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fe b b r a i o
M i l a n o ,
I t a l i a
Papillomavirus Umano e
Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo:
Cosa Sappiamo di Nuovo
Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
PAPILLOMAVIRUS UMANO:
STORIA NATURALE E DIAGNOSI
Flavia Lillo
Laboratorio di Virologia
IRCCS – Ospedale San Raffaele Milano
• INTRODUZIONE
Papillomavirus sono piccoli virus nudi a simmetria icosaedrica con DNA circolare a doppia elica di
circa 8000 paia di basi. Infettano un elevato numero di specie animali, dimostrando una elevata
specie-specificità. Causano proliferazione epiteliale o fibroepiteliale della cute e delle mucose che
nella maggior parte dei casi regredisce spontaneamente e presenta caratteristiche di benignità;
alcuni tipi virali tuttavia sono fortemente correlati a lesioni francamente neoplastiche.
A tutt’oggi sono stati identificati più di 80 tipi di papillomavirus che infettano l’uomo (HPV) e tra
questi, circa 1/5 sono associati ad un ampio spettro di patologie del tratto genitale: l’infezione da
HPV rappresenta infatti la patologia sessualmente trasmessa più diffusa del mondo. Una volta che
ha infettato le cellule dell’epitelio basale il destino del virus può subire diverse evoluzioni: rimanere
silente in forma episomiale all’interno della cellula ospite, indurre attraverso la propria replicazione
la proliferazione dell’epitelio squamoso e produrre forme vegetative (condilomi) o integrarsi nel
genoma della cellula inducendo con maggior frequenza lesioni di grado elevato.
In base al potenziale oncogeno dei singoli tipi, gli HPV sono convenzionalmente suddivisi in 3
gruppi: a basso rischio di trasformazione, più frequentemente associati a lesioni vegetative benigne
(condilomi) quali gli HPV 6, 11, 44, 53-55, 26, 32, 42, 61, 62, 81-84, 64, 34, 73, 66, 67, 69, 70, 40,
57; a rischio intermedio, ma talvolta identificati in lesioni neoplastiche: HPV 35 ,39, 41, 51, 52, 56,
58, 59, 68 ed a rischio elevato, cioè identificati in più dell’’80% dei carcinomi della cervice : HPV 16
(nel 50%), 18 , 31, 33,45 (1).
Il DNA di HPV è stato rilevato in più del 95 % delle lesioni intraepiteliali di alto grado (High grade
Squamous Intreapitelial Lesionns: HSIL) e dei carcinomi invasivi, essendo il tipo 16 più frequente
nel carcinoma spinocellulare e il 18 negli adenocarcinomi.
Nella popolazione generale sessualmente attiva, l’infezione da HPV è stata rilevata con una
frequenza che raggiunge in alcune casistiche l’80% dei casi analizzati, con un picco di prevalenza
nei soggetti con età tra i 22 e i 25 anni, indicando la precoce acquisizione dell’infezione all’esordio
della attività sessuale. Le manifestazioni cliniche e citologiche (Squamous Intraepitelial Lesion: SIL)
ad essa associate scendono tuttavia al 10 % circa dei casi per l’efficace intervento del sistema
immunitario. Le lesioni di basso grado (LSIL) evolvono solo nel 15% circa dei casi verso lesioni di
grado elevato (HSIL). Il processo evolutivo non sembra comunque essere unidirezionale, essendo
possibili fenomeni di regressione spontanea, soprattutto delle lesioni di basso grado.
Una risposta immune efficace è rappresentata dalla produzione di linfociti T citotossici in grado di
riconoscere e distruggere le cellule infette, mentre la produzione di anticorpi neutralizzanti è stata
dimostrata solo in una parte dei casi analizzati e comunque a distanza di mesi dall’infezione.
Altre patologie neoplastiche o displasie a carattere benigno associate all’infezione da HPV sono
riportate in tabella.
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Tabella
Tipo virale
1
2,3,10,27,28,29
4
5,8,9,12,14,15,17,19-25,
36-38,46,47,49,50
6,11,13,43,44,55
7
16,31,51,52a,53,54
18,32,42
26
30
33
34,48
35
39
41
Manifestazione clinica
Verruca plantare profonda, Verruca comune
Verruca piana, Verruca ‘intermedia’ Verruca comune
Verruca comune
Epidermodisplasia verruciforme, Actinocheratosi, Keratoacantoma
Condilomi, Papilloma della laringe, Lesioni cervicali, Iperplasia
epiteliale focale di Heck
Verruca comune
Condilomi piani, Lesioni cervicali precancerose, Papulosi bowenoide,
Cancro della cervice
Condilomi piani, Lesioni cervicali precancerose, Papulosi bowenoide,
Cancro della cervice
Verruca comune
Carcinoma della laringe, Condiloma esofitico
Carcinoma della cervice
Papulosi bowenoide, Malattia di Bowen
Carcinoma della cervice
Papulosi bowenoide, Carcinoma della cervice
Verruca piana
• STRUTTURA GENOMICA E REPLICAZIONE VIRALE
La struttura genomica di HPV è costituita da geni denominati precoci (‘early’: E) coinvolti
prevalentemente nei processi di regolazione e da geni tardivi (‘late’: L) codificanti per le proteine
strutturali.
Nella figura sono indicati i principali geni e la loro funzione: E1 ed E2 sono coinvolti nei processi di
replicazione del DNA virale e del mantenimento dello stato episomiale (E1), e nella regolazione
della trascrizione e nella sintesi di DNA ‘binding proteins’ (E2); E4 nella maturazione della particella
virale; E5, E6, E7 nei processi di controllo del numero di copie di DNA episomiale e di
trasformazione e immortalizzazione cellulare.
Figura
E6
E7
E2
L1
E1
L2
E4
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 7904
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• DIAGNOSI E MONITORAGGIO DELL’INFEZIONE DA HPV
L’introduzione, negli anni ’60, di programmi di screening citologico (Papanicolau – PAP test) nella
popolazione femminile sessualmente attiva ha permesso di ridurre del 50-70% l’incidenza del
carcinoma della cervice uterina e la mortalità ad esso associata. Tuttavia, il beneficio di questi
programmi dipende in gran parte dalla capillarità con cui vengono effettuati, della frequenza con cui
vengono eseguiti e dalla qualità ed efficacia della lettura dei preparati. Nella migliore delle ipotesi,
la sensibilità del PAP test nel diagnosticare una lesione cervicale non eccede l’80%,
conseguentemente, un certo numero di donne va incontro a carcinoma invasivo nonostante la
partecipazione a programmi di prevenzione: il cancro della cervice rimane infatti la seconda causa
di morte per neoplasia della popolazione femminile.
Senza quindi nulla togliere all’utilità ed al valore del PAP test quale strumento di screening, lo sforzo
della comunità scientifica internazionale è volto allo sviluppo di tecnologie che possano ottimizzare
ed affiancare le procedure convenzionali di prevenzione.
L’uso di test per l’identificazione di ceppi di HPV ad elevato potenziale oncogeno sembra essere un
efficace strumento di prevenzione secondaria nel migliorare la gestione clinica soprattutto delle
pazienti con PAP test moderatamente alterato (LSIL) o atipico (ASCUS). Attualmente la colposcopia
e la biopsia sono i metodi di elezione per identificare lesioni di alto grado eventualmente celate da
quadri citologici non definitivi. Anche queste procedure sono tuttavia costose, prevedono una
valutazione soggettiva dell’operatore, quindi personale altamente specializzato.
Un metodo oggettivo, quale la identificazione di HPV, sembra offrire un elevato potere predittivo di
lesione sia per il valore negativo che per il valore persistentemente positivo per il quale è stato
dimostrato un rischio di evoluzione neoplastica a due anni di circa 200 volte rispetto alle donne
negative (2).
La diagnosi di infezione da HPV si basa quasi esclusivamente sulla identificazione degli acidi
nucleici virali in preparati ottenuti da campioni biologici prelevati in sede idonea. Non è infatti
possibile coltivare il virus e la diagnosi indiretta, cioè la ricerca di anticorpi nel sangue periferico, non
fornisce risultati soddisfacenti in quanto transitoriamente determinabile e di difficile attuazione dal
punto di vista tecnico per la mancanza di antigeni rappresentativi di ogni tipo virale di interesse
clinico. La maggior parte dei test sierologici sono stati infatti sviluppati esclusivamente per la
diagnosi dei ceppi maggiori (i.e. HPV 16 e 18).
I test molecolari invece, hanno permesso di coprire le esigenze diagnostiche attraverso
l’identificazione del tipo o dei tipi virali e, conseguentemente, il loro potenziale oncogeno. Possono
essere eseguiti ‘in fase liquida ’ cioè dopo lisi di preparati cellulari (brushing cevicale, biopsia,
frammenti inclusi in paraffina) che ‘in situ’, su tessuto fissato su vetrino.
Il test commerciale più diffuso, e l’unico attualmente approvato dall’FDA (Food and Drug
Administration), è denominato ‘Hybrid Capture II (Digene Corp.)’, ed è un test che consente la
simultanea determinazione di ceppi ad medio/alto o a basso rischio oncogeno attraverso
l’ibridazione in fase liquida del DNA virale eventualmente presente nel campione con una miscela
(pool) di sonde ad RNA. Sono disponibili due pool di sonde che riconoscono rispettivamente HPV
16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, 68 (rischio medio/alto) e HPV 6, 11, 42, 43, 44 (basso
rischio). I pool possono essere utilizzati simultaneamente, nel caso si desideri una diagnosi
generica di infezione da HPV o singolarmente, se la discriminante del livello di rischio oncogeno
fosse determinante.
Principio del test: Dopo la denaturazione del DNA virale eventualmente presente nel campione ed
il suo riconoscimento da parte della sonda ad RNA, si crea un ibrido DNA-RNA che viene
riconosciuto da un anticorpo specifico ed immobilizzato su un supporto solido (pozzetto della
micropiastra di reazione). Il rivelamento della reazione avviene attraverso l’uso di un secondo
anticorpo anti ibrido coniugato con alcune molecole di fosfatasi alcalina; numerosi anticorpi legano
l’ibrido DNA-RNA generando in questo modo una amplificazione del segnale emesso. La sensibilità
analitica del test è in un range compreso tra 6.6 e 17.6 pg/ml.
