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club milano n. 36 Ezio Bosso: «La musica è spazio condiviso, non esiste ascolto. E noi abbiamo la responsabilità di coinvolgere» Viaggio nelle enoteche di città: da quelle storiche dove sentirsi milanesi DOC a quelle dove fare nuove amicizie Se non soffrite il freddo e non temete la velocità, quest’inverno potreste provare uno sport nuovo: l’ice sailing Sempre meno persone prendono appunti a mano, ma in tutta Italia fioriscono numerosi i corsi di calligrafia gennaio - febbraio 2017 Antonio Marras: «La moda è un lavoro serio, che richiede tempo e passione per poter lasciare il segno» − pagina 16 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO/MI 3,00 euro SHOWROOM MILANO | NEW YORK | TOKYO T. 800 835 039 LBM1911.IT editorial Fuori classifica Le classifiche sono come i sondaggi, la Nutella e la Coca Cola. Non ne puoi fare a meno ma sai che dietro si nasconde il trucco. Fintanto che le si prende con leggerezza possono anche essere divertenti, il problema sorge nel momento in cui le si eleva a strumento utile, se non addirittura indispensabile, per costruirsi un’opinione. Proprio negli anni del boom rappresentato da Expo, Milano è crollata dal 1° al 48° posto nella speciale classifica italiana sulla qualità della vita (stilata da Italia Oggi e Università La Sapienza a novembre 2016). Quali siano i parametri di valutazione e come vengano pesati è sempre un po’ un mistero. Di certo, per chi ci vive, è evidente che Milano non è Mantova (oggi leader) e neppure Crotone (ultima), ma è qualcosa di completamente diverso. È come chiedere se è più buona una mela o la pizza. Rispetto a una qualsiasi città di provincia abbiamo più traffico, più smog, più giocolieri (e imprecazioni) ai semafori, meno asili e più cari, la trattoria è spesso solo sull’insegna e non sul conto da pagare, la pausa pranzo dura meno di un’ora e se sei fortunato la fai al bar e non certo a casa tua, un trilocale è un lusso per pochi, il parcheggio una chimera. Però può capitare di decidere all’ultimo minuto di andare a vedere una mostra di Basquiat, un concerto, di avere l’imbarazzo della scelta se mangiare indiano, thailandese, giapponese, oppure una pizza alta, bassa, al taglio o fritta. Puoi essere elegante anche senza marca, puoi essere ricco anche in bicicletta e nel week end decidere di andare al mare, a sciare o al lago. E tutto in meno di due ore. Oppure scegliere di andare a visitare le ricchezze artistiche di Mantova (proprio lei, la capoclassifica) senza alcun complesso di inferiorità, piuttosto con un po’ di stress in più addosso. In realtà Milano dovrebbe essere fuori classifica perché ha caratteristiche uniche che altre città non hanno. In particolare il gusto per la condivisione (spopola il coworking e qualunque forma di sharing) e l’esaltazione del diverso da sé come valore da ricercare e non da temere. Una rarità, soprattutto in quest’epoca in cui la cultura “trumpista” sembra dominare. La verità è che chi ha scelto di vivere a Milano difficilmente potrebbe accontentarsi di qualcosa di meno, per quanto più comodo e meno stressante. È come una donna bellissima che ti obbliga a tenere alta la soglia di attenzione, ti stanca, ma non riesci a farne a meno. Proprio come una bella classifica. Stefano Ampollini VIA DELLA SPIGA 30 4 contents Scopri tutti i prodotti che Volkswagen Financial Services ha ideato per te. Volkswagen raccomanda point of view 10 focus Calligrafia dell’anima Spazio al pensiero di Roberto Perrone di Marilena Roncarà inside 12 interview Brevi dalla città Ezio Bosso a cura di Elisa Zanetti di Nadia Afragola outside 14 focus Brevi dal mondo Milano in un sorso a cura di Elisa Zanetti di Elisa Zanetti cover story www.volkswagen.it 26 28 Nuova Tiguan. Connected with your life. 30 16 Antonio Marras di Nadia Afragola interview 32 Gigi Simoni di Simone Sacco focus 34 La città s’illimpidiva di Marilena