quot capita, tot sententiae - Fear Saga

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quot capita, tot sententiae - Fear Saga
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FEA R
SECOND O EP ISOD IO
QU O T CA P I T A , T O T S E NT E NT I A E
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r oma nz o a d e pi so d i
sette ragazzi, quattro elementi,
un soffitto sconosciuto e un percorso
in bilico fra la vita e la morte
phot o by Sam T a y l or -W ood - A l l W r i g ht s r e se r v e d
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Certo! Avrei dovuto capirlo subito. Mi pareva strano che così tanta gente di razza caucasica parlasse così bene la mia lingua. E senza
alzare alcuna critica per il mio forte accento della zona di Uji. Questo Sam è davvero perspicace, ho visto giusto nel riconoscere subito
in lui puntualità e disillusa precisione. Con il lavoro che svolgo vedo
gente diversa tutto il giorno, ormai ho preso mano nel capire chi ho
di fronte a me e nel gestire le situazioni di panico come quella in cui
ci stiamo trovando ora.
Non nego che ad un primo approcio posso apparire fermo e glaciale, imperturbabile verso ciò che mi sta attorno, ma è solo una
corrazza forgiata da tutte le tragedie viste ogni volta che sono di turno. Da sempre troppe porte mi si sono chiuse in faccia, molte le occasioni perse, a partire dalle tre volte che ho provato a dare l’esame
d’ammissione a medicina. Tutte e tre scartato, solo perchè non ho
alcuna referenza e non sono di autorevoli natali. In Giappone funziona ancora così, il figlio di un cuoco specializzato in okonomiyaki
della provincia di Kyoto non ha molte possibilità di scalata sociale.
Basti pensare anche al fatto che ci sono solo due medici ogni mille
abitanti, contro una media OCSE di tre. E meno male che il sistema sanitario si chiama Kosei-sho, colui che ha cura delle persone.
Non c’è che dire, sulla carta sembra un buon modello da adottare,
soprattutto per assicurare una copertura universale di base a costi
ragionevoli, ma il problema si concentra nel progressivo deteriormento dei servizi.
Avevo anche accarezzato il sogno di iscrivermi all’estero, ma da
figlio unico la mia famiglia aveva sempre bisogno di una mano al
ristorante e per tutto ciò che ci gira attorno. Non siamo in una affollatata e modernissima Tokyo, dove tutto quello che ti serve è a
portata di mano, se non che automatizzato. Qui le vecchiette la mattina bagnano ancora la strada con il caratteristico secchio di legno.
Sfoggeremo pure uno fra i migliori templi di tutta la nazione ma ciò
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non toglie che ho dovuto declinare i miei sogni di gloria per portare avanti l’attività familiare. Questa concezione della vita molto
retrò mi aveva infatti tagliato ogni via di fuga. Solamente una volta
rimasto solo - i miei mi hanno avuto in età abbastanza avanzata mi sono lasciato pentole e vettoviglie alle spalle per rituffarmi nel
settore della sanità, come a risposta ad una chiamata che risuonava
in me da tempo. Non sarò medico, ma non me ne lamento. Il mio
desiderio di essere utile agli altri è stato comunque pienamente - e
forse anche meglio - assolto dalla professione di infermiere in servizio al pronto soccorso.
Una volta sul campo mi sono reso conto che forse è anche meglio
che starsene seduti a scaldare una poltrona visitando bambini con
la tosse o vecchiette con la cervicale infiammata. È sul campo che si
vede faccia a faccia la gente bisognosa, dita mozzate, incidenti mortali. Siamo sempre a stretto contatto con la morte, questione di un
ritardo ed il paziente è andato. Ogni tanto mi sento uno shinigami
che traghetta le anime direttamente all’obitorio. Per questo ho imparato a vivere la vita nel presente, lasciandomi scivolare addosso
ogni cosa, senza però mai scadere nel cinismo. Una crosta attorno
al cuore costruita da ferite provocate dalla troppo facile affezione a
certi pazienti che poi hanno fatto una brutta fine.
Sgobbo molto ma non me ne pento. Non sono uno che si loda, non
faccio questo lavoro per guadagnarmi la gratitudine del prossimo.
Lo faccio per me stesso. Ormai l’ospedale è diventato la mia seconda
famiglia, ci vediamo sempre con i colleghi. Bevute di saké e partite
di go fino a tarda notte nella guardiola, in attesa che arrivino le chiamate dei più bisognosi. Non sento nemmeno la necessità di trovar
moglie seppur sia già nei trenta. Credo di avere tutto quello di cui
ho bisogno. Per ora.
In questo momento però siamo di fronte ad una bella gatta da pelare. Mi sto stropicciando gli occhi per cercare di fare mente locale.
Sono in mezzo a sconosciuti, in un luogo imprecisato e tutti parliamo la stessa lingua. Qui ci vuole una spiegazione sensata.
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« Allora, cerchiamo di mantere la calma » rompo il ghiaccio appoggiando i palmi sul tavolino. Le ragazze sono ancora impietrite a
bocca aperta. Samuel è ancora appoggiato con la testa sul divano e
il volto fra le mani. Joseph non ha mosso un muscolo. Forse non ha
capito.
« Ognuno di noi parla nella sua lingua madre ma riusciamo comunque a capirci... » scandisco bene il mio pensiero cercando di
fare il punto della situazione.
« Ma che stai dicendo? » mi interrompe Norma, con un tono tremolante, lascia intravedere una certa isteria. « Io non capisco... State parlando tutti quanti il francese, no? Perchè questi scherzi, Koji?
».
Non curante della ricerca di conferme da parte della ragazza, Samuel scatta in piedi sull’attenti.
« Io questa cosa l’ho già vista, è come un pesce, che ti entra... e poi
si capisce tutto... » farfuglia toccandosi il lobo dell’orecchio destro.
« Come sarebbe come un pesce? » cerco di comprendere.
« Sì è in Guida Galattica per autostoppisti, c’erano prima i romanzi e poi il telefilm... »
« Io ho visto il film! C’era il robot col testone sempre triste! E i
delfini che cantavano! » interrompe Joseph.
« Sì, quello, quello! C’era questo Arthur Dent che girava l’universo e tutti capivano qualsiasi linguaggio perchè avevano il Babel
Fish, un pesciolino che veniva inserito nell’orecchio e fungeva tipo
da cuffia, traducendo istantaneamente nella propria lingua quello
che sentiva attorno a sè! » spiega tutto concitato, ruotando l’indice
dentro l’orecchio quasi a cercare qualcosa.
« Devono averci inserito qualcosa del genere mentre dormivamo!»
« Quindi io parlo in islandese ma voi mi capite come se stessi parlando in giapponese, francese o italiano...? » chiede per conferma
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Lilith.
« Incredibile! » esclama Joseph. Non so se abbia davvero capito
che l’oggetto della nostra discussione siamo proprio noi.
Samuel, quasi tarantolato, si agita tastandosi tutta la testa. Dietro
le orecchie, la gola, la fronte.