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I test di amplificazione genica (PCR) sono ampiamente utilizzati, più spesso a scopo di ricerca, e
sono disegnati in modo da consentire una diagnosi di tipo (3-4).
Di norma, quando si intendano perseguire fini diagnostici, possono essere utilizzate sonde definite
‘consenso’ che permettono cioè di amplificare in un singolo test la maggior parte dei ceppi virali di
interesse clinico essendo disegnate in zone altamente conservate tra i diversi tipi virali, di solito la
regione L1 codificante per la proteina maggiore del capside.
Una volta ottenuto l’amplificato, questo può essere ibridizzato con sonde tipo specifiche, sottoposto
a digestione enzimatica o a sequenziameto per definire il tipo o i tipi virali presenti nel campione.
Il valore predittivo del test molecolare per la diagnosi di lesione è elevatissimo per quanto riguarda
il risultato negativo, essendo altamente improbabile che una donna in età compresa tra i 35 e i 55
anni che risulti non infetta da HPV sviluppi una patologia cervicale (incidenza =0.73 per 1000
donne-mese 95% CI 0.5-0.9). Il valore predittivo positivo è più limitato, data la frequenza
dell’infezione in soggetti sessualmente attivi, soprattutto in prossimità dell’esordio dell’attività
sessuale, ma cresce proporzionalmente alla durata dell’infezione: una donna persistentemente
infetta con ceppi ad alto rischio oncogeno ha una probabilità di sviluppare lesione circa 10 volte
maggiore della donna negativa (RR= 10.19, 95% CI 5.9-17.6) (5).
Non sono disponibili a tutt’oggi linee guida specifiche per l’uso diagnostico del test molecolare,
tuttavia la verifica della infezione con ceppi ad alto rischio è suggerita nella valutazione delle donne
con PAP test anomalo. Numerosi studi sono inoltre in corso per valutare l’opportunità di modificare
i programmi di screening attraverso l’uso di test molecolari (6)
NOTE BIBLIOGRAFICHE
1. Burd EM Human papillomavirus and cervical cancer. Clin. Microbiol. Rev. Jan 2003 (1-17)
2. Schlecht NF., Kulaga S., Robitaille J. et al. Persistent Human Papillomavirus Infection as a predictor of Cervical Intraepithelial
Neoplasia, JAMA 26 December 2001, 286 (24) 3106-14
3. Wright TC jr., Shiffman M. Adding a Test for Human Papillomavirus DNA to Cervical Cancer Screening. NEJM 2003 348 (6) 489-90
4. Manos NM., Ting Y., Wright DK. et al. The use of Polymerase Chain Reaction amplification for the detection of Human
Papillomaviruses. In Furth M., Greaves M:F. editors Molecular Diagnosis of Human Cancer. Cold Spring Harbor NY Cold Spring
Harbor Press 1989: 209-14
5. Kleter B, van Doorn LJ, ter Schegget L et al. A novel short fragment PCR assay for highly sensitive broad-spectrum detection of
anogenital human Papillomavirus. Am J Pathol 1998, 153:1731-39
6. Wright TC, Cox JT, Massad LS, Twiggs LB, Wilkinson EJ. 2001 Consensus guidelines for the management of women with cervical
cytological abnormalities. JAMA 2002, 287: 2120-2129.1
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LESIONI DA HPV DEL TRATTO GENITALE DISTALE:
ASPETTI CLINICI
Paolo Cristoforoni
Nell’ambito delle numerose affezioni genitali sostenute dall’HPV si possono distinguere lesioni di
diverso aspetto e significato in base al tipo di virus coinvolto, alla localizzazione e all’aspetto
macroscopico della lesione stessa.
A scopo didattico è possibile innanzitutto differenziare le semplici HPV infezioni (che, come
vedremo, comprendono a loro volta diverse tipologie) dalle lesioni displastiche (più frequentemente
cervicali ma anche a volte interessanti gli epiteli vaginale e vulvare) e tumorali che vedono coinvolto
l’HPV nella loro storia etiopatogenetica ma che esulano dagli intenti specifici di questo excursus.
Le lesioni HPV correlate evidenziabili a livello del tratto genitale inferiore femminile comprendono le
forme cliniche, quelle subcliniche e le infezioni latenti. Le infezioni latenti si riferiscono alla presenza
nel tessuto di HPV DNA (oggi dimostrabile in maniera estremamente sensibile grazie all’utilizzo di
metodiche di ibridizzazione molecolare) senza alcun segno evidenziabile di lesione epiteliale. Le
lesioni cliniche sono quelle evidenziabili e diagnosticabili ad occhio nudo: si identificano
sostanzialmente con i conditomi floridi - o acuminati - nelle loro varie tipologie e varianti
morfologiche. Nella donna sono più spesso localizzati alla vulva, al perineo e al periano, ma non è
infrequente evidenziare anche lesioni floride - limitate a queste aree o associate ad altre più
frequenti - sulle pareti vaginali, sulla cervice uterina, nei tratti più distali di uretra e canale anale.
Molto raramente è possibile evidenziare conditomi floridi anche a livello della bocca. I condilomi
acuminati si presentano di regola come escrescenze bianco-rosacee, isolate o più frequentemente
distribuiti in gruppi, molto variabili per quanto riguarda dimensioni e localizzazioni, talvolta con la
tipica architettura macroscopica a cavolfiore molto evidente. Spesso vengono repertati dalla
paziente stessa o dal suo partner per caso, quali formazioni vegetanti del tutto asintomatiche;
talvolta tuttavia le pazienti lamentano prurito, bruciore e leucorrea, e tali sintomi sono generalmente
riconducibili a sovrainfezioni batteriche o micotiche di lesioni di per loro asintomatiche. I condilomi
floridi assumono talvolta assumere aspetto tondeggiante, a cupola, e un colorito più brunastro
dovuto al deposito di pigmenti all’interno degli strati epiteliali: tale morfologia si riferisce
generalmente a lesioni più datate. La morfologia delle lesioni condilomatose floride può essere
meglio apprezzata utilizzando il colposcopio, previa detersione con soluzione fisiologica e
successiva applicazione di acido acetico. Il condiloma dimostra così la sua struttura architetturale,
tipicamente arborizzata e corredata di una evidente ansa capillare sull’apice di ogni digitazione, e
la marcata acidofilia, che porta ad uno sbiancamento deciso e persistente della formazione,
consentendone la sua più precisa demarcazione in casi più sfumati. Occorre in questa sede
sottolineare come l’impiego indiscriminato dell’acido acetico a livello vulvare possa in alcuno casi
essere non solo inutile ma fuorviante: è esperienza comune come alcuni quadri infiammatori
aspecifici (es.: la vulvite micotica), quando non variazioni anatomiche assolutamente fisiologiche
(una per tutte la micropapillomatosi vestibolare) possono risultare intensamente acetoreattive e
simulare in tal modo una etiologia virale invece inesistente. I sottotipi virali classicamente
responsabili delle condilomatosi genitali floride sono HPV 6 e 11.
Le lesioni subcliniche sono quelle HPV infezioni non diagnosticabili ad occhio nudo ma ben
evidenziabili impiegando il colposcopio. I sottotipi responsabili di queste lesioni sono molteplici,
comprendendo sia gli HPV a basso rischio che quelli a rischio oncogeno alto od intermedio.
L’evoluzione clinica di queste lesioni è tuttora oggetto di ricerca e discussione. Alcuni autori
sostengono che un terzo circa delle donne con HPV subclinico sviluppino lesioni squamose
intraepiteliali entro 12 mesi, mentre una su sei svilupperà una displasia cervicale di alto grado. Si
comprende quindi come la diagnostica di queste forme rivesta particolare importanza nel bagaglio
culturale di ogni ginecologo e nello specialista del basso tratto genitale più in particolare. Le lesioni
subcliniche da HPV possono riguardare tutto il basso tratto genitale femminile: a livello vulvare
possono essere evidenziate piccole aree, di aspetto a placca (conditomi piatti) o micropapillari,
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isolati o tendenti alla confluenza, più frequenti a livello delle pieghe o comunque in aree di contatto
sessuale. Tali forme, di aspetto tipico dopo l’applicazione di acido acetico, possono nelle forme
sfumate presentare alcuni dubbi diagnostici. Anche l’introito vaginale e l’intera superficie delle pareti
vaginali possono essere sedi di infezioni subcliniche da HPV. In tali ambiti l’acido acetico (e,
limitatamente alle pareti vaginali, anche la soluzione di Lugol) consentono l’opportuna
visualizzazione di queste aree anomale ed il loro eventuale trattamento. Frequentemente l’infezione
subclinica da HPV interessa la cervice uterina: i quadri di “condiloma piatto” sono spesso
evidenziabili sulla portio in un ambito di anormalità colposcopiche di grado minore localizzate entro
o - spesso - fuori dalla zona di trasformazione. Tali quadri colposcopici sono di regola rappresentati
da aree acetobianche ben distinguibili dal tessuto circostante, presentando occasionali papille
isolate o - più frequentemente - un aspetto diffusamente micropapillare. In questi casi il quadro
colposcopico è spesso arricchito dall’impiego del test di Schiller: compare una captazione
disomogenea con iodonegatività irregolare e amplificazione dell’aspetto micropapillare della
superficie. In taluni casi l’aspetto microconvoluto è particolarmente evidente, e la captazione del
Lugol assume un aspetto veramente caratteristico e denominato mosaico invertito o rovesciato.
Dopo questo rapido excursus sull’aspetto clinico delle varie lesioni da HPV a livello dei genitali
femminili occorre focalizzare brevemente il discorso sugli aspetti diagnostici e su quelli terapeutici.