Roncarà portfolio 20 Osservatorio Milanese foto di autori vari Nuova Tiguan 1.6 TDI di serie con: Radio touch da 8” con App-Connect Fari posteriori a LED Front Assist Park Pilot Lane Assist Climatronic 3 zone Tua a 26.500 euro. Solo a gennaio. Via Novara 235, Milano Via Inganni 81/A, Milano Tel. 02 438181 www.autorigoldi.it Nuova Tiguan 1.6 TDI Style BlueMotion Technology 85kW/115 CV da € 26.500 (IPT escl.). Listino € 29.000 meno € 2.500 (IVA incl.) grazie al contributo Volkswagen e delle Concessionarie Volkswagen. Offerta valida per contratti entro il 31.01.2017. La vettura raffigurata è puramente indicativa. Valori massimi: consumo di carburante ciclo comb. 7,4 l/100 km – CO2 170 g/km. 6 contents focus 38 hi tech 50 Scripta manent Quando la tv è Ultra (HD) di Carolina Saporiti di Paolo Crespi handwriting 40 weekend In bella scrittura Storie preziose di Alessia Delisi di Carolina Saporiti style 42 52 weekend Urban gentlemen Carnevale tutto l’anno di Elisa Anastasino di Tullia Carota 54 overseas 56 Mi Buenos Aires querido di Andrea Zappa sport 44 Sailing on the rocks di Andrea Zappa design 46 food Giardino d’inverno Gourmet in quota di Marzia Nicolini di Marzia Nicolini 58 food 60 Felix Lo Basso di Roberto Perrone free time 62 Da non perdere a cura di Enrico S. Benincasa secret milano 64 Il luogo che non c’è di Elisa Zanetti In copertina wheels 48 Antonio Marras Genio volante Foto di Matteo di Ilaria Salzano Cherubino Sealup Flagship Store Via Brera 3, Milano – www.sealup.net 8 point of view roberto perrone Giornalista e scrittore, vive a Milano ma ha solidi radici “zeneisi”. Si è occupato di sport, food e viaggi a “Il Corriere della Sera”. Ora è freelance. Il suo sito è perrisbite.it. A febbraio è uscito il suo primo noir, La seconda vita di Annibale Canessa (Rizzoli) Calligrafia dell’anima Il più bell’esempio di calligrafia lo ricordo ancora adesso con un po’ di dispiacere per il fatto che è andato perduto. Lo conservavo, insieme con le tante lettere che avevo ricevuto da amici e amiche di ogni parte d’Italia, qualcuna pure dall’estero, in una scatola che mia madre infilò in un cassonetto in un momento di iconoclastico repulisti (senza prima avvertirmi, ovviamente). Erano un paio di fogli vergati con una mano leggera e con una calligrafia perfetta, con le righe straordinariamente diritte, precise, come se ci fossero state delle linee di supporto. E poi non c’era una sbavatura, non c’era uno svolazzo di inchiostro che rovinasse l’impatto visivo. La penna della mia amica Lella aveva trasformato due salviette di carta delle allora FFSS, cioè le Ferrovie dello Stato, recuperate nel bagno della carrozza di un treno, in un perfetto esercizio di calligrafia. Non ho mai capito come avesse potuto scrivere là sopra, su una carta porosa, insidiosa, senza bucarla, senza sporcarla. Era ed è un’artista e infatti quella per me era un’opera d’arte. E come tante opere d’arte è andata perduta. Come è andata perduta la nostra abitudine a scrivere a mano in buona e meno buona calligrafia. Non so da quanto tempo non scrivo una lettera che non sia in formato mail. Eppure la scrittura mi affascina e acquisto una stilografica almeno una volta all’anno. Io credo che la scrittura dica molto di noi, di come siamo, di quello che pensiamo. Scrivere era qualcosa che ci apparteneva, che ci faceva unici, che ci rendeva speciali. Scrivere, con una calligrafia che fosse comprensibile, perché c’era anche questo sforzo da fare, rappresentava anche una fatica, era un gesto molto più impegnativo di quello che compiamo pigiando sui tasti di un computer, di un cellulare, di un tablet, insomma di quelli che oggi chiamiamo device. Ricordo la gioia di trovare nella cassetta delle lettere una busta con il mio nome scritto sopra, in una scrittura diversa, magari femminile, l’ansia di leggere di cosa si trattasse. Ricordo di lettere scritte a ragazze di cui mi ero innamorato in cui cercavo