« Samuel, qui stiamo parlando di una storia di fantasia. Però la
tua idea può avere un fondo di verità... » ammetto, dopo averci ragionato un poco.
« Come sarebbe a dire un fondo di verità? Abbiamo dei pesci dentro la testa? Oddio, com’è possibile? Che schifo, che schifo, toglietemeli subito! » scatta Norma tutta rossa in faccia cercando di fare
qualcosa con le mani, ritrovandosi ad agitarle su e giù a testa bassa
senza concludere nulla. Ormai calma e quasi imperturbabile, come
se la sua crisi non fosse mai accaduta, Lilith le prende le spalle e la
fa sedere vicino a sè, accarezzandole a sua volta la schiena, come per
contagiarla con la sua calma ritrovata.
« Insomma. Lasciamo perdere i pesci traduttori, potrebbe essere che qualcuno ci abbia implantato qualcosa da qualche parte nel
corpo: una nuova tecnologia che funziona in spicciolo con lo stesso
principio. » Certo, anche la mia ipotesi rasenta la fantascienza, ma
vista la situazione in cui ci troviamo, tutto potrebbe essere spiegato
vedendoci nell’ottica di topi da laboratorio. Questo darebbe risposta anche all’assenza di vie d’uscita e alla varietà socio-geografica di
tutti noi.
« In me non c’è nulla che non va, forse un po’ troppo alto tasso
alcolico ma per il resto sto benissimo » ci aggiorna Joseph sulle proprie condizioni.
« Kojiro, tu non sei un medico? Controllami un po’ se ho qualcosa
di strano, se c’è qualche cicatrice nascosta o qualcosa del genere.
Mi sembra di essere dentro Fringe! » mi prega Samuel alzandosi la
maglietta.
« Infermiere... » puntualizzo. Ormai mi hanno preso come il dottore del gruppo. Tanto che differenza fa che io sia un semplice infermiere? Non posso operare ma per le prestazioni che si richiedono
in situazioni come questa ho tutta la conoscenza necessaria. C’è chi
afferma che noi operatori sanitari abbiamo un vizio di onnipotenza, per il fatto che i medici sono quelli che prescrivono, ma quelli
che curano e seguono da vicino i pazienti siamo noi. Mi è capitato
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più volte di fare di testa mia con la somministrazione di cure. Non
sopporto i dottori che, quasi sentendosi al supermercato, con una
sola occhiata danno una sentenza dozzinale, senza stare a sentire le
singolari condizioni del paziente.
« Beh, potrei darci un occhio... »
Mi tolgo il grembiule da cucina che mi ha fatto indossare per gioco Norma e mi rimbocco le maniche per analizzare la schiena e le
gambe di Sam, i punti in cui ancora non è riuscito a controllarsi
da solo. Quasi come una scimmia, Joseph imita i nostri movimenti
dando uno sguardo dietro i gomiti e sul petto. Con la maglietta tirata su indurisce gli addominali e strizza l’occhio a Norma. Lei lo
guarda noncurante, alternando l’attenzione con noi, nell’attesa di
sapere se avessimo trovato qualcosa.
« Oh, Cristo! E quello cos’è? » scoppia lei in un urletto.
Con un dito indica il mio ventre, scoperto nell’essermi accucciato
in avanti nell’esaminare Sam. Allarmato mi alzo la maglietta per
riuscire a guardare bene. Una cicatrice.
« Norma, questa è l’appendicite... Le ferite da implanto sono molto più superficiali e non distinguibili » le rispondo con un sospiro, seccato dalla incomprensibile stupidità che a volte non riesce a
contenere. È tutta la mattina che non fa altro che parlare, parlare e
parlare. Una di quelle persone che sono graziose e gradevoli appena
conosciute, ma dopo una mezz’ora iniziano già ad essere pesanti.
Non appena ho visto Joe e Sam ho tirato quasi un sospiro di sollievo, sicuro del fatto che sarebbe andata ad inondare di parole anche
loro per un poco. Come si suol dire, mal comune mezzo gaudio.
Continuo a controllare la cute chiara e morbida di Samuel, ma
non trovo nulla, oltre a qualche neo o brufoletto sporadico. Niente
di particolarmente simile ad una puntura d’insetto ancora fresca.
« Fin qui tutto normale. Credo che nelle parti intime potresti sondarti anche da solo, no? » Appena detto questo il ragazzo inizia a
guardarsi dentro ai pantaloni voltandoci le spalle. Sembra un monello di provincia intento in chissà quale tramaccio. È così in paranoia per questa storia: io stesso inizio a tastarmi sotto le ascelle,
contagiato dal pensiero di un possibile installazione.
« E se invece... » prende timidamente parola Lilith « Se invece
non fosse una componente interna ma esterna? Insomma, se questa capacità che crediamo ci provenga da qualcosa introdotto nel
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nostro corpo non sia invece una potenzialità del luogo in cui ci troviamo? »
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Nella foga del momento, l’uscita della calma Lilith ha attirato la
mia attenzione come un fulmine a ciel sereno. Se fosse davvero tutto
dovuto dal luogo in cui ci troviamo vorrebbe dire che i dispositivi
che stiamo cercando sotto forma di impianti sono in realtà all’esterno del nostro corpo. Specie di ripetitori che irradiano un segnale
personale per ognuno di noi. Comincio a guardarmi intorno, con
più sospetto di prima, come ingoiato in un vortice di insofferente
diffidenza.
« Credi che sia la casa a farci capire quello che diciamo? » chiede
Samuel rivestendosi in modo impacciato.
« Non tanto questo edificio, quanto il posto, la nostra condizione... Se fossimo davvero in un limbo extracorporeo allora non ci
sarebbero più distinzioni di lingua o incomprensioni, ma vivremmo
tutti in sintonia come lo siamo ora » esplica Lilith. La spiritualità di
quasta ragazza è forte. Ma rasenta il ridicolo. O forse siamo troppo
piccoli ed imperfetti noi umani da non renderci conto che quello che
dice è la verità.
« Oddio! Come una specie di casa infestata e noi siamo i fantasmi.
Siamo anche vestite di bianco. Mio Dio, se ci vedono prenderebbero
uno spavento! Uah! » ironizza Norma.
« Mi pare di essere su Lost, dove l’isola curava tutte le malattie!
Qui invece si parla la stessa lingua » chiosa Sam con i suoi riferimenti continui ai racconti fantastici. D’improvviso mi sento un po’
soffocare. Mi sento compresso in un posto estraneo. Rinchiuso come
una cavia in una scatola da scarpe.
« È tempo di risposte » sospiro. Inizio a girare per il salone. Al
mio movimento Joe si alza ed inizia anche lui a gironzolare intorno.
Sam discute con le ragazze delle strampalate idee delle potenzialità
curative o benefiche della zona in cui ci troviamo.
« E se fosse un posto esoterico come quel film della strega dove la
tipa piange sulla telecamera? » controbatte la biondina.
