccanismi come la
franchigia), preventivamente fissato e correlato all’entità del premio pagato. Naturalmente, il connubio tra polizze di assicurazione della responsabilità civile (ancor più nei settori in cui massima è la
diffusione, come quelli in cui vige l’obbligatorietà della copertura assicurativa) e polizze di assicurazione first party per i danni subiti dall’assicurato stesso consente risultati più accettabili dal punto di
vista dell’effettivo ristoro della vittima25. Si pensi al caso del danneggiato che non abbia potuto incassare l’intero ammontare del risarcimento dovuto dal danneggiante, in quanto questi sia risultato
insolvente e non abbia quindi tempestivamente pagato la parte di debito eccedente il massimale assicurativo versato, invece, dal suo assicuratore. Si pensi anche all’esempio dell’operare di alcune assicurazioni malattie attraverso un sistema di liquidazione dei sinistri tramite pagamento diretto (che
24 Per una prima informazione su tali tipologie di polizze, si vedano: G. BRUNO-L. MASTROROBERTO-O. MORINI, La polizza rimborso
spese sanitarie, Milano, Giuffrè, 2000; A. FEDELI, Le assicurazioni infortuni, in Manuale di tecnica delle assicurazioni a cura di A.D. Candian
e S. Paci, Tomo II, Milano, Giuffrè, 2002, 1185-1271; B. PIERINI, L’assicurazione privata malattie, ivi, 1273-1378.
25 “La protezione dei rischi da infortunio è quindi una delle più importanti aree di bisogno dei cittadini che, laddove i sinistri non
siano risarciti dal responsabile od indennizzati dall’assicuratore pubblico, resterebbe insoddisfatta”. Così A. FEDELI, Le assicurazioni infortuni, cit., p. 1265.
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M. Gagliardi
spesso implica la sottoscrizione di convenzioni tra assicuratori e strutture sanitarie); infatti, in tal
modo all’assicurato può essere evitato anche di anticipare le spese mediche che si rendano necessarie, risolvendo così a monte il problema del ristoro delle perdite economiche subite.
Se questo è vero sul piano della situazione patrimoniale della vittima dopo il verificarsi del sinistro
(infortunio, malattia, etc.), tuttavia, la situazione presenta caratteristiche affatto diverse se guardata
da prospettiva temporale precedente il sinistro stesso. Infatti, per ottenere dopo un ristoro certo delle
proprie eventuali perdite economiche, la potenziale vittima assicurata subisce prima una diminuzione patrimoniale corrispondente ai premi assicurativi. In questo modo, è evidente che di per sé la convivenza delle due tipologie di assicurazione (first party per i danni subiti, di responsabilità civile per
i danni cagionati), utile a fini di ristoro patrimoniale della vittima, lascia inalterati i problemi di distribuzione delle perdite economiche derivanti da fatti illeciti. Inoltre, nelle assicurazioni first party
per i danni subiti, le caratteristiche di copertura (del danno emergente e del lucro cessante da infortunio o simili), lasciano pur sempre aperti i problemi di indennizzabilità e copertura delle “nuove”
voci di danno, che già faticano a rientrare – per quanto detto in precedenza – nei massimali delle
polizze di assicurazione della responsabilità civile.
Da questo punto di vista, è degno di nota il fatto che si sia aperto un dibattito sul tema della configurabilità nel nostro ordinamento di un (sotto-)tipo di assicurazione, c.d. di persone, capace di
superare la dicotomia ed i limiti del tradizionale binomio assicurazioni vita – assicurazioni danni26.
Tuttavia, i tempi non sembrano ancora maturi per una compiuta elaborazione e individuazione della
tipologia, pur se l’ipotesi potrebbe prestarsi al superamento di alcuni limiti del tipo contrattuale assicurativo, quali le differenze tecniche (sul piano sia giuridico, sia assicurativo) tra danni al patrimonio
e danni alla persona e tra danni patrimoniali e danni non patrimoniali27.
Infine, tra le varie ipotesi di introduzione di forme concorrenti di assicurazione first party, si è ventilata quella di una polizza per la copertura del danno morale o voci simili. Tale possibilità, oltre a
rientrare tra quelle che hanno maggiore necessità di verifica con riguardo alla fattibilità tecnica
(ancora una volta, sia giuridica, sia assicurativa), è solo una di quelle che ricollega all’esigenza sociale della tutela dei danneggiati una soluzione diversa dal mero stretto connubio tra assicurazione e
responsabilità civile.
Concludendo, le problematiche in tema di macropermanenti che nascono dai rapporti tra danno
alla persona e pratica assicurativa possono essere affrontate da almeno due diverse prospettive, auspicabilmente concorrenti tra di loro. La prima è costituita dalle possibilità, per gli operatori del diritto, di incidere sugli elementi di incertezza e di frammentazione che condizionano quelle che si
potrebbero definire l’adeguatezza e la capienza dei massimali. La seconda è data dalla rielaborazione
critica del sistema delle assicurazioni (di responsabilità civile, ma non solo) e dello stesso binomio
responsabilità civile – assicurazione, onde trarne spunti ricostruttivi e/o innovativi capaci di seguire
il passo dei problemi sociali e delle loro garanzie.
I percorsi, dunque, sono (almeno) due. Essi sono entrambi segnati da principi giuridici di cui è
necessario tenere conto e che inevitabilmente condizionano la praticabilità delle soluzioni che possano individuarsi. Il terreno per la discussione si presenta, ci pare, sufficientemente ampio da infondere un senso di cauto ottimismo sulla possibilità concreta di ovviare sistematicamente alle “fughe”
dal sistema che tanti problemi possono creare.
26 Per esempio, si parla di “assicurazioni di persone”, quale aggregazione di varie coperture assicurative per rischi della persona che
prescinda da “rigide collocazioni delle coperture stesse nei Rami Vita e Danni” in E. PITACCO, Le coperture “income protection”, “dread disease”, “long term care”, in Manuale di tecnica delle assicurazioni a cura di A. D. Candian e S. Paci, Tomo II, cit., 1379-1403.
27 Si noti che la tematica delle assicurazioni di persone assume particolare rilievo nella vicenda della classificazione dell’assicurazione
infortuni tra quelle del ramo vita ovvero tra quelle del ramo danni. Invero, la giurisprudenza si è divisa sulla relativa classificazione, a causa
della problematica applicabilità a tali assicurazioni di alcuni istituti tipici dell’uno o dell’altro ramo, primo fra tutti il principio indennitario tipico del ramo danni. Per una prima, sintetica, ricostruzione della questione, si vedano: M. IRRERA, Le assicurazioni contro gli infortuni (e le malattie) e delle spese mediche, in O. CAGNASSO-G. COTTINO-M. IRRERA, L’assicurazione: l’impresa e il contratto, in Trattato di dir.
comm. diretto da G. Cottino, X, Padova, CEDAM, 2001, 261-274, pp. 262 ss. e 268 ss.; A. FEDELI, Le assicurazioni infortuni, cit., pp. 1208
ss.. Inoltre, per alcuni recenti contributi, si vedano: I. CLEMENTE, L’assicurazione infortuni: una figura in cerca di disciplina, nota a Cass. SS.
UU. civ. 10 aprile 2002, n. 5119, in Dir. econ. assic., 2004, 236-252; G. DE ZUCCATO, Una sentenza alquanto deludente sulla natura giuridica dell’assicurazione privata contro gli infortuni, nota a Cass. SS. UU. Civ. 10 aprile 2002, n. 5119, in Dir. econ. assic., 2003, 542-548.
60
Le macropermanenti: un’analisi
C. TONI-L. MARINO
SOMMARIO: 1 Valutazione del danno biologico; 2 Valutazione e liquidazione del danno da
lucro cessante; 3 Invalidità temporanea; 4 Spese sostenute e da sostenere; 5 Danno morale;
6 Danno ai congiunti; 7 Conclusioni.
Il termine “macromenomazioni” viene utilizzato per indicare quelle menomazioni che, per la loro
gravità, comportano un danno molto importante per i soggetti che le patiscono, incidendo in maniera rilevante sulla loro qualità di vita intesa nel senso più ampio del termine e cioè sugli atti quotidiani, sull’autonomia individuale, sul rapporto interpersonale, sulla sfera degli affetti e della sessualità
(oltre ad avere di norma catastrofiche ripercussioni patrimoniali). Indicativamente, esse vengono
individuate nelle menomazioni dell’integrità psicofisica valutate con percentuali uguali o superiori al
60-70%. Per il nostro campione di sentenze, che abbraccia un arco di tempo di circa un ventennio
(1983-2001) [Fig. 1], abbiamo scelto, quale limite convenzionale, la soglia del 70%.
Distribuzione del
per anno
Distribuzione
delcampione
campione
per anno
23
n° sentenze
25
16
20
11
15
10
5
0
2
1983-1987 1988-1992 1993-1997 1998-2002
Anni di deposito
Fig. 1
Il campione comprende un totale di 52 sentenze emesse da Tribunali distribuiti su tutto il territorio nazionale (sebbene con una prevalenza nel Nord) [Fig. 2] e facenti parte di quattro successive
raccolte1 2 3 4: trentaquattro erano già state oggetto di commento in una precedente nota5.
1
2
3
4
5
AA.VV. Rapporto sullo stato della Giurisprudenza in tema di danno alla salute, a cura di Bargagna et al, CEDAM, Padova 1996.
M. BARGAGNA-F.D. BUSNELLI, Osservatorio della giurisprudenza in tema di danno alla persona in Danno e Responsabilità, 1999, 121.
M. BARGAGNA-F.D. BUSNELLI, Osservatorio della giurisprudenza in tema di danno alla persona in Danno e Responsabilità, 2000, 1049.
F.D. BUSNELLI-R. DOMENICI, Osservatorio della giurisprudenza in tema di danno alla persona in Danno e Responsabilità, 2002, 1041.
L. MARINO, Danno biologico e grandi permanenti in Danno e Responsabilità, 1999, 132.
61
C. Toni-L. Marino
Distribuzione del campione per sede
Fig. 2
Un primo dato di notevole interesse è rappresentato dall’età dei soggetti lesi. In quasi la metà dei
casi in cui tale dato poteva essere ricavato (22 sentenze su 48), essa risultava compresa tra 15 e 25
anni, in poco più del 10% dei casi (5 sentenze su 48) era invece superiore ai 50 anni [Fig. 3].
n° casi
Distribuzione
campioneper
perfasce
fasce di
Distribuzione
del del
campione
di età
età
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
0-10
10-20
20-30
30-40
40-50
50-60
>60
Fasce di età
Fig. 3
Questa circostanza ha senza dubbio grande rilievo epidemiologico e sociale. Sotto il profilo medico-legale, comporta anche particolari problemi valutativi in ordine ai parametri utili per la stima del
danno economico futuro, poiché spesso il leso, al momento del fatto, non svolge ancora attività lavorativa o comunque non ha ancora espresso compiutamente la sua potenzialità produttiva.
Per quanto concerne la natura delle menomazioni che rientrano nel campione esaminato, prevalgono le conseguenze di gravi traumi cranici con interessamento del parenchima cerebrale (con relativi deficit neurologici sensitivi, motori, cognitivi) o del visus, di traumi midollari da cui sia derivata una
condizione di tetra- o di paraplegia e l’amputazione di arti. Si possono distinguere casi in cui sussiste
una menomazione unica, o prevalente, ed altri contraddistinti da menomazioni complesse [Fig. 4].
62
Le macropermanenti: un’analisi
La categoria delle menomazioni definite uniche include 24 casi: 13 paraplegie, 5 tetraplegie, 4 amputazioni di arto inferiore e 2 casi di cecità. Altri 23 casi si riferiscono a menomazioni definibili come
complesse, più spesso in esito a traumi cranici (per esempio: “grave deterioramento mentale, con afasia globale, gravi turbe dispratto-gnosiche, sindrome epilettica e deficit motorio dei quattro arti”), ma
anche a politraumatismi fratturativi (per esempio: postumi di fratture pluriframmentarie esposte ad
entrambe le gambe, con “deambulazione molto difficoltosa e possibile solo con doppio appoggio e
per brevi tratti”). Nei 5 restanti casi, dalla sentenza non è possibile ricavare la natura dei reliquati.
Distribuzione del campione per tipologia di menomazione
Cecità
25
20
15
Tetraplegie 10
Amputazione
2
4
5
23
13
5
5
Paraplegia
0
Menomazioni
singole
Menomazioni
complesse
Menomazioni
non ricavabili
Fig. 4
Valutazione del danno biologico
Nella precedente nota si era rilevata una sensibile variabilità dell’indicazione percentuale in casi
apparentemente sovrapponibili. L’ampliamento della casistica, rispetto a quella presentata nel 1999,
consente ulteriori precisazioni.
In prevalenza, i 17 casi che rientrano nel range di valutazione compreso tra il 70% e l’80% (la
cosiddetta “fascia bassa” delle macropermanenti) si riferiscono effettivamente alle condizioni pregiudizievoli di “minore” gravità. In questa fascia sono comprese tutte le situazioni in cui funzioni
fondamentali – come la deambulazione, la prensione, la vista, etc – sono seriamente compromesse,
ma non completamente abolite. Vi rientrano casi di amputazione o di grave menomazione di un singolo arto, danni estetici importanti al volto con limitazioni funzionali parziali (per es.: “deformazione del volto, perdita occhio destro, indebolimento olfatto, danno psichico”: Trib. Salerno n° 48/94).
Non mancano, tuttavia, quelle che possono essere ritenute sottovalutazioni del danno. Quale esempio, si segnala la sentenza del Tribunale di Chieti n° 224/01 in cui è stato stimato nella misura del
70% il danno biologico riportato da un giovane di 38 anni affetto da “sindrome pseudo-frontale,
ipertonia dell’emisoma sinistro con marcate difficoltà alla deambulazione, sindrome da immobilizzazione, rigidità di entrambe spalle, deformità e rigidità del polso destro, deformità e rigidità di gamba
e caviglia destra”. Talora, il magistrato – sia pure attraverso lo strumento improprio della duplicazione – provvede a rimodellare secondo equità la somma da liquidare, come nel caso deciso dal
Tribunale di Sondrio (1983) ove a un leso 53enne affetto da “notevole rallentamento mentale, paralisi III e IV nervo cranico sinistro e branca oftalmica del V, ipostenia arto superiore sinistro, andatura incerta di origine cerebrale, danno estetico al volto” viene riconosciuto oltre al danno biologico
stimato dal CTU nella misura (forse un po’ troppo contenuta) del 75%, anche il “danno alla vita di
relazione” risarcito con 10 milioni dell’epoca.
63
C. Toni-L. Marino
Tra i 24 casi di menomazioni “uniche” o “prevalenti”, quelli che meglio si prestano al raffronto,
per entità numerica, sono i 13 di paraplegia cui sono state attribuite percentuali di danno biologico
comprese tra il 75% e il 100% [Fig. 5].
Casi di paraplegia
5
n° casi
4
3
2
1
0
75%
80%
85%
90%
100%
% DB
Fig. 5
In colore scuro sono riportati i casi di menomazioni “uniche”
Codesto ambito di variabilità esteso per un arco pari ad un quarto della scala numerica (e a cui
corrisponde una ancora più ampia “forchetta” in termini monetari, ove si applichi il criterio del valore crescente del punto) non appare che in parte giustificato dalla eventuale coesistenza di altre menomazioni e dalla peculiarità dei singoli casi (poiché è vero che la paraplegia presenta uno spettro differenziato di manifestazioni cliniche, fino a sfumare in forme più o meno importanti di paraparesi).
Un ipotizzabile fattore di confusione, almeno per i casi risalenti alla seconda metà degli anni ’80 o ai
primi anni ’90, potrebbe essere rappresentato dalla non uniformità dei riferimenti tabellari medicolegali. Fino alla terza edizione, del 1986, la “Guida alla valutazione medico-legale dell’invalidità permanente” di Luvoni et al6 – che è stato per lungo tempo il baréme italiano più seguito – attribuiva
alla paraplegia un tasso del 100% (inteso come pregiudizio della capacità lavorativa generica). A partire dalla quarta edizione del 19907, la stessa Guida assegnava invece alla paraplegia una percentuale (in termini, questa volta, di danno biologico) dell’80%. La medesima percentuale figura anche nella
prima edizione della “Guida orientativa per la valutazione del danno biologico” di Bargagna et al del
19968, come pure nelle due successive (tuttavia, la maggior parte delle sentenze che riportano valutazioni pari al 100% risalgono ad epoca posteriore al 1990 e tutte recano come parametro di riferimento il danno biologico e non la capacità lavorativa generica).
I cinque casi di tetraplegia sono contenuti in un ambito valutativo (ovviamente) più ristretto, compreso tra il 90% ed il 100%. Ciò significa, comunque, che ad alcuni dei soggetti tetraplegici del
nostro campione sono state assegnate percentuali di invalidità uguali o addirittura inferiori rispetto
ad alcuni dei soggetti paraplegici. Se, di nuovo, si prende in esame la “Guida” di Luvoni et al, nelle
sue ultime tre edizioni (Tab. 1) si può fare un’interessante osservazione. Paraplegia e tetraplegia sono
state “tariffate” con il medesimo tasso non solo nell’edizione del 1986 – con riferimento alla perdita
della capacità lavorativa generica, che, per entrambe, non può essere che pari al 100% – ma anche
6
R. LUVONI-F. MANGILI-L.BERNARDI, Guida alla valutazione medico-legale dell’invalidità permanente, Giuffrè, Milano 1986.
R. LUVONI-F. MANGILI-L. BERNARDI, Guida alla valutazione medico-legale del danno biologico e dell’invalidità permanente, Giuffrè,
Milano 1990.
8 M. BARGAGNA-M. CANALE-F. CONSIGLIERE-L. PALMIERI-G. UMANI RONCHI, Guida orientativa per la valutazione del danno biologico, Giuffrè, Milano 1996.
7
64
Le macropermanenti: un’analisi
nella successiva edizione del 1990, con riferimento, questa volta, alla compromissione dell’integrità
psicofisica, valutata per entrambe le menomazioni nell’identica misura dell’80%. Nell’ultima edizione9 gli Autori stabiliscono invece una gerarchia tra il danno biologico conseguente alla paraplegia
(80%) e quello conseguente alla tetraplegia (90%). Tale orientamento coincide sostanzialmente con
quello della “Guida orientativa” di Bargagna et al. In realtà, come è stato discusso in un altro contributo di questo stesso volume, le discrepanze valutative in ordine a macromenomazioni così importanti come le tetraplegie, vanno ricondotte alle differenti concezioni riguardo al significato del 100 di
danno biologico.
EDIZIONE
3a (1986)
4a (1990)
5a (2002)
PARAMETRO VALUTATIVO
Capacità lavorativa generica
Danno biologico
Danno biologico
PARAPLEGIA
100%
80%
80%
TETRAPLEGIA
100%
80%
90%
Tab. 1
Una maggiore uniformità di valutazione è da segnalare per i casi (ma sono solamente quattro) in
cui il postumo di maggior rilievo era rappresentato dall’amputazione di un arto inferiore. In tre casi
la valutazione è stata del 70%, nel quarto la maggiore percentuale (77%) è giustificata dalla concomitanza di altre menomazioni. Conviene solo aggiungere che i tassi assegnati sono più in linea con le
percentuali (a suo tempo) attribuite a titolo di riduzione della capacità lavorativa generica che con
quelle (minori) previste dai baréme per la valutazione del danno biologico.
Valutazione e liquidazione del danno da lucro cessante
Le macromenomazioni determinano di solito un importante pregiudizio delle attività produttive
di reddito del leso, fino alla loro completa abolizione.
Nel nostro campione, solo in 12 casi su 52 non è stato liquidato il danno patrimoniale di natura
permanente da lucro cessante, con diverse motivazioni: perché il danno era già stato ristorato
dall’INAIL, mediante la costituzione di rendita (3 casi); perché il leso era ormai pensionato (1 caso);
perché non era stata avanzata richiesta di risarcimento (probabilmente anche in questa circostanza
era stata istituita una rendita INAIL: 1 caso); perché il danno patrimoniale non era stato provato in
concreto (2 casi); perché il danno patrimoniale era stato liquidato insieme con il danno biologico
(Tribunale di Roma, 1993, risarcito con il sestuplo della pensione sociale: 1 caso); oppure per altre
motivazioni che non emergono con chiarezza dalla sentenza. Da rilevare che per 7 di questi 12 casi
non risulta che il CTU avesse neppure quantificato la riduzione della capacità lavorativa; mentre per
gli altri il tasso stimato di incapacità era del 100% (4 casi) o del 50% (1 caso).
È di qualche interesse esaminare il rapporto tra percentuale di invalidità indicata come danno biologico e percentuale di incapacità lavorativa posta a base della liquidazione del lucro cessante. Tale
raffronto è possibile per 37 casi, poiché nei rimanenti 15 una delle due percentuali non è stata espressa dal CTU. Ebbene, nei due terzi di codesti casi (25 su 37) la capacità produttiva propria del leso è
stata considerata completamente persa. Il 100% di danno alla capacità lavorativa specifica è stato
assegnato a 10 degli 11 soggetti cui era stato attribuito un danno biologico del 100% e a 15 soggetti
con danno biologico valutato tra il 90% e il 70%. Vi sono poi 6 casi in cui le percentuali di danno
biologico e di incapacità lavorativa, minori del 100%, coincidono (1 caso 95%, 2 casi 85%, 1 caso
75%, 2 casi 70%), mentre in un settimo vi è una differenza in plus del 5% (danno biologico 80%,
9 R. LUVONI-F. MANGILI-L. BERNARDI, Guida alla valutazione medico-legale del danno biologico e dell’invalidità permanente, Giuffrè,
Milano 2002.
65
C. Toni-L. Marino
danno alla capacità lavorativa 85%). Nei rimanenti 5 casi, la percentuale di danno alla capacità lavorativa è inferiore a quella del danno biologico. Dal raffronto emergono alcune indicazioni condivisibili, come quella secondo cui nella maggior parte dei lesi la macromenomazione comporta la totale
abolizione dell’attività produttiva di reddito, anche se vi sono consistenti eccezioni (un “caso di scuola”, presente nel nostro campione, è quello del notaio – danno biologico 70% – che ha potuto proseguire la sua attività, con un danno alla capacità reddituale valutato nella misura del 20%). E, però,
il passaggio tra l’una e l’altra percentuale non può consistere nella semplice trasposizione numerica,
come sembra essere avvenuto in qualcuna delle consulenze tecniche. Si veda, per esempio, la fattispecie del diciannovenne, affetto da “deficit motorio degli arti superiori e inferiori, grave deterioramento mentale, con afasia globale, gravi turbe dispratto-gnostiche e sindrome epilettica” (Trib
Ragusa n° 462/93) ritenuti (ragionevolmente) produttivi di danno biologico del 95%. Al giovane è
stata (in modo non sembra altrettanto ragionevole) riconosciuta una pari riduzione della capacità
lavorativa: così che all’interprete resta da capire come lo sfortunato ragazzo possa aver tradotto in
moneta sonante il suo residuo 5% di efficienza produttiva.
Invalidità temporanea
Altra voce di interesse è quella relativa al danno biologico temporaneo che, nel nostro campione, è
stato liquidato come posta autonoma in meno della metà dei casi (22 su 52). Questa circostanza può
trovare ragione nella maggiore difficoltà di tracciare un limite netto di demarcazione fra danno biologico temporaneo e permanente per le macromenomazioni rispetto a quanto avviene per le menomazioni “ordinarie”. Difficoltà confermata dal fatto che solo in 34 consulenze su 52 si rinvengono
indicazioni circa la durata della “temporanea biologica”. Tuttavia, non sembra equo negare una specifica considerazione, in termini medico-legali e liquidativi, a questa peculiare voce di danno che,
quanto meno, dovrebbe ritenersi ricorrente durante la fase di ospedalizzazione post-trauma e di successiva stabilizzazione.
La inabilità temporanea da lucro cessante è stata liquidata solo in 6 casi sui 52 del campione: 5 volte
su 6 in funzione palesemente sostitutiva della mancata liquidazione del danno biologico temporaneo.
In particolare, in 2 casi il CTU aveva quantificato la durata della temporanea biologica (non liquidata), ma non della temporanea da lucro cessante (che è stata invece oggetto della liquidazione del giudice); in altri 2, il CTU aveva quantificato la durata della temporanea da lucro cessante (regolarmente
liquidata), ma non quella biologica; nel quinto caso il CTU non aveva quantificato la durata né della
temporanea biologica né di quella da lucro cessante (ma il giudice ha liquidato con criterio di equità la seconda). Nel sesto caso il CTU aveva quantificato la durata della temporanea biologica (che è
stata comunque liquidata), ma non della temporanea da lucro cessante (che è stata liquidata motu
proprio dal magistrato). Un’ovvia considerazione è che il danno temporaneo da lucro cessante
dovrebbe essere riconosciuto soltanto quando il danno permanente, sempre da lucro cessante, sia
inferiore al 100%: ciò che nella nostra (seppur esigua) casistica non sempre si è verificato.
Spese sostenute e da sostenere
Queste spese hanno un ruolo molto importante nell’entità del risarcimento totale. Vi è spesso
necessità di assistenza personale continuativa, di presidi particolari (carrozzelle, materassi antidecubito, cateteri, pannoloni, etc) e dell’adeguamento dell’abitazione.
Le spese sostenute sono state liquidate, sulla base della documentazione prodotta o in via equitativa, in 37 casi su 52. Negli altri 15, o non vi è stata richiesta dalla parte attrice, oppure è mancata la
prova documentale.
Le spese future sono state riconosciute in 24 sentenze e nella maggior parte dei casi motivate con
la necessità di assistenza continuativa. Il giudice può stabilire il valore annuo di spesa presumibil-
66
Le macropermanenti: un’analisi
mente necessaria e poi moltiplicarlo per il coefficiente di capitalizzazione relativo all’età del soggetto, come pure procedere a liquidazione equitativa, eventualmente tenendo conto delle probabili
future prestazioni da parte del Servizio Sanitario Nazionale o, se appropriato, degli Istituti di
Assicurazione Sociale.
In ordine alla determinazione delle spese sostenute e da sostenere il ruolo del CTU è di primaria
importanza. Dal confronto delle sentenze si trae comunque l’impressione di una eccessiva variabilità di risultati per quanto attiene all’entità delle spese future. Così, si va da 30.000 €, in valuta attuale, per un neonato affetto da “tetraplegia spastica con atteggiamento distonico delle estremità, strabismo convergente, aprassia masticatoria e della deglutizione, assenza del linguaggio” (Trib. Lucera
1996) ai 1.500.000 €, sempre in valuta attuale, per un diciottenne con diagnosi di “sindrome apallica e demenza post-traumatica, contrattura anchilosi e calcificazioni delle principali articolazioni”
(Trib.Grosseto n°19/92).
Danno morale
Altra voce che in caso di macromenomazioni assume particolare rilievo è il danno morale, che nel
presente campione non è stato liquidato soltanto in 9 casi su 52. La mancata liquidazione nella maggior parte delle sentenze è stata motivata da fattispecie di presunzione di colpa ex art 2054 c.p.
Particolare interesse riveste la pronuncia del Tribunale di Lucera (1996) che stabilisce come il danno
morale non sia da corrispondere “per la impossibilità del [leso] di percepire alcuna sofferenza e patema d’animo, in considerazione dello stato puramente vegetativo cui le gravissime lesioni personali
patite lo hanno ridotto”.
Il quantum è, con frequenza all’incirca pari, rapportato ad una frazione del valore del danno biologico oppure stabilito in via puramente equitativa. In pochi casi supera per entità la somma assegnata a titolo di risarcimento del danno biologico (Trib. Salerno n° 48/94, Trib. Milano 1988, Trib.
Milano 1997).
Danno ai congiunti
In sporadiche sentenze (6 su 52), ma con una rilevante influenza sull’ammontare totale della liquidazione, viene riconosciuto anche il danno ai congiunti. In 3 casi a titolo di puro danno morale; in 1
caso, a titolo di danno biologico di natura psichica e di danno morale; in 1 caso a titolo di danno
patrimoniale (con la motivazione che i congiunti più stretti dovranno contrarre gli orari di lavoro per
poter assistere un grave invalido) e di danno morale; in 1 caso come “danno alla serenità familiare”,
secondo una pronuncia del Tribunale di Pisa che nel 1985 sembra preannunciare la tematica del
danno esistenziale.
Conclusioni
In conclusione, l’analisi di questo campione di sentenze ha permesso di constatare come gravi menomazioni, in apparenza pressoché sovrapponibili da un punto di vista clinico, siano state valutate in termini di danno biologico permanente con scarti percentuali sorprendentemente ampi (fino al 25%).
Se si ordina il campione di sentenze sulla base dell’importo complessivo attualizzato della liquidazione, si osserva che le prime tre “posizioni” di questa “graduatoria” sono effettivamente occupate da quadri clinici di notevole gravità: Trib. Milano 1997 “Cecità corticale, deficit mentale, epilessia,
disturbo equilibrio, ipercinesie a riposo” in un bambino di 7 anni (€ 2.328.325), Trib.Venezia
n°313/92 “Indebolimento permanente dell’organo della nutrizione, grave deficit del linguaggio, indebolimento della funzione defecatoria ed urinaria, depauperamento grave delle capacità intellettive ed
67
C. Toni-L. Marino
affettive, perdita dell’uso prensile e della funzione statica e dinamica” in un ragazzo di 17 anni
(€ 2.222.705), Trib.Grosseto n°19/92 “Sindrome apallica e demenza post-traumatica, contrattura
anchilosi e calcificazioni delle principali articolazioni” in un giovane di 18 anni (€ 2.105.326). Ma già
al quarto quinto e sesto posto si collocano tre dei casi di paraplegia (Trib.Milano n° 6644/88,
Trib.Busto Arsizio n°931/97, Trib. Arezzo n° 291/92), che “superano” tutti i casi di tetraplegia (il
primo di questi casi ha “raggiunto” soltanto la settima posizione).
Tali difformità liquidative possono essere in parte spiegate con la differenza delle età dei lesi
(peraltro concentrate per lo più nella fascia giovanile), in parte giustificate sul versante medico legale dai diversi riferimenti tabellari che si sono succeduti nel ventennio considerato, in parte motivate
sul versante della monetizzazione dalle ancor più pronunciate differenze tra i metodi adottati nel
tempo dai vari Tribunali e dalle voci di danno di volta in volta riconosciute (incluse quelle relative ai
familiari del leso).
Tuttavia i risultati della nostra raccolta confermano la necessità di ricorrere, in questi casi, ad uno
sforzo valutativo più attento, sia da parte del medico legale, sia da parte del magistrato. Ciò anche in
considerazione del fatto che, per fortuna, si tratta di eventi rari per i quali è difficile che il singolo
valutatore o decisore possa maturare una ricca esperienza. In tale ottica una raccolta giurisprudenziale quale quella avviata potrà permettere visione più ampia e matura attraverso il confronto di un
congruo numero di casi.
Infine, l’analisi casistica effettuata ha fornito una ulteriore evidenza, “sul campo”, di quanto da
tempo sostenuto dalla dottrina più avvertita e cioè l’inadeguatezza dello schematico riferimento percentuale del danno biologico nei macromenomazioni. Una reale personalizzazione del danno sembra
infatti ottenibile soltanto quando al giudice sia fornita una particolareggiata descrizione non solo
delle menomazioni in sé per sé considerate, ma anche delle ripercussioni che esse hanno sulla vita di
tutti i giorni di questi soggetti, sottolineando quali attività questi possano o meno concretamente
svolgere. Questo sforzo, che certo renderebbe le suddette valutazioni tecnicamente più complesse e
spesso multidisciplinari, è però necessario per pervenire ad una liquidazione che sia veramente equa
e rispondente alle specifiche peculiarità del caso concreto.
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Micropermanenti e Macropermanenti, Equità Spaziale ed Equità
Intertemporale: la Prospettiva Economica*
G. TURCHETTI
SOMMARIO: 1. La natura multidimensionale del problema; 2. Le criticità derivanti dalla
dimensione dinamica e dall’effetto tempo; 3. L’utilità di valori di riferimento: alla ricerca di
una tabellazione; 4. Equità spaziale ed equità intertemporale
1. La natura multidimensionale del problema
La distinzione tra micropermanenti, menomazioni di media entità e macropermanenti, convenzionalmente individuate nelle menomazioni comprese rispettivamente nell’intervallo 0-10% (le
micro), 11-70% (o 11-60% o 11-80%, quelle di entità media, da medio-bassa a medio-alta) e 70100% (o 60-100% o 80-100%, le macro) trova una legittimazione e una giustificazione scientifica
nella disciplina medico-legale.
In particolare, le micropermanenti richiedono una riflessione autonoma in considerazione dei possibili riassorbimenti delle stesse e della loro effettiva incidenza sulla salute del danneggiato, nonché
della loro “anomala” numerosità in confronto a quanto osservato in tutti gli altri contesti nazionali
europei. Le menomazioni di media entità e ancor più la macropermanenti presentano, invece, una
frequenza di accadimento relativamente scarsa, ma i postumi associati a tali menomazioni sulla vita
del danneggiato possono essere fortemente invalidanti.
La convenzionale tripartizione di cui si è detto è ovviamente alquanto grossolana e fin troppo semplicistica. Già nell’ambito delle medie invalidità si possono riscontrare una varietà fortemente articolata di fattispecie e di condizioni sensibilmente differenti: si pensi alla perdita della falange ungueale del pollice destro (12%) e alla amputazione del braccio destro al terzo medio (55%). Ma gli inconvenienti più gravi si riscontrano nella stratificazione delle macropermanenti. Le considerazioni che
seguono, pertanto, se possono genericamente riferirsi alle menomazioni superiori al 10%, assumono
una rilevanza diversa in funzione della entità della lesione.
Come descritto in altri contributi1, per quanto le invalidità percentualmente di minore entità e
quelle di maggiore gravità necessitino di una specifica attenzione, i principi ispiratori che sottendono la crescita del valore del punto all’interno di ciascun intervallo, 1-10% e 10-70/80%, devono essere gli stessi. I principi sono i seguenti:
1. il valore del punto è funzione crescente della percentuale di invalidità. A parità di età, il valore di
ciascun punto liquidato cresce con l’aumentare del grado di invalidità;
2. il valore del punto è funzione decrescente dell’età del soggetto. A parità di grado di invalidità, il
valore di ciascun punto liquidato decresce con l’aumentare dell’età, in quanto persone più anziane rimarranno menomate per un periodo di tempo più breve;
* L’elaborato si iscrive anche nell’ambito della ricerca Le nuove frontiere dell’assicurazione tra atipicita’ e principio di precauzione,
Anno 2003 – prot. 2003124144_003.
1 G. TURCHETTI, Le tecniche liquidative del danno biologico, in I nuovi scenari del marketing assicurativo, a cura di G. TURCHETTI,
Franco Angeli, Milano 2004. G. COMANDÈ-G. TURCHETTI, Il disegno di legge sul danno biologico presentato dal Governo: il suo impatto
sistematico e il sistema tabellare, in AA.VV., La Valutazione del Danno alla Salute: Profili Giuridici, Medico-Legali ed Assicurativi, a cura di
M. BARGAGNA e F.D. BUSNELLI, CEDAM, Padova 2001. G. TURCHETTI, Gli Sviluppi dello Studio sulla Determinazione del Valore Monetario
Base del Punto di Invalidità, in AA.VV., Rapporto sullo Stato della Giurisprudenza in Tema di Danno alla Salute, a cura di M. BARGAGNA e
F.D. BUSNELLI, CEDAM, Padova 1996. G. TURCHETTI, Una Ipotesi di Costruzione della Tabella dei Valori Monetari Base del Punto di
Invalidità, in AA.VV., La Valutazione del Danno alla Salute: Profili Giuridici, Medico-Legali ed Assicurativi, a cura di M. BARGAGNA e F.D.
BUSNELLI, CEDAM, Padova 1995.
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3. l’incidenza della menomazione nella vita del danneggiato cresce in modo superiore rispetto all’aumento percentuale assegnato ai postumi (non solo in termini assoluti, ma anche in termini relativi).
Il primo principio risponde a motivazioni di carattere medico-legale, secondo le quali al crescere
del grado di invalidità corrispondono postumi maggiormente invalidanti e gravosi.
Il secondo principio soddisfa l’esigenza di rispondere in modo differenziato a soggetti che presentano una vita media attesa diversa.
Il terzo principio non rappresenta solo una specifica del primo criterio; esso, infatti, nega che vi
sia proporzionalità tra la crescita della gravosità della lesione e l’accentuazione dei postumi, affermando, al contrario, che gradi crescenti di invalidità producono ripercussioni vieppiù significative
sul danneggiato.
È utile sottolineare come la proposta di tabellazione avanzata, sotto il patrocinio del CNR, dal
Gruppo di ricerca della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università di Pisa suggerisca di fermare
la tabellazione al 70-80% di invalidità e ai 70-80 anni di età. Tale decisione è motivata, da un lato, da
considerazioni di natura medico-legale che suggeriscono che oltre una certa soglia di invalidità non
è possibile, o quantomeno è sconsigliabile, effettuare un apprezzamento eccessivamente tipizzante,
dall’altro lato, dalla considerazione che il valore del punto non può decrescere all’infinito sia perché
in concreto si arriverebbe a liquidazioni del danno irrisorie oltre una certa soglia di età sia perché la
“tipizzazione” medico-legale basata sulla casistica disponibile potrebbe non essere possibile dato il
numero esiguo dei casi rientranti in tale categoria. In fase di implementazione del secondo principio,
pertanto, viene ritenuto opportuno fermare la tabellazione ai settanta (ottanta) anni, età oltre la quale
il giudice, avendo a riferimento il valore indicativo del settantenne (ottantenne), valuta, considerando il caso concreto, quanto riconoscere al leso. Per rendere operativo questo principio, si fa riferimento al tasso di interesse legale in vigore e alle Tavole di Mortalità rilevate dall’ISTAT, che forniscono la speranza di vita media attesa in corrispondenza di ciascuna età.
2. Le criticità derivanti dalla dimensione dinamica e dall’effetto tempo
Il richiamo ai tre criteri evidenzia come il problema della determinazione del valore del punto
abbia una natura multidimensionale, non fermandosi, quindi, alla sola dimensione della percentuale
di invalidità; come ricordato, l’altra principale dimensione è l’età del danneggiato. Già solo queste
due dimensioni pongono alcune problematiche nel processo di definizione di una metodologia di
applicazione dei tre principi individuati.
Considerando, in modo semplicistico, le dimensioni età e grado di invalidità, possiamo avere le
situazioni riportate nella tabella seguente, ciascuna delle quali presenta importanti criticità.
Età medio-bassa
Età elevata
MICROINVALIDITÀ
potenziale riassorbimento
durata della invalidità
potenziale riassorbimento
durata della invalidità
condizioni pregresse
INVALIDITÀ MAGGIORI
durata della invalidità
casistica contenuta
evoluzione conoscenze
casistica contenuta
condizioni pregresse
Ciò che sembra importante sottolineare è che le due dimensioni del grado di invalidità e dell’età
del soggetto danneggiato, che oggi vengono considerate in termini statici, andrebbero lette in termini dinamici, aggiungendo una terza dimensione, la dimensione temporale, che può tenere conto delle
innovazioni e dei cambiamenti che essa può portare con sé.
La dimensione tempo, infatti, può influenzare in vario modo gli esiti e le implicazioni di
medio/lungo termine di una invalidità. Da un lato, in particolare nelle invalidità di bassa entità, il
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tempo può portare a riassorbimenti della invalidità più o meno importanti. Dall’altro lato, il tempo e
l’evoluzione delle conoscenze che intervengono possono rendere disponibili innovazioni tecnologiche e/o mediche che possono consentire una riduzione della menomazione e delle sue implicazioni.
La dimensione dinamica, inoltre, a parità di grado di invalidità può avere una rilevanza diversa in
base all’età del danneggiato e quindi alla sua durata di vita attesa. Da un lato, l’effetto tempo sul grado
di riassorbimento delle menomazioni ha minore rilevanza al crescere dell’età del danneggiato, che ha
una aspettativa media di vita via via inferiore, dall’altro, il minore tempo a disposizione riduce la probabilità che si possa beneficiare di innovazioni tecnologiche e/o mediche.
Con riferimento ai quattro quadranti evidenziati nella tabella riportata, pertanto, possono svolgersi le seguenti considerazioni:
• Quadrante 1 (età medio-bassa/microinvalidità): in tale tipologia ricadono numerosi (una numerosità certamente “anomala” o “patologica”, come ricordato, se confrontata con quella degli altri
principali paesi europei) accadimenti che interessano danni alle persone. La scienza medico-legale e l’evidenza quotidiana ci confortano nel ritenere che le invalidità di entità più bassa appartenenti all’intervallo 1-10% presentano buoni margini di riassorbimento, in particolare se l’età del
danneggiato è contenuta e se il danno è prevalentemente di natura funzionale. Una soluzione
tabellare che, all’interno dell’intervallo 1-10%, vada a privilegiare le menomazioni che presentano
gradi di invalidità più prossimi al limite superiore dell’intervallo sembra, pertanto, pienamente
giustificabile. Se da un lato è certamente vero che, per quanto di lieve entità, tali menomazioni
saranno sopportate dal leso giovane per un numero elevato di anni, dall’altro è da sottolineare
come del fattore età sia già tenuto conto in modo soddisfacente (in particolare se le menomazioni
sono di scarsissima rilevanza) dalle Tavole di Mortalità.
• Quadrante 2 (età medio-bassa/invalidità maggiori): gli accadimenti che ricadono in questa fattispecie non presentano una casistica assai numerosa per cui risulta maggiormente difficile giungere a definire una tipizzazione per ciascuna combinazione età-grado di invalidità. Tale limitazione
diviene più rilevante al crescere del grado di invalidità, legittimando così una attribuzione al giudice di una maggiore libertà nel quantificare il risarcimento da riconoscere al leso (sempre avendo a riferimento, comunque, almeno fino alle invalidità del 70-80%, un valore indicativo da cui
discostarsi verso l’alto o verso il basso). Nel caso di età particolarmente basse, che presuppongono una elevata durata attesa per la quale il danneggiato sopporterà i postumi della lesione – forse
non adeguatamente tenuta conto dai coefficienti delle Tavole di Mortalità – e un impedimento,
anche totale, al godimento di numerose attività e opportunità che la vita avrebbe potuto riservare, probabilmente una maggiore libertà del giudice nel discostarsi dal valore indicativo del punto
potrebbe essere contemplata. È da considerare, tuttavia, come nel caso di soggetti giovani la condizione di permanenza della invalidità potrebbe non essere “definitiva”. L’evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche che con il tempo potrebbe intervenire, infatti, potrebbe determinare i presupposti per una riduzione del livello delle implicazioni della menomazione e portare
a un recupero funzionale che oggi risulta del tutto impensabile. A fronte di questa possibilità, pertanto, potrebbe essere utile introdurre una revisione periodica della rendita riconosciuta al leso,
che potrebbe anche essere ridotta se le nuove conoscenze mediche e le nuove tecnologie consentissero, una volta impiegate, di ripristinare parte della funzionalità perduta.
• Quadrante 3 (età elevata-microinvalidità): le microinvalidità nel caso di persone di età avanzata
presentano caratteristiche peculiari rispetto a quelle che occorrono a persone in giovane età. In
particolare, da un lato è certamente ridotta la potenzialità di riassorbimento della invalidità, sia a
causa del minore tempo atteso a disposizione sia perché la capacità di recupero/rigenerazione del
corpo è inferiore. Certamente si deve considerare che la durata attesa per la quale il danneggiato
sopporterà gli effetti della menomazione non è elevata, ma di questo tengono già conto le Tavole
di Mortalità. Un elemento che, invece, deve essere valutato con particolare attenzione e che, pertanto, richiede un più ampio adattamento al caso di specie da parte del giudice, è rappresentato
dalla condizione di salute pregressa del danneggiato. L’invalidità sopraggiunta, seppure di lieve
entità, infatti, va a inserirsi su un quadro generale di salute in cui, “fisiologicamente” – non fosse
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che per il trascorrere del tempo – sono già presenti delle invalidità e delle menomazioni; l’effetto
negativo delle piccole invalidità, pertanto, può essere superiore rispetto a quello sopportato, a
parità di lesione, da un soggetto giovane.
• Quadrante 4 (età elevata-invalidità maggiori): questa fattispecie è senz’altro tra le più complesse
da valutare. In primo luogo perché il numero di eventi che ricadono in tale categoria è contenuto, per cui pretendere di addivenire a una tipizzazione risulta quanto mai azzardato. In secondo
luogo, poiché la macroinvalidità va a inserirsi su un quadro di salute che già fisiologicamente presenta delle menomazioni, l’operazione di isolamento del suo effetto può essere difficilmente realizzabile. Infine, le implicazioni di tale invalidità vengono ad essere amplificate proprio dalle condizioni già menomate del soggetto. Nel caso di questa fattispecie, pertanto, risulta assolutamente
necessario prevedere di attribuire al giudice una maggiore libertà di valutazione del singolo caso.
Particolarmente importante e urgente, a nostro avviso, è giungere a definire un meccanismo che
tenga conto della dimensione dinamica della invalidità permanente, in modo specifico delle macroinvalidità. Come tenere conto di questo effetto tempo? La proposta che in questa sede viene avanzata
individua due direttrici principali: una maggiore libertà del giudice nel valutare il caso di specie e la
possibilità, in presenza di risarcimenti che vengono corrisposti sotto forma di rendite vitalizie, di
ridefinirne al ribasso l’ammontare in base ai gradi di autonomia e di funzionalità/abilità che il soggetto leso può recuperare a fronte di nuove scoperte di natura medico-scientifica o tecnologica (il cui
costo dovrebbe essere risarcito), che vanno, appunto, a ridurne il livello di disabilità.
3. L’utilità di valori di riferimento: alla ricerca di una tabellazione
Se definire criteri “accettabili” per risarcire le micropermanenti è complesso, individuare criteri
non troppo “inaccettabili” per risarcire le macro-invalidità può sembrare una impresa impossibile. E
questo, a nostro avviso, per due motivi principali:
– sbagliare è ancora più gravoso: introdurre criteri che durante la loro applicazione risultassero inadeguati a risarcire ciò che per sua natura non ha prezzo, significherebbe provocare una ulteriore
menomazione/offesa al soggetto danneggiato;
– garantire equità tra soggetti che presentano macro-invalidità di entità diversa è quanto mai importante.
Queste problematiche potrebbero essere risolte definendo una tabellazione dei valori normalizzati del punto di invalidità che individua la crescita del valore normalizzato del punto in funzione dell’età e del grado di invalidità del leso. La definizione di una funzione che garantisca coefficienti di
liquidazione vieppiù crescenti al crescere del grado di invalidità, quali quelli introdotti dalla
Tabellazione Indicativa Nazionale (TIN)2, se si accettano i principi alla base della sua costruzione,
potrebbe garantire una equità di crescita del valore del punto.
La TIN, la cui costruzione si fonda sui principi ricordati nel primo paragrafo e sulla definizione
di opportune modalità tecniche per la loro implementazione, fornisce, in base alla funzione esponenziale di seguito riportata, il valore normalizzato del punto di invalidità al variare del grado di
menomazione accusato3.
f(x)= e
b0+b1c+b2c2
È interessante capire i vincoli dati per risolvere la funzione e calcolare i valori di riferimento. Per
determinare i valori di b0, b1, b2 della funzione esponenziale adottata, si sono definiti i seguenti vincoli:
2 G. TURCHETTI, Gli Sviluppi dello Studio sulla Determinazione del Valore Monetario Base del Punto di Invalidità, cit. G. TURCHETTI, Una Ipotesi di Costruzione della Tabella dei Valori Monetari Base del Punto di Invalidità, cit.
3 Per maggiori dettagli circa la tecnica di costruzione della TIN si rimanda a G. TURCHETTI, Gli Sviluppi dello Studio sulla
Determinazione del Valore Monetario Base del Punto di Invalidità, cit..
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Micropermanenti e Macropermanenti, Equità Spaziale ed Equità Intertemporale: la Prospettiva Economica
1. sia nell’intervallo 1-10% che nell’intervallo 10-80% abbiamo stabilito un rapporto di crescita del
valore del punto pari a 1:3;
2. nell’intervallo 1-10% il valore del punto aumenta da 1/3 a 0,6 nel passaggio da un grado di invalidità dell’1% a uno del 6%. Tale andamento, tra l’altro, consente di individuare per le micro-permanenti una funzione che, partendo con valori relativamente contenuti in corrispondenza dei
primi 2-3-4 punti percentuali, aumenti in modo consistente dopo il 5% di invalidità. In tal modo
si realizza una distribuzione dei valori liquidati che va a compensare in particolare le lesioni maggiormente invalidanti rispetto a quelle di scarsa rilevanza e spesso riassorbibili nella consapevolezza che l’incidenza di una menomazione, pur micro-permanente, sia differente a seconda della
sua percentuale;
3. nell’intervallo 10-80% il valore del punto aumenta da 1 a 1,7 nel passaggio da un grado di invalidità del 10% a uno del 45%.
La curva della TIN presenta l’andamento riportato nella seguente figura.
Questa costruzione della tabella consente di individuare la tabellazione dei valori normalizzati. A
ciascuna età corrisponde una curva la cui coerenza interna è salvaguardata. In tale modo, da un lato,
il giudice ha un valore base per ciascuna età e per ciascun grado di invalidità cui fare riferimento, dall’altro, la compagnia di assicurazione ha un’idea meno vaga del valore che potrebbe dover liquidare.
La trasformazione dalla tabellazione dei valori normalizzati nella tabellazione dei valori monetari
si realizza moltiplicando il valore monetario base (estrapolato, ad esempio, dalla giurisprudenza) per
ciascun coefficiente della tabellazione normalizzata.
4. Equità spaziale ed equità intertemporale
Rimangono, tuttavia, due problematiche a cui dare risposta: l’equità spaziale e l’equità intertemporale. Con la prima facciamo riferimento a come garantire equità nel risarcimento tra soggetti appartenenti a paesi diversi, per esempio della Comunità Europea, che presentano lo stesso livello di invalidità medio-alta; con la seconda, ci riferiamo a come garantire equità di trattamento a persone che,
in momenti storici diversi, presentano la stessa tipologia di lesione, ma i cui postumi, a causa dell’avanzamento delle conoscenze medico-scientifiche e tecnologiche, pesano in modo diverso sulla vita
del soggetto danneggiato. In altre parole, avere un 60% di invalidità oggi non è lo stesso di quaranta anni fa né presumibilmente sarà lo stesso fra 10 anni.
Alla problematica relativa alla equità spaziale si potrebbe fare fronte trovando un accordo tra i paesi
europei sui criteri di base da utilizzare per costruire la tabella dei valori normalizzati del punto di invalidità. Una volta accettate le ipotesi alla base della costruzione della tabella, infatti, la tabella dei valori normalizzati del punto sarebbe la stessa in tutta Europa, unica e sempre valida, indipendentemente
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dal valore monetario base adottato. Quest’ultimo, infatti, potrebbe anche differire da paese a paese, in
funzione, per esempio, del costo della vita rinvenibile in ciascuna realtà nazionale, senza per questo
modificare l’equità spaziale. Ciò che rileva, dunque, è il rapporto di crescita interna da un grado di
invalidità all’altro e da una età all’altra: la differenza di risarcimento che è prevista tra un ventenne
tedesco con il 30% di invalidità e un ventenne tedesco con il 60% di invalidità deve essere la stessa
che è prevista tra due ventenni italiani rispettivamente con il 30% e con il 60% di invalidità.
Alla problematica relativa alla equità inter-temporale si potrebbe dare risposta tenendo monitorati gli avanzamenti delle conoscenze medico-scientifiche e tecnologiche e operando in modo differenziato nei casi in cui l’accadimento negativo sia già avvenuto e il risarcimento attribuito e nei casi
in cui l’invalidità non sia ancora sopraggiunta. Con riferimento alla prima fattispecie, come ricordato, l’utilizzo delle nuove scoperte potrebbe andare a ridurre i postumi associati alla invalidità e quindi poter consentire di ridefinire l’ammontare della rendita vitalizia precedentemente stabilita. Con
riferimento alla seconda fattispecie, sembra opportuno agire sul versante della valutazione medicolegale della menomazione, andando a ridurre, a parità di lesione, il grado di invalidità attribuito oggi
rispetto a quello attribuito prima dell’avvento delle nuove conoscenze e delle nuove tecnologie. Se
perdere un arto inferiore trenta, venti o solo dieci anni fa veniva valutato in “x” punti di invalidità
permanente, oggi, a fronte della presenza di tecnologie protesiche particolarmente avanzate e sofisticate che consentono un recupero funzionale molto elevato, la stessa menomazione potrebbe essere valutata in un numero di punti di invalidità permanente inferiore.
La necessità di dare risposte affidabili alle problematiche di equità richiede di fare riferimento a
meccanismi di risarcimento che trovino nella tabellazione un punto di riferimento comune e certo.
La delicatezza connessa alla definizione dei criteri per la costruzione della tabellazione è tanto più
grande nel caso delle invalidità medio-alte; se si pensa, infatti, come in tali fattispecie le percentuali
di invalidità siano significative e i postumi e le sofferenze ad esse connesse siano elevate, appare evidente che l’errore che si compie e l’ineguaglianza che si genera se non si opera in modo uniforme a
livello europeo risultano particolarmente elevati e inaccettabili.
Alcuni tentativi scientificamente supportati, quali la TIN, vanno in questa direzione e offrono al
giudice fino al 70-80% di invalidità indicazioni affidabili a cui fare riferimento. Oltre tali percentuali, in cui fortunatamente le statistiche di accadimenti non sono elevate, la valutazione del giudice
diviene ancor più importante in fase di adattamento al caso di specie (un punto di riferimento,
comunque, rimane il valore relativo alla invalidità pari al 70-80%). Per supportare il giudice nella sua
valutazione, tuttavia, riteniamo sia utile raccogliere decisioni giudiziali perché per quanto la loro
numerosità possa non essere necessariamente significativa da un punto di vista statistico, le loro
descrizioni e le metodologie di valutazione utilizzate possono certamente risultare utili per tracciare
una direzione uniforme e per fornire al giudice dei punti di riferimento motivati per orientarsi e perseguire sempre, anche per le percentuali di invalidità che non sono oggetto di tabellazione, gli obiettivi di equità spaziale e intertemporale.
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PARTE II
Il danno alla persona in altre esperienze:
“lezioni” ed “ammonimenti”
Il calcolo a punto francese: applicazioni e contraddizioni*
S. CACACE
SOMMARIO: 1. Dommage corporel e tutela dell’integrità psicofisica individuale. 2. Préjudice
physiologique e attività professionale del danneggiato (l’impossibilità di un’astratta correlazione). 3. La duplice natura del préjudice fonctionnel d’agrément. 4. La loi Kouchner e la riparazione delle macropermanenti. 5. Il calcolo a punto quale baluardo della parità di trattamento delle vittime.
1. Dommage corporel e tutela dell’integrità psicofisica individuale
Il primo ed intangibile droit de l’homme è certo la protezione della sua integrità psicofisica, la cui
sacralità è sancita nel corpus legislativo francese, fra l’altro, dalla legge di bioetica n° 94-653 del 29
luglio 1994, ai sensi della quale (art. 16-1 Code civil) “chacun a droit au respect de son corps; le corps
humain est inviolable”. Il Conseil constitutionnel (22 ottobre 1982) ha poi confortato detti assunti,
affermando che il diritto alla riparazione delle lesioni subite costituisce, laddove queste ultime siano
imputabili alla colpa di personnes civiles ou morales, un principio fondamentale d’ordine pubblico,
poichè l’eguaglianza fra tutti i cittadini esige che nessuno possa arbitrariamente essere privato del
risarcimento derivante da un pregiudizio personale, diretto e certo.
D’altra parte, quali che siano l’origine e la causa dell’incidente, le dommage corporel (ovvero l’offesa all’integrità fisica e psichica dell’individuo) dev’essere analizzato in tutte le sue innumerevoli
componenti, al fine di garantire il sistema più adeguato di riparazione del pregiudizio subito dalla
vittima, nonchè, sin dove possibile, la reintegrazione di questa nello status quo ante. In particolare,
l’individuazione di detto dommage corporel presenta un aspetto a carattere medico, in ragione della
natura dell’oggetto di studio (il corpo umano), uno di natura giuridica, in relazione alla scelta dell’impianto risarcitorio applicabile, nonchè un profilo più propriamente economico, attinente al
momento della valutazione e della quantificazione del danno1.
L’expertise médicale costituisce l’atto iniziale di qualsiasi sistema di riparazione di un pregiudizio
fisico, che vi sia o meno un terzo responsabile, coerentemente al dettato dell’art. 1315, primo comma,
del Code civil, ai sensi del quale “celui qui réclame l’exécution d’une obligation doit la prouver”. Di
conseguenza, la prova, da parte della vittima, del dommage corporel subito rappresenta un elemento
sempre e necessariamente prodromico alla liquidazione del risarcimento, anche laddove, per ipotesi, il responsabile sia gravato da una présomption de responsabilité, così esonerando il danneggiato
dalla difficile dimostrazione della natura colposa della condotta sotto accusa. D’altra parte, se spetta ai medici d’apprezzare la concretezza e l’importanza delle lesioni all’integrità psicofisica dell’individuo, nonchè di statuire in ordine all’imputabilità all’incidente del danno in questione, è compito
esclusivo del giurista tradurre in termini giuridici e valutare da un punto di vista prettamente monetario il pregiudizio sofferto.
Com’è noto, l’entità di detto attentato all’integrità psicofisica del soggetto (il cosiddetto danno
biologico italiano) prescinde da qualsiasi considerazione in materia di pregiudizio patrimoniale della
vittima, nè presta attenzione al ceto sociale, alla professione o alle entrate pecuniarie del danneggiato stesso. Si tratta di ciò che i francesi definiscono préjudice physiologique, spesso completamente
* I contributi di questa parte si inseriscono in modo sostanziale anche nell’ambito della ricerca Le nuove frontiere dell’assicurazione
tra atipicita’ e principio di precauzione, Anno 2003, prot. 2003124144_003.
1 Y. LAMBERT-FAIVRE, Droit du dommage corporel. Systèmes d’idemnisation, Dalloz, Parigi 2004, 89.
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S. Cacace
assimilabile al préjudice d’agrément (loss of amenity), individuato grazie alla ponderazione del tasso
di déficit fonctionnel séquellaire e dell’età della vittima.
La nozione di déficit fonctionnel si riferisce all’incapacité permanente partielle (IPP), ovvero alla
«réduction de potentiel physique, psychosensoriel ou intellectuel dont reste atteinte une victime dont
l’état est «consolidé», c’est-à-dire n’est plus susceptible d’être amélioré d’une façon appréciable et
rapide par un traitement médical approprié»2, secondo la definizione offertane dal Prof. Derobert3.
Lo stato traumatico del soggetto, infatti, evolve nel tempo, sia nel senso di un aggravarsi, anche fino
al decesso stesso, delle sue condizioni, sia con un miglioramento di queste, via via verso una loro stabilizzazione, che si definisce, appunto, consolidazione. Quest’ultima, d’altra parte, è identificabile
con il momento in cui le lesioni assumono carattere permanente, così da render vano qualsiasi trattamento sanitario, salvo che si tratti di evitare un peggioramento dello stato di salute del soggetto
stesso. Pertanto, la definizione del giorno a partire dal quale ci si possa riferire ad un pregiudizio
“definitivo” richiede l’impiego di tre criteri: il carattere cronico dei disturbi e l’assenza di una loro
evoluzione, la cessazione della terapia attiva ed, infine, l’attitudine, da parte dell’interessato, a riprendere un’attività professionale, seppur ridotta4.