di dire e non dire, spesso di saggiare il terreno per non affondarvi con i miei sentimenti. Spesso in questa pagina racconto del passato, di quello che non c’è più. I cinema spariti, i telefoni a gettone, le mezze stagioni. Non è rimpianto, è storia. Il mondo va avanti e questi aggeggi che maneggiamo ora sono comodi. Lo faccio per ricordare, prima di tutto a me stesso, che sono stato felice e comunicativo anche senza WhatsApp, SMS, social vari e assortiti e che mi piaceva scrivere, la sera, ai miei amici e alle mie amiche (di più) per raccontare di me. E se mia madre non avesse distrutto tutte quelle lettere adesso cercherei di capire se allora dicevamo di noi di più con la calligrafia di quello che ora diciamo con gli strumenti elettronici. Sarebbe un bell’esercizio: capire la calligrafia della nostra anima. Roberto Perrone 10 INSIDE Su il sipario Ricomincia in grande il 15 febbraio con la Compagnia Marionettistica Carlo Colla & Figli che torna nel luogo che per più di mezzo secolo è stato la sua casa, la programmazione del Teatro Gerolamo. Questo gioiello architettonico a pochi passi dal Duomo riapre dopo 33 anni di oblio e 10 di restauro e per il rinnovato debutto i Colla portano in scena proprio quel personaggio di Gerolamo che al teatro ha poi dato il nome. www.teatrogerolamo.it Live Wine Torna a Milano il Salone Internazionale del Vino Artigianale. Ospitato dal Palazzo del Ghiaccio il 18 e il19 febbraio l’evento porterà a Milano 150 cantine italiane e straniere. Durante la manifestazione si potranno seguire incontri e degustazioni a tema, mentre durante le serate Live Wine Night alcuni luoghi selezionati della città offriranno approfondimenti in compagnia di vignaioli. www.livewine.it Škoda Preview Si chiama Kodiaq ed è il nuovo arrivato di casa Škoda. Presentato con una preview esclusiva da AutoRigoldi, in una serata presso lo showroom di via Pecchio 10, questa automobile colpisce per il suo look imponente, grazie alla combinazione di design e ampi spazi interni. Dotata di sistemi di sicurezza e assistenza all’avanguardia e di sistemi di connettività innovativi, Škoda Kodiaq rivoluziona il mondo dei SUV. Gli amanti delle sportive ameranno la funzione off-road, che rende sicure anche le avventure fuori strada. www.autorigoldi.it A tempo di musica Orologio ufficiale e sponsor della stagione d’Opera, da molti anni Rolex sostiene le attività del Teatro alla Scala: anche quest’anno il noto marchio di orologeria è stato partner della serata inaugurale di Sant’Ambrogio e ha scelto di sostenere il Concerto di Natale e il programma Grandi Artisti alla Scala, con una serie di concerti che si chiuderanno il 19 settembre con Tamerlano con Plácido Domingo. www.rolex.com La casa dell’arte Riapre dopo 25 anni la Casa D’arte Spagna Bellora, che nella seconda metà degli anni Ottanta fu luogo di scambio e di dibattito culturale attento alle esperienze italiane e internazionali. Il progetto prevede di accostare opere storiche ad alcuni lavori recenti e per festeggiare inaugura una mostra dedicata a Alessandro Algardi, Agostino Ferrari, Umberto Mariani, Giorgio Milani, Kyoji Nagatani e Tino Stefanoni. 12 outSIDE Ommm… Un weekend dedicato alla scoperta dello Yoga e delle sue tante sfaccettature. Giunto alla 17esima edizione, YogaPorteAperte coinvolge centri e insegnanti di tutta Italia proponendo un programma di incontri per gli appassionati, con la possibilità per il pubblico interessato di partecipare a lezioni gratuite di prova, conferenze, dibattiti, proiezioni di video e altre iniziative. Quando? Durante il weekend del 28 e 29 gennaio. www.insegnantiyoga.it Banff Mountain Film Festival Imprese di atleti ed esploratori, grandi spazi selvaggi e natura incontaminata. Sono i protagonisti del Banff Mountain Film Festival World Tour Italy, la rassegna cinematografica che porta in Italia i migliori film del Festival del Cinema di Montagna di Banff, in