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Norma si gira verso Samuel « Prima hai parlato di Babel Fish,
vero? »
« Sì, il Babel Fish, il pesce dell’orecchio! »
« Non credi prenda il nome proprio dalla torre di Babele? Nel
libro della Genesi gli uomini emigrarono nel paese di Sennaar e costruirono questa torre enorme con l’intento di ricongiungersi al Signore. Una grandissima zigurat che passò alla storia come simbolo
che tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. »
« Ma certo, la torre di Babele! » concorda Samuel.
« Però il piano di Dio era che i suoi figli abitassero e popolassero
la terra e così per dividerli fece in modo di creare scompiglio affinchè non parlassero più la stessa lingua e non potessero completare
la costruzione in atto » continua ad indottrinare gli altri Lily. Di certo la sua conoscenza dell’esoterismo religioso è vastissima « Questa
casa potrebbe essere costruita sulle macerie di quell’edificio... »
« Oppure ancora potremmo essere stati catapultati nel passato
prima che il Signore distrugga la torre ed ora ci siamo dentro! Per
questo ci capiamo! » ipotizza Norma.
Io continuo a guardarmi attorno, senza più quel ritegno con cui ho
sondato il terreno fino ad ora. Credo non abbia più senso rimanere
sul chi va là. Però non riesco a trovare alcuna traccia di telecamere o
cimici. Seguo con la mano le imposte delle finestre. Controllo sotto
la possente tavolata in mogano. Alzo una sedia a testa in giù e stacco
i tappini di feltro. Cerco qualche anfratto negli spigoli della cucina
componibile.
Niente.
Continuo a scartabellare in giro, mi faccio prendere un po’ la
mano, mantenendo comunque una facciata di calma. Pur apparendo nuovo qui tutto è così perfettamente vissuto. Non riesco a spiegare bene la strana sensazione che si crea in me. È come se questo
posto fosse già stato abitato seppur tutto il mobilio sia intonso ed
immacolato. Sembra quasi che la polvere sia stata accuratamente
collocata volutamente sugli angoli del piano cottura, ma ciò non toglie l’aria non verginale che si respira, da casa dolce casa. E forse
è questa tremenda sensazione di famigliarità ad incutere in me un
sempre più pulsante timore. La consapevolezza che già troppe cose
non stiano andando nel verso giusto ed ancora non si riesce a capirne il perchè.
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D’un tratto un fastidiosissimo scroscio fa trasalire me e i ragazzi che stavano amabilmente tenendo salotto sul divano. Mi giro di
scatto e vedo la televisione accesa con i pallini bianchi e neri ad effetto neve, fonte del ronzio.
« Ops! » esclama Joseph, perso a cincischiare con le apparecchiature elettroniche.
« Joe, mi hai fatto prendere un infarto! Ma funziona la televisione? Prova a cambiare canale dai che magari fanno qualcosa di rilassante! » Ogni tanto non capisco davvero cosa passi per la testa di
Norma, prima tutta preoccupata, poi vuole mettersi a guardare la
televisione. Saranno le occidentali. Joseph schiaccia tutti i bottoni
presenti sullo schermo ma in ogni canale c’è assenza di segnale e ciò
fa sbuffare la ragazzina. Isolati fino all’ultimo. Di colpo però mi ricordo di non aver più cercato la porta d’entrata. Esco con un guizzo
dall’angolo cottura e attraverso tutto il soggiorno con passo sicuro
e molta nonchalance. Mi dirigo verso quello che credevo fosse l’ingresso. Si apre una stanzetta di fronte a me, arredata come un tipico
ingresso di casa, c’è persino un appendiabiti appeso al muro. Ma di
porte nemmeno l’ombra.
Quindi, finestre sbarrate. Porta inesistente. Come abbiamo fatto
ad entrare qui dentro?
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« Non è che qualcuno ci abbia messo qui dentro per preservarci
da qualcosa piuttosto che di metterci in pericolo? » sintetizza il pensiero il ragazzo.
« Ciò non spiegherebbe la questione delle lingue... » faccio con
fare distratto. « Ragazze, non credete che sia meglio andare a cercare degli abiti anche per voi e poi mettere qualcosa sotto i denti?
Mi sa che nel migliore dei casi la dispensa così piena è sinonimo del
fatto che rimarremo qui per un bel po’. »
Norma si alza in piedi come una bambina pronta ad andare a giocare.
« Hai ragione! Vieni Lily! » porge la mano alla nuova amichetta.
« Andiamo a fare un po’ di shopping, ce lo meritiamo dopo che
questi baldi giovani qui hanno osservato per tutto questo tempo le
nostre beltà non credi? » Con un sorriso sincero fissa la moretta
aspettando che le prendesse la mano e la accompagnasse al piano
superiore come due compagne di classe.
« Non credete sia meglio non dividerci? » puntualizza Samuel.
Ancora non si trova neanche lui a suo agio in questo posto. Come
potergli dare torto.
« Sì, hai ragione tu. Dovremmo restare uniti » concordo. « Andiamo anche noi Joseph! » Il ragazzone sbuffa, non è stato capace
di accendere il videogioco. Ancora una volta la tecnologia l’ha avuta
vinta su di lui.
Devo calmarmi. Non sono mai stato un tipo sanguigno. Sono impulsivo, ma penso sempre prima di agire. La propria libertà finisce
dove inizia quella degli altri. È questo il mio monito morale. Ma in
questo momento non saprei proprio cosa pensare. Devo dire agli
altri che siamo in una casa senza porta di ingresso - e quindi senza
via d’uscita - o devo cercare di evitare altro panico, soprattutto per
le due ragazze già alquanto provate dalla situazione? Ho la fronte
imperlata di sudore e le mani aperte di fronte a me. Mi sento totalmente inerme dentro un meccanismo a me oscuro ed incomprensibile. I palmi si chiudono in due pugni. Questa cosa per ora me la
tengo per me.
Torno con noncuranza fra gli altri. Joseph sta cercando di collegare i fili del Nintendo mentre il trittico di giovanotti sta ancora
parlando allegramente.
« ...come se la casa ci volesse proteggere a mò di grembo materno.
Forse non siamo in pericolo, ma ci stanno proteggendo da qualcosa. » Le parole di Lilith mi sembrano come un soffio di vento che
non mi sfiora neanche di striscio. Sono perso nella vuotezza dei miei
pensieri. Sono sempre stato un lupo solitario nelle mie decisioni.
Quasi voglia prendermi carico personalmente delle scelte che mi
concernano senza che queste debbano pesare in alcun modo sugli
altri. Ogni tanto mi sento l’inserviente del teatro che apre il sipario
per disvelare la messa in scena, rimanendo dietro le quinte senza
farsi vedere. Un tipo a cui nessuno presta attenzione ma fondamentale per quel che è adibito a fare per l’economia generale del gruppo.
Ed ancora una volta ho scelto di tenere per me questa scoperta per
non disseminare panico inutile.
« Non credi anche tu Kojiro? » mi distacca dai miei futili pensieri
Samuel.