L’esame citologico secondo Papanicolaou rappresenta certamente l’esame di screening per
eccellenza grazie al quale molte forme condilomatosiche cervico-vaginali possono essere
evidenziate in donne asintomatiche. La presenza di coilociti (cellule epiteliali presentanti ampio
alone perinucleare con frequenti bi o multinucleazioni ) è tipica - anche se non completamente
specifica - di HPV infezione. Criteri citologici ed istologici precisi sono stati nel tempo descritti dai
vari Autori al fine di rendere la diagnosi il più possibile precisa. La biopsia di lesioni sospette in
colposcopia rappresenta ad oggi il gold standard per la diagnosi di condilomatosi cervicale. In
presenza di condilomatosi vaginale o vulvare la biopsia può essere spesso evitata, anche se è
sempre bene eseguirla in presenza di lesioni non del tutto tipiche: un tale approccio consentirà in
un numero discreto di casi l’evidenziazione di lesioni vulvari o vaginali intraepiteliali di significato
chiaramente displastico. Se la citologia e l’istologia possono evidenziare alterazioni compatibili con
la infezione da HPV, è solo con la dimostrazione del DNA virale nell’ambito di una lesione che se
ne può confermare con certezza il meccanismo etiopatogenetico.
Le varie tecniche utilizzabili comprendono l’ibridizzazaione in sito, l’ibridizzazione con Southern
Blot, la PCR e l’HPV DNA test con sequenze amplificate e rilevazione per immunofluorescenza.
L’impiego clinico delle varie tecniche, e soprattutto dell’HPV test, che sembra essere il più semplice
e il più riproducibile degli strumenti disponibili, è oggetto di altre relazioni e pertanto qui non
approfondito. Quello che si vuole qui sottolineare è che ogni ginecologo deve essere in grado di
riconoscere nella sua attività quotidiana ambulatoriale i quadri più evidenti di condilomatosi
acuminata, conoscere l’esistenza (e possibilmente essere in grado di fare diagnosi corretta se
utilizza un colposcopio) delle forme di HPV subclinico e comprendere - ed essere in grado di fornire
alla paziente informazioni corrette ed esaurienti in proposito - il significato e la possibile evoluzione
delle infezioni latenti da HPV.
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DIAGNOSI ANATOMOPATOLOGICA
Silvestro G. Carinelli
Istituti Clinici di Perfezionamento, Milano
Nel 1950 Papanicolaou ideò un sistema di classi di rischio del cancro cervicale basato
esclusivamente sulla citologia cervico-vaginale e la sua applicazione è considerata il mezzo più
efficace per la riduzione della morbilità e mortalità del cancro cervicale nei paesi sviluppati (1).
Da allora è iniziata la ricerca di una strategia ottimale per identificare il precursore del cancro
cervicale e separarlo da quelle forme che non hanno un significato neoplastico, ma possono essere
scambiate per un precursore. La crescente importanza della colposcopia con il suo potenziale
utilizzo nella fase terapeutica ha permesso l’ottimizzazione ed il consolidamento di un modello
gestionale di prevenzione del cancro cervicale basato sullo screening citologico, la diagnosi
istologica sotto guida colposcopica e la terapia conservativa.
Un primo risultato è stato il riconoscimento della molteplicità dei precursori del cancro cervicale. Da
un lato apparve evidente che lesioni morfologicamente più atipiche rappresentavano un precursore
prossimo o obbligato, mentre altre lesioni meno atipiche ma più variegate erano globalmente
caratterizzate da un alto potere di regressione. Negli anni 50 Reagan (2) introdusse il concetto di
displasia in un modello dualistico delle lesioni squamose precancerose che includeva,
rispettivamente, carcinoma in situ e displasia. Successivamente, Richart (3) meglio definì le lesioni
precursore rispetto alle lesioni non neoplastiche ed introdusse il concetto di neoplasia cervicale
intraepiteliale (CIN) per enfatizzare l’unicità del processo che include displasia e carcinoma in situ.
Al CIN venne applicato un “grading” in tre categorie, con la perdita di distinzione tra displasia grave
e carcinoma squamocellulare in situ e attualmente le due terminologie sono usate correntemente.
Nel contempo veniva definito l’adenocarcinoma in situ come precursore dell’adenocarcinoma e la
sua possibile associazione col CIN.
Alla comprensione della carcinogenesi cervicale così come è oggi conosciuta contribuì sicuramente
Meisels (4,5) che definì un gruppo di displasie di basso grado come condilomi piani o atipia
coilocitica, che successivamente vennero equiparate alla infezione da papillomavirus umano (HPV).
Non ci vuole molto a intuire come sia difficile correlare una classificazione basata sulla maturazione
e l’atipia epiteliale con una classificazione che include lesioni infettive. Il compromesso fu
rappresentato dal mantenimento delle classificazioni displasia-CIS e CIN con l’inclusione del
termine di atipica coilocitica come termine descrittivo e l’inclusione della infezione da HPV nel CIN
1 per l’impossibilità di distinguere morfologicamente le lesioni produttive (infettive) da quelle
evolutive di basso grado. Nel contempo le lesioni precancerose della cervice, sia squamose che
ghiandolari, venivano con sempre maggiore frequenza designate come lesioni associate ad HPV
con l’affermarsi della ipotesi del ruolo fondamentale dell’HPV nella carcinogenesi della cervice (6).
La correlazione cito-istologica è sempre stata problematica per varie ragioni. Innanzitutto
terminologiche. Infatti, mentre la classificazione istologica si arricchiva di nuovi termini la
classificazione citologica, che partiva da una solida base formata dalle 5 classi di Papanicolaou
progressivamente incorporava termini presi dalla istologia. Il risultato fu la creazione di una ulteriore
generazione di ibridi classificativi. La prima conferenza di Bethesda, indetta per ottenere un
consenso sulla terminologia (“Bethesda System”) nel 1988 introdusse il termine citologico di lesione
squamosa intraepiteliale (SIL) per indicare le displasie o i CIN; la SIL fu subclassificata in SIL di
basso ed alto grado di cui furono definiti i criteri diagnostici (7). Infine, il termine di cellule squamose
atipiche di incerto significato (ASCUS) fu introdotto dalla prima conferenza di Bethesda per ottenere
un più vasto consenso sulla terminologia. L’ASCUS fu successivamente suddiviso in ASC e ASC-H
per separare quei casi che, rispettivamente, potevano essere segnalati come possibili SIL di basso
grado e possibili SIL di alto grado, rispettivamente. AGCUS è stato definito come il corrispettivo
ghiandolare di ASCUS.
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Qualsiasi criterio venga usato e qualsiasi terminologia venga scelta, il grading dei precursori del
cancro cervicale ha sempre dimostrato di soffrire di una soggettività di applicazione sia in citologia
che in istologia (8). In particolare, la corrispondenza tra diagnosi citologica e diagnosi istologica è
ostacolata dal fatto che le lesioni squamose cervicali tendono ad essere meno mature (basaloidi)
lungo il canale cervicale e più mature (squamoidi) sulla portio vaginalis ed inoltre le cellule degli
strati basali sono visibili nei preparati istologici e solo occasionalmente in quelli citologici (9).
L’introduzione di migliorie tecniche, quali la citologia su strato sottile, non incide su questo specifico
problema. Pertanto, l’introduzione di tecnologie molecolari è stata vista positivamente in quanto tali
tecniche contengono in se un valore di maggiore oggettività e quindi di riproducibilità.
Il prototipo di test molecolare di impiego clinico è il test per la ricerca del DNA dell’HPV (Hybrid
Capture) che individua due categorie di sottotipi di HPV con rischio differente di sviluppo del cancro
ed ha perciò un grande impatto sulla gestione clinica delle pazienti. Tale test si inserisce nel
momento in cui uno deve distinguere quali casi devono essere trattati, o meglio inviati alla
colposcopia, e quali devono essere seguiti col “follow-up”. Come l’AGUS e le lesioni squamose di
grado uguale o superiore all’ASC-H devono essere inviate alla colposcopia così pure casi di
positività all’HPV di alto rischio devono essere inviate alla colposcopia.
Attualmente, l’istologia continua a rimanere la base per il trattamento ed il follow-up delle lesioni
individuate dalla citologia con o senza l’ausilio dei test virali e si avvale dell’impiego di “biomarkers”
individuati studiando le varie fasi della carcinogenesi virale. Pertanto è possibile correlare sugli
stessi preparati l’aspetto morfologico tradizionale con la presenza di DNA virale o della espressione
anomala a seguito della azione dell’HPV di proteine associate al ciclo cellulare quali la Ki-67, la
ciclica E e la p-16 (10). I quesiti cui questi test devono cooperare a dare delle risposte sono, la
diagnosi differenziale tra displasia o CIN e lesioni reattive o atrofiche, la separazione tra displasie o
CIN di basso grado da quelle di alto grado e possibilmente, nell’ambito delle lesioni di basso grado
o “borderline”, quali non sono destinate alla progressione (associate ad HPV di basso rischio) e
quali sono a rischio per una progressione (associate ad HPV ad alto rischio con modificazioni nella
espressione dei geni implicati nel ciclo cellulare).
L’ibridizzazione in situ degli acidi nucleici dell’HPV è generalmente poco specifica. La positività
nucleare nei due terzi superiori dell’epitelio del Ki67 è un forte indicatore di CIN di alto grado;
tuttavia, tale test può essere di difficile interpretazione in casi di diagnosi differenziale con la
metaplasia squamosa immatura reattiva. L’espressione della ciclica E è parallela a quella del Ki67.
P16 attualmente rappresenta uno dei biomarker più efficaci per il CIN associato ad HPV ed è
particolarmente utile per escludere lesioni reattive, metaplasia squamosa immatura (11). Inoltre,
unitamente alla Ki67, potrebbe rivelarsi particolarmente utile nella diagnosi differenziale tra CIN di
alto grado ed atrofia, che talvolta presenta una forte intensità cromatica ed atipica. Le aspettative
nella p16 sono così forti da aver suggerito un suo impiego nello screening cervicale (12).
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BIBLIOGRAFIA
1. Koss LG: The Papanicolaou test for cervical cancer detection: a triumph and a tragedy. JAMA 1989:261:737-743.
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uterine cervix. Cancer 1953;6:224-235.
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Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
LESIONE DA HPV DEL TRATTO GENITALE DISTALE
LA RISPOSTA IMMUNE
Caterina Uberti Foppa
Istituto Scientifico San Raffaele, Milano
Negli ultimi decenni una notevole mole di studi epidemiologici, clinici e sperimentali ha evidenziato
l’associazione fra infezione della cervice uterina da HPV e patologia cervicale. L’elevata prevalenza
dell’infezione e del carcinoma della cervice uterina nelle donne immunocompromesse, dimostrano
quanto l’immunità sistemica e locale influenzano la prevalenza e la storia naturale dell’infezione da
HPV.