Canada. Giunta alla sua quinta edizione, la rassegna tocca 26 città italiane a partire da Torino il 13 febbraio. Tra i titoli spicca Poumaka, che racconta l’apertura di una nuova via sulla torre omonima situata sull’isola di Ua Pou, in Polinesia. www.banff.it Prêt-à-porter È una mostra da indossare Prêt-à-porter di Giovanni Frangi. Inserita nel programma di eventi ideati per Pistoia Capitale Italiana della Cultura 2017, dal 5 febbraio al 2 aprile, l’esposizione dà vita a Palazzo Fabroni. Gli spazi espositivi sono infatti parte determinante del processo creativo dell’artista. Ogni opera si lega al contesto architettonico e storico dell’edificio, raggiungendo un suggestivo equilibrio compositivo. www.palazzofabroni.it Una laurea in caffè Sono in 28 e vengono da 17 Paesi del mondo. Sono gli studenti che hanno raggiunto Trieste per frequentare il settimo anno del Master in Economia e Scienza del Caffè promosso da Illy. Unico al mondo, questo corso offre ai giovani laureati una preparazione a tutto tondo sulla cultura del prodotto, dalla pianta alla tazzina, sulla valenza sociale ed economica del caffè e sulla cultura dei Paesi produttori. www.illy.com 14 Storie per immagini Prosegue Storie di EOS 5 Tour, l’evento organizzato da Canon e partito il 5 novembre da Milano, che avrà come ultima tappa Bari, il prossimo 11 febbraio. Durante la giornata gli amanti della fotografia potranno incontrare alcuni grandi fotografi italiani, partecipare a seminari tecnici e testare le ultime novità della casa giapponese. L’appuntamento sarà anche l’occasione per vedere gli scatti che hanno preso parte al contest dedicato alla serie Canon EOS 5D. www.canon.it/eos5tour Cover story Cover story ANTONIO MARRAS SEGNI RICONOSCIBILI Nato ai confini dell’Impero, come dice lui, per lo stilista sardo tutto può accadere, basta crederci. Appassionato di cinema, con la moda riesce a dare libero sfogo a quello che gli piace di più: dalla danza al teatro, dalla poesia alla letteratura. Nonostante sia legato alla sua terra natale, Marras si è radicato bene anche a Milano, una città piena di segreti, ma capace di aprirsi a chiunque di Nadia Afragola - foto di Matteo Cherubino Antonio Marras è il più intellettuale degli stilisti. Il più francese degli italiani. È stato tra i protagonisti dell’ultima Settimana della Moda Uomo di Milano con una sfilata, performativa, in Triennale, luogo che prima di aprire le porte alla nuova collezione, gli ha dedicato una mostra: Nulla dies sine linea. Vita, diari e appunti di un uomo irrequieto, nata per celebrare vent’anni di «stracci e pasticci». È un’isola felice la sua, come quella che gli ha dato i natali e che custodisce ancora oggi il suo laboratorio e lo studio di progettazione, la Sardegna. Si presenti... Nasco ai confini dell’Impero. In Sardegna, ad Alghero, un’isola nell’isola dove si parla ancora il catalano. Sono attaccato a quel posto in maniera viscerale, quasi morbosa, ma c’è in me da sempre il bisogno di andare via pur restando. C’è un confine da superare che è il mare e c’è un approdo che è solo una tappa di un viaggio che non finisce. Non ho pace in nessun luogo. Nasco con un DNA preciso: mio padre aveva un negozio di tessuti, fu il pri16 mo a portare Fiorucci in Sardegna negli anni Settanta. Il mio primo viaggio fu a Milano proprio da Elio. Ho iniziato a seguire il negozio di papà che nel frattempo si è ammalato ed è mancato nel giro di pochi mesi. Un signore, un bel giorno, mi ha chiesto di disegnare una collezione, l’ho ignorato per due anni, nel frattempo mi sono diplomato in ragioneria nonostante i miei problemi con i numeri. Non ricordo una data, non so le tabelline, ho dei problemi di discalculia. Sono la prova vivente che tutto può accadere. La mia passione vera è il cinema, la moda è un modo per mettere in scena quello che mi piace: la danza, il teatro, la poesia, la letteratura. Dice spesso che la sua arte è fatta di «stracci