Il ricorso ad un concetto, a tratti semplicistico, di consolidazione delle lesioni è, però, rimesso in
causa dal numero sempre maggiore di soggetti seriamente danneggiati, ai quali il progresso scientifico è sempre più in grado d’offrire un apparato di cure mediche permanenti, così rendendo maggiormente problematica e dubbia la possibilità di definire un’esatta data di consolidazione nei casi
gravi di lesioni traumatiche multiple. La stabilizzazione della salute della vittima, infatti, non è mai
improvvisa, nè è possibile demarcare con sufficiente precisione il passaggio da uno stato temporaneo
evolutivo ad uno di permanente consolidazione, la cui ricerca diviene spesso una comoda convenzione. D’altra parte, la nozione di consolidation conserva la propria utilità in tutti quei casi (fortunatamente, i più numerosi) in cui si pervenga ad una completa guarigione, così rappresentando il “via
libera” per la valutazione monetaria del danno. Si consideri, infine, come la consolidazione non coincida necessariamente con la ripresa di un’attività professionale: la vittima, infatti, ben può riprendere il proprio lavoro prima di questa (comunque continuando a sottoporsi alle cure prescritte), così
come pervenire ad una stabilizzazione del proprio stato di salute senza essere in grado di ritornare
alle proprie passate abitudini lavorative. Si tratta, in proposito, dell’indiscutibile distinzione fra l’aspetto professionnel-économique e il profilo più strettamente médical-physiologique5.
2. Préjudice physiologique e attività professionale del danneggiato
(l’impossibilità di un’astratta correlazione)
Da tale punto di vista, si consideri l’ambiguità e la natura certo polisemica del concetto d’incapacità permanente, dal momento che è possibile distinguerne una meramente “funzionale”, physiologique, certo suscettibile, da parte dell’esperto a ciò deputato, di una vera e propria “misurazione”,
ed un’altra attenta, invece, alle ripercussioni professionali delle lesioni subite, all’influenza dei déficits constatati sull’attività lavorativa esercitata e sulle attitudini fisiche, intellettuali o sensoriali che
questa richiede. Il ricorso ad una percentuale d’invalidità risale al diciannovesimo secolo, con l’emanazione della legge del 9 aprile 1898, grazie alla quale le vittime di incidenti sul lavoro venivano forfettariamente indennizzate della riduzione della capacité de travail subita, in relazione al taux d’incapacité loro riconosciuto. Detto sistema, proprio perchè aspirava a valutare astrattamente l’incidenza
di un determinato danno fisico sulla vita professionale della vittima (dove l’utilizzo di un barème
2 “riduzione di potenziale fisico, psicosensoriale o intellettuale della vittima, le cui condizioni si siano “consolidate”, ovvero non siano
più suscettibili di migliorare in maniera apprezzabile e rapida grazie ad un trattamento medico appropriato”.
3 Il Prof. Derobert ha elaborato detta definizione all’interno del rapporto da lui presentato alle giornate di studi svoltesi a Parigi il
5 e 6 luglio 1963 sotto l’egida del Comitato europeo delle assicurazioni (RGTA luglio-ott. 1963, 359).
4 M. LE ROY, L’évaluation du préjudice corporel, Litec, Parigi 2002, 31.
5 M. LE ROY, L’évaluation du préjudice corporel, cit., 130.
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Il calcolo a punto francese: applicazioni e contraddizioni
médical, invece, non può che costituire un utile strumento per la sola valutazione, appunto, dei déficits physiologiques), soffriva di limiti e difetti non rimediabili nel momento in cui si cessava di fare
riferimento ad una data, omogenea professione, quale quella di operaio industriale. Si consideri, per
esempio, come la perdita di un occhio possa senz’altro troncare la carriera di un pilota di linea, ma
non la routine lavorativa di un agricoltore: in breve, non vi può essere alcuna correlazione matematica fra le lesioni fisiche rilevate e i pregiudizi professionali sofferti6.
Peraltro, l’indicazione di un unico parametro ufficiale ai fini della determinazione del tasso d’incapacità permanente e, di conseguenza, della liquidazione del danno biologico appare senz’altro
indispensabile al rispetto della parità di trattamento delle vittime, nonchè all’omogeneità delle decisioni giurisprudenziali, necessariamente guidate dalle valutazioni operate dagli esperti in materia
sanitaria. A tale proposito, dal 1980 il Concours médical ha provveduto alla pubblicazione di un barème indicativo delle percentuali d’incapacità in droit commun, utilmente ispirato ai criteri adottati
dall’American Medical Association. Nel 1982, poi, grazie all’apporto dei maggiori specialisti di medicina legale, ne è stata curata una nuova edizione (Barème Rousseau), pubblicata dallo stesso Concours
médical (n° 25, 19 giugno 1982) sotto il titolo di Barème fonctionnel indicatif des incapacités en droit
commun, successivamente aggiornato nel 1991 e nel 19937. Nonostante quest’ultimo sia a tutt’oggi
carente, in Francia, di un valore ufficiale, esso ha rapidamente acquistato un’incontestata autorità,
nonchè goduto della consacrazione del protocollo d’accordo Sécurité sociale-assureurs del 24 maggio
1983 e dell’esplicita approvazione della Cour de cassation8, senza contare la sua quasi immediata
adozione, con decreto del 14 gennaio 1985, da parte dello stato marocchino9.
3. La duplice natura del préjudice fonctionnel d’agrément
La concreta valutazione del préjudice physiologique ricorre ad un metodo “classico”, il calcolo a
punto, dove il point d’incapacité è la cifra ottenuta dividendo la somma liquidata in ragione del pregiudizio risultante dal déficit fonctionnel séquellaire con la percentuale di detto déficit. È a malapena
necessario ricordare come il valore del punto sia direttamente proporzionale al tasso di DFS ed inversamente proporzionale all’età della vittima, cosicchè, a parità di percentuale d’incapacità, il pregiudizio è considerato via via maggiore al diminuire degli anni del danneggiato, il quale ultimo, quanto
più è giovane, tanto più a lungo subisce le conseguenze delle lesioni subite.
Detto metodo di riparazione proporzionale e progressiva è largamente utilizzato dalle corti francesi e costituisce senz’altro un importante fattore di omogeneizzazione delle decisioni giurisprudenziali, laddove la stessa Cour de cassation ne ha avallato l’impiego10. D’altra parte, l’orientamento dei
giudici di legittimità si è a lungo diviso circa la risarcibilità, o meno, del danno non patrimoniale a
favore di soggetti, per esempio, in stato comatoso, pertanto incapaci di rappresentarsi consapevolmente il pregiudizio subito. Infatti, se la Chambre criminelle propendeva per un’analisi oggettiva del
6 Leggasi C. RADÉ-L. BLOCH, La réparation du dommage corporel en France, in AA.VV., Tort and Insurance Law, Vol. IV,
Compensation for personal injury in a comparative perspective, a cura di B.A. KOCH-H. KOZIOL, Springer, Wien, NewYork 2003, 101-147.
7 Per esempio, 25% d’incapacità permanente per l’amputazione del dito pollice, dal 40 al 75% per una paraplegia e dal 55 al 60%
per l’amputazione di una gamba.
8 Cass. crim., 26 giugno 1984, Guimber, in Bull. crim. n°243.
9 La Société de Médecine Légale et de Criminologie de France e l’Association des Médecins-Experts en Dommage Corporel
(A.M.E.D.O.C.) hanno intrapreso, nel 1998, l’elaborazione di un nuovo Barème, che privilegi un approccio propriamente fonctionnel. Si
sono così sintetizzate 8 funzioni: – neuropsichica: perdita della funzione (stato vegetativo cronico), 100%; – motrice: perdita della funzione (locomozione, equilibrio, sostegno, prensione), 85%; – visiva: perdita della funzione (cecità), 85%; – auditiva: perdita del sistema completo di comunicazione (orecchio/cervello), 60%; – di nutrizione (vitale); – cardio-circolatoria (vitale); – respiratoria (vitale); – urinaria (vitale). Di conseguenza, le percentuali d’incapacità sarebbero così classificabili: dallo 0 al 10%: assenza di una modifica costante o importante
delle occupazioni abituali; dal 10 al 30%: limitazione di alcune attività abituali, con la possibilità di rinvenire strumenti palliativi utili a
garantire una perturbazione solo moderata della propria quotidianità; dal 30 al 50%: limitazioni dell’attività quotidiana, nettamente perturbata; dal 50 al 70%, incapacità di svolgere determinate attività di routine, con una modificazione importante della precedente vita di tutti
i giorni; dal 70 al 90%: maggiore restrizione delle abituali occupazioni; 100%: perdita quasi totale dell’autonomia psicomotrice personale.
10 Cass. soc., 12 dicembre 1958, in Bull.civ. IV, n°1358, 1044.
79
S. Cacace
danno sofferto da un soggetto in condizioni d’incoscienza, quella civile escludeva una simile liquidazione, sostenendo altresì che “la solution raisonnable consiste, non pas à allouer à une personne privée de lucidité une somme d’argent qui profiterait tôt ou tard à son entourage, mais à lui assurer la
satisfaction de ses besoins réels, de manière à ce que son existence soit confortable avec les meilleurs
soins possible”11. Solo nel 199512, infine, la 2ème Chambre civile ha sanato detto contrasto giurisprudenziale, affermando che “l’état végétatif chronique d’une personne humaine n’excluant aucun
chef d’indemnisation, son préjudice doit être réparé dans tous ses éléments” (ovvero il préjudice
physiologique, d’agrément, sexuel e così via)13.
Pertanto, se la riparazione del danno dipende dalla sua constatazione e valutazione oggettiva, operata dai tribunali nei limiti della domanda risarcitoria avanzata, lo stato vegetativo permanente in cui
versi il soggetto non influisce sulla sua, integrale, liquidazione: lo stesso préjudice d’agrément, infatti,
non è escluso dal fatto che l’individuo non si renda conto del proprio stato attuale o non si ricordi
della propria precedente condizione14. Peraltro, la Cour de cassation definisce tale préjudice d’agrément, più in generale, come la risultante di una perte de qualité de la vie15, nonchè di una privazione
dei normali piaceri dell’esistenza, e non solo e semplicemente, quindi, di un’impossibilità a condurre un’attività ludica e sportiva16. Più chiaramente, è forse possibile affermare che il pregiudizio non
economico maggiormente rilevante nel sistema risarcitorio francese è il préjudice fonctionnel d’agrément, dotato di due differenti aspetti: il préjudice fonctionnel, a carattere più strettamente quantitativo, la cui definizione è affidata all’IPP e al metodo del calcolo a punto, ed un préjudice d’agrément,
di natura qualitativa, necessitante di una vera e propria descrizione dell’handicap, gravido di conseguenze per la quotidianità della vittima.
D’altra parte, il loss of amenity francese concerne qualsiasi diminuzione di tous les agréments de
la vie elle-même, dovuta al déficit foctionnel séquellaire e all’handicap constatati dal medico perito.
Non si tratta, pertanto, della mera, élitaria, pratica di uno sport, bensì di tutte quelle limitazioni attinenti alla vita quotidiana, agli affetti, alla famiglia, alle attività professionali, di studio o di piacere: si
pensi anche solo all’atto di abbigliarsi, di mangiare, di muoversi liberamente, nonchè alla frustrazione, alle difficoltà, alle impossibilità e alla lentezza che l’invalidità porta con sè. Pertanto, la vittima
non sarà più tenuta a dimostrare di non poter più praticare una determinata attività, cui soleva dedicarsi precedentemente all’incidente: più astrattamente, infatti, il préjudice d’agrément viene liquidato
non perchè il soggetto dovrà definitivamente rinunciare al gioco del tennis, ma perchè, per esempio,
l’amputazione di una gamba renderà la sua vita futura meno agréable17. Finalmente, si è scritto, “l’agrément de chacun vaut bien celui de son prochain”18.
In definitiva, è evidente come l’evoluzione giurisprudenziale nel senso di una sempre maggiore
spersonalizzazione ed oggettivizzazione del préjudice d’agrément inevitabilmente conduca alla completa sovrapposizione, di cui si accennava già alle prime righe, fra questo e il préjudice physiologique.
In tal senso, il tribunal de grande instance di Parigi ha sottolineato, dinanzi ad una richiesta di doppio
11 “La soluzione ragionevole consiste non nell’assegnare ad una persona priva di lucidità una somma di cui, prima o poi, godranno i
suoi cari, bensì nell’assicurare a questa la soddisfazione dei suoi bisogni reali, in modo tale che la sua esistenza sia confortevole con le
migliori cure possibili”: R. BARROT, Le dommage corporel et sa compensation, Litec, Parigi, 1988, 385.
12 Cass. civ., 22 febbraio 1995, in JCP 1996, II, 22570.
13 “Poichè lo stato vegetativo permanente di un soggetto non esclude alcun capo di riparazione, il suo pregiudizio dev’essere risarcito in tutti i suoi elementi”. A tale proposito, leggasi S. GALAND-CARVAL, France. Non pecuniary loss under French law, in AA.VV., Tort and
Insurance Law, Vol. II, Damages for non-pecuniary loss in a comparative perspective, a cura di W.V.H. ROGERS, Springer, Wien, New York
2001, 94-96.
14 Cass. crim., 3 aprile 1978, in JCP 1979, II, 19168; Cass. crim., 5 febbraio 1994, in Bull. crim. n°5, 8; Cass. civ., 10 dicembre 1986,
in Bull. civ. II, n° 188, 126; Cass. civ., 28 giugno 1995, 2 arrêts, in Bull. civ. n° 61, 34. Si legga, inoltre, Actes de la journée d’étude assureursmédecins, 17 ottobre 1997, Parigi, 34, dove si richiamano le parole del Comitat Nationale d’Ethique, a parere del quale sono proprio gli
esseri umani più fragili a godere maggiormente del droit d’être protégés. Altrimenti, si perverrebbe poi all’assurdo di esonerare il responsabile da una parte del risarcimento del danno proprio nei casi di lesioni più gravi e drammatiche.
15 Cass. civ., 19 marzo, 1997, in D. 1998, J, 59.
16 Cass. crim., 26 maggio 1992, in Bull. crim. n° 210, 581; Cass. civ., 25 febbraio 1981, in Bull. civ. II, n° 43 e Cass. civ., 23 ottobre
1985, in Bull. civ. II, n° 163.
17 Vedasi App., 2 dicembre 1977, in Rev. trim. dr. civil 1978, 357.
18 H. MARGEAT, Réflexions à propos d’une méthode cohérente, L’Argus 1979, 2075.
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Il calcolo a punto francese: applicazioni e contraddizioni
risarcimento, come l’incapacité physiologique (ovvero fonctionnelle) “est définie par l’impossibilité ou
la difficulté d’utiliser un membre ou un organe, et par conséquent d’effectuer certains actes ou mouvements, avec le cortège de souffrances physiques et psychiques qui accompagne ce handicap quotidien; qu’ainsi les doléances classées par la victime sous la rubrique « préjudice de désagrément » ont
déjà été indemnisées au titre des séquelles”19. In questo modo, al fine d’evitare i ben noti pericoli di
duplicazione risarcitoria e di overcompensation, si finisce per tornare all’antica, ristretta nozione di
préjudice d’agrément: la vittima, pertanto, otterrà una riparazione a tale titolo (quindi aggiuntiva
rispetto al mero danno biologico) laddove sia in grado di dimostrare, nello specifico, il precedente,
assiduo esercizio di un determinato sport o di una certa attività ludica20.
4. La loi Kouchner e la riparazione delle macropermanenti
Il titolo quarto della legge cosiddetta Kouchner del 4 marzo 2002, n. 303, costituisce, nel complesso, un’importante ed efficace riforma, che finalmente chiarifica i principi generali della responsabilità medica e prevede un sistema di riparazione dei rischi sanitari, migliorando altresì l’accesso al
meccanismo assicurativo e creando un dispositivo di composizione delle controversie in via amichevole e d’indennizzo delle vittime degli incidenti medici. Per quanto può interessare in questa sede, è
utile ricordare come si confermi la responsabilità per colpa quale principio generale della responsabilità civile medica (art. L. 1142-1, I, 1° comma c. santé publ.), gravante sia sui professionisti sia sulle
strutture in cui vengano compiuti atti individuali di prevenzione, di diagnosi o di cura. Tuttavia, è
fatta salva un’obbligazione di risultato per il fatto di cosa in custodia e per il pregiudizio derivante
da infezioni nosocomiali, laddove si tratti di strutture sanitarie pubbliche o private che non siano in
grado di provare una causa a loro estranea (art. L. 1142-1, I, 2° comma c. santé publ.). L’Office national d’indemnisation des accidents médicaux, des affections iatrogènes et des infections nosocomiales
(ONIAM) si accolla la riparazione di dette infezioni nosocomiali laddove queste abbiano causato un
tasso d’incapacità permanente superiore al 25%. In questo modo, non solo si alleggerisce l’onere
finanziario degli assicuratori delle strutture in cui l’infezione si è verificata, ma si evita il rischio di
una generale deresponsabilizzazione con la previsione di un recours subrogatoire dell’ONIAM nei
confronti degli ospedali in caso di specifica violazione delle disposizioni dettate dalla regolamentazione in materia di prevenzione delle infezioni nosocomiali.
Laddove, poi, sia il fatum ad intervenire e la verificazione del pregiudizio non sia imputabile né
alla condotta medica né alle condizioni iniziali del paziente né all’evoluzione della malattia, ovvero
nel caso in cui non siano integrati i requisiti necessari ai fini dell’affermazione di una responsabilità
sanitaria (assenza di colpa; inesistenza di un nesso causale nell’ipotesi di infezione nosocomiale o di
danno provocato dal fatto di un prodotto difettoso), il secondo comma dell’art. L. 1142-1 dispone
che l’“accident médical”, l’infezione nosocomiale o l’affezione iatrogena “ouvrent droit à la réparation des préjudices du patient au titre de la solidarité nationale”.
Di conseguenza, a riguardo dello specifico problema delle infezioni nosocomiali, le commissioni
regionali di conciliazione e d’indennizzo devono attenersi ad una precisa differenziazione, relativamente ai soggetti della cui responsabilitá si discute. Infatti, in caso di établissement, service ou organisme, la struttura in questione è responsabile dei soli pregiudizi inferiori al 25% d’IPP (salva, naturalmente, la dimostrazione di una causa étrangère), mentre l’ONIAM provvede al risarcimento dei
danni derivanti da invalidità permanenti superiori al 25%. Laddove, invece, si accerti il ricorrere di
una vera e propria aléa nosocomial, si avrá riparazione grazie all’intervento di un meccanismo di solidarietá nazionale. Al contrario, nell’ipotesi in cui sia in causa la responsabilitá di una persona fisica,
19 “È definita dall’impossibilità o dalla difficoltà di utilizzare un membro o un organo e, conseguentemente, di effettuare determinati atti o movimenti, con la sequela di sofferenze fisiche e psichiche che accompagna questo handicap quotidiano; pertanto, le richieste avanzate dalla vittima sotto la rubrica di préjudice de désagrément sono già state risarcite a titolo di préjudice physiologique”: T.G.I. Parigi, 16
novembre 1981, in Gaz .Pal., 11 e 12 dicembre 1981.
20 Y. CHARTIER, La réparation du préjudice, Dalloz-Sirey, Parigi 1983, 230.
81
S. Cacace
questa risponde del danno verificatosi in seguito all’infezione nosocomiale solo laddove la vittima sia
in grado di dimostrare la condotta colposa del professionista in questione. In assenza di detta prova,
si parlerá, ancora una volta, di aléa nosocomial, per la cui riparazione opera la solidarietá nazionale,
tramite le commissioni regionali di conciliazione e d’indennizzo e l’Ufficio nazionale.
Ciò che, però, meno convince, è il “caractère de gravité” (stabilito con decreto) che il pregiudizio
- derivante dall’infezione nosocomiale, dall’affezione iatrogena o dall’ “accident médical”- deve presentare al fine di ottenere ristoro ad opera della summenzionata solidarietà nazionale. Infatti, la
determinazione di una specifica percentuale di invalidità permanente (che la legge impone non superiore alla soglia del 25%), al di sotto della quale il paziente viene privato di qualsiasi indennizzo, non
costituisce altro che un esplicito invito al contenzioso giudiziario per tassi d’incapacità di entità inferiore ed esclude l’indennizzo per il 97% delle vittime. Infine, si sottolinei come queste percentuali
d’invalidità, ancora una volta, non si riferiscano alla capacità professionale dell’individuo e come la
loro quantificazione, inoltre, manchi spesso di considerare che moderate o lievi lesioni all’integrità
fisica del paziente possono presentare, in alcune ipotesi, considerevoli ripercussioni, in concreto, sulla
sua vita lavorativa.
5. Il calcolo a punto quale baluardo della parità di trattamento delle vittime
Se è vero che ancora non esiste, in Francia, una tabella nazionale che indichi le variazioni del valore del punto d’invalidità (in relazione, appunto, al tasso d’incapacità e all’età del danneggiato)21, è
importante sottolineare come l’art. 26 della legge n° 85-677 del 5 luglio 1985 ( la cosiddetta loi
Badinter, diretta al miglioramento delle condizioni delle vittime di incidenti della circolazione stradale e all’accelerazione delle procedure d’indennizzo) preveda che, sotto il controllo dell’autorità statale, si proceda ad una pubblicazione periodica delle somme liquidate in sede giudiziale ed extragiudiziale. Questa pubblicazione, curata dall’Association pour la Gestion des Informations sur le risque automobile (AGIRA), non ha tuttavia goduto di particolare successo. In primo luogo, infatti, le
vittime e i loro rappresentanti ne ignorano spesso l’esistenza, o non sanno dove procurarsela. Quanto
ai magistrati, inoltre, questi lamentano le vistose lacune e la mancanza d’esaustività della pubblicazione stessa, nonchè l’oscurità dei criteri di selezione delle decisioni prescelte o scartate, senza contare la mancanza d’informazioni circa il tipo di lesioni, i postumi, la professione delle vittime, la natura del déficit (préjudice physiologique o économique), la sua incidenza sull’attività e la vita professionale del danneggiato o, ancora, la qualificazione del préjudice d’agrément. Ad ogni modo, si tratta pur
sempre di parametri puramente indicativi, che lasciano al giudice tutta la sua libertà d’apprezzamento, la quale si esplica altresì nella facoltà di decidere se la somma determinata sia da liquidare
sotto forma di capitale o di rendita. Infine, la decisione in merito al risarcimento dovuto non impedisce alla vittima di adire nuovamente l’autorità giudiziaria laddove si verifichi un peggioramento del
suo stato di salute precedentemente non considerato, trattandosi certo di una domanda nuova e, pertanto, coerente con il principio dell’autorità della cosa giudicata.
La possibilità che il giudice riveda il quantum liquidato nel caso in cui vi sia stato un cambiamento significativo nelle condizioni della vittima è certamente orientata alla salvaguardia e protezione di
quest’ultima: è così permesso all’attore di ottenere la riapertura del proprio caso anche numerosi anni
dopo il passaggio in giudicato della sentenza, la quale può esplicitamente prevedere ed autorizzare il
suo stesso aggiornamento22. Al di fuori di quest’ipotesi, il giudice adito ha sì la facoltà di consentire
ad un nuovo procedimento per l’ulteriore danno manifestatosi, ma il danneggiato dovrà allora offrire prove inconfutabili circa l’avvenuto deterioramento del proprio stato di salute, specificatamente
21 L’introduzione di una tabella di questo genere è stata giustamente auspicata dalla Commissione Bellet, presieduta dal Primo presidente onorario della Corte di cassazione (M. Pierre Bellet, appunto) ed istituita nel 1981 dal Ministero della Giustizia, in vista di una riforma del diritto della responsabilità civile in materia di circolazione stradale.
22 Poichè le somme liquidate per danno alla persona si basano principalmente sulle consulenze tecniche, sono i medici legali nelle loro
relazioni a prefigurare scenari di probabili – o sicuri – aggravamenti tali da suggerire al giudice l’inserimento della clausola di riapertura.
82
Il calcolo a punto francese: applicazioni e contraddizioni
dimostrando che il risarcimento richiesto nella seconda azione non era stato considerato nella prima
decisione nè poteva esserlo23.
Per questo ed altri aspetti, il sistema francese appare proceduralmente duttile e capace di adattarsi alle esigenze delle persone più seriamente danneggiate. Dal punto di vista del diritto sostanziale,
detto impianto risarcitorio è caratterizzato da una complessa combinazione di meccanismi di responsabilità civile e di sicurezza sociale, la quale predispone ed assicura la liquidazione del pregiudizio a
seconda dei bisogni della vittima piuttosto che in base alla (e spesso a prescindere dalla) colpevolezza del danneggiante24. Nella medesima direzione, le rendite indicizzate vengono preferite alle classiche liquidazioni in somma capitale, le quali ultime possono rivelarsi una scelta fallimentare sia nell’ipotesi di accelerata crescita inflazionistica successiva al risarcimento, sia nel caso di aggravamento
inaspettato delle condizioni del danneggiato. D’altra parte, l’utilità di dilazionare il pagamento dei
danni alla persona può riguardare sia il soggetto leso, cui viene così garantito un reddito non tassato, sia il danneggiante, il quale vede dilazionato nel tempo il proprio peso risarcitorio, specialmente
laddove non (sufficientemente) assicurato.
D’altra parte e in conclusione, la maggiore critica mossa nei confronti del calcolo a punto25 rimanda all’ambiguità, sopra richiamata, del concetto d’“incapacità”: si tratta della confusione fra il physiologique e l’économique e dell’applicazione di un falso postulato, secondo il quale le stesse lesioni traumatiche presenterebbero le medesime conseguenze per tutte le vittime e a prescindere dall’attività
professionale esercitata. Peraltro, non sempre il verificarsi di determinate lesioni permanenti comportano un danno patrimoniale: basti pensare al pensionato, a colui che vive di rendita, ovvero ai
soggetti che riprendono l’esercizio della propria precedente professione, senza alcuna diminuzione
delle loro entrate. Di contro, vi sono ipotesi in cui l’assenza di un’attività lavorativa non esclude la
riparazione dei gains manqués: si consideri, per esempio, la perte de la capacité de travail di un bambino, la casalinga, le cui occupazioni non sono certo prive di un valore economico, relativamente al
costo dell’assunzione di una domestica, oppure la donna che, dopo aver cresciuto i propri figli, matura il progetto di riprendere una professione e vede il suo piano irrimediabilmente compromesso dall’accadimento dannoso.
L’impiego del tasso di IPP come parametro di valutazione del pregiudizio economico professionale è un’invenzione tutta francese, poi esportata in Belgio, Lussemburgo, Spagna, Portogallo, Italia26.
Di contro, la Germania, l’Austria o la Gran Bretagna procedono ad una valutazione in concreto dei
préjudices professionnels, mentre ignorano completamente la nozione d’incapacità permanente.
Quest’ultima, invece, ritrova la propria piena ragion d’essere laddove si riconosca come l’offesa all’integrità psicofisica individuale sia da identificare in un préjudice personnel e non più économique, in
conformità al dettato del Code civil (art. 16.1.2), per il quale il corpo umano non può essere oggetto
23 G. COMANDÉ, Risarcimento del danno alla persona e alternative istituzionali. Studio di diritto comparato, Giappichelli, Torino 1999,
195-206.
24 Si pensi, per esempio, alla loi Badinter (5 luglio 1985), in materia di incidenti da circolazione dei veicoli, grazie alla quale è stata
introdotta una rigorosa presunzione di responsabilità a carico del danneggiante che ha certo contribuito a meglio tutelare le vittime: leggasi, fra i tanti, G. PONZANELLI, La responsabilità civile. Profili di diritto comparato, Il Mulino, Bologna 1992, 85, e S. SICA, Circolazione
stradale e responsabilità: l’esperienza francese e italiana, ESI, Napoli 1990.
25 Si legga, per esempio, Y. LAMBERT-FAIVRE, Droit du dommage corporel. Systèmes d’idemnisation, cit., 171.
26 Per la letteratura italiana: A. NEGRO, Quantum debeatur: la liquidazione del danno biologico, Giuffrè, Milano 2003; R. LUVONIF. MANGILI-L. BERNARDI, Guida alla valutazione medico-legale del danno biologico e dell’invalidità permanente: responsabilità civile, infortunistica del lavoro e infortunistica privata, Giuffrè, Milano 2002; F.D. BUSNELLI, Il danno biologico: dal diritto vivente al diritto vigente,
Giappichelli, Torino 2001; M. ROSSETTI, Il danno da lesione della salute: biologico, patrimoniale, morale, CEDAM, Padova 2001;
C. CASTRONOVO, Danno biologico: un itinerario di diritto giurisprudenziale, Giuffrè, Milano 1998; F. SILLA, Il danno biologico: attuali orientamenti di dottrina e di giurisprudenza: tabelle dei principali tribunali, Il Sole 24 Ore Norme & Tributi, Milano 1997; G.B. PETTI, Il risarcimento del danno biologico, UTET, Torino 1997; F. MAINENTI-E. MAINENTI, Il danno biologico: tabella per la valutazione medico-legale della
invalidità permanente, Editrice Medica Salernitana, Salerno 1995; R. LO GATTO, Danno biologico e tutela della salute: con le più recenti sentenze della Corte costituzionale, gli orientamenti della Corte di cassazione e la giurisprudenza di merito, Pirola, Milano 1991; P.G. MONATERIA. BELLERO, Il quantum nel danno alla persona: una banca dati: 1500 casi di giurisprudenza a confronto, 200 casi di danno biologico, Giuffrè,
Milano 1989; M. BARGAGNA, F.D. BUSNELLI (a cura di), La valutazione del danno alla salute; profili giuridici, medico-legali ed assicurativi,
CEDAM, Padova 1988; G. GIANNINI, Il danno alla persona come danno biologico: confronto tra il metodo tradizionale di risarcimento e il
nuovo metodo alternativo, Giuffrè, Milano 1986.
83
S. Cacace
di alcun diritto patrimoniale. Di conseguenza, fatto un po’ d’ordine fra danni patrimoniali e non, il
sistema del calcolo a punto si rivela in tutta la sua utilità, laddove è sì possibile individuare una correlazione matematica fra il tasso di déficit fonctionnel séquellaire e il préjudice physiologique personnel, subito da qualsiasi vittima, chiunque essa sia.
In definitiva, il concetto d’incapacità permanente parziale può agevomente condurre alla riparazione di due pregiudizi (con tutti i conseguenti pericoli di duplicazione risarcitoria), di natura completamente differente: da una parte, appunto, la perdita di guadagno, presente e futura, della vittima, la cui valutazione necessiterà di un approccio in concreto, attento, per esempio, alla reale professione esercitata dal danneggiato e al grado di successo da questi raggiunto; dall’altra, invece, il pregiudizio risultante dall’atteinte à l’intégrité physique et aux conditions d’existence del soggetto, suscettibile di un calcolo matematico e relativamente in abstracto.
84
Il modello tedesco delle Schmerzensgeldtabellen
S. WÜNSCH
SOMMARIO: I. Introduzione. 1. La nozione di “Schmerzensgeld”. 2. La riforma del regime della
responsabilità civile. II. Il sistema del risarcimento del danno non patrimoniale. 1. Tipi di
responsabilità. A. Responsabilità aquiliana. B. Responsabilità contrattuale. C. Responsabilità
oggettiva. 2. I criteri per la liquidazione dello Schmerzensgeld. III. Le tabelle di
Schmerzensgeld.
I - Introduzione
1. La nozione di “Schmerzensgeld”
Il mio compito in questa sede è quello di descrivere le Schmerzensgeldtabellen tedesche. Che cosa
sono? Sono raccolte non ufficiali di sentenze pubblicate in forma di tabelle e indicanti le somme di
Schmerzensgeld riconosciute dalle diverse corti.
È opportuno, quindi, chiarire preliminarmente il concetto di “Schmerzensgeld”: Il termine viene
usato nell’ordinamento tedesco in riferimento al risarcimento per un danno non patrimoniale. La
categoria, però, non comprende tutti i tipi di danni non patrimoniali. Nel diritto tedesco ci sono ipotesi, come i danni da lesione dell’onore o della reputazione, nelle quali un danno non patrimoniale
può essere risarcito pur non essendo ricompreso nella categoria dello Schmerzensgeld1. Così come è
escluso dal concetto di Schmerzensgeld, pur essendo risarcibile, il risarcimento per danno al tempo
libero, per esempio nel caso in cui un viaggio prenotato non può più essere realizzato per colpa dell’operatore2.
Tradotto letteralmente “Schmerzensgeld” significa «soldi per dolore», cioè pretium doloris.
Ciononostante il termine non comprende solo il risarcimento per il cosiddetto danno morale, vale a
dire per i dolori e le sofferenze, ma anche altre possibili conseguenze di un danno alla salute, purché
valutabili economicamente. È compreso, ad esempio, il risarcimento per alterazioni permanenti,
come le cicatrici.
Occorre innanzitutto spiegare il fondamento normativo del risarcimento del danno non patrimoniale. In un secondo momento, invece, chiariremo l’uso e la rilevanza pratica delle Schmerzensgeldtabellen
nell’ordinamento tedesco.
2. La riforma del regime della responsabilità civile3
Dopo l’entrata in vigore del Bürgerliches Gesetzbuch (codice civile tedesco, BGB4) nel 1900 le
1 Si nota però, che nell’uso comune il termine “Schmerzensgeld” va usato frequentemente per riferisi a qualsiasi danno non patrimoniale. Pure la gran parte delle Schmerzensgeldtabellen includono voci di tutti tipi di danno non patrimoniale, vedi per esempio S. HACKSA. RING-P. BÖHM, Schmerzensgeldbeträge, DeutscherAnwaltVerlag, Bonn 2004, Nr. 30 (lesione dell’onore), Nr. 1501 (violazione del diritto della personalità, Persönlichkeitsrechtsverletzung).
2 Art. 651 f, c. 2 BGB
3 Si veda anche U. MAGNUS, Le recenti riforme della responsabilità civile tedesca, in Danno e resp. 2002, 1269 ss.
4 Il testo integrale della maggior parte delle leggi tedesche si trova sul sito del governo tedesco: www.bundesregierung.de.
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S. Wünsch
norme che regolavano la responsabilità civile rimasero pressoché invariate per più di 100 anni. Fino
alla riforma del diritto della responsabilità civile del 2002 è stata la giurisprudenza ad adattare il regime della responsabilità civile alle nuove esigenze. Sempre più spesso, però, l’interpretazione giurisprudenziale si spingeva al limite del rispetto del testo normativo, senza peraltro riuscire ad ottenere risultati del tutto soddisfacenti. Le condizioni di fatto che erano alla base della legislazione di fine
Ottocento erano ormai cambiate in modo drastico nel corso del ventesimo secolo. Non solo il progresso tecnico aveva modificato il ruolo della responsabilità civile, ma soprattutto il numero e le
dimensioni dei danni avevano ormai raggiunto una dimensione nemmeno immaginabile dagli autori
del BGB. Inoltre, a fronte di un interesse quasi esclusivo del legislatore ottocentesco per il danno
patrimoniale, il secolo inaugurato dal BGB è stato caratterizzato da un riconoscimento sempre crescente del valore della persona.
Con lo Schadensersatzrechtsänderungsgesetz, entrato in vigore il 1 agosto 2002, il diritto della
responsabilità civile è stato adattato a queste nuove esigenze. Lo scopo principale del legislatore era
migliorare la protezione delle vittime in responsabilità civile, specialmente in caso di danno alla persona, e adeguare la responsabilità civile tedesca agli standard europei5. Per realizzare tali obiettivi la
riforma ha introdotto una serie di cambiamenti, che approfondirò più avanti. Brevemente, i più
importanti sono6:
– La responsabilità civile per il danno non patrimoniale è stata estesa, oltre la responsabilità per fatto
illecito, anche alla responsabilità contrattuale e alla responsabilità oggettiva.
– La responsabilità oggettiva in caso d’incidenti stradali è stata esclusa soltanto in caso di forza maggiore.
– La responsabilità oggettiva in caso d’incidenti stradali è stata estesa alle lesioni di terzi trasportati
a titolo gratuito dal conducente di un veicolo coinvolto nell’incidente.
– La situazione dei minori di 10 anni coinvolti in incidenti stradali è stata migliorata tramite l’esclusione di responsabilità e di colpa concorrente.
– Nell’ambito della responsabilità per farmaci sono state introdotte facilitazioni per le prove che
devono essere fornite dalle vittime di un farmaco dannoso. Nella legge sulla responsabilità oggettiva del produttore di un farmaco (Arzneimittelgesetz, AMG) sono stati inseriti la presunzione di
causalità ed il diritto d’informazione nei confronti del produttore di farmaci nonché dell’autorità
amministrativa competente.
– I massimali di responsabilità per i vari casi di responsabilità oggettiva sono stati incrementati ed
armonizzati.
La riforma ha trovato larga approvazione nella società. Diverse voci in dottrina collegano a questa riforma la speranza di un incremento verso un risarcimento più elevato del danno morale7.
II - Il sistema del risarcimento del danno non patrimoniale
Alla luce di queste premesse possiamo trattare più in dettaglio le norme del diritto tedesco che
regolano il risarcimento del danno alla persona. L’art. 253 BGB stabiliva e stabilisce che il danno non
patrimoniale va risarcito solo nei casi previsti dalla legge. Prima della riforma l’unica norma che conteneva una tale previsione per il caso di danno alla persona8 era l’art. 847 BGB. Il comma 1 di que5 Vedi il disegno di legge e la raccomandazione della commissione parlamentare, DEUTSCHER BUNDESTAG, Drucksache (BT-Ds.)
14/7752, pag. 1, 11 e BT-Ds. 14/8780, pag. 1.
6 DEUTSCHER BUNDESTAG, BT-Ds. 14/8780, pag. 1 ss.
7 L. JAEGER-J. LUCKEY, Schmerzensgeld, ZAP, Recklinghausen 2003; G. MÜLLER, Die Reform des Schadensersatzrechts, in DAR
(Deutsches Autorecht) 12/2002, 540.
8 Per altri tipi di danno non patrimoniale il BGB prevede una indennità in art. 611a c. 2 BGB per casi in quali il datore di lavoro
contravveniva al divieto di svantaggiare un lavoratore o un candidato per un posto di lavoro ed in art. 651 f c. 2 BGB per danni che emerge nel ambito di un contratto di viaggio. Fuori del BGB prevedono il risarcimento di “danni ideali” l’art. 97 c. 2 UrhG, l’art. 40 c. 3
SeemannsG e l’art. 7 c. 3 StrEG.
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Il modello tedesco delle Schmerzensgeldtabellen
sta norma stabiliva che in caso di lesione del corpo, della salute o della libertà della persona era dovuto un risarcimento del danno anche per i danni non economici. Un uguale diritto al risarcimento del
danno non patrimoniale era previsto ex art. 847 c. 2 BGB anche in favore di una donna vittima di un
delitto contro il pudore e l’onore sessuale.
Per la sua posizione nella sistematica del BGB l’art. 847 BGB era applicabile solo nei casi di atto illecito, cioè nell’ambito degli artt. da 823 fino a 853 del BGB. Questo significava in particolare che era
richiesta la colpa del danneggiante. La norma non era applicabile nell’ambito della responsabilità contrattuale o oggettiva9. Per il loro carattere di norme eccezionali gli articoli 253 e 847 BGB non potevano neanche essere applicati per analogia10, né nei casi di responsabilità nei quali non è richiesta la colpa
del danneggiante, né nei casi di lesione di altri diritti che non siano enumerati nell’art. 847 BGB11.
Con la riforma l’art. 847 BGB è stato abolito e nella parte generale del BGB è stato aggiunto un
nuovo c. 2 all’art. 253 BGB il quale in seguito alla riforma, riprendendo in gran parte il contenuto del
vecchio art. 847 c. 2, afferma che in caso di lesioni del corpo, della salute, della libertà o dell’autodeterminazione sessuale il diritto al risarcimento del danno comprende anche i danni non patrimoniali. Rispetto al vecchio art. 847 c. 1 BGB è stata aggiunta tra i beni giuridici protetti l’autodeterminazione sessuale. Nella vecchia versione della norma era tutelata dall’art. 847 c. 2 BGB solo la donna
che avesse subito un delitto contro il pudore e l’onore sessuale o che fosse stata forzata ad avere relazioni extraconiugali. La nuova formulazione è quindi più ampia e protegge anche uomini e bambini.
Il primo comma dell’art. 253 c. 1 BGB, invece, non ha subito modifiche. Ciò significa che un diritto al risarcimento del danno non patrimoniale continua ad esistere, come prima della riforma, solo
nei casi previsti dalla legge.
Ciò che conta, invece, è lo spostamento al secondo comma del vecchio art. 847, il quale, in quanto trasposto nella parte generale del BGB, è ora applicabile a tutto il diritto civile. Ciò significa che
nella versione attuale del BGB il risarcimento dei danni non patrimoniali può essere richiesto non
solo nei casi di condotta colposa del danneggiante, ma anche in caso di responsabilità oggettiva e di
responsabilità contrattuale.
1. Tipi di responsabilità
A. Responsabilità aquiliana
Per la responsabilità extracontrattuale il quadro non è mutato. Esiste il diritto al risarcimento del
danno non patrimoniale come prima della riforma, basato però sull’art. 253 c. 2 BGB e non più sull’art. 847 BGB.
B. Responsabilità contrattuale
Prima della riforma non era previsto alcun diritto generale al risarcimento del danno non patrimoniale nell’ambito della responsabilità contrattuale. A parte nei pochi casi di apposita previsione
normativa12, un tale diritto poteva essere riconosciuto solo se esplicitamente previsto da un accordo
contrattuale o quando l’inadempimento costituisse anche un atto illecito.
9 Unica eccezione era la responsabilità oggettiva del proprietario o possessore di animali, regolata dal codice civile nella parte dedicata agli atti illeciti (in art. 833 c. 1 BGB) e per la quale era quindi applicabile l’art. 847 BGB.
10 L. JAEGER-J. LUCKEY, Schmerzensgeld, cit., 9, n.37; G. MÜLLER, Die Reform des Schadensersatzrechts, cit., 541.
11 Nel famoso Herrenreiter-Fall (BGH, 14.02.1958, BGHZ 26, 249 ff. ) il BGH sosteneva una applicazione analogica per lo „allgemeines Persönlichkeitsrecht“ (diritto generale della personalità). Dopo dura critica della dottrina la giurisprudenza non ha continuato sulla
stessa strada, ma ha creato tramite un’ interpretazione estensiva del art. 823 c. 1 BGB un diritto proprio al risarcimento del danno non
patrimoniale in caso di lesione del allgemeinen Persönlichkeitsrechts. Questa eccezione viene giustificata dalla giurisprudenza sulla base del
rango costituzionale del diritto, che è protetto dall’art. 1 e 2 della Costituzione tedesca. Per maggiori dettagli vedi G. MÜLLER, Die Reform
des Schadensersatzrechts, cit., 541, H. THOMAS in PALANDT, Bürgerliches Gesetzbuch Kurzkommentar, 2003, Art. 823, n. 175 ss.
12 Vedi art. 611a c. 2 BGB per casi in quali il datore di lavoro contravveniva al divieto di svantaggiare un lavoratore o un candidato
per un posto di lavoro – che è una indennità per danno non patrimoniale, pero non “Schmerzensgeld” – ed in art. 651 f c. 2 BGB per
danni che emergono nel ambito di un contratto di viaggio – risarcimento per la perdita di tempo di vacanze, quindi anche questa norma
non dava diritto al “Schmerzensgeld”.
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S. Wünsch
Secondo la nuova legge qualora sia dovuto un risarcimento del danno secondo il regolamento di
responsabilità contrattuale e l’inadempimento coinvolga uno dei beni giuridici enumerati nell’art.
253 c. 2 BGB, si può esigere un risarcimento anche del danno non patrimoniale. Ciò rappresenta
nella prassi un cambiamento significativo. Prendiamo ad esempio un contratto d’opera, una qualsiasi riparazione domestica. Spesso l’appaltatore non fa di persona il lavoro, ma incarica un dipendente. Nel caso in cui il lavoro non sia soddisfacente, sia prima che dopo la riforma del BGB, l’appaltante ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale causato dai vizi13, sia nei confronti dell’ausiliare, sia nei confronti dell’appaltatore14. Secondo il vecchio ordinamento, però, un danno non patrimoniale si configurava solo in caso di colpa del lavoratore. Quando questa colpa poteva essere provata – come spesso accadeva – il codice prevedeva il diritto al risarcimento del danno secondo le
regole dell’atto illecito, risarcimento che quindi comprendeva anche lo Schmerzensgeld15. La responsabilità del datore di lavoro nell’ambito degli atti illeciti era regolata invece dall’art. 831 c. 1 BGB,
che stabiliva che l’obbligo di risarcimento del datore di lavoro era escluso nei casi in cui avesse scelto il dipendente con la dovuta diligenza, in altre parole se poteva essere ragionevolmente certo che
l’ausiliare avrebbe svolto il lavoro correttamente. Nella maggioranza dei casi l’appaltatore poteva fornire questa prova liberatoria, e quindi non rispondeva per il danno non patrimoniale.
Secondo il nuovo regime, invece, il risarcimento per i danni non patrimoniali è dovuto anche in
base al diritto contrattuale perché si applica il nuovo art. 253 c. 2 BGB. Nell’ambito del diritto generale delle obbligazioni la responsabilità dell’appaltatore per il suo ausiliare è fissata dall’art. 278 BGB.
Questa norma non prevede la possibilità di una prova liberatoria: il datore di lavoro risponde quindi interamente per la colpa dell’ausiliare così come se fosse la propria.
Questo significa che mentre il rischio dell’imprenditore è molto aumentato, le vittime hanno una
seconda persona da poter citare in giudizio – di solito con migliori possibilità finanziarie.
C. Responsabilità oggettiva
Secondo il vecchio ordinamento la responsabilità oggettiva non comprendeva il risarcimento per
danni non patrimoniali tranne in alcuni casi eccezionali16.
Per i casi più frequenti di responsabilità oggettiva, come la responsabilità in caso di incidenti stradali o la responsabilità per prodotti difettosi, non era previsto uno Schmerzensgeld salvo che la condotta lesiva costituisse anche un atto illecito.
Tuttavia, posto che ora lo Schmerzensgeld per i casi di danno alla persona è previsto nella parte
generale del BGB, il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto in tutte le ipotesi di responsabilità, quindi anche in quelle di responsabilità oggettiva, sempre che sia leso uno dei beni giuridici enumerati nell’ art. 253 c. 2 BGB.
Ma il cambiamento più eclatante della riforma del regime della responsabilità civile consiste nel
non richiedere più la colpa del danneggiante.
Nelle motivazioni della nuova legge si trovano le due ragioni che hanno spinto il legislatore tedesco ad introdurre la responsabilità generale senza colpa. La prima è l’adeguamento del diritto tedesco allo standard del resto d’Europa, dove nella maggior parte degli ordinamenti la responsabilità per
danni non patrimoniali non richiede la colpa17. Il secondo motivo è la semplificazione dei processi:
se l’attore può ottenere il risarcimento per ogni tipo di danno già in base alle norme sulla responsabilità oggettiva non c’è più bisogno di ulteriori processi o assunzioni di prove che sotto il vecchio
ordinamento invece erano necessari per ottenere un risarcimento dei danni da responsabilità basata
sulla colpa del danneggiante18.
13
Art. 634 numero 4, 280 c. 1 BGB
Responsabilità del appaltatore secondo art. 278 BGB.
15 Art. 823 c. 1, 847 c. 1 BGB.
16 Tali eccezioni erano la responsabilità oggettiva del possessore di un animale (siccome era stabilita in art. 833 BGB il vecchio art.
847 BGB poteva essere applicato) e gli articoli 53 c. 3 LuftVG (Luftverkehrsgesetz, legge sul traffico aereo) e 29 c. 3 AtG (Atomgesetz,
legge sull’energia atomica).
17 BT-Ds 14/7752, 15; L. JAEGER-J. LUCKEY, Schmerzensgeld, cit., 19, n. 88; G. MÜLLER, Die Reform des Schadensersatzrechts, cit., 541.
18 L. JAEGER-J. LUCKEY, Schmerzensgeld, cit., 20, n. 91.
14
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Il modello tedesco delle Schmerzensgeldtabellen
Il settore della responsabilità oggettiva più rilevante nella prassi è senza dubbio la circolazione
stradale. Le norme rilevanti in proposito si trovano in una legge speciale, lo Strassenverkehrsgesetz
(StVG, legge sulla circolazione stradale).
Il cambiamento più importante rispetto al vecchio regime si ha nei casi in cui il conducente non è
anche il detentore (Halter) della macchina coinvolta in un incidente. Prima della riforma sia il conducente, sia il detentore – e quindi anche la sua assicurazione – erano responsabili del danno patrimoniale causato da un incidente stradale19. Per un eventuale danno non patrimoniale, invece, si poteva procedere solo contro il conducente provando la sua colpa e quindi l’esistenza di un atto illecito.20
Adesso, invece, il detentore è oggettivamente responsabile anche per i danni non patrimoniali21.
Altri esempi di responsabilità oggettiva che conferiscono un diritto allo Schmerzensgeld sono: la
responsabilità per prodotti farmaceutici22, la responsabilità del gestore di un veicolo su binari o di
una funicolare23, la responsabilità del gestore di impianti pericolosi24, la responsabilità del gestore di
impianti di ingegneria genetica25 e la responsabilità per prodotti difettosi26.
2. I criteri per la liquidazione dello Schmerzensgeld
Nei casi in cui è riconosciuto in linea di massima un diritto al risarcimento del danno non patrimoniale si pone la questione dei criteri per la liquidazione di tale risarcimento. Questi dipendono in
gran parte da parametri puramente soggettivi, quali il dolore e le sofferenze. Ciò rende particolarmente difficile trovare parametri oggettivi per il calcolo dello Schmerzensgeld.
Per definire i criteri di calcolo è opportuno allora chiarire la funzione dello Schmerzensgeld. Per il
risarcimento del danno in generale la domanda quale sia il fine del risarcimento trova una risposta
relativamente semplice: il risarcimento deve rimettere il danneggiato nella posizione che avrebbe
avuto se l’evento dannoso non si fosse verificato27.
Ma i dolori sofferti, evidentemente, non possono essere cancellati, così come in caso di perdita di
una parte del corpo è impossibile restituire una gamba o un occhio “dello stesso valore”. Nei casi nei
quali la restituzione in natura non è possibile la posizione del danneggiato non è valutabile a priori
in termini economici. In altre parole il risarcimento integrale nel senso di rimessione in pristino non
è possibile.
Qual è allora la funzione dello Schmerzensgeld e quali sono i criteri da prendere in considerazione per il suo calcolo?
La risposta la si trova nella sentenza fondamentale del Bundesgerichtshof (Corte suprema federale, BGH) del 6.7.195528. In questa sentenza, che fino ad oggi stabilisce le basi per la liquidazione del
danno non patrimoniale, il BGH afferma che lo Schmerzensgeld ha un carattere duplice. Da un lato
deve offrire al danneggiato una compensazione (Ausgleich) per tali danni che non sono di carattere
economico. Dall’altro, però, deve anche tener conto del fatto che il danneggiante deve una soddisfazione (Genugtuung) al danneggiato per quello che gli ha fatto29. Questo significa che nel calcolo dello
19
Per il conduttore questo deriva dall’ art. 18 StVG per il detentore dal art. 7 StVG.
Una responsabilità del detentore e della sua assicurazione si sarebbe configurata solo se il conducente fosse stato un ausiliare del
detentore. In questo caso quest’ultimo avrebbe risposto anche dell’atto del primo ai sensi dell’art. 831 BGB (con la possibilità di una prova
liberatoria, vedi le spieghazioni sopra dato nel esempio del contratto d’opera).
21 Art. 7 c. 1, 11 StVG. L’ultimo articolo stabilisce nella seconda parte che il risarcimento comprende il danno non patrimoniale.
Tuttavia, anche senza questo chiarimento esplicito questo diritto dopo la riforma deriva direttamente dal art. 253 c. 2 BGB.
22 Art. 84, 87 AMG.
23 Art. 1, 6 Haftpflichtgesetz (HaftPflG, legge sulla responsabilità civile).
24 Art. 2, 6 HaftPflG, per gli impianti particolarmente pericolosi per l’ambiente vedi anche art. 1, 13 Umwelthaftungsgesetz (Legge
sulla responsabilità per l’ambiente, UmweltHaftG).
25 Art. 32 Gentechnikgesetz (Legge sull’ingegneria genetica, GenTG).
26 Art. 1, 8 Produkthaftungsgesetz (Legge sulla responsabilità per prodotti difettosi, ProdHaftG).
27 Si nota che il BGB dà preferenza alla restituzione in natura (art. 249 BGB); solo se questa non è possibile il risarcimento deve consistere nel pagamento dei soldi necessari per rimettere il danneggiato nella posizione di prima (art. 251 BGB).
28 BGH 6.7.1955, VersR1955, pag. 615 ss.
29 BGH 6.7.1955, VersR1955, pag. 615 ss.: “Der Anspruch auf Schmerzensgeld nach § 847 BGB ist kein gewöhnlicher
20
89
S. Wünsch
Schmerzensgeld sono da considerare tutte le circostanze con riguardo ad entrambi gli aspetti. Si deve
guardare, innanzitutto, ai pregiudizi sofferti dal danneggiato, cioè alla misura e alla durata dei dolori, delle sofferenze e delle deturpazioni.
Tuttavia, occorre considerare anche la posizione del danneggiante, il suo grado di colpa, la causa
dell’evento dannoso e la sua situazione economica. Questa Genugtuungsfunktion (funzione di soddisfazione) ci ricorda l’origine dello Schmerzensgeld, che si ritrova nel diritto penale, dove gli era
attribuita una funzione punitiva. Nonostante oggi la responsabilità civile non abbia più una tale funzione il BGH afferma che nell’ambito dello Schmerzensgeld sono da considerare anche i fattori che
dipendono dalla persona del danneggiante. In questo lo Schmerzensgeld si distingue dal risarcimento per danno patrimoniale. In caso di danno patrimoniale, infatti, ciò che conta per la liquidazione
del danno è unicamente la sua riparazione. E se la riparazione non è possibile (per esempio se la macchina è completamente distrutta) o non è ragionevole (se per esempio la riparazione della macchina
costerebbe di più che comprarne una nuova), il risarcimento consiste nella somma necessaria per
riportare la situazione patrimoniale del danneggiato in uno stato uguale a quello originario (per
esempio nel costo per una macchina dello stesso valore come quella danneggiata).
Il BGH giustifica il diverso trattamento nel caso dello Schmerzensgeld nell’art. 847 BGB, dove dice
che per i danni non patrimoniali è dovuta una “equa riparazione” (billige Entschädigung) monetaria.
Il principio di “equità” impone che tutte le circostanze del caso concreto vengano prese in considerazione. Nella sentenza sopra citata il BGH afferma che l’evento dannoso crea un certo tipo di relazione tra il danneggiante ed il danneggiato: il danneggiante ha reso la vita più difficile al danneggiato e tramite il risarcimento deve aiutare a renderla, nei limiti del possibile, di nuovo più facile30.
La Genugtuungsfunktion dello Schmerzensgeld è fino ad oggi indiscussa dalla giurisprudenza tedesca. Si deve però tener conto che va applicata con molta cautela. Ciò che conta nel calcolo dello
Schmerzensgeld è sempre l’Ausgleichsfunktion, cioè il cambiamento nella situazione del danneggiato
causata dall’evento dannoso.
Ci sono, però, voci in dottrina secondo le quali dopo la riforma del diritto della responsabilità civile e il trasferimento dello Schmerzensgeld dal limitato ambito della responsabilità aquiliana in una
posizione di applicazione generale, e soprattutto nell’ambito della responsabilità oggettiva, la
Genugtuungsfunktion perderà completamente di significato31.
Un esempio interessante di applicazione della Genugtuungsfunktion sono i casi in cui l’assicurazione esita a lungo senza giustificazione nel liquidare il danno. È giurisprudenza costante che un tale
comportamento di una compagnia assicurativa porta ad un aumento dello Schmerzensgeld. Ci sono
esempi di un aumento fino a 15.000 Euro32.
Riassumendo si può dire che il giudice tedesco è libero di stabilire per il risarcimento la somma
che ritenga più giusta, sempre che la sentenza dimostri che il risarcimento attribuito sia “billig”
(equo). Nella decisione devono essere prese in considerazione tutte le circostanze del caso che sono
state esposte dalle parti. Quindi è innanzitutto compito del legale del danneggiato mettere in evidenza tutti quei fattori che possano portare ad un aumento del Schmerzensgeld. Nessun aspetto è di
per sè escluso.
Il disegno di legge conteneva inizialmente una soglia minima di risarcibilità. Il progetto presentato
dal governo prevedeva all’art. 253 c. 2 BGB che il risarcimento in caso di danno non patrimoniale
poteva essere richiesto solo nei casi in cui il danno fosse stato causato dolosamente o quando il danno
non fosse irrilevante (unerheblich) con riguardo alla sua natura e alla sua durata33. Dopo la discussione del disegno di legge in Commissione Parlamentare questo limite è stato cancellato. Il motivo prinSchadensersatzanspruch sondern ein Anspruch eigener Art mit einer doppelten Funktion: Er soll dem Geschädigten einen angemessenen
Ausgleich für diejenigen Schäden bieten, die nicht vermögensrechtlicher Art sind, und zugleich dem Gedanken Rechnung tragen, dass der
Schädiger dem Geschädigten Genugtuung schuldet für das, was er ihm angetan hat.“
30 BGH 6.7.1955, VersR, 1955, pag. 616
31 L. JAEGER-J. LUCKEY, Schmerzensgeld, cit., 118.
32 OLG Hamm, OLG Frankfurt citata in: S. HACKS-A. RING-P. BÖHM, Schmerzensgeldbeträge, DeutscherAnwaltVerlag, Bonn 2004, 13.
33 BT-Ds 14/7752, cit., 6, Art. 2, numero 2 b).
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Il modello tedesco delle Schmerzensgeldtabellen
cipale per non includere una soglia minima è stato che si ritenevano già soddisfacenti i risultati raggiunti fin a quel momento dalla giurisprudenza. Ciò rendeva superfluo implementare una soglia minima fissa. Le soluzioni trovate possono, secondo la Commissione, essere ora applicate ai nuovi campi
dello Schmerzensgeld, cioè nell’ambito della responsabilità oggettiva e contrattuale. Inoltre, dovrà
essere lasciato spazio alla giurisprudenza per sviluppare ed adattare, dove necessario, la soglia minima
tramite l’interpretazione della nozione di “equa” riparazione (“billige” Entschädigung)34.
In teoria lo Schmerzensgeld non ha neanche un limite di risarcibilità verso l’alto. Il BGH, però, ha
stabilito che l’equità della riparazione richiede che il danneggiato non sia messo in uno stato d’estrema e persistente miseria35.
È prevista un’eccezione nell’ambito della responsabilità oggettiva. Le varie leggi speciali che regolano questa materia contengono infatti dei massimi risarcitori. Con la riforma del 2002 questi limiti
sono stati incrementati ed armonizzati. Per i danni alla persona in caso di incidenti stradali l’art. 12
StVG (Strassenverkehrsgesetz) stabilisce una somma capitale massima di 600.000 Euro o una rendita
annuale massima di 36.000 Euro. Nel caso in cui nello stesso evento siano lese più persone, i limiti
previsti sono di 3.000.000 Euro per la somma capitale e di 180.000 Euro per la rendita annuale. A questi limiti sono previste eccezioni nel caso di un uso commerciale del veicolo coinvolto nell’incidente.
La legge non dà indicazioni con riguardo alla questione se il danno debba essere liquidato in una
somma capitale o in forma di rendita. La giurisprudenza ha stabilito che in linea di principio prevale la liquidazione in somma capitale. Le ragioni sono diverse. Da un lato, al danneggiante deve essere data la possibilità di liberarsi del suo debito e soprattutto di pagare una somma di valore definito.