« Scusate, mi ero un attimo assopito » dico distrattamente massaggiandomi il collo come fosse incriccato.
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Joseph si avvicina alla soglia della camera e attende senza guardare
all’interno. Si guarda attorno con le mani in tasca ed uno sguardo
leggermente imbronciato. Nel frattempo, Samuel si avvicina a me
con una faccia un po’ enigmatica.
« Mi pare un gruppo affiatato no? Per lo meno la loro spensieratezza rende la tensione un po’ più sopportabile, non credi? » mi
bisbiglia il ragazzo, raggiungendo poi l’amico sull’uscio. Certo. Ha
ragione. Il gruppo sino ad ora è ben amalgamato e fin troppo spensierato. Forse ho fatto bene a tenere per me la scoperta dell’assenza
di alcun ingresso e credo che lui sia l’unico ad essersi accorto dei vetri infrangibili e delle finestre fasulle. Confrontandolo col problema
linguistico tutto ciò non è nulla, ma non si deve sottovalutare la sensazione di claustrofobia che potrebbe scaturire una tale notizia. Nel
frattempo dall’interno della stanza si sente ridacchiare le ragazze.
« Dai, ti sta benissimo! Guardati! Un po’ sembri una campagnola
delle Fiandre, ma sei davvero graziosa! Ha ha! » mormora Norma
emettendo dei gridolini striduli un po’ fastidiosi. « Fate tutti attenzione...! » La porta socchiusa si apre e dall’interno con un guizzo
spunta Lilith con un grande sorriso, contagiata dall’amica.
« Tadaan! » Ha le braccia in alto come per dire ammiratemi, e fa
una piroetta, avvolta nel suo nuovo abito. Dei jeans corti molto maschili e una maglietta attillata verde. Proprio come aveva predetto
Norma poco fa. Forse è questo il suo modo di inquadrare le persone.
La freschezza della spontaneità della ragazza bruna, con una bellezza angelica e pulita, non passa davvero inosservata. Io e Samuel ci
improvvisiamo in un applauso di assenso. Lei sorride coprendosi la
bocca con una mano, in preda ad un pizzico di imbarazzo. Da dietro
spunta Norma con un atteggiamento da vera vamp, ancora avvolta
nel suo schiumoso accappatoio.
« Guardate un po’ cos’ho trovato?! » I suoi indici rizzati sostengono una micro mutandina a mò di tanga, color glicine, con ampi pizzi
all’incontro dei fili. Un accessorio del genere lo si potrebbe trovare
solo nei migliori e più raffinati sexy shop. Una cosa è certa: il precedente inquilino di quella stanza era ancora una volta maschio e
quello è uno dei suoi trofei di caccia. Ciononostante Joseph lo fissa
con uno sguardo attonito non sapendo nemmeno lui a cosa pensare.
« Ora dovete aiutarmi a trovare un abito degno di questo comple-
Al piano superiore tutto è come appariva stamane. Non si muove
una foglia. Questo silenzio tombale non è per nulla rassicurante.
Solitamente negli edifici ci sono sempre dei minimi rumori di fondo, tubature, scricchiolii o sferragliamenti proveniente dall’esterno. Questo posto invece sembra un eremo, solitario e silente. Come
quando alle terme pubbliche ci si immerge con la testa e ci si ritrova
in un posto ovattato dove non risuona nulla. Salvo ovviamente per
le risatine di Norma e il passo pesante di Joseph.
« I vestiti noi li abbiamo trovati nelle camera dell’altra ala » rivela
Joseph.
« Credo che Samuel abbia preso i suoi dalla stanza in cui mi sono
ritrovato io. Erano nella cabina armadio dove ho trovato i miei. »
sottolineo io.
« Magari da questa parte potreste trovare degli abiti femminili »
azzarda Samuel. « Prima mi pare d’aver visto il simbolo della donnina sulla porta dei bagni di questo corridoio. »
« Sì, infatti, io mi sono risvegliata nell’ultima stanza! Perfetto, andiamo a controllare subito! Speriamo di trovare una minigonna con
una maglia accesa, mi sento sgargiante e voglio trasudare positività!
Tu invece Lily sei più un tipo da jeans e t-shirt, vero? Non so perchè
ma ti vedo a tuo agio in assetto sportivo. Sbaglio? » ricomincia il
Norma pensiero, sgambettando un po’ intimorita sul corridoio in
legno. Non capisco se Lilith, ancora avvolta nel lenzuolo bianco, le
dia corda solo per solidarietà femminile o se davvero non le fa nulla
la miriade di parole che riesce ad emettere la biondina.
« Questa è la stanza dove mi sono ritrovata io » ci informa Lilith,
appropinquandosi alla prima porta sulla destra. « Come avrete visto
ero totalmente sconvolta, non ho nemmeno pensato di controllare
l’armadio. »
Le due ragazze entrano con decisione e si mettono a rovistare fra
dei capi appesi anche qui in un’angusto anfratto scavato nel muro.
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tino per la reginetta della casa! » Con un altro risolino smaliziato
conduce la processione verso la prossima stanza. Assomigliamo un
comitato di cinesi in visita ad un museo. E non dovrei essere proprio io a dirlo...
« Cosa si celerà dietro la porta B? » recita la biondina come un
ottima valletta da telequiz, avvicinandosi all’uscio chiuso della seconda stanza.
« Cosa? Cosa? » le fa da coro Joseph.
Inaspettatamente la porta si apre di colpo dall’interno. Dietro di
essa si manifesta un ragazzo, anche lui con l’ormai classico lenzuolo in vita, come istintivamente me lo sono messo io alzandomi da
quel letto sconosciuto. Norma molla un urlo assordande, impaurita dall’impatto. Lo sconosciuto inarca le sopraciglia per lo stupore,
quasi più sconvolto di lei. Repentinamente Joseph si fionda verso di
lei e, caricando tutta la sua forza fisica nell’avanbraccio, lancia un
pugno in pieno volto al povero malcapitato.
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Un fiotto di sangue scende dalla narice sinistra di quel ragazzo
dall’aria vagamente mediterranea. Capelli scuri ed una spruzzata di
barbetta incolta sul mento e ai lati delle mascelle. Tonico di corporatura, si vede ad occhio nudo che frequenta qualche palestra o fa
un lavoro che richiede movimento fisico. Delle rughette d’espressione gli scavano la fronte e gli zigomi, deve essere anche lui come me
sulla trentina. L’espressione è corrucciata, propria da uno che ha
appena ricevuto un diretto sul naso.