La funzionalità di anticorpi verso proteine sul capside nel prevenire infezioni e reinfezioni e
soprattutto nel modificare la storia naturale sulle lesioni cervicali non è del tutto dimostrata.
D’altro canto gli studi epidemiologici condotti sino ad ora hanno prevalentemente valutato gli
anticorpi anti antigene del capside virale (L1 e L2), non è chiaro se questi anticorpi tipo specifici
siano in grado di essere protettivi verso reinfezioni con lo stesso tipo virale o con altri virus
strettamente correlati. (1)
Al contrario dell’immunità umorale, la risposta cellulo-mediata dei linfociti T non è tipo-specifica ed
è un importante meccanismo effettore per la “clearance” delle infezioni persistenti.
L’importanza della risposta immunitaria cellulo-mediata è indirettamente dimostrata dall’aumento
della prevalenza del carcinoma della cervice uterina nelle donne HIV positive e nei soggetti
trapiantati, in particolare nelle donne sottoposte a trapianto renale che hanno un rischio di
sviluppare il tumore da 3 a 8 volte più elevato rispetto a quello della popolazione generale.
La riduzione dell’immunità cellulo-mediata che si osserva durante il decorso dell’infezione da HIV e
che si accompagna ada un aumentata prevalenza dell’infezione da HPV e della patologia correlata
(2), si associa ad una progressiva riduzione del pattern citochinico di tipo 1 (IL 2, IFN _, IL 12),
mediatori dell’immunità cellulo-mediata e ad un aumento della sintesi di IL4, IL 5, IL 10 (citochine di
tipo 2 che stimolano l’immunità umorale).
Nelle donne immunocompetenti, l’importanza dello shift citochinico Th1_Th2 nella progressione
delle lesione da HPV è confermata dai differenti profili immmunologici nei soggetti con infezione e
patologia correlata rispetto ai controllo sani; la produzione di citochine di tipo 1 è infatti ridotta nelle
donne con infezione persistente e displasia cervicale (3)
La conferma dell’importanza del pattern citochinico di tipo Th1 è stato dimostrato anche
direttamente nella sede della lesione, dove il parziale sequestro rispetto alla circolazione sistemica
e l’assenza di una fase viremica rende sia l’infezione sia la lesione più dipendenti dalla risposta
immunitaria locale.
Sebbene siano stati condotti molti studi per l’identificazione di specifici marcatori dei linfociti T di
protezione anti-HPV, tali fattori rimangono a tutt’oggi non noti; questa difficoltà è in parte dovuta alla
debole risposta sistemica che avviene durante l’infezione mucosale da HPV.
L’evidenza recentemente dimostrata dell’elevata frequenza di cellule memoria Th specifica per
antigeni di HPV in soggetti sani ha definitivamente consolidato l’ipotesi di utilizzare vaccini preventivi
per l’infezione e la patologia HPV-correlata.(4)
NOTE BIBLIOGRAFICHE
1. Sun Y, Eluf-Neto J, Bosch FX, Munoz N, Walboomers JM, Meijer CJ, et al. Serum antibodies to HPV 16 proteins in women from Brazil
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Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
CERVICAL CANCER EPIDEMIOLOGY AND RATIONALE FOR HUMAN
PAPILLOMAVIRUS (HPV) RELATED PREVENTIVE STRATEGIES
F. Xavier Bosch
Institut Català d’Oncologia, Servei d’Epidemiologia i Registre del Càncer.
Gran Via Km 2.7 s/n 08907 L’Hospitalet de Llobregat (Barcelona) Phone: +34 93 260 78 12 Fax: +34
93 260 77 87 E-mail: [email protected]
On several occasions, estimates of the burden of HPV infections and of the closely associated
cervical lesions have been produced. Data on invasive cervical cancer extrapolated to the existing
population indicate for Europe some 65.000 new cases per year and an age-standard rate of 13 new
cases per 100.000 per year. Data on genital HPV-DNA prevalence in representative samples of
populations in different countries are limited. Typically the proportions of HPV-DNA carriers have
been placed in the 15-40% range in the young, sexually active, age groups and between 3-10 %
range in the 35 and above age groups. Prevalence in the male external genitals is only available for
a few countries and the evidence suggests that may be roughly similar to the prevalence in women.
• THE ASSOCIATION OF HPV AND CERVICAL CANCER
State-of-the art amplification techniques have unequivocally shown that in adequate specimens of
cervical cancer HPV-DNA can be detected in 90 to 100% of the cases as compared to a prevalence
of some 5-20% from cervical specimens of women identified as suitable epidemiological controls.
Detailed investigations of the few cervical cancer specimens that appear as HPV DNA negatives in
most series has been occasionally conducted and the results strongly suggest that these are largely
false negatives. As a consequence, the claim has been made that this is the first necessary cause
of a human cancer ever identified, providing a strong rationale for the use of HPV tests in screening
programs and for the development of HPV vaccines.
• RISK ESTIMATES FROM IARC’S CASE CONTROL STUDIES
The pool of IARC studies are large enough to provide, for the first time, type specific risk estimates
for 18 types. The adjusted Odds Ratios for HPV DNA detection (the factor by which the reference
risk of cervical cancer is multiplied if HPV DNA is detected) was OR any single type = 172.6 (95%CI:
122.2-243.7). Type specific risk estimates were as follows: HPV 16: OR= 435; HPV 18: 248; HPV
45 OR= 198; HPV 31 OR= 124; HPV 33 OR=374; HPV 35 OR=74; HPV51, OR= 67; HPV 52 OR=
200; HPV 58 OR= 115; HPV 59 OR= 419. The risk for any given high-risk type was not statistically
different from the risk reported for HPV 16. The risk related to the presence of multiple HPV types
in the specimen is no different from the risk linked to a single HPV type. The standard estimates of
the attributable fraction AF %, (the proportion of disease that is related to HPV DNA) derived from
these and most other studies range from 90 to 98%. The practical conclusions from these analyses
strongly indicates that, under current evidence, group testing of clinical specimens for a cocktail of
high risk types should be sufficient for screening and patient management. One of such tests, Hybrid
Capture 2 (HC2), is commercially available and progressively introduced in clinical practice.
Individual typing remains necessary in research settings and for studies evaluating therapeutic or
preventive type-specific HPV vaccines.
• HPV TESTING IN SCREENING PROGRAMS
Cervical cytology has played an important role in screening and clinical management of cervical
lesions. A recognized barrier is, however, the limited sensitivity and reproducibility of cervical
cytology. It has been suggested that screening based on HPV-DNA testing may prove easier to
implement and sustain, and considerable efforts are currently being devoted to the testing of this
hypothesis.
Ideally HPV screening tests should detect all CIN 3 / HSIL and cervical cancer. Both HC 2 and
GP5+/6+ PCR/EIA have sensitivities for CIN 3 and cervical cancer at least equal and in most studies
significantly better than cervical cytology. Specificity of HPV tests is age dependent. In the young
age groups the specificity of the HPV tests is lower than cytology and, in the age groups 35 and
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Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
above (again country-dependent), the specificity of both tests is similar. Recent studies, in which HC
2 and GP 5+/6+ were used, showed that, in combination, women with both normal cytology and
absence of HPV DNA have an extremely low risk of developing cervical cancer in the 10+
subsequent years. Major gains in effectiveness and cost reduction are to be expected from
increasing screening intervals and reducing the total number of visits requested per lifetime in most
cytology-based screening programs.
• HPV TESTS IN THE TRIAGE OF MINIMAL CERVICAL ABNORMALITIES
One of the first applications of HPV testing in clinical practice was the secondary triage of women
referred for colposcopy because of an abnormal Pap smear. In the U.S., the adoption of the
Bethesda system (TBS) for cervical cytology reports dramatically increased the proportion of Pap
smears with cytological abnormalities that merited clinical attention. It is now accepted that smears
with equivocal or minor grade abnormalities represent some 4-7% of all Pap smears in the US, a
considerable workload for the purposes of clinical decision-making.
The best evidence on the role of HPV testing as an alternative method to repeated cytology in the
presence of an ambiguous abnormal cytology is being provided by the Kaiser Permanente study in
1999 and the ALTS trial in 2000. The Kaiser Permanente study used concomitant testing focused
exclusively on ASCUS as the referral smear’s presumptive diagnosis. The sensitivity to detect HSIL
or cancer was 89% for HPV and 76% for Pap, with equivalent specificities for both tests (64%).
The ALTS trial is a National Cancer Institute (NCI) coordinated randomized clinical trial designed to
determine the optimal management plan separately for LSIL and ASCUS cytologic abnormalities.
The LSIL component of the ALTS trial had the HPV triage arm terminated prematurely because of
the interim observation of a very high rate (83%) of oncogenic HPV positivity. Such high HPV
prevalence in LSIL is rarely reproduced in other studies, reflecting the variability in the diagnosis of
LSIL. The authors of the ALTS trial concluded that in the US setting, there would be limited value in
using HPV testing in triaging LSIL cases for colposcopy.
In contrast, the ASCUS component of the trial reinforced the findings of the Kaiser Permanente
study. HPV testing yielded 96% sensitivity to detect both CIN2+ or CIN3+ histologically-confirmed
lesions while a repeat Pap at the lowest threshold of ASCUS produced a significantly lower
sensitivity of 85% for both definitions of lesion severity. The sensitivity of a repeated cytology at a
threshold level of CIN3+ was as low as 44%. The proportions of women who would have to be
referred for colposcopy due to positivity in these tests were 56% and 59%, respectively. The trial
concluded that HPV testing was a viable option in the triage and management of ASCUS smears.
• WHAT CAN WE ANTICIPATE FOR VACCINE COMPOSITION
Given the strong relationship between HPV infections and cervical cancer, prevention of persistent
HPV infections seems to be a desirable target and perhaps the only realistic option for developing
countries. Since HPV type-specific cross protection is limited, one of the central issues in exploring
products destined to widespread use is the number of viral types that are to be included. The
cumulative prevalence of HPV types in over 2000 cases of invasive cervical cancer from over 25
countries shows that four HPV types,16, 18, 45 and 31 explain close to 80% of the types involved
in cervical cancer worldwide. The variability is somehow less marked for cervical adenocarcinomas,
where HPV types 16, 18, 45 and 59 account for 93% of the types found in cases.