Allo stesso modo anche per il danneggiato può essere preferibile vedersi liquidata una somma di rilevante entità che gli permetta di affrontare i costi iniziali conseguenti al mutamento delle condizioni
di vita dovuto ai postumi del danno, piuttosto che ricevere periodicamente più importi meno elevati. Secondo la giurisprudenza l’attribuzione di pagamenti periodici deve essere l’eccezione nei casi di
circostanze straordinarie, per esempio in caso di dolori continui o quando sono necessari ripetutamente trattamenti medici per i quali il successo è incerto36.
III - Le tabelle di Schmerzensgeld
Tutte le diverse tabelle di Schmerzensgeld nascono da iniziative private37. Non esiste una raccolta
ufficiale. Spesso è un avvocato che si occupa di un certo tipo di danno alla persona a pubblicare le
sentenze relative al suo campo d’interesse38.
Vista la natura non ufficiale di queste raccolte, prive quindi di un qualsiasi valore normativo, sorge
il dubbio di quale significato queste abbiano per il giudice. Nonostante siano di rado richiamate
esplicitamente39, secondo un’inchiesta svolta tra i giudici bavaresi, ad esempio, il 95,5% di loro le
utilizza quando si trova a decidere un caso di risarcimento di danno non patrimoniale40. Posto l’obbligo di trattare casi simili allo stesso modo, il giudice non può evidentemente ignorare i casi precedentemente pubblicati nelle Schmerzensgeldtabellen. Dall’altro lato, però, queste sentenze non sono
“precedenti” in senso stretto, e quindi non sono vincolanti. Interrogato su questo, il BGH ha affer34
BT-Ds 14/8780, cit., 21 “Zu Artikel 2 Nr. 2”.
S. HACKS-A. RING-P. BÖHM, Schmerzensgeldbeträge, cit., 13 con indicazioni di giurisprudenza.
36 S. HACKS-A. RING-P. BÖHM, Schmerzensgeldbeträge, cit., 16, L. JAEGER-J. LUCKEY, Schmerzensgeld, cit., 28, n. 105 ss.
37 Sulla più famosa, la ADAC-Tabelle, v. infra. Altre tabelle sono: R. LIEBERWIRTH, Das Schmerzensgeld, Wiesbaden 1960 (una delle
prime tabelle); L. JAEGER-J. LUCKEY, Schmerzensgeld, cit., (una tabella nuova – iniziata nell’anno 2003 – molto completa e peculiare in
quanto gli autori sono due giudici che esprimono l’auspicio di dare un contributo per un’evoluzione verso risarcimenti di danno non patrimoniale più elevati; si veda la prefazione); A. SLIZYK, Beck’sche Schmerzensgeld-Tabelle: von Kopf bis Fuss, Beck, München, 1994;
E. SCHNEIDER-J. BIEBRACH, Schmerzensgeld: Grundlagen, Rechtsprechung, medizinische Begriffe, Mustertexte, Herne, Berlin 1994;
38 Per alcuni esempi di questo tipo, si vedano: H.G. SCHULZE-P. STIPPLER-BIRK, Schmerzensgeldhöhe in Presse- und Medienprozessen,
C.H.Beck, München, 1992; W. HEMPFING, Ärztliche Fehler – Schmerzensgeld-Tabellen, C. Heymanns, München 1989.
39 Cfr. L. JAEGER-J. LUCKEY, Schmerzensgeld, cit., 122, n. 543.
40 H.J. MUSIELAK, Zur gerichtlichen Praxis bei der Bemessung des Schmerzensgeldes. Ergebnisse einer Befragung von Richtern in VersR
(Versicherungsrecht), 1982, 613 ss.
35
91
S. Wünsch
mato che, se da un lato il giudice può adempiere il suo obbligo di rendere la decisione trasparente
facendo riferimento a casi simili, in nessun caso le sentenze precedenti devono limitare il giudice nel
suo libero giudizio41. In altre parole, le Tabellen sono per il giudice una fonte di informazione che
non deve essere ignorata, ma la decisione di un caso simile precedente è solo un aspetto tra i tanti
che devono essere preso in considerazione valutando lo Schmerzensgeld.
Nella prassi di solito l’avvocato si riferisce semplicemente ad una o più voci della tabella senza citare più la sentenza di base. Anche gli accordi transattivi con le compagnie di assicurazione sono, si
può dire sempre, conclusi sulla base delle tabelle. Si può quindi affermare che le
Schmerzensgeldtabellen sono uno strumento quotidiano del giurista tedesco.
La più famosa Schmerzensgeldtabelle tedesca è senza dubbio quella dell’ADAC (Allgemeiner
Deutscher Automobilclub), il club tedesco degli automobilisti. Ci sono altre tabelle ma la loro esistenza è ignorata perfino da molti giuristi tedeschi. La prima edizione dell’ADAC-Tabelle risale
all’anno 1957 e da allora ne è stata pubblicata una versione aggiornata circa ogni due anni.
La raccolta fu iniziata da Susanne Hacks42, una giurista che lavorava per il club degli automobilisti. Il suo scopo era, innanzitutto, creare una base per le trattative extra-giudiziali degli avvocati e
delle compagnie di assicurazione, nonché, in secondo luogo, di contribuire ad un’evoluzione verso
somme risarcitorie più elevate nell’ambito del danno non patrimoniale43. Si tratta di un punto molto
controverso. In tutte le Schmerzensgeldtabellen esaminate, gli autori si dichiarano a favore di risarcimenti più alti. Ciononostante, una delle critiche più frequenti è che le Schmerzensgeldtabellen darebbero un contributo alla congelazione delle somme risarcitorie e sarebbero un mezzo per le imprese
di assicurazioni per giustificare liquidazioni di bassa entità44. Questa argomentazione non vede, però,
che le tabelle, al contrario, possono dare un valido contributo per risarcimenti più alti, in quanto rendono più accessibile il materiale giurisprudenziale. In altri termini, senza le tabelle le assicurazioni
avrebbero un monopolio costituito dalle loro raccolte di precedenti. Nessun avvocato avrebbe mai
la possibilità di disporre di risorse come quelle di cui dispongono le grandi assicurazioni dopo anni
di attività nel campo del risarcimento di danni. Le Schmerzengeldtabellen, al contrario, offrono agli
operatori un quadro di riferimento neutrale. Sono uno strumento oggettivo e perciò accettato da
entrambe le parti.
L’attuale edizione dell’ADAC-Tabelle è la ventiduesima e contiene più di 3000 sentenze. Sono proprio la sua continuità, attualità e vastità che garantiscono il suo successo come la
Schmerzensgeldtabelle più usata nella prassi. Sono incluse sentenze di tutte le istanze, pubblicate
come non pubblicate. Ci sono autori che inseriscono nelle loro Schmerzensgeldtabellen solo sentenze pubblicate sul presupposto che il rigore scientifico richiede di lavorare solo con fonti verificabili.45 Una tale limitazione del materiale sfruttabile riduce, però, nella stessa misura l’utilità della tabella. Più sentenze ci sono, più esatto è il quadro che la tabella dà dell’attività giurisprudenziale. Per
soddisfare la correttezza scientifica è sufficiente che gli autori della tabella si siano basati su una copia
autentica della sentenza.
La tabella dell’ADAC nel suo interno è ordinata in base all’ammontare dello Schmerzensgeld e
ripartita in due capitoli. Il primo riporta i casi in cui il risarcimento è consistito in una somma unica;
il secondo i casi in cui è stata attribuita una rendita. Il primo capitolo comincia con alcune sentenze
nelle quali la richiesta di risarcimento è stata respinta.
Le prime due somme sono di 50 Euro. Nel primo caso, un ragazzino di nove anni aveva sofferto
una ferita di un centimetro causata da un morso di un cane. La ferita era guarita senza complicazioni
e senza danni residui. L’altro caso riguarda un uomo al quale fu impedito per breve tempo di uscire da
un negozio. I fatti non sono molto chiari ma sembra che l’uomo si sia comportato in modo strano e
che gli impiegati lo abbiano trattenuto per un braccio. All’uomo in questione fu riconosciuto per lesio-
41
42
43
44
L. JAEGER-J. LUCKEY, Schmerzensgeld, cit., 121, n. 535.
Perciò spesso ci si riferisce a questa tabelle come “Hacks-Tabelle”.
S. HACKS, Schmerzensgeld-Beträge, ADAC-Verlag, München 1970, 5.
Cfr. S. HACKS, Schmerzensgeld-Beträge, cit., 1970, 5.
92
Il modello tedesco delle Schmerzensgeldtabellen
ne della libertà personale un risarcimento di 50 Euro, tenuto conto anche del suo concorso di colpa.
La somma più alta di risarcimento riconosciuta in questa parte della tabella è di 500.000 Euro. È
il caso di un bambino che aveva sofferto gravi danni alla nascita a causa degli errori commessi dal
personale ospedaliero. Era ridotto in uno stato di mera sopravvivenza e per di più necessitava di cure
continue. Nella tabella si legge che la sua personalità era quasi completamente distrutta.
Tornando alla struttura della tabella, nella prima colonna si trova il numero progressivo della
tabella, seguito dalla somma risarcitoria in Euro (per i casi precedenti all’introduzione dell’Euro la
cifra è indicata sia in marchi, sia in Euro). Nella colonna successiva si trovano la descrizione dettagliata della lesione e di seguito una descrizione dei fatti con riguardo alla durata e alla misura del trattamento medico e dell’inidoneità al lavoro. Seguono indicazioni relative alla persona del danneggiato, cioè sesso ed eventualmente anche età e professione. La colonna ancora successiva contiene i
danni permanenti che risultano dall’evento dannoso. Sono compresi tutti tipi di lesioni e disturbi,
cicatrici, le conseguenze fisiche e psichiche, la misura del bisogno d’assistenza e di cure ed il grado
d’inabilità al lavoro.
Segue un riassunto delle circostanze particolari ritenute determinanti per la decisione. Si può trovare una ripetizione delle conseguenze particolarmente gravi per il danneggiato, come l’impossibilità di esercitare un hobby, o anche circostanze dell’evento dannoso che abbiano come conseguenza
per il danneggiato una depressione particolarmente grave. In questa colonna si trovano anche indicazioni su un’eventuale colpa particolarmente grave del danneggiante o su un’eventuale colpa concorrente del danneggiato.
L’ultima colonna contiene informazioni sull’ente giudicante, gli estremi della sentenza e il luogo di
pubblicazione o – nel caso in cui la sentenza non sia stata pubblicata – l’indicazione di chi abbia
inviato la sentenza all’autore della tabella (quasi sempre avvocati o compagnie di assicurazione). Tutti
gli autori delle diverse tabelle, tuttavia, si lamentano che i tribunali sono piuttosto restii a mettere a
disposizione le loro decisioni, né su richiesta dei compilatori, né tanto meno di propria iniziativa.
Per agevolare la ricerca per tipo di lesione l’ADAC-Tabelle è fornita di tre indici. Il primo raggruppa le sentenze per tipo di lesione, il secondo per frequenti tipi di lesioni ed il terzo per particolari tipi di lesioni, cause e conseguenze.
Esempio (Tratto dall’ADAC - Tabelle, 22 ed., 2004):
Lfd. Betrag
Verletzung
Nr.
DM Euro
Dauer und
Person des Dauerschaden
Umfang der
Verletzten
Behandlung;
Arbeitsunfähigk
eit
2536 50000*
€25000
+
immat.
Vorbehalt
8 Monate
stationär,
anfangs 2
Wochen
Intensivstation,
dann
regelmäßige
ambulante
Behandlung
Gehirnerschütterung,
drittgradiger offener
Oberschenkelschaftstrüm
mer-bruch links,
drittgradiger offener
Sprungbeinverrenkungsbruch links,
Schenkelhalsbruch
links; offener
Sprungbeinhalsbruch
rechts mit Teilläsion
der Achillessehne;
Oberarmbruch links;
Gesichtswunden,
Schneidezahnkronenabbruch
31-jähr.
Packer
93
Besondere
Umstände, die für
die Entscheidungen
maßgebend waren
Gericht,
Datum der
Entscheidung
, Az.,
Veröffentlich
ung bzw.
Einsender
Starkes Hinken, 60 % Mithaftung;
22 O 44/92
bei Belastung
beide SprungDAR 1993,
beider
beinkörper sterben 266 RA
Sprunggelenke ab, daher muss links Lausmann
beiderseits
eine Versteifung
Marbach
Schmerzen
durchgeführt
werden, rechts ist
mit großer
Wahrscheinlichkeit
damit zu rechnen.
Kläger kann nur
noch eine
überwiegend
sitzende Tätigkeit
ausüben. Nicht
unwahrscheinlich,
dass Dauerarbeitslosigkeit
eintreten kann, was
sich psychisch
auswirkt
S. Wünsch
Vedendo la struttura dell’ADAC-Tabelle ci si pone una domanda: non sarebbe più opportuno
strutturarla per lesioni invece che per somme risarcitorie? Visto che lo scopo è quello di aiutare a trovare casi comparabili, questa sembrerebbe la struttura più logica. Ed, infatti, circa la metà delle
Schmerzensgeldtabellen è strutturata per lesioni, mentre l’altra metà segue l’esempio dell’ADACTabelle ed è ordinata per somma. La sistemazione per lesioni comporta però degli inconvenienti.
Spesso la lesione non consiste in un singolo danno, ma in un danno multiplo (ad esempio, diverse
fratture o menomazioni). Questo è vero soprattutto per gli incidenti stradali, che sono i casi di risarcimento di danno non patrimoniale più importanti, per quantità e rilevanza pratica, ed è anche vero
per le macromenomazioni che di regola consistono di una combinazione di diverse lesioni. In questi
casi spesso non è possibile individuare la lesione principale, ed anche quando si riesce a specificarla,
converrebbe per l’utilità della tabella mettere il caso sotto diverse voci. Questo rende, però, la tabella più voluminosa, confusa e meno utilizzabile.
Per esempio, nella recente Schmerzensgeldtabelle di Jaeger/Luckey46, che è sistemata per tipo di
lesione, sotto la voce “gamba”47 si trova innanzitutto una nota in cui si precisa che una lesione isolata della gamba o di una parte della gamba è rara e che perciò tutti tipi di lesione alla gamba, alla
coscia, alle ginocchia, all’articolazione tibio-tarsale ed al piede sono raggruppate sotto la stessa voce.
Inoltre si aggiunge che sarebbe poco pratico dover cercare questi diversi tipi di lesione in diverse
parti della tabella in base all’ordine alfabetico delle rispettive parti della gamba. Una seconda nota
dice poi che sotto questa voce non si trovano le sentenze che riguardano un’amputazione, perché la
tabella contiene una voce separata per le amputazioni. Già queste due note preliminari, che si trovano con piccole variazioni all’inizio di molte voci della Schmerzensgeldtabelle di Jaeger/Luckey, rivelano che anche gli autori di questa tabella erano coscienti degli inconvenienti che porta con sé una
struttura per lesioni48.
Proseguiamo, però, con il nostro esempio della “gamba”. All’interno di questa voce, le varie sentenze sono sistemate per somma risarcitoria. Tra le prime si trova una sentenza che liquida 3.000
Euro per ustioni e cicatrici, più avanti una sentenza su un risarcimento di 7.500 Euro per un errore
nella diagnosi in un caso di possibile trombosi. Seguono vari tipi di lesioni, diverse fratture, poi man
mano si arriva alle sentenze in cui è stata attribuita una somma risarcitoria più elevata e sempre più
spesso la lesione della gamba è solo un aspetto di un insieme di lesioni.
Se ci si domanda che cosa abbiano in comune tutte queste sentenze, a parte il fatto che in qualche
modo vi sia stata la lesione di una gamba, deve convenirsi che questi casi non sono comparabili.
Che spesso sia proprio il tipico insieme di lesioni che rende un caso comparabile con altri, era invece una delle argomentazioni di Susanne Hacks per strutturare la sua tabella per somme e non per
lesioni. L’autrice sosteneva che nei casi d’incidente stradale, esisterebbero combinazioni tipiche di
lesioni, quali le contusioni del torace, commozioni cerebrali o tagli sul viso, che non giustificherebbero una sistematizzazione per tipo di lesione49. Inoltre la Hacks giustificava l’applicazione di una
struttura per somme anziché per lesioni con il fatto che le sue tabelle erano destinate ad essere usate
da chi lavora abitualmente con i casi di danni non patrimoniali, cioè in primo luogo le compagnie assicurative e gli avvocati, i quali hanno di solito già un’idea della misura della somma da liquidare nel
caso concreto. La tabella deve essere una fonte d’informazioni, uno strumento che facilita il lavoro in
modo razionale50. Se si immagina un avvocato che si confronta con un caso concreto, in base alla propria esperienza, per esempio, egli ritiene che una somma di 10.000 Euro di Schmerzensgeld potrebbe
essere adeguata; dunque scorrerà nell’ADAC-Tabelle le sentenze dello stesso ambito, diciamo da
45
E. SCHNEIDER-J. BIEBRACH, Schmerzensgeld: Grundlagen, Rechtsprechung, medizinische Begriffe, Mustertexte, cit., 5.
L. JAEGER-J. LUCKEY, Schmerzensgeld, cit.
47 L. JAEGER-J. LUCKEY, Schmerzensgeld, cit., 266 ss.
48 Per risolvere questo problema, insieme alla loro tabella é uscito un CD-ROM che rende i dati della tabella accessibili molto facilmente, in considerazione di tutte le agevolazioni di una ricerca tramite banca dati elettronica, incluso l’accesso al testo integrale delle sentenze.
49 S. HACKS, Schmerzensgeld-Beträge, cit., 6.
50 S. HACKS, Schmerzensgeld-Beträge, cit., 5.
46
94
Il modello tedesco delle Schmerzensgeldtabellen
8.000 a 12.000 Euro. Da un lato, può verificare se la sua previsione era corretta, dall’altro, può raccogliere informazioni utili per la sua argomentazione: tutto ciò nel giro di pochi minuti. Se invece utilizzasse una tabella strutturata per lesione dovrebbe cercare in varie parti della tabella a seconda delle
lesioni coinvolte. Un metodo che richiede più tempo ed è meno pratico perché non tutte le informazioni rilevanti si trovano nella stessa pagina, anzi assai spesso sono sparse in varie pagine.
Con queste premesse si potrebbe riflettere sull’ipotesi della maggiore utilità di un allontanamento dalla categoria “lesione” in favore piuttosto del “grado d’invalidità”. Non è questo, infatti, che
rende un caso comparabile con un altro?
Per dare un esempio possiamo tornare all’ADAC-Tabelle. Aprendola più o meno alla metà della
tabella ci sono i casi in cui è stata liquidata una somma di 5.000 Euro. C’è un caso di un trauma cerebrale accanto ad un caso di diverse fratture alla mascella, danni ai denti insieme ad una frattura dell’articolazione del polso, accanto ad un caso di una lesione grave alla spalla51. Sembrano assai diversi. Però, se ci si allontana dal concetto di “lesione concreta” e si guarda verso un concetto di “grado
d’invalidità”, questi casi appaiono comparabili per quanto riguarda la dimensione del pregiudizio
all’integrità fisica. In altre parole, il grado d’invalidità sembra un criterio molto adatto per individuare un “caso simile”.
Una prima domanda che occorre porsi a questo punto è se si possa applicare il “grado d’invalidità” come elemento fisso nel calcolo dello Schmerzensgeld. Si è detto in precedenza che quando si
parla di danno non patrimoniale si trovano in gran parte parametri puramente soggettivi, quali il
dolore e le sofferenze. Si tratta di parametri ai quali non si può assegnare a priori un valore economico fisso. Ogni aspetto deve essere valutato alla luce di tutte le circostanze del caso concreto. In
ogni caso, vi è una componente del danno alla persona che è oggettivabile, che è la lesione – in sé –
della salute, il “danno biologico”, per usare la formula italiana. A indicare questo “danno biologico”,
nel senso di attribuire alla lesione nel caso concreto un certo “grado d’invalidità”, devono essere i
medici, perché sono loro gli specialisti e non si richiede al giudice di fare il medico52. È questo l’approccio del sistema francese, in cui il primo passo nella valutazione di un danno non patrimoniale è
l’accertamento medico della lesione all’integrità fisica. Il Barème Rousseau, una scala sviluppata ed
aggiornata a cura di medici, attribuisce alla lesione concreta un certo grado d’invalidità53.
Successivamente, è di competenza del giurista, in particolare del giudice, attribuire a un tale grado
d’invalidità nel caso concreto un valore economico. In questa operazione il giudice deve essere libero di svolgere una valutazione complessiva di tutti gli aspetti del caso.
Pertanto, la conversione del grado d’invalidità in un valore economico presenta aspetti problematici, soprattutto con riferimento ad una tabella di punti. Invero, dopo l’accertamento del grado d’invalidità la possibilità di oggettivare un caso dovrebbe ritenersi esaurita. In diversi paesi esistono
tabelle di punti, come ad esempio in Francia, dove si applica il metodo del calcul au point, in base al
quale si attribuisce ad ogni grado d’invalidità una certa somma tramite una tabella di punti. Il valore dei punti varia col grado d’invalidità e con l’età della vittima. Anche se questi tipi di tabelle, che
esistono pure in Spagna ed Italia, sono aperte per adattamenti a nuovi sviluppi, a mio parere portano con se il rischio di essere troppo “stringenti” per il giudizio del giudice. In altre parole, possono
limitare la valutazione equa e complessiva di tutte le circostanze del caso. Se è vero che nella maggior parte dei casi la vittima più giovane porterà statisticamente per più anni con se un certo pregiudizio alla sua integrità fisica, possono esistere, però, casi in cui una persona più anziana trova molta
più difficoltà ad abituarsi a una menomazione, in conseguenza i pochi anni che vive con l’invalidità
possono “pesare” di più dei tanti anni che ha davanti a sé una vittima giovane che auspicabilemente
col tempo riesce a trovare un modo di accettare e di convivere con il suo stato e di godersi la vita
nonostante tutto il più possibile. Ogni caso deve essere visto nella sua particolarità. Anche sotto un
51
S. HACKS-A. RING-P. BÖHM, Schmerzensgeldbeträge, cit., 240.
Per la fiducia nella competenza dei medici anche F. BUSNELLI, Il danno alla salute; un’esperienza italiana; un modello per l’Europa?,
Resp. e prev., 2000, 851 ss., p. 857.
53 Per il sistema francese S. GALAND-CARVAL, French Report, in W.H. HORTON ROGERS, (ed.), Damages for Non-Pecuniary Loss in a
Comparative Perspective, Springer, Wien 2001, 87 ss. Cfr. il contributo di S. CACACE.
52
95
S. Wünsch
aspetto di dignità umana sembra problematico di attribuire un valore più alto a uno stesso grado
d’invalidità sulla base dell’età della vittima.
Le Schmerzensgeldtabellen, possono tramite una documentazione dettagliata della giurisprudenza,
mettere in evidenza certe tendenze. Ma fissare in tabelle di calcolo elementi che sono altamente
influenzati da percezioni soggettive potrebbe portare a risultati ingiusti. Lo sforzo per un’equiparazione delle somme risarcitorie in casi simili non deve trasformarsi in un trattamento della persona alla
stregue di un oggetto che, a causa dell’evento dannoso, ha perso valore54.
Pertanto le tabelle nell’ambito del danno non patrimoniale dovrebbero essere, sull’esempio delle
Schmerzensgeldtabellen, mere raccolte di sentenze, che rispecchino lo sviluppo giurisprudenziale e
non diventino uno strumento per una liquidazione automatica del danno.
Per dare una risposta alla domanda che ci si era posti, dunque il grado d’invalidità non dovrebbe
diventare un elemento fisso del calcolo. Questo dovrebbe essere, ed è già – coscientemente o no –
nella maggior parte dei paesi Europei, il punto di partenza per il calcolo. Sarebbe auspicabile se quest’aspetto venisse messo più in evidenza, per esempio tramite un esplicito riferimento nella
Schmerzensgeldtabelle. L’importante è che non vi sia un automatismo nell’attribuire ad un determinato grado d’invalidità un preciso valore economico.
La domanda conseguente è, allora, se la Schmerzensgeldtabelle debba essere strutturata per grado
d’invalidità. Secondo me no, perché pur essendo il grado d’invalidità da un lato adatto per la individuazione di casi simili e dall’altro lato la componente principale per il calcolo dello Schmerzensgeld,
possono concorrere tanti altri aspetti da diminuirne la rilevanza nel caso concreto. Metterlo al primo
posto nella tabella potrebbe di nuovo portare verso il temuto automatismo; in altri termini, potrebbe avere l’effetto che altre circostanze del caso concreto vengano trascurate.
Perciò, la soluzione potrebbe essere quella di dare preferenza ad una struttura per somma risarcitoria e nella descrizione delle circostanze del caso, mettere comunque il grado d’invalidità al primo
posto. In tal modo, con il tempo, il grado d’invalidità potrebbe diventare il punto di riferimento e
orientamento primario nella ricerca di casi simili.
Inoltre, è importante, che la Schmerzensgeldtabelle descriva il più dettagliatamente possibile tutti
gli aspetti del caso concreto rilevanti per il calcolo del risarcimento. Tra questi devono includersi
anche la descrizione delle lesioni concrete, perché la lesione concretamente subita influisce sulla
valutazione, come dimostra il fatto che due lesioni che hanno lo stesso grado d’invalidità possono, in
relazione alle circostanze del caso, avere delle conseguenze ben diverse.
In conclusione solo tramite una documentazione il più completa possibile, può essere garantita la
comparabilità dei casi riportati. Questo è, innanzitutto, un appello ai giudici affinché rendano più
trasparenti i parametri che hanno preso in considerazione per la liquidazione del danno non patrimoniale ed il loro rispettivo peso nel calcolo.
Il discorso fatto nell’ultima parte del contributo porta alla proposta di combinare le diverse soluzioni trovate nei vari sistemi – dal sistema italiano il concetto di danno biologico che mette in evidenza che vi è una componente oggettivabile nel danno alla salute, dal sistema francese il Barème
Rousseau, cioè la prima valutazione del danno in modo sistematico e con piena fiducia nella competenza dei medici, dal sistema tedesco la Schmerzensgeldtabelle, cioè una raccolta di sentenze complessiva, continua ed aggiornata, presentata in un modo chiaro, pratico e oggettivo.
54 W.H. HORTON ROGERS, Comparative Report, in W.H. HORTON ROGERS, (ed.), Damages for Non-Pecuniary Loss in a Comparative
Perspective, cit., 253, n. 17. Cfr. il contributo di L. Di Bona De Sarzana.
96
L’evoluzione del modello inglese: il ruolo della Court of Appeal nel
controllo dei valori liquidati e le Guidelines dello Judicial Studies Board
L. DI BONA DE SARZANA
SOMMARIO: 1. Alcuni aspetti introduttivi. 2. La Court of Appeal di Londra ed il sindacato sulle
decisioni in materia di danni alla persona. 3. Guidelines for the assessment of general damages
in personal injuries cases. 4. Le valutazioni della Law Commission on Law Reform. 5. La risposta della Court of Appeal. Policy, circolazione delle informazioni ed efficienza del sistema.
1. Alcuni aspetti introduttivi
Tradizionalmente il risarcimento delle personal injuries nel diritto inglese si divide in due componenti fondamentali1: personal loss e pecuniary loss. La prima categoria incorpora le conseguenze dannose che generalmente colpiscono l’integrità psicofisica: lesioni corporali, quindi, inclusi il dolore e
la sofferenza, ma anche la perdita dei piaceri della vita. La seconda categoria, al contrario, si identifica con il danno emergente ed il lucro cessante sopportati dalla vittima.
La componente della personal loss si sviluppa più dettagliatamente nella nozione ampia di non
pecuniary loss, che ricomprende pain and suffering e loss of amenity of life nel caso di personal injuries; perdita della reputazione in casi di diffamazione; discredito sociale derivante da errori giudiziari; nonché variegate ipotesi di mental distress e physical inconvenience and discomfort. La caratteristica comune di tutte queste voci di danno è che devono essere necessariamente convertite in valori
monetari ai fini del risarcimento, nonostante l’impossibilità di una valutazione di mercato. È comune affermazione delle corti inglesi quindi che si tratti di un tipo di valutazione “convenzionale”2 basato per lo più sull’esperienza di casi simili3.
Nell’ambito delle personal injuries questo tipo di valutazione interessa sia vere e proprie lesioni
personali consistenti in una diminuzione oggettiva dell’integrità psicofisica (come ad es. la perdita di
un arto), sia le conseguenze dannose che non si estrinsecano in una lesione immediatamente rilevabile ma che comunque pregiudicano il normale svolgimento delle attività quotidiane. A seconda della
concomitanza o meno di questi due tipi di lesioni la valutazione convenzionale delle non pecuniary
losses in gioco operata dalle corti cambia notevolemente, facendo fluttuare in maniera consistente il
quantum debeatur solo in presenza di una loss or impairment of bodily integrity4.
A livello terminologico questo indirizzo delle corti trova una corrispondenza nella ormai consolidata suddivisione delle non pecuniary losses nelle voci di pain and suffering e loss of amenity of life5.
Normalmente il pain and suffering viene considerato unitariamente dalle corti inglesi, inteso come
il dolore e la sofferenza sofferti dalla vittima e valutati secondo quello che viene definito un subjective test, da cui discende che difficilmente verrà riconosciuto un risarcimento a questo titolo se il
1 Cfr. CJ. COCKBURN, in Fair v. London and North Western Rly Co, [1869] 21 LT 326, “In assessing the compensation the jury should
take into account two things; first, the pecuniary loss the plaintiff sustains by the accident; secondly, the injury he sustains in his person,
or his physical capacity of enjoying life”.
2 Cfr. LORD DIPLOCK, in Wright v. BRB, [1983] 2 Appeal cases, 773, House of Lords, “Non pecuniary losses are not susceptible of
measurement in money. Any figure at which the assessment of damages arrives cannot be other than artificial and, if the aim is that justice meted out to all litigants should be even-handed instead of depending on idiosyncracies of the assessor….The figure must be basically
a conventional figure derived from experence and from awards in comparable cases”.
3 Cfr. W.V.H. ROGERS, Non pecuniary losses under English Law, in W.V.H. ROGERS (a cura di), Non pecuniary losses in a comparative
perspective, Springer, Wien 2001, 54.
4 Cfr. J. MUNKMAN, Damages for personal injuries and death, 10th ed, Butterworths, London 1996, 114.
5 Per una ricognizione dettagliata delle componenti delle perdite non pecuniarie nel sistema inglese ed americano cfr. G. COMANDÉ,
Le non pecuniary losses in common law, in Riv. dir. civ., 1993, 453.
97
L. Di Bona De Sarzana
danneggiato non è in grado di percepire realmente il dolore (perché, ad es., ridotto in stato comatoso a seguito della lesione6). Sotto questa voce rientra anche la componente della loss of expectation
of life7 che, abrogata nell’accezione di indipendent cause of action dalla section 1 dello Administration
of Justice Act 1982, può solo rappresentare una parte del danno risarcibile ove la vittima sia in grado
o sarà in grado di comprendere la diminuzione della durata della vita a seguito delle lesioni subite.
Per converso la loss of amenity of life consiste nell’impossibilità di poter continuare a godere della
propria vita allo stesso modo in cui avveniva prima dell’incidente. Ai fini del risarcimento del danno
in questo caso viene fatto riferimento ad un objective test, rendendo così irrilevante la circostanza che
il danneggiato sia in grado di percepire la perdita subita o meno8.
Normalmente, e da un punto di vista pratico, questa distinzione risulta comunque irrilevante ed è
uso dei common lawyers d’oltre manica descrivere tanto l’oggettiva severità del danno quanto l’effettivo impatto della lesione sulla vittima con l’acronimo PSLA (pain and suffering – loss of amenity,
appunto, tenendo ben presente che è il secondo elemento ad incidere maggiormente sulla determinazione del quantum risarcito e che corrisponde, in una certa misura, al danno alla salute italiano)9.
La base in diritto di questa impostazione è da inviduarsi nel discorso di Lord Pearce in H West &
Son Ltd v. Shephard del 196410.
Come anticipato poco sopra, la valutazione complessiva delle PSLA è fortemente radicata, in
Inghilterra, su di un metodo comparativo tra decisioni giurisprudenziali che hanno trattato casi simili. Nel concreto le corti, partendo dalla fissazione di un valore massimo per i casi di lesioni più serie
(che attualmente è assestato intorno a £ 200,000), hanno costruito una sorta di tabellazione secondo
la gravità relativa dei casi trattati.
Il sistema, che può dirsi giunto a maturità solo in tempi recenti, ha iniziato ad assumere contorni
più definiti nel secondo dopo guerra su ispirazione di alcune pronunce della Court of Appeal11, in
concomitanza col declino, pressoché totale, dell’istituto della giuria nelle corti inglesi12.
Durante tutto il diciannovesimo secolo, infatti, ed in pratica fino alla prima metà del ventesimo, i
processi civili che trattavano questioni di risarcimento del danno a seguito di personal injuries si svolgevano di fronte ad una giuria: questo comportava evidentemente un certo grado di imprevedibilità
delle decisioni giurisprudenziali, da un lato; dall’altro, il sistema era strutturalmente incompatibile
con un progetto di uniformazione dei valori liquidati, poiché la giuria riceveva precise istruzioni sui
fattori rilevanti per la quantificazione del danno e tra questi non era possibile includere il riferimento ad altri casi, seppur aventi ad oggetto la stessa questione13.
6 Cfr. P. GILIKER, S. BECKWITH, Tort, Sweet & Maxwell, London 2001, 370. Nel 1995 la Law Commission ha definito il pain alla stregua di “the physical hurt or discomfort attributable to the injury itself or consequent on it”, mentre la componente del suffering consisterebbe in un “mental or emotional distress which the plaintiff may feel as a consequence of the injury: anxiety, worry, fear, torment, embarrassment and the like”, cfr. Law Commission Consultation Paper No. 257, Damages for personal injuries: non pecuniary loss (1995), paragrafo 2.10.
7 Su cui cfr. più diffusamente G. COMANDÉ, Le non pecuniary losses in common law, cit., 482.
8 Cfr. P. GILIKER-S. BECKWITH, Tort, cit., 371.
9 Cfr. W.V.H. ROGERS, Brevi note sulle non pecuniary losses nel Regno Unito, in Danno e resp., 2002, 1266.
10 “If a plaintiff has lost a leg, the court approaches the matter on the basis that he has suffered a serious physical deprivation, no matter what his condition or temperament or state of mind may be. That deprivation may also create future economic loss which is added to
the assessment. Past and prospective pain and discomfort increases the assessment. If there is loss of amenity apart form the obvious and
normal loss inherent in the deprivation of the limb – if, for instance, the plaintiff’s main interest in life was some sport or hobby from which
he will in future be debarred, that too increases the assessment. If there is a particular consequential injury to the nervous system, that also
increases the assessment…These considerations are not dealt with as separate items but are taken into account by the court in fixing one
inclusive sum for general damages”, LORD PEACE, in H West & Son Ltd v. Shephard, [1964] AC 326, [1963] 2 All ER 625.
I general damages sono quei danni che non necessitano di una specifica prova al momento della citazione in giudizio, come accade al
contrario per gli special damages, consistenti ad esempio nelle spese sostenute tra il verificarsi del sinistro ed il giudizio. Tra i general damages, rientrano invece i risarcimenti per non pecuniary losses, contintuing or permanent disability e la perdita della capacità lavorativa. Cfr.
K.M. STANTON, The modern law of tort, Sweet & Maxwell, London 1994, 249.
11 Cfr. ad es. LJ. ROMER, in Rushton v. National Coal Board, [1953] 1 QB 495, [1953] 1 All ER 314, “The only way in which one can
achieve anything approaching a uniform standard is by considering cases which have come before the courts in the pasts and seeing what
amounts were awarded in circumstances so far as may be comparable with the case which the court has to decide”.
12 Cfr. S. LLOYD-BOSTOCK-C. THOMAS, Decline of the “little parliament”: juries and jury reform in England and Wales, 62 Law &
Contemp. Prob. 7, 1999.
13 Cfr. M. LUNNEY-K. OLIPHANT, Tort law - Text and materials, Oxford University Press, Oxford 2000, 727.
98
L’evoluzione del modello inglese
Il passaggio dunque del contenzioso in materia di personal injuries sotto il potere decisionale di
giudici professionisti ha permesso la progressiva tendenza all’uniformazione dei livelli risarcitori che
caratterizza oggi il modello inglese.
Vari sono i fattori culturali che hanno fornito le basi per il funzionamento di questo meccanismo:
anzitutto non deve passare inosservato come tradizionalmente il common law “è quella famiglia giuridica in cui nella soluzione di un conflitto individuale il giudice si fonda sempre sull’interesse collettivo”14. Dato che spiega come le corti inglesi tendano all’implementazione di un sistema di scelte pubbliche decentrate, attraverso ad esempio l’uniformazione dei livelli risarcitori in casi di personal injuries.
Secondariamente, l’alta diffusione di Law Reports15 permette la circolazione costante di una incredibile quantità di informazioni relative ai risarcimenti per danni alla persona concessi sul territorio
inglese.
Date queste premesse sarebbe però errato ritenere che il sistema giudiziario anglosassone segua
rigidamente le rationes decidendi che circolano tra le corti, errore in cui si potrebbe facilmente incorrere anche in considerazione della centralità del formante giurisprudenziale nel sistema delle fonti
del diritto in common law.
In materia di quantificazione dei danni, infatti, il precedente non ha valore vincolante. Nel singolo caso da risolvere il giudice indirizza la ricerca comparativa di casi simili, ai fini di una valutazione
convenzionale delle personal losses, non verso specifici precedenti, ma semplicemente nella direzione di un livello medio e generalmente condiviso dei danni riconosciuti per un determinato tipo di
lesione16. Può accadere, ovviamente, che un caso pregresso fornisca una illustrazione particolarmente vicina alla decisione che il giudice deve adottare in concreto, ma questa attività ermeneutica non
si spinge fino alla rigida uniformazione.
L’eccezione alla regola del precedente trova inoltre ampia conferma nella flessibilità con cui le
corti inglesi riescono ad adattare il risarcimento alle circostanze del caso, operando importanti variazioni soprattutto sulla componente della loss of amenity of life in considerazione dell’età, sesso, professione e attività extra lavorative della vittima17, specie ove ricorrano lesioni più gravi.
Il sistema così descritto, se da un lato ha il pregio di conciliare flessibilità ed uniformità nei danni
alla persona risarcibili, dall’altro pecca di eccessiva frammentazione: è a questo punto che è possibile vedere come il sistema inglese, senza ricorrere alle vie ufficiali e istituzionali del parlamento, sia
comunque riuscito a garantire una gestione “accentrata” del contenzioso di personal injuries.
2. La Court of Appeal di Londra ed il sindacato sulle decisioni in materia di danni alla
persona.
Il successo di questo alto livello di standardizzazione è stato garantito, principalmente, dalla giurisprudenza della Court of Appeal, che ha sede a Londra.
Il fatto che quest’organo giudicante sia centralizzato in un solo luogo indubbiamente ha rappresentato il presupposto operazionale del ruolo di direzione che esso ha assunto durante gli anni, poiché, diversamente da come accade in altri paesi europei, il dato dimostra che i giudici che si occupano di personal injuries in sede di gravame sono relativamente pochi, con la conseguente possibilità di attuare delle policies senza il rischio di indirizzi giurisprudenziali “locali”18.
Sotto un altro aspetto, inoltre, la giurisprudenza della Court of Appeal (che gestisce gli appelli provenienti dalle corti di prima istanza, High Courts e County Courts) è contemporaneamente immune
14
Cfr. U. MATTEI, Common law, UTET, Torino 1991, 95.
Ad es., All England Law Reports, Weekley Law Reports, Halsbury’s Law Review and Current Law.
16 Cfr. J. MUNKMAN, Damages for personal injuries and death, cit., 188, “The Court looks for assistance in a difficult problem, not for an
inflexible pattern which would confine the courts within fixed limits”.
17 Cfr. J. MUNKMAN, Damages for personal injuries and death, cit., 125.
18 Cfr. W.V.H. ROGERS, Non pecuniary losses under English Law, in W.V.H. ROGERS (a cura di), Non pecuniary losses in a comparative perspective, cit., 66.
15
99
L. Di Bona De Sarzana
dai conflitti, anche questi ricorrenti in altri paesi europei, tra corti superiori. Il massimo organo giurisdizionale inglese, la House of Lords, raramente intraprende l’iniziativa nel dettare nuovi indirizzi
giurisprudenziali ove la Court of Appeal non sia già intervenuta, svolgendo soprattutto un ruolo di
conservazione dello status quo.
Questo per varie ragioni. In primo luogo la House of Lords, nella sua composizione di organo giudicante ove siedono i Law Lords19, sconta ancora oggi le conseguenze di una non compiuta distinzione fra potere legislativo e giudiziario. La funzione svolta da questa corte, infatti, pur essendo giurisdizionale nella sostanza, è ancora oggi legislativa nella forma: le opinioni dei Law Lords vengono
considerate discorsi parlamentari e la decisione viene data in forma legislativa dall’intera Camera
Alta, procedura che comporta uno scavalcamento del normale procedimento parlamentare e della
diversamente legittimata House of Commons20.
Secondariamente, in materia di personal injuries, è possibile addirittura individuare un vero e proprio atto di abdicazione della House of Lords nei confronti del potere decisionale della Court of
Appeal, in cui si riconosce che rientra nella competenza di quest’ultima fissare delle guidelines in
merito al livello medio dei risarcimenti per particolari tipi di lesioni21.
Il caso Wright v. British Railways Board è importante perché, mentre demanda alla Court of Appeal
il compito di indirizzare la giurisprudenza su questioni di risarcimento del danno alla persona, individua anche quelle che sono le linee guida ed i principi ispiratori di questa opera di direzione e razionalizzazione.
In particolare la House of Lords, la cui posizione è riassunta nell’opinione di Lord Diplock, in
Wright v. British Railways Board, auspicava che le guidelines della Court of Appeal fossero di facile
comprensione per permetterne un uso quanto più vasto possibile, conciliando però allo stesso tempo
l’imprescindibile necessità di risultare flessibili nella loro applicazione, al fine di adattare il risarcimento del danno alle caratteristiche del caso concreto22.
Ma se alla luce di queste considerazioni le guidelines non sembrano avere la forza cogente di una
rule of law, nella medesima decisione la House of Lords raccomandava altresì di modificare le guidelines solo ove fosse richiesto da risultanze del caso concreto di particolare rilevanza o da importanti
progressi nella scienza medica, con l’evidente obiettivo di rendere “prevedibili” le decisioni delle
corti e agevolare quindi la conclusione di accordi transattivi, riducendo così i costi di amministrazione dei casi di personal injuries23.
Date queste premesse, resta dunque da vedere come effettivamente la Court of Appeal riesca a
19 Giuristi tecnici, membri della Camera Alta ma non legittimati su base ereditaria come avviene per gli altri componenti della House
of Lords.
20 Cfr. U. MATTEI, Common law, cit., 107.
21 Lord Diplock in Wright v. British Railways Board [1983] 2 AC 773, [1983] 2 All ER 698, che è opportuno citare per esteso in alcuni punti: “…As regards assessment of damages for non-economic loss in personal injury cases, the Court of Appeals creates the guidelines
as to the appropriate conventional figure by increasing or reducing awards by judges for various common kind of injuries. Thus so called
brackets are established, broad enough to make allowance for circumstances which make the deprivation suffered by the individual plaintiff greater or less than in the general run of cases, yet clear enough to reduce unpredictability of what is likely to be the most important
factor in settlement of claims. Brackets may call for alteration not only to take account of inflation, for which they ought automatically to
be raised, but also, it may be, to take account of advances in medical science which may make particular injuries less disabling or advances in medical knowledge which may disclose hitherto unsuspected long term effects…”.
“…it is an important function of the Court of Appeal to lay down guidelines both as to the quantum of damages appropriate to compensate for various types of commonly occurring injuries and as to the rates of interest….such guidelines….should be simple and easy to
apply though broad enough to permit allowances to be made for special features of individual cases which make the deprivation to the
particular plaintiff greater or less than the general run of cases involving injuries of the same kind. Guidelines laid down by an appellate
court are addressed directly to judges who try personal injuries actions; but confidence that trial judges will apply them means that all those
who are engaged in settling out of court the many thousands of claims that never reach the stage of litigation or do not proceed as far as
trial will know very broadly speaking what the claim is likely to be worth…
“…A guideline as to quantum of conventional damages is not a rule of law nor is it a rule of practice. It sets no binding precedent; it
can be varied as circumstances change. But though guidelines should be varied if circumstances relevant change, too frequent alteration
deprives them of their usefulness in providing a reasonable degree of predictability and so facilitating settlement of claims without going
to trial…”
22 Cfr. J. MUNKMAN, Damages for personal injuries and death, cit., 186.
23 Cfr. K.M. STANTON, The modern law of tort, cit., 172.
100
L’evoluzione del modello inglese
perseguire questa politica di uniformazione nel risarcimento dei danni: sotto questo profilo è essenziale richiamare brevemente i presupposti per la riforma in appello delle decisioni di primo grado.
Tradizionalmente, i limiti della riforma in appello delle decisioni adottate da una giuria popolare
erano molto stringenti, cosicché la Court of Appeal si riservava il diritto di intervenire e ordinare un
nuovo processo per la trattazione del merito solo nel caso in cui il verdetto risultasse così manifestamente sproporzionato ed eccessivo da presumere che non potesse essere stato raggiunto in maniera
ragionevole dai 12 giurati24.
Per la riforma dei verdetti dei giudici togati, invece, si seguono delle regole più elastiche che permettono un più ampio margine di intervento della Court of Appeal, nonostante si deve sempre tenere presente che, poiché la quantificazione del danno risarcibile è una questione di merito, quest’ultima è comunque tendenzialmente poco incline a sostituirsi al giudice di primo grado.
In particolare, si afferma solitamente che l’appello avente ad oggetto la determinazione del quantum of damages non verrà accolto a meno che nella decisione di primo grado sia possibile riscontrare una errata e falsa applicazione di principi di diritto, da una parte, oppure, dall’altra, se il risarcimento del danno sia così manifestamente sproporzionato (in eccesso o in difetto) da evidenziare un
chiaro errore di valutazione25.
È evidente come sia il secondo requisito quello che permette alla Court of Appeal di intervenire in
maniera più incisiva fissando le guidelines caldamente auspicate dalla House of Lords in materia di
danni alla persona.
In realtà la dottrina considera anacronistico l’inordinately high or low test, e sottolinea come nella
pratica attuale la Court of Appeal riconosca che all’interno di uno spazio di manovra ragionevolmente ampio la quantificazione del danno è una questione che spetta risolvere al trial judge, riservandosi per converso un incisivo potere di riforma laddove il verdetto del giudice non rientri all’interno di
un reasonable range26.
Il fatto che il risarcimento, a seconda del caso, possa essere qualificato come troppo alto o troppo
basso presuppone così che ci sia uno standard medio. Standard che viene fissato evidentemente dai
giudici della Court of Appeal in base alla loro esperienza e alla loro percezione di quello che è un
risarcimento giusto e ragionevole per un particolare tipo di lesione.
La definizione posta in questi termini pecca senz’altro di eccessiva vaghezza e non è quindi un caso
che, ormai da più di un decennio, l’attività di uniformazione della Court of Appeal è stata affiancata
da uno strumento di grande praticità e concretezza.
3. Guidelines for the Assessment of General Damages in Personal Injuries Cases
Nel 1990, all’interno dello Judicial Studies Board, autorevole istituto della magistratura britannica,
venne costituito un gruppo di lavoro guidato dal giudice Roger Cox con l’intento di redigere delle
Guidelines for Assessment of General Damages in Personal Injuries Cases.
Il progetto nacque dalla constatazione della difficile gestione del materiale giurisprudenziale ai fini
della determinazione del risarcimento delle personal losses: se è vero, infatti, che alla data di inizio dei
lavori il metodo “comparativo” di ricerca dei casi simili era ormai largamente seguito dalle corti, il
reperimento in concreto di queste informazioni presentava delle difficoltà non trascurabili. Troppi
case reports, disseminati tra diverse pubblicazioni, e soprattutto su troppi casi, tanto che spesso l’interprete è in difficoltà a spingere la ricerca oltre alcune somiglianze superficiali (a discapito, così, di
una riparazione del danno che tenga conto per quanto possibile della effettiva incidenza della lesione sulla vita del danneggiato, forse uno degli aspetti più importanti da considerare, specie nel caso
di macropermanenti).
24
Mechanical and General Inventions Co and Lehwess v. Austin & Austin Motor Co, [1935] AC 346.
Nance v. British Coumbia Electric Rly Co. Ltd, [1951] AC 601, [1951] 2 All ER 448. “The judge has applied a wrong principle of
law […] or the amount awarded is so inordinately low or so inordinately high that it must be a wholly erroneous estimate of the damage”.
26 Cfr. J. MUNKMAN, Damages for personal injuries and death, 178.
25
101
L. Di Bona De Sarzana
Nel 1992 il gruppo di lavoro presentò la prima edizione delle Guidelines, destinate fin da subito
ad una distribuzione su larga scala che coprisse tanto il corpo giudicante, quanto gli avvocati ed i soggetti comunque coinvolti come gli assicuratori.
Emblematicamente, lo scopo delle Guidelines è “to distil the conventional wisdom contained in the
reported cases, to supplement it from the collective experience of the working party and to present the
result in a convenient, logical and coherent form”27.
La raccolta, che si presenta davvero come un distillato dei voluminosi law reports, si divide in 9
capitoli ordinati per categorie: Injuries involving Paralysis, Head Injuries, Psychiatric Damage, Injuries
affecting the Senses, Injuries to Internal Organs, Orthopaedic Injuries, Facial Injuries, Scarring to the
other parts of the body, Damage to Hair.
Ciascuno di questi nove capitoli è poi suddiviso in sottocategorie intitolate alla funzione corporea
o all’organo danneggiato; contengono una descrizione analitica dei postumi organizzati secondo una
scala di gravità; i valori liquidati vengono generalmente indicati in un range che va da un minimo ad
un massimo, fornendo un range per ogni grado di gravità dei postumi.
Queste griglie ben evidenziano la volontà di garantire un risarcimento quanto più possibile integrale e onnicomprensivo, specie nei casi di lesioni più gravi, unitamente all’intento di lasciare all’interprete un margine decisionale piuttosto ampio laddove maggiori e variegate possono essere le
ripercussioni sulla vita quotidiana.
Ad esempio, un caso di quadriplegia viene valutato dalle Guidelines come meritevole di un risarcimento che varia tra £ 150,000 e £ 200,000, e come fattori guida per orientare l’esatto ammontare
dei danni vengono indicati: a) l’estensione di una residua capacità di movimento; b) la presenza ed il
grado di intensità del dolore eventualmente patito; c) lo stato di depressione della vittima; d) l’età e
l’aspettativa di vita.
I danni al sistema nervoso centrale sono organizzati invece seguendo una scala di gravità della
lesione riportata:
a) very severe brain damage (£ 136,000 – £ 200,000);
b) moderately severe brain injury (£ 107,000 – £ 136,000);
c) moderate brain damage (£ 20,000 – £ 107,000);
d) minor brain damage (£ 7,500 – £ 20,000).
Da quest’ultimo esempio si evince piuttosto chiaramente che, in caso di lesioni gravi, partendo da
una valutazione oggettiva dei postumi, il range dei danni risarcibili tiene conto di una oscillazione dei
valori liquidabili in modo da soddisfare nella maniera più puntuale le esigenze del caso concreto;
l’ampiezza del range (o bracket, se si preferisce) aumenta al diminuire della gravità della lesione, proprio in considerazione del fatto che, nonostante i postumi all’integrità pisco-fisica siano meno seri,
per un determinato danneggiato la lesione subita potrebbe comunque essere altamente invalidante28
(è il caso della lettera c).
Questo adattamento al caso concreto diventa sempre più ampio in caso di lesioni che non comportano alcuna diminuzione delle funzioni vitali ma che, in base alla loro relativa gravità, possono
comunque alterare drasticamente la normalità della vita quotidiana: è il caso ad esempio delle facial
injuries, dove il sesso della vittima, la sua età ed un test soggettivo di adattamento alle mutate condizioni fisiche giocano un ruolo predominante estendendo il range, sempre secondo una scala di gravità dei postumi, tra un minimo di circa £ 1,000 ed un massimo di £ 42,500.
La pubblicazione e diffusione delle Guidelines dello Judicial Studies Board ha indubbiamente rivoluzionato la pratica del contenzioso di personal injuries nelle corti inglesi: la necessità di aggiornare
in maniera quasi alluvionale i Law Reports è praticamente cessata, dal momento che le Guidelines
forniscono in maniera piuttosto attendibile le informazioni di cui hanno bisogno danneggiati, convenuti e giudici per la risoluzione del caso in giudizio o per addivenire ad accordi stragiudiziali.
27 Cfr. la prefazione alla prima edizione di Lord Donaldson of Lymington. Le Guidelines vengono solitamente aggiornate con una
cadenza biennale, sempre a cura dello Judicial Studies Board, e pubblicate presso la Blackstone Press di Londra.
28 Esemplificativa, ancora una volta, un’affermazione di Lord Donaldson of Lymington nella prefazione alle Guidelines del 1992: “Yet
whilst no two cases are ever precisely the same, justice requires that there be consistency between awards”.
102
L’evoluzione del modello inglese
Più razionalmente i Case Reports sono così dedicati quasi esclusivamente alle decisioni delle corti
superiori, avendo cura in particolare di quelle questioni che riformano parzialmente le Guidelines o
che sono caratterizzate da un particolarmente utile valore illustrativo e descrittivo29.
Se quindi da una parte le Guidelines for the Assessment of General Damages in Personl Injuries
Cases hanno notevolmente semplificato e concretizzato la funzione di controllo dei valori liquidati
spettante alla Court of Appeal, dall’altra hanno dotato di maggiore autorevolezza le decisioni della
stessa, specie ove quest’ultima ritenga opportuno introdurre dei cambiamenti nelle guidelines.
In questo senso si può dire che la collaborazione (implicita) tra i due organi è totale, anche perché per espressa ammissione degli autori, le Guidelines mirano semplicemente a divulgare quale sia
il livello medio dei danni risarciti al momento della pubblicazione, senza alcuna pretesa di suggerire
quale dovrebbe essere invece il livello ottimale dei danni risarcibili.
4. Le valutazioni della Law Commission on Law Reform
Di questo tipo di valutazioni si occupa, più propriamente, la Law Commission, un organo istituito nel 1965 dal Law Commission Act con lo specifico intento di promuovere la riforma del diritto.
Nel 1999 la Law Commission ha pubblicato uno studio, che ha avuto una certa risonanza nel panorama giuridico inglese, in cui si cercava di dare risposta a due fondamentali quesiti: se il livello dei
danni risarciti dai giudici inglesi fosse adeguato; e quali meccanismi dovessero essere adottati per
rendere effettivo un eventuale innalzamento dei valori liquidati30.
La risposta data nello studio al primo quesito lanciò un forte segnale: i 2/3 dei professionisti e studiosi interpellati sul punto ritenne che le somme liquidate in caso di lesioni più gravi fossero sostanzialmente al di sotto di un giusto livello di riparazione, e che per converso spesso le somme concesse come ristoro per trivial injuries erano troppo alte31.
Oltre a registrare questa critica, la Law Commission nello studio evidenziò inoltre come “the views
of society as a whole should influence the level of damages for non-pecuniary loss in personal injury
cases”32.
Proprio nell’intento di adattare maggiormente il risarcimento del danno alla persona al comune
sentire della società la Law Commission fece ricorso ad una indagine statistica, sottoponendo ai soggetti intervistati diversi casi di lesioni più o meno gravi in modo da sondare quale somma fosse convenzionalmente ritenuta più opportuna ai fini della riparazione.
Lo studio giunse così ad una doppia conclusione: da una parte, suggerì che i damages for non-pecuniary loss for serious personal injury dovessero subire un incremento compreso tra 1,5 e 2 volte i valori attuali; dall’altra, rilasciò anche una definizione piuttosto ampia di serious personal injury, individuandola ogni qual volta i damages for non-pecuniary loss per la lesione subita fossero superiori a £
3,00033.
Quanto ai meccanismi ritenuti più opportuni per arrivare a questi cambiamenti nella legge, la Law
Commission giunse alla ferma opinione che i soggetti istituzionali più adatti a promuovere un simile
cambiamento fossero le corti superiori, e quindi la Court of Appeal e la House of Lords. Vennero contemporaneamente scartate le ipotesi di intervenire attraverso tabelle legislative (considerate troppo
rigide), nonché di creare un Compensation Advisory Board, in considerazione del rischio di eccessiva
dipendenza dalle compagnie di assicurazione34 e della scarsa autorevolezza di eventuali direttive35.
29
In questo senso vedi ad es. il Personal Injury and Quantum Reports (PIQR).
The Law Commission, Damages for Personal Injury: Non-Pecuniary Loss, Law Commission Consultation Paper No. 257 (1999).
31 Law Commission Consultation Paper No. 257, cit., 23.
32 Law Commission Consultation Paper No. 257, cit., 28.
33 Law Commission Consultation Paper No. 257, cit., 34.
34 In questo senso cfr. W.V.H. ROGERS, Non pecuniary losses under English Law, in W.V.H. ROGERS (a cura di), Non pecuniary losses
in a comparative perspective, cit., 67.
35 Law Commission Consultation Paper No. 257, cit., 85.
30
103
L. Di Bona De Sarzana
5. La risposta della Court of Appeal. Policy, circolazione delle informazioni ed efficienza del sistema
La risposta della Court of Appeal alle istanze della Law Commission non tardò ad arrivare e fu rilasciata con l’occasione di un giudizio vertente su ben otto appelli collegati tra loro nella decisione Heil
v. Rankin36.
Nella sentenza, Lord Woolf M.R. (Master of the Rolls) propose di operare un incremento dei valori liquidabili in una misura più modesta rispetto a quella proposta dalla Law Commission.
Nell’intento quindi di approssimare il risarcimento del danno a livelli che fossero “fair, reasonable
and just” Lord Woolf nella sua opinione ritenne equo incrementare the quantum of damages secondo un coefficiente progressivo, variabile tra un massimo di 1/3 dei valori allora correnti fino ad un
incremento pari a 0 nel caso in cui il danno risarcito fosse inferiore alle £ 10,000.
Almeno apparentemente, come è possibile leggere nella opinion di Lord Woolf37, la motivazione
principale dell’intervento, configurato in questi termini, della Court of Appeal sulle Guidelines for the
Assessment of General Damages, fu quello di assicurare un risarcimento più appropriato ai soli casi
di lesioni più serie, tentando invece in maniera piuttosto radicale di escludere dall’incremento le
micro-lesioni (statisticamente, le più numerose).
In realtà la decisione Heil v. Rankin evidenzia come la Court of Appeal sia in grado di stabilire veri
e propri indirizzi di policy nell’ambito delle personal injuries.
La soglia sotto la quale l’incremento è stato negato (£ 10,000) risulta infatti ben più alta del valore di £ 3,000 in cui la Law Commission aveva individuato una serious personal injrury, col risultato di
limitare l’impatto della decisione ed escludere un consistente numero (in realtà, la parte maggioritaria) di azioni legali per lesioni di lieve entità dal cambiamento38. La presa di posizione della Court of
Appeal in questo senso, attuando una scelta politica a livello decentrato, ha tenuto in seria considerazione il pericolo di un incremento dei premi assicurativi nel caso in cui le indicazioni della Law
Commission fossero state seguite in maniera puntuale; ed effettivamente, l’Association of British
Insurers ha confermato che, all’indomani di Heil v. Rankin, l’incremento dei premi assicurativi avrebbe raggiunto al massimo il 10%39.
Quest’ultimo intervento della Court of Appeal dimostra come il modello inglese di risarcimento
delle personal injuries sia stato in grado di raggiungere un apprezzabile livello di efficienza ed interazione nel dialogo tra gli attori in gioco.