« Cazzo, ma sei rincoglionito?! » esordisce lui, tamponandosi la
parte dolente per poi osservarsi la macchia rossa sulle dita. Joseph
lo guarda con l’espressione da sono stato io a fare questo? mentre
Norma si ritrova attanagliata a lui, come una bimba viziata stringe
il papà alla presenza di uno sconosciuto. Con uno scatto, l’offeso
carica a sua volta un cazzotto, che riesco a bloccare al volo, stringendogli con tutta la mia forza gli ossicini del polso. Mantengo la presa
e scivolo sotto il mio stesso braccio, riuscendo a sfruttare il movimento per voltare il suo corpo. Si ritrova bloccato con l’arto piegato
dietro la schiena e l’altra mia mano sulla nuca. Non c’è nessuna conoscenza latente di alcuna arte marziale in me. Solo per il fatto che
ho gli occhi a mandorla non devo essere per forza un maestro ninja
o di arti marziali strane alla Bruce Lee. Semplici regole di difesa
personale utili con i pazienti più difficoltosi.
« Fratello, stai calmo. Siamo tutti nella stessa condizione » gli
mormoro all’orecchio scandendo le parole. « Stiamo calmi, non cerchiamo guai. »
« Ma quello stronzo mi ha rotto il naso! » controbatte lui.
« Calmati! Non l’ha fatto apposta. Non ci aspettavamo che qualcuno sbucasse da questa porta. È stato un riflesso incondizionato.
Va tutto bene. »
« Mollami subito! » controbatte lui. In effetti il sangue sgorga
ancora fluente, scendendo sulle sue labbra chiuse per non ingoiare
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quel denso liquido dal sapore ferroso che gli gocciola dal mento fin
sul drappo immacolato che lo cinge.
« Lascia che ci dia un’occhiata. » Lentamente allento la presa e lui
di scatto si riappropria della mobilità. Passata la furia iniziale, agita il braccio intorpidito dalla mia forte morsa e cerca di pulire alla
buona il sangue con l’avambraccio. Il resto della compagnia lo guarda come se fosse un pesce in un acquario, partecipando con delle
smorfie al suo dolore. Specialmente Joseph, che sembra sentirsi in
colpa per la reazione troppo avventata.
« Stai tranquillo, tamponando dovrebbe passare. C’era del cotone
emostatico nella valigetta. Quello giallo. Potresti andare a prenderlo? » mi rivolgo verso Samuel, che subito annuisce con la testa e
corre verso la scalinata. « Quanto a te tieni la testa sollevata all’indietro. »
« Cazzo, cazzo! Con te facciamo i conti! » punta il dito verso Joseph fissandolo con la coda dell’occhio, senza muovere il capo da me
sostenuto. « Che cazzo ci fate voi qui? Chi siete? Che volete da me?
»
« Siamo sulla stessa barca, fratello, te l’ho detto! Ci siamo risvegliati qui stamattina prorio come te. » La frattura al naso deve essere più grossa di quanto mi aspettassi perchè anche con la federa del
cuscino presa come tampone momentaneo il sangue non sembra
fermarsi. Joseph ha proprio dato il meglio di sè in quel colpo.
« Scusaci tanto sai... Non volevo impaurirmi, è che mi hai fatto
prendere uno spavento incredibile! Io sono Norma, piacere. Stavamo cercando... A proposito, sai se qui ci sono vestiti femmili? »
« Ma che cazzo sta dicendo quella? » bofonchiando puntandomi
addosso gli occhi di un colore verde acqua.
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Spiegato sommariamente al nuovo malcapitato la situazione glissando momentaneamente anche in questo caso sulla mancanza
di vie d’uscita - veniamo a conoscenza del fatto che si chiama Patrick e, a dispetto delle apparenze, è irlandese doc. A quanto pare
ha proprio un carattere difficile, a prima vista giustificato dal non
dolce benvenuto che gli abbiamo involontariamente riservato. Samuel arriva con il cotone richiesto. Asciugate le narici gli inserisco
il composto nel setto nasale che ha cominciato ad assumere un colore violaceo per il versamento. L’azione gli provoca una digrignata
di denti per il dolore al solo contatto fisico, il che cozza un po’ con
l’aria da duro che trasuda. Norma sta continuando con la sua ricerca
dell’abito perfetto, scortata da Joseph dopo il brutto incontro di cui
è appena rimasta vittima. Lilith ha invece raccattato dalle stanze
precedentemente setacciate una canottiera grigia, delle mutande
rosse e un paio di pantaloni larghi da lavoro per il nuovo arrivato,
anche se sembra ancora diffidente e scontroso.
« Avete già pensato a qualsivoglia alternativa su cosa ci sta succedendo, immagino » ci domanda con una voce nasale mentre si veste
rivolto verso la parete.
« Più o meno. Abbiamo avanzato alcune ipotesi, certe anche sconclusionate, ma non siamo ancora venuti a capo di nulla » spiega
Samuel mentre io rimetto apposto la cassetta del pronto soccorso.
« Ritrovarsi nudi in un posto dove non si è mai stati prima. Scoprire che si parla tutti la stessa lingua. Mi pare una buffonata, di
quelle storie da film, non le ho mai sopportate. »
« Con la sola differenza che questa è la realtà » chiosa Lilith.
« Bellina, non so come tu faccia a stare così calma. Qui se mi gira
spacco tutto e vediamo poi se non mi fanno uscire da tutta questa
stronzata! »
« E se è proprio questo quello che vogliono? Metterci uno contro
l’altro in un gioco sadico ed assassino? » controbatte Samuel cer-
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cando di calmare l’adirato Patrick che ha cominciato a gironzolare
per la stanza studiando il terreno, a mò di appaltatore. Apre i due
cassetti del comodino in compensato scuro per controllarne il contenuto. Cerca di forzare la manopola della finesra per vedere cosa
cela dietro ma è anche questa volta bloccata.
« Non me ne frega un cazzo di ciò che vogliono o non vogliono
quelli che ci hanno ficcato qui dentro. Portatemeli qui che gli sfascio
la testa » continua a protestare Patrick. Di colpo prende la sedia
dall’angolo della stanza e la scaraventa per terra tenendola ben salda per una gamba. Facendo contrappeso con il piede, con un colpo
sordo riesce a staccarla dal resto del blocco e, come fosse una mazza
da baseball, inizia a picchiare forte sui vetri della finestra. Lilith fa
un espressione impaurita mista a stupore. Io lo lascio sfogare senza
intromettermi. Dopo due colpi secchi si frantumano verso l’esterno,
creando un buco seghettato. Al di là, ancora neon con illuminazione
a giorno.
« Lo sapevo, siamo in trappola. Non mi piace un cazzo questa situazione » palesa ancora iracondo.
« Patrick, non farti prendere la mano » cerco di calmarlo mentre
si sta dirigendo verso il corridoio. Si gira verso di me, con il bastone
ancora in mano.
« Non provare a dirmi quello che devo fare! » specifica con voce
bassa e roca. Di fronte alla mia imperturbabilità abbassa lo sguardo,
quasi pentito dello scatto d’ira gratuito appena avuto. « Voglio solo
andarmene da qui. Fatemi trovare un modo. »
Guardingo lascia la stanza per andare a controllare in giro. Lilith
si alza dal letto e incredula si avvicina al foro sul vetro, iniziando a
capacitarsi del fatto che siamo veramente in trappola. Io e Samuel,
ancora seduto sul letto con le gambe incrociate, ci scambiamo uno
sguardo seguito da un suo sospiro. Stanno per comiciare i guai.