Therapeutic vaccines may offer interesting alternatives in populations where a large fraction of
young adult women are already permanent carriers of HPV DNA. These products incorporate
modified fragments of the E6 and/or E7 genes, the viral products consistently expressed in
persistent infections and in cervical cancer. Chimeric VLPs have been shown to induce antigenspecific protection in mice from challenge with E7-expressing tumor cells.
• RECOMMENDED READING:
Bosch FX, Lorincz A, Munoz N, Meijer CJ, Shah KV. The causal relation between human
papillomavirus and cervical cancer. J Clin Pathol 2002;55:244-65.
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Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
USO DEL TEST VIRALE NELLA GESTIONE DELLE PAZIENTI
CON TEST DI SCREENING ANOMALO
Mario Sideri
Istituto Europeo di Oncologia, Milano
La terminologia classificativa dell’esame citologico cervicale è andata evolvendo nel tempo con le
modificazioni delle conoscenze sulla storia naturale della neoplasia cervicale e dall’originale
classificazione di Papanicolau in cinque classi si è passati a quella più recente definita ”Bethesda”.
Sono già state illustrate precedentemente le caratteristiche di questa nuova classificazione e gli
aspetti comparativi con le classificazioni precedenti. Riassumendo, la nuova classificazione
citologica, oltre a vari spunti innovativi, definisce i reperti “non negativi” nelle seguenti categorie:
• Reperto di cellulle squamose atipiche di significato indeterminato (ASC-US; ASC-HG)
• Reperto di cellulle ghiandolari atipiche di significato indeterminato (AGCUS)
• Reperto di alterazioni cellulari riferibili a lesione intraepiteliale di basso grado (SIL di basso grado)
(HPV/CIN1)
• Reperto di alterazioni cellulari riferibili a lesione intraepiteliale di alto grado (SIL di alto grado)
(CIN2, CIN3)
• Reperto di cellule tumorali maligne di tipo squamocellulare
• Reperto di cellule tumorali maligne di tipo ghiandolare.
Come ben si comprende, la maggior parte dei reperti “positivi” si limita a suggerire la presenza di
una lesione e non a fornirne una diagnosi precisa. Infatti il test di screening non è diagnostico e
come sappiamo il pap test ha questo ruolo: fare una prima cernita delle pazienti asintomatiche per
separare le pazienti negative da quelle che potrebbero avere la malattia. Un risultato citologico
“positivo” quindi non significa la presenza di una lesione, e tantomeno la necessità di un intervento
chirurgico, ma richiede invece l’approfondimento diagnostico con indagini di secondo livello.
L’esame colposcopico rappresenta attualmente l’esame di secondo livello che ha il compito di
verficare la presenza della lesione, determinarne la sede e la gravità, e di permettere l’accertamento
bioptico mirato al fine di confermare od escludere istologicamente la presenza o meno della
malattia. Solo la diagnosi istologica ci permetterà di classificare quella paziente come affetta da una
determinata malattia e di impostare quindi un trattamento adeguato.
Tuttavia la gestione clinica delle pazienti con esito al pap test di screening borderline (SIL di basso
rado, ASC-US, ASC-HG) è argomento estremamente controverso e la colposcopia non è
raccomandata in tutti i protocolli di gestione del pap positivo. Il nucleo della problematica risiede
nell’osservazione che l’esame colposcopico ed istologico risulta nella maggior parte delle pazienti
negativo mentre in una percentuale variabile dal 10 al 30% è già presente una lesione intraepiteliale
di alto grado istologica. L’esito citologico borderline, quindi, identifica una popolazione molto
eterogenea, in cui alcune pazienti sono assolutamente sane ed altre hanno già una lesione di alto
grado.
Per questo motivo l’esecuzione della colposcopia risulta inutile per la maggior parte dei casi che
sono sani, ma è indispensabile per poco meno di un terzo dei casi che ha già una CIN di grado 2 o
3. L’approccio colposcopico immediato è stato quindi criticato da alcuni autori e sono state proposte
due strategie alternative alla colposcopia immediata: la ripetizione a breve del test e la tipizzazione
del papillomavirus.
La ripetizione del test a breve termine, dai tre ai sei mesi, si basa sull’assunto che nelle pazienti in
cui la lesione è presente il test ripetuto rimanga positivo, mentre nelle pazienti sane, che non hanno
la lesione, il test ripetuto risulti negativo. Con questo approccio si riduce la percentuale di pazienti
da richiamare per l’esame colposcopico, selezionando il gruppo che contiene i veri positivi. I dati
dimostrano che la ripetizione del pap test ha una buona specificita’ ma una scarsa sensibilità; in altre
parole il piccolo numero di pazienti con un pap test ripetutamente positivo e’ costituito in gran parte
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Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
da pazienti con una lesione istologicamente documentata (buona specificita’), ma vi sono dei SIL di
alto grado istologico anche nel gruppo di pazienti con un pap test ripetuto negativo (sarsa
sensibilita’). Inoltre la sensibilità e la specificità del pap test ripetuto varia a seconda che si consideri
positivo solo un pap test che dimostri minimo una SIL di alto grado rispetto al considerare positivo
qualsiasi risultato citologico anomalo (aumenta la sensibilità a scapito della specificità con il
comprendere nella definizione di positività esiti citologici di grado inferiore – SIL di basso grado,
ASCUS etc…). Infine questo approccio non è scevro di rischi, in quanto alcune pazienti non
aderiscono al programma di follow up e rischiano di essere perdute.
Il secondo approccio alternativo è l’uso dei test di tipizzazione virale. Questa strategia si basa sulla
nota associazione tra HPV e neoplasie cervicali. Dal momento che il pap test borderline identifica
un gruppo eterogeneo di pazienti, alcune perfettamente sane ed altre portatrici di lesione cervicale,
l’ipotesi è che le pazienti che hanno una lesione di alto grado risultano positive al test e che quelle
sane risultino negative. In questo modo è possibile selezionare per la colposcopia solo le pazienti
che hanno un test virale positivo, e che, molto probabilmente hanno una lesione. I dati della
lettarutura dimostrano che il test virale, in particolare quelli dell’ultima generazione (Hybrid Capture
type II, Digene), sono molto sensibili ma poco specifici; in altre parole, se è vero che le pazienti
portatrici di una lesione cervicale, ed in particolare di una SIL di alto grado, hanno il test virale
positivo, il test risulta falsamente positivo anche in molte pazienti sane. In questo modo il test
quando risulta negativo serve ad identificare il gruppo di donne che non ha la SIL e che quindi non
necessita di indagine di secondo livello, mentre chi ha un test positivo deve essere sottoposto ad
ulteriore accertamento per chiarire se è presente SIL oppure se il pap ed il test virale sono risultati
falsamente positivi. L’uso del test per identificare i negativi è un concetto nuovo. Questo tipo di
selezione diventa vantaggiosa a seconda della prevalenza della malattia nel gruppo in esame e
dalla percentuale di positività al test. Nelle categorie con esito citologico borderline questi numeri
variano. Ad esempio, nello studio ALTS, uno dei piu importanti lavori sull’argomento, nel gruppo di
pazienti con esito del pap SIL di basso grado la percentuale di positività al test è risultata intorno all’
80%, quando il gruppo di pazienti con lesione era di circa il 30%, ciò che significa che il test è
risultato falsamente positivo in circa il 50% dei casi (scarsa specificità). Questo risultato ne ha
precluso l’uso come strategia intermedia nelle pazienti con SIL di basso grado citologico. Tuttavia
lo studio ALTS, condotto nel Nordamerica, ha incluso per l’85% pazienti di età inferiore ai 35 anni,
età in cui la falsa positività del test è accentuata. Questa osservazione fa pensare che in popolazioni
un pò diverse il risultato possa anche variare a vantaggio dell’uso del test.
Nelle pazienti con esito ASCUS lo stesso studio ALTS ha dimostrato la presenza di CIN 3
istologicamente documentato del 5%, valore estremamente ridotto rispetto al 30% di positività per
SIL di alto grado istologico rilevato nelle pazienti con citologico SIL di basso grado. Nelle pazienti
con citologico ASCUS dello studio ALTS la positività al test virale è risultata del 50%; variati quindi
i valori di positività al test e di prevalenza di malattia, in questo gruppo l’uso del test per identificare
le pazienti con lesioni importanti si è dimostrato vantaggioso in quanto con un richiamo alla
colposcopia di poco più della metà dei casi sono stati individuati tutti i casi di CIN 3.
In conclusione quindi il valore della tipizzazione virale nella gestione delle pazienti con pap test
anomale è soprattutto rivolte alle donne con esito borderline, in particolare quando l’esito è ASCUS.
I dati della letteratura indicano comunque che l’uso ottimale del test è influenzato dal tipo di
popolazione studiato e quindi suggeriscono un adattamento dell’uso alle necessità locali.
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Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
LESIONI DA HPV DEL TRATTO GENITALE DISTALE:
DIAGNOSI CLINICA.
Mario Sideri
Istituto Europeo di Oncologia, Milano
Negli ultimi ventanni le lesioni genitali da papillomavirus umano del tratto genitale distale hanno
focalizzato l’interesse dei ginecologi. La maggiore attenzione al ruolo del virus nella cancerogenesi
ha comportato il riconoscimento di lesoni virali anche minime, dal dubbio significato clinico. In linea
generale le lesioni da HPV riconoscibili con l’esame clinico e colposcopico sono di tre tipi: lesioni
subcliniche, condilomatosi acuminata e neoplasia intraepiteliale (SIL).
Le lesioni subcliniche sono alterazioni visibili solo colposcopicamente, dopo applicazione di acido
acetico. Esse possono essere osservate su vulva, vagina e cervice; tuttavia hanno un significato
diverso a seconda della localizzazione, in particolare per la localizzazione cervicale.
I condilomi acuminati sono lesioni visibili senza colposcopio; hanno una caratteristica morfologia
verrucoide; vanno alcune volte differenziati dalle lesioni SIL.
Le lesioni SIL, lesioni intraepiteliali squamose, di basso oppure alto grado, hanno caratteristiche
morfologiche e colposcopiche diverse a seconda del sito affetto, cervice, vagina e vulva.