L’elemento della circolazione delle informazioni40, che poggia sulla diffusione dei Law Reports e,
da ultimo, sulla pubblicazione periodica delle Guidelines dello Judicial Studies Board, è stato senz’altro fondamentale nel rendere effettivo, autorevole ed attendibile il controllo sui valori liquidati esercitato dalla Court of Appeal.
La prevedibilità delle decisioni in materia di personal injuries agevola così il ricorso a procedure
stragiudiziali di conciliazione, tenendo contemporaneamente basso il livello dei premi assicurativi,
dal momento che gli assicuratori sono appunto in grado di fare delle previsioni di mercato piuttosto
attendibili.
Al vertice della struttura del personal injuries case management il modello inglese sembra dunque
36
Heil v. Rankin [2000] PIQR Q187.
“We are satisfied that it is in the case of the most catastrophic injuries that awards are most in need of adjustment and that the scale
of adjustment which is required reduces as the level of existing awards decreases. At the highest level, we see a need for the awards to be
increased by in the region of one third. We see no need for an increase in awards which are at present below £ 10,000. It is our view that
between those awards at the highest level, which requires an upwards adjustment of one third, and those awards where no adjustment is
required, the extent of the adjustment should taper downwards as illustrated by our decisions on the individual appeals”, per Lord Woolf
M.R., Heil v. Rankin [2000] PIQR Q187.
38 Lo stesso danneggiato di fronte alla Court of Appeal, Heil, perse il ricorso in quanto il risarcimento per la lesione riportata cadeva
al di sotto della soglia di £ 10,000.
39 Cfr. P. GILIKER-S. BECKWITH, Tort, cit., 371.
40 Cfr. G. COMANDÉ, Towards a better use of information in personal injury damages, in AA.VV., Pierre Widmer Liber Amicorum,
Springer, Wien 2002.
37
104
L’evoluzione del modello inglese
aver raggiunto un equilibrio ottimale, sotto l’egida della funzione di controllo della Court of Appeal.
Non mancano, ovviamente, critiche sulle ingiustizie a tutt’oggi presenti all’interno del sistema di
responsabilità civile41, che si appuntano soprattutto sui costi di gestione del sistema e sul limitato
numero di soggetti danneggiati che ottengono un risarcimento attraverso le tradizionali regole di
common law rispetto alla totalità degli infortunati.
Tuttavia, è lecito supporre che, anche alla luce di alcuni recenti interventi di procedura civile42, il
know how acquisito al vertice del sistema in materia di damages for personal injuries si stia progressivamente diffondendo, alla base, tra i soggetti realmente interessati ai risarcimenti, tanto nella veste
di danneggiati quanto in quella di danneggianti; con l’inevitabile risultato di esportare l’esperienza
acquisita nella valutazione convenzionale delle non pecuniary losses all’interno di altri meccanismi
risarcitori.
41 Cfr. P.S. ATIYAH, The damages lottery, Hart Publishing, Oxford 1997; ID., Tort law and the alternatives: some anglo-americans comparisons, 1987 Duke L.J. 1002.
42 Civil Procedure Rules 1999, fortemente volute da Lord Woolf, che hanno introdotto numerose regole tese a sviluppare un processo per il risarcimento dei danni di natura “collaborativa”, riformando parzialmente la tradizionale concezione dell’adversary trial. Cfr. inoltre F.J. HOLDING, The challenge of personal injuries to Medicine, Law and Economy, in AA.VV., Damages for personal injuries - A European
Perspective, a cura di F.J. HOLDING e P. KAYE, Chancery Law Publishing, London 1998.
105
Il modello spagnolo e le sue incongruenze
L. NOCCO
SOMMARIO: 1. Incertezze e sperequazioni: dal Sistema SEAIDA ’91… 2... alla Ley de ordenación y de supervisión de los seguros privados (30/1995). 3. Le tabelle della Ley 30/1995 e il
dibattito sulla loro incostituzionalità. 4. Ipotesi specifiche di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale alla persona. 5. In particolare: il danno biologico e il danno morale.
1. Incertezze e sperequazioni: dal Sistema Seaida ’91…
Un volume che oggi voglia occuparsi del tema del danno alla persona non può prescindere almeno dal dedicare un paragrafo all’esperienza spagnola. Le innovazioni che tale ordinamento ha affrontato negli ultimi anni sono, infatti, particolarmente profonde ed interessanti sul piano della comparazione, offrendo spunti di riflessione validi anche per il sistema italiano.
Esula dalle finalità di questa trattazione soffermarsi in una prolungata descrizione del sistema giuridico spagnolo, di cui ci si limiterà a tratteggiare gli aspetti salienti maggiormente rilevanti ai fini,
che qui interessano, del risarcimento dei danni alla persona.
Fra gli aspetti che merita sottolineare si ricorda in primis l’estrema variegatezza ed imprevedibilità – che si riscontrano ancora adesso – delle poste risarcitorie liquidate dai Giudici, sovente anche a
parità di condizioni1. La ragione sottostante questo stato di cose è da ricercare in primo luogo nella
prassi consolidata di non indicare analiticamente le diverse voci di danno, ma di liquidare somme forfetarie a risarcimento globale dell’intero pregiudizio sofferto2.
A ciò si aggiunga il radicato convincimento che la valutazione dei danni costituisca quaestio facti,
incensurabile in sede di legittimità o di seconde cure salvo casi di violazione della legge o della ragionevolezza e della prudenza3. Al riguardo, tuttora esiste un contrasto giurisprudenziale fra l’opinione
della prima Sala del Tribunal Supremo, orientata nel senso di escludere la censurabilità in sede di
1 Su questo problema, in lingua italiana, si vedano G. COMANDÉ, Risarcimento del danno alla persona e alternative istituzionali,
Giappichelli, Torino, 1999, 206 ss e, più di recente, M. MARTÍN CASALS, Risarcimento per danno alla persona in Spagna, in Danno resp.,
2002, 1261 ss., cui adde ID., An Outline of the Spanish Legal Tariffication Scheme for Personal Injury Resulting from Traffic Accidents, in H.
KOZIOL-J. SPIER (eds.), Liber Amicorum Pierre Widmer, Springer, Wien-New York, 2003, 235 e M. MEDINA CRESPO, Los principios que
inspiran la regulación de las indemnizaciones básicas por causa de muerte, en el sistema de la Ley 30/95, in J.A. MORENO MARTINEZ (coord.),
Perfiles de la Responsabilidad Civil en el nuevo milenio, Dykinson, Madrid, 2000, 379 s., che parla di “criterios dispersos, desvaídos, abstraídos, ilusorios e incoherentes de cuantificación”.
Non è molto recente, ma ugualmente significativa, l’espressione “lotería” usata informalmente dagli AA. del report spagnolo per descrivere i livelli di risarcimento del danno alla persona in Spagna in D. MCINTOSH-M. HOLMES, Indemnizaciones por lesiones personales en los
paises de la C.E.E., trad. spagnola, Editorial Colex, Madrid, 1992, 22. Si veda, inoltre, ibidem, 27 ss. per alcuni schemi comparativi circa il
risarcimento di diverse ipotesi di danno alla persona nei vari paesi dell’allora C.E.E. Nonostante la risalenza dei dati, che risentono anche
di un quadro economico spagnolo da allora profondamente mutato, sembrano tuttora di attualità i livelli risarcitori estremamente bassi a
confronto degli altri ordinamenti e l’evidente variabilità degli stessi (sul punto, cfr. ibidem, 46).
2 In questo senso, porre termine a questa consuetudine potrebbe essere molto più funzionale della tabellazione allo scopo di garantire la certezza dei risarcimenti. Sul punto, cfr. P.M. PUTTI, La legge spagnola sulla responsabilità civile e l’assicurazione dei veicoli a motore: primi bilanci di una esperienza controversa, in Resp. civ. prev., 1999, 264. Il Tribunal Constitucional si occupò del problema già nella sentenza n. 78 del 13 giugno 1986 (in Boletín Oficial del Estado n. 159), nella quale una sentenza che aveva concesso al danneggiato un risarcimento globale, pur in presenza di una domanda giudiziale formulata in modo dettagliato, fu ritenuta in contrasto con l’art. 24, 1° comma
Cost. spagnola in tema di diritto alla tutela giudiziale dei diritti.
3 J. PINTOS AGER, Baremos, working paper n. 12 pubblicato sulla rivista elettronica InDret (www.indret.com), gennaio 2000, 3, collega questa regola all’esigenza di ridurre un livello di contenzioso che, stante l’imprevedibilità dei criteri di quantificazione del danno, altrimenti raggiungerebbe livelli insopportabili.
107
L. Nocco
legittimità dell’accertamento sia dell’an debeatur che del quantum debeatur, salvo errore materiale o
giuridico nella valutazione delle prove, e la convinzione della seconda Sala della possibilità perlomeno di sindacare la quantificazione del danno4.
Si segnala altresì la tendenza delle Corti d’Appello a non occuparsi della quantificazione operata
dai Giudici di prima istanza ed a rinviarla al giudizio di esecuzione5. Infine, esiste una molteplicità
di autorità giudiziarie astrattamente competenti per ciascun tipo di danno: ciascuna di esse segue
propri orientamenti ed applica regole processuali differenti6.
Proprio al fine di ridurre l’incertezza ed evitare sperequazioni fra casi analoghi7, risale al 1991 il
primo tentativo, promosso dal Ministero dell’Economia e della Finanza, di tabellazione nazionale per
la quantificazione dei danni alla persona derivanti da sinistro stradale8. Questo sistema di tariffe
avrebbe dovuto essere applicato uniformemente su tutto il territorio nazionale, pur essendo puramente indicativo, nel senso che poteva essere derogato in sede di liquidazione9. Quest’ultima caratteristica, che avrebbe condotto al fallimento di questo esperimento normativo, fu probabilmente indotta per evitare censure di incostituzionalità, come confermerà in seguito la vicenda della Ley 30/199510
e come insegna lo stesso dibattito italiano in tema di quantificazione del danno alla salute11.
Nonostante il periodico aggiornamento degli importi negli anni successivi, tuttavia, continuarono
a registrarsi significative divergenze nel quantum liquidato – anche a causa del timore dei giudici di
perdere la grande discrezionalità nella determinazione dell’entità del danno –, che indussero ad un
4 F. PANTALEÓN PRIETO, Comento sub art. 1902 c.c., in Comentario del Codigo Civil dirigido por C. Paz-Ares Rodríguez, L. Díez-Picazo
Ponce de León, R. Bercovitz, P.S. Coderch, Ministerio de Justicia, Madrid, 1993, 1992 s.
5 Per tutte queste considerazioni si veda M. MARTÍN CASALS, Risarcimento per danno alla persona in Spagna, cit., 1261 e ID., An
Outline of the Spanish Legal Tariffication Scheme for Personal Injury Resulting from Traffic Accidents, cit., 235 s. In giurisprudenza STS 6
maggio 1997 (RJ 1997/3866); STS 11 luglio 1997 (RJ 1997/5605); STS 19 aprile 1999 (RJ 1999/2588); STS 12 luglio 1999 (RJ 1999/4772).
6 P.S. CODERCH-S. RAMOS GONZÁLEZ-Á. LUNA YERGA-J.A. RUIZ GARCÍA, El Derecho Español de Daños Hoy: Características
Diferenciales, in 3 Global Jurist Topics, 2003, 1 ss. e M. PAZ GARCÍA RUBIO-J. LETE-F. GÓMEZ ABELLEIRA-C. REGUEIRO FERREIRO, The
Impact of Social Security Law on Tort Law in Spain, in U. MAGNUS (ed.), The Impact of Social Security Law on Tort Law, Springer, WienNew York, 2003, 167, che richiamano la maggiore “generosità” delle corti civili rispetto a quelle del lavoro. Tutto ciò conduce inevitabilmente chi agisce in giudizio a chiedere di più di quanto esso stesso ritenga di avere diritto a ricevere. Sul punto ibidem, 171, M. PALLARES,
in D. MCINTOSH-M. HOLMES, Indemnizaciones por lesiones personales en los paises de la C.E.E., 208 e C. GÓMEZ LIGÜERRE-F.A. MUNTANER
BATLE, ¿Quién da más?, working paper n. 256 pubblicato sulla rivista elettronica InDret (www.indret.com), novembre 2004. Sempre in
argomento, amplius, C. GÓMEZ LIGÜERRE, Jurisdicción competente en pleitos de responsabilidad civil extracontractual, ibidem, aprile 2001.
Da ultimo, P.S. CODERCH-C. GÓMEZ LIGÜERRE, El derecho de daños y la minimización de los costes de los accidentes, working paper n. 275
pubblicato sulla rivista elettronica InDret (www.indret.com), febbraio 2005, 11 ricordano il problema che “se platea cuando un mismo accidente ha sido causato o sufrido por sujetos que acumulan más de uno de los criterios de distinción contemplados en la ley”, ossia quando un
illecito può essere astrattamente conoscibile da più di una giurisdizione.
7 Effetti indesiderati dell’aleatorietà dei risarcimenti, che vanno ad aggiungersi, secondo J. PINTOS AGER, Baremos, cit., 3 s., alla riduzione dell’efficacia deterrente del tort system, alle distorsioni provocate al settore assicurativo, alla lentezza dei processi con conseguente
incremento dei costi amministrativi.
8 C.d. Sistema SEAIDA ’91 dal nome della “Sezione Spagnola della Associazione Internazionale di Diritto delle Assicurazioni”. Già nel
1986, peraltro, il Ministero dell’Economia e della Finanza era stato delegato ad emanare tabelle per il risarcimento dei danni alla persona
mentre, nel settore degli indennizzi ai mutilati di guerra, un primo “manual de valoración de daños personales” vide la luce nel 1984. Sulla
gestazione e la successiva applicazione del sistema SEAIDA ’91 si veda P.M. PUTTI, La legge spagnola sulla responsabilità civile e l’assicurazione dei veicoli a motore: primi bilanci di una esperienza controversa, cit., 257 s.
9 Sul punto cfr. M. MARTÍN CASALS, Risarcimento per danno alla persona in Spagna, cit., 1261 s., ID., An Outline of the Spanish Legal
Tariffication Scheme for Personal Injury Resulting from Traffic Accidents, cit., 236 s., G. COMANDÉ, Risarcimento del danno alla persona e
alternative istituzionali, cit., 207 s. e E.V. DOMINGO, La Corte costituzionale spagnola sulle tabelle dei danni alla persona, in Danno resp.,
2001, 23.
10 Sulla quale si veda sin d’ora F. PANTALEÓN PRIETO, De nuevo sobre la incostitucionalidad del Sistema para la valoración de los daños
personales de la Ley sobre la responsabilidad civil y seguro de vehículos a motor, in La Ley, 1997, 2080 e, in lingua italiana, J. BATALLER GRAU,
La riforma del diritto delle assicurazioni in Spagna: la nuova legge 8/11/1995 n. 30 sull’Ordinamento e Vigilanza delle assicurazioni private,
in Dir. econ. assic., 1996, 505 ss.
11 Come la Corte di Cassazione ha lumeggiato, infatti, la liquidazione è “da orientare in rapporto ai caratteri specifici del caso concreto” (Cass. 13 gennaio 1993, n. 357, in Riv. it. med. leg., 1995, 247 ss. In senso conf., Cass. 18 febbraio 1993, n. 2009, in Resp. civ. prev.,
1993, 268 ss., con nota di G. COMANDÉ, Il danno alla salute come figura principe di danno non reddituale, Cass. 13 aprile 1995, n. 4255, in
Resp. civ. prev., 1995, 521 ss., con nota di G. PONZANELLI, La Corte di Cassazione e il criterio equitativo nella valutazione del danno alla
salute, Cass. 15 settembre 1995, n. 9725, in Resp. civ. prev., 1996, 319 ss., Cass. 16 settembre 1995, n. 9772, in Giust. civ., Mass., 1995,
1651), ed inoltre, come ricordato dalla dottrina, mentre “la lesione dell’interesse e la perdita del bene devono ritenersi uguali per tutti i danneggiati, non altrettanto può dirsi per le conseguenze dannose” (E. NAVARRETTA, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Giappichelli,
Torino, 1996, 112).
108
Il modello spagnolo e le sue incongruenze
nuovo intervento di riforma, caratterizzato per un’incisività di gran lunga maggiore, a partire dallo
strumento utilizzato, una fonte legislativa.
2. ...alla Ley de ordenación y de supervisión de los seguros privados (30/1995)
Con la Ley de ordenación y de supervisión de los seguros privados (LOSSP) dell’8 novembre 199512
viene introdotto, dunque, un sistema obbligatorio di tariffe per il risarcimento del danno alla persona, caratterizzato per un’estrema capillarità delle previsioni13 e per una quasi generalizzata applicabilità14, sebbene limitatamente alla r.c. auto15.
Fra gli aspetti salienti della disciplina non può non menzionarsi in primis la distinzione fra danno
alla persona, danno patrimoniale e danno non patrimoniale, conformemente alla nostra figura del
danno alla salute, distinzione che nella pratica perde di importanza nel momento in cui si sottopongono tutti e tre i danni alla medesima tabellazione16.
Per quanto concerne nello specifico la disciplina della Ley 30/1995, deve ricordarsi l’applicazione
delle medesime regole circa il concorso di colpa tanto ai soggetti capaci d’agire, quanto agli incapaci17, regime che ha provocato alcune critiche da parte della dottrina18 che avrebbe preferito la creazione di un sistema di vittime “privilegiate” sulla scorta dell’esperienza francese della “Loi Badinter”.
Si deve ricordare, tuttavia, che tale sistema si pone in totale continuità con la disciplina generale della
responsabilità civile spagnola, che tendenzialmente non prevede eccezioni all’agire della regola del
concorso di colpa del danneggiato19.
La liquidazione del danno avviene di norma nella prassi giurisprudenziale con una somma forfetaria20, nonostante la possibilità conferita in ogni momento alle parti di concordare – nonché al
12 Si vedano anche il successivo regolamento emanato il 12 gennaio 2001 (sul quale F. GÓMEZ POMAR-B. ARQUILLO COLET,
Anotaciones al Reglamento sobre la responsabilidad civil y seguro en la circulación de vehículos a motor, aprobado por Real Decreto 7/2001,
de 12 de enero, working paper n. 46 pubblicato sulla rivista elettronica InDret (www.indret.com), gennaio 2001) e la Ley 34/2003 (sulla
quale Á. LUNA YERGA-S. RAMOS GONZÁLEZ, Accidentes de la circulación más baratos para el causante y más caros para la víctima, working
paper n. 188 pubblicato sulla rivista elettronica InDret (www.indret.com), gennaio 2004), modificativa della LOSSP.
13 In particolare, l’allegato alla legge consta di 11 criteri e 6 tabelle per il risarcimento in caso di morte, disabilità permanente e temporanea, comprensive di “valori di liquidazione di base” e “fattori correttivi”.
14 Se si eccettuano i danni derivanti da illecito doloso, esclusione giudicata da parte della dottrina (P.M. PUTTI, La legge spagnola sulla
responsabilità civile e l’assicurazione dei veicoli a motore: primi bilanci di una esperienza controversa, cit., 265) “del tutto irragionevole” poiché, in estrema sintesi, sbilancerebbe il risarcimento sul versante della deterrence. È necessario ancora ricordare che l’applicazione del regime di responsabilità oggettiva è limitata ai soli danni alla persona, con esclusione degli eventuali danni a cose (a proposito, P.M. PUTTI, La
legge spagnola sulla responsabilità civile e l’assicurazione dei veicoli a motore: primi bilanci di una esperienza controversa, cit., 265 si interroga anche sulla possibile illegittimità costituzionale della norma). L’applicabilità pressoché esaustiva costituirebbe un errore a giudizio di
E.V. DOMINGO, La Corte costituzionale spagnola sulle tabelle dei danni alla persona, cit., 23 s., giacché “sussistono danni che per la loro stessa natura possono e devono essere soggetti alla tabellazione, mentre altri sempre per la loro stessa natura non possono né devono esserlo”.
15 L’intervento in questo settore non fu dettato solo dal suo altissimo tasso di sinistralità (si vedano i dati offerti da F. GÓMEZ POMAR,
Coches y accidentes (I): la posición del Tribunal Supremo, working paper n. 22 pubblicato sulla rivista elettronica InDret (www.indret.com),
2/2000, 1 s.), ma anche dalle pressioni delle compagnie di assicurazione. Sul punto E.V. DOMINGO, La Corte costituzionale spagnola sulle
tabelle dei danni alla persona, cit., 23. Si veda anche E. PAVELEK ZAMORA, Il futuro della responsabilità civile nella prospettiva dell’assicurazione in Spagna, in Dir. econ. assic., 2001, 1055 ss. e J. PINTOS AGER, Efectos de la baremación del daño sobre la litigiosidad, working paper
n. 131 pubblicato sulla rivista elettronica InDret (www.indret.com), aprile 2003, 3 e 5, che sottolinea lo scarso dibattito sui fini dell’intervento legislativo precedente all’entrata in vigore della legge.
16 M. MARTÍN CASALS, An Outline of the Spanish Legal Tariffication Scheme for Personal Injury Resulting from Traffic Accidents, cit.,
238 e 245.
17 Cfr. M. MARTÍN CASALS, Risarcimento per danno alla persona in Spagna, cit., 1264 s., ID., An Outline of the Spanish Legal
Tariffication Scheme for Personal Injury Resulting from Traffic Accidents, cit., 238 s. e G. COMANDÉ, Risarcimento del danno alla persona e
alternative istituzionali, cit., 213.
18 Si veda L.F. REGLERO CAMPOS, La equiparación de la conducta de los inimputables a la culpa de la víctima (una breve reflexión sobre
el n. 2 del apartado primero del anexo A de la ley sobre la responsabilidad civil y seguro), in Revista española de seguros, 1996, 83 ss.
19 M. MARTÍN CASALS-J. RIBOT-J. SOLÉ FELIU, Compensation for Personal Injuries in Spain, in B.A. KOCH-H. KOZIOL (eds.), Compensation
for Personal Injuries in a Comparative Perspective, Springer, Wien-New York, 2003, 263 ss., cui adde E.V. DOMINGO, Il risarcimento del danno
alla persona in Spagna, in Danno resp., 1998, 414, n. 26. Cfr. inoltre J. SOLÉ FELIU, Significato e portata del concorso di colpa della vittima secondo la giurisprudenza del Tribunale Supremo spagnolo, in Resp. civ. prev., 2001, 243 ss. e, da ultimo, F. GÓMEZ POMAR-I. AGRAFOJO VÁZQUEZ,
Culpa de la víctima y derecho sancionador, working paper n. 258 pubblicato sulla rivista elettronica InDret (www.indret.com), novembre 2004,
per una panoramica sui diversi orientamenti giurisprudenziali in materia di concorso di colpa dell’incapace.
20 Sulla “desuetudine” dell’art. 2057 c.c. in Italia si veda, del resto, G. COMANDÉ, Risarcimento del danno alla persona e alternative istituzionali, cit., 460 ss.
109
L. Nocco
Giudice di imporre – la liquidazione di una rendita21. Al riguardo, v’è da dire che l’abitudine di corrispondere somme capitali è così marcata da indurre addirittura in alcune occasioni i Giudici a disporre la liquidazione di una somma in unica soluzione nonostante una espressa richiesta di segno
diverso da parte dell’attore22.
Rispettivamente per i danni da morte, invalidità temporanea e permanente esistono sia una tabella contenente i “valori risarcitori di base”, sia un’altra che indica i “fattori correttivi”. I parametri presi
in considerazione per la liquidazione dell’indennizzo sono l’età della vittima, le circostanze economiche come il lucro cessante, le circostanze familiari ed eventuali ulteriori evenienze di natura eccezionale. La lunga serie di parametri possono condurre a significative divergenze in ordine alla quantificazione del danno, scoraggiando le transazioni, in aperto contrasto, paradossalmente, proprio con
uno degli specifici obiettivi dell’intervento legislativo23. Basti pensare che l’indennizzo ai superstiti in
caso di morte varia a seconda di fattori come
1. la presenza del coniuge24;
2. assenza del coniuge ma presenza di figli minorenni o,
3. rispettivamente, maggiorenni;
4. assenza di coniuge e figli ma presenza di ascendenti;
5. presenza solo di fratelli o sorelle, che costituiscono i soggetti legittimati a pretendere un risarcimento in caso di morte del congiunto (e si badi che questi parametri rappresentano quelli di più
oggettivo accertamento).
Per quanto riguarda le lesioni permanenti, l’indennizzo varia a seconda della serietà della lesione
e dell’età della vittima, in proporzione rispettivamente diretta ed inversa. In particolare, esistono cinque classi di età considerate omogenee dalla legge:
1. vittime di età inferiore a 21 anni;
2. vittime con età compresa fra i 21 ed i 40 anni;
3. vittime con età compresa fra i 41 ed i 55 anni;
4. vittime con età compresa fra i 56 ed i 65 anni;
5. ultrasessantacinquenni.
Dall’incrocio di tali coefficienti si ricava l’ammontare dell’indennizzo, che può ulteriormente
variare alla luce dei “fattori correttivi”:
1. salario della vittima, laddove, ancora una volta, si utilizzano quattro livelli;
2. il c.d. “danno morale complementare”, in caso di invalidità globale superiore al 90% o singole invalidità superiori al 75%;
3. inabilità lavorativa;
4. disabilità tale da rendere necessaria l’assistenza di terzi per l’espletamento delle normali attività
quotidiane, con ulteriori differenziazioni a seconda del tipo di cura richiesto.
21 Cfr. M. MARTÍN CASALS, Risarcimento per danno alla persona in Spagna, cit., 1264, ID., An Outline of the Spanish Legal Tariffication
Scheme for Personal Injury Resulting from Traffic Accidents, cit., 239 e G. COMANDÉ, Risarcimento del danno alla persona e alternative istituzionali, cit., 211.
22 STS 17 marzo 1998 (RJ 1998/1122).
23 Cfr. G. COMANDÉ, Risarcimento del danno alla persona e alternative istituzionali, cit., 210 ss. Sull’incentivazione alla soluzione alternativa delle controversie come uno degli obiettivi principali della legge J. PINTOS AGER, Efectos de la baremación del daño sobre la litigiosidad, cit., 3. Insiste sulla “prevedibilità della misura del proprio credito” come condizione per “la maggiore frequenza di accordi amichevoli
e l’accelerazione delle pratiche liquidative” anche D. DE STROBEL, “Barème” e indennizzo nell’assicurazione della responsabilità civile auto
nell’esperienza spagnola, cit., 211. Del resto, come è stato recentemente osservato da C. GÓMEZ LIGÜERRE-F.A. MUNTANER BATLE, ¿Quién
da más?, cit., 11 s., si constata un maggior tasso di litigiosità in presenza di danni non patrimoniali che di pregiudizi di tipo strettamente
reddituale, posto che con riferimento ai primi, per la loro stessa natura, è più difficile giungere a quantificazioni certe e, pertanto, le transazioni sono più rare. In un’ottica di analisi economica del diritto, P.S. CODERCH-C. GÓMEZ LIGÜERRE, El derecho de daños y la minimización de los costes de los accidentes, cit., 13 notano che “el derecho de daños es, sobre todo y en el ordenamiento jurídico español, un derecho
judicial”, includendo fra le conseguenze negative di tale conflittualità, un’insufficiente “disuasión de daños futuros”.
24 Equiparato al coniuge a fini risarcitori è il soggetto legato alla vittima da stabile convivenza more uxorio. Sui problemi relativi al
risarcimento in caso di separazione di fatto, cfr. J. BARCELÓ DOMÈNECH, Separación de hecho e indemnización por muerte en accidente de la
circulación, working paper n. 100 pubblicato sulla rivista elettronica InDret (www.indret. com), ottobre 2002.
110
Il modello spagnolo e le sue incongruenze
In particolare, in caso di macropermanente, si risarcisce il pregiudizio sofferto dai parenti in conseguenza della sostanziale alterazione della vita comune dovuta al bisogno di continue cure da parte
del congiunto vittima del sinistro25.
È stato rilevato, tuttavia, che, il risarcimento non cresce necessariamente in maniera più che proporzionale rispetto all’entità della menomazione permanente sofferta. Ad esempio, da un lato si è
costatata, da parte della giurisprudenza del Tribunal Supremo, una quantificazione superiore di circa il
40% rispetto alla somma risultante dall’applicazione delle tabelle. D’altro canto, altre sentenze hanno
mediamente risarcito lo stesso danno in misura dimezzata rispetto al quantum derivante dalla Ley
30/1995, in particolare – paradossalmente – quando le vittime fossero soggetti giovani o di mezza età26.
A ciò si aggiunga il problema, già rilevato, delle nette differenze nella quantificazione da parte
delle diverse istanze giudiziarie del paese. In particolare, si è osservata la divaricazione fra la Sala civile e quella penale del Tribunal Supremo, tale che il risarcimento concesso da quest’ultima è mediamente inferiore di un terzo a quello normalmente assicurato dalla prima27.
Per l’inabilità temporanea, infine, si usa un coefficiente giornaliero che viene moltiplicato in base
ai giorni di forzata astensione dal lavoro in conseguenza del sinistro. Ancora una volta, poi, la quantificazione percorre vie diverse a seconda che il danneggiato sia o meno ancora ricoverato, possa o
meno riprendere la sua precedente – od altra – attività lavorativa28 e, infine, sulla base del precedente
reddito lavorativo.
In definitiva, tuttavia, l’esperienza della tabellazione non è giudicata esaltante, anche in conseguenza della riduzione delle poste risarcitorie che essa ha provocato rispetto alla prassi giudiziaria
precedente29.
3. Le tabelle della Ley 30/1995 e il dibattito sulla loro incostituzionalità
L’applicazione della Ley 30/1995 non è stata priva di problemi, a causa soprattutto del suo innovativo sistema tabellare30: alle inevitabili incertezze dovute alla novità del modello si sono aggiunte le
difficoltà legate ad una certa farraginosità nella quantificazione del danno31 e le perplessità riguardo
al fondamento reddituale dei risarcimenti32, nonché le incomprensioni circa la natura, vincolante o
meramente facoltativa, delle tabelle e, nel primo caso, i dubbi relativi alla legittimità costituzionale
dell’intera disciplina33.
25 Sul punto, cfr. M. MARTÍN CASALS-J. RIBOT-J. SOLÉ FELIU, Compensation for Personal Injuries in Spain, cit., 280 e ibidem, 289 per
la soluzione contraria in caso di invalidità permanente di lieve entità.
26 Per questi dati P.S. CODERCH-S. RAMOS GONZÁLEZ-Á. LUNA YERGA-J.A. RUIZ GARCÍA, El Derecho Español de Daños Hoy:
Características Diferenciales, cit., 26 s., che tuttavia ricrdano che la base di dati utilizzata è alquanto ridotta, e come tale non idonea per
“establecer líneas de tendencia claras”.
27 C. GÓMEZ LIGÜERRE-F.A. MUNTANER BATLE, ¿Quién da más?, cit., 21 s.
28 Per maggiori approfondimenti si veda M. MARTÍN CASALS, An Outline of the Spanish Legal Tariffication Scheme for Personal Injury
Resulting from Traffic Accidents, cit., 239 ss.
29 Cfr., con dovizia di particolari, M. MARTÍN CASALS, An Outline of the Spanish Legal Tariffication Scheme for Personal Injury
Resulting from Traffic Accidents, cit., 246 s. Parlano di “infraprevención civil” P.S. CODERCH-J.A. RUIZ GARCÍA, Problemas de la responsabilidad civil en derecho español, in Eur. dir. priv., 1999, 401 ss., spec. 408 ss. Si veda ibidem, 440 ss., inoltre, per alcune notazioni sulla Ley
30/1995. Deve notarsi, ad ogni modo, che la dottrina spagnola ha in parte trascurato l’aspetto di deterrence della responsabilità civile, considerato “un efecto secundario o fáctico”. Così, in senso critico, P.S. CODERCH-C. GÓMEZ LIGÜERRE, El derecho de daños y la minimización
de los costes de los accidentes, cit., 19. Come dimostrato da J. PINTOS AGER, Efectos de la baremación del daño sobre la litigiosidad, cit., 8,
cui adde ID., Baremos, cit., 14, i problemi delle incertezze quantificatorie e degli eccessivi risarcimenti vanno distinti, e la tabellazione può
essere una soluzione per le prime ma un rimedio troppo restrittivo rispetto ai secondi.
30 Per la precisione, il “salto” compiuto dall’ordinamento spagnolo è stato di tale portata da condurre “ad una legge (…) per la quale
dal punto di vista giuridico l’esperienza spagnola non era né matura né tanto meno preparata”. Così E.V. DOMINGO, Il risarcimento del danno
alla persona in Spagna, cit., 411.
31 Cfr. supra, par. 2.
32 Sul quale G. COMANDÉ, Risarcimento del danno alla persona e alternative istituzionali, cit., 211. Per una panoramica sintetica ma
completa sulle posizioni dottrinali, si veda F. MECO TÉBAR, I dubbi sulla incostituzionalità del sistema di tabelle per la quantificazione del
danno personale della legge spagnola sulla responsabilità civile e l’assicurazione dei veicoli a motore, in Resp. civ. prev., 1999, 268 ss., che si
schiera infine a favore della legittimità costituzionale della legge.
33 F.D. BUSNELLI, Il danno alla salute; un’esperienza italiana; un modello per l’Europa?, in Resp. civ. prev., 2000, 861. P.M. PUTTI, La
legge spagnola sulla responsabilità civile e l’assicurazione dei veicoli a motore: primi bilanci di una esperienza controversa, cit., 263 richiama
111
L. Nocco
Il quesito sulla natura della tabellazione è stato risolto in un primo momento dalla Corte Suprema
in un obiter dictum nel senso della facoltatività, posto che il Giudice ha il diritto-dovere di risarcire
il danno sulla base delle prove allegate, sicché la tabellazione può fungere solo da linea guida, priva
di efficacia vincolante34. A questa chiave interpretativa si sono successivamente adeguate le altre
istanze giudiziarie del paese35, sino all’intervento della Corte Costituzionale36 che, riaffermata la vincolatività del complesso normativo37, ne ha in larga parte escluso l’incostituzionalità.
Tutti i danni non derivanti da sinistro stradale continuano ad essere assoggettati alla disciplina normativa ordinaria. Ciò crea per un verso problemi di armonizzazione fra i differenti sistemi di risarcimento del danno alla persona38, per un altro verso pone un importante interrogativo sul versante del
principio di eguaglianza e, infine, fa sì che in tutti gli altri settori continuino a verificarsi i problemi
e le incongruenze legate all’imprevedibilità delle poste risarcitorie.
In estrema sintesi, il Giudice delle leggi spagnolo ha escluso la violazione del principio di eguaglianza (art. 14 Cost. spagnola) poiché il settore della r.c. auto è caratterizzato da peculiarità tali da
giustificare l’adozione di un sistema di responsabilità oggettiva, basata cioè sul semplice rischio e con
l’esclusione della rilevanza della colpa39. Al riguardo, tuttavia, parte della dottrina40 ha fatto notare
che il problema della disparità di trattamento si porrebbe sotto un diverso profilo, vale a dire che vi
sono dei settori in cui parimenti si applica il regime di responsabilità per rischio ma, non applicandosi il metodo tabellare, continua a vigere il criterio della (teorica) risarcibilità integrale del danno41,
il possibile contrasto con la Risoluzione 75/7 del Consiglio d’Europa sull’integrale risarcimento del danno alla persona, contrasto cui J.
PINTOS AGER, Efectos de la baremación del daño sobre la litigiosidad, cit., 9 fa riferimento sotto il diverso versante della mancata indicazione delle diverse voci di danno risarcite, avallando la prassi di liquidare somme forfetarie in riparazione dell’intero pregiudizio sofferto.
Dubbi circa l’incostituzionalità sono stati espressi, in giurisprudenza, ex plurimis, da STS 26 marzo 1997, n. 280 (RJ 1997/1864). La sentenza è pubblicata anche in Dir. econ. assic., 1998, 199 ss., con nota di D. DE STROBEL, “Barème” e indennizzo nell’assicurazione della
responsabilità civile auto nell’esperienza spagnola.
34 STS 26 marzo 1997, n. 280, cit.: “la función de valorar los daños y perjucios es atribuida en exclusiva a los órganos jurisdiccionales de
instancia, siendo necesaria la prueba de ellos de forma categórica. (...) La «función» de quantificar los daños (...) abarca no solo la facultad de
valorar (...), sino tambien la obligación de hacerlo”. Si vedano P.M. PUTTI, La legge spagnola sulla responsabilità civile e l’assicurazione dei
veicoli a motore: primi bilanci di una esperienza controversa, cit., 260 e E.V. DOMINGO, Il risarcimento del danno alla persona in Spagna, cit.,
416 ss. per alcune critiche mosse dalla dottrina a questa pronuncia. Per ulteriori pronunciamenti del Tribunal Constitucional vedasi J.
PINTOS AGER, De nuevo el Tribunal Constitucional y los baremos: SSTC 241/2000, 242/2000, 244/2000, 262/2000, working paper n. 41
pubblicato sulla rivista elettronica InDret (www.indret.com), gennaio 2001.
35 Ex plurimis, STS 2° 5 luglio 1999 (RJ 1999/5818).
36 STC 29 giugno 2000, n. 181, in Danno resp., 2001, 23 ss., con commento di E.V. DOMINGO, La Corte costituzionale spagnola sulle
tabelle dei danni alla persona. Si veda anche il commento di J. PINTOS AGER, STC de 29/6/00, sobre el baremo, working paper n. 28 pubblicato sulla rivista elettronica InDret (www.indret.com), 3/2001. Sul dialogo fra Corti ordinarie e Corte costituzionale, cfr. M. MARTÍN
CASALS-J. RIBOT-J. SOLÉ FELIU, Compensation for Personal Injuries in Spain, cit., 275.
37 Come giustamente osservato (G. COMANDÉ, Risarcimento del danno alla persona e alternative istituzionali, cit., 211), di fatto “l’unico agente istituzionale del sistema realmente dotato di margini di discrezionalità risulta essere il perito medico-legale”. P.M. PUTTI, La legge
spagnola sulla responsabilità civile e l’assicurazione dei veicoli a motore: primi bilanci di una esperienza controversa, cit., 259 parla di “mero
ruolo certificativo” dell’autorità giudiziaria. Ciò determina un contrasto tanto più stridente se si considera l’amplissima discrezionalità giudiziaria nella quantificazione del danno negli altri settori dell’ordinamento. Su tale discrezionalità, considerata, al pari dell’integrale risarcimento delle perdite sofferte, principio generale della responsabilità civile extracontrattuale, E.V. DOMINGO, Il risarcimento del danno alla
persona in Spagna, cit., 412.
38 Si noti, tuttavia, che è in corso un importante dibattito sulla possibilità e sull’opportunità di applicare analogicamente il baremo al
di là del settore della circolazione dei veicoli a motore. In particolare, ad una Sala civil del Tribunal Supremo costante nell’escludere l’applicabilità analogica, si contrappongono le sezioni penale ed amministrativa orientate in senso opposto, mentre la Sala quarta – che esplica la jurisdicción social – non sembra aver ancora elaborato un proprio orientamento. Cfr. amplius in merito S. RAMOS GONZÁLEZ-Á. LUNA
YERGA, Los baremos como paradigma de valoración de daños personales, working paper n. 191 pubblicato sulla rivista elettronica InDret
(www.indret.com), gennaio 2004.
39 Sul regime di responsabilità vigente per la circolazione di veicoli a motore in Spagna, M. MARTÍN CASALS-J. RIBOT-J. SOLÉ FELIU,
Spanish Report, in B.A. KOCH-H. KOZIOL (eds.), Unification of Tort Law: Strict Liability, Kluwer Law International, The Hague-LondonNew York, 2002, 281 ss. e F. HERNANZ-J. MARTINEZ, Spanish Report, in F. WERRO-V.V. PALMER (eds.), The Boundaries of Strict Liability in
European Tort Law, Carolina Academic Press, Durham, 2004, 339 s.
40 E.V. DOMINGO, La Corte costituzionale spagnola sulle tabelle dei danni alla persona, cit., 24 s. È necessario ricordare il dubbio circa
la legittimità costituzionale dell’esclusione dalla tabellazione dei danni alle cose, nonché quello relativo alla violazione del diritto alla vita
ed alla salute insito nel negare una full compensation. Infine, sono stati espressi dubbi circa l’opportunità di una tabellazione su base legislativa anziché giudiziaria. Su tutti questi argomenti, M. MARTÍN CASALS, An Outline of the Spanish Legal Tariffication Scheme for Personal
Injury Resulting from Traffic Accidents, cit., 245.
41 Sulla distinzione fra responsabilità per rischio e per colpa, J. HOYA CORAMINA, La valoración del daño corporal, in J.A. MORENO
MARTINEZ (coord.), Perfiles de la Responsabilidad Civil en el nuevo milenio, cit., 291.
112
Il modello spagnolo e le sue incongruenze
di fatto accantonato dal settore della responsabilità civile automobilistica42.
A ciò si aggiunga che, se il metodo tabellare deve essere sempre connesso al rischio, esso non
dovrebbe applicarsi laddove la responsabilità sia di tipo soggettivo. Orbene, siccome la responsabilità
torna ad essere basata sulla colpa del danneggiante per i danni che eccedano il massimale, per tali pregiudizi – estranei all’ambito dell’assicurazione obbligatoria – dovrebbe tornare in auge il sistema risarcitorio “classico”, mentre i Giudici applicano tranquillamente il sistema tabellare pure in tali casi43.
Il Tribunal Constitucional, invece, ha sancito l’incostituzionalità della norma di legge che prevedeva l’applicazione del metodo tabellare per l’indennizzo del lucro cessante in caso di incapacità temporanea e colpa esclusiva del danneggiante, ritenendo ingiusto che in tale circostanza la vittima
debba accollarsi anche una sola parte delle conseguenze del sinistro. Tuttavia, coerentemente con tale
premessa, la Corte avrebbe dovuto altresì concludere nel senso dell’illegittimità di siffatto calcolo del
lucro cessante anche per la morte e l’incapacità permanente, essendo del tutto identica la base del
ragionamento, inducendo la dottrina44 a parlare di “pronunzia (…) carente di coerenza interna”.
4. Ipotesi specifiche di risarcimento del danno patrimoniale
e non patrimoniale alla persona
Accanto ed oltre al sistema di risarcimento giudiziale del danno alla persona, l’ordinamento spagnolo conosce un sistema di sicurezza sociale che assicura tendenzialmente a tutti i cittadini, in caso
di danno alla persona, assistenza medica ed ospedaliera ed alcune prestazioni di carattere economico (art. 41 Cost. spagnola ed art. 38 della Legge generale sulla sicurezza sociale del 1994)45. C’è anzi
da dire che le prestazioni erogate dal sistema di sicurezza sociale sono tendenzialmente esatte nel loro
ammontare, e cioè rapportate al danno sofferto in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale,
ciò che non si riscontra, come ampiamente visto, nel sistema di responsabilità civile46.
Non si dimentichi, poi, l’elemento distorsivo costituito dalla c.d. “collateral source rule”, cioè la
prassi di non defalcare dal quantum risarcitorio le somme ottenute, genericamente parlando, dal
sistema di “Estado del Bienestar” (welfare state)47.
42 Cfr. P.M. PUTTI, La legge spagnola sulla responsabilità civile e l’assicurazione dei veicoli a motore: primi bilanci di una esperienza controversa, cit., 262.
43 E.V. DOMINGO, La Corte costituzionale spagnola sulle tabelle dei danni alla persona, cit., 25. Il massimale di copertura assicurativa
per morte e danno alla persona è 350000 €, per danni alle cose 100000 €, mentre è prevista l’indennizzabilità di tutte le spese mediche,
ospedaliere e funerarie (R.D. 12 gennaio 2001, n. 7).
44 E.V. DOMINGO, La Corte costituzionale spagnola sulle tabelle dei danni alla persona, cit., 26. Per M. MARTÍN CASALS, An Outline of
the Spanish Legal Tariffication Scheme for Personal Injury Resulting from Traffic Accidents, cit., 250 la Corte avrebbe più intelligentemente
potuto escludere del tutto le perdite patrimoniali dall’ambito applicativo della tabellazione, in quanto non compatibili con la stessa. Parla
di “innaturale commistione” anche F.D. BUSNELLI, Il danno alla salute; un’esperienza italiana; un modello per l’Europa?, cit., 861, che richiama la figura di un lucro cessante “disancorato dal riferimento alle circostanze del caso concreto e dai relativi mezzi probatori e costretto nella
«camicia di forza» dei suddetti limiti indennizzatori”. In dottrina, su posizioni contrapposte, F. PANTALEÓN PRIETO, Sobre la incostitucionalidad del sistema para la valoración de daños personales de la Ley sobre Responsabilidad Civil y Seguro de Vehículos a Motor, in Actualidad
Aranzadi, 245, 9 maggio 1993, espressosi nel senso della contrarietà agli artt. 14 e 15 Cost. spagnola e che ricorda che è assente dal sistema della responsabilità civile il compito di ridistribuzione della ricchezza, e F. RUBIO LLORENTE, Sobre la supuesta incostitucionalidad del
sistema di baremos para la cuantificación de los daños personales en la Ley 30/95, in Sistema Seguros, numero speciale.
Deve ricordarsi, peraltro, che anche il c.d. “Sistema SEAIDA ’91” (su cui supra, par. 1) prevedeva l’esistenza di una tabella che, sulla
base della tecnica del calcolo a punto, permetteva il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, sofferti dalla vittima. Sul
punto, in senso critico, E.V. DOMINGO, Il risarcimento del danno alla persona in Spagna, cit., 412.
45 M. PAZ GARCÍA RUBIO-J. LETE-F. GÓMEZ ABELLEIRA-C. REGUEIRO FERREIRO, The Impact of Social Security Law on Tort Law in
Spain, cit., 165 ss. Per la precisione, il sistema copre tutti gli incidenti sul lavoro occorsi a soggetti iscritti nel sistema di sicurezza sociale
ed aventi un minimo contributivo alla data del sinistro; per gli incidenti comuni, la protezione è limitata ai soggetti percettori di un reddito inferiore ad una certa soglia. L’ottenimento dei benefici di sicurezza sociale è compatibile con ogni altro tipo di protezione privata,
come un’assicurazione.
46 M. PAZ GARCÍA RUBIO-J. LETE-F. GÓMEZ ABELLEIRA-C. REGUEIRO FERREIRO, The Impact of Social Security Law on Tort Law in
Spain, cit., 171, cui si rinvia anche per una descrizione delle prestazioni di sicurezza sociale previste dal sistema spagnolo e dei loro rapporti con la disciplina della responsabilità civile.
47 Sul punto, M. MARTÍN CASALS-J. RIBOT-J. SOLÉ FELIU, Compensation for Personal Injuries in Spain, cit., 238 s. e P.S. CODERCH-S.
RAMOS GONZÁLEZ-Á. LUNA YERGA-J.A. RUIZ GARCÍA, El Derecho Español de Daños Hoy: Características Diferenciales, cit., 15 ss. Si veda,
113
L. Nocco
Come l’art. 1223 del codice civile italiano, l’art. 1106 c.c. spagnolo48 stabilisce il principio della
restitutio in integrum, ossia la risarcibilità sia delle perdite subite dal creditore, sia del mancato guadagno del medesimo49, mentre l’art. 1902 c.c. spagnolo50 garantisce il ristoro tanto delle perdite
pecuniarie che di quelle non pecuniarie51.
L’invalidità temporanea è risarcita con una somma giornaliera moltiplicata per il numero di giorni di inabilità lavorativa. Statisticamente si riscontra un risarcimento compreso fra 42 e 48 € al giorno, anche se, ovviamente, la prova del maggior danno conduce ad una riparazione più cospicua52.
Per l’invalidità permanente il discorso è complicato dalla mancata elaborazione di metodi di quantificazione del danno risarcibile. Nonostante la proposta di risarcire una somma idonea a coprire
tutte le spese ordinarie nell’arco di una vita media53, la giurisprudenza continua ad adottare – così
come per i corrispondenti danni non patrimoniali – una valutazione, per dir così, “spannometrica”
e casuale54, nella quale si fa molto uso di espressioni come “prudente apprezzamento del Giudice” e
“circostanze del caso concreto” che ricordano molto da vicino il criterio equitativo puro.
Si riscontrano alcuni problemi nel risarcimento delle perdite pecuniarie sofferte da soggetti non
percettori di reddito, come casalinghe, pensionati e minori. Al riguardo, alle incertezze della dottrina corrisponde un orientamento giurisprudenziale consolidato – ma tuttora oscillante nelle modalità di quantificazione del danno – che risarcisce tutte le spese che la vittima deve affrontare in conseguenza dell’evento dannoso, compreso, nel caso della casalinga, lo stipendio che deve essere liquidato alla persona che venga assunta per assolvere alle faccende domestiche55. La giurisprudenza è
unanime, inoltre, nell’escludere di prendere in considerazione le possibilità di evoluzione e progresso lavorativo della vittima, impedendo così il risarcimento delle chances di guadagno futuro che non
siano accompagnate dai requisiti dell’attualità e della certezza56.
5. In particolare: il danno biologico e il danno morale
Un importante aspetto caratterizzante gli ultimi sviluppi del sistema spagnolo del risarcimento del
danno alla persona è costituito dal progressivo recepimento della figura del daño corporal, assai simile all’italiano danno biologico57, contenuta anche nella Ley 30/1995. L’attuale tendenza risulta così
caratterizzata da una tripartizione – solo in parte simile alla situazione italiana odierna – delle voci
non patrimoniali di danno alla persona risarcibili:
inoltre, la trattazione ex professo di F. GÓMEZ POMAR, Responsabilidad extracontractual y otras fuentes de reparación de daños: “Collateral
Source Rule” y afines, working paper n. 5 pubblicato sulla rivista elettronica InDret (www.indret.com), gennaio 2000.
48 “La indemnización de daños y perjuicios comprende, no sólo el valor de la pérdida que haya sufrido, sino también el de la ganancia que
haya dejado de obtener el acreedor, salvas las disposiciones contenidas en los artículos siguientes”.
49 Ma si noti come E.V. DOMINGO, Il risarcimento del danno alla persona in Spagna, cit., 415 abbia dimostrato questo principio essere assente, al di là delle enunciazioni formali, dall’impianto della Ley 30/1995.
50 “El que por acción u omisión causa daño a otro, interviniendo culpa o negligencia, está obligado a reparar el daño causado”.
51 Cfr. M. MARTÍN CASALS, Risarcimento per danno alla persona in Spagna, cit., 1262, M. MARTÍN CASALS-J. RIBOT-J. SOLÉ FELIU,
Compensation for Personal Injuries in Spain, cit., 267, L. DÍEZ-PICAZO-A. GULLÓN, Sistema de derecho civil, 2, VIII ed., Tecnos, Madrid,
1999, 531 e J. PINTOS AGER, Efectos de la baremación del daño sobre la litigiosidad, cit., 6 s., che ricorda l’effetto paradossale di chiamare
il Giudice – caso per caso e senza alcun criterio che non sia la sua prudenza – a valutare l’utilità di una somma di denaro per il danneggiato in riparazione del torto subito.
52 M. MARTÍN CASALS-J. RIBOT-J. SOLÉ FELIU, Compensation for Personal Injuries in Spain, cit., 276.
53 L. DÍEZ PICAZO, Derecho de daños, Civitas, Madrid, 1999, 324.
54 M. MARTÍN CASALS-J. RIBOT-J. SOLÉ FELIU, Compensation for Personal Injuries in Spain, cit., 276 s.
55 Cfr. M. MARTÍN CASALS, Risarcimento per danno alla persona in Spagna, cit., 1262 e M. MARTÍN CASALS-J. RIBOT-J. SOLÉ FELIU,
Compensation for Personal Injuries in Spain, cit., 268 e 288 s.
56 Cfr. M. MARTÍN CASALS, Risarcimento per danno alla persona in Spagna, cit., 1263, L. DÍEZ-PICAZO-A. GULLÓN, Sistema de derecho
civil, 2, 531 e M. MARTÍN CASALS-J. RIBOT-J. SOLÉ FELIU, Compensation for Personal Injuries in Spain, cit., 268 e 287. In giurisprudenza si
veda STS 11 marzo 2000 (RJ 2000/1520) e SAP Burgos 10 febbraio 1998 (ARP 1998/776), che risarcisce l’inabilità temporanea di un minore con lo stesso ammontare normalmente utilizzato per un adulto.
57 R. DE ANGEL YAGÜEZ, Tratado de responsabilidad civil, Civitas, Madrid, 1993, 698 parla di “pregiudizio alla salute nell’integrità corporale o mentale dell’essere umano, che è certa e reale indipendentemente dai risultati pecuniari e non pecuniari che produce”. Richiama questa nozione, pur rimanendo fedele alla dicotomia daño patrimonial-daño moral o extrapatrimonial anche L.P. ESTEVIL, Derecho de daños, 2,
II ed., Bosch, Barcelona, 1995, 897 ss.
114
Il modello spagnolo e le sue incongruenze
1. danno biologico, suscettibile di valutazione medico legale e risarcibile indipendentemente dall’incidenza sulla capacità reddituale del danneggiato;
2. pregiudizi insuscettibili di valutazione medico legale ma verificabili medicalmente, come il danno
estetico o sessuale, il dolore di eccezionale gravità, et similia;
3. danno morale.
Quest’ultima voce di danno oggi viene risarcita in quanto tale ed a prescindere dalle eventuali
ripercussioni di carattere patrimoniale58, e la sua ampiezza è pressappoco sovrapponibile a quella
dell’omonima figura italiana59, dal momento che viene risarcito normalmente in caso di grave danno
alla persona o perdita della vita, di privazione della libertà o della “paz de éspiritu”, di lesione dell’onore o perdita di un oggetto particolarmente d’affezione60. È stata così superata l’obiezione secondo la quale l’irrisarcibilità del danno morale nell’ordinamento spagnolo sarebbe stata determinata
dall’impossibilità di accertare e riparare effettivamente, a causa della sua stessa natura, il danno subito61. La giurisprudenza, dunque, ammette oggi il risarcimento del danno non patrimoniale, “y lo hace
con la máxima amplitud”62.
Una nuova frontiera del risarcimento del danno morale è costituita dalla recente statuizione
dell’Audiencia Provincial de Valencia63, nella quale, dopo aver sottolineato che “la integridad moral
es un bien constitucionalmente protegido, sea cual fuere la fuente del daño, cuya tutela se lleva a cabo
tanto por las normas de naturaleza penal como civil”64, si è risarcito il detto pregiudizio in un caso di
relazione extraconiugale in cui la moglie aveva taciuto al marito che tre dei figli della coppia erano
stati concepiti con un altro uomo.
Si deve ricordare, inoltre, la Ley del 5 maggio 1982 de protección civil del derecho al honor, a la intimidad personal y familiar y a la propia imagen, che “estende il risarcimento al danno morale, da quantificarsi in relazione alle circostanze del caso ed alla gravità della lesione effettivamente prodottasi”.
Come criteri orientativi la legge menziona le circostanze del danno, la gravità della lesione, la diffusione del mezzo di comunicazione che ha veicolato la notizia produttiva del danno, l’eventuale vantaggio derivatone al danneggiante.
A tale riguardo, è opportuno ricordare che, nonostante l’impossibilità della vittima, clinicamente
morta, di avvertire alcunché, in un caso è stata liquidata di fatto anche la pecunia doloris, sfruttando
la prassi giurisprudenziale, già menzionata, di non indicare le singole poste risarcitorie65.
Un altro elemento distorsivo è costituito dalla prassi di liquidare il danno morale in caso di danno
patrimoniale non sufficientemente provato, o per incrementare le somme corrisposte a titolo di
danno patrimoniale che siano ritenute eccessivamente basse in rapporto al pregiudizio che si suppone la vittima abbia sofferto66.
58 L. DÍEZ-PICAZO-A. GULLÓN, Sistema de derecho civil, 2, cit., 532. Per una chiara esposizione dei criteri di accertamento e determinazione del danno morale fra regole ordinarie e r.c. auto, cfr. J. HOYA CORAMINA, La valoración del daño corporal, cit., 253 ss.
59 Cfr. M. MARTÍN CASALS, Risarcimento per danno alla persona in Spagna, cit., 1263 e M. MARTÍN CASALS-J. RIBOT-J. SOLÉ FELIU,
Compensation for Personal Injuries in Spain, cit., 269 s.
60 Per ulteriore casistica si veda F. GÓMEZ POMAR, Daño moral, working paper n. 6 pubblicato sulla rivista elettronica InDret
(www.indret.com), gennaio 2000, 6 ss.
61 In senso critico, L.P. ESTEVIL, Derecho de daños, 2, cit., 872 s. e 888 ss.
62 F. PANTALEÓN PRIETO, Comento sub art. 1902, cit., 1992, cui adde R. DE ANGEL YAGÜEZ, Comento sub art. 1106 c.c., ibidem, 49 s.
63 SAP Valencia, Sec. 7ª, 2 novembre 2004, sulla quale si veda E. FARNÓS AMORÓS, El precio de ocultar la paternidad, working paper
n. 279 pubblicato sulla rivista elettronica InDret (www.indret.com), maggio 2005.
64 E. FARNÓS AMORÓS, El precio de ocultar la paternidad, cit., 6.
65 STS 30 gennaio 1990 (RJ 1990/74).
66 P.S. CODERCH-S. RAMOS GONZÁLEZ-Á. LUNA YERGA-J.A. RUIZ GARCÍA, El Derecho Español de Daños Hoy: Características
Diferenciales, cit., 27 s., che richiama al riguardo STS 1° 22 febbraio 2001, F. GÓMEZ POMAR, Daño moral, cit., 10 ss., ID., El sudor de la
frente y el daño moral, working paper n. 264 pubblicato sulla rivista elettronica InDret (www.indret.com), febbraio 2005, 8 ss. e M. MEDINA
CRESPO, Los principios que inspiran la regulación de las indemnizaciones básicas por causa de muerte, en bel sistema de la Ley 30/95, cit., 379,
che fa riferimento al “resarcimiento del lucro cesante causado por la muerte, enmascarado con la elasticidad del daño moral”, col che si raggiunge l’ulteriore deprecabile risultato di calcolare in via equitativa un danno patrimoniale privo di grossi problemi di quantificazione.
Contro questa prassi si veda anche O. GARCÍA MUÑOZ, Responsabilidad en el contrato de obra y daños morales, working paper n. 143 pubblicato sulla rivista elettronica InDret (www.indret.com), febbraio 2003.
115
L. Nocco
L’estrema variabilità delle quantificazioni oggi conduce ad ipotizzare67, in modo (non sorprendentemente) simile al dibattito italiano68 e anche se con alcuni dubbi69, un barème per il danno morale.
67
J. PINTOS AGER, Baremos, cit., 8, che ricorda che “los baremos son un buen remedio ante situaciones de variabilidad excesiva”.
Cfr. da ultimo l’esperienza dell’Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale di Milano descritta in Guida al Diritto-Il Sole 24 Ore,
2004, 49, 12 ss.
69 J. HOYA CORAMINA, La valoración del daño corporal, cit., 261 ss.
68
116
L’esperienza latino-americana del danno alla persona
S. PINTO OLIVEROS
SOMMARIO: 1. Premessa. 2. Il danno alla persona nell’esperienza venezuelana. 3. Il danno alla
persona nell’esperienza brasiliana. 4. Il danno alla persona nell’esperienza argentina. 5. Il
danno alla persona nell’esperienza peruviana. 6. Il danno al progetto di vita nella giurisprudenza della Corte Interamericana de derechos humanos. 7. Conclusioni.