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Abbiamo raggiunto i due esploratori, nell’ultima stanza sulla destra, dove ci appare Joseph con una montagna di panni tra le braccia, come l’impiegato di un negozio di moda che segue la cliente in
preda ad uno shopping frenetico.
« Che carino questo! C’è un panda disegnato sopra, mi piacciono
i panda, sono molto kawaii. » Mi scende un brivido quando sento
dei termini giapponesi utilizzati per definire una moda passeggera
universale, come manga, otaku o harajuku. « Questi invece potrebbero andare bene a Lilith, sono di un colore che le si sposa bene con
gli occhi. E questo? Mamma mia, qui proprio non ci siamo! Sembra
da mercatino dell’usato, troppo stile hippie. Ragazzi ma ci siete anche voi? » Finalmente interrompe la sua cernita accorgendosi della
nostra presenza. Con la testina bionda spunta all’indietro dall’anta
dell’armadio.
« Ehi! Stavamo prendendo un po’ di ricambi per tutti, siamo in
una condizione critica, ma mai cedere alla tentazione di cambiarsi
la maglia quando iniziano a spuntare i primi aloni di sudore! C’è un
sacco di roba qui. Guardate, vi piace? » dice sfoggiando il suo nuovo
abito, un vestito intero, che a degli occhi non abituati agli ultimi
trend come i miei sembra una lunga maglietta di seta rosa dal collo
largo, con una fantasia astratta sul davanti, chiusa da una alta cintura nera. « Fa molto anni ‘80 ma ormai sono tornati di moda. È il
meglio che sono riuscita a trovare. Qui però c’è pure una maglia bellissima con il tipico sole rosso della bandiera giapponese e la scritta
Japan in oro. Roba tua Koji! »
« Patrick è un po’ su di giri, sta al piano di sotto a vedere la casa.
» aggiorno i due.
« Ma che ha quello? Che si calmi un po’. Io gli ho chiesto scusa,
ma è colpa sua, poteva anche non spaventarci... Come la fa lunga »
esprime il Norma-pensiero.
« Diamogli tempo per orientarsi, dopotutto anche io ho avuto un
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mancamento all’inizio. Ognuno reagisce in modo personale in situazioni come questa » fa notare Lilith all’amica.
« Sì, ma a me quello non piace. Poi dice di essere irlandese? Avete
mai visto degli irlandesi senza capelli rossi e pelle lattea? Quello è
un trafficante portoricano ve lo dico io! »
« Magari la madre è del sud » azzarda Samuel.
« Sarà... Fatto sta che potrebbe essere un po’ più simpatico! » dice
spensieratamente mettendo l’ultimo abito della sua personale selezione fra le braccia del suo facchino personale. « Che ne dite se
andiamo a mettere qualcosa sotto i denti? Che ora sarà? L’una? Ho
un certo languorino. »
« Direi che è un’ottima idea » sottolinea Joseph, mai in disaccordo con lei.
Mi sento come se stessi tra due fuochi: da una parte la totale spensieratezza di Norma, da bambina viziata, crede che tutto si risolverà
in una bolla di sapone. Dall’altra la seria foga rabbiosa di Patrick,
quello che fino ad ora l’ha presa più di petto di tutti. Nel mezzo molte sfumature di grigio, di cui io mi sento quella più centrale. Riesco
a mantenere la calma pur essendo intimorito da quello che mi sta
accadendo intorno. Impaurito sostanzialmente dal fatto che ignoriamo qualsiasi cosa, non abbiamo nessuna risposta alle nostre domande, solo mere ipotesi.
Attraversiamo ancora una volta il corridoio capitanati in prima
fila da Norma che nel suo nuovo vestitino dalle ampie maniche si
sente il centro nevralgico del gruppo. La silenziosa Lilith sembra
aver fatto amicizia con Samuel, o per lo meno credo che abbia trovato in lui una sicurezza. Cosa che d’altronde ho notato anche io appena l’ho visto. Sembra un ragazzo con la testa sulle spalle. Un po’
sognatore, forse, ma comunque di buon cuore ed affidabile. E forse
ha intuito a sua volta il momentaneo bisogno di stabilità espresso
da Lilith, che, al di là della crisi iniziale e del fatto che ancora tutti
ci stiamo un po’ annusando, sembra una persona sì fragile e sensibile, ma nello stesso tempo decisa ed alla mano. Cosa che ci tornerà
molto utile una volta che dovremo rimettere in tavola le nostre opinioni, specialmente ora che è inaspettatamente arrivato come una
meteora impazzita Patrick.
Norma arresta di colpo la processione ormai quasi arrivata all’inizio delle scale, quasi impietrita.
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« E quello chi è? » sussurra a bassa voce, voltandosi verso di noi.
Avanziamo di un passo così da scovare a che cosa si stia riferendo
la biondina. Da dietro l’angolo, vediamo sdraiata sul divano una figura maschile di schiena.
« Avete visto che questa volta non ho urlato? Sono stata brava?! »
bisbiglia smorfiosamente Norma.
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a riassumere la stessa posizione, questa volta girato verso di noi.
« Ah! Ma quello è un pene! » ridacchia Norma coprendosi gli occhi con la mano, col fare da finta vergognosa.
« Eh già, è proprio un bel maschietto! » critica Joseph divertito,
con le braccia conserte, come i neo papà che fissano la vetrina della
nursery ospedaliera alla ricerca del sangue del proprio sangue.
Per il mormorio intorno a sè il ragazzo finalmente apre le palpebre. Alla visione del nostro gruppo, alza leggermente la testa per
stropicciarsi gli occhi con il pollice e l’indice destro. Ci fissa di nuovo.
« Ehi ciao! Voi chi siete? » esordisce con genuina curiosità.
« Come noi chi siamo? Chi sei tu? » controbatte Samuel.
« Io mi chiamo Julian! Mi stavate spiando per caso? » dice facendo nascere un sorriso da bambino ancora assonnato. Con una spinta
si mette a sedere. Il suo corpo è effettivamente magrissimo, la pelle
della fronte segue le curve del cranio. Sarebbe il compagno di corso
ideale con cui studiare per l’esame di anatomia. Ciò non toglie che
rimane un bel ragazzo, occhi azzurri e capello castano corto, tutto
spettinato. E lo sguardo però cade in zone...
« Ma non ti sei accorto che sei tutto nudo? Hai il coso di fuori! »
mi ha letto nel pensiero Norma.
Julian con molta noncuranza abbassa la testa per osservarsi il
sesso, per poi rialzarla e sfoggiare di nuovo il sorriso da monello.
« Beh, vi crea qualche problema? »
Alla risposta Joseph scaraventa la montagna di vestiti su di lui,
silente invito per spingere il ragazzetto a vestirsi. Dopo la furia implacabile c’è capitato l’esibizionista, oserei dire.