L’importanza della diagnosi è in relazione con il problema della cancerogenesi.
Proprio ai fini della cancerogenesi è bene ricordare che il tumore vulvare è un tumore raro, che
colpisce soprattutto le donne di età avanzata, il carcinoma della vagina è una neoplasia rarissima,
la meno frequente dei siti genitali, mentre il carcinoma cervicale e le lesioni precancerose cervicali
sono molto più frequenti.
• LESIONI DA HPV VULVARI.
Il contributo del papillomavirus alla cancerogenesi vulvare riguarda meno della metà dei casi di
carcinoma vulavre invasivo; infatti gli studi che hanno indagato la presenza di lesioni adiacenti al
tumore hanno riportato una frequenza di lesioni HPV correlate in una percentuale di circa il 30%; la
maggior parte delle neoplasie vulvari insorge nel contesto di lichen scleroso oppure lichen planus.
Tuttavia sull’area vulvare l’applicazione di acido acetico frequentemente dà una falsa positività;
un’irritazione della mucosa vulvare può dare origine ad una reazione positiva; viceversa, lesioni
visibili ad occhio nudo talvolta pongono il problema di diagnosi differenziale tra condilomatosi e VIN.
L’importanza della diagnosi differenziale di queste tre entità risiede nel trattamento: la lesione
subclinica non necessita di trattamento, i condilomi acuminati posso essere trattati con metodica
distruttiva, la VIN necessita di escissione. Infine a livello vulvare è stata descritta ed è comunemente
osservata una forma di “microcondilomatosi” definita micropapillomatosi vestibolare; questa
situazione clinica è stata in passato messa in relazione con il papillomavirus e da taluni considerata
una forma di infezione virale. La micropapillomatosi vestibolare è definita come la presenza, a livello
vestibolare, di papille rivestite da epitelio squamoso, clinicamente simile a quello che riveste le
restanti aree vestibolari. Descritta per la prima volta da Buschke nel 1909 come “papille della corona
del glande” nell’uomo, sono state riportate nel 1983 da Friedrich come “papille vestibolari
fisiologiche” e pù tardi da Ferenczy nel 1987 come “condilomi micropapillari”. Quale è la relazione
con il papillomavirus? In uno studio del 1990, Moyal Baracco e collaboratori hanno studiato 29
donne che presentavano micropapillomatosi e 25 donne con i condilomi acuminati. Non sono state
osservate a livello istologico lesioni HPV correlate in nessuna delle 29 donne che presentavano
microcondilomatosi, mentre, con metodi di biologia molecolare 2 su 29 (7%) presentavano HPV
DNA, che era presente in 24 delle 25 donne (96%) affette da condilomatosi acuminata; Moyal e
collaboratori concludevano escludendo una relazione causale tra microcondilomatosi ed HPV. La
letteratura riporta numerosi studi sull’argomento con dati contrastanti; la percentuale di riscontro di
lesioni HPV correlate a livello istologico o molecolare varia, dallo zero al 100% dei casi esaminati.
In conclusione si può dire che mentre la relazione con l’HPV rimane incerta, è certo che la
micropapillomatosi è una condizione parafisiologica, facilmente distinguibile dai condilomi acuminati
oppure dalla VIN. La biopsia non è dirimente, ed è sconsigliata, poichè la micropaillomatosi
vestibolare non necessita di trattamento. La sintomatologia che può essere associata alla
papillomatosi è generalmente dovuta ad una patologia concomitante.
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Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
• LESIONI DA HPV VAGINALI
Anche a livello vaginale le lesioni da HPV comprendono: lesioni subcliniche, condilomatosi
acuminata, VAIN. Le lesioni subcliniche sono visibili colposcopicamente dopo applicazione di acidio
acetico; generalmente vengono osservate durante una colposcopia effettuata per la presenza di un
pap test positivo. Possono essere lesioni diffuse, in concomitanza con vaiginiti, in particolare da
candida, oppure essere lesioni uni o multi-focali, che appaiono come aree acetobianche oppure non
captanti lo iodio, oppure ancora iodoscreziate. La difficoltà della gestione di queste lesioni risiede
nella possibilità di ascrivere alla loro presenza la positività di un pap test SIL di basso grado oppure
ASCUS, omettendo così la diagnosi di una lesione SIL endocervicale associata. In generale queste
lesioni non necessitano di trattamento, con la sola eccezione delle aree unifocali o multifocali in
numero finito e discreto, che sono passibili di trattamento distruttivo. La condilomatosi acuminata
florida vaginale in generale non pone problemi di diagnosi differenziale. Tuttavia alcune lesioni focali
di tipo verrucoide possono entrare in diagnosi differenziale con la VAIN; in particolare alcune lesioni
condilomatosiche vaginali possono essere responsabili di un pap SIL di alto grado, e quindi porre
problemi di inquadramento diagnostico per la gestione di un pap test positivo. Le lesioni VAIN di alto
grado sono generalmente facilmente riconoscibili per il fine reticolo vascolare. La VAIN di basso
grado rappresenta spesso l’espressione dell’infezione subclinica vaginale: l’approccio terapeutico
deve considerare la scarsissima o nulla propensione di queste lesioni ad evolvere in neoplasia
invasiva.
• LESIONI DA HPV CERVICALI
Anche a livello cervicale le lesioni da HPV si dividono nelle tre categorie, subcliniche, SIL e
condilomi acuminati. In generale la condilomatosi acuminata cervicale è rara e facilmente
distinguibile dalle lesioni SIL e subcliniche. Per queste ultime è bene ricordare che a livello cervicale
tutte le neoplasie squamose sono legate al virus del papilloma; inoltre le lesioni subcliniche quando
insorgono nella zona di trasformazione hanno una potenzilaità oncogenitica e rientrano nella SIL,
sia come inquadramento diagnostico, sia come approccio terapeutico; fanno eccezione le lesioni
cervicali che insorgono al di fuori della zona di trasformazione attiva, per le quali valgono i principi
di gestione per le lesioni subcliniche vaginali: lesioni unifocali oppure multifocali discrete sono
passibili di trattamento distruttivo; anche in questo caso, e forse a maggior ragione, queste lesioni
cervicali necessitano di trattamento per evitare il mancato riconoscimento di lesioni SIL
endocervicali. Infine per le lesioni SIL cervicali l’approcio diagnostico e terapeutico segue le linee
guida di gestione per pap test positivo.
• CONCLUSIONI
In conclusione le lesioni da HPV del tratto genitale distale hanno un diverso significato clinico a
seconda della sede e della relazione con la cancerogenesi; a livello cervicale necessitano di un
approccio diagnostico ed anche terapeutico che tenga presente la facilità, in termini d frequenza,
della trasformazione neoplastica, mentre a livello vulvare ed ancor meno a livello vaginale il
trattamento va riservato alle lesioni floride ed alle SIL di alto grado (VIN/VAIN 2-3). Per le lesioni
subcliniche e di basso grado vaginali e vulvari la necessità di trattamento fisico (chirurgico) va
valutato con una certa cautela, poichè gli effetti collaterali del trattatmento possono essere superiori
ai vantaggi.
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Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
VACCINAZIONE CONTRO L’HUMAN PAPILLOMAVIRUS
L.Mariani, M.Quattrini, R.Sindico, M. Galati
Istituto Regina Elena di Roma
Il riconosciuto ruolo carcinogenetico dell’HPV nella specie umana, unitamente alle acquisizioni di
carattere bio-immunologico degli ultimi anni, ha spinto l’interesse speculativo di molti ricercatori
dell’area ginecologica-oncologica (affiancati da immunologi, virologi, biologi e sostenuti da
numerose multinazionali) verso la messa a punto di vaccini contro l’HPV.
L’obiettivo perseguito è, nell’ipotesi di un vaccino preventivo, l’immunoprofilassi del cancro della
cervice uterina e, nell’ipotesi di una formulazione terapeutica, un significativo contributo al
trattamento della malattia già clinicamente evidente (sia essa in fase invasiva conclamata, che preinvasiva).
La prevenzione primaria del carcinoma della cervice uterina mediante immunizzazione specifica è
certamente l’obiettivo più ambizioso e prestigioso e potrebbe tradursi, secondo Lehtinen (1), in “...510% reduction of overall cancer mortality worldwide”.
E’ ben evidente lo straordinario impatto globale di questo progetto che, per avere la giusta efficacia,
deve essere geograficamente il più ampio possibile, acquisendo quindi una dimensione mondiale.
In questo senso il target prioritario è rappresentato da quei Paesi in via di sviluppo (il Centro- e SudAmerica, l’intera Africa, la quasi totalità delle regioni asiatiche) che per motivazioni logistiche,
territoriali e finanziarie, hanno di fatto grandi difficoltà ad una pianificazione dello screening
citologico. In queste realtà geopolitiche può risultare più efficace intraprendere (sui “tempi lunghi”)
delle direzioni programmatiche alternative al Pap-test, come appunto l’ipotesi di vaccinazione.
Non meno rilevanti sono, tuttavia, le ragioni dell’applicabilità di un simile programma vaccinale nei
Paesi Occidentali, dove il depistage citologico e la gestione della malattia (pre-)neoplastica
cervicale rappresentano un grande impegno in termini di risorse umane ed economiche.
L’ipotesi strutturale su cui poggia la presunta efficacia di questo programma vaccinale sta
nell’induzione di una risposta immunitaria virus-specifica (anticorpi neutralizzanti nel caso di una
programmazione preventiva; CTLs nel caso di un programma terapeutico), tali cioè da
prevenire/curare l’infezione naturale (Schiller2, Robbins3).
In senso assoluto, la comprensione dei fenomeni immuno-biologici che intercorrono tra ospite e
virus (unitamente alla valutazione del ruolo delle proteine virali all’interno del processo
carcinogenetico) sono alla radice della definizione di un vaccino-HPV: sia preventivo, che
terapeutico. L’acquisizione di questo vasto background immuno-biologico si concretizza in:
• conoscenza dei determinanti antigenici virali, identificazione del tipo di vaccino e dello specifico
target di popolazione;
• valutazione delle risorse biotecnologiche per la produzione degli antigeni virali (recombinant live
vectors, protein and peptides, VLPs, edibles vaccines), analisi delle problematiche relative alla
scelta della via di somministrazione (parenterale versus orale) e dell’enhancement della risposta
immunitaria (adjuvants capaci di amplificare l’immunogenicità);
• verifica e valutazione nel modello animale e trasferimento sull’uomo, con tutte le problematiche
legate al rapporto sicurezza/efficacia, non meno che all’accettabilità e compliance.