1. Premessa
Uno studio dell’esperienza latino-americana del danno alla persona richiede due premesse. In
primo luogo, è opportuno ricordare come tale categoria concettuale, nata in Italia per impulso prevalentemente giurisprudenziale (comprendendo tutte quelle voci di danno estetico, alla vita di relazione, alla sfera sessuale, ecc., variamente individuate dalla giurisprudenza per consentire il risarcimento di lesioni che, prive di immediata incidenza sulla capacità di produrre reddito del soggetto
danneggiato, sarebbero rimaste prive di tutela giuridica), risponda in certa misura alla necessità di
superare i limiti imposti dall’articolo 2059 del codice civile, in tema di risarcimento del danno non
patrimoniale. Esigenza che non trova riscontro, come osserveremo in seguito, nei sistemi che saranno oggetto di queste riflessioni.
Una seconda premessa, che riguarda in maniera specifica i sistemi latino-americani, si riferisce
invece all’attuabilità dei diritti fondamentali nei rapporti tra privati assicurata mediante garanzie
costituzionali come la c.d. “acción de amparo1” ed il “mandado de injunção”2.
In poche pagine è impossibile svolgere una riflessione sull’intera esperienza latino-americana del
danno alla persona che abbraccerebbe più di venti paesi; per tale motivo, limiteremo la nostra indagine a quattro paesi prescelti sulla base delle novità che almeno uno dei loro formanti ha fornito allo
sviluppo della categoria nelle rispettive esperienze giuridiche.
2. Il danno alla persona nell’esperienza venezuelana
In Venezuela, la determinazione del danno risarcibile risulta dal combinato disposto degli articoli 11853, che prescrive l’obbligo di risarcimento del danno, e 1196 del codice civile che afferma:
“L’obbligo di risarcimento comprende ogni danno materiale o morale causato dall’atto illecito. In
particolare, il giudice può accordare un indennizzo al danneggiato nel caso di lesioni corporali, attentato al suo onore, alla sua reputazione, o quella della sua famiglia, alla sua libertà personale (…)”.
1 La genesi dell’“amparo constitucional” può rintracciarsi nella Costituzione Federale messicana del 1857. Cfr. C. AYALA CORAO, La recepción de la jurisprudencia internacional sobre derechos humanos por la jurisprudencia constitucional, 3 ss, (http://www.cajpe.org.pe/guia/ayala1.HTM).
In termini generali, e prescindendo della discussione dottrinaria riguardante la sua natura, il recurso o acción de amparo è un meccanismo giudiziario finalizzato alla tutela dei diritti fondamentali, ove il giudice ha la potestà di ristabilire la situazione giuridica infranta
mediante un processo in linee generali breve, non soggetto a formalità e subordinato alla non esperibilità di altri processi. Tale istituto è
consacrato dall’articolo 27 della Costituzione venezuelana, dall’art. 43 della Costituzione argentina e dal comma 2° dell’articolo 200 della
Costituzione peruviana.
2 In alcuni paesi, le istituzioni equivalenti all’amparo ricevono una denominazione diversa. Così, la Carta costituzionale brasiliana prevede, ai commi LXIX e LXXI dell’articolo 5, il mandado de segurança ed il mandado de injunção.
3 Art. 1185: “Colui che con intenzione, o negligenza, o imprudenza, causa ad altri un danno, ha l’obbligo di risarcirlo”.
117
S. Pinto Oliveros
Da quest’ultima norma emerge che sono due i danni risarcibili nell’ordinamento venezuelano: il
danno materiale e il danno morale, a seconda del carattere patrimoniale o non patrimoniale del diritto o interesse leso. Allo stesso tempo, si può rilevare l’inesistenza di una disposizione espressa riguardante il danno alla persona4. Pertanto, allo scopo di determinare la situazione del danno alla persona in Venezuela è necessario concentrare la ricerca sulla figura del danno morale.
In primo luogo, si deve rilevare come il danno morale sia stato individuato negativamente, alla
stregua di qualunque danno che non leda diritti o interessi patrimoniali. La dottrina più autorevole
distingue tra danno morale che rechi pregiudizio alla componente sociale del patrimonio morale
della persona (danno alla vita di relazione, danno estetico, ecc.), e danno morale che comprometta
esclusivamente la componente affettiva del patrimonio morale5.
Nonostante tale divisione, un’analisi della giurisprudenza porterebbe ad evidenziare che, nella
pratica, l’obiettivo del danno morale è quello di risarcire il dolore subito dalla persona come conseguenza di una perdita immateriale, spirituale o affettiva; affermandosi che, data la sua natura essenzialmente soggettiva, non è legato ad una verifica materiale diretta poiché la stessa non è possibile6.
Da ciò discende che, una volta dimostrato il fatto illecito, la valutazione del danno morale7 è affidata al giudice, il quale – come osserveremo in seguito – ha ampi poteri sul punto.
Questo criterio è stato confermato in materia di incidenti sul lavoro ove la responsabilità del datore di lavoro è oggettiva conformemente alla teoria del rischio professionale8, elaborata dalla giurisprudenza. In tale contesto è sufficiente la prova del fatto (incidente sul lavoro o malattia professionale), che possa avere conseguenze negative sulla sfera morale della persona, al fine di ottenere il
risarcimento.
Alla luce dell’articolo 1196 c.c., un’altro settore della dottrina distingue i danni di tipo psichico,
morale, o spirituale a seconda che derivino da una lesione corporale o meno9. I danni corporali o fisici vengono considerati, dalla giurisprudenza, come una sottospecie del danno morale.
Specificamente, il Tribunal Supremo de Justicia ha riconosciuto che essi costituiscono un danno materiale organico caratterizzato principalmente dal dolore fisico e dalla sofferenza morale, giudicandoli
danno morale10.
Nel caso di lesioni menomanti o deformanti, la giurisprudenza ha affermato che il danno morale
consiste nella perdita spirituale cagionata al danneggiato dall’alterazione estetica. Pertanto, il giudice dovrà tenere conto delle dimensioni del disturbo spirituale sofferto11.
4 MELICH ORSINI, (La responsabilidad civil por hechos ilícitos, Biblioteca de la Academia de Ciencias Políticas y Sociales, Caracas,
2001, 35 e 213), non considera conveniente creare altre categorie autonome che raggruppino ipotesi riconducibili alla divisione fondamentale “danno materiale/danno morale”. Nonostante riconosca l’integrità fisica o morale come bene supremo, sostiene la risarcibilità del
danno alla persona legata alla capacità reddituale del danneggiato. D’altro canto, MILIANI BALZI (richiamato da N. HERNÁNDEZ, De la
responsabilidad jurídica del médico, Editorial Ateproca, Caracas, 1999, 147) considerava la lesione alla salute, alla vita, o alla psiche come
danno morale.
5 Cfr. J. MELICH ORSINI, La responsabilidad civil por hechos ilícitos, cit., 33 e 43.
6 In questo senso tra altre, SPA, Corte Suprema de Justicia (CSJ), Sentenza 11 febbraio 1985, caso C. Salazar vs. CADAFE. Le decisioni citate in questo capitolo, sono reperibili nel sito web del Tribunal Supremo de Justicia: http://www.tsj.gov.ve
7 Nella decisione SCS, CSJ, 16 novembre 1994, caso Suárez Galeano vs. C.A. Venezolana de Navegación è stato affermato che: «el
daño moral no es en si mismo susceptible de prueba, sino de estimación; lo que debe acreditarse plenamente (...) es el llamado ‘hecho
generador del daño moral’, o sea el conjunto de circunstancias de hecho que generan la aflicción cuyo petitum doloris se reclama (...)
Probado que sea el hecho generador, lo que procede es una estimación, lo cual se hace al prudente arbitirio del Juez». Criterio confermato da SCS, CSJ, 19 settembre 1996, Caso S. Zouras Cumpi vs. Pepeganga, C.A.
8 SCS, Tribunal Supremo de Justicia (TSJ), Sentenza n. 116, 17 maggio 2000. Massima confermata da SCS, TSJ, Sentenza 07 settembre 2004, caso N. González vs Promotora Payobi y Concretera del Centro. In quest’ultima decisione, la Sala de Casación Social considerò
la rilevanza del danno sulla vita quotidiana ed al fine risarcitorio osservò come parametro l’indennizzo previsto, in caso di incapacità parziale e permanente, dalla Ley Orgánica del Trabajo.
9 E. MADURO LUYANDO-E. PITTIER SUCRE, Curso de obligaciones. Derecho civil III, Tomo I, UCAB, Caracas 2000, 151. D’altra parte,
un settore della dottrina sostiene una nozione ristretta di danno morale, v. N. HERNÁNDEZ, De la responsabilidad jurídica del médico, cit.,
153; A. PADILLA ALFONZO, El daño moral y los elementos que debe seguir el juez para su estimación in Estudios de derecho Civil. Libro
Homenaje a J.L. AGUILAR GORRONDONA, Vol. II, F. Parra Aranguren Editor, TSJ, Colección Libros Homenaje, n. 5, Caracas 2002, 23.
10 SCC, TSJ, Sentenza 06 aprile 2000, caso J. Rujano y otros vs. La Popular SRL y Venezolana de Seguros Caracas.
11 A tale effetto, acquistano importanza fattori come: età, professione e condizione sociale del danneggiato. Cfr. SCC, CSJ, Sentenza
29 settembre 1988. Criterio confermato da SCC, CSJ, 14 febbraio 1990, caso D. Ramírez Molina vs. Concretera Las Tapias, SRL e da SCC,
CSJ Sentenza 4 novembre 1998, caso Victor Diaz vs. Distribuidora Menudo y otras.
118
L’esperienza latino-americana del danno alla persona
Una seconda osservazione, attinente al danno morale, deriva dalle ipotesi elencate dall’articolo
1196 del codice civile. Unanimemente, dottrina e giurisprudenza ritengono che il suddetto elenco
non abbia un carattere tassativo12; eppure, nella pratica giurisprudenziale non si sono verificati casi
in cui sia stato richiesto il risarcimento a prescindere della capacità reddituale del soggetto danneggiato oppure che non corrispondano al danno morale soggettivo.
D’altro canto, bisogna ricordare che la disciplina così delineata riconosce al giudice ampi poteri
di valutazione del danno al fine di determinare, con criterio equitativo e razionale, l’ammontare del
risarcimento. La giurisprudenza ha enumerato alcuni parametri che orientano questa valutazione:
a) l’importanza del danno tanto fisico quanto psichico (c.d scala di sofferenze morali);
b) il grado di colpevolezza del danneggiante;
c) la condotta del danneggiato13;
d) il grado di educazione e cultura, e la posizione socioeconomica del danneggiato14;
e) la capacità economica del danneggiante, così come le possibili attenuanti a suo favore;
f) il tipo di retribuzione di cui abbisogna il danneggiato per riavere una situazione simile a quella
precedente il verificarsi del danno.
A partire della decisione Hilados Flexilon, della Sala de Casación Social del Tribunal Supremo de
Justicia15, questi criteri sono stati confermati dalla giurisprudenza.
Orbene, il sistema sin qui delineato (che apparentemente non ha concesso ampi spazi alla figura
del danno alla persona) dovrebbe essere riletto alla luce della recente Costituzione venezuelana,
entrata in vigore il 24 marzo 200016, avendo cura di segnalare che la Sala Electoral del Tribunal
Supremo de Justicia17 ha negato il carattere programmatico delle disposizioni costituzionali.
Nel testo costituzionale risalta, in primis, la norma che sancisce il diritto al rispetto della integrità
fisica, psichica e morale18 della persona. Disposizione questa che si aggancia al ruolo centrale che la
Carta costituzionale conferisce alla tutela della persona, il cui sviluppo e la cui dignità sono – ex art.
3 – fini essenziali dello Stato.
In questo ordine di idee, risulta interessante il disposto dell’articolo 30, per il quale lo Stato ha
l’obbligo di risarcire integralmente le vittime delle violazioni di diritti umani che gli siano imputabili, o di indennizzare i loro eredi. Tale norma aggiunge, altresì, che lo Stato tutelerà le vittime di delitti e provvederà che i colpevoli risarciscano i danni arrecati. Parallelamente, viene in rilievo l’articolo
140, ai sensi del quale lo Stato risponde patrimonialmente dei danni subiti dai privati nei loro beni e
nei loro diritti, nel caso che la lesione sia imputabile all’operato della pubblica amministrazione.
Da queste norme sembrerebbe che il risarcimento del danno alla persona assuma una valenza
costituzionale. Caratteristica che, indubbiamente, determinerebbe un mutamento di prospettiva
della responsabilità civile, in cui l’integrità della persona diviene valore da veicolare al sistema,
incamminandosi verso l’approfondimento della riflessione intorno al danno alla persona.
In questo senso sembrerebbero muoversi alcune recenti decisioni giurisprudenziali. Nel caso di
danni cagionati dalla pubblica amministrazione ai cittadini, la Sala Politico-Administrativa del
Tribunal Supremo de Justicia19 ha affermato che la norma costituzionale non distingue tra i tipi di beni
e/o diritti lesi, motivo per il quale è necessario assumere un concetto ampio di patrimonio che trascenda la sfera esclusivamente economica e comprenda i diritti inerenti alla persona. Per tale motivo, la responsabilità della pubblica amministrazione si intende riferita ai beni e diritti giuridicamente protetti, qualunque sia la loro natura.
12 Cfr. J. MELICH ORSINI, La responsabilidad civil por hechos ilícitos, cit., 51; E. MADURO LUYANDO-E. PITTIER SUCRE, Curso de obligaciones, cit., 155.
13 Questi primi tre criteri sono stati enunciati dalla decisione: SCS, TSJ, Sentenza n. 116, 17 maggio 2000.
14 SCS, TSJ, Sentenza n. 116, 16 febbraio 2002.
15 SCS, TSJ, Sentenza 7 marzo 2002, J. Tesorero vs. Hilados Flexilon.
16 Gaceta Oficial N. 5.453 Extraordinario, 24 marzo 2000.
17 SE, TSJ, Sentenza n. 51, 19 maggio 2000, caso Asociación de Profesores de la U.C.V.
18 Artículo 46: “Toda persona tiene derecho a que se respete su integridad física, psíquica y moral; en consecuencia (…)”
19 SPA, TSJ, Sentenza 2 maggio 2000, caso C. Cheremos y otros vs. ELENCENTRO.
119
S. Pinto Oliveros
Tuttora, nella sentenza nota come “sobrebomba”20, la stessa Sala precisa quali siano i presupposti
necessari per configurare la responsabilità patrimoniale della Pubblica Amministrazione e, nonostante sia stata riaffermata la tradizionale nozione ristretta di danno morale, è stato ritenuto che la
perdita di una mano – per un giovane di 28 anni che conduceva una vita senza restrizioni fisiche –
limitasse qualsiasi tipo di attività propria di un uomo giovane e capace, concedendogli così un indennizzo in misura equitativa ed una rendita vitalizia.
3. Il danno alla persona nell’esperienza brasiliana
Prima dell’entrata in vigore del nuovo Codice Civile brasiliano, approvato dalla Legge 10.406 del
10 gennaio 2002, l’ammissibilità del danno alla persona si era assestata in seguito alla entrata in vigore della Costituzione brasiliana del 1988 sotto. In questo contesto, la responsabilità civile21 assume
una dimensione costituzionale.
Inoltre la carta fondamentale propone una rinnovata centralità della persona, dichiarando – ex art. 1
comma III – che la Repubblica Federale del Brasile ha come fondamento la dignità della persona
umana22.
Non esistendo, sotto la vigenza del Codice del 1916, una limitazione al risarcimento del danno
morale (o non patrimoniale), né alla formulazione di nuove fattispecie (essendo materia regolata da
diverse clausole generali), il danno alla persona poteva essere ricompreso nel danno morale inteso in
senso lato23. Nonostante ciò, la giurisprudenza brasiliana fu inizialmente molto timida, e lo sviluppo
delle varie categorie riconducibili al danno alla persona è stato giustificato in attuazione del disposto
costituzionale e poiché l’espressione “danno morale” fu legata al pretium doloris.
La prima decisione24 di riferimento riguarda il danno psichico, riconosciuto dal giudice vista la sua
qualificazione come danno in senso giuridico. Criterio confermato dal giudice di appello, che ha
sostenuto, inoltre, che il diritto debba proteggere la persona con una visione umanista.
D’altra parte, la categoria del danno estetico25 ha sollevato intenso dibattito, a livello dottrinario
e giurisprudenziale, nel tentativo di assicurare un risarcimento quando vi sia un danno distinto da
quello derivante dalla incapacità lavorativa.
Inizialmente, detta voce è stata risarcita in ordine al mancato guadagno26, conformemente alla giurisprudenza del Supremo Tribunal Federal. Tuttavia, lo sviluppo giurisprudenziale in materia appare
confuso27. A tale riguardo, è significativa una decisione nella quale il Supremo Tribunal Federal ritenne
20
SPA, TSJ, Sentenza 9 ottobre 2001, caso H. Betancourt vs República de Venezuela.
La costituzione brasiliana, ex art. 5, comma V e X, garantisce il diritto di riparazione dei danni materiali, morali o all’immagine.
Analogamente, dichiara inviolabile l’immagine della persona, assicurando il diritto al risarcimento dei danni materiali o morali che derivino dalla sua violazione.
22 Art. 1º: “A República Federativa do Brasil (…) tem como fundamentos: III – a dignidade da pessoa humana”. MARTINS-COSTA
(Os danos à pessoa no direito brasileiro e a naturaleza da sua reparação in Roma e America, 10, 2000, 161 ss) sottolinea che, nel diritto civile, il riferimento alla dignità della persona umana permette la ricostruzione concettuale del termine persona. L’autrice afferma, altresì, che
la personalità umana non è soltanto riducibile alla sua sfera patrimoniale e rileva come i principi e le garanzie (costituzionali), espressi in
clausole generali, permettano lo sviluppo giurisprudenziale di nuove ipotesi, potendosi parlare dell’elaborazione di un diritto generale della
personalità che non si esaurisce nel riconoscimento dei tradizionali attributi quali l’onore, il nome, l’immagine, l’intimità e la vita privata.
23 Ibidem, 165.
24 Acórdão da 3ª Câmara Civel, con commento di AGUIAR DIAZ, Dano psíquico e dano estético – uma decisão memorável in Revista
Ajuris, 29, 1983, 65; richiamata da J. MARTINS-COSTA, Os danos à pessoa no direito brasileiro, cit., 168.
25 Definito da ARAGÃO (richiamato da F.L. MACHADO BARROS, O dano estético e a responsabilização civil in Jus navigandi
(http://www1.jus.com.br) come “toda alteração morfológica do indivíduo que, além do aleijão, abrage as deformidades ou deformações,
marcas e defeitos, ainda que mínimos, e que impliquem sob qualquer aspecto um afeiamento da vítima, consistindo numa simples lesão
desgostante ou num permanente motivo de exposição ao ridículo ou de completo de inferioridade, esercendo ou não influência sobre sua
capacidade lavorativa”. DINIZ (Curso de direito civil brasileiro, 7° Vol., Saraiva, São Paulo, 2000, 73) considera tale categoria parte del
danno morale, potendo costituire o meno un danno patrimoniale, e rendendosi possibile il cumulo risarcitorio. Di contrario avviso, A.S.
RIBEIRO, Não se cumulam danos estéticos com danos morais e/ou materiais in Jus navigandi (http://www1.jus.com.br).
26 Re38341/rel. L. de Andrada, STF, 2ªT., 12 agosto 1958. La giurisprudenza del Supremo Tribunal Federal è rintracciabile in
http://www.stf.gov.br
27 Già nella decisione Re19974/rel. A. de Vasconcelos, STF, 2ªT., 11 luglio 1952, il giudice sembra non attenersi ad un criterio reddituale, in quanto respinge la domanda non a causa della mancata capacità reddituale, bensì sulla presunzione dell’inesistenza di lesioni
deformanti dato che, in seguito, la danneggiata si è sposata.
21
120
L’esperienza latino-americana del danno alla persona
necessario sostenere espressamente la progressiva conversione del danno estetico in danno patrimoniale28, e ciò nonostante i risarcimenti precedentemente accordati attenessero al solo criterio reddituale. In seguito, si è negato il risarcimento di questa categoria come danno morale, in quanto già
indennizzata come danno materiale29.
La situazione inizia a cambiare con una decisione degli anni ottanta dove si sostiene la risarcibilità del danno estetico sulla base di una interpretazione ragionevole della domanda attorea, facendo
specifico riferimento alle peculiarità del caso. Nonostante ciò, la decisione continua a seguire il criterio in base al quale nelle ipotesi in cui risulti risarcito il danno estetico non è possibile accordare
l’indennizzo per danno morale30.
Il problema è di grande importanza sul piano pratico, perché risarcendo il danno morale e il
danno estetico potrebbe configurarsi una duplicazione di risarcimenti per uno stesso danno. Nel
dibattito su tale problematica, durante il IX Incontro Nacional dos Tribunais de Alçada (1997), si conferma l’impossibilità di affiancare le due ipotesi, affermando espressamente che danno morale e
danno estetico non si cumulano, poiché quest’ultimo comporta un danno materiale oppure è compreso nel danno morale31.
La giurisprudenza del Superior Tribunal de Justiça ha ulteriormente ampliato il dibattito in merito al
risarcimento del danno estetico definendolo come una categoria distinta dal danno morale32, come
corollario di quest’ultimo33 e prevedendo la possibilità di cumularli34. Tuttavia è lo stesso Superior
Tribunal de Justiça, con decisione del 6 novembre 2000, a chiarire la regola giuridica stabilendo che laddove il danno estetico si differenzi da quello morale, entrambi dovranno essere risarciti singolarmente35. Da allora, la giurisprudenza ha considerato autonomamente il danno morale ed il danno estetico36.
A livello generale, può notarsi come la giurisprudenza abbia riconosciuto diverse voci riconducibili alla categoria del danno alla persona37. Tra le diverse pronunce merita rilievo una decisione del
Superior Tribunal de Justiça, nella quale si sostiene che al giudice non debbano interessare le discussioni dottrinarie riguardanti le diverse etichette connesse al danno non patrimoniale (e alle sue classificazioni in: danno morale, danno alla persona, danno biologico, danno fisiologico, danno alla salute, danno alla vita di relazione, ecc., ognuna costituente un’autonoma specie di danno) tranne nella
misura in cui servano ad evidenziare la molteplicità di aspetti che la realtà presenta, al fine di percepire meglio le diverse categorie che possono e devono essere adeguatamente valorizzate dal punto di
vista giuridico38.
Il panorama brasiliano del danno alla persona, già ricco nei suoi sviluppi, indubbiamente sarà
influenzato dalla entrata in vigore del Codice Civile. Con riguardo al nuovo testo, deve essere sottolineata l’importanza della collocazione delle norme nell’ambito della divisione tra parte generale e
parte speciale39, ove l’articolo 12 – quale clausola generale che precede la disciplina della responsa28 Re57697/GB/rel. V. Nunes, STF, Tribunal Pleno, 26 ottobre 1966. Mutatis mutandis, stesse affermazioni in Re80158/rel. A.
Baleeiro, STF, 1ªT., 14 marzo 1975.
29 Re 84734/rel. R. Alckmin, STF, 1ªT., 16 novembre 1976. Criterio confermato da Re91164/RJ, rel. D. Miranda, STF, 2ªT., 26 giugno 1979.
30 Re93169/RJ, rel. R. Mayer, STF, 1ªT., 18 novembre 1980.
31 Cfr. F.L. MACHADO BARROS, O dano estético e a responsabilização civil, cit.
32 Resp.144430/MG, Recurso esp. 1997/0057717-1, Rel. Min. R. Rosado de Aguiar, STJ, 4ªT., 4 novembre 1997. La giurisprudenza
del Superior Tribunal de Justiça è reperibile sul sito web: http://www.stj.gov.br/webstj/
33 Resp 434903/RJ, Recurso esp. 2002/0059542-5, Rel. C. Filho, STJ, 3ªT., 24 settembre 2002.
34 Resp 228244/SP, Recurso esp. 1999/0077417-5, Rel. S. de Figueiredo Teixeira, STJ, 4ªT., 9 novembre 1999. Criterio confermato da
Resp 247266/SP, Recurso esp. 2000/0009917-1, Rel. C. Menezes Direito, STJ, 3ªT., 20 giugno 2000.
35 STJ, AGA 312702/SP, 3ª T, Rel. A. Pargendler, DJ 06 novembre 2000.
36 Resp 540021/ES; Recurso esp. 2003/00668664-3, Rel. C. Asfor Rocha, STJ, 4ªT., 19 dicembre 2003. Criterio confermato da Resp
595866/RJ; Recurso esp. 2003/0176897-3, Rel. C. Asfor Rocha, STJ, 4ªT., 20 maggio 2004.
37 Riguardo al danno estetico ed altri danni alla persona, Resp. 65.393/RJ, 4ª T, Rel. R. Rosado de Aguiar, DJU 18 decembre 1995.
Per il danno alla vita relazionale, Resp 404706/SP; Recurso esp. 2002/003753-9, Rel. Ruy Rosario de Aguiar, STJ, 4ªT., 27 giugno 2002. In
materia di incidenti sul lavoro, Resp 588649/RS, Recurso esp. 2003/0158041-4, Rel. A. Passarinho Jr, STJ, 4ªT., 2 settembre 2004.
38 Cfr., Resp. 2226190/RJ, Rel. Min. R. Rosado de Aguiar Jr, STJ, 4ªT. in DJ 01 febbraio 2000, unânime.
39 Aspetto evidenziato da F.D. BUSNELLI, Persona umana e responsabilità civile nel nuovo codice brasiliano in Roma e America, 16,
2003, 65. Nello stesso senso, P. MOTA PINTO, Direitos de personalidade no Código civil português e no novo Código civil brasileiro in Il nuovo
Codice civile brasiliano a cura di A. CALDERALE, Giuffrè, Milano 2003, 19.
121
S. Pinto Oliveros
bilità civile – prevede la possibilità di esercitare l’azione di risarcimento dei danni in caso di minaccia o lesione dei diritti della personalità40.
In generale, la risarcibilità del danno è fondata sul combinato disposto degli articoli 186 e 927.
Quest’ultimo, in particolare, dispone: “colui che con atto illecito, causa un danno ad altri, ha l’obbligo di risarcirlo”. Invece, secondo l’articolo 186 “colui il quale, per azione o omissione volontaria,
negligenza, o imprudenza, violi il diritto e causi danno ad altri, anche se esclusivamente morale41,
commette atto illecito42”.
Le novità introdotte da quest’ultima norma consistono, da un lato, nell’esplicita e generale previsione della risarcibilità del danno morale, sotto l’egida della vigente Carta costituzionale, dall’altro,
nella sostituzione dell’espressione “violar direito ou causar prejuízo” con la formula “violar direito e
causar dano”. La formulazione precedente poteva dare l’idea sbagliata che possa esservi responsabilità civile (e, dunque, obbligazione risarcitoria) anche quando vi sia solo violazione di un diritto senza
che ne consegua un pregiudizio43.
Peraltro, la norma dell’art. 944 esplicita il principio secondo il quale il risarcimento si misura in
base all’estensione del danno, senza distinguere il tipo di danno, ma conferendo al giudice il potere
di ridurre equamente l’ammontare in caso di eccessiva sproporzione tra la gravità della colpa ed il
danno44.
Sebbene la risarcibilità del danno alla persona sia riconducile alle suddette norme, potrebbe anche
desumersi dall’interpretazione del combinato degli articoli 188 comma II e 929 c.c., ai sensi dei quali
si prescrive la risarcibilità del danno alla persona ove questo non sia cagionato per evitare un pericolo imminente.
4. Il danno alla persona nell’esperienza argentina
Il sistema di risarcibilità del danno, nel caso argentino, è fondato su diverse norme. L’articolo
110945 del codice civile riconosce il principio alterum non laedere e dispone una nozione ampia di
danno. Il danno sussisterà sempre che ci sia un pregiudizio suscettibile di valutazione economica,
direttamente sui beni del danneggiato o indirettamente per il male causato alla sua persona o ai suoi
diritti46.
L’obbligo di risarcimento abbraccia, conformemente all’articolo 1078, l’indennizzo del danno
patrimoniale e il risarcimento dell’agravio morale causato al danneggiato47. Questo testo normativo,
per lungo tempo, è stato oggetto di un intenso dibattito dottrinario riguardante la possibilità di
40 Art. 12: “Pode-se exigir que cesse a ameaça, ou lesão, a direito da personalidade, e reclamar perdas e danos, sem prejuízo de outras
sanções previstas em lei”.
41 Per F.D. BUSNELLI, (Persona umana e responsabilità civile nel nuovo codice brasiliano, cit., 67), il modo in cui è stato inserito l’inciso «ainda que exclusivamente moral» è assai apprezzabile, in quanto condiziona la risarcibilità al «filtro» di quella che nel sistema italiano
si configura come «ingiustizia del danno», evitando così il pericolo di una incontenibile dilatazione della risarcibilità di danni morali soggettivi derivanti dalla frustrazione di semplici desideri. In tal modo si manifesta l’intenzione di risarcire tutti i danni morali, ma soltanto se
conseguenti alla lesione di un (vero e proprio) diritto della personalità.
42 Art. 186: “Aquele que, por ação ou omissão voluntária, negligência ou imprudência, violar direito e causar dano a outrem, ainda
que exclusivamente moral, comete ato ilícito”.
43 G. IUDICA, Profili della responsabilità extracontrattuale secondo il nuovo Código civil brasiliano in Il nuovo Codice civile brasiliano a
cura di A. CALDERALE, Giuffrè, Milano 2003, 295.
44 Art. 944: “A indenização mede-se per la extensão do dano. Parágrafo único. Se houver excessiva desproporção entre a gravidade
da culpa e o dano, poderá o juiz reduzir, equitativamente, a indenização”.
45 Artículo 1109: “Todo el que ejecuta un hecho, que por su culpa o negligencia ocasiona un daño a otro, está obligado a la reparación del perjuicio (…)”. Questo principio viene moderato dall’antigiuridicità specifica prevista dall’articolo 1066, nei seguenti termini:
“Ningún acto voluntario tendrá el carácter de ilícito, si no fuere expresamente prohibido por las leyes ordinarias, municipales o reglamentos de policía; y a ningún acto ilícito se le podrá aplicar pena o sanción de este Código, si no hubiere una disposición de la ley que la
hubiese impuesto”. Sul punto, si veda: L.O. ANDORNO, Daño (e injusticia del daño) in Roma e America, 10, 2000, 132 ss.
46 Artículo 1068: “Habrá daño siempre que se causare a otro algún perjuicio susceptible de apreciación pecuniaria, o directamente
en las cosas de su dominio o posesión, o indirectamente por el mal hecho a su persona o a sus derechos o facultades”.
47 Artículo 1078: “La obligación de resarcir el daño causado por los actos ilícitos comprende, además de la indemnización de pérdidas e intereses, la reparación del agravio moral ocasionado a la víctima”.
122
L’esperienza latino-americana del danno alla persona
distinguere tra danno ed agravio morale48. Oggi, la dottrina parla unanimemente di danno patrimoniale e danno non patrimoniale (o danno morale).
Più che in altri sistemi latino-americani, il riconoscimento del danno alla persona è stato legato alle
vicende che seguirono l’affermarsi del danno morale. Ciò perché il testo originario dell’articolo 1078
disponeva la risarcibilità del danno morale soltanto quando il fatto illecito avesse costituito reato.
Muovendo appunto da questo testo normativo, la Cámara Nacional en lo Civil – in seduta plena49
ria – rifiutava di accordare il risarcimento del danno morale derivante da delitti e quasi-delitti civili, tranne quando fossero penalmente rilevanti. Criterio che fu seguito dalla giurisprudenza della
capitale federale, per lungo tempo.
In seguito alla modifica dell’articolo 1078, nel 1968, lo sviluppo delle diverse categorie riconducibili al danno alla persona è stato giustificato da due fattori: da un lato, come conseguenza del senso
stretto tradizionalmente attribuito all’espressione danno morale50, e dall’altro lato, in quanto la regola generale che vieta di danneggiare gli altri, ex art 1951, ha implicitamente riconoscimento costituzionale. Così è stato ritenuto, nel 1986, dalla Corte Suprema de Justicia52 che dichiarò arbitraria una
decisione della Corte federale di appello in materia civile e commerciale di Buenos Aires, che concedeva un risarcimento per danno morale equivalente al doppio delle spese funerarie per la morte
dei tre figli in un incidente ferroviario. Per giungere a questo risultato, la Suprema Corte sostenne
che il principio alterum non laedere ha fondamento costituzionale53 e che le soluzioni giuridiche
devono adeguarsi al senso di giustizia della società.
Alla luce del testo costituzionale e dello sviluppo giurisprudenziale, la dottrina ha spinto per una
nuova prospettiva della responsabilità civile, mettendo al centro della riflessione la persona, al punto
che l’indirizzo dottrinario prevalente ammette che la nozione di danno alla persona stia sostituendo
quella di danno morale54.
Questo nuovo indirizzo dottrinario si era percepito nelle XII Jornadas Nacionales de Derecho Civil
del 1989, dove il danno è stato collocato al centro del sistema di responsabilità civile, ritenendosi che
una moderna concezione del diritto dei danni dovrebbe focalizzare la sua attenzione sul danneggiato55.
Nonostante ciò, al II Congreso Internacional de Daños (1991), non è stato riconosciuto il carattere di
categoria autonoma al danno alla persona56.
48 La tesi è di Llambias che considera il danno morale come il genere, di cui l’agravio costituisce la specie. Quest’ultimo si ravvisa laddove il danno sia cagionato con dolo, ed è l’unico tra i due che può essere portato davanti al giudice, per ottenere, peraltro, non un risarcimento, bensì una sanzione penale. Cfr. A.A. ALTERINI, O.J. AMEAL e R.M. LÓPEZ CABANA, Derecho de obligaciones civiles y comerciales,
Abeledo-Perrot, Buenos Aires 1993, 290, e LLAMBIAS, El precio del dolor in J.A., t. 1954-III, 358 ed in Código civil anotado, 158; richiamato da R. L. LORENZETTI, Responsabilidad civil de los médicos, Rubinzal-Culzoni Editores, Santa Fe, 1986, 295.
49 15-III-43, Iribarren c/ Sáenz Briones, J.A., 1943-I-844 richiamata da A.A. ALTERINI, O.J. AMEAL e R.M. LÓPEZ CABANA, Derecho
de obligaciones civiles y comerciales, cit., 291.
50 Nelle II Jornadas Sanjuaninas de derecho civil (1984) si discusse se il danno alla persona fosse racchiuso nel concetto di danno morale, concludendosi che è possibile differenziare quest’ultimo dal danno alla persona. Tuttavia, si è sottolineato come le differenze scompaiono quando il danno morale è considerato in senso ampio, quale lesione generica degli affetti.
51 Artículo 19: “Las acciones privadas de los hombres que de ningún modo ofendan al orden y a la moral pública, ni perjudiquen a
un tercero, están sólo reservadas a Dios, y exentas de la autoridad de los magistrados. Ningún habitante de la Nación será obligado a hacer
lo que no manda la ley, ni privado de lo que ella no prohíbe”. Sul punto, v. H.P. IRIBARNE, L’indemnisation du prejudice corporel dans le
droit argetin in Journees Quebecoises (13-17 septembre 2004). Questionnaire relatif au thème n° 3. Le prejudice corporel, Association Henri
Capitant des amis de la culture juridique française, 2.
52 CSJN in re Santa Coloma Luis F. y otros c/ Impresa Ferrocarriles argentinos. Narrano la vicenda, H.P. IRIBARNE, L’indemnisation
du prejudice corporel dans le droit argetin, cit, 6; e, A.A. ALTERINI, Informe sobre la responsabilidad civil en el proyecto argentino de código
civil de 1998 in Roma e America, 8, 1999, 148.
53 Massima confermata da CSJ, 21 settembre 2004, Aquino, Isacio c/ Cargo servicios industriales. Le decisioni citate in questo capitolo, sono reperibili nel sito internet della Corte Suprema de Justicia de la Nación: http://www.csjn.gov.ar/.
54 MOSSET ITURRASPE, (El daño a la persona en el Código civil peruano in Los diez años del Código civil, Tomo I, Universidad de Lima,
Lima, 213; citato da C. FERNÁNDEZ SESSAREGO, Deslinde conceptual entre “daño a la persona”, daño al proyecto de vida y “daño moral”, 64
(http://dike.pucp.edu.pe/bibliotecadeautor_carlos_fernandez_cesareo/articulos/ba_fs_6.PDF), afferma che la nozione di danno morale
integra quella più ampia del danno alla persona. Aggiunge, altresì, che con dolore o senza si deve rispettare l’intimità, la vita relazionale, i
progetti e la salute intesa in maniera piena ed integrale. Nello stesso senso, H. IRIBARNE, De los daños a la persona, Ed. Zavalía; citato da
R.L. LORENZETTI, El daño a la persona: solución de casos de colisión de derechos fundamentales, 1. (http://www.foroderecho.com/secciones/danos/danos1.htm)
55 Da questo avviso, A.V.S. BESALÚ PARKINSON, La responsabilidad civil: tendencias actuales. La experiencia argentina y su posible proyección al derecho mexicano in Boletín mexicano de derecho comparado, n. 91, 1998, 2 e, L.O. ANDORNO, Daño (e injusticia del daño), cit., 136.
56 Cfr. A.A. ALTERINI, O.J. AMEAL e R.M. LÓPEZ CABANA, Derecho de obligaciones civiles y comerciales, cit., 217.
123
S. Pinto Oliveros
Viceversa, già nel 1992 e confermando la sua giurisprudenza, la Corte Suprema de Justicia affermava che il giudice può valutare non solo le conseguenze reddituali ma anche le ripercussioni che
ledano il danneggiato sia da una prospettiva personale sia da una prospettiva sociale57. Per questa
via, è stato accordato riconoscimento al danno psichico58.
Il danno estetico, invece, non è stato considerato una categoria autonoma rispetto a quello di
danno materiale o morale, ma integrante l’uno o l’altro o entrambi59. Nelle Jornadas sobre responsabilidad por Daños, il danno estetico è stato definito60, secondo i seguenti parametri di valutazione:
1. trattamenti medici possibili e
2. condizioni del danneggiato, ossia sesso, età, aspetto fisico, dimensioni e localizzazione della lesione,
situazione familiare e, in generale, ogni circostanza importante per la persona e la sua sfera intima.
A livello generale, la Corte Suprema de Justicia ha reiteratamente affermato che: “L’integrità fisica
in sé ha un valore indennizzabile, e la sua lesione coinvolge diversi aspetti della personalità riguardanti l’ambito domestico, sociale, culturale e sportivo con la conseguente frustrazione del pieno sviluppo della vita”61.
A tale riguardo, vale la pena indicare come, la Suprema Corte ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 39, comma 1°, della Legge sugli infortuni nell’ambiente di lavoro62 che limitava la responsabilità del datore di lavoro soltanto al risarcimento del danno materiale (specificamente al lucro cessante63). Una previsione questa che, secondo la Corte, si allontanava dai contenuti del principio di riparazione integrale elaborati dalla giurisprudenza ed, altresì, era contraria alla dignità umana giacché
avrebbe comportato la pretesa di considerare la persona soltanto come un oggetto del mercato del
lavoro64.
Infine, vorremmo rilevare che l’espressione “frustrazione del pieno sviluppo della vita”, usata dalla
giurisprudenza, ha innescato un interesse particolare – sotto l’influsso della dottrina peruviana –
rispetto al c.d. danno al progetto di vita. Questa categoria ha assunto un posto importante nel progetto di riforma del Codice Civile argentino65, che la include nella definizione di danno non patrimoniale, dichiarando che quest’ultimo comprende quello che ostacola il progetto di vita, causando
pregiudizio alla salute fisica o psichica o impedendo il pieno godimento della vita66.
57 CSJ, 10 dicembre 1992, caso Dorallo Romero, R. c/Ministerio de Salud y Buenos Aires, Provincia de (decisione che conferma il
criterio adottato dal Fallo 310:1826).
58 CSJ, 13 febbraio 1996, caso Mahdjoubian, R.J. y otro c/Equino, A. y otro. D’altra parte, la Cám. 7ª. Civil y Comercial de Córdova
(16/06/88, Semanario Jurídico, 11/8/88, 391 ss; richiamata da L.O. ANDORNO, Daño (e injusticia del daño), cit., 154) ha concesso riconoscimento al danno alla vita relazionale nei seguenti termini: “El daño a la vida de relación queda incluido dentro del daño moral cuando
no se traduce en un perjuicio patrimonial para el damnificado”.
59 CSJ, 28 aprile 1998, Martínez, D.D. c/Corrientes, Provincia de. Criterio confermato dalla decisione CSJ, 27 maggio 2003, Sitjá y
Balbastro, J.R. c/La Rioja, provincia de y otros.
60 Qualificandolo come “toda alteración disvaliosa para la víctima en su armonía, expresión y esquemas corporales”, comprendendo
“las anormalidades anatómicas y funcionales, permanentes o transitorias, que se manifiestan exteriormente”. Cfr. A.A. ALTERINI, O.J.
AMEAL e R.M. LÓPEZ CABANA, Derecho de obligaciones civiles y comerciales, cit., 284. La dottrina sostiene la risarcibilità del danno estetico a prescindere dell’incidenza sulla capacità di produrre reddito. In questo senso, M.G. LEMEGA, El daño estético en la legislación, doctrina y jurisprudencia in L.L., t. 26, 654; MOSSET ITURRASPE, Responsabilidad civil del médico, 231; E. ZANNONI, El daño en la responsabilidad civil, Astrea, 1982, 128; citati da R.L. LORENZETTI, Responsabilidad civil de los médicos, cit., 299.
61 CSJ, 31 agosto 1999, Izaurralde, R.R. c/Buenos Aires Provincia de y otros. (La decisione conferma il criterio adottato dai Fallos
308:1109; 312:2412; 315:2834). Criterio, ancora, confermato dalla decisione CSJ, 27 maggio 2003, Sitjá y Balbastro, J.R. c/La Rioja, provincia de y otros.
62 La legge è reperibile sul sito http://infoleg.mecon.gov.ar/txtnorma/texactley24557.htm.
63 La situazione precedente alla dichiarazione d’incostituzionalità della norma è riferita da H.P. IRIBARNE, L’indemnisation du prejudice corporel dans le droit argetin, cit., 9 ss.
64 Cfr. CSJ, 21 settembre 2004, Equino, I. c/Cargo Servicios Industriales.
65 Il progetto di codice civile è reperibile in http://infoleg.mecon.gov.ar/basehome/codigos.htm.
66 Artículo 1571: «Significación de algunos términos empleados en este Código: b) El daño extrapatrimonial comprende al que interfiere en el proyecto de vida, perjudicando a la salud física o psíquica o impidiendo el pleno disfrute de la vida; así como al que causa molestias en la libertad, en la seguridad personal, en la dignidad personal, o en cualesquiera otras afecciones legítimas”. ANDORNO (Daño (e
injusticia del daño), cit., 153), raccoglie e replica le perplessità di BIANCA, (Si torna a parlare di danno ingiusto, Roma 2000), riferite alla corrispondenza tra il c.d. danno esistenziale e l’espressione “ostacolando il pieno godimento della vita”. Per una esposizione della responsabilità civile nel progetto, v. A.A. ALTERINI, Informe sobre la responsabilidad civil en el proyecto argentino de código civil de 1998, cit., 143 ss.
124
L’esperienza latino-americana del danno alla persona
5. Il danno alla persona nell’esperienza peruviana
Uno studio dell’esperienza latino-americana del danno alla persona non può prescindere da un
riferimento all’opera del giurista cui è stata attribuita la paternità della teoria del danno alla persona
in America Latina, né dalla esperienza del suo paese. È così che, senza pretese di completezza, proponiamo alcuni cenni circa la teoria avanzata da Carlos Fernández Sessarego, per presentare l’esperienza peruviana.
Dal 198467, e sulla base di uno studio antropologico e filosofico dell’essere umano, Fernández
Sessarego ha elaborato la sua teoria del danno alla persona.
In primo luogo, lo studioso ricorda come la persona sia un ente68 ontologicamente libero, temporale e co-esistenziale. Successivamente, rileva come il danno abbia una doppia valenza: la prima in
funzione della qualità ontologica dell’ente danneggiato; la seconda riguarda le conseguenze che il
danno cagiona all’ente stesso. Con riguardo alla prima distingue due categorie: il danno alla persona
(o danno soggettivo69) ed il danno alle cose (o danno oggettivo70).
Tenendo conto della naturale essenza bidimensionale dell’uomo, il danno alla persona viene classificato in: a) danno psicosomatico71, ossia quello che ha incidenza su qualunque aspetto della unità psicosomatica, sia riferito al corpo (danno fisico) sia alla psiche (danno psichico) – essendo ipotizzabili
riflessi reciproci tra questi ultimi – e in, b) danno alla libertà fenomenologica o al progetto di vita72.
Ma è proprio su quest’ultimo elemento, riferito al destino che la persona si propone e ritenuto dal
giurista come l’aspetto più importante del danno alla persona, che la teoria di Fernández Sessarego
diventa vaga. A tale riguardo, solleva molte perplessità l’impossibilità di individuare quale sarebbe
“il” progetto di vita di un determinato individuo, che l’autore qualifica come unico73.
Il danno morale (di grande rilievo in quanto secondo la legislazione precedente al codice del 1984,
erano risarcibili soltanto il danno materiale e morale) viene incluso dal giurista tra i danni psicosomatici, ribadendo che si tratta di un danno emotivo che cagiona perturbazioni psichiche, in genere
transitorie e non patologiche, come dolori e sofferenze.
In conclusione, il danno alla persona corrisponderà a “qualunque danno che possa essere causato
all’ente essere umano74, inteso come unità psico-somatica costituita e sorretta sulla sua libertà75”.
A seguito dell’opera di Fernández Sessarego, il dibattito dottrinario si è acceso: alcuni autori
sostengono una posizione simile con qualche variante76. Altri concordano con il giurista ma criticano la denominazione “danno alla persona”, segnalando che risulterebbe più appropriato parlare di
danno soggettivo77. In questo modo, il soggetto di diritto diventerebbe il punto di riferimento per
67 Come riporta lo stesso autore facendo riferimento a C. FERNÁNDEZ SESSAREGO, El daño a la persona en el Código civil peruano de
1984, in Libro homenaje a J.L. BARANDIARÁN, Editorial Cuzco, Lima 1985, 153 ss., Cfr. Deslinde conceptual entre “daño a la persona”, cit., 18;
e, Apuntes sobre el daño a la persona, 15. (http://dike.pucp.edu.pe/bibliotecadeautor_ carlos_fernandez_cesareo/articulos/ba_fs_4.PDF).
68 Inteso in senso filosofico, ossia ciò che è, ciò che esiste.
69 Definito come quello che ha incidenza sull’essere umano in sé considerato.
70 Per contrapposizione al primo, riguarderà quello che non concerna l’essere umano oppure quello che gravi sugli oggetti che costituiscono il patrimonio della persona
71 Distinguendosi tra la lesione in se stessa (danno biologico) e le molteplici conseguenze che la lesione provoca sul benessere integrale dell’uomo (danno alla salute). Come conseguenza della lesione, altresì, la persona può essere danneggiata nelle sue attività (danno
alla vita di relazione)
72 Progetto di vita è il destino che la persona dà alla propria vita, ossia il senso esistenziale che deriva da una valutazione previa.
Pertanto, il danno inciderà sull’esercizio della libertà dell’uomo, avendo come conseguenza la frustrazione di una decisione riguardante il
suo futuro o destino.
73 C. FERNÁNDEZ SESSAREGO, Deslinde conceptual entre “daño a la persona”, cit., 41.
74 Ibidem, 12 e 20.
75 Ibidem, 16.
76 TABOADA CÓRDOVA, (Elementos de la responsabilidad civil, Lima, Grijley, 2003, 68 ss.), afferma che il metodo più semplice e adeguato per comprendere il significato del danno alla persona sarebbe considerare che esso si produce ove si leda l’integrità fisica del soggetto, l’aspetto psicologico e/o il suo progetto di vita. Aggiungendo, altresì, che questi aspetti devono essere provati. Nello stesso senso, J.
ESPINOZA, Derecho de la responsabilidad civil, Faceta Jurídica, Lima 2003.
77 Ossia quello cagionato al soggetto di diritto, al quale si oppone il danno non soggettivo. In questo senso, C. CÁRDENAS QUIRÓS,
Apuntes sobre el denominado daño a la persona en el Código Civil del Perú del 1984 in Aequitas. Revista de derecho y ciencia política, n. 1,
1989, 78.
125
S. Pinto Oliveros
differenziare le diverse tipologie di danni78. Un’altra dottrina critica le sue idee sulla base del solo
fondamento filosofico della teoria; qualcuno, invece, parla di corrispondenza tra danno morale e
danno alla persona79, mentre altri mostrano alcune perplessità80.
Al di là delle discussioni dottrinarie, è indubbio che le riflessioni di Fernández Sessarego hanno
influenzato il sistema previsto dal Codice Civile peruviano del 1984, nel quale si riconosce espressamente il danno alla persona come danno risarcibile.
Nel testo codicistico, la disciplina dei diritti della personalità precede quella della responsabilità
civile, e caratterizza come diritti irrinunciabili – ex art. 581 – la vita e l’integrità fisica. Tale norma
attua il precetto costituzionale secondo cui l’integrità morale, psichica e fisica, così come il libero sviluppo e il benessere della persona costituiscono diritti della personalità82. Aspetti che hanno trovato
riconoscimento giurisprudenziale in una decisione del Tribunal Constitucional che tratta ampiamente la portata di ognuno di essi83.
Come in altri sistemi latino-americani, la Costituzione peruviana propone una rinnovata centralità
della persona, dichiarando – ex art. 184- che la difesa della persona umana e il rispetto della sua dignità
sono le finalità supreme della società e dello Stato. Tuttavia, giova rilevare come la normativa peruviana vada ancora oltre questo dettato, disponendo la tutela dei diritti fondati sulla dignità della persona85.
A tale riguardo, il Tribunal Constitucional rileva che in sede giudiziaria nessuna analisi possa realizzarsi
senza verificare il rispetto della dignità dell’uomo, sia nell’operato dello Stato, sia nell’agire dei privati86.
Orbene, la determinazione del danno risarcibile risulta dal combinato disposto degli articoli
196987 e 198588 del Codice Civile. In base a quest’ultimo, il risarcimento abbraccerà le conseguenze
che derivino dall’azione o omissione generatrici del danno, includendo il lucro cessante, il danno alla
persona e il danno morale. Il danno morale, ex art. 198489, è risarcibile considerando la sua entità e
la perdita che abbia prodotto al danneggiato o alla sua famiglia.
Da queste norme risulta inconfutabile la risarcibiltà del danno alla persona nell’ordinamento giuridico peruviano, senza nessun tipo di limitazione. Tuttavia, nonostante tale verbalizzazione simboleggi il recepimento di una rinnovata visione della responsabilità civile, il sistema delineato non sfugge alla critica di Fernández Sessarego, il quale denuncia l’incongruenza che comporta il conservare
il danno morale come una voce autonoma rispetto al danno alla persona90.
78
ESPINOZA ESPINOZA, (Derecho de la responsabilidad civil, cit.), considera più adeguata l’espressione danno soggettivo, poiché anche
il concepito e le organizaciones de personas no inscritas potrebbero subirlo. La necessità di ricondurre a tale categoria anche il danno causato al nasciturus è stata alla base della critica di C. CÁRDENAS QUIRÓS, Apuntes sobre el denominado daño a la persona, cit., 78.
79 Così TRAZEGNIES GRANDA, (La responsabilidad extracontractual, t. II, Fondo editorial de la Pontificia Universidad Católica del Perú,
Lima 1990, 110; citato da L. LEÓN, Funcionalidad del “daño moral” e inutilidad del “daño a la persona” en el derecho civil peruano, 18.
http://www.geocities.com/leysser.rm/Schmerzensgeld.htm) appunta: “la categoría «daños a la persona» no parece conllevar derechos u
obligaciones diferentes a las que usualmente se atribuía a la categoría «daño moral» (en el sentido más puro del término)”. Invece, come
fondamento delle sue considerazioni, LEÓN (Ibidem) allega come la pratica giurisprudenziale ragioni in base al danno morale.
80 In questo senso, J. LEON BARANDIARÁN, Responsabilidad extracontractual in Código civil, Exposición de motivos y comentarios a cura
di D. REVOREDO, Vol IV, Lima 1988, 807; citato da L. LEÓN, Funcionalidad del “daño moral”, cit., 17.
81 Artículo 5: “El derecho a la vida, a la integridad física, a la libertad, al honor y demás inherentes a la persona humana son irrenunciables y no pueden ser objeto de cesión. (…)”
82 Artículo 2°: “Toda persona tiene derecho: 1. A la vida, a su identidad, a su integridad moral, psíquica y física y a su libre desarrollo y bienestar. (…)”
83 Exp n. 2333-2004-HC/TC, 12 agosto 2004, Callao, Natalia Foronda Crespo y otras. Le decisioni del Tribunal Constitucional sono
reperibili in http://www.tc.gob.pe/
84 Artículo 1°: “La defensa de la persona humana y el respeto de su dignidad son el fin supremo de la sociedad y del Estado.”
85 Artículo 3°: “La enumeración de los derechos establecidos en este capítulo no excluye los demás que la Constitución garantiza, ni
otros de naturaleza análoga o que se fundan en la dignidad del hombre (…) ».
86 Exp. N. 2945-2003-AA/TC, 20 aprile 2004, Lima, Azanca Alheli Meza Garcia. In un altro dispositivo, il Tribunale costituzionale
aveva statuito che nell’ordinamento costituzionale peruviano le leggi, i regolamenti e gli atti di applicazione, devono essere interpretati conformemente ai diritti fondamentali. Cfr. Exp. N. 0858-2003-AI/TC, 11 novembre 2003, Huanuco, Eyler Torres del Aquila.
87 Artículo 1969: “Aquel que por dolo o culpa causa un daño a otro está obligado a indemnizarlo. (…)” (Trad) Colui che con dolo o
colpa, causa un danno ad altri ha l’obbligo di risarcirlo.
88 Artículo 1985: “La indemnización comprende las consecuencias que deriven de la acción u omisión generadoras del daño, incluyendo el lucro cesante, el daño a la persona y el daño moral, debiendo existir una relación de causalidad adecuada entre el hecho y el daño
producido. (…)”.
89 Artículo 1984: “El daño moral es indemnizado considerando su magnitud y el menoscabo producido a la víctima o a su familia”.
90 Cfr. C. FERNÁNDEZ SESSAREGO, Deslinde conceptual entre “daño a la persona”, cit., 17 ss.
126
L’esperienza latino-americana del danno alla persona
Da un’altra parte, sebbene sia certo che in passato la giurisprudenza91 abbia prevalentemente
risarcito il danno morale92, è anche vero che, a seguito dell’entrata in vigore del codice civile, la pratica giurisprudenziale ha lentamente iniziato a riconoscere l’operatività del danno alla persona.
Il cambio di orientamento verso l’ammissione del danno alla persona si era percepito in una decisione della Sala de Procesos Abreviados y de Conocimiento, che aveva liquidato il risarcimento del
danno morale richiesto dalla danneggiata, prendendo in considerazione anche il danno estetico. In
questo caso si affermò, altresì, che il danno estetico deve essere determinato avendo riguardo alla
condizione di donna della danneggiata e alle conseguenze che le cicatrici possono cagionare nell’animo della persona stessa93.
Di recente, la Corte di Cassazione peruviana ha stabilito che nel sistema di responsabilità civile
vige la regola secondo cui il danno deve essere risarcito considerando come danni patrimoniali il
danno emergente ed il lucro cessante e come danni extrapatrimoniali il danno morale e il danno alla
persona94.
Analogamente, la Cassazione ha riconosciuto il risarcimento del danno al progetto di vita, considerandolo un meccanismo che concretizza ciò che per l’essere umano costituisce la sua piena realizzazione in quanto persona95. In questo caso, è stato precisato come nella situazione in esame (ossia
un quadro di tetraplegìa spastica, conseguenza di un incidente autostradale), e date le condizioni personali del danneggiato (28 anni, celibe ed insegnante di attività fisica), risultava applicabile la teoria
di Fernández Sessarego.
6. Il danno al progetto di vita nella giurisprudenza della Corte Interamericana
de Derechos Humanos
Un ulteriore impulso allo sviluppo del danno alla persona, in America Latina, può essere ritrovato nella giurisprudenza della Corte Interamericana de Derechos Humanos96 che ha accolto il danno al
progetto di vita come danno risarcibile.
Nella decisione nota come caso Loayza Tamayo97, la Corte (dando attuazione alla sentenza, nella
quale era stato dichiarato l’obbligo di risarcimento in capo allo Stato peruviano per la violazione del
diritto alla integrità personale, assieme ad altri diritti umani) riconosce per la prima volta il danno al
progetto di vita. A tale riguardo, la Corte Interamericana afferma che il c.d. progetto di vita mira alla
realizzazione della persona e prende in considerazione alcuni parametri98 per la sua valutazione, che
permetterebbero alla persona di prefiggersi ragionevolmente determinate aspettative e di perseguirle.
91 Data la mancanza di una raccolta sistematica di giurisprudenza, le decisioni citate in questo capitolo (tranne espresso richiamo)
sono state reperite nell’archivio personale del Prof. R. MORALES HERVIAS che gentilmente lo ha concesso all’autrice.
92 Al danno morale era stato assegnato il significato di lesione ai diritti della personalità o a valori appartenenti piuttosto all’ambito
dell’affettività (Cfr. Cas. N. 949-95, Cas. N. 1070-95 e Cas. N. 231-98; richiamate da L. LEÓN, Funcionalidad del “daño moral”, cit., 1, e
Sala Civil Permanente de la Corte Suprema de Justicia, 10 luglio 1998, caso Zacarias Linares). La giurisprudenza di merito aveva determinato che il danno morale risulta dalla lesione a beni giuridici come la vita, la salute, i sentimenti; in altre parole, beni immateriali (Cfr.,
14° Juzgado Civil de Lima, resolución n° 4, 08 aprile 1997, expediente 19-7-97). La Cassazione, invece, lo ha individuato nelle sofferenza,
nei dolori, nelle angosce e pene che la persona subisce (Cfr., Cas. N. 3267-99- Lima, 4 ottobre 2000).
93 Sala de Procesos Abreviados y de Conocimiento, 01 luglio 1999, exp. 4347-98. D’altro canto, il risarcimento del danno alla persona è stato accolto in materia di incidenti autostradali (Exp. N. 297-2000, Distrito Judicial de Lima, 16 maggio 2000).
94 Cas. N° 114-2001 Callao, 9 aprile 2001 (pubblicata in El peruano, 31 agosto 2001). Criterio confermato da Cas. N° 3063-2001-El
Santa, 6 settembre 2002. Occorre notare come lo sviluppo della giurisprudenza potrebbe essere influenzato da quella disposizione che
impone al giudice l’obbligo di applicare la norma pertinente a prescindere dal suo mancato richiamo nella domanda giudiziale (Artículo
VII c.c.: “Los jueces tienen la obligación de aplicar la norma jurídica pertinente, aunque no haya sido invocada en la demanda”). Obbligo
confermato dalla decisione 18 febbraio 2002, (riguardante l’indennizzo conseguente alla nullità di escritura pubblica) Cas. N. 2676-01Ucayali in Jurisprudencia civil seleccionada y sumillada, Centro de Investigaciones judiciales del poder judicial, 67,
(http://www.pj.gob.pe/cij/boletin%201.pdf)
95 Cas. N. 937-2002-Chincha, 1 settembre 2003 (pubblicata in El peruano 02 dicembre 2003).
96 La giurisprudenza della Corte Interamericana de Derechos Humanos è rintracciabile in http://www.corteidh.or.cr/inicio.html
97 Caso Loayza Tamayo vs Perú, Reparaciones. Sentenza 27 novembre 1998, Serie C, n° 42.
98 Come: vocazione, attitudine, circostanze, potenzialità ed aspirazioni.
127
S. Pinto Oliveros
Nello specifico caso, la Corte ritenne che il raggiungimento del progetto di vita della danneggiata
non era un esito sicuro, bensì una situazione probabile, ostacolata dalla denunciata violazione dei
diritti umani. Valutando i fatti in concreto99, la Corte Interamericana ritenne che essi modificarono
gravemente la vita della danneggiata, riscontrando, pertanto, l’esistenza di un grave danno al progetto di vita. Nonostante ciò, la Corte aggiunse che lo sviluppo dottrinario e giurisprudenziale non
permetteva di tradurre questo riconoscimento in termini pecuniari, motivo per il quale si astenne dal
quantificarlo100.