Ecco la prova tangibile che la nostra entrata in scena in questo
posto dimenticato da Dio è letteralmente un apparizione. Non più
di un’ora fa siamo passati tutti quanti per di qua andando a cercare
gli abiti per le ragazze. In più dubito che Patrick, se si fosse accorto
mentre scendeva di un ragazzo nudo dormiente sulla sua strada, non
avesse fatto qualcosa per svegliarlo. Anche il semplice prenderlo a
mazzate. Quindi si è di certo materializzato dal nulla, a meno che
le pareti non siano a scomparsa, celanti qualche passaggio segreto.
Provo a tastare un po’ in giro ma sembra normalissimo intonaco
spalmato sopra a dei mattoni: nessun suono di compensato vuoto e
nulla si scosta di un millimetro.
Nel frattempo i ragazzi fissano accucciati la lunga figura magrolina tutta rannicchiata sull’ampio divano in pelle, in posizione semifetale.
« Sembra come l’inizio di Terminator! E se venisse dal futuro? »
ipotizza Samuel.
« Cavolo è magrissimo. Ma mangia? » commenta Norma indicando le linee delle costole, ben visibili ma di certo non siamo di fronte
ad un rachitico. « Credete che sia il caso di svegliarlo? »
« Beh, certo che sì. Però dategli aria, se gli gira pure a lui come
all’altro pazzo siamo a posto » bofonchia Joseph.
« Mi pare che il primo ad alzare le mani sia stato tu Joe » sottolinea Lilith.
« Ma Norma urlava... »
« Va bene, va bene. Fatevi indietro » ordina Samuel. Con mano
leggermente tremolante si avvicina alla spalla del nuovo malcapitato. Allungando il dito indice gli punzecchia la spalla. Nulla. Continua nel suo respiro profondo che gli gonfia e svuota il petto. Samuel
ci riprova, questa volta dandogli una bella scrollata. « Ehi! Sveglia!
» sussurra all’orecchio.
Ancora tra le braccia di Morfeo si struscia nei cuscini sfondati fino
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lette? »
« Qui dietro c’è il bagno delle ragazze. Ma prima Samuel diceva
che il corridoio è fatto a U, quindi giri due volte a sinistra e trovi
quello degli uomini... » indica Norma.
« Se vi prometto che la faccio seduto posso andare nel vostro? »
« Poi lavati le mani, però... » gli fa eco lei mentre si allontana. Poi,
sottovoce, voltandosi verso Lilith « Che carinooo! È tutto coccolone,
come Samuel... »
« Dici? Mi pare un po’ ardito come ragazzetto, quanti anni avrà?
Diciannove? » controbatte la compagna di gossip.
« Mah, secondo me è almeno ventuno, dai! Mi piace la compagnia che si è formata, apparte chiaramente il burbero di prima. Chi
si crede di essere? Siamo entrati prima noi di lui qui dentro: invece di andarsene in giro a tirare insulti avrebbe dovuto chiedere
almeno permesso. Io certa gente proprio non la capisco, davvero...
» Il resto delle loro parole che mi giunge all’orecchio è riassumibile
in un chiacchiericcio che non attrae la mia attenzione. Chissà cosa
staranno facendo di sotto. Appena si libera Julian voglio andare a
controllare. Non mi fido di lasciare questi tre da soli, chissà che non
compaia qualche altro pazzo scatenato. Fin che eravamo in cinque
avevamo trovato un minimo equilibrio, ora è tutto da ricostruire.
Ma non incolpo Patrick e Julian, additandoli come delle variabili
non considerate. Soprattutto io, che appartengo ad una comunità
molto singolare. So che Giappone, visto attraverso gli occhi degli
occidentali, presenta una popolazione inquadrata, dove siamo tutti
uguali, sia interiormente che esteriormente. Ma per noi è la normalità: le ugualianze tra i pari sono la norma. Solo quando questi
vengono confrontati con altri gruppi sociali si collocano automaticamente in una graduatoria di normalità e diversità. Quindi la
presenza dei due nuovi arrivati - e di chiunque altro debba ancora
giungere - non ci deve chiudere a riccio nei loro confronti ma al contrario deve farci allargare la visuale alla ricerca di un nuovo ordine
che possa inglobare tutti quanti. Credo che questo principio non sia
molto diffuso ma è uno dei capisaldi della tolleranza, qualità alla
quale tengo molto.
Finalmente il moretto esce dal bagno agitando le mani per liberarsi delle ultime goccioline d’acqua rimaste. Questa volta viene
verso di me ed alzando il braccio mi cinge al collo.
Superato l’empasse iniziale, Lilith e Norma si sono date subito
da fare scartabellando fra quella catasta di abiti per creare il giusto
look anche per il nuovo arrivato.
« Fantastiche queste sneakers bianche e rosse, Norma! » esclama
l’interessato, già coperto da una felpa blu con cappuccio e un paio di
pantaloni di velluto a coste marrone.
« Hai visto? Fidati di me! Ti ho cucito addosso l’immagine di ragazzo ordinato ma nel contempo oserei dire anche lievemente vintage... Diciamo che ora sei molto più presentabile! » ridacchia la
stilista provetta guardando la sua assistente.
« Non mi dire che vi è dispiaciuto vedere un po’ di carne? »
Julian sorride come se nulla possa tangerlo. Sotto quest’ottica il
confronto con l’ormai insuperabile sguardo di Joseph nasce spontaneo, ma secondo me c’è qualcosa sotto. Questo ragazzo a caldo
sembra molto sveglio: il modo di atteggiarsi, le battutine da canaglia che ha lanciato alle ragazze, la spavalderia nel porsi. È come se
stesse recitando una parte. Forse è proprio questo il suo modo di
socializzare. Sono convinto però che nel suo intimo stia celando una
preoccupazione pari alla nostra. Mentre gli ho spiegato io stesso ciò
che lo stava aspettando intorno a sè, sembrava del tutto tranquillo
ed attento. Un repentino digrignamento di denti gli ha però provocato uno spasmo alla mascella, lasciando appunto trasparire che le
mie parole non lo avevano lasciato del tutto indifferente.
Mentre sono perso a studiare il ragazzetto accarezzandomi inconsciamente il mento, Samuel e Joseph sono scesi a dare un occhio a
Patrick. Non vorrei mai che stesse continuando con la sua furia distruttiva al piano di sotto. Completata la vestizione e le liaisons con
il gentilsesso Julian si alza in piedi stiracchiandosi per bene.
« Ottimo, non so voi ma la prima cosa che faccio dopo una bella
dormita è la pipì. Ragazze, mina-san » dice simpaticamente facendomi un inchino a mani giunte « potete indicarmi la via per la toi-
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« Insomma che si dice? Sono l’ultimo arrivato in questa congregazione di folli investigatori, volete mostrarmi un po’ questa lussuosa
catapecchia? »
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Scendiamo le scale e sentiamo subito volare delle parole.