• pianificazione degli studi di Fase I e II sulla base dei quali attivare large-studies di Fase III, come
di fatto sono in fase di realizzazione.
In termini generali il vaccino preventivo ideale dovrebbe rispondere a quattro prerequisiti
fondamentali:
1. essere multivalente, cioè rappresentare quel pool di tipi virali più frequentemente presente nelle
lesioni cervicali; utilizzando infatti “miscele” di HPV 16,18,31,45 è possibile in linea teorica (cioè
sulla base cioè delle prevalenza dei singoli virus nel cancro della cervice) prevenire sino all’80%
dei cervicocarcinomi (Bosch4). I determinanti antigenici utilizzati a questo scopo sono quelli
definita dalle late proteins (L1, L2). Queste costituiscono il capside virale e interagiscono per
prime al momento del contatto con l’epitelio genitale, generando una risposta immuno-specifica.
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Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
2. evocare una valida risposta umorale (probabilmente anche cellulare) tanto a livello sistemico,
che mucosale.
3. conferire un’efficace protezione a lungo-termine;
4. essere poco costoso e di grande maneggevolezza;
5. essere facilmente accettato dalla popolazione.
Gli elementi che qualificano e differenziano invece un vaccino terapeutico sono la composizione
limitata ai soli tipi virali ad alto rischio (16,18), con una rapida ed efficiente risposta di tipo cellulomediata. I determinanti antigenici sono in questo caso rappresentati dalle early proteins (E1,E7).
Quest’ultime hanno un ruolo centrale nella carcinogenesi cervicale, in particolare le oncoproteine
E6-E7 che, a seguito dell’integrazione genomica e legandosi selettivamente la p53 e pRB,
determinano una disregolazione della crescita cellulare, favorendo il processo di trasformazione.
La capacità delle proteine virali capsidiche L1 e, in misura minore, L2 di autoassemblarsi in VirusLike Particles (VLPs), strutturalmente ed antigenicamente identici ai virioni naturali (tali quindi da
evocare una risposta anticorpale virus-specifica, conferendo una protezione specifica), è stata la
chiave di volta nell’elaborazione di questa tipologia di vaccino. Il processo di self-assembling è stato
descritto dapprima sul modello animale per il BPV (Kirnbauer5) e successivamente confermato per
l’HPV (Schiller 19966).
I VLPs rappresentano, in altre parole, il capside virale vuoto, cioè privo di qualsiasi materiale genico
virale e, pertanto, possono essere somministrati con sicurezza nella popolazione sana.
Il successo di un vaccino profilattico si misura quindi dalla sua capacità di indurre
un’immunizzazione specifica contro il/i tipi virali utilizzati e pertanto di impedire l’attecchimento della
malattia al momento di un futuro contagio. Per queste caratteristiche, le giovani donne all’inizio o
prima dell’attività sessuale (preteens-teenagers) rappresentano il target idoneo di popolazione di
questa tipologia di vaccino.
In considerazione dell’incapacità dell’HPV di crescere in modo adeguato in coltura o
dell’impossibilità di poter trasfettare gli animali di laboratorio, sono stati di fondamentale importanza
gli studi condotti con virus “HPV-affini”su modelli animali: Bovine Papillomavirus (BPV), Canine Oral
Papillomavirus (COPV), Cottontail Rabbit Papillomavirus (CRPV). Rimangono certamente alcuni
dubbi legati a questi modelli sperimentali: come l’utilizzo di animali non-primati, la diversità del virus
utilizzato e la differente via d’infezione rispetto all’HPV (orale-mucosale per il COPV e BPV; cutanea
per il CRPV).
Benché non vi sia dubbio che, come suggerito da Hillemanm “the only real model of vaccines for
man is man himself”, le sperimentazioni animali hanno prodotto dei dati scientificamente molti
rilevati
Da questi studi (Breitburd 19957, Christensen 19968, Suzich 19959), infatti, è emersa l’efficacia dei
vaccini preventivi VLP:
• induzione entro 3 settimane di alti titoli sierici di anticorpi neutralizzanti-specifici:
• >90% degli animali senza evidenza di malattia, rispetto ai controlli che nel 90% hanno invece
sviluppato papillomi;
• immunizzazione della durata di oltre un anno.
L’importanza della risposta cellulo-mediata è di assoluta priorità nelle sperimentazioni condotte con
vaccini terapeutici, cioè che utilizzano le oncoproteine E6E7. Anche in questo campo d’applicazione
è utile ricordare l’efficacia di queste sperimentazioni terapeutiche sul modello animale (HPV6 L2E7
-Thompson10 -, HPV16 L2E6E7 -van der Burg11), così come nei primi studi su pazienti con CIN3 o
carcinoma microinvasivo (Adams12, Kadish13). Sulla base di queste esperienze, come era
prevedibile, si stanno diffondendo sperimentazioni terapeutiche anche su altri distretti anatomici,
come l’area vulvare (Muderspach14) e anale (Klencke15)
Il trasferimento sull’uomo di quanto emerso in letteratura obbliga, specie nell’impiego di un vaccino
preventivo, ad alcune riflessioni:
• l’uso di miscele virali polivalenti è certamente preferibile, non solo per la compresenza dei tipi ad
alto-rischio (16,18,31,...), ma anche per quelli a basso-rischio (6/11). L’utilizzo anche di
quest’ultimi rende infatti maggiormente attraente il vaccino presso l’opinione pubblica,
eliminando un’importante fonte di STD e rendendo più velocemente percepibile il vantaggio del
vaccino (Schiller 2000).
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Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
• L’arruolamento maschile potrebbe risultare difficoltosa per l’estrema rarità dei tumori che, in
analogia con il cervicocarcinoma, sono teoricamente prevenibili: cioè pene ed ano. Il
coinvolgimento del maschio è quindi legato soprattutto all’interruzione del ciclo venereo della
malattia.
• La valutazione dell’end-point finale di un progetto di vaccinazione preventiva (riduzione
significativa di incidenza e mortalità da cervicocarcinoma) richiede un follow-up molto lungo, cioè
adeguato alla storia naturale della malattia (Lowy16). Per questo motivo potrebbe essere
appropriato (anche se questo non trova concordi tutti i ricercatori) programmare degli end-point
alternativi (surrogate-end-points), come la riduzione delle lesioni preneoplastiche.
• L’organizzazione e l’implementazione di trials clinici è un punto molto delicato. E’ necessario, al
fine di un corretto svolgimento dei programmi e della validazione dei risultati, l’identificazione in
alcune aree geografiche che si prestano meglio di altre alla programmazione di trials clinici.
Secondo Alcuni (Paavonen17, Lehtinen 200018) questi dovrebbero essere condotti nelle aree del
Nord Europa, caratterizzate da:
• popolazione femminile relativamente poco numerosa e molto sensibile alle istanze
• preventive,
• screening di massa organizzati, tali da coprire adeguatamente la popolazione,
• accurati registri-tumore di popolazione.
Viceversa, altri Autori (Franceschi) ritengono più opportuno lo svolgimento di dette trias in aree ad
alta densità d’incidenza della malattia (Corea e regioni limitrofe).
• Non va dimenticato che un progetto di prevenzione primaria mediante immunizzazione
profilattica deve essere inserito all’interno del contesto corrente di strategie preventive del
cervicocarcinoma. Questo sta a significare che vaccinazione, da un lato, e programma routinario
cito-colposcopico di prevenzione, dall’altro, devono correre parallelamente: l’uno monitorando e
validando l’altro.
• In base a quanto sopra riferito, paradossalmente ed in contrapposizione ad una delle motivazioni
principali all’implementazione del vaccino, sono previsti sensibili aumenti dei costi della sanità
pubblica per questa materia: per tutto il periodo di tempo (decenni) necessario per convalidare
l’ipotesi vaccinale su larga scala.
• La giovane età del target di popolazione ideale, preteens e teenagers, potrebbe indurre delle
difficoltà nell’ottenimento del consenso informato da parte dei genitori/tutori e nell’adeguamento
ad un rigoroso rispetto del follow-up.
Non va infine dimenticato che i vaccini VLPs (attualmente alla base della maggior parte dei trials
clinici sull’uomo) sono molto costosi e difficilmente applicabili nelle sottosviluppate del mondo. Per
le applicazioni su larga scala, specie nelle aree geografiche più depresse, bisognerà attendere il
completamento dei vaccini edibili, stabili a temperatura ambiente, largamente e facilmente
utilizzabili dalla popolazione.
Di fatto, allo stato attuale, i risultati emersi dalle prime sperimentazioni (sia di Harro che di Koutsky)
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Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
NOTE
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Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
TEST VIRALE E PAP-TEST
NELLO SCREENING DEL CERVICOCARCINOMA
Guglielmo Ronco
Unità di Epidemiologia dei Tumori CPO Piemonte, Torino.
Esistono prove che la ricerca molecolare dell’HPV è più sensibile (ma meno specifica) della citologia
convenzionale nell’individuare Neoplasie Cervicali Intraepiteliali (CIN) di grado 2 o 3 confermate
istologicamente. Tuttavia non esistono attualmente valutazioni dirette della protezione nei confronti
dei tumori invasivi. Alcune delle lesioni in più individuate dal test HPV potrebbero essere regressive.
Lo screening condotto mediante la citologia convenzionale è protettivo e la semplice aggiunta di un
nuovo test agli stessi intervalli potrebbe condurre ad un rapporto costi-benefici sfavorevole.
L’infezione da HPV sembra precedere di molto tempo la comparsa di lesioni intraepiteliali di alto
grado e potrebbe essere usata per selezionare donne (HPV negative) a basso rischio di sviluppare
CIN di alto grado per anni, che potrebbero essere sottoposte a screening ad intervalli lunghi. In più,
quelle HPV positive sono a rischio relativamente alto e dovrebbero essere sottoposte a follow-up
più stretto. I dati disponibili permettono di formulare questa ipotesi ma essa deve essere confermata
da studi ad hoc.