La sentenza Niños de la Calle101 costituisce la seconda decisione di riferimento. In tale occasione,
il risarcimento del danno al progetto di vita è stato compreso in quello accordato a titolo di danno
morale. In realtà, questa decisione non aggiunge niente di nuovo poiché sebbene la Corte sostenga
di aver considerato i diversi aspetti del danno morale, non li analizza singolarmente102 e determina il
risarcimento equitativamente.
Profili più interessanti possono essere tratti dalla decisione nota come Cantoral Benavides103. In
questo caso, la Corte è chiamata a giudicare fatti sostanzialmente identici a quelli della sentenza
Loayza Tamayo.
A distanza di tre anni, la Corte Interamericana probabilmente aveva maturato le proprie interpretazioni104 e, avendo riguardo principalmente all’attività lavorativa e al percorso formativo che all’epoca dei fatti seguiva il danneggiato (entrambi arrestati come conseguenza della violazione dei diritti umani), sostenne che i fatti avevano cagionato una grave modifica del corso che avrebbe seguito la
vita di Luis Cantoral Benavides, impedendogli la realizzazione delle sue potenzialità, vocazione, ecc.,
traducendosi in una diminuzione del suo progetto di vita. In considerazione di ciò, la Corte stima che
la via più idonea per ristabilire il progetto di vita del danneggiato sia che lo Stato gli conceda una
borsa di studio (a livello universitario) in un centro riconosciuto.
7. Conclusioni
Nel quadro dell’America Latina, l’assestamento teorico del danno alla persona è attualmente in
corso. Nonostante non esistano limiti normativi in tema di risarcimento del danno non patrimoniale
simili a quelli imposti dall’articolo 2059 del codice civile italiano, la pratica giurisprudenziale attesta
che il danno morale (o danno non patrimoniale) corrisponde alla nozione di danno morale soggettivo, e si dimostra inadeguato al fine del risarcimento di tutte quelle ipotesi di lesioni prive di immediata incidenza sulla capacità di produrre reddito del soggetto danneggiato.
99 In modo particolare, la Corte considera due fattori: da un lato, l’interruzione degli studi da parte di Maria Loayza Tamayo conseguenza del prolungato arresto illegale; dall’altro, le ripercussioni nella vita della danneggiata derivanti dal fatto che essa abbia deciso di
lasciare il proprio paese, per timore di ritorsioni, in seguito alla lunga vicenda che la mise in libertà (nonostante fosse stata dichiarata innocente in altre istanze) solo in seguito alla sentenza della Corte Interamericana
100 Nel suo voto complementare, il Magistrato Roux Rengifo sostiene come le alterazioni delle condizioni di esistenza non abbiano
relazione – in quanto forme specifiche di danno – con le sofferenze soggettive della vittima. Sottolinea, inoltre, che deve trattarsi di alterazioni di gravi entità ed asserisce che devono evitarsi certi estremi (ad. es. la convinzione che la vittima rimarrà in una sorte di tragedia
eterna). Dal canto loro, i Magistrati Cançado Trindade e Abreu Burelli (in voto congiunto) denunciano che, in materia di risarcimento,
l’essere umano non debba essere considerato soltanto nella prospettiva di uomo economico, bensì debba ponderarsi l’integrità della persona. Ritengono, altresì, che il progetto di vita sia saldamente legato alla libertà, intesa quale diritto di ogni persona a scegliere il proprio
destino. Infine, il Magistrato Jackman afferma che al danno al progetto di vita manchi chiarezza e fondamento giuridico.
Sulla decisione v., C. FERNÁNDEZ SESSAREGO, El daño al proyecto de vida en una reciente sentencia de la Corte Interamericana de
Derechos Humanos. (http://www.alterini.org/tonline/to_fsc1.htm).
101 Caso de los Niños de la Calle vs. Guatemala, Reparaciones. Sentenza 26 maggio 2001, Serie C, n° 77.
102 Circostanza che sollevò la critica del Magistrato Roux Rengifo che, nel suo voto complementare, parla di “annientamento del progetto di vita” laddove sia dimostrato che, mediante investimenti di impegni e risorse, le vittime ne abbiano costruito uno, il quale sia stato
contrastato dalle violazioni dei diritti umani.
103 Caso Cantoral Benavides vs. Perú, Reparaciones. Sentenza 3 dicembre 2001, Serie C, n° 88.
104 Si noti che, a partire da questa decisione, la Corte divide le voci di danno risarcibile in danno materiale e danno immateriale, anziché danno materiale e “danno morale”. Cfr. Caso Trujillo Oroza vs. Bolivia, Reparaciones. Sentenza 27 febbraio 2002, Serie C, n° 92; Caso
El Caracazo vs. Venezuela, Reparaciones. Sentenza 29 agosto 2002, Serie C, n° 95; Caso Molina Theissen vs. Guatemala, Serie C, n° 108,
Sentenza 3 luglio 2004.
128
L’esperienza latino-americana del danno alla persona
Indubbia è la presa di coscienza da parte della dottrina e della giurisprudenza della problematica,
derivandone un intervento diretto a favorire l’approfondimento della riflessione intorno alle diverse
categorie riconducibili al danno alla persona, alla luce delle norme costituzionali.
Tuttavia, è auspicabile una maggiore attenzione della dottrina alle ipotesi in cui il danneggiato non
svolga attività lavorativa retribuita (il caso del fanciullo, degli anziani, della casalinga, del disoccupato, ecc.), situazioni che mettono in luce gli inconvenienti del sistema tradizionale di valutazione del
danno basato sul reddito perduto.
D’altra parte, la pratica ha rivelato la necessità di stabilire criteri oggettivi di valutazione del danno
sia per evitare duplicazioni risarcitorie, sia per dare attuazione al principio di eguaglianza. Infine, vale
la pena notare che l’aggancio alle norme, alle garanzie e ai principi costituzionali permette di prevedere l’accreditamento della categoria del danno alla persona come figura autonoma.
129
Le macropermanenti in Québec:
l’esempio della Loi sur l’assurance automobile
M.-E. ARBOUR1
SOMMARIO: 1. La responsabilità civile in Québec: alcune premesse. 2. Le macropermanenti in
diritto civile. 3. L’esempio paradigmatico del no-fault. 4. Il danno risarcibile. 5. Il lucro
cessante: brevi cenni. 6. (Segue) … il danno non patrimoniale. 6.1. Il danno permanente può
essere valutato (postumi permanenti). 6.2. Il danno non può essere valutato. 6.3. La vittima
è deceduta. 7. Un tentativo di bilancio.
1. La responsabilità civile in Québec: alcune premesse
Si può agevolmente affermare che i diversi schemi di responsabilità senza colpa – ovvero no-fault
– hanno occupato in Québec tanto spazio da relegare il diritto comune ad un ruolo di secondo piano.
Le diverse leggi speciali promulgate dagli anni ’70 in poi hanno infatti consacrato la vittoria progressiva del principio della riparazione e la sconfitta del contraddittorio in r.c., attenuando l’importanza
accordata all’effetto deterrente ontologicamente associato all’atto di respondere2. In questa direzione,
il legislatore québécois3 promuove un approccio personalistico, che mette la persona umana al centro
di una vasta campagna di promozione di uguaglianza formale nel diritto ancorata ad un quadro in cui
la fatalità sembra sempre meno accettata dalla società in generale e dalle vittime in particolare.
Allorché supera il classico binomio diritto pubblico versus diritto privato, tale costruzione sociogiuridica si concepisce all’interno di un’architettura normativa che pone l’invalidità al cuore dei suoi
interessi, a prescindere dal fatto che le sue conseguenze si materializzino a livello monetario, psicologico oppure fisico. L’articolo 45 della Charte des droits et libertés de la personne consacra chiaramente questo principio quando proclama: «Toute personne dans le besoin a droit, pour elle et sa famille, à des mesures d’assistance financière et à des mesures sociales, prévues par la loi, susceptibles de lui
assurer un niveau de vie décent». Sebbene programmatica, questa normativa di matrice “costituzionale” produce degli effetti nella sfera del diritto sociale ove trova oramai una sua nicchia la responsabilità civile. Sono cinque le leggi promulgate dal Québec chiamate a ridurre il peso sulle vittime di
un «incidente della vita», subíto in occasione del lavoro, della commissione di un atto criminale, del
salvataggio di altri (legge del “buon samaritano”), causato da una automobile o da attività nucleare4.
A questi schemi si affiancano, sul versante civilistico, diverse presunzioni di colpa o di responsabilità ad intensità variabile, che sono state ribadite o introdotte in occasione della riforma del Codice
civile entrato in vigore nel 1994. D’altronde il modello proposto dal Québec è permeabile ad influssi ereditati dalla common law allorché ricalca alcune vicissitudini della deriva statunitense (soprattutto a livello procedurale), benché rimanga paradossalmente radicato nella tradizione e nell’evoluzione del diritto francese. In questo panorama, le menomazioni macropermanenti sono liquidate in
1 LL. M. (Laval), Ph. D., (Scuola Superiore Sant’Anna), professoressa di diritto civile, Facoltà di diritto, Université Laval, Québec,
Canada.
2 Sembra piuttosto paradossale, a questo proposito, l’introduzione contemporanea dei danni punitivi spiccatamente previsti dalla
Charte des droits et libertés de la personne, nella misura in cui un diritto fondamentale è stato leso (art. 49, al. 2).
3 Si ricordi la lettera della disposizione preliminare del Codice civile, che invita ad una lettura dei principi di diritto civile alla luce
della Carta dei diritti fondamentali: «Le Code civil du Québec régit, en harmonie avec la Charte des droits et libertés de la personne et les
principes généraux du droit, les personnes, les rapports entre les personnes, ainsi que les biens».
4 Si tratta delle Loi sur les accidents du travail et les maladies professionnelles, L.R.Q., c. A-3.001; Loi sur l’indemnisation des victimes
d’actes criminels, L.R.Q., c. I-6; Loi visant à favoriser les actes de civisme, L.R.Q., c. C-20; Loi sur l’assurance automobile, L.R.Q., c. A-25
(L.a.a.); Loi sur la responsabilité nucléaire, L.R.C. (1985), c. N-28.
131
M.-E. Arbour
modo del tutto diverso all’interno dalla logica privatistica ed in ambito no-fault. Abbastanza simile è,
tuttavia, l’importo complessivo liquidato in entrambe le ipotesi, allorché l’uno e l’altro prevedono
voci di danno che appartengono a logiche diverse.
2. Le macropermanenti in diritto civile
Il risarcimento del danno alla luce dei principi del diritto civile procede da un esercizio intellettuale caratterizzato dalla quasi assenza di parametri. In altre parole, i giudici sono costretti ad una
valutazione del danno subito e per il quale si ammette con candore che “l’évaluation monétaire des
pertes non pécuniaires est plus un exercice philosophique et social qu’un exercice juridique ou logique5”.
Sebbene dal 1978 in poi si registri una precisazione dei criteri utilizzati nella liquidazione dei danni,
non si può tuttavia concludere per l’esistenza di un quadro teorico in grado di sostituire il carattere
soggettivo dell’esercizio di questo potere discrezionale. In realtà, il punto di riferimento per la liquidazione dei danni consiste nel ruolo della casistica, a cui si affianca una volontà di personalizzazione
in base alle caratteristiche di ciascuna vittima.
In diritto civile, le macropermanenti vengono liquidate alla luce di due principi opposti. Da un lato,
le radici storiche della materia prescrivono il risarcimento in integrum delle vittime. Dall’altro, un tentativo sociologico della responsabilità civile canadese di distinguersi da alcuni eccessi americani ha
spinto la Corte suprema a porre un plafond massimo per i danni non pecuniari, in occasione di una
celebre trilogia resa nel quadro di danni macropermanenti6. Entrambi si riconciliano forse nella volontà di contenere la liquidazione dei danni non pecuniari all’interno dei limiti della ragionevolezza – rifiutandosi chiaramente di quantificare dei sentimenti – e di ravvicinare, consapevolmente o no, i regimi
no-fault al diritto civile (e viceversa) in modo da rispettere il principio dell’uguaglianza orizzontale.
In estrema sintesi, la prassi giudiziaria tende a liquidare le sofferenze, la perdita di godimento della
vita nonché il pregiudizio estetico in una specie di maxicategoria le cui articolazioni rimangono
imprecise; traduce dunque una concezione pragmatica dell’esercizio di liquidazione dei danni. Il
modello proposto dal regime no fault in ambito automobilistico sembra a questo proposito molto più
prevedibile, perché si inscrive nella scia di una logica assicurativa quanto redistributiva.
3. L’esempio paradigmatico del no-fault
La responsabilità derivante da infortuni stradali rappresenta in Québec l’esempio paradigmatico
dell’eliminazione completa della colpa, che si osserva attraverso l’assenza totale di meccanismi di surrogazione e la riduzione parallela del ruolo del giudice7. La legge prevede un indennizzo per le conseguenze fisiche e/o psicologiche della menomazione dell’integrità fisica8 “causate, da una automobile”9.
5
Andrews c. Grand & Toy Alberta Ltd., [1987] 2 R.C.S. 229.
Andrews c. Grand & Toy Alberta Ltd., id., Thornton c. Board of School Trustees of School District No. 57 (Prince George), [1978] 2
R.C.S. 267; Arnold c. Teno, [1978] 2 R.C.S. 287. Dubbi sorgono quanto all’applicabilità della ratio decidendi di queste decisioni in ambito civilistico québécois, perché sarebbe contrario al principio della restitutio in integrum. Ciò nonostante, la prassi giudiziaria tende a rispettarla.
7 Sul tema, si veda, per la genesi della legge, C. BELLEAU, Le régime québécois d’assurance automobile sans égard à la responsabilité,
(2004), 71, Assurances, p. 523, J. PERREAULT, L’indemnisation du préjudice corporel des victimes d’accident d’automobile, Brossard, C.C.H.,
2001 o J.-L. BAUDOUIN e P. DESLAURIERS, La responsabilité civile, 6e ed., Cowansville, Yvon Blais 2003, p. 747, nonché T. ROUSSEAUHOULE, Le régime québécois d’assurance automobile, vingt ans après, (1998), 39, Cahiers de Droit, p. 213. Il modello ha attirato l’attenzione della dottrina straniera; si veda J. O’CONNELL e C. TENSER, North America’s Most Ambitious No-Fault Law: Quebec’s Auto Insurance
Act, (1987) 24 San Diego L. Rev. 917, S.D. SUGARMAN, Quebec’s Comprehensive Auto No-Fault Scheme and the Failure of Any of the United
States to Follow, (1998), 39, Cahiers de Droit, p. 303 o B. DUFWA, Assurance no-fault dans le cadre des règles de la responsabilité civile,
(1998), 39, Cahiers de droit, p. 655. Inoltre, il sito internet dell’organismo amministrativo abilitato offre una vasta documentazione
http://www.saaq.gouv.qc.ca.
8 Di conseguenza, i danni alla macchina rimangono fuori dalla portata della legge, benché la medesima preveda una presunzione
volta ad imputare la responsabilità al conducente (art. 108 L.a.a.).
9 L’art. 1 definisce il danno causato dall’automobile come «tout préjudice causé par une automobile, par son usage ou par son chargement […]».
6
132
Le macropermanenti in Québec: l’esempio della Loi sur l’assurance automobile
Quest’ultima locuzione gode di una interpretazione ampia, che consente al termine “automobile”10 di
includere altri tipi di veicoli che circolano sulle strade private o pubbliche, come gli autobus o i motocicli11. Quanto al pregiudizio, va sottolineato che beneficia anch’esso di tecniche interpretative analoghe; inoltre, i tribunali hanno conferito al nesso di causalità una portata di ampio respiro12, precisando che: «… le lien de causalité requis par la loi est un lien sui generis et [..] il est vain, pour le qualifier,
de s’enfermer dans les constructions doctrinales traditionnelles de la causa causans, causa proxima, causalité adéquate, causalité immédiate ou équivalence des conditions. Ces théories sont d’un grand secours
en droit commun, notamment lorsqu’il s’agit, pour le juge, d’évaluer le rapport causal entre la faute et le
dommage. Elles ne le sont pas ici»13. Le condizioni preesistenti della vittima, tuttavia, rimangono naturalmente escluse dalle voci di danno risarcibile.
Peraltro, la legge si applica senza riguardo alla responsabilità di alcuno, principio che traduce
senza equivoci l’art. 5 della legge, pietra angolare del regime: «Les indemnités accordées par la Société
de l’assurance automobile du Québec en vertu du présent titre le sont sans égard à la responsabilité de
quiconque». All’interno di questa premessa, il compromesso tra la collettivizzazione dei rischi ed il
risarcimento automatico si cristallizza nell’impossibilità per la vittima o l’autorità amministrativa
(SAAQ) di esercitare un’azione risarcitoria davanti ai tribunali ordinari14. Tale divieto non prevederebbe neppure la possibilità per la vittima di chiedere danni punitivi non avendo questi nessuna autonomia di principio ed essendo piuttosto legati al ricorso principale15.
4. Il danno risarcibile
Le diverse voci di danno previste dalla legge sono il lucro cessante, il pregiudizio non pecuniario
ed altre voci volte a facilitare la riabilitazione completa della vittima. Come anticipato, le modalità di
valutazione del danno non coincidono con il metodo tradizionalmente riconosciuto dal diritto comune: «Plutôt que de rechercher le dédommagement intégral, elle se limite à des indemnités précises, dans
10 L’art. 1 definisce l’automobile come «tout véhicule mû par un autre pouvoir que la force musculaire et adapté au transport sur les chemins publics mais non sur les rails», escludendo a priori le biciclette o i treni, nonché altri tipi di veicoli destinati ad effettuare lavori agrari o di costruzione.
11 Le eccezioni sono previste all’art. 10, che comprende i casi in cui: 1) il danno è causato da un attrezzo incorporato in un veicolo
fermo; 2) un trattore o altri equipaggiamenti agrari fuori dalla strada pubblica; 3) un gatto delle nevi o altro veicolo concepito per il trasporto al di fuori delle strade pubbliche; 4) una competizione, uno spettacolo o una corsa automobilistica in un circuito chiuso. Nella giurisprudenza, si veda per esempio Pineau c. Rousseau, [2002] R.R.A. 325 (C.S.), p. 328, o Langlois c. Dagenais, [1992] R.R.A. 205 (C.S.),
ove è stata interpretata in modo restrittivo l’eccezione legata alla manutenzione della macchine.
12 I casi emblematici sono Cie d’assurance Victoria du Canada c. Neveu, [1989] R.R.A. 226 (C.A.), in cui è stata risarcita una persona
che aveva tentato di suicidarsi con il monossido di carbonio, nonché Productions Pram inc. c. Lemay, [1992] R.J.Q. 1738 à 1743 (C.A.),
ove un cameraman in una macchina fu colpito da un aereo mentre cercava di filmarlo. Si veda anche Parent c. C.C.L, 200-17-002629-012
del 9 agosto 2002 (C.S.); ove è stata indennizzata la vittima scivolata sotto la macchina parcheggiata. Cfr. tuttavia Bouillon c. Labatt, 70505-005573-012 del 10 luglio 2002 (C.S.), ove il danno causato dall’esplosione di una bottiglia dentro il veicolo fu considerata fuori della
portata della legge. Nella dottrina, si veda D. GARDNER, La Loi sur l’assurance automobile: loi d’interprétation libérale?, (1992) 33 Cahiers
de Droit, p. 485 nonché T. ROUSSEAU-HOULE, Le régime québécois d’assurance automobile, vingt ans après, op. cit., p. 224ss, e, sopratutto,
l’analisi approfondita di R. TETRAULT, L’appréciation du lien de causalité entre le préjudice et le fait accidentel dans le cadre de la Loi sur l’assurance automobile, (1998-1999) 29 R.D.U.S., p. 245, che sottolinea la confusione che si osserva in seno al tribunale amministrativo quanto alla causalità scientifica e alla causalità giuridica.
13 Productions Pram inc. c. Lemay, id., p. 1741.
14 Come vietato dall’articolo 83.57 L.a.a: «Les indemnités prévues au présent titre tiennent lieu de tous les droits et recours en raison
d’un dommage corporel et nulle action à ce sujet n’est reçue devant un tribunal». Per una definizione del meccanismo, sia consentito rinviare al nostro studio M.-E. ARBOUR, Riduzione dei rischi in ambito sanitario: la riposta della responsabilità no fault negli paesi scandinavi ed
in Nuova Zelanda, in La responsabilità sanitaria. Valutazione del rischio e assicurazione, a cura di G. COMANDÉ e G. TURCHETTI, Padova,
CEDAM 2004: “…riteniamo per il nostro proposito due variabili all’interno delle quali si sviluppa il c.d. no fault; ossia la riduzione notevole delle esigenze legate alla prova della colpa, a cui si affianca la volontà di collettivizzare il rischio. Sono dunque esclusi da tale definizione le tutele articolate attorno alla mera responsabilità obbiettiva, ossia le presunzioni volte a facilitare la prova della colpa o del nesso
causale, in quanto manca l’elemento di collettivizzazione del rischi”. Si veda, nella giurisprudenza recente, il tentativo mancato di schivare l’impossibilità di cumulo dei regimi: Bergeron c. Allard, 155-05-000080-029, C. S. Roberval.
15 Tale conclusione discende da una analogia con il caso Béliveau St-Jacques c. Fédération des employées et employés de services publics
C.S.N., [1996] 2 R.C.S. 345, ove la Corte suprema ha concluso per l’impossibilità di chiedere danni punitivi nel contesto di un ricorso fondato sulla legge sugli infortuni e malattie professionali.
133
M.-E. Arbour
le cadre d’un contrat social d’assurance obligatoire en vertu duquel, en contrepartie d’une prime, la victime recevra un bénéfice établi par une réglementation fondée sur une approche conceptuelle dont les
paramètres sont déterminés avec précision16».
5. Il lucro cessante: brevi cenni
Il secondo capitolo della legge prevede una serie di voci di danno risarcibile, secondo le modalità
fissate da regolamento. Per esempio essa prevede la sostituzione del reddito nella proporzione del
90% per una persona dipendente, sino ad un massimo di circa 35 000 euro17. I lavoratori autonomi
beneficiano di condizioni simili, il loro reddito è calcolato in base alla loro categoria di attività. Gli
studenti godono di un’indennità per ciascun anno perduto calcolata in modo obbiettivo18. Sempre
allo scopo di facilitare il reinserimento sociale della vittima, la legge prevede il rimborso di alcune
spese19 come l’aiuto personale a casa20, l’aiuto familiare nel caso ci siano bambini a carico21, l’adattamento della casa e/o del veicolo per facilitare la mobilità delle vittime22.
Infine, l’art. 83.2 prevede che una vittima ha diritto (nella misura in cui non sono coperti da un
altro regime di sicurezza sociale o dal servizio sanitario nazionale), al rimborso delle spese legate
all’incidente per le cure mediche o paramediche, gli spostamenti necessari per ricevere tali cure, l’acquisto di protesi o di ortesi. La disposizione, peraltro, è precisata da un regolamento che prevede le
modalità del rimborso delle necessarie terapie psicologiche, di chirurgia estetica, agopuntura, chiropratica, ergoterapia, fisioterapia, del costo della sedia a rotelle, etc… Infine, l’aiuto personale a domicilio è consentito nei casi previsti; la necessità di tale aiuto è calcolata in base alla natura e alla gravità del pregiudizio da un lato, ed ai diversi compiti da svolgere, dall’altro. Il tutto è calcolato secondo una tabella di «punti di disabilità» che servono a stabilire il bisogno23.
6. Segue … il danno non patrimoniale
L’art. 1 della legge prevede il risarcimento del «préjudice corporel», ovvero «tout préjudice corporel
d’ordre physique ou psychique d’une victime y compris le décès, qui lui est causé dans un accident [...]».
In questa categoria la legge prevede il risarcimento della perdita di godimento della vita, del dolore,
delle sofferenze psichiche ed altri inconvenienti subiti in ragione delle ferite o dei postumi di natura
funzionale o estetica, siano essi temporanei o permanenti. La disciplina pone tuttavia un plafond di
circa 125 000 euro per l’insieme delle voci legate al risarcimento del danno non pecuniario: tale tetto
non è del tutto estraneo alla logica dei principi emanati dal tribunale supremo in ambito privato.
Questa voce di danno è regolata da un testo normativo che distingue tra le tre seguenti ipotesi: il
danno permanente può essere valutato, esso non può esserlo, oppure la vittima è deceduta24.
16 R. LETARTE, L’indemnisation des victimes en fonction des pertes non économiques résultant de blessures ou de décès: régime d’État ou
de droit commun ?, (1998), 39, Cahiers de droit, p. 523 (p. 524). Altri autori concludono in modo analogo: «En matière de préjudice corporel,
l’un des buts premiers de la réforme était d’éviter les aléas et les délais du processus judiciaire. La loi a donc «administrativisé» les recours. La
Société donne, en se fondant sur les barèmes prévus par la loi et les règlements, des indemnités dont le plafond a aussi été fixé. La somme ainsi
recueillie par la victime ne représente donc ni la totalité des chefs de préjudice dont elle aurait pu se faire indemniser par un tribunal judiciaire,
ni un montant correspondant à celui qu’elle aurait pu en obtenir» (J.-L. BAUDOUIN e P. DESLAURIERS, La responsabilité civile, cit., p. 747).
17 L.a.a, art. 51.
18 ID., art. 29; sino a circa 8 000 euro per annum, voce di danno quest’ultima peraltro estranea alla logica civilistica.
19 ID., art. 79 a 83.7.
20 ID., art. 79.
21 ID., art. 80.
22 Materializzando lo spirito personalistico della legge, l’art. 83.7 prevede un potere discrezionale notevole per gli agenti della SAAQ.
Si prevede che questi ultimi «possono prendere le misure necessarie per contribuire alla riabilitazione di una vittima, per attenuare o eliminare tutta incapacità conseguente da un pregiudizio corporale e per facilitare il suo ritorno alla vita normale o il suo reinserimento nella
società o sul mercato del lavoro».
23 Règlement sur le remboursement de certains frais, c. A-25, r.9.2, allegato I.
24 Si tratta del Règlement sur l’indemnité forfaitaire pour le préjudice non pécuniaire, c. A-25, r. 5.4.
134
Le macropermanenti in Québec: l’esempio della Loi sur l’assurance automobile
6.1. Il danno permanente può essere valutato (postumi permanenti)
La prima ipotesi interviene quando la gravità dei postumi permanenti funzionali e/o estetici può
essere valutata25. La premessa è dunque che la lesione si stabilizzi affinché sia possibile l’identificazione delle unità rilevanti previste da un repertorio complessivo delle c. d. unità funzionali26; esercizio di qualificazione questo strettamente legato alla diagnosi. Il repertorio recepisce spesso dei
modelli di valutazione scientifica internazionali o americani. Viene poi determinata la classe di gravità, che corrisponde ad una percentuale che rappresenta in qualche modo la gravità della menomazione in base al suo impatto sulla qualità di vita, valutata esclusivamente alla luce di criteri obiettivi.
In sintesi, la valutazione dei postumi permanenti deve consentire di stabilire le limitazioni e le restrizioni funzionali, le alterazioni estetiche nonché l’importanza di questi postumi rispetto alle situazioni descritte nella classe di gravità prevista.
La percentuale stabilita determina nella stessa proporzione l’indennizzo forfetario per l’insieme
del pregiudizio non pecuniario e corrisponde alla moltiplicazione della percentuale per il plafond di
circa 125 000 euro stabilito dall’articolo 73 della legge27. Si tratta dunque di un c.d. D.A.P. (deficit
anatomo fisiologico) tradotto in denaro. Di conseguenza, l’indennizzo è esclusivamente condizionato dalla determinazione di un D.A.P.: ne discende che la percezione della vittima delle sue sofferenze, dolori, etc.., sono del tutto irrilevanti in assenza di una prova scientifica adeguata28.
Per quanto attiene alla funzione psichica, per esempio, i criteri di valutazione si articolano attorno al livello di autonomia e di efficienza sociale della vittima, alla luce della necessità per essa di ricorrere a delle strategie compensatorie, oppure ad un aiuto tecnico o umano; l’importanza dell’impatto
della menomazione delle funzioni cognitive sulle abitudini di vita; l’importanza delle ripercussioni
delle turbe affettive o mentali sulle abitudini generali di vita, valutate in base alla tabella proposta
dall’American Psychiatric Association29.
Nel caso di paraplegia o di tetraplegia, la valutazione va effettuata alla luce di criteri che comprendono gli altri inconvenienti legati alle altre funzioni dell’organismo, nonché le varie ripercussioni estetiche. Il criterio utilizzato per tradurre le ripercussioni di tale condizione in termini di abitudini di vita è la valutazione del potenziale funzionale residuale. Quest’ultimo è valutato alla luce dei
criteri sviluppati dalla l’American Spinal Injury Association (ASIA), ovvero gli «International
Standards for Neurological and Functional Classification of Spinal Cord Injury, revised 1996». Essi
si traducono in questi termini:
CLASSES DE GRAVITÉ
Les conséquences dans la vie quotidienne – perte de jouissance de la vie, douleurs, souffrance psychique et
autres inconvénients – découlant de la présence d’une atteinte permanente sont comparables à celles qui
résulteraient de la situation ayant l’impact le plus important, parmi les situations décrites ci-après:
GRAVITÉ
GRAVITÉ
1
2
75%
80%
Le potentiel fonctionnel équivaut à un niveau moteur entre D8 et L5.
Le potentiel fonctionnel équivaut à un niveau moteur entre D2 et D7.
25 L’art. 3 del Regolamento definisce i postumi permanenti “…lorsque les examens réalisés et les connaissances médicales reconnues ne
permettent pas de prévoir, à court ou moyen terme, une amélioration ou détérioration notable de l’état de la victime».
26 Secondo l’allegato I, le unità funzionali si riferiscono ad una funzione del corpo umano. Per esempio, la funzione psichica, la vista,
la locomozione, la destrezza manuale, la digestione, etc… Inoltre, le unità estetiche sono il cranio, il viso, il tronco e le parti genitali, gli
arti superiori, nonché gli arti inferiori.
27 A questo proposito, l’articolo 7 del Regolamento prevede il metodo di calcolo nel caso di cumulo delle percentuali: cfr. art. 6, par.
2, secondo comma: «Lorsque plusieurs pourcentages ont été déterminés en application du présent article, un pourcentage global est déterminé selon la méthode suivante: 1° le pourcentage le plus élevé est appliqué sur 100% […] 2° le deuxième pourcentage le plus élevé est appliqué sur le résidu qui est la différence entre 100% et le pourcentage le plus élevé: [100% – A %] x [ % le deuxième plus élevé ] = B % […];
3° les autres pourcentages, en commençant par les plus élevés, sont appliqués de la même façon sur les résidus successifs: [100% – (A % +
B%)] x [ % le troisième plus élevé] = C % […]; 4° les pourcentages ainsi calculés sont additionnés: % global = A % + B % + C % + (…)».
28 Una sentenza del 2001 illustra questo principio: si veda I.A.C.J. c. Société de l’assurance automobile du Québec del 7 giugno 2001,
AZ-01331880 nonché Commission des affaires sociales, AA-11797 del primo maggio 1989.
29 DSM-IV, Manuel diagnostic et statistique des Troubles mentaux, Versione internazionale, Washington DC, 1995, 4 ed. Masson,
Parigi 1996, p. 38.
135
M.-E. Arbour
GRAVITÉ
GRAVITÉ
GRAVITÉ
GRAVITÉ
3
4
5
6
85%
90%
95%
100%
Le potentiel fonctionnel équivaut à un niveau moteur C8 ou D1.
Le potentiel fonctionnel équivaut à un niveau moteur C7.
Le potentiel fonctionnel équivaut à un niveau moteur C6.
Le potentiel fonctionnel équivaut à un niveau moteur entre C1 et C5.
Fonte: SOCIÉTÉ DE L’ASSURANCE AUTOMOBILE
pour préjudice non pécuniaire, 2004, p. 85.
DU QUÉBEC,
Version annotée du Règlement sur l’indemnité forfaitaire
Una sentenza resa nel 199930 illustra, tuttavia, i conflitti tra scienza e diritto nella determinazione
del campo applicativo della legge. Il caso è nato dalla difficoltà di determinare il D.A.P. di un uomo
che ha assistito alla tragica morte di sua moglie in occasione di un incidente stradale. Dopo l’incidente, furono accertati dei postumi psichiatrici stimati del 3% per una depressione. A fronte dell’assenza di miglioramenti dopo alcuni mesi, la vittima chiese in occasione della revisione dell’indennità all’autorità competente (SAAQ) di portare il suo D.A.P. al 32.5%, risultato a cui era pervenuto
un altro esperto medico. In realtà, la sfasatura tra le due valutazioni mediche malgrado una diagnosi identica si spiega alla luce della difficoltà di determinare in quale misura il lutto possa costituire un
danno risarcibile da un lato, e, dall’altro, di apprezzare l’incidenza di condizioni personali anteriori
all’evento tragico.
Appoggiandosi sull’opinione del primo esperto psichiatra – secondo cui le sofferenze sorgono da
una condizione preesistente31 – il funzionario dell’autorità amministrativa ha concluso che il danno
non era sufficientemente legato all’incidente e, dunque, che il pregiudizio non era una conseguenza
diretta del medesimo. In contrasto, il secondo esperto aveva concluso in modo diametralmente opposto, attribuendo la menomazione psichica della vittima all’incidente in questi termini: «… we must
conclude that on the basis of the criteria for the evaluation of permanent impairment of the SAAQ, Mr’s
condition is defined as a chronic neurosis […] furthermore, Mr. Does present certain criteria of a neurotic condition of a severe nature, as defined by the same guidelines to the assessment of permanent
impairment”. Il Tribunale amministrativo accoglie quest’ulteriore parere e conclude che il danno non
derivava dalle condizioni personali preesistenti della vittima, e che negare l’indennizzo corrispondente al D.A.P di 32.5% previsto dalla tabella costituirebbe una decisione ultra vires32.
6.2. Il danno non può essere valutato
La seconda ipotesi interviene quando, invece, non si verifica alcun danno permanente funzionale
e/o estetico, oppure quando la gravità non è sufficiente per giustificare l’indennizzo in base alla categorizzazione precedente. La premessa è dunque che si potrà valutare a breve o lungo termine il miglioramento o il deterioramento dello stato di salute della vittima. A tale fine, l’allegato II del regolamento fissa il metodo di calcolo offrendo anch’esso un repertorio delle diverse lesioni e attribuendo a ciascuna un livello di gravità che emerge da dati obbiettivi ottenuti in occasione dell’esame clinico33.
L’esperto deve poi individuare la lesione con il valore di gravità più elevato per ciascuna serie indicata nell’allegato. Si sommano tra di loro la potenza al quadrato delle classe di gravità di ciascuna
lesione, sino ad un massimo di tre (3). Il numero così ottenuto determina il valore del risarcimento
alla luce della tabella seguente:
30 Tribunal administratif du Québec, no. AA-64764 del 01/02/1999, affaires sociales – 192. Cfr. anche L. S. c. Société de l’assurance automobile du Québec del 19 gennaio 2001, AZ-01551079.
31 ID., sottolinea il tribunale: «Son deuil non résolu et l’essentiel des symptômes dépressifs qui lui demeurent de façon chronique relèvent
d’une condition personnelle» (p. 5).
32 Nota il Tribunale: “..il n’y a aucune condition personnelle préexistante de nature à tempérer le lien entre l’accident et le syndrôme posttraumatique et le deuil patholgique, au détriment de l’indemnisation du requérant” (p. 7). Si veda anche D.P. c. Société de l’assurance automobile du Québec, [2003] T.A.Q. 154, ove lo stesso ragionamento è stato applicato ad una vittima rimasta tetraplegica – con un D.A.P. del
100% – che ha chiesto con successo un indennizzo per dei trattamenti legati ad una forma di psoriasi apparsa in modo contemporaneo
all’incidente stradale.
33 Per esempio, i traumi interni o al torace vanno valutati secondo lo schema che segue: “Hémothorax: 4; Hémopneumothorax 4;
Pneumothorax: 4; Infarctus aigu du myocarde: 6; Traumatisme du cœur: 6; Contusion pulmonaire avec ou sans épanchement pleural: 3; Plaie
pénétrante du thorax: 6; Traumatisme du diaphragme: 6; Traumatisme d’un autre organe intrathoracique (bronches, oesophage, plèvre ou
thymus): 6”. (anesso II «Traumatismes internes du thorax»).
136
Le macropermanenti in Québec: l’esempio della Loi sur l’assurance automobile
RISULTATO DELL’AGGIUNTA
1-8
9-15
16-24
25-35
36 e >
CLASSE DI GRAVITÀ
a
b
c
d
e
VALORE DELL’INDENNIZZO
0$
300$ (circa 225 euro)
500$ (circa 375 euro)
800$ (circa 600 euro)
1000$ (circa 750 euro)
Fonte: Règlement sur l’indemnité forfaitaire pour le prejudice non pécuniaire, anessa II, art. 8
Alla luce di questi dati, si può osservare che il regime non si dimostra molto generoso per questa
voce di danni; ciò costituisce probabilmente la sfasatura più importante rispetto al risarcimento
offerto dai tribunali civili. In assenza di postumi permanenti, infatti, l’autorità amministrativa non
dispone del potere discrezionale di attribuire un indennizzo per le perdite non pecuniarie34.
6.3. La vittima è deceduta
Infine, in caso di morte della vittima, un’indennità non pecuniaria è determinata secondo le disposizioni della sezione II se il decesso avviene più di 12 mesi dopo l’incidente, nella misura in cui si
dimostri che i postumi sarebbero stati permanenti; oppure secondo le disposizioni della sezione III
–incapacità temporanea- se il decesso avviene tra 24 ore e 1 anno dall’incidente35. Va precisato che
il concetto di vittima viene esteso ai parenti di una persona deceduta in occasione di un incidente
stradale, creando così una presunzione di vittima indiretta. Inoltre, il superamento del legame strettamente familiare al fine dell’attribuzione di una indennità fissa include altre persone che possano
dimostrare un legame affettivo particolare con la vittima, consacrando il carattere spiccatamente
sociale del regime istaurato36.
7. Un tentativo di bilancio
In generale, il regime no fault gode di una forte popolarità in seno alla popolazione. Rispetto al
diritto comune, esso presenta dei vantaggi e degli inconvenienti. Uno studio condotto nel 1998 ha
cercato di comparare le indennità ricevute in base ai principi del diritto comune a quelli della Loi sur
l’assurance automobile37. Orbene, è stato messo in rilievo che se le indennità sono più basse per le
micropermanenti in ambito no-fault; per quanto attiene alle macropermanenti, invece, la situazione
è simile.
I vantaggi tradizionalmente attribuiti al regime no-fault sono sopratutto legati alla tempistica
molto breve del risarcimento del danno. L’assenza di contenzioso giudiziale garantisce il trattamento della domanda entro alcuni giorni. Il processo di revisione graduale delle indennità consente in
più di ottenere un risarcimento che sia più conforme alla realtà, sapendo che la liquidazione del
danno da parte del giudice è sottoposta al principio della res giudicata.
Al contrario, gli svantaggi del sistema no-fault sono legati al carattere «universale» del regime. La
critica più importante fatta alla legge risiede nell’indennizzo di conducenti in colpa o addirittura sanzionabili penalmente. Nondimeno, questa critica non ha fatto vacillare l’edificio normativo impermeabile ad alcuna forma di attribuzione della colpa38, e nemmeno a giustificare l’eccezione neozelan34
Si veda per tutte N.R. c. Société de l’assurance automobile du Québec, [2003] T.A.Q. 318 (rés.).
Art. 9 del Regolamento.
36 L’art. 60, par. 2, prevede infatti un allargamento della nozione di genitori: “la mère ou le père de la victime comprend la personne qui
tient lieu de mère ou de père à la victime lors de son décès”.
37 D. GARDNER, Comparer l’incomparable: les indemnités pour préjudice corporel en droit commun et dans la Loi sur l’assurance automobile, (1998), 39, Cahiers de Droit, p. 430.
38 Il tema, poi, è approfondito da R. TETRAULT, Comportement criminel et régimes étatiques d’indemnisation, (1998), 39, Cahiers de
Droit, p. 261.
35
137
M.-E. Arbour
dese della soppressione del diritto al risarcimento nei casi in cui la condotta del conducente «ripugna
alla giustizia»39. Quanto all’effetto deterrente, sembra che gli studi abbiano ampiamente dimostrato
l’assenza di correlazione tra il regime no-fault e l’aumento teorico degli infortuni. A questo proposito,
gli ultimi dati dimostrano al contrario una riduzione degli incidenti stradali; e comunque gli schemi
no-fault non escludono mai l’operatività della sanzione penale40.
39 Per un esercizio comparatistico tra i regimi québécois e neozelandese, si veda D. GARDNER, Quelques points de comparaison entre les
deux plus anciens régimes d’indemnisation des victimes d’accidents d’automobile: Québec et Nouvelle-Zélande, (2004), 71, Assurances, p. 591.
40 Va notato che l’effetto deterrente si ritrova nel modo di finanziamento del regime attraverso la “patente a punti”: il premio è determinato dal rischio che pone il conducente. A titolo informativo, il costo biennale è direttamente proporzionale al numero di punti di invalidità, ossia tra 0 e 3: 45,87 $ (circa 34 euro); tra 8 e 11; 159,63 $ (circa 120 euro); 15 e più 365,13 $ (circa 240 euro): SOCIÉTÉ DE
L’ASSURANCE AUTOMOBILE DU QUÉBEC, Rapport annuel 2003, p. 3.
138
Lesioni e macrolesioni nel sistema risarcitorio svedese
A. RENDA
SOMMARIO: 1. La struttura del sistema svedese di riparazione del danno alla persona. 2.
Caratteristiche e valori guida del sistema. 3. Le voci di danno alla persona. 4. Le tensioni
interne al sottosistema del risarcimento del danno non patrimoniale e il problema della gravità della lesione della funzionalità psicofisica. 5. Gli indici positivi di rilevanza della gravità
della lesione alla funzionalità psicofisica. 6. La rilevanza settoriale della gravità dell’invalidità
nell’ambito della sicurezza sociale. 7. Brevi considerazioni conclusive.
1. La struttura del sistema svedese di riparazione del danno alla persona
Il sistema svedese di riparazione del danno alla persona1 si compone di: a) un’assicurazione pubblica (Allmän Försäkring – LAF, legge 1962:381); b) un’assicurazione per i danni da lavoro
(Arbetsskadeförsäkring – LASF, 1976:380); c) un’assicurazione di sicurezza per gli infortuni del lavoro (Trygghetsförsäkring för Arbetsskador – TFA, a base non legislativa, operativa dal 1972); d) una
legge sui danni del traffico (Trafikskadelag – TSL, 1975:1410); e) una legge sulla responsabilità civile (Skadenståndslag – SKL, 1972:207)2.
LAF e LASF costituiscono i pilastri dell’intervento statale diretto, rispettivamente universalistico
e settoriale, a copertura parziale del solo danno patrimoniale alla persona, che connota la protezione sociale svedese. In relazione al verificarsi del rischio assicurato e senza necessità di individuazione della causa del danno da parte di un fattore determinato, umano o meno, essi erogano all’interessato determinati benefits, il cui ammontare viene detratto da quanto è dovuto dal danneggiante a titolo di responsabilità aquiliana. L’allocazione definitiva dei costi grava sulle finanze statali, poiché è
esclusa la rivalsa dell’assicuratore pubblico contro il danneggiante.
Il TFA è meccanismo compensativo extrastatale –assistito da un foro privato di dispute resolutionche mira alla copertura del danno patrimoniale differenziale e del danno non patrimoniale da lavoro, attraverso un’assicurazione no-fault stipulata in adempimento di un’obbligazione assunta dai
datori di lavoro nella contrattazione collettiva.
Il TSL è un’assicurazione no-fault di tipo first party, obbligatoria ex lege per i proprietari di veicoli
a motore, che eroga indennizzo per le perdite patrimoniali e non patrimoniali sofferte da tutti i soggetti danneggiati in occasione di sinistri occorsi nella circolazione stradale. Il sistema rinvia alla legge
sulla r.c. per quanto concerne la quantificazione dei danni, dai quali si detrae quanto corrisposto
dalle assicurazioni sociali, ed è fornito di un proprio meccanismo di jurisdiction.
La SKL enuncia il principio generale di responsabilità per colpa e trova applicazione in tutte le fattispecie non regolate da discipline settoriali in relazione al tipo di danno alla persona (p. es. danno da
1 Cfr. J. HELLNER, Compensation for Personal Injury: the Swedish Alternative, in American Journal of Comparative Law, 1986, 613 ss.;
B.W. DUFWA, Compensation for Personal Injuries in Sweden, in AA.VV., Compensation for Personal Injury in a Comparative Perspective, a
cura di B.A. KOCH-H. KOZIOL, Springer, Wien/New York 2003, 293 ss. In italiano cfr. G. COMANDÉ, Risarcimento del danno alla persona
e alternative istituzionali. Studio di diritto comparato, Giappichelli, Torino 1999, 241 ss. e l’ampia monografia di A. SIMONI, Una macchina
risarcitoria. Regole, attori, problemi nel “modello svedese” di riparazione del danno alla persona, Giappichelli, Torino 2001.
2 A ciò si aggiungono l’assicurazione per i farmaci (Läkemedelsförsäkringen – LMF, a base non legislativa, operativa dal 1978), l’assicurazione per i pazienti (Patientförsäkringen, operativa dal 1975, legificata dalla Patientskadelag – PSL, 1996:799), la legge sulla responsabilità da prodotto (Produktansvarlag – PAL, 1992:18) e la legge sulla riparazione del danno da reato (Brottskadelag - BSL, 1978:413). Le
leggi svedesi possono essere reperite in lingua originale sul sito http://62.95.69.3/search.asp. Un elenco delle leggi disponibili in traduzione inglese si trova all’indirizzo Internet: http://www.sweden.gov.se/sb/d/3288 (alla data di luglio 2005).
139
A. Renda
circolazione stradale, da farmaco, da medical malpractice). Regola di chiusura del sistema è quella (5 kap
3 §) per cui la determinazione del risarcimento a titolo di danno patrimoniale deve essere effettuata
detraendo gli indennizzi erogati dalla protezione sociale, nonché i benefici corrispondenti a una “pensione o altro indennizzo periodico o indennità malattia, allorché sia pagato da un datore di lavoro o sulla
base di un’assicurazione equivalente a un beneficio legato all’impiego”. La regola, volta ad impedire il
cumulo di differenti benefits cui la vittima abbia diritto a differente titolo, si giustifica in relazione alla
sussistenza di una pluralità di schemi compensativi, pubblici e privati (ma comunque legati all’impiego), preordinati alla riparazione del danno patrimoniale alla persona. La responsabilità civile interviene
esclusivamente a finale concorrenza di questi, in funzione di colmare gli interstizi di pregiudizio economico lasciati scoperti (il danno economico differenziale). I pregiudizi non patrimoniali sono esclusi dalla
regola di detrazione. Per essi, dunque, è ammesso il cumulo, nei limiti in cui ciò possa avvenire.
2. Caratteristiche e valori guida del sistema
Il sistema si caratterizza per la marcata marginalizzazione della responsabilità civile, quale strumento di indennizzo del danno alla persona, ad opera tanto della sicurezza sociale, quanto dei c.d.
schemi compensativi speciali, di tipo no-fault, più confacenti al fine di un ristoro generalizzato dei
pregiudizi alla persona. L’opzione etico-politica che sta alla base può individuarsi nell’istanza di
garantire l’indennizzo delle perdite alla persona nel maggior numero possibile di casi, ossia in tutti i
casi in cui ciò appaia socialmente “giusto”3. Valori guida sono dunque la tempestiva liquidazione
degli indennizzi e l’abbattimento dei c.d. costi transattivi.
Sotto il profilo sistemologico, ciò ha condotto, p. es., al notevole sviluppo di fenomeni di autodichia in seno al settore assicurativo pubblico e privato, con la conseguente sottrazione alle corti statali e alla nomofilachia della Corte Suprema (Högsta domstolen) delle più rilevanti decisioni in tema
di danno alla persona, rimesse a boards di dispute resolution di varia composizione ma altamente specializzati, cui corrispondono altrettanti sottosistemi paragiurisprudenziali4.
Per altro verso, se da una parte la “strategia globale di sostituzione”5 della r.c. ha fatto declinare
la funzione di deterrence della tort law, d’altra parte è nel campo del danno non patrimoniale che si
registra la persistente vitalità della responsabilità civile all’interno del policentrismo risarcitorio svedese, nella misura in cui il pregiudizio non pecuniario non risulta coperto dal sistema di sicurezza
sociale (mentre lo è da parte degli schemi assicurativi extralegislativi) ed esige, pertanto, di essere
recuperato proprio attraverso l’ordinario rimedio aquiliano. Inoltre, proprio sul terreno delle non
pecuniary losses si è registrata in anni recenti l’istanza di aumentare cospicuamente i livelli risarcitori, tradottasi nella parziale riforma delle voci di danno e nel rinnovamento delle tecniche di liquidazione del danno da invalidità permanente.
3. Le voci di danno alla persona
Le voci di danno alla persona (personskada) trovano esclusiva disciplina nella legge sulla responsabilità civile. Questa prevede (SKL 5 kap. 1 §) che il risarcimento a colui che ha subito un danno alla
persona comprende: 1) costi di trattamento sanitario e altre spese (sjukvårdskostnader och andra utgifter); 2) diminuzione di reddito (inkomförlust); 3) dolore e sofferenza (sveda och värk); 4) menomazioni
3 Cfr. la disciplina del concorso di colpa del danneggiato nell’ambito della legge sulla responsabilità civile e delle legge sui danni del
traffico, per cui ai fini della riduzione dell’obbligazione risarcitoria sono rilevanti solo il dolo o la colpa grave (SKL 6 kap. 1 §, TSL 12 §):
considerazioni umanitarie non consentirebbero di negare il risarcimento ad un soggetto che, per un’occasionale negligenza, abbia concorso
con il proprio offensore a causare il danno, specie in considerazione del fatto che le risorse da mobilizzare per erogare il risarcimento spesso provengono non dal patrimonio personale del danneggiante, bensì da strumenti assicurativi di disparata natura.
4 Per B.W. DUFWA, Compensation for Personal Injuries in Sweden, cit., 296, “L’influenza dei giudici nel campo del danno alla persona è diminuita drammaticamente in Svezia durante la seconda metà dell’ultimo secolo”.
5 G. COMANDÉ, Risarcimento del danno alla persona e alternative istituzionali, cit., 242.
140
Lesioni e macrolesioni nel sistema risarcitorio svedese
o altre lesioni permanenti (lyte och annat stadigvarande men); 5) speciali inconvenienti (särskilda olägenheter). Le voci nn. 1-2 costituiscono specificazioni della nozione di danno patrimoniale (ekonomisk
skada), mentre le voci nn. 3-5 sono specificazioni della nozione di danno non patrimoniale (ideel skada).
a) Il danno patrimoniale
Per quanto concerne la voce n. 1, sono risarciti i costi necessari, avuto riguardo agli standards
offerti dall’assistenza sanitaria pubblica, dunque -in linea di principio- le spese connesse alla modalità usuale di cura, data dalla degenza ospedaliera. Entro la sottovoce delle “altre spese” si risarciscono gli aumentati costi degli svaghi e delle attività del tempo libero. Dal quantum risarcitorio si
detrae l’entità dei benefici corrisposti dal LAF, che copre, in relazione al verificarsi di una malattia o
di un incidente, gran parte delle spese di ospedalizzazione e di quelle odontoiatriche (per i minori la
copertura è per l’intero)6.
Per quanto concerne la voce n. 2, l’indennizzo è normativamente definito come corrispondente
“alla differenza, da un parte, tra il reddito quale la vittima avrebbe potuto ottenere se non avesse
subito il danno e, dall’altra, il reddito che ha comunque raggiunto, o avrebbe potuto raggiungere
malgrado questo, ovvero che si può ritenere possa raggiungere attraverso un lavoro corrispondente
alle sue forze e abilità, e che gli può ragionevolmente essere richiesto considerando la sua precedente formazione e attività, la rieducazione o simile iniziativa, l’età, la condizione abitativa e le circostanze a queste comparabili”. Alla diminuzione di reddito si equipara l’impedimento ad una attività
economica (intrång i näringsverksamhet). Al reddito si equipara il valore del lavoro casalingo (sì che
il risarcimento del relativo danno coincide con il costo del lavoro di terzi necessario a sostituirlo). Dal
quantum risarcitorio si detrae l’entità dei benefici corrisposti dalla sicurezza sociale7.
b) il danno non patrimoniale
Le due principali voci di danno si distinguono l’una dall’altra in relazione al carattere temporaneo
ovvero permanente delle conseguenze pregiudizievoli sofferte dal danneggiato8. Sveda och värk, traducibile come “dolore e sofferenza”9, fornisce compensazione per le sofferenze fisiche e/o psichiche
provate dal danneggiato durante la fase acuta della patologia determinata dall’evento dannoso, la
quale necessita pertanto di obiettivo accertamento medico. Anzi, in origine il risarcimento a titolo di
sveda och värk era connotato da un’attenzione preferenziale alle patologie fisiche, in relazione alle
quali soltanto era stata elaborata la relativa tabella di liquidazione, analogicamente applicata alle patologie psichiche. A partire dal 1 gennaio 2002, in coincidenza con la parziale riforma dei criteri di liquidazione del danno fissati nella legge sulla responsabilità civile, il protocollo del risarcimento del danno
da “dolore e sofferenza” è riferito ex professo anche alle patologie psichiche, così da comprendere, per
esempio, stati quali l’ansietà, la depressione, l’incertezza e preoccupazione per il futuro, non differentemente da disturbi di più incerta classificazione medico-legale come quelli del sonno e del comportamento sessuale e la perdita di concentrazione. Il meccanismo di liquidazione è affidato a un protocollo elaborato, sulla base di una esperienza pluridecennale, dalla Trafikskadenämnd (Commissione
per i danni del traffico) in relazione ai danni da circolazione stradale e, invero, applicato a tutti gli altri
6 Il paziente paga approssimativamente SEK 100 (≈ € 11 approx., al tasso di conversione 1 SEK ≈ € 0,11) al giorno (riabilitazione
inclusa), mentre sopporta gran parte dei costi farmaceutici: cfr. L. WENDEL, The Impact of Social Security Law on Tort Law in Sweden, in
AA.VV., Tort and Insurance Law, vol. III, a cura di U. MAGNUS, Springer, Wien/New York 2003, 181.
7 In estrema sintesi, il LAF eroga, a copertura della diminuzione di reddito, una indennità di malattia per i residenti in Svezia, distinta e seconda che l’invalidità sia temporanea o permanente. La prima corrisponde all’80% del reddito registrato dalla vittima, che non può
eccedere SEK 295.500 per il 2005. La seconda, variabile in base alla percentuale della riduzione della capacità lavorativa, è rapportata al
64% della media dei tre più alti redditi annuali netti entro un dato periodo. A questa si cumulano, in caso di invalidità da lavoro, la rendita vitalizia corrisposta dal LASF e gli indennizzi erogati dal TFA.
8 Le voci di danno non patrimoniale risarcite nell’esperienza svedese sono invero quattro: oltre alle tre richiamate nel testo (per quanto concerne gli “speciali inconvenienti”, cfr. infra § 4), figura quella denominata kränkningsersättning (letteralmente, “risarcimento da offesa”) che, a norma di SKL 2 kap. 3 §, spetta a colui che sia stato seriamente offeso da un reato che costituisca lesione della libertà, della
pace o dell’onore, senza necessità che il danneggiato sia condannato agli effetti penali ma purché vi siano prevalenti ragioni per ritenere
che abbia commesso il reato (dal 1 gennaio 2002 non necessariamente con dolo o colpa grave, ma anche con colpa “semplice”).
9 Cfr. A. SIMONI, Una macchina risarcitoria, cit., 196.
141
A. Renda
settori di danno alla persona10. Il danno è liquidato sulla base dei due criteri oggettivi del tipo di cura
prestata al danneggiato e della durata della stessa, mentre non v’è predeterminazione delle patologie
suscettibili di dar luogo al risarcimento e il quantum è invariante al variare dell’età del danneggiato.
La tecnica di corresponsione è quella della somma capitale.
La fase acuta della patologia, in relazione alla quale è operato il risarcimento a titolo di sveda och
värk, tende a coincidere con il periodo di cura medica della stessa11. Ove residuino postumi invalidanti di natura permanente, gli stessi vengono ad essere risarciti in virtù della voce lyte och annat stadigvarande men, che può tradursi con l’espressione italiana “menomazioni e altre lesioni permanenti”. Con il termine lyte, in particolare, si fa riferimento a deformazioni corporee, deturpazioni e difetti estetici chiaramente visibili da parte dei terzi, mentre con quello di men si fa riferimento a ogni
altro tipo di lesione della funzionalità psico-fisica12 a carattere permanente, come la perdita o la riduzione dei sensi, della potenza sessuale o della fertilità, l’afasia, le difficoltà di deambulazione e gli altri
deficit funzionali, le sensazioni dolorose permanenti, le malattie mentali, etc, comunque suscettibili
di valutazione medico-legale. La nozione di tale voce risulta in parte mutata in virtù della stessa riforma del 2002 sopra richiamata. La riparazione delle lesioni permanenti è corrisposta sulla base di
“tabelle di invalidità” (Invaliditetstabeller), elaborate dall’unione delle compagnie di assicurazione,
che provvedono a graduare le differenti lesioni, attribuendo a ciascuna di esse un range in punti percentuali13. Esse riflettono “una valutazione puramente medica dell’invalidità, senza prendere in considerazione professione, stile di vita e altre caratteristiche individuali della vittima”14. Sulla base del
grado di invalidità determinato alla stregua delle tabelle medico-legali, viene poi effettuata la quantificazione propriamente economica sulla base di differenti tabelle, ossia le “tabelle di risarcimento”
(Ersättningstabeller), predisposte dalla Trafikskadenämnd, che provvedono ad attribuire a ciascun
grado di invalidità un differente valore monetario, crescente all’aumentare della percentuale di invalidità e decrescente all’aumentare dell’età del danneggiato15.
4. Le tensioni interne al sottosistema del risarcimento del danno non patrimoniale e il
problema della gravità della lesione della funzionalità psicofisica
I valori guida del sottosistema del risarcimento del danno non patrimoniale si sono a lungo compendiati
10 La tabella non ha de iure efficacia vincolante. Essa, elaborata dalla Commissione a partire dagli anni ’50 e via via aggiornata in relazione all’inflazione, ha trovato riconoscimento nel 1972 da parte della Corte Suprema, come base per la liquidazione del risarcimento, salva
la facoltà di operare aggiustamenti sulla base di fattori individuali allorché sussistano speciali ragioni, e nel 1975 da parte del Parlamento
stesso, sia pur su base non legislativa. Attualmente, quella adoperata per la quantificazione di sveda och värk è la tabella n. 4 delle 6 elaborate dalla Commissione (cfr. amplius infra nota 15 e § 5).