« A me che cazzo me ne frega se a voi va bene così? Io voglio uscire da qui! All’istante » pontifica Patrick leggermente adirato con le
braccia spalancate. In una mano stringe ancora il pezzo di sedia di
prima mentre nell’altra una bottiglia di Jagermeister, bottino di una
sua ovvia razzia alla dispensa.
« Non ho detto che a noi va bene così! Sto solo dicendo che dobbiamo essere uniti per calcolare una possibile via di fuga. Siamo tutti nella stessa situazione, te lo abbiamo detto subito » controbatte
Samuel assomigliando un poco al biblico Davide contro Golia.
« Parli bene tu senza un fottuto naso fratturato. E tu non ridere
bestione, ti riempio la faccia se fai anche un minimo sorriso! » punta il dito contro un incauto Joseph che lascia scivolare le sue offese
con un’indifferenza pressochè naturale.
« Patrick ti chiedo solo di calmarti. Distendiamoci un po’ e poi
tutti insieme troveremo una soluzione. »
« Senti un po’, chi ti credi di essere per dirmi di stare zitto, eh? »
« Ma non è questo che ti sto dicendo... »
« Io ho almeno sei anni in più di te, non venirmi a dire quello che
devo o non devo fare » e dopo questo suo mantra si scola una sorsata di amaro come fosse acqua. « Voi che avete da guardare? Colpo
grosso al drago rosso, fatti un po’ gli affari tuoi » vedo che alcune
lezioni della suddetta tolleranza andrebbero bene a qualcuno. « E
tu chi diavolo saresti? »
« Io sono Julian, piacere! Non ti sembra un po’ presto per quella
roba? » commenta sprezzante lo smilzo, sgattaiolando nel mezzo
dei due contendenti. Come se nulla fosse gli passa sotto il naso e si
mette a guardare l’angolo elettronica « Noo! Il Commodor, non ne
ho mai visto uno. Ma davvero esistono ancora? »
Patrick non sembra molto felice di quella sua noncuranza e sufficienza nei suoi confronti. Mi sa che hanno capito entrambi di essere
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i due galli di un solo pollaio.
« Senti un po’ chi ti credi di essere pivello? »
« Ragazzi cerchiamo di calmarci » provo ad intervenire io « Patrick ti fa ancora male il naso? »
« Con tutto il cotone con cui mi hai foderato non lo sento nemmeno! » credo di essere l’unico con cui ha deciso di parlare paritariamente.
« Allora, lui è Julian, lo abbiamo trovato di sopra, anche lui apparso dal nulla come tutti noi » aggiorno l’iracondo per placare i
suoi insulti contro l’indifeso Samuel.
« Hai detto bene, apparso. Ma vi siete accorti che non c’è via
d’uscita da qui? Non c’è nemmeno una porta! » dice mandando giù
un’altra sorsata di liquore. Ecco.
« Non c’è una porta? Ma cosa dici? Quello non è l’ingresso? »
chiede spiegazioni Norma assumendo un tono di voce più basso dei
soliti infrasuoni. Lo sapevo. Il semplice dirlo fa nascere nuove ansie.
Samuel mi lancia subito un’occhiata, io abbasso lo sguardo e continuo a grattarmi il mento, credo di avere un tic. Credo che anche
Patrick si sia accorto della mia voluta lacuna.
« Ma come, il vostro capetto orientale non se n’è accorto? Non c’è
una porta non si può uscire e quindi non si può nemmeno entrare.
A meno che non ci abbiano ficcato giù per il camino come dei babbi
natali... »
« Il caminetto è finto » lo interrompo io, sorvolando le accuse da
lui mosse nei miei confronti.
« Ve lo avevo detto io che siamo apparsi come fantasmi... » continua Lilith, sedendosi sul divano. « Ragazzi ma cosa ci sta succedendo? »
« Se vengo a sapere che è tutta una burla ve la faccio passare io la
voglia di scherzare! Non è possibile che degli esseri in carne ed ossa
appaiano e scompaiano dal nulla come se niente fosse! Insomma
questo è teletrasporto e credo che non lo abbiano ancora inventato!
» isterizza Norma.
« Se esistono fenomeni come la combustione spontanea magari
esiste anche qualcosa del genere » ipotizza Samuel, non credendo
neppure lui alle sue parole dette solo per tranquillizzare le ragazze.
« E se stanno facendo dei test con noi proprio per provare una
cosa del genere? Magari questo posto è un catalizzatore o una cosa
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così » esclama Julian armeggiando con i cavi neri. Joseph ha trovato un nuovo compagno di giochi che può aiutarlo a collegare i
videogiochi.
« Vedi? Si dovrebbe collegare così credo... Prova ad avvicinarmi
quel cavo bianco... » gli chiede Julian manomettendo quella scatola
scura.
« Un catalizzatore? Ma non diciamo fesserie. Credo sia molto più
di un semplice test, ci sono troppe variabili in gioco » dubita Samuel.
Conoscendolo mi sarei aspettato che avesse tirato qualche strana
congettura alla Matrix. Guardiamo in faccia la verità: siamo tutti
stanchi ed affaticati. Tutti questi fatti sono accaduti uno di seguito
all’altro e hanno messo abbastanza alla prova i nostri nervi. Dobbiamo cercare di ragionarci a mente fredda. Tanto ormai abbiamo
capito che non dovremmo essere in una situazione di immediato
pericolo.
D’improvviso un forte rumore di strappo ci richiama l’attenzione.
Tirando il cavo dell’antenna, la carta da parati si è sbrandellata dritta come l’apertura facilitata di una merendina.
« Ops! Mi sa che ho rotto qualcosa... » si accorge Joseph della sua
solita delicatezza.
« Ehi, Brett Favre, guarda un po’ che c’è qua sotto! » Julian richiama l’attenzione su quello che c’è dietro la carta strappata. Si intravede della roccia viva, con dei segni raschiati. Patrick scansa Joseph
per vedere da vicino.
« Che altro è questo? » Accucciato prende a sua volta la carta da
parati a due mani ed inizia a strappare ancora di più quel tessuto
che si dimostra incollato frettolosamente forse proprio per celare
ciò che nasconde. Anche Julian fa lo stesso. Con colpi decisi si deteriorano listelle di cartone che vengono gettate dietro le loro spalle
per la foga della scoperta. Siamo tutti con il cuore in gola nel vedere
moltiplicarsi quelle serie di graffi, composti da sette piccole linee
verticali alle quali se ne sovrappone un’altra diagonale. Assomigliano alle scritte che fanno i carcerati sul muro della cella per segnare
i giorni che passano. Con la sola differenza che solitamente le linee
verticali sono quattro, dividendo il conto in cinquine. Ma strappo
dopo strappo nella parte centrale della parete inizia ad apparire
un marchio, inciso sulla roccia e poi colorato con qualcosa di nero,
come un bastone dalla punta incenerita. Tutto sudato Partick toglie
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l’ultimo pezzo di carta, svelando in tutto il suo criptico terrore la
grottesca scritta:
SEM
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