Per questo motivo è stato iniziato uno studio multicentrico italiano, i cui obiettivi principali sono
valutare (A) la protezione fornita dal test HPV ad intervalli prolungati rispetto alla citologia
convenzionale ogni 3 anni (B) i costi, in termini di numero e tipo di test necessari e di effetti
indesiderati, (C) le migliori età di inizio e fine e (D) la miglior gestione delle donne positive al test
HPV.
Si tratta di uno studio multicentrico randomizzato che coinvolge 8 programmi organizzati in 6
Regioni italiane. Sono eligibili donne di età tra 25 e 60 anni che si presentano per un nuovo round
di screening. Si prevede di randomizzare ad ogni braccio circa 50000 donne.
Le donne nel braccio convenzionale hanno una citologia convenzionale ogni 3 anni. Nel braccio
sperimentale sono previste due fasi. Nella prima fase un prelievo in fase liquida viene testato per
HPV (Hybrid Capture II probe mix B) e citologia in strato sottile. Nel secondo periodo è prevista
l’esecuzione del solo test HPV. Nel periodo 1 le donne HPV positive ma citologicamente negative
vengono direttamente inviate in colposcopia se di età. <=35 anni mentre ripetono dopo un anno se
di età < 35. Se la colposcopia è negativa, le donne HPV positive sono seguite ad intervalli annuali.
Le donne di entrambi i bracci verranno sottopose a screening con citologia convenzionale 3 anni
dopo il reclutamento. La misura principale di outcome sarà la Detection Rate di CIN2/3 confermate
istologicamente al reclutamento (anche per singolo test sperimentale) e dopo 3 anni ed il tempo
delle diagnosi di CIN2/3.
Il reclutamento è iniziato nella primavera del 2002. Alla fine di gennaio 2003 erano state reclutate
poco meno di 40000 donne.
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Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
HPV TYPING NELLE PAZIENTI CON PAP TEST “BORDERLINE”
Massimo Origoni
Clinica Ostetrica e Ginecologica
Università Vita Salute San Raffaele, Milano
Le classificazioni citologiche relative alla terminologia da utilizzare nella diagnostica cervicale hanno
subito una continua e progressiva evoluzione e ridefinizione negli anni, fino all’attuale standard
classificativo, rappresentato dal Bethesda System. Una delle attuali e più stimolanti questioni
ancora aperte rimane il management dei casi in cui sono presenti aspecifiche anomalie cellulari
dell’epitelio squamoso cervico-vaginale che non consentono una definitiva collocazione diagnostica:
ASCUS (Atypical Squamous Cells of Undetermined Significance).
Recentemente è stata proposta una ulteriore sottoclassificazione dell’ASCUS, a seconda della
maggiore probabilità di individuare casi di lesione intraepiteliale, casi di processi reattivi, casi che
rimangono inclassificabili:
• ASCUS-Premalignant Process Favored
• ASCUS-Reactive Process Favored
• ASCUS-Undefined
Negli Stati Uniti vengono classificati ASCUS circa 2 milioni di casi ogni anno; uno studio condotto
sui laboratori di citodiagnostica americani ha evidenziato una mediana di diagnosi ASCUS del 2,9%,
con punte massime, nel 10% dei laboratori, superiori al 9%. Un’altra esperienza molto interessante
ha dimostrato che la diagnosi di ASCUS non è riproducibile, anche da parte di citologi molto esperti.
Poiché è stato dimostrato che, in questi casi è diagnosticabile una lesione cervicale severa nel 1013% delle pazienti, appare evidente come si renda necessario identificare la migliore strategia
diagnostica per giungere ad una definizione conclusiva dei casi. Fino a non molto tempo fa le uniche
due opzioni cui indirizzare queste pazienti erano rappresentate da: invio alla colposcopia vs.
ripetizione dell’esame citologico.
Le grosse obiezioni a queste scelte sono rappresentate dai costi ingiustificati dei troppi falsi positivi
inviati alla colposcopia e la possibilità che la insufficiente sensibilità del Pap test possa ripetersi
anche ad un secondo test citologico.
Recentemente, con la disponibilità crescente di test di HPV typing semplici e standardizzati, si è
aggiunta questa terza opzione. Pertanto, le ultime linee guida dell’American Society of Colposcopy
and Cervical Pathology (ASCCP) individuano queste possibile scelte:
1. ripetizione del Pap test ed invio alla colposcopia in caso di secondo test “anormale”
2. invio immediato alla colposcopia
3. identificazione dei casi con HPV ad alto rischio ed invio alla colposcopia
Su questa scorta sono comparsi in letteratura, soprattutto negli ultimi 3 anni, i risultati di una serie
di studi, cross-section e longitudinali che hanno confrontato le tre opzioni, valutandone sensibilità,
specificità e rapporto costi-benefici.
Lo studio sicuramente più significativo sul piano numerico è rappresentato dal lavoro ALTS
(ASCUS/LGSIL Triage Study) del 2001 (J Natl Cancer Inst. 2001), che ha considerato 3488 casi di
ASCUS, randomizzati nei tre gruppi di opzioni; la prevalenza complessiva di CIN3 istologico è stata
del 5,1%; gli Autori hanno riportato una sensibilità dell’HPV typing del 96,3% di identificazione dei
casi di CIN3, considerandolo quindi una consigliabile linea guida.
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Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
In un altro studio multicentrico condotto tra 12 centri ginecologici (JAMA 1999) sono stati reclutati
995 casi di ASCUS (3,5% del totale) con una prevalenza di HGSIL istologico del 6,7%; in questa
casistica la sensibilità dell’HPV typing nei confronti di una lesione di alto grado è stata dell’89,2%
con una specificità del 64,1%. La sensibilità della ripetizione della citologia è stata del 76,2%. Il
valore predittivo positivo del triage basato sul test virale è stato del 15,1% contro il 12,9% della
citologia ripetuta; il valore predittivo negativo è stato del 98,8% in caso di HPV typing e del 97,4%
in caso di Pap test ripetuto. La conclusione degli Autori è stata che il test virale e il pap test ripetuto
forniscono sovrapponibili risultati nell’identificazione di una lesione di alto grado, con la differenza
che la tipizzazione virale riduce il numero degli invii alla colposcopia e dei follow-up.
Di orientamento differente è una valutazione (Obstet Gynecol 2001) critica dell’ALTS fatta da A. L..
Herbst e coll. Che evidenziano i seguenti punti discutibili: alto numero di colposcopie e biopsie
cervicali successive ad HPV typing, scarso controllo di qualità istologico e assenza di follow up
completato nel gruppo costituito dai casi in cui è stato ripetuto il Pap test; per questi motivi si
conclude che non si evidenziano elementi significativi per suggerire l’uso routinario del test virale
nel management dei casi ASCUS.
Globalmente si può affermare che la problematica della validità dell’esecuzione routinaria della
tipizzazione virale nei casi di Pap test “borderline” rimane ancora una questione aperta, anche se
sembrano prevalere elementi a favore; la grossa mole di lavoro scientifico che in questi anni è stata
fatta e che fornirà a breve i suoi risultati conclusivi probabilmente sarà in grado di definire questa
interessante questione.
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Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
TEST VIRALE NEL FOLLOW-UP DELLE PAZIENTI
TRATTATE PER CIN
Silvano Costa
Unità Operativa di Ginecologia ed Ostetrica, AUSL S. Orsola-Malpighi, Bologna
e-mail: [email protected]
In collaborazione con l’Istituto di Microbiologia dell’Università di Bologna, è stato condotto uno
studio prospettico su di un gruppo di più di 250 casi presentatisi alla U.O. di Ginecologia di Ostetricia
e Ginecologia, Policlinico S.Orsola-Malpighi, Bologna, nel periodo 1998-2000 per una lesione
preinvasiva cervicale diagnosticata sia al Pap test che alla biopsia*.
*In corso di stampa su “Gynecologic Oncology”
Un primo dato interessante emerso dall’analisi è che nessuno dei 15 carcinomi invasivi diagnosticati
sul cono erano stati identificati dai precedenti esami, a conferma dell’importanza della terapia
escissionale nella CIN. (1-5).
Il fattore predittivo più significativo per presenza di lesione di alto grado/carcinoma sul cono era
rappresentato dal rilievo di HPV ad alto rischi oncogeno, seguito dall’indice di esposizione e dal
numero dei partners.
L’interessamento dei margini endocervicali, unitamente all’istologia sul cono, all’età ed
all’estensione della lesione erano in analisi multivariata i più importanti fattoti predittivi di persistenza
di HPV-DNA dopo terapia.
La terapia escissionale si è dimostrata efficace sia nell’eradicazione della lesione sia nella
guarigione dell’infezione, con un indice di ”clearance” di poco inferiore al 70%, e notevolmente più
alto al tasso di guarigione spontanee (6).
L’80% dei casi di lesione persistente era HPV-DNA positiva per ceppi ad alto rischio, mostrando il
test per HPV-DNA una sensibilità superiore alla citologia nell’identificare le lesioni residue (7,8).
I risultati del nostro studio sono confermati dai dati emersi da una meta-analisi sugli otto lavori
pubblicati ad oggi riguardanti la valenza del test virale nel controllo della terapia escissionale per
CIN. Pur se difformi nel numero delle pazienti esaminate, metodologie di studio e protocolli di followup, i risultati cumulativi paiono interessanti e meritevoli di ulteriori approfondimenti (9-18).
Su di un numero complessivo di 668 donne trattate per neoplasia intraepiteliale (CIN 1-3) e
esaminate per la presenza di HPV-DNA nel post intervento, 195 hanno presentato una
persistenza/recidiva. HPV DNA era presente in 163/195 (83.6%) e negativo solo nel 16.4%. L’82%
delle 473 donne con guarigione completa risultavano negative al test virale.
Questi dati sembrano sottolineare l’importanza del test virale nel follow-up post trattamento delle
pazienti con CIN per il ben noto rischio di escissione incompleta, recidiva od evoluzione verso la
neoplasia invasiva delle lesioni cervicali associate alla persistenza, dopo la terapia, di ceppi virali
ad alto rischio.
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Papillomavirus Umano e Neoplasie Cervicali 20 Anni Dopo: Cosa Sappiamo di Nuovo
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