11 Il periodo di cura coincide con quello intercorrente tra l’insorgere dell’effetto dannoso e il momento in cui la situazione medica
della vittima si è stabilizzata, o con il riacquisto della piena funzionalità psicofisica ovvero allorché la conseguenze peggiorative permangono e debbono considerarsi permanenti anche nel futuro. Il periodo oltre il quale subentra la stazionarietà della patologia varia in relazione alla stessa (normalmente si tratterà di 1-3 mesi per un colpo di frusta, a fronte di un decorso annuale per altre invalidità). Può accadere che, nel trattamento della pretesa risarcitoria fatta valere dal danneggiato a diverso titolo ed entro schemi compensativi differenti, l’invalidità sia riportata dalle autorità competenti come temporanea, nel senso che, pur essendo cessato il periodo di cura in senso stretto (il
periodo di “emergenza medica”), l’invalidità stessa, obiettivamente graduata in punti percentuali, perduri e tuttavia vi siano ragioni medico-legali per ritenere che entro un lasso di tempo determinato (p. es. due anni) la stessa abbia a cessare o a ridursi ad una invalidità di
minor grado. In tale ipotesi, al termine del periodo de quo sarà operata una nuova valutazione: l’invalidità sarà considerata definitiva quando le condizioni cliniche della persona si sono stabilizzate in modo che ogni effetto peggiorativo della funzionalità psicofisica è permanente
e prevedibile (la situazione è “statica”).
12 Così definita dalle “tabelle di invalidità” medico legali (consultabili sul sito http://www.whiplashinfo/Skadereglering/
Medicinskt%20tabellverk.pdf, alla data di luglio 2005), che qualificano i postumi invalidanti (o invalidità medica) come la riduzione della
funzionalità psicofisica, indipendente dalla causa della stessa e a prescindere dall’attività lavorativa e dalla sfera del tempo libero del danneggiato, nonché da ogni altro particolare fattore (p. 3 del file PDF, traduzione di chi scrive).
13 Tra le categorie di lesioni oggetto di valutazione da parte di tali tabelle figurano, p. es., quelle al sistema nervoso centrale (suddivise in molteplici sottotipi, ciascuno con la propria scala percentuale, come handicap sensoriali, handicap motori, afasia, indebolimento delle
funzioni psichiche elementari, epilessia, vertigini, complicazioni psichiche come reazioni depressive o asteniche, “Encephalopatia traumatica”, lesioni del midollo spinale, etc.), alla vista, all’udito, agli altri sensi, al tronco, agli arti superiori e agli arti inferiori (suddivisi in una
vasta pluralità di sottotipi).
14 A. SIMONI, Una macchina risarcitoria, cit., 202.
15 Tali tabelle sono consultabili sul sito: http://www.trafikskadenamnden.se/Cirk2-2005.pdf, alla data di luglio 2005.
142
Lesioni e macrolesioni nel sistema risarcitorio svedese
in una quantificazione il più possibile certa, ancorata a parametri medico-legali e tendenzialmente
invariante in relazione alle caratteristiche individuali del danneggiato. A fronte di ciò, il quantum fissato nelle tabelle si attestava su standards risarcitori sensibilmente più bassi di quelli continentali,
senza che peraltro il problema passasse inosservato16. Proprio allo scopo di evitare il rischio di una
undercompensation in relazione ai casi di danno alla persona di maggior serietà, il sistema tabellare
annoverava casi di lesioni permanenti di particolare gravità (nella nomenclatura svedese maximallfall, ossia “casi massimali”): tra questi, p. es., la paralisi totale, i gravi danni cerebrali, la perdita totale della vista. Per i maximallfall, considerati come superiori al 100% di invalidità, era preventivamente determinato l’ammontare dell’indennizzo, salva comunque l’operatività di un meccanismo di
gradazione delle lesioni massimali in una griglia di scatti intermedi.
Ulteriore fonte di criticità era costituita dalla terza voce di ideel skada, costituita – prima della
riforma del 2002- da olägenheter i övrigt, ossia “ulteriori inconvenienti” conseguenti al danno. Essa
– definita dalla Corte Suprema come “un’aggiunta al risarcimento delle lesioni permanenti, volta a
dare riparazione allo stato di affaticabilità e altri disturbi e a costi e spese di ridotta entità conseguenti
all’evento dannoso”17 – convogliava invero tipologie di pregiudizio non agevolmente collocabili sotto
le categorie del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale in senso stretto e, tuttavia, ritenute meritevoli di riparazione. Anche tale voce era supportata da un sistema tabellare – c.d. sistema
ABC- operante in presenza di una invalidità medica almeno del 10% e comprensivo di tre sottovoci, costituite da “costi ricorrenti” (A), “affaticamento nell’attività professionale” (B) e “conseguenze
dannose di natura patrimoniale o non patrimoniale che non hanno avuto riparazione in altre forme”
(C). L’eterogeneità delle tre sottovoci non consentiva di evidenziare una caratteristica comune diversa dalla definitività del pregiudizio. Infatti, gli “ulteriori inconvenienti” – che hanno fatto parlare,
presso la dottrina italiana, di “inusitato titolo risarcitorio”18 – consentivano il risarcimento di poste
di danno tra loro assai diseguali, quali per esempio le spese derivanti da un mutato stile di vita in conseguenza del danno, il maggior sforzo per coltivare i propri svaghi, la cessazione del reddito derivante
da attività lavorative occasionali. Diffusa era la percezione del deficit di razionalità di un sistema che,
per erogare quanto congruo in relazione all’invalidità permanente, ricorreva alla fictio di una voce
distinta ed eclettica, nata come addizione ma non di rado adoperata come fattore economicamente
preponderante nella liquidazione in concreto del danno alla persona.
La recente riforma ha mirato a reagire a tali inconvenienti, intervenendo sotto più profili. La sensibilità per l’adeguata compensazione delle ipotesi più gravi di invalidità si è tradotta nella prescrizione di un aumento del livello di risarcimento, per la voce “menomazioni e altre lesioni permanenti”, di circa il 50%, da affidarsi non già ad un intervento normativo, bensì all’operato ufficioso della
Trafikskadenämnd, attraverso innovazioni sul terreno del sistema tabellare. In particolare, da una
parte si applicano nuove tabelle medico-legali, in cui la gravità delle patologie è stata rigraduata fino
ad una massimo del 99% (contro l’originario 100%), sul presupposto che l’intera riduzione della
funzionalità psicofisica si abbia solo con la morte e in modo da ricomprendere nella scala percentuale
anche le lesioni precedentemente qualificate come maximallfall (x% delle nuove tabelle ≈ 1,45 . x%
delle precedenti); dall’altra, operano nuove Ersättningstabeller, che profilano una nuova quantificazione economica delle lesioni, con valori monetari incrementati per quelle più gravi19.
16 In relazione ai bassi standards risarcitori svedesi, l’insoddisfazione affiorante, in particolare, nel circuito politico, ha determinato l’enunciazione di proposte di riforma, tracciate nel Rapporto finale elaborato dalla Commissione di studio incaricata alla fine degli anni ’80
di indagare potenziali interventi normativi nel settore (SOU 1995:33 Ersättning för ideelskada vid personskada), del cui recepimento si dirà
tra breve. Per la consapevolezza dell’esiguità dei livelli risarcitori, cfr. in dottrina J. HELLNER, The Swedish Alternative in an International
Perspective, in AA.VV., Compensation for Personal Injury in Sweden and Other Countries, a cura di C. OLDERTZ-E. TIDEFELT, Juristförlaget,
Stockholm 1988, 28; B. BENGTSSON, Torts and Insurance, in AA.VV., Swedish Law. A Survey, a cura di H. TIBERG-F. STERZEL-P. CRONHULT,
Juristförlaget, Stockholm 1994, 166 e, più di recente, ID., Torts and Insurance, in AA.VV., Swedish Law in the New Millennium, a cura di
M. BOGDAN, Norstedts Juridik, Stockholm 2000, 309; contra, sia pur incidenter tantum, E. STRÖMBÄCK, Insurance in favour of the victims
of motor traffic in Sweden, in AA.VV., Compensation for Personal Injury in Sweden and Other Countries, cit., 49.
17 Cfr. Nytt Juridisk Arkiv, 1989, 389.
18 Così G. COMANDÉ, Risarcimento del danno alla persona e alternative istituzionali, cit., 244.
19 In SOU 1995:33 Ersättning för ideelskada vid personskada, p. 28 dell’English Summary (p. 15 della versione svedese), si legge che
”Con riguardo al danno non patrimoniale, non ci sono verità assolute; se una particolare perdita non patrimoniale debba essere valutata
143
A. Renda
Per altro verso, la medesima voce risulta odiernamente arricchita dall’incidenza su di essa di una
frazione cospicua di quanto in precedenza trovava ristoro sotto gli “ulteriori inconvenienti”. Difatti,
il risarcimento a titolo di lyte och annat stadigvarande men prende in considerazione anche la perdita, in termini di qualità e godimento della vita, che consegue all’invalidità permanente per effetto dell’affaticamento provato sul lavoro, della necessità di un aumentato sforzo per raggiungere obiettivi o
rispettare termini nella propria occupazione e di un’accresciuta fatica nello svolgimento del lavoro
domestico o assimilabile (lavare la macchina, fare riparazioni in casa, dedicarsi al giardinaggio) e, in
certa misura, anche per la perdita del tempo libero. L’innovazione incide sulla nozione di invalidità
permanente, la quale continua ad identificarsi con la riduzione della funzionalità fisica o psichica
suscettibile di graduazione a seguito di valutazione medico-legale e idonea a proiettarsi negativamente sul danneggiato a prescindere dal suo milieu sociale e dalle sue caratteristiche personali diverse dall’età, ma viene ad essere sensibilmente arricchita di un respiro dinamico-relazionale.
L’incremento risarcitorio, d’altra parte, non si effettua sulla base di una valutazione caso per caso e,
perciò, equitativa, bensì attraverso l’incorporazione del valore di tali perdite nel valore della percentuale di invalidità, dunque su base standardizzata e secondo un coefficiente che aumenta all’aumentare del grado di invalidità e differisce a seconda che si computi il risarcimento per anspänning i arbete (sforzo o affaticamento sul lavoro) o il risarcimento per anspänning i daglig livsföring i övrigt (sforzo nella vita quotidiana). In questo modo, si è inteso raggiungere l’obiettivo di un risarcimento che
eroghi un livello di compensazione adeguato attraverso una posta globale e unica, anziché mediante
il cumulo di voci risarcitorie distinte ed eterogenee.
La razionalizzazione del sistema del danno non patrimoniale risulta infine dalla sostituzione agli
“ulteriori inconvenienti” della voce särskilda olägenheter (“speciali inconvenienti”). Questa, depurata delle poste più correttamente ascrivibili al danno patrimoniale (in particolare, ai “costi di trattamento sanitario e altre spese” per quanto concerne gli aumentati costi del vivere, alla “diminuzione
del reddito” per quanto concerne la perdita di reddito da attività occasionali), deve intendersi in via
residuale come comprensiva delle conseguenze dello stato di invalidità, quali affaticabilità sul lavoro
e mutamento di stile di vita, che eccedono dall’ordinario e non possano già dirsi compensate dalla
liquidazione di lyte och annat stadigvarande men. In mancanza di riscontri applicativi, può ritenersi,
alla luce dei lavori preparatori20, che tale voce di danno sia destinata a ristorare quegli inconvenienti particolarmente gravi che discendano da invalidità esse stesse di elevata entità: p. es., un assoluto
impedimento a dedicarsi ad attività di svago, un sacrificio totale del proprio tempo libero, come conseguenza della necessità di dedicare più tempo allo svolgimento dell’attività lavorativa, a parità di
risultato rispetto al passato, ovvero più tempo libero al riposo anziché allo svago, per effetto di uno
straordinario affaticamento. Come presupposto, parrebbe ragionevole debba riscontrarsi nel caso
concreto una significativa perdita della qualità della vita del danneggiato. Le indicazioni contenute
nei lavori preparatori suggeriscono dunque una nozione di danno insuscettibile di obiettiva misurazione e, pertanto, liquidato equitativamente da parte del giudice o della diversa autorità incaricata di
fornire compensazione al danneggiato, avuto riguardo alle caratteristiche della sua persona e alle circostanze dell’ambiente di vita e di lavoro e in conformità al principio del decrescere del quantum al
crescere dell’età della vittima.
5. Gli indici positivi di rilevanza della gravità della lesione alla funzionalità psicofisica
Alla luce dei rilievi sopra svolti, pare possibile enucleare i seguenti profili sistematici relativi alla
gravità della lesione alla funzionalità psicofisica, mediante l’approfondimento critico del sistema
tabellare.
in 10.000, 100.000 o 1 milione di corone è fondamentalmente una questione di politica del diritto”, mentre spetta alla tecnica giuridica
stabilire criteri il più possibile congruenti per evitare lo sconfinamento nell’arbitrio: congruenti sono considerati la durata del tempo in cui
il danno è subito, l’intensità della sofferenza subita e il grado dell’invalidità determinata dalla perdita.
20 Cfr. Ersättning för ideelskada, Regeringens proposition 2000/01:68, 27 ss.
144
Lesioni e macrolesioni nel sistema risarcitorio svedese
a) La lesione temporanea
Sotto il profilo della lesione temporanea, si riscontra un trattamento liquidativo peculiare per le
lesioni più gravi. La tabella predisposta dalla Commissione, infatti, individua una somma di denaro
minima, differenziata a seconda che vi sia stato ricovero ospedaliero o cura d’altro tipo. Nella prima
ipotesi il risarcimento è maggiore e varia a sua volta a seconda che si tratti di danno grave ovvero di
altro danno21. I danni gravi sono oggetto di elencazione tassativa. Sono considerati danni fisici gravi
la severa diminuzione bilaterale della vista o dell’udito, le gravi paresi, le fratture craniche, le ustioni, le contusioni e le fratture gravi, le deturpazioni facciali, la totale incontinenza urinaria o fecale,
mentre sono considerati danni psichici gravi il mutismo, l’amnesia a base psicogena, la sensazione
grave e ripetuta del verificarsi di un evento infausto, i gravi attacchi di panico con sensazione di perdita dell’identità (depersonalizzazione) o perdita del senso della realtà, le reazioni psicotiche a base
reattiva, il significativo aggravamento di una pregressa psicosi22. In via dimostrativa, per il primo
semestre di danno grave con ricovero in ospedale è corrisposta, secondo la tabella per l’anno 2005,
una somma di SEK 4800 (≈ € 529,07 approx.) al mese, contro SEK 3500 e 2100 per, rispettivamente, un danno non grave e una cura diversa dall’ospedalizzazione, mentre dopo un anno è corrisposta
la somma di, rispettivamente, SEK 2600, 2600 e 1100 mensili23. Sotto altro profilo, la gravità della
lesione trova riconoscimento sia in relazione alle proiezioni dolorose idonee a perdurare nel tempo
sub specie di trattamenti particolarmente invasivi, sia in relazione all’applicazione di determinati strumenti terapeutici. Nel primo caso, allorché il danneggiato si sottoponga dopo la fase acuta a cure
odontoiatriche dolorose, a fisioterapia e altri trattamenti fisici dolorosi, ovvero a psicoterapia dolorosa in cui siano richiamati alla mente ricordi spaventosi che causino considerevole ansietà, è dovuta una somma di SEK 300 per seduta di trattamento. Nel secondo caso, ulteriore margine di maggiorazione è stabilito per ipotesi peculiari, nelle quali le cifre previste sono suscettibili di aumento dal
50% al 10% e per tutti i valori compresi nell’intervallo che siano multipli del 10%24. Ad ogni modo,
benché in larga parte standardizzato proprio in virtù del meccanismo tabellare, il risarcimento non
soggiace a un tetto massimo prestabilito e può essere adeguato alle circostanze del caso concreto25.
b) La lesione permanente
Più complesso e meno univoco il discorso relativo alle lesioni permanenti, quale risulta dal nuovo
protocollo di liquidazione sorto a seguito della riforma del 2002. Il sistema operativo per l’anno 2005
prevede che il risarcimento per lyte och men sia regolato da cinque Ersättningstabeller, sempre predisposte dalla Trafikskadenämnd26. Mentre la quinta e la sesta provvedono alla liquidazione delle menomazioni in senso stretto (rispettivamente il danno estetico e il danno da amputazione), le prime tre
presiedono alla liquidazione delle invalidità permanenti senza distinzione tipologica delle lesioni
(salva l’enucleazione di particolari tipi di danno in funzione dell’attribuzione ad essi di un quantum
risarcitorio predeterminato) e si applicano, rispettivamente, ai danneggiati che dopo l’evento lesivo
sono ritornati al lavoro, a quelli che non sono ritornati al lavoro e a quelli che, dopo che il risarcimento
21 Per ciascuno dei due tipi di cura la somma di denaro è individuata su base mensile e per semestre, con andamento via via decrescente dal primo al secondo semestre e da questo a un anno dall’insorgere del danno: vedi Ersättningstabeller, cit., Tabell 4, 44 (il numero di pagine si riferisce a quello del file PDF).
22 In relazione al verificarsi di tali ipotesi, è comunque possibile applicare un supplemento risarcitorio dal 10% al 40% anche in caso
di cura diversa da quella ospedaliera (Tabell 4, 45).
23 Le cifre risultano lievemente aumentate rispetto a quelle recate dalla tabella operante a partire dal 1991, la quale ha costituito termine di raffronto per la disamina dell’accettabilità dei livelli risarcitori svedesi (cfr. supra nota 16): essi infatti erano, rispettivamente, di
SEK 4.329, 3.159, 1.872 e SEK 2.223, 2.223 e 936 (ancorché in relazione a un lasso temporale corrispondente al primo trimestre e al terzo
trimestre (cfr. SOU 1995:33 Ersättning för ideelskada vid personskada, Bilaga 2.1, 503).
24 Trattasi di: 1. cura in reparto di assistenza intensiva (50%); 2. applicazione di fissatori esterni e trazione del cranio o delle maggiori articolazioni (40%); 3. immobilizzazione di frattura pelvica, tibica o femorale, ingessatura toracobrachiale (braccia-bacino) del braccio
dominante (30%); 4. ingessatura toracobrachiale del braccio non dominante, ingessatura della mano dominante (20%), ingessatura della
mano non dominante (10%). I trattamenti di invasività inferiore al 10% -p. es. le ingessature di modesta entità, l’impiego di grucce- si considerano ricompresi nel quantum minimo generale (Tabell 4, 45).
25 Pare opportuno menzionare che, per i disturbi psichici conseguenti alla morte di un prossimo congiunto, si prevede la liquidazione di SEK 25.000, somma calcolata per equivalenza con quanto corrisposto per un periodo di “cura d’altro tipo” di un anno.
26 Ersättningstabeller, cit.:Tabell 1 pp. 3-21, Tabell 2 p. 22-42, Tabell 3 p. 43, Tabell 5 p. 47, Tabell 6 p. 48.
145
A. Renda
è già stato liquidato sulla base della prima, tornano al lavoro. Esse sono strutturate con l’elencazione
sulla colonna orizzontale della percentuale di invalidità, crescente dal minimo del 5% al massimo del
99%, e l’elencazione sulla colonna verticale dell’età del danneggiato, crescente da 0 a 90 anni. Non
v’è l’individuazione di un valore del punto percentuale crescente con l’aggravarsi della lesione,
da moltiplicarsi per il grado di invalidità e demoltiplicarsi al crescere dell’età, ma v’è direttamente
l’individuazione del valore monetario, espresso in migliaia di corone svedesi e da arrotondarsi al
migliaio successivo, della percentuale di invalidità, crescente al crescere di questa e decrescente
all’aumentare dell’età27.
A titolo esemplificativo, una persona di 25 anni consegue SEK 150.000 (≈ € 16.533,48 approx)
per una invalidità del 10%, SEK 481.000 per una invalidità del 50% e SEK 839.000 (≈ € 92.477,26
approx) per una invalidità dell’80%, contro rispettivamente SEK 108.000, 363.000 e 638.000 per una
persona di 50 anni e SEK 28.000, 113.000 e 198.000 per una persona di 80 anni. I valori risultano
cospicuamente aumentati rispetto alle tabelle anteriforma. Se in precedenza, infatti, per un venticinquenne un danno ortopedico del 100% era compensato con SEK 255.000 e un danno cranico della
stessa gravità con SEK 300.000, mentre un maximallfall con SEK 490.00028, adesso una qualsivoglia
lesione del 69% (≈ 100% ÷ 1,45), non appartenente a categorie eccettuate dalla tabellazione generale, è compensata con SEK 406.000 e SEK 692.000, rispettivamente al netto e al lordo del ricarico
standardizzato ora operante per affaticamento sul lavoro e affaticamento nella vita quotidiana, mentre una lesione del 99% è liquidata in, rispettivamente, SEK 783.000 e SEK 1.148.00029. Si riscontra
pertanto un incremento effettivo del 50% del livello risarcitorio, ma solo per le lesioni di una certa
gravità (dal 69%).
Particolarmente interessante si rivela l’osservazione della progressione del quantum risarcitorio
all’aumentare della percentuale di invalidità e a parità di età. Posto che per invalidità inferiori al 5%
si applica un criterio pro quota (il risarcimento per il 2% corrisponde esattamente a 2/5 di quello previsto per il 5%, p. es.), la progressione dell’importo è tale da evidenziare una crescita costante del
valore del punto percentuale30. Si riscontra cioè un incremento in termini assoluti (sul presupposto
che all’aumentare della percentuale di invalidità cresca la riduzione della funzionalità psicofisica), ma
non anche in termini relativi, nel senso che operi, tra un punto e il successivo, un incremento marginale del valore del punto maggiore di quello registrato tra quel punto e il precedente31: il sistema
tabellare svedese non fa dunque proprio l’assunto che l’incremento dell’invalidità determini una
sempre maggiore riduzione della funzionalità psicofisica e, quindi, ripercussioni sempre più gravi sul
27 Il quantum risarcitorio individuato all’incontro tra asse delle ascisse e asse delle ordinate è già comprensivo dell’incidenza delle due
nuove sottovoci dell’affaticamento sul lavoro (B) e dell’affaticamento nella vita quotidiana (C). Entrambe si applicano alla tabella n. 1, soltanto C alla tabella n. 2 e soltanto B alla tabella n. 3. L’importo annuo di C è crescente per un range di invalidità dal 5% al 99% nello stesso valore per le tabelle n. 1 e n. 2, quello di B è crescente dal 5% al 14% e fisso dal 15% al 99% nello stesso valore per le tabelle n. 1 e
n. 3. Il risarcimento fissato nella tabella n. 3 costituisce l’esatta differenza tra quello ricavabile dalla n. 1 e quello ricavabile dalla n. 2. Il
fatto che la tabella n. 2 parta dal 5% e che quindi sia contemplata la possibilità del non rientro al lavoro per una invalidità anche solo del
5% si spiega alla luce di circostanze disparate e concomitanti: p. es. l’insorgere di una malattia irrelata rispetto al danno prodotto dall’evento lesivo, la gravidanza e l’opzione per l’abbandono dell’attività lavorativa per accudire il figlio, il pensionamento anticipato.
28 Per i maximallfall i valori erano comprensivi di quanto dovuto a titolo di sveda och vark (cfr. SOU 1995:33 Ersättning för ideelskada vid personskada, 508).
29 Si consideri che nel sistema anteriforma al risarcimento per lyte och men poteva cumularsi quello per olägenheter i övrigt (altri
inconvenienti). Tuttavia, anche sommando l’ammontare dovuto a tal titolo con le cifre corrisposte anteriormente per la lesione psicofisica,
si raggiunge un rapporto di circa 1: 1,5 rispetto all’attuale ammontare lordo, ossia comprensivo dell’affaticamento sul lavoro e nella vita
quotidiana. A ciò si aggiunga che al nuovo importo tabellare si cumula, almeno potenzialmente, la diversa e ulteriore voce di särskilda olägenheter (speciali inconvenienti), a priori non quantificabile.
30 Se (per un danneggiato venticinquenne) il valore del punto è di 3,01 (espresso in migliaia di corone e fermo l’arrotondamento a
SEK 31.000 a fronte di SEK 30.100) per una invalidità del 10%, esso arriva a 7,9 per una invalidità del 99%. L’incremento differisce di
punto in punto, ora in aumento ora in diminuzione; lo scarto medio (ossia la costante di variazione del valore del punto) è di +0,056.
Questo al netto di affaticamento sul lavoro (B) e affaticamento nella vita quotidiana (C). Se si volesse calcolare l’andamento del valore del
punto al lordo, il fatto che l’incidenza di B si stabilizzi dal 15% ad un valore annuo di SEK 4160, nonostante C progredisca per tutti i valori della scala percentuale, condurrebbe a ravvisare che il valore del punto per il risarcimento onnicomprensivo dell’invalidità permanente
decresce dal 14,96 per il 10% al 11,59 per il 99%.
31 Nel senso che, se l’incremento del valore del punto tra la percentuale di invalidità x% e la seguente (x + 1)% è uguale a y%, l’incremento nel successivo passaggio da (x + 1)% a (x + 2)% è maggiore di y%.
146
Lesioni e macrolesioni nel sistema risarcitorio svedese
danneggiato. La crescita proporzionale dell’importo risarcitorio al crescere lineare della percentuale
di invalidità non pare pertanto testimoniare una sensibilità rafforzata per la rilevanza invalidante
delle macromenomazioni, nel senso della consapevolezza che l’incidenza della menomazione sulla
vita del danneggiato cresca sempre più rispetto all’aumento percentuale assegnato ai postumi, andando a ricadere su un quadro clinico vieppiù grave.
Per altro verso, non si riscontra alcuna limitazione all’applicazione del sistema tabellare in relazione a macrolesioni, nel senso dell’esclusione della parametrabilità in punti percentuali, né l’acquisizione del carattere meramente indicativo della percentualizzazione di lesioni di seria gravità (dal
70/80%) e dell’inopportunità medico-legale di un apprezzamento eccessivamente tipizzante di tali
lesioni, nel senso che la percentuale perda valore quale espressione numerica e richieda di essere
accompagnata dalla specificazione delle componenti di danno sottese alla stessa32. Nell’esperienza
svedese accade semmai che determinati tipi di lesione non soggiacciano alla parametrazione percentuale, ma per ragioni del tutto indipendenti dalla maggiore o minore serietà del pregiudizio. Essi
sono tassativamente elencati nelle tabelle stesse, che identificano determinati “tipi di danno” (särskilda skadetyper) per i quali il quantum risarcitorio a titolo di invalidità medica può sì variare, ma
non è funzione crescente di una percentuale di invalidità, mentre è funzione decrescente dell’età del
danneggiato secondo un coefficiente di maggiorazione/riduzione e ne è prestabilita la somma base33.
Inoltre, accanto alle tre tabelle sopra richiamate e sempre in funzione tipizzante di particolari categorie di danno operano altre due tabelle, delle quali l’una (n. 5) provvede a classificare i danni estetici a seconda delle conseguenze deturpanti sull’aspetto della persona (da A a F in ordine crescente
di gravità) e della parte corporea interessata34, l’altra (n. 6) provvede a inquadrare i danni da amputazione, assegnando un valore distinto a ciascuna parte del corpo oggetto di amputazione35. Ma per
tutte le invalidità non appartenenti a categorie particolari, la curva risarcitoria è costruita fino al 99%
di invalidità permanente.
L’adeguamento equitativo al caso concreto, d’altra parte, può operare in relazione a tutte le ipotesi di invalidità36, siano esse di maggiore o minore gravità ovvero sottoposte o no a quantificazione
percentuale, ove circostanze del caso lo esigano; ma resta sostanzialmente un’eccezione alla regola
del primato dell’approccio tabellare, piuttosto che il portato di un’esigenza insopprimibile di personalizzazione del danno alla luce delle componenti dinamico-relazionali della funzionalità psicofisica
e delle caratteristiche del danneggiato, compendiabili in professione, stile di vita, estrinsecazione di
sé nella sfera affettiva, culturale, sportiva, etc., ovvero il corollario della gravità della compromissione della funzionalità psicofisica. La liquidazione tende pertanto a soggiacere a una logica prettamente baremistica. Come accennato, la sfera delle attività realizzatrici della persona è stata semmai
presa in considerazione sub specie dell’incidenza (standardizzata nel senso dell’operatività di un valore prestabilito su base tabellare) della sottovoce dell’affaticamento sul lavoro e dell’affaticamento
nella vita quotidiana. L’esperienza svedese, dunque, pare aver selezionato a priori, dal novero delle
32 Tra le lesioni riportate ad una percentuale superiore all’80% nelle tabelle medico-legali (cit. supra nota 12), possono ricordarsi la
perdita della funzione respiratoria - 85% (p. 7), l’afasia totale - 90% (p. 6), la lesione dell’attaccatura dell’alta cervice con totale perdita di
ogni funzione neurologica - 97% (p. 7), la demenza totale - 99% (p. 7).
33 Trattasi di: 1. ostacolo al parto e aborto (rispettivamente da SEK 32.000 e 66.000); 2. perdita della milza (esiti cicatriziali esclusi)
da SEK 28.000; 3. perdita totale della vista da SEK 868.000, più SEK 212.000 per lo sforzo nella vita quotidiana; 4. perdita di un dente
sano da SEK 3.200 (Ersättningstabeller, cit., 2). Le somme erogate per i nn. 1-2 non si riducono con l’età, mentre quelle per i nn. 3-4 si
riducono secondo una percentuale volta a volta variabile a seconda dell’età -a partire dall’1% per 26 anni e fino al 90% per 90 anni- e possono essere maggiorate del 10% per gli infrasedicenni (p. 49).
34 Si va da un minimo di SEK 2.700 per uno sfregio visibile sul tronco a un massimo di SEK 307.000 per una deturpazione obbrobriosa del viso. Per la sussunzione del caso di specie sotto le categorie tabellari ci si avvale di una casistica fotografica degli esiti cicatriziali,
in funzione di tertia comparationis. Le somme sono determinate per un danneggiato di 25 anni di età, ed è previsto un incremento per
determinate fasce d’età giovanile (35% fino a 15 anni, 25% tra 15 e 20, 20% tra 20 e 25) e un decremento per le fasce superiori d’età, a
partire dall’1% per 26 anni e fino al 90% per 90 anni (p. 47).
35 Le cifre spaziano da SEK 5.500 per l’amputazione del dito del piede a SEK 98.000 per quella dell’intero braccio. Si applicano gli
stessi meccanismi di maggiorazione/riduzione del quantum previsti per la tabella n. 5 (p. 48).
36 Anche in ragione della formale non vincolatività delle Ersättningstabeller. Per l’ammissibilità di un apprezzamento equitativo, cfr.
in giurisprudenza Nytt Juridisk Arkiv, 1972, 81 e, nei lavori preparatori della legge sulla r.c., Regeringens proposition 1975:12 med förslag
till lag om ändring i skadeståndslagen, 111.
147
A. Renda
attività realizzatrici, quelle proiezioni comuni a ogni persona umana (l’attività lavorativa, la generica
quotidianità extralavorativa), per ricomprendere nel ristoro del pregiudizio da lesa funzionalità psicofisica il riflesso della compromissione delle stesse, esso stesso non soggiacente a un particolare e
più attento adeguamento alle caratteristiche del caso di specie.
Tuttavia, non per questo pare doversi concludere per la totale mancanza di un margine di intervento equitativo (del giudice o, più spesso, della diversa autorità liquidatoria) in relazione alle perdite non patrimoniali subite dal danneggiato. La piena rilevanza della gravità della lesione della funzionalità psicofisica, tale da determinare una significativa compromissione della qualità della vita del
danneggiato, traspare infatti dall’innovativa voce risarcitoria costituita dagli “speciali inconvenienti”
(särskilda olägenheter). Questa risulta preordinata al ristoro della “frazione” della complessiva e personalizzata perdita della funzionalità psicofisica non già compendiata nel quantum, sia pur composito, corrisposto a titolo di lyte och annat stadigvarande men. In altre parole, la nuova posta è chiamata a compensare quanto, nei casi di maggior gravità dei postumi invalidanti, l’individuo perda in termini di riflessi pregiudizievoli areddituali che per gravità e intensità non possano dirsi ricompresi nell’astrazione tipizzante dell’affaticamento nel lavoro e dell’affaticamento nella vita quotidiana e che,
tuttavia, ancorché non misurabili o graduabili, sono suscettibili di constatazione medico-legale. Un
surplus di peggioramento concreto dell’esistenza del danneggiato, dunque, il cui criterio risarcitorio
di per sé non implica il rinvio ad una categoria delineata di macromenomazioni, ma fattualmente si
accompagna al ricorrere di ipotesi di più grave invalidità permanente e, con ciò, tende a recuperare
all’esperienza svedese quella componente di duttilità valutativa in parte sostanziale sacrificata dalla
sopravvivenza alla riforma del 2002 del primato tabellare. I valori guida dell’approccio liquidativo
permangono, tuttavia, quelli dell’uguaglianza e uniformità.
c) Ulteriori profili di rilevanza patrimoniale e non patrimoniale della gravità della lesione
Alla gravità della lesioni non si riconnette la possibilità di optare per la liquidazione del danno non
patrimoniale sotto forma di rendita vitalizia. Difatti, il risarcimento a titolo di lyte och annat stadigvarande men è sempre erogato nella forma di somma capitale, differentemente da quanto previsto
per il risarcimento della perdita di reddito, per il quale è stabilito che, salvo sussistano speciali ragioni, debba corrispondersi sotto forma di rendita la parte della somma complessiva di “rilevante importanza per il mantenimento del danneggiato” (SKL 5 kap. 4 §): ciò che comunemente accade proprio
per il danno patrimoniale da perdita di reddito che consegua a serie menomazioni psicofisiche.
Da altro punto di vista, non si evidenzia alcuna problematicità sotto l’aspetto dell’interazione tra
liquidazione di macromenomazioni e operatività dei meccanismi assicurativi, sia pubblici che privati. Come accennato, i pregiudizi non patrimoniali non sono coperti dalla protezione sociale ma dagli
schemi compensativi speciali. In relazione al tipo e all’occasione del danno, pertanto, il risarcimento
a titolo di lyte och men proverrà nella stragrande maggioranza dei casi dallo schema compensativo di
volta in volta applicabile, sulla base, da una parte, di regole che rinviano integralmente alla legge sulla
responsabilità civile per quanto attiene alla quantificazione e, dall’altra, di un protocollo applicativo
ricalcato su quello elaborato dalla Trafikskadenämnd nell’ambito del danno da circolazione stradale.
L’operatività di massimali determinati per ciascun meccanismo compensativo (p. es., 10 milioni di
SEK per danneggiato nell’assicurazione farmaceutica) non è mai tale da mettere in pericolo l’integrale ristoro di una macroinvalidità, con conseguente vanificazione della tutela del macroleso; d’altra
parte, in seno alla TSL non viene in rilievo alcuna limitazione speciale del quantum risarcitorio per il
caso di danno cagionato da veicolo non identificato. Né opera alcuna detrazione, al momento della
determinazione del quantum alla stregua delle regole di r.c., rispetto al danno non patrimoniale, con
la conseguenza che, nei limiti in cui vi siano assicurazioni che coprono le non pecuniary losses, si avrà
cumulo degli indennizzi37. Tuttavia, non è da escludersi che, alla luce di peculiari caratteristiche del
caso di specie quali l’indigenza del danneggiante e la floridezza economica del danneggiato, il pieno
37 Peraltro anche per il danno patrimoniale può esservi cumulo, con riferimento a benefits erogati da assicurazioni nelle quali il danneggiato abbia investito il proprio risparmio privato: ne consegue non di rado un fenomeno di overcompensation rispetto alla perdite pecuniarie
sofferte in conseguenza dell’invalidità (cfr. B. BENGTSSON, Torts and Insurance, in AA.VV., Swedish Law in the New Millennium, cit., 308).
148
Lesioni e macrolesioni nel sistema risarcitorio svedese
risarcimento di una macroinvalidità possa essere disatteso per effetto dell’applicazione di quella
peculiare norma del diritto svedese della responsabilità civile (SKL 6 kap 2 §) che prende il nome di
“regola generale di temperamento” dell’obbligo risarcitorio (allmän jämkningsregel), per cui
“Qualora l’obbligo risarcitorio sia irragionevolmente oneroso in considerazione delle condizioni economiche dell’obbligato, il risarcimento può essere ridotto secondo quanto è ragionevole, considerando anche le necessità del danneggiato di ottenere il risarcimento e le ulteriori circostanze”38.
Ulteriori indici di rilevanza della gravità delle lesioni si riscontrano sotto tre specifici profili, a
carattere patrimoniale. Da un primo punto di vista, nell’ambito dei danni da traffico è invalsa una
prassi in virtù della quale le compagnie assicurative, acconsentendo ad un esborso economico superiore a quello cui la norma di legge sul concorso di colpa (TSL 12 §) le esporrebbe, versano quanto
necessario all’indennizzo delle spese sanitarie sostenute da vittime “in evidente bisogno di trattamento”, quale che sia il grado della colpa del danneggiato: ciò che accade nei casi di lesioni gravemente invalidanti39. In secondo luogo, è da tempo ammessa dalla giurisprudenza, in occasione dei
rari interventi in materia, la risarcibilità delle spese necessarie al trattamento domiciliare del danneggiato, in caso di gravi danni cerebrali40. Infine, proprio a partire dalla riforma del 2002 si è riconosciuta espressamente la risarcibilità dei costi sostenuti dai prossimi congiunti – coniuge, partner
registrato omosessuale, convivente eterosessuale, genitori, figli – per le visite e l’assistenza domiciliare al danneggiato, non più in quanto possa dimostrarsi che gli stessi corrispondono a perdite dalla
vittima, ma direttamente in quanto perdite dei congiunti: non è difficile intravedere una convergenza applicativa della disposizione intorno ai casi in cui emergano più forti istanze di tutela, dunque
quelli di maggior gravità della lesione, sulla base delle indicazioni contenute nei lavori preparatori41.
6. La rilevanza settoriale della gravità dell’invalidità nell’ambito della sicurezza sociale
Nell’ambito del diritto della sicurezza sociale, più di una fonte normativa riconnette determinati
effetti alla riduzione della funzionalità psicofisica. A fronte della compensazione per la perdita del
reddito42 e dell’ampia copertura dei costi sanitari e delle spese di riabilitazione occorsi in conseguenza del danno43, vengono erogati ai soli residenti in Svezia determinati benefici volti tanto a dare
una copertura economica addizionale dei costi di trattamento e di una vasta gamma di costi correlati alle conseguenze invalidanti permanenti, quanto a fornire direttamente al danneggiato servizi destinati a neutralizzare o minimizzare il più possibile gli effetti dell’invalidità44. Resta fermo, tuttavia, che
né si richiede a questi effetti una percentualizzazione dell’invalidità permanente -pur da comprovarsi su base medico-legale- corrispondente a quella operante nell’ambito della riparazione del pregiudizio non patrimoniale attraverso il sistema tabellare, né si discerne tra invalidità conseguente a un
danno prodotto da un terzo e invalidità derivante da qualsivoglia altro fattore.
Una prima forma di tutela, correlata ad invalidità non necessariamente gravi, ma comunque crescente in relazione all’entità della lesione della funzionalità psicofisica, è predisposta dalla legge sull’indennità di invalidità e l’indennità di assistenza (Lag om handikappersättning och vårdbidrag – HVF,
38 La ratio della stessa è di introdurre mitezza in un sistema, comunemente operante attraverso l’interazione di strumenti compensativi alternativi alla responsabilità civile, in cui potrebbe essere “ingiusto” che l’“eccezionale” ricorso al meccanismo aquiliano e, dunque,
l’aggressione del patrimonio personale del danneggiato, conducano al depauperamento di soggetti indigenti. Per un approfondimento, cfr.
A. SIMONI, Una macchina risarcitoria, cit., 217 ss., ove ampi riferimenti bibliografici.
39 Cfr. Trafikskadenämnd, Cirkulärreferat 1980/2.
40 Cfr. SOU 1995:33 Ersättning för ideelskada vid personskada, 67-68.
41 Cfr. Ersättning för ideelskada, Regeringens proposition 2000/01:68, 20-21.
42 Cfr. supra nota 6.
43 Cfr. supra nota 7.
44 Per un inquadramento generale del diritto svedese della protezione sociale, cfr. A. CHRISTENSEN, Social Security Law, in AA.VV.,
Swedish Law in the New Millennium, cit., 133 ss. Per una disamina dei principali strumenti approntati in caso di invalidità temporanea e
permanente, si vedano, quale utile sintesi, i siti http://rattsskydd.hso.se/start.asp?sida=3051 e http://www.forsakringskassan.se/sprak/eng/
(alla data di luglio 2005).
149
A. Renda
1998:703). Questa prevede che sia erogata: 1. un’indennità di invalidità a qualunque soggetto ultrasedicenne la cui funzionalità psicofisica sia ridotta, prima del compimento del sessantacinquesimo
anno di età, per un considerevole periodo di tempo (almeno un anno), a copertura delle spese per
l’assistenza personale nelle attività quotidiane, sul lavoro o nello studio e di ogni altra spesa supplementare (p. es. di cura e trattamento) sopportata in ragione dell’invalidità; 2. un’indennità di assistenza per i genitori di minori la cui riduzione della funzionalità psicofisica richieda assistenza e sorveglianza particolari (ossia eccedenti quelle comunemente richieste da un minore non affetto da analogo stato patologico) ovvero implichi costi supplementari (p. es. spese di trasporto, cambio di residenza, ospedalizzazione a lungo termine, medicazioni, regimi alimentari speciali, attività ricreative)
per almeno 6 mesi.
Una seconda forma di tutela, relativa ad invalidità la cui gravità è implicata dalla natura delle misure predisposte, viene fornita dalla legge sull’indennità automobilistica per i disabili (Lag om handläggning av ärenden om bilstöd till handikappade, 1988:360) e dalla legge sui sussidi per l’adattamento della casa di abitazione (Lag om bostadsanpassning m.m., 1992:1574). La prima prevede che agli
adulti e ai genitori di minori affetti da invalidità fisica permanente sia corrisposta un’indennità per
l’acquisto ogni sette anni o la modificazione di un autoveicolo o altro mezzo di trasporto, nonché per
l’addestramento alla guida in ragione delle caratteristiche dell’impedimento fisico invalidante e delle
esigenze lavorative, riabilitative o di vita sociale dell’interessato, sulla base dell’appartenenza a cinque distinte categorie di invalidi e purché sussistano significative difficoltà a spostarsi senza tali misure e ad utilizzare il trasporto pubblico. La seconda prevede la corresponsione, a soggetti affetti da
impedimenti fisici, di sussidi volti a finanziare l’adozione di misure di adattamento dell’immobile di
abitazione alle esigenze poste dall’invalidità (modifiche strutturali per la deambulazione negli
ambienti, dispositivi per la riabilitazione e la fisioterapia, immunizzazione da fattori allergogeni,
attrezzature per il godimento del tempo libero, ecc.).
Una terza forma di tutela rafforzata è infine predisposta per invalidità la cui gravità è espressamente contemplata. La legge sull’assistenza e i servizi per persone con determinati impedimenti funzionali (Lag om stöd och service till vissa funktionshindrade – LSS, 1993:387) prevede che a tre categorie di invalidi (autistici e ritardati mentali, soggetti affetti da gravi e permanenti malattie mentali
conseguenti a danni cerebrali riportati in età adulta in conseguenza di un fattore esogeno o di una
patologia fisica, soggetti affetti da altro durevole impedimento fisico o psichico non dovuto al normale invecchiamento, purché sia grave e causi considerevoli difficoltà nella vita quotidiana e pertanto un bisogno esteso di assistenza e servizi) competano i c.d. dieci diritti, da attuare attraverso un progetto individuale annualmente riveduto: 1. consulenza e sostegno personale (da parte di assistenti
sociali, psicologi, fisioterapisti, logopedisti, dietisti, ecc.); 2. assistenza personale nelle attività quotidiane per non più di 20 ore settimanali; 3. servizio di accompagnamento fuori casa; 4. contatto diretto con una persona o una famiglia di fiducia; 5. assistenza domiciliare regolare e per emergenze; 6.
breve permanenza fuori casa per svago; 7. sorveglianza breve dei minori ultradodicenni; 8. intese per
la permanenza in case-famiglia; 9. residenzialità con speciali servizi per minori; 10. attività quotidiane per i non occupati. La legge sull’indennità di assistenza (Lag om assistansersättning – LASS,
1993:389), poi, prevede che sia garantita assistenza a coloro le cui esigenze eccedono le 20 ore settimanali previste dal LSS.
7. Brevi considerazioni conclusive
Il sistema risarcitorio svedese, pur nella frammentazione degli schemi compensativi, predilige globalmente rapidità e prevedibilità della liquidazione. Esso si connota da una parte per la forte rispondenza dei meccanismi di riparazione del danno alla persona alle direttive di politica del diritto volte
a garantire sicurezza alla collettività attraverso la socializzazione dei danni, dall’altra per l’ampia delega delle principali questioni operative a boards of dispute resolution le cui decisioni rispondono a criteri prevalentemente tecnici e non si correlano a opzioni assiologiche. L’ambivalente rilevanza delle
150
Lesioni e macrolesioni nel sistema risarcitorio svedese
macromenomazioni si inserisce dunque in un contesto caratterizzato non solo dal mancato approfondimento dogmatico del danno alla persona, ma anche dalla totale assenza di parametri costituzionali idonei a orientare ermeneuticamente l’operato degli organi decisionali ed ad ancorarlo alla
tutela di determinati beni giuridici, come la salute. Sul versante del danno non patrimoniale, la consapevolezza del carattere invalidante delle lesioni gravi alla funzionalità psicofisica si traduce in una
rilevanza qualitativa e tipizzante nell’ambito dell’invalidità temporanea, mentre dà luogo ad una rilevanza acategoriale e “quantitativa” nell’ambito dell’invalidità permanente. In quest’ultimo, in particolare, si è assistito di recente al consueto binomio tra intervento politico, responsabile dell’innalzamento degli standards risarcitori, e definizione in via sublegislativa e operazionale dei concreti equilibri dello scacchiere risarcitorio da parte delle autorità liquidatorie. All’operare sinergico di queste
con le indicazioni dei lavori preparatori della riforma della legge sulla r.c., poi, appare rimessa la sorte
della nuove voce degli “speciali inconvenienti”: dal suo concreto margine applicativo potrà derivare
nel futuro prossimo l’apertura verso un surplus di tutela sotto il profilo dinamico-relazionale, in caso
di grave lesione della funzionalità psicofisica, rispetto a quanto assicurato dall’approccio matematizzante proprio del sistema tabellare. A fronte di ciò, si pone la mancata tipizzazione delle macromenomazioni come categoria da parte della scienza medico-legale, cui corrisponde del resto la mancata percezione delle peculiarità del fenomeno da parte della dottrina.
Se, quindi, sul versante del danno non patrimoniale vengono in gioco indici di rilevanza non agevolmente riducibili a categoria, indubbiamente più ampio appare lo spettro attraverso cui si palesa
la rilevanza delle macromenomazioni sul versante dei costi sostenuti dal macroleso. All’attenzione
complessivamente limitata per il “valore uomo” sotto il profilo dell’astrazione stipulativa della
somma di denaro come strumento di riparazione del danno non patrimoniale, pare infatti corrispondere una forte sensibilità per il “valore uomo” sotto il profilo assistenziale. L’individuo nella sua
singolarità primeggia attraverso una sostanziosa concretezza di misure volte a ridimensionare nei fatti
la portata invalidante delle macromenomazioni. A misure schiettamente indennitarie si uniscono veri
e propri servizi a vantaggio dell’invalido, la cui patrimonialità sfuma rispetto ad una natura assistenziale strettamente correlata alla componente non patrimoniale del danno subito. Al centro di entrambi tali interventi si colloca lo sforzo, perseguito attraverso il diritto della sicurezza sociale, di garantire una risposta efficace nella quotidianità esistenziale del macroleso: l’idea del recupero il più possibile pieno della qualità della vita, persa a seguito dell’evento invalidante, mediante la reintegrazione delle principali componenti attraverso cui si esplica non solo la funzionalità psicofisica strettamente intesa, ma pure l’attitudine della persona alla socializzazione, alla promozione intellettuale,
allo svago. Naturalmente, ciò non implica che tali obiettivi siano raggiunti attraverso il medium di
una categoria formalizzata di macromenomazione. D’altronde, non può sottacersi che siffatti meccanismi di tutela delle macroinvalidità riposano sulla recisione del legame tra invalidità permanente e
causa generatrice della stessa: essi presuppongono una categoria di macroinvalidità talmente generale da prescindere dalla nozione di danno alla persona, per ricomprendere qualsivoglia obiettiva situazione invalidante, anche congenita o autocausata.
151
PARTE III
La valutazione delle macropermanenti:
prime sperimentazioni
Il calcolo a punto: le ragioni medico-legali
R. DOMENICI
Nel precedente contributo, relativo all’interesse medico-legale delle macro-permanenti, si è avuto
modo di confrontare due scale ideali di crescente gravità delle menomazioni: l’una ordinata secondo
il criterio della progressiva riduzione della capacità produttiva, l’altra secondo il criterio della progressiva compromissione della salute. Mentre la prima delle due scale (fig 1) può essere rappresentata come una linea retta in ascesa, che poi si conclude in un plateau più o meno lungo (il “tetto” dell’incapacità lavorativa generica, la quale si esaurisce al valore 100), la seconda (fig 2) può essere
immaginata come una curva che tende in modo asintotico al limite del 100 (la perdita completa del
bene salute, che non può realizzarsi, finchè c’è vita, “per la contraddizion che nol consente”).
Fig 1
Fig 2
La convenzione che vuole esauribile la capacità produttiva conduce naturalmente all’uso di una
scala da 1 a 100 per la quantificazione medico-legale del danno, secondo una impostazione che risale
del resto ai più antichi baremes infortunistici. Tale scala si fonda sul principio di proporzionalità fra
entità della contrazione della capacità lavorativa generica, percentuale medico-legale e quantum di
risarcimento. Si consideri per esempio il caso di due soggetti di pari età e dello stesso sesso, dei quali
il primo abbia perso la vista da un occhio e il secondo sia divenuto cieco. Nei baremes tradizionali, la
riduzione della capacità lavorativa generica è valutata nella misura rispettivamente del 25% e del
100%, poichè si crede che il monoculo abbia perso un quarto della sua globale potenzialità produttiva – mentre il cieco l’ha con ogni evidenza persa tutta. Il rapporto di 1 a 4, espresso dalla valutazione
percentuale, è conservato in sede di liquidazione del danno attraverso l’impiego della nota formula
G x I x coeff R.V./100
dove G è il guadagno medio annuo del danneggiato all’epoca dell’evento lesivo, I è la percentuale
medico-legale di danno e il coefficiente RV è in relazione con l’età del danneggiato. Per cui, a parità
di reddito, il cieco verrà risarcito con una somma quattro volte superiore al monoculo. Non vi sarà
invece differenza (è opportuno ripetere quanto già rimarcato nel precedente contributo) nella valutazione di chi è divenuto cieco, rispetto a chi è divenuto insieme cieco e sordo: entrambi ridotti a persone “prive di valore economico”.
La stessa scala da 1 a 100 non si adatta altrettanto bene alla gradazione del danno biologico e risulta inadeguata a conservare il principio di proporzionalità fra entità del pregiudizio alla salute, percentuale medico-legale e misura del ristoro economico. Riconsideriamo il medesimo esempio. Se decidessimo di attribuire al monoculo e al cieco, a titolo di danno biologico, le stesse percentuali – del
25% e, rispettivamente, del 100% – assegnate per la contrazione della capacità lavorativa generica,
155
R. Domenici
non rimarrebbe più “spazio” (una volta giunti a “fondo scala”) per una adeguata stima della condizione di cecità e sordità, che certamente incide sul bene salute in maniera ancora più gravosa della
cecità isolata. D’altro canto, non sembra neppure equo risarcire chi sia divenuto cieco con una somma
solo di quattro volte superiore rispetto a quella assegnata a chi abbia perduto il visus da un occhio.
Una possibile soluzione sarebbe quella di abbandonare il sistema di gradazione su scala percentuale del danno biologico, a favore per esempio, di un sistema basato su “punti di invalidità” che non
preveda un tetto definito e insuperabile. Così, ammesso che alla condizione di cecità siano convenzionalmente attribuiti 100 punti di invalidità, a chi fosse divenuto insieme cieco e sordo potrebbe
essere assegnato un punteggio maggiore di 100 (e a chi, per ulteriore sventura, avesse perso vista,
udito ed anche una mano, un punteggio ancor più elevato). Ma una scelta siffatta contrasterebbe con
la radicata tradizione medico legale della valutazione per procenti: ed in realtà non è stata mai seriamente prospettata in dottrina.
In un lavoro di qualche anno addietro, scritto insieme con Luigi Papi1, si sono discusse le differenze tra la scala di graduazione della (in)capacità lavorativa generica e la scala di graduazione del
danno biologico quali si desumono dal confronto tra i bareme in uso (Luvoni et al,19862, Bargagna et
al, 19983).
€
Fig 3
Fig 4
L’esito del raffronto è schematizzato nella fig 3. L’andamento della curva reale della (in)capacità
lavorativa generica (CLG) è sovrapponibile a quello della curva ideale rappresentato nella fig 1: una
linea che sale progressivamente fino al valore del 100% per poi proseguire con un plateau. A titolo
di esempio si possono riportare alcune percentuali che segnano, come pietre miliari, l’ascesa della
linea: sordità monolaterale 12% – cecità monoculare 25% – amputazione piede 40% – grave alterazione della favella 50% – amputazione mano destra 60% – amputazione arto superiore destro 70%
– disarticolazione della coscia 80%. Lungo il plateau del 100% si attestano la paraplegia, la cecità, la
tetraplegia.
Nel caso del danno biologico, invece, la curva reale si discosta da quella ideale rappresentata nella
fig 2. La scala del danno biologico si presenta come una linea ascendente, con una inclinazione minore rispetto a quella della (in)capacità lavorativa generica (il che significa percentuali minori a parità
di menomazione), ma prosegue la sua salita anche in corrispondenza della fascia delle “persone prive
di valore economico” sottesa al plateau della curva della CLG (area punteggiata nella fig 3). Per
riprendere il precedente esempio, le percentuali l’ascesa della linea sono, nel caso del danno biologico le seguenti: sordità monolaterale 10% – cecità monoculare 25% – amputazione piede 33% –
grave alterazione della favella 35% – amputazione mano destra 52% – amputazione arto superiore
destro 60% – disarticolazione della coscia 60% – paraplegia 80% – cecità 85% – tetraplegia 90%.
1 R. DOMENICI-L. PAPI: La consulenza tecnica, in La valutazione del danno alla salute, a cura di M. BARGAGNA et al. CEDAM, Padova
2001, 331.
2 R. LUVONI et al: Guida alla valutazione medico-legale dell’invalidità permanente. 3a Ed, Giuffrè, Milano 1986, per la scala della
(in)capacità lavorativa generica.
3 M. BARGAGNA et al: Guida orientativa per la valutazione del danno biologico permanente. 2a Ed, Giuffrè, Milano 1998, per la scala
del danno biologico.
156
Il calcolo a punto: le ragioni medico-legali
In sintesi, se quello che era il “fondo scala” del 100%, secondo il parametro della CLG, si epande a formare una fascia in cui sono comprese le più gravi macropermanenti, secondo la scala del
danno biologico (nell’esempio, paraplegia, cecità e tetraplegia), allora la parte della stessa scala che
sta a valle di tale fascia, deve in qualche modo essere “compressa”. La necessità di operare una
“compressione” della scala del danno biologico impedisce di mantenere un adeguato rapporto di
proporzionalità fra entità del pregiudizio alla salute e percentuale medico-legale. E, del resto, la fascia
che viene così ad essere riservata alle macropermanenti più severe non consente neppure di “distanziare” in misura bastevole macromenomazioni di impatto invalidante significativamente diverso (per
esempio solo 10 punti separano la paraplegia dalla tetraplegia)
Se la scala percentuale da sempre usata per misurare la compromissione della capacità produttiva
è troppo “corta” per la stima del danno biologico e non si intende ricorrere ad un’altra scala di valutazione medico-legale, occorre trovare il rimedio altrove. E il rimedio individuato dalla migliore giurisprudenza e accolto dalla dottrina più avvertita è quello che prevede la crescita del valore monetario del punto con il crescere della percentuale di invalidità. È il c.d. “criterio del punto variabile”,
che negli ultimi anni si è affermato nella maggior parte dei tribunali, come evoluzione del metodo del
calcolo a punto originariamente proposto dal Tribunale di Pisa.
C’è differenza di opinioni sulla migliore morfologia della curva di incremento del valore del punto
in rapporto al tasso di invalidità. Quella adottata dal Tribunale di Milano, e poi rapidamente diffusasi presso molti Uffici Giudiziari, deriva da una funzione elaborata da Mangili e Zoja nel 19984.
Giuseppe Turchetti e Giovanni Comandè, del Gruppo di di Ricerca di Pisa sul Danno alla Salute, ne
ha proposta nel 1996 una differente che segue una forma esponenziale5. (La fig 4, che non corrisponde ad uno specifico modello di curva di incremento del valore del punto, è riportata al solo
scopo esemplificativo).
Chi scrive non ha la specifica competenza per esprimere un giudizio sul miglior modello di crescita del valore del punto. Ritiene peraltro pienamente condivisibili due dei principi che qualificano
la tabella indicativa nazionale (o TIN, nome con cui è anche conosciuta la curva elaborata da
Turchetti): (1) il valore del punto cresce in modo superiore rispetto all’aumento del valore percentuale assegnato ai postumi non solo in termini assoluti, ma anche in termini relativi; (2) la curva si
arresta alla soglia delle “macropermanenti”, stabilita al 70%. La condizione (1) comporta un progressivo incremento del valore del punto, in misura tale da consentire alla scala del danno biologico
di assumere un andamento prossimo a quello ideale rappresentato nella fig 2. La condizione (2) permette di lasciare all’equo apprezzamento del magistrato adeguati spazi risarcitori per differenziare il
ristoro di macropermanenti di particolare complessità e severità (e tuttavia contrasta con l’intenzione chiaramente espressa del legislatore di contenere i margini di discrezionalità del giudice).
Per finire, pare opportuno sollevare un argomento che non è stato finora oggetto di sufficiente
riflessione. Quello della necessità di una correlazione funzionale tra tabella di liquidazione monetaria
e tabella medico-legale di percentualizzazione del danno. È di per sè evidente che qualsiasi modello
risarcitorio dovrebbe prevedere una relazione coerente tra:
1. natura del bene giuricamente rilevante, la cui lesione è oggetto di ristoro;
2. metodo di quantificazione medico-legale dell’incidenza delle menomazioni psico-fisiche sul bene
in questione;
3. regola di traduzione in moneta del “quantum” medico-legalmente accertato.
Finora, l’attenzione si è soprattutto concentrata sulla relazione tra i primi due punti. Senza dubbio essenziale, per importanza. Ma è tempo che anche la relazione tra i due primi e l’ultimo punto
riceva la dovuta considerazione. Potrebbe altrimenti accadere che due tabelle (la medico-legale e la
monetaria), ciascuna per suo conto ottimale, nel loro “combinato disposto” diano luogo, almeno in
4
F. MANGILI-R. ZOJA: Il valore del punto percentuale di danno biologico, premesse, considerazioni e proposte, in Resp Civ Prev 1998, 579.
G. TURCHETTI: Gli sviluppi dello studio della determinazione del valore monetario base del punto di invalidità, in AA.VV. Rapporto
sulla giurisorudenza in tema di danno alla salute. M. BARGAGNA-F.D. BUSNELLI, CEDAM, Padova 1996, 171; G. COMANDÈ, La sperimentazione di una tabellazione indicativa nazionale tra esigenze di prevedibilità ex ante del danno e di liquidazione equitativa ex post. Ibidem, 201.
5
157
R. Domenici
certi casi, ad un risarcimento palesemente inappropriato, per difetto o per eccesso. Ciò a causa della
scarsa coerenza tra i criteri che regolano i rapporti tra peso crescente delle menomazione e sua
espressione percentuale (interni alla tabella medico-legale ed in ipotesi difformi nella stessa guida da
apparato ad apparato) e dei criteri che regolano la funzione di crescita del valore del punto in rapporto all’incremento del tasso di invalidità.
La regola evangelica “non sappia la tua mano destra cosa fa la mano sinistra” non dovrebbe applicarsi alla due tabelle, la medico-legale e la monetaria. Altrimenti è possibile che l’incoerenza generi,
quale reazione giurisprudenziale a risarcimenti ritenuti inadeguati, fantasiose voci aggiuntive di
danno aprendo così la via anche ad ingiustificate duplicazioni.
158
Necessità dell’introduzione di un sistema di valutazione
delle macropermanenti: le ragioni del settore assicurativo1
M. SCALISE-M. FRANCESCANGELI
SOMMARIO: 1. Premessa e definizione del problema. 2. La necessita’ di un intervento: ragioni
di giustizia sostanziale e di coerenza sistemica. 3. Valenza “culturale” ed “orientativa” di un
intervento. 4. Effetti sul management dei sinistri. 5. Conclusioni e ruolo dell’ISVAP.
1. Premessa e definizione del problema
Con l’art. 5 commi 2 e ss. l. n. 57/2001, il Legislatore, analogamente a quanto aveva in precedenza fatto il d. lgs n. 38/2000 in relazione agli infortuni sul lavoro, è intervenuto, introducendo un criterio uniforme, di matrice tabellare ed ancorato alla gravità del danno e all’età del danneggiato, per
la valutazione delle sole lesioni micropermanenti, cioè di lieve entità (percentuale di invalidità dall’1
al 9%) determinate da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore. È stata anche prevista l’adozione, con decreto ministeriale, di una specifica tabella delle menomazioni alla integrità
psicofisica micropermanenti, tabella adottata con d. m. 3 luglio 2003.
Così facendo, il Legislatore ha inteso perseguire l’uniformità nella valutazione su tutto il territorio
nazionale della tipologia di danni alla persona frequentemente più ricorrente e quantitativamente più
consistente e, allo stesso tempo, il contenimento dei costi legati alla loro liquidazione.
Tuttavia una serie di dati statistici evidenzia che: 1) per il settore dell’ r. c. auto, nell’aumento del
costo medio dei sinistri, negli ultimi anni cresciuto del 6% circa in media, in misura maggiore rispetto alla media europea (si è passati da 2.499 Euro del 1997 a 3.413 Euro del 2002), ha avuto un’incidenza preponderante l’incremento dei costi relativi all’intera componente del danno a persona, non
limitata alle micropermanenti e 2) a rendere più marcato tale incremento ha contribuito in misura
rilevante l’inflazione degli oneri legati ai risarcimenti per le macropermanenti. Infatti, i sinistri con
macropermanenti, pur costituendo circa il 10% del totale di quelli con danni a persona, comportano per le compagnie, a motivo della gravità delle lesioni dell’integrità psicofisica ad essi connesse,
esborsi di denaro di notevole entità.
Quanto al primo aspetto basti osservare che, a fronte dell’aumento del costo medio dei sinistri del
6% circa, quello dei danni alla persona ha fatto registrare un incremento nel 2002 del 12,5% rispetto al 2001 (sui 10.000 Euro in media). L’eziologia di tale incremento può risultare logicamente spiegabile anche considerando che, sebbene i sinistri con danni misti (a cose ed a persone) costituiscano
per il 2002 appena il 16% del totale di quelli denunciati (quelli con danni solo a persona addirittura solo il 13%), essi rappresentano ben il 20% di quelli pagati (detta percentuale sale al 41% in relazione ai sinistri con soli danni a persona) e i relativi importi corrisposti costituiscono ben il 66% dei
pagamenti globali effettuati (detta percentuale si assesta attorno 64% con riferimento ai sinistri con
soli danni a persona), contro il 33% dei danni a cose.
Con riguardo al secondo aspetto si consideri il trend degli importi medi pagati per i danni a persona: mentre gli importi corrisposti nell’esercizio in corso, la gran parte dei quali è relativo a risarcimenti per micropermanenti, fanno registrare nel 2002 un incremento del 19,4% rispetto al 2001,
assestandosi a 4.974 Euro, il pagato medio per sinistri di esercizi precedenti, fra i quali si colloca la
1 Tutti i dati statistici esposti nella presente trattazione sono tratte da elaborazioni dell’ISVAP, gran parte delle quali è confluita nelle
circolari statistiche n. 516 e 517, rispettivamente del 5 e del 17 novembre 2003. Entrambe le circolari sono relative ai dati dell’esercizio
2002 (i dati del 2003 sono in corso di elaborazione).
159
M. Scalise-M. Francescangeli
maggior parte di quelli relativi a macropermanenti per le quali il tempo medio di liquidazione
ammonta a circa 2 anni, fa registrare una crescita di ben 11 punti percentuali, assestandosi attorno
agli 11.600 Euro.
In altri termini, se è vero che i sinistri con lesioni micropermanenti costituiscono il 90% circa dei
casi di sinistri con danni alla persona, ciondimeno la loro incidenza sul totale liquidato per danni alla
persona si attesta soltanto attorno al 60%, risultando il restante 40% assorbito per il risarcimento dei
danni relativi a macrolesioni.
In conseguenza di quanto si è detto, se opportuno è apparso un intervento normativo diretto ad
introdurre criteri certi ed uniformi di quantificazione del danno relativo alle micropermanenti, ancor
più ragionevole e coerente risulta procedere ad un completamento della disciplina introdotta, razionalizzando il procedimento valutativo dell’intero dominio dei danni alla persona e, all’interno di quest’ultimo, particolarmente necessario risulta un intervento sulle macropermanenti.
Apprezzamento, a questo proposito, merita l’iniziativa della costituzione di una commissione
ministeriale per realizzare la tabellazione delle lesioni dell’integrità psicofisica comportanti un’invalidità dal 10% al 100%.
Beninteso, posta la necessità di introdurre certezza ed uniformità nella valutazione delle macrolesioni, va anche detto che la via da perseguire non può essere quella, sottesa alla l. n. 57/2001, della
limitazione del quantum risarcibile e della trasformazione del risarcimento in indennizzo: nel caso
delle macropermanenti, infatti, è particolarmente doverosa per il Legislatore l’osservanza del principio dell’integrale risarcimento del danno alla salute, risultando ogni diversa soluzione, che finisca per
comprimere eccessivamente tale principio, problematica sotto il profilo della ragionevolezza e della
legittimità costituzionale.
In tal ottica una soluzione possibile può essere quella che porti ad un sistema di valutazione delle
macropermanenti il quale, basandosi sull’introduzione di valori sufficientemente certi ed uniformi,
mutuati generalizzando i decisa dalle pronunce relative a casi analoghi, giunga ad una tabellazione
indicativa, valida sul territorio nazionale e flessibilizzabile dal giudice a seconda delle circostanze del
caso concreto.
A sostegno di tale opzione militano una serie di ragioni sia di carattere generale sia di carattere
speciale, cioè valide per il settore assicurativo, le quali sono spesso inscindibilmente connesse le une
con le altre.
2. La necessità di un intervento: ragioni di giustizia sostanziale e di coerenza sistemica
Innanzitutto un intervento diretto a ripristinare certezza ed uniformità nella valutazione delle
macropermanenti appare giustificato da ragioni di giustizia sociale e di politica legislativa. È, infatti,
evidente che l’esigenza di garantire un ristoro certo, pronto ed integrale al danneggiato si pone con
maggior forza in relazione a soggetti che, come i macrolesi, abbiano subito in conseguenza del sinistro una grave menomazione dell’integrità psicofisica. Tale menomazione sovente compromette gravemente lo svolgimento delle attività vitali, lavorative e sociali delle vittime, con conseguenti necessità di assistenza continuativa e perdita di autonomia. Si tratta, come è evidente, delle fattispecie più
gravi di danno a persona, le quali sono tanto diffuse da suscitare un vero e proprio allarme sociale.
Si pensi, infatti, che, secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Interno e da quello della Salute, i feriti in seguito ad incidenti stradali dal luglio 2002 al giugno 2004 ammontano a circa 250.000, con circa
8.000 decessi (2% del totale) e ben 170.000 ricoveri ospedalieri. Rebus sic stantibus, in assenza di
parametri certi ed uniformi in tutto il territorio nazionale a causa delle continue oscillazioni giurisprudenziali, l’entità degli importi mediamente corrisposti in relazione ad una stessa macrolesione,
subita da soggetti di eguale età, è soggetta a forti variazioni a seconda della parte del territorio in cui
il sinistro è avvenuto: in relazione ad una percentuale di invalidità dell’80%, accusata da macrolesi
della stessa età, fra gli importi accordati da diversi corti territoriali è stata riscontrata una differenza
di circa 100.000 Euro. Ciò determina vistose disparità di trattamento, in contrasto con le esigenze di
giustizia formale e sostanziale.
160
Necessità dell’introduzione di un sistema di valutazione delle macropermanenti: le ragioni del settore assicurativo
In tale ambito, un intervento che si faccia carico dell’esigenza di ristabilire uniformità e certezza
nel procedimento valutativo del danno si rivela conforme alle ragioni di protezione sociale alla base
della responsabilità civile obbligatoria e ne rafforza la vocazione di istituto giuridico a presidio delle
vittime della circolazione, procedendo nella direttrice tracciata dalle raccomandazioni emerse nell’ambito del convegno di Treviri.
Detto intervento, d’altro lato, contribuisce a completare il quadro normativo già delineato con
l’art. 5 l. n. 57/2001, accrescendone la ragionevolezza: il parziale sacrificio all’integrale ristoro del
danno alla salute imposto con riferimento ai danni legati a lesioni di lieve entità, allo scopo di porre
rimedio ai gravosi costi sociali connessi alla gestione delle micropermanenti, può trovare la sua logica ragion d’essere nella redistribuzione delle risorse risparmiate per garantire l’integrale risarcimento delle vittime maggiormente bisognose di tutela risarcitoria, cioè dei macrolesi2.
3. Valenza “culturale” ed “orientativa” di un intervento
Nella prospettiva appena accennata ad essere agevolata non è solo la redistribuzione di risorse ma
anche la redistribuzione di attenzione nella conduzione dell’istruttoria relativa alle due tipologie di
danno alla persona: difatti, agevolando, come si fa con il metodo introdotto dall’art. 5 l. n. 57/2001,
la pronta e celere definizione della categoria di sinistri più numerosa, residua in capo alle reti liquidative delle compagnie un maggior lasso di tempo da dedicare alla valutazione dei sinistri più gravi
ed onerosi e all’attenta conoscenza e ponderazione di tutte le componenti di pregiudizio risarcibile
(si pensi, ad esempio, alla problematiche valutazione ed incidenza delle spese per assistenza futura
del macroleso), anche allo scopo di porre in essere delle iniziative in vista di una migliore implementazione delle loro procedure interne e della riduzione degli oneri connessi alla liquidazione stessa (dal 1996 al 2001 essi hanno fatto registrare una crescita complessiva del 22% circa).
A tal proposito, si consideri che negli Stati Uniti e in Germania alcune compagnie, in seguito ad
un’attenta opera di valutazione degli oneri derivanti dalle macroinvalidità, hanno ritenuto più economico e allo stesso tempo proficuo per il danneggiato intervenire attivamente, attraverso proprie
strutture di consulenza e di supporto specializzate, nella fase di riabilitazione e reinserimento di quest’ultimo. In questo senso l’introduzione di criteri certi ed uniformi per la valutazione delle macropermanenti rappresenta per le compagnie anche un’interessante opportunità, per confrontarsi con le
singole voci di costo collegate alla liquidazione e migliorare l’efficienza delle relative procedure.
Per altro verso l’introduzione di valori certi ed uniformi, seppur indicativi, per le macropermanenti è idonea a svolgere anche un’importante funzione “orientativa” in quanto il valore indicativo da un
lato costituisce il principale parametro per valutare la ragionevolezza dell’offerta dell’assicuratore e
della richiesta del danneggiato, dall’altro rappresenta un punto di riferimento su cui le controparti
possono convergere per determinare la risoluzione della vertenza in sede stragiudiziale o almeno in
fase di conciliazione alla prima udienza di comparizione, con conseguente deflazione del contenzioso.
A tal proposito l’attuale situazione di incertezza ha determinato un aumento del contenzioso sia
civile che penale: si pensi all’incremento, registratosi nel 2002, del contenzioso civile sia di primo
grado (+2,96%) che di secondo grado e di legittimità (ben il 13% circa in più), all’aumento dell’incidenza del contenzioso stesso sui sinistri a riserva (+1,16%) nonché all’incremento del contenzioso
penale sia in termini assoluti che in relazione al numero dei sinistri a riserva.
Attualmente l’esito contenzioso è quello maggiormente ricorrente in relazione alle macropermanenti: infatti, è molto frequente che, rebus sic stantibus, l’impresa, in assenza di parametri precisi e a
fronte di richieste spesso eccessive del macroleso (la difficoltà di esatta quantificazione è anche connessa al congruo lasso di tempo che a volte occorre per la stabilizzazione dei postumi delle macrolesioni), gli proponga una somma globale e forfetaria a definitiva tacitazione delle sue pretese, somma
2 Tale concetto è stato ribadito anche dal Presidente dell’ISVAP, nel corso dell’audizione resa dinanzi alla 10° Commissione
Permanente del Senato, tenutasi il 29 gennaio 2003 nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’attività assicurativa, con particolare riferimento alla responsabilità civile auto.
161
M. Scalise-M. Francescangeli
spesso rifiutata od accettata con riserva dal macroleso stesso, il quale agisce in giudizio per la differenza; ovvero è altrettanto frequente che l’assicuratore stesso opti per la resistenza in giudizio, contestando la quantificazione delle voci di danno. Ciò contribuisce a determinare un prolungamento
dei tempi medi di liquidazione di detti sinistri, i quali vengono definiti mediamente in circa 2 anni,
con pregiudizio per le ragioni del macroleso: infatti il ristoro che a lui accordato, per essere veramente effettivo, deve essere, oltre che integrale, anche il più possibile pronto e tempestivo.
In questa ottica, disporre di un parametro monetario seppur indicativo, può costituire un incentivo per le parti a superare la reciproca diffidenza, avviando un dialogo su una base congrua, con conseguenti incentivo alla riduzione del contenzioso giudiziario e incremento della velocità di liquidazione dei sinistri.
Sotto questo profilo, dette misure possono essere accostate ad altre già introdotte, quali la concessione agli utenti del diritto d’accesso agli atti delle compagnie relativi ai fascicoli di sinistro, l’estensione ai sinistri con lesioni della rigorosa tempistica e delle sanzioni previste dall’art. 3 l. n.
39/1977, l’estensione della procedura CID in relazione ai sinistri con lesioni con risarcimento fino a
15.000 Euro e la procedura di conciliazione stragiudiziale gestita nell’ambito dell’ANIA.
4. Effetti sul management dei sinistri
Ma gli impatti più significativi nel settore assicurativo di un intervento diretto a razionalizzare il
procedimento di valutazione delle macropermanenti risultano quelli legati alla gestione del management dei sinistri, con particolare riferimento alle fasi della tariffazione e della riservazione.
Più precisamente l’introduzione di linee guida nella valutazione delle macropermanenti contribuisce a superare l’oggettiva incertezza connessa alla quantificazione delle varie componenti di tale
tipologia di danno, con particolare riferimento a quelle non reddituali; tali incertezze sono attualmente aggravate dal succedersi di orientamenti giurisprudenziali soprattutto di merito, variabili a
seconda del territorio di competenza del giudicante, mutevoli nel tempo e soprattutto non sempre
rigorosi nella individuazione delle diverse componenti di danno nonchè nella relativa liquidazione
del pregiudizio a ciascuna voce connesso (si pensi al pericolo di duplicazioni di voci risarcitorie, con
particolare riguardo, ad esempio, all’incerto confine fra il c. d. danno patrimoniale futuro e la componente dinamica del danno biologico).
A ciò si aggiunga che i tempi mediamente lunghi necessari per la definizione del contenzioso relativo ai sinistri, come accade nell’ipotesi di quelli con macropermanenti, comportano già di per sé un
ampliamento del fattore di rischio a carico dei sinistri stessi: più infatti il momento della liquidazione degli importi dovuti per l’intervenuto sinistro si allontana dal momento della tariffazione del
rischio, più è probabile che il risarcimento sia superiore rispetto all’importo medio utilizzato per la
costruzione del premio di tariffa.
In questo contesto la certezza di riferimenti normativi contribuisce a creare una maggiore chiarezza nella prevedibilità dei costi che la compagnia dovrà sopportare per il risarcimento; ciò assume
un ruolo importantissimo nel processo di determinazione delle tariffe, basato su valutazione probabilistica non soltanto sul verificarsi del sinistro, ma anche sul presumibile ammontare dei costi di
liquidazione: non si dimentichi che in tanto l’assicuratore può stabilire regole sufficientemente certe
di liquidazione del danno, in quanto sussista a monte un’adeguata chiarezza delle norme sulla
responsabilità civile.
Inoltre non va dimenticata l’importanza assunta dalla stima sul costo futuro di liquidazione nella
fase di determinazione della riserva sinistri, cioè dell’importo accantonato dall’impresa per far fronte a debiti risarcitori futuri. Detta valutazione è basata su una logica prudente di sufficienza, alla luce
del principio secondo cui gli importi accantonati devono essere in ogni momento sufficienti a far
fronte agli impegni assunti.
Così, per quantificare correttamente gli impegni tecnici, è necessario che il management prenda
in considerazione tutti i possibili fattori idonei ad incidere sul costo dei sinistri. In questo ambito
162
Necessità dell’introduzione di un sistema di valutazione delle macropermanenti: le ragioni del settore assicurativo
primario rilievo riveste la valutazione del danno alla persona e degli effetti che dallo stesso discendono in termini di possibile incremento dell’onere futuro sia in relazione ai sinistri dell’esercizio che
in riferimento ai sinistri di esercizi precedenti.
Ora, detta valutazione, con particolare riferimento alle macrolesioni, presenta marcati profili di
aleatorietà in quanto risente della mancanza di criteri certi ed uniformi per la valutazione del danno.
Ne consegue che, in quest’ultimo caso, in presenza di sinistri caratterizzati dalla complessità della
procedura liquidativa, da probabili spese legate al contenzioso e richiedenti spesso anni per la completa definizione, un’elevata incertezza sui criteri risarcitori determina la propensione delle imprese
ad appostare a riserva somme più elevate, con effetti negativi sul costo dei sinistri e quindi sulla
gestione tecnica.
Alla luce di tali considerazioni possono essere letti i dati relativi alla distribuzione territoriale del
pagato medio e del riservato medio sui sinistri del 2002: infatti, nonostante che nelle regioni del
Centro siano stati riscontrati i costi medi dei sinistri più elevati, cionondimeno sono le regioni del
Settentrione a far registrare maggiori importi del riservato (in particolare la differenza è particolarmente sensibile per le somme riservate in relazione a sinistri di esercizi precedenti, fra i quali si colloca la maggior parte di quelli con macrolesioni).
Quanto rilevato in precedenza, comunque, trova supporto nei dati statistici, che mostrano come
dal 2000 al 2002 l’importo medio riservato sia costantemente aumentato, (nel 2002 è cresciuto di ben
12 punti percentuali). In detto incremento ha rivestito un’incidenza notevole la crescita degli importi riservati per sinistri con danni alla persona, soprattutto in relazione a quelli relativi ad esercizi precedenti. Basti pensare che gli importi riservati per sinistri con lesioni hanno rappresentato, per il
2002, il 64% di quelli globalmente riservati e le somme riservate per sinistri con lesioni di esercizi
precedenti, fra i quali si colloca la maggior parte di sinistri con macropermanenti, quasi il 70%.
Questa situazione è destinata ad influenzare anche l’attività di vigilanza sulla valutazione della congruità delle riserve tecniche, posta in essere dall’Istituto: in presenza dell’estrema volatilità dei criteri ai quali ancorare la stima sulla componente più importante dei costi futuri, appare difficile per
l’Istituto valutare l’adeguatezza delle valutazioni effettuate dalla singola compagnia.
Ora, un intervento che contribuisca a creare elementi di certezza e di prevedibilità nei costi costituisce un importante passo per consentire alle imprese una stima più puntuale ed allo stesso tempo
equa degli importi dovuti. Infatti, detto intervento, consentendo alle compagnie di avere elementi
per monitorare in maniera più capillare l’andamento dei costi, contenerli e, per questa via, pervenire ad una riduzione delle tariffe, è destinato ad produrre effetti rilevanti sia sull’organizzazione interna delle compagnie stesse sia sulla loro stabilità finanziaria e sull’efficienza del mercato in senso
ampio sia, infine, sull’efficacia dell’azione di vigilanza assicurativa.
5. Conclusioni e ruolo dell’ISVAP
Le precedenti considerazioni inducono a ritenere auspicabile per il mercato nel suo complesso
l’introduzione di un sistema di valutazione delle macropermanenti che, in omaggio ad esigenze di
certezza del diritto ed in conformità alle indicazioni fornite dalla Consulta3, garantisca allo stesso
tempo uniformità e flessibilità, da una parte evitando che gli esiti delle stesse lesioni subite da soggetti di eguale età, siano liquidati in modo diverso a seconda della zona geografica in cui è occorso il
sinistro, come oggi spesso accade, dall’altro consentendo al giudicante di adattare l’indicazione tabellare alle peculiarità del caso concreto.
In tale prospettiva l’Istituto, nella sua veste di garante del settore assicurativo, che, nell’esercizio della
funzioni istituzionali vigila sull’efficacia e sull’efficienza delle procedure liquidative4 e sul rispetto della
3
cfr. pronuncia n. 184/1986.
Si consideri che, a partire dalla circolare n. 308 del 26 settembre 1997, le compagnie sono tenute ad inviare annualmente informazioni sulla loro struttura organizzativa della liquidazione dei sinistri r. c. auto.
4
163
M. Scalise-M. Francescangeli
tempistica sulla formulazione dell’offerta prevista dall’art. 3 l. n. 39/1977 anche con riferimento alle
ipotesi di sinistri con lesioni gravi, non può non essere avere interesse a farsi parte attiva, come interlocutore qualificato del Parlamento e del Governo relativamente al settore di competenza, nella realizzazione di interventi diretti a contribuire alla graduale razionalizzazione della valutazione del danno alla
persona e a creare le giuste condizioni per ripristinare uniformità e certezza nella valutazione stessa,
senza inibire il potere di equo apprezzamento del giudice.
D’altronde la sensibilità dell’Istituto alla materia, che, giusta quanto in precendenza evidenziato,
assume notevole rilevanza nel settore assicurativo, non è un interesse dell’ultimo minuto ma ha radici storiche ben consolidate: non si dimentichi che l’ISVAP si è già in passato fatto portavoce dell’esigenza di pervenire ad una riforma dell’intera materia del danno alla persona, presentando nel 1999
un disegno di legge non limitato al solo settore r. c. auto ma a largo raggio, diretto a novellare le
norme del codice civile sul risarcimento del danno da fatto illecito. Con riferimento alla valutazione
del danno biologico ed in particolare dei danni relativi a lesioni macropermanenti, il disegno andava
nella direzione dell’introduzione di una tabella indicativa nazionale, modificabile dal giudice sulla
base delle circostanze concrete, in maniera non molto dissimile da quanto dovrebbe avvenire nel caso
di specie.
In questa prospettiva si inquadra anche la convenzione di recente stipulata dall’Istituto con la
Scuola Superiore S. Anna di Pisa per la creazione di un Osservatorio sul danno alla persona, incaricato di studiare, approfondire la tematica ed individuare soluzioni adatte a migliorare lo status quo.
In conseguenza di tutto ciò, risulta evidente l’opportunità che l’Istituto continui ad offrire la propria collaborazione fattiva per la realizzazione in tempi ragionevoli di una soluzione tesa a razionalizzare il procedimento valutativo delle macropermanenti.
164
La “nuova” valutazione delle macropermanenti:
il Sistema Informativo per le Macropermanenti (SIM)
G. COMANDÉ
SOMMARIO: 1. Il danno alla salute e i confini della standardizzazione. 2. Il danno alla salute e
la valutazione delle macro-permanenti nel nuovo sistema risarcitorio. 3. Macropermanti: le
ragioni di una distinzione. 4. I modelli e gli stimoli per l’Italia: giustizia verticale e giustizia
orizzontale. 5. Il SIM: strumenti nuovi e maggiore giustizia nella personalizzazione delle
macropermanenti. 6. La banca dati e le “tavole elettroniche delle macropermanenti”. 7. Le
tavole descrittive cartacee.
1. Il danno alla salute e i confini della standardizzazione
La quantificazione del danno segue lo schema del valore stipulativo consolidato nella prassi giudiziale, coniugando la prevedibilità (del risultato indicativo tabellato) alla flessibilità richiesta dalla
personalizzazione del danno. Il sistema adottato dalla giurisprudenza (si vedano per una attenta ricostruzione di sintesi gli interventi di G. Ponzanelli e di M. Rossetti) e sposato –idealmente almeno- dal
legislatore nella legge n. 57/2001 procede con un doppio grado di tipizzazione basato sull’età e sulla
crescita più che proporzionale dell’incidenza della lesione sulla vita del danneggiato nella ricerca del
valore monetario di base per ciascun punto di invalidità percentuale accertato medicalmente e con
la tipizzazione dei parametri di adeguamento al caso concreto onde evitare disparità ed idiosincrasie.
La possibilità di “tipizzare” situazioni prive di “elementi peculiari” in una griglia orientativa che
tenga conto dell’incidenza diversificata e crescente in modo più che proporzionale della menomazione ha reso possibile l’elaborazione di “tabelle” indicative che sono e devono rimanere strumenti
orientativi capaci di aumentare la prevedibilità dell’esito risarcitorio ma senza mortificare il ruolo del
giudice e la richiesta di giustizia del caso singolo.
Proprio per queste ragioni è opportuno riflettere sugli eventuali limiti della tipizzazione in via
tabellare seppure -lo si ripete- indicativa. Se è vero, infatti, che le tabellazioni adottate dai tribunali
non esimono il giudice dal motivare la sua decisione, è anche vero che il confine tra la liquidazione
tabellare -accettata e approvata per esigenze di prevedibilità e di uniformità di base- ed un vero e proprio prontuario di indennizzo rischia di divenire labile laddove l’applicazione delle tabelle in uso e
la formula della motivazione diventino clausole di stile.
Ancora una volta, però, vale la pena sottolineare che in astratto non può escludersi vi possa essere una standardizzazione diversificata secondo la gravità dell’invalidità permanente in quanto standardizzazioni rispondenti a logiche risarcitorie e a strumenti informativi differenti.
Ad una diversificazione dei livelli (ma, a dire il vero, non per i meccanismi) di standardizzazione
si è sempre obiettato che la salute non muta “valore” e non invoca una protezione diversa -sul piano
qualitativo- dall’ordinamento al mutare quantitativo della sua lesione; i.e. il danno non è ontologicamente meno danno per il fatto di esser piccolo né il valore protetto – la salute – è qualitativamente
meno rilevante se la lesione subita è di minore entità. Alla luce di ciò, una volta ammessa, la standardizzazione operata per le lesioni micropermanenti non si potrebbe differenziare dall’ipotesi delle
macropermanenti: il valore salute riceve la stessa protezione dalla Costituzione a prescindere dalla
entità delle conseguenze della sua lesione (micro o macro). Non può che concordarsi con tale conclusione, ma come cercheremo di vedere le ragioni che giustificano un eventuale diverso trattamento non attengono ad una diversità qualitativa o quantitativa del danno ma ad un diverso atteggiarsi
degli elementi valutativi in possesso del giudice e che prospettano la necessità di dotarsi di strumenti di apprezzamento differenziati sul piano operazionale piuttosto che ontologico.
165
G. Comandé
2. Il danno alla salute e la valutazione delle macro-permanenti
nel nuovo sistema risarcitorio
L’effetto delle decisioni della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale nel 2003 (C. Cost.
n. 233\2003 e Cass. 8827 e 8828\2003)1 in materia di danno alla persona non ha ancora dispiegato
interamente i suoi effetti. A distanza di due anni non si è ancora aperto un dibattito chiaro ed attento sui criteri di liquidazione del danno non patrimoniale così come una compiuta riflessione sui criteri di liquidazione del danno alla salute differenziato per le micro e per le macro-permanenti.
Il “ritorno” del risarcimento del danno alla salute nell’alveo dell’art. 2059 c.c. di per sé non ha
ritoccato la logica della liquidazione del danno che era stata sviluppata in sinergia tra dottrina e giurisprudenza. Sul piano delle indicazioni generali l’operazione giurisprudenziale non ha alterato i
capisaldi della liquidazione del danno alla salute: indefettibilità del risarcimento; aredditualità; valutazione uniforme di base con adeguamento al caso concreto. Tuttavia, la sussunzione sotto l’articolo
2059 c.c. di tutti i danni non patrimoniali impone una riflessione sui criteri di liquidazione dei medesimi per verificare gli spazi ed i limiti di prassi di “standardizzazione” compatibili con i valori protetti dalle regole di responsabilità e con le esigenze di garantire coerenza tra la liquidazione delle
lesioni di maggiore e di minore entità, evitando il rischio di trasformare cripticamente il risarcimento in indennizzo e, viceversa, la valutazione equitativa in arbitrio.
Tale riflessione si impone per ogni danno non patrimoniale, ma in questa sede ci occupiamo esclusivamente dei parametri di liquidazione del danno alla salute con la forcella distintiva micro e macropermanenti. Peraltro, a ben vedere, sarebbe necessario differenziare l’analisi delle metodiche di
liquidazione del danno alla salute non solo tra micro e macro-permanenti in generale ma anche all’interno di ciascun sistema di regole risarcitorie (circolazione stradale, infortuni sul lavoro, danni medici, danno da prodotti…). Infatti, in teoria almeno, esistono già due sotto-sistemi specifici che disciplinano in modo autonomo i criteri di liquidazione del danno alla persona: è il caso della circolazione stradale e degli infortuni sul lavoro (l.149\1999 e l. 57\2001) anche se, sia l’esperienza nazionale
sia le esperienze straniere, indicano che questi “sottosettori” tendono ad influenzare l’intero sistema
e la regola generale di liquidazione del danno alla persona. Invero, la giurisprudenza di merito italiana si è ripetutamente rivolta ai criteri per la liquidazione dei danni da micro-permanenti per estendere -analogicamente- i criteri normativi o per utilizzarli quale base di riferimento.
3. Macropermanti: le ragioni di una distinzione
Tradizionalmente la distinzione tra micro e macro danni alla salute è stata -a torto o a ragione- discussa sulla base di argomentazioni ancorate, per un verso, ai profili economici e, per altro verso, ad
esigenze di giustizia variamente interpretate.
1 Il sistema risarcitorio emerso dagli interventi del Supremo Collegio ha già ottenuto ben tre studi monografici collettanei: G.
PONZANELLI (a cura di), Il “nuovo” danno non patrimoniale, Padova 2004; E. NAVARRETTA (a cura di), I danni non patrimoniali, Milano
2003; M. BONA-P.G. MONATERI, Il nuovo danno non patrimoniale, Ipsoa, Milano 2004. Cfr. Cass., 31 maggio 2003, n. 8827 e 8828. Il testo
delle motivazioni è riportato in Danno e responsabilità, 2003, 816, con note di F.D. BUSNELLI, Chiaroscuri d’estate. La Corte di Cassazione
e il danno alla persona, 826; G. PONZANELLI, Ricomposizione dell’universo non patrimoniale: le scelte della Corte di Cassazione, 829; A.
PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, L’art. 2059 c.c. va in paradiso, 831; in Corr. Giur., 2003, 1031, con nota di M. FRANZONI, Il danno non patrimoniale, il danno morale: una svolta per il danno alla persona; in Resp. civ., prev., 2003, 680, con note di P. CENDON, Anche se gli amanti si
perdono l’amore non si perderà, 685; E. BARGELLI, Danno non patrimoniale ed interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c.,
691; P. ZIVIZ, E poi non rimase nessuno, 703; in Foro it., 2003, I, 2277, con nota di E. NAVARRETTA, Danni non patrimoniali: il dogma infranto ed il nuovo diritto vivente. Cfr. inoltre Il nuovo danno non patrimoniale, Padova 2004, curato da G. PONZANELLI. Opportuno richiamare inoltre Cass., 12 maggio 2003, n. 7283, in Danno e resp., 2003, 713, con nota di G. PONZANELLI, Danno non patrimoniale: responsabilità presunta e nuova posizione del giudice civile, ed in Corr. Giur., 2003, 1463, con nota di F. ROLFI, L’illecito civile ed il danno morale: spostamento o crollo del limes?. Quest’ultima decisione ha evidentemente influenzato l’esito di Corte Cost., 11 luglio 2003, n. 233, in Foro it.,
2003, I, 2201, annotata da E. NAVARRETTA, La Corte Costituzionale e il danno alla persona in fieri, in merito alla risarcibilità del danno non
patrimoniale allorché la responsabilità dell’autore del fatto, corrispondente ad una fattispecie astratta di reato, venga affermata in base ad
una presunzione di legge; Cfr. Trib. Genova, ord. 14 gennaio 2003, pubblicata in Danno e resp., 2003, 771, con commenti di G. COMANDÉ,
La rincorsa della giurisprudenza e la (in)costituzionalità dell’art. 2059 c.c. e L. LA BATTAGLIA, La storia infinita dell’art. 2059 c.c.: quale via
per le nuove esigenze di tutela?.
166
La “nuova” valutazione delle macropermanenti: il Sistema Informativo per le Macropermanenti (SIM)
Nella prima tipologia di argomenti rientra certamente la ricorrente denuncia delle truffe ai danni
del settore assicurativo che sarebbero permesse dalla richiesta di microdanni difficilmente apprezzabili (e quindi denegabili) ovvero dallo strumento ricattatorio della pretesa risarcitoria per danno alla
persona. Non è questa la sede per approfondire questo profilo, ma si deve precisare che se una posta
risarcitoria si presta ad abusi, si devono combattere questi ultimi senza porre in discussione il principio risarcitorio limitando surrettiziamente il risarcimento del danno.
Nella logica economica è sovente rientrato pure l’argomento secondo il quale la lievitazione dei
costi risarcitori per il danno alla persona, ritenuto eccessivamente speculativo, incide in modo significativo sui conti delle compagnie spingendo in modo inaccettabile verso l’alto i premi assicurativi con
riflessi sul sistema economico ed in primis sul livello dell’inflazione. Non si dimentichi che questa è
stata la ratio giustificativa del d.l. 70/2000 prima e dell’art. 5 della legge n. 57/2001 poi che ha condotto alla tabellazione semirigida delle micro-permanenti nei casi di danno da circolazione stradale.
Inoltre, la distinzione si è basata sulla preoccupazione che un sistema di liquidazione (quello delle
micropermanenti) decentrato e polverizzato nelle mani di giudici di pace conducesse ineluttabilmente fuori controllo il risarcimento proprio per la tipologia di liquidazioni che statisticamente incidono di più sui conti del ramo danni del settore assicurativo. Ancora una volta, però, e pure ipotizzando che il dato sia corretto, si dovrebbe semmai incidere sulla causa piuttosto che sull’effetto evitando semplificazioni banalizzanti che servono a sostenere una riduzione del danno per le micro-permanenti senza offrire gli strumenti tecnici per adeguare il quantum delle macropermanenti.
Infine, l’argomento dei costi è stato spesso letto usando la metafora della torta: le risorse sono scarse e “devono” essere concentrate in direzione dei consociati che più ne hanno bisogno, i soggetti la
cui salute è stata maggiormente compromessa. Questa argomentazione, correttamente si appoggia
sulla constatazione che la maggior parte delle risorse economiche sono assorbite dalla liquidazione
delle micro-permanenti, che in ogni ordinamento interessano una parte estremamente elevata delle
ipotesi risarcitorie. Questo argomento, tuttavia, risulta solo idealmente animato da propositi redistributivi (tra micro e macrolesi) se non verifica adeguatamente la possibilità di massimizzare la
“torta” né l’ammissibilità sul piano costituzionale di una diversificazione ontologica dei risarcimenti
tra micro e macro danni alla salute. È pur vero che le micropermanti “sono le zanzare” del diritto
– come ricordava Gian Guido Scalfi – ma non per ciò solo si legittimano diversificazioni di trattamento: per proseguire con l’immagine della zanzara, la puntura di una zanzara che causa prurito e
quella che trasmette la malaria rimangono entrambe punture di zanzara, ma non ci sogneremmo mai
di curare le conseguenze della prima con il chinino e quelle della seconda con una pomata antinfiammatoria. Al contrario, bisognerà esaminare la possibilità di meccanismi che riducendo i costi
amministrativi del risarcimento del danno portino ad una diversa distribuzione di maggiori risorse.
Questo forse potrebbe essere il caso di meccanismi di indennizzo diretto per le lesioni di più
modesta entità che riducendo i costi del contenzioso potrebbero potenzialmente liberare risorse.
Invero, il percorso di diversificazione degli strumenti informativi circa la liquidazione del danno alla
salute in ipotesi di maggiore o minore portata invalidante può avere delle ricadute non indifferenti
sia sul piano operazionale che sulle prospettive di implementazione di meccanismi di indennizzo
diretto per specifici settori, come i danni da circolazione stradale, o per il sistema di responsabilità
civile più in generale.
In sintesi, le argomentazioni economiche spesso addotte a giustificazione di interventi legislativi
(richiesti od ottenuti) sul quantum del danno alla salute possono al massimo essere effetti collaterali
– peraltro anche economicamente molto significativi – di una effettiva richiesta risarcitoria che trova
fondamento nella tutela offerta alla salute dall’articolo 32 Cost. e che richiede più attenta analisi.
Il secondo blocco di argomenti a supporto di un trattamento differenziato tra micro e macro-permanenti è in qualche modo connesso ad esigenze di coerenza e di giustizia nella massa di danneggiati.
Innanzitutto, è ancora l’argomento delle risorse scarse che entra in gioco richiedendo (imponendo
forse in una lettura solidaristica) di allocare le risorse in nostro possesso per risarcire “meglio” i soggetti –macrolesi- che sembrano averne maggiormente bisogno. La stessa argomentazione logica è stata
usata in concreto nel sistema inglese per rivedere verso l’alto i risarcimenti per le menomazioni più invalidanti senza alterare i valori per quelle di minore entità (si veda il contributo di L. Di Bona di Sarzana).
167
G. Comandé
Una tale diversificazione, peraltro, risponderebbe pienamente a esigenze di giustizia verticale di
differenziazione tra danni di diversa entità. Infatti, è sufficientemente pacifico nella giurisprudenza e
nella letteratura che gli effetti della lesione della salute crescono in modo più che proporzionale
rispetto al crescere dell’invalidità permanente accertata e decrescono al crescere dell’età2. Non a caso
il legislatore adotta proprio questi criteri quali principi cardine declamati della costruzione delle
tavole di liquidazione delle invalidità permanente 1-9% occasionate dalla circolazione stradale.
Orbene questi criteri di costruzione del meccanismo di quantificazione – a prescindere dal valore
monetario assegnato – sono parametri oggettivi ed uniformi. Tuttavia, essi rispondono a tipizzazioni
legate ad una grande quantità di casi (le micro-permanenti) per i quali il numero -certo più ampio
rispetto a quello delle macro-permanenti- e la maggiore “semplicità” delle ipotesi permette livelli più
stringenti di standardizzazione. La comparazione avviene tra casi più omogenei e numerosi per procedere ad una valutazione social tipica basata sulla ripetizione del giudizio di valore (la liquidazione
del danno) di quanto può avvenire per le menomazioni maggiormente invalidanti.
Il punto di partenza teorico è l’accettazione della comparabilità delle ipotesi di danno alla salute,
superando l’inevitabile differenza ontologica -da invalidità ad invalidità, da livello a livello di salute
e malattia- che afferisce al bene salute per ciascun essere umano nel tempo e nello spazio. Il postulato non sempre esplicitato da ogni tentativo di addivenire a parametri uniformi di base, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale3, presuppone inevitabilmente che un danno sia in qualche
modo ed oggettivamente comparabile con un altro.
Tanto più ampia sarà la casistica, poi, tanto più facile sarà l’individuazione di classi di ipotesi assimilabili e quindi comparabili. Analogo ragionamento non può applicarsi senz’altro per lesioni di
maggiore complessità, spesso collegate a lesioni multiple (si vedano i contributi di R. Domenici, C.
Toni, L. Marino), e per certi profili al crescere dell’età e al complessificarsi degli stati pregressi (si
vedano i contributi di G. Turchetti e di L. Papi). Infatti, la diversa combinazione di lesioni qualitativamente e quantitativamente differenti si presta ad incidere in modo molto più variegato e difficilmente tipizzabile sulla salute individuale; il fenomeno peraltro si aggrava nel momento in cui incide
su soggetti anziani in quanto la vita ha avuto più occasioni di incidere sul loro stato pregresso.
Al di là, quindi, di aspirazioni ad una diversa distribuzione delle risorse – la “torta” del risarcimento del danno – le lesioni macropermanenti si prestano strutturalmente meno a livelli più stringenti di standardizzazione proprio per la loro complessità sul piano medico legale e per la loro minore rilevanza numerica che rende difficile l’acquisizione di campioni sufficientemente significativi perché il giudizio comparativo sia apprezzabile e standardizzabile con dei semplici indici numerici.
Se così è, allora, un diverso trattamento sul piano del metodo della liquidazione del danno alla
salute in caso di macro menomazioni, ed ancor prima sul piano della descrizione del danno è necessario ed anche possibile. Una soluzione che semplicemente offrisse un valore del punto in una somma
notevolmente maggiorata in caso di lesioni altamente invalidanti potrebbe risultare funzionale in una
logica di standardizzazione, ma sarebbe arbitraria. La difficoltà – se non l’impossibilità in assenza di
una casistica sufficiente ampia – di offrire standard monetari di base uniformi non esclude che situazioni simili, ma non sufficientemente numerose, per così dire, da fare statistica, non possano fornire
indicazioni utili a chi deve liquidare il danno in occasioni successive in cui la complessità della lesione rende insoddisfacente la semplice indicazione valutativa numerica (il valore monetario di base nel
calcolo a punto differenziato).
2 Cfr. G. TURCHETTI, Gli sviluppi dello studio sulla determinazione del valore monetario base del punto di invalidità, M. BARGAGNAF.D. BUSNELLI (a cura di), Rapporto sullo stato della giurisprudenza in materia di danno alla salute, Cedam, (1996), 180-188; G. COMANDÉ,
La sperimentazione di una Tabella Indicativa Nazionale tra esigenze di prevedibilità ex ante del danno e di liquidazione equitativa ex post, ibidem, 203-205.
3 Tuttavia, il legislatore sembra essersi dimenticato dei suoi propositi di normazione settoriale. L’art. 23, c. 4, l. n. 273\2002 prevedeva, entro sei mesi abbondantemente trascorsi, per il solo settore r.c., una tabella unica di base su tutto il territorio nazionale e per tutte
le percentuali di invalidità. La base uniforme doveva interessare le menomazioni alla integrità psicofisica tra 10 e 100% assegnando un
valore pecuniario ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all’età del soggetto leso.
168
La “nuova” valutazione delle macropermanenti: il Sistema Informativo per le Macropermanenti (SIM)
4. I modelli e gli stimoli per l’Italia: giustizia verticale e giustizia orizzontale.
La protezione della salute e della dignità impone il rispetto del principio di uguaglianza sia nel
trattare allo stesso modo situazioni simili sia nel trattare in modo differente situazioni che simili non
sono. In altri termini, si tratta di evitare ingiustificati livelli di variabilità all’interno di classi simili di
lesioni (principio di giustizia orizzontale) e di ottenere adeguate differenziazioni sulla base della gravità dell’invalidità e della durata (attesa) nel tempo della medesima. A tali principi si devono ispirare le tabelle indicative, ma come anticipato, per le lesioni macropermanenti l’indicatore sintetico
offerto dal valore monetario del punto variabile non è più capace di esprimere pienamente il rispetto di questi principi.
L’evoluzione che qui si propone è coerente ed è anzi uno sbocco coerente del sistema di liquidazione del danno alla salute sviluppato grazie alle sinergie dei diversi attori e interessati coinvolti. Esso
si basa sull’esperienza giurisprudenziale, da essa si alimenta ed essa tende ad alimentare con un più
ampio e ragionato circuito informativo. In questa direzione alcune esperienze europee offrono suggerimenti particolarmente utili per costruire strumenti descrittivi e di guida a chi debba liquidare il
danno alla persona in ipotesi di macromenomazioni. In particolare, due sistemi di tradizione assai
diversa, l’una di common law (il Regno Unito) e l’altra solidamente ancorata nella tradizione di civil
law (la Germania), offrono alla nostra riflessione spunti significativi.
Il sistema inglese ha sviluppato un insieme di strumenti guida per la liquidazione del danno che,
sulla base delle liquidazioni medie registrate in contenzioso, offre con aggiornamento periodico (cfr.
il contributo di L. di Bona di Sarzana) forcelle di valutazioni monetarie associate ad una sintetica
descrizione della menomazione di base e delle condizioni particolari del caso concreto. Su questa base
informativa le parti coinvolte in un contenzioso possono ragionevolmente prevedere il possibile esito
di un eventuale giudizio, magari approfondendo sul testo della sentenza le caratteristiche del precedente -non in senso tecnico- liquidativo in modo da argomentare al meglio il caso del proprio cliente.
Il modello tedesco offre un insieme di informazioni forse più strutturato e funzionale alla prassi
del contenzioso di quanto fornisca il meccanismo delle Guidelines inglesi. Le diverse
Schmerzensgeldtabellen (le raccolte di giurisprudenza sul danno alla persona su cui per una prima
descrizione cfr. il contributo di S. Wuensch) offrono tavole sintetiche di “precedenti” liquidativi,
indicizzate in modo diversificato, basate sulla tipologia di menomazione permanente o sulla somma
finale liquidata, e corredate di note indicative che forniscono dettagli sul caso di specie nonché sulle
peculiarità argomentative della decisione.
Entrambi i modelli chiaramente si sono rivelati di successo e coerenti con i meccanismi valutativi
sviluppatisi nelle giurisprudenze nazionali, tanto da essere -di fatto ed in modo autorevole- il vero
punto di riferimento per la prassi operativa con l’avallo dei vertici giudiziari tedesco e inglese.
Indubbiamente il modello inglese si presta ad un’articolazione del sistema informativo delle decisioni precedenti essendo un’esperienza di judge made law. Tuttavia, è opportuno rilevare che solamente dal momento in cui la Court of Appeal ha operativamente avallato il sistema di liquidazione basato sul precedente (non vincolante) sul quantum si sono sviluppate soluzioni editoriali che in modo
incisivo e costante aggiornano la base informativa degli operatori. Allo stesso modo, l’esigenza di
“giocare ad armi pari”, per così dire, ha stimolato la creazione e la pubblicazione delle
Schmerzensgeldtabellen, che sono essenzialmente raccolte private, animate originariamente dallo spirito di semplificare il lavoro quotidiano degli operatori e contemporaneamente di fornire a tutti gli
attori analoghi strumenti informativi. Indubbiamente, infatti, l’esperienza di giocatori abituali sul
tavolo della liquidazione del danno come i liquidatori delle compagnie di assicurazioni e, così come
la quantità di informazioni a loro giustamente accessibili, realizza una disparità di strumenti ed un’asimmetria informativa che può squilibrare i rapporti in fase di valutazione del danno, specialmente
nelle ipotesi di maggiore gravità per le quali precedenti esperienze sono più difficilmente reperibili.
Come si è anticipato, il modello tabellare legislativo-giurisprudenziale si rivela insoddisfacente per
le c.d. macropermanenti. Queste sono statisticamente meno numerose rivelando l’insufficienza della
mera tipizzazione tabellare per procedere correttamente alla liquidazione ai sensi degli artt. 2056 e
169
G. Comandé
1226 c.c. Tale insufficienza è ovviabile con un miglioramento delle tabelle per le macro-menomazioni che più sfuggono da tipizzazioni sia perché statisticamente di numero minore sia perché la gravità della menomazione impone una descrizione che vada oltre nude percentuali e permetta al giudice
di avere un quadro più ricco per differenziare i precedenti dal caso sub iudice.
In questo senso, differenziare le tabelle di riferimento per le macro menomazioni arricchendo l’indicazione della percentuale di IP con una descrizione della menomazione e dei suoi effetti, potrebbe fornire uno strumento più accurato e “giusto”. A questo fine è orientato il presente studio sperimentale che ha avviato l’implementazione di un sistema di basi dati contenenti precedenti che vada
oltre la casistica edita in modo frammentario per fornire una base informativa condivisa da tutti gli
operatori. Ciò non significa rinunciare al modello tabellare indicativo che la giurisprudenza e la dottrina hanno elaborato nel corso degli anni e che il legislatore ha recepito4, quanto piuttosto arricchirlo con uno strumento nuovo capace di migliorare la prassi di tutti gli operatori perseguendo più
elevati livelli di giustizia per le vittime di danno alla persona: il Sistema Informativo per le
Macropermanenti.
5. Il SIM: strumenti nuovi e maggiore giustizia nella personalizzazione delle macropermanenti
Il quadro istituzionale per perseguire questo obiettivo è stato l’Osservatorio sul danno alla persona, costituito dalla Scuola Superiore Sant’Anna assieme all’ISVAP ed operante all’interno del
Laboratorio Interdisciplinare Diritti e Regole (www.lider-lab.org) della Scuola, per studiare le evoluzioni della legislazione e della giurisprudenza, nonché della dottrina e della prassi giuridica e medico legale sul danno alla persona. Nel corso del primo anno di operatività, si sono raccolte decisioni
e si è sviluppato il modello e la base dati in cui confluiscono le sentenze relative alla liquidazione del
danno alla persona per farne un unico database di precedenti accessibile a tutti gli operatori.
Quello allegato al presente volume e di seguito illustrato è un “campione” cartaceo in evoluzione
delle prospettive di documentazione (e quindi di illustrazione a fini di liquidazione del danno) per la
valutazione del danno alla salute in caso di lesioni altamente invalidanti.
6. La banca dati e le “tavole elettroniche delle macropermanenti”
La base di dati in appendice prende le mosse da un primo campione illustrativo di 54 sentenze
relative a lesioni macropermanenti superiori al 70% di invalidità ed archiviate nel SIM. Il testo delle
decisioni, è accessibile on-line in modo protetto sul sito che ospita l’Osservatorio(www.lider-lab.org),
assieme alle schede di analisi redatte con una doppia lettura da parte di giuristi e medici legali e alle
schede di ricerca informatizzate. Le schede di commento hanno evidenziano l’insufficienza del sistema tabellare, se non arricchito da questo strumento, rispetto alla necessità di pervenire ad un risarcimento del danno in grado di fronteggiare tutte le conseguenze dannose subite dalla vittima.
I dati principali della decisione sono stati schematizzati nelle tavole in appendice e possono essere ricercati nel SIM a testo libero ed ordinati secondo diversi criteri (ad esempio, per somma liquidata, per tipologia di lesione).
Questo database, la cui formazione ha già avuto inizio presso le strutture dell’Osservatorio, costituisce un mezzo di ricerca dal rilevante potenziale scientifico, in quanto permetterà di operare, attraverso indagini informatizzate, ricerche tese ad evidenziare la presenza o meno di orientamenti uniformi, sul territorio nazionale, in materia di risarcimento del danno alla persona e, con specifico riferimento alle macropermanenti offrirà indicazioni di dettaglio per la liquidazione del danno. Infatti,
il valore della base di dati non si esaurisce nei suoi risvolti scientifici poiché può essere uno straordinario strumento orientativo per chiunque deve apprezzare economicamente una macro menomazione (giudice, avvocato, assicuratore).
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La “nuova” valutazione delle macropermanenti: il Sistema Informativo per le Macropermanenti (SIM)
La flessibilità dei parametri di ricerca consente di superare tutti i limiti presenti in un sistema di
diffusione dei dati di tipo cartaceo, permettendo l’indagine all’interno del SIM secondo differenti
parametri di ricerca, quali ad esempio quantum risarcito, tipo di lesione riportata dal danneggiato,
tipologia ed età della vittima, etc.
Il SIM, che ad oggi contiene informazioni relative a più di 3800 sentenze – non solo relative a
lesioni macropermanenti che sono in numero assi più ridotto – di organi giudicanti distribuiti sul territorio nazionale, permette una ricerca sull’intera base dati collegando il risultato analitico con i testi
integrali delle decisioni, le schede di analisi dettagliata (per i casi di macropermanenti). La possibilità di operare ricerche a testo libero e con linguaggio naturale oltre che in campi specifici incrementa notevolmente le potenzialità euristiche e la flessibilità dello strumento elaborato.
Di recente, la base di dati ha cominciato ad arricchirsi anche grazie al contributo di magistrati ed
avvocati che hanno fornito le decisioni in loro possesso e grazie alla raccolta effettuata direttamente
da funzionari ISVAP permettendo la continua crescita dell’archivio a cui chiunque può contribuire
inviando le decisioni in suo possesso all’osservatorio ([email protected]) o contattando l’Osservatorio.
Infine, si sta procedendo a dotare il SIM di meccanismi di adeguamento automatico dei valori
attualizzando le liquidazioni ai valori corretti dall’inflazione.
7. Le tavole descrittive cartacee
Il risultato informatizzato – il SIM – è il meccanismo di diffusione e di condivisione delle informazioni più efficace e rapidamente aggiornabile, la versione semplificata cartacea di cui si allega un
campione, sempre perfettibile, rivela immediatamente la sue potenzialità nella pratica professionale
quotidiana.
Le tavole sono organizzate sia secondo una tassonomia per funzioni compromesse, in cui si può
agevolmente ritrovare la menomazione corrispondente a quella del caso di nostro interesse, sia per
somma liquidata, sia per percentuale di invalidità permanente accertata, sia secondo un’indicizzazione cronologica.
Ai fini pratici operativi, le esperienze della prassi inglese e tedesca indicano che i canali di ricerca
e di orientamento più apprezzati sono proprio quelli a) per lesione (nel nostro caso attraverso la funzione compromessa) e b) per ammontare liquidato. Per tali ragioni, assieme alle necessarie esigenze
di semplificazione e di funzionalità dello strumento si è deciso di pubblicare in cartaceo solo queste
indicizzazioni. Una volta individuato il\i precedenti di interesse si potrà scorrere la tavola ricercando gli elementi informativi necessari, come la descrizione della lesione e dei postumi, l’età e il sesso
della vittima, i dati relativi al fatto nonché i valori monetari e percentuali collegati al danno biologico e alle altre voci di danno. Le note aggiuntive segnalano eventuali peculiarità del caso sotto il profilo giuridico, medico-legale o semplicemente fattuale mettendo visivamente in evidenza tutti i dati
all’utente finale. Inoltre, considerato che talvolta le c.d. macropemanenti sono il risultato della combinazione di una molteplicità di lesioni individualmente non macro-invalidanti si è proceduto ad evidenziare questi casi.
Convinti che il risarcimento del danno alla persona in occasioni di menimazioni altamente invalidanti impongano ulteriori sviluppi nelle tecniche di liquidazione del danno per meglio servire esigenze di giustizia nel caso concreto e nella ripartizione delle risorse, riteniamo che la raccolta e la
pubblicazione di dati relativi alle macropermanenti possa essere uno strumento valido a tali fini e per
ridurre le asimmetrie informative.
171
TABELLA DELLE SENTENZE ORDINATE
SECONDO LA TASSONOMIA DELLE MACROMENOMAZIONI
TABELLA DELLE SENTENZE ORDINATE
PER IMPORTO DECRESCENTE DELLA LIQUIDAZIONE GLOBALE
LEGENDA
% Guida:
Percentuale di danno biologico, riportata da Bargagna M., Canale M., Consigliere F.,
Palmieri L., Umani-Ronchi G.: “Guida orientativa per la valutazione del danno biologico”.
Giuffrè, Milano, 2001
NA:
Numero di archivio
Liquidazione (€):
Liquidazione globale del danno, espressa in euro, valore attualizzato al gennaio 2005
Lesione:
Lesione(i) iniziale(i)
Postumi:
Esiti permanenti della lesione iniziale
Leso:
Sesso (M= maschio, F= femmina), età al momento del fatto, occupazione al momento del
fatto
Fatto:
Data e sommaria descrizione del fatto
DBIT:
Durata del periodo di invalidità biologica temporanea (o danno biologico temporaneo) espressa in giorni (se figura la somma di due numeri il primo si riferisce alla “temporanea totale”, il
secondo alla “temporanea parziale”). Nella colonna successiva è riportata la liquidazione del
danno biologico temporaneo, espressa in euro, valore attualizzato al gennaio 2005
DPIT:
Durata del periodo di incapacità lavorativa temporanea espressa in giorni (se figura la
somma di due numeri il primo si riferisce alla “temporanea totale”, il secondo alla “temporanea parziale”). Nella colonna successiva è riportata la liquidazione del periodo di incapacità lavorativa temporanea, espressa in euro, valore attualizzato al gennaio 2005
DB:
Percentuale di danno biologico permanente. Nella colonna successiva è riportata la liquidazione del danno biologico permanente, espressa in euro, valore attualizzato al gennaio
2005
DP:
Percentuale di incapacità lavorativa specifica. Nella colonna successiva è riportata la liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa specifica, espressa in euro, valore
attualizzato al gennaio 2005
Altri fattori rilevanti per la liquidazione: Eventuale motivazione della personalizzazione del danno
DM:
Motivazione per il non risarcimento del danno morale (quando riportata in sentenza). Nella
colonna successiva è riportata la liquidazione del danno morale, quando invece concessa,
espressa in euro, valore attualizzato al gennaio 2005
Danno ai congiunti: Motivazione del riconoscimento di un danno anche ai congiunti del leso. Nella colonna
successiva è riportata la liquidazione del danno ai congiunti, espressa in euro, valore attualizzato al gennaio 2005
Spese sostenute:
Liquidazione delle spese sostenute, espressa in euro, valore attualizzato al gennaio 2005
Spese future:
Motivazione del riconoscimento della necessità di spese future. Nella colonna successiva è
riportata la liquidazione delle spese future, espressa in euro, valore attualizzato al gennaio
2005
Metodo di liquidazione: VEP = metodo equitativo puro, 3PS = triplo della pensione sociale, CAP = calcolo a
punto senza riferimento a tabelle, TAB = calcolo a punto con esplicito riferimento a una
specifica tabella
Sentenza:
Estremi della sentenza
173
175
176
177
178
179
180
181
183
184
185
Finito di stampare nel mese di settembre 2005
in Pisa dalle
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
[email protected]
www.edizioniets.com
Il volume approfondisce le problematiche giuridiche, medico-legali, economiche ed
assicurative connesse alla valutazione delle c.d. menomazioni macropermanenti,
offrendo spunti alla comune riflessione sui danni alla persona ed uno strumento
pratico all’operare quotidiano di magistrati, avvocati, medici legali ed assicuratori per
la liquidazione del danno alla salute e anche del danno morale.
A tal fine, in appendice del volume, sono pubblicate le tavole sinottiche relative alla
raccolta di sentenze sulle macropermanenti, estratte dal Sistema Informativo per il
danno alla persona, che è in corso di allestimento nell’Osservatorio sul Danno alla
Persona e che viene aggiornato sul sito web del medesimo. Il lavoro è stato sviluppato
nell’ambito dell’Osservatorio sul Danno alla Persona (ODP) costituito dalla Scuola
Superiore Sant’Anna e dall’ISVAP nel 2004 ed operante all’interno del Laboratorio
Interdisciplinare Diritti e Regole (www.lider-lab.org).
ISBN: 88-467-1317-6
€ 15,00