e pasticci». Ci spieghi meglio. Devo riempire pagine, imbrattare superfici, incollare, attaccare, sovrapporre, togliere, cancellare, rimettere, aggiungere, incastrare, incasellare e poi scomporre di nuovo tutto per cercarne l’armonia. Qualche volta queste cose trovano un loro perché che comprende tutto quello che ho in mano, da un ritaglio di foto, agli smalti di Patrizia (la moglie, NdR). Tutto diventa materiale utile per raccontare questa mia necessità di lasciare il segno… di riempire vuoti. Sono pasticci dei quali mi vergognavo, solo Maria Lai a suo tempo riuscì a convincermi del loro valore. C’è voluto tempo perché fossero esposti, incasellati e perché trovassero dimora in vecchie cornici prima e in un luogo come la Triennale poi. La Triennale ha riservato ai suoi 500 quadri e alle installazioni di una carriera oltre 1.200 mq. Che legame c’è fra i segni e la cornice? Francesca Alfano Miglietti è stata la curatrice e ricordo ancora quando è venuta da me la prima volta. Si è fermata due giorni e ne è uscita ubriaca: le ho proposto di vedere una carrellata di cose che erano lì da una vita. Dopo un iniziale spaesamento è stata bravissima a riprendersi. Ho avuto poi sei mesi per mettere ordine: il mio è un lavoro in serie. Sono un “serial killer”, mi piacciono le cose ripetute, i multipli. Una richiesta precisa: nessun ambito, anche se c’è una stanza vietata ai mi17 Cover story nori. Vuol dire che è diventato talmente bravo da superare i confini della moda? Sono stato molto contento di questa richiesta, continuavano a chiedermi quale collezione avrei esposto e alla risposta che non ci sarebbe stato nessuno dei miei abiti la reazione era sempre la stessa, sconcerto. Mi sono messo a nudo e ho letto quella richiesta estrema, folle e scriteriata come un profondo atto di fiducia da parte di Silvana Annicchiarico, la direttrice della Triennale. Voleva vedere solo le mie cose delle quali forse aveva coscienza, ma non nella dimensione che poi hanno assunto. Ho ripreso in mano la mia vita, l’ho adattata al luogo, l’ho fatta dialogare con lo spazio, un luogo ostico, una curva bianca, asettica, che ho provato a rimpicciolire, accostandola alle pareti, come dentro un utero. Ci sono delle barriere di abiti non miei da superare, vecchie giacche appartenute a un’orchestra, camicie intrise di lavanda bianca, che ricordano l’odore del bucato e provano a farti sentire amato, protetto, accudito. Da bambino era dislessico. È per questo che ha cercato respiro nella pittura e nella fotografia? Ho un problema grandissimo a leggere a voce alta e avevo un maestro terribile che me lo imponeva nonostante questa mia paura. Una tortura: finivo sempre per inventare parole che non esistevano pur di andare avanti. La pagina scritta era un muro di lettere che bloccavano la mia mente, capace di trovare respiro solo nelle pagine illustrate. La prima cosa che ricordo della mia antologia è una foto con un campo bianco e un taglio al centro: un taglio di Fon18 Cover story tana, non sapevo chi fosse all’epoca e non osai chiederlo. Era una ferita dove potevi entrare, passare e andare oltre. Mi si è aperto un mondo. E così ho iniziato a interessarmi solo alle cose che mi garantivano respiro, come la poesia. Ha però sempre trovato quel fil rouge necessario a fare di singoli capi una collezione completa: come si arriva a un’idea d’insieme? Il mio lavoro nasce dalla ricerca dei tessuti, incontro ancora i fornitori con i quali ho un rapporto stretto e ai quali posso chiedere qualsiasi cosa. Mi dicono che sono pazzo e poi alla fine riusciamo a trovare quello che mi piace. Sanno che mi devono far vedere errori, sbagli, quello che nessuno vuole, è lì che puoi costruire poi una storia. Il processo creativo non ha un iter sempre uguale, parto da una lettera, un quadro, un film, un romanzo, una persona che ho incontrato, un dettaglio... e da lì mettendo insieme frammenti, bottoni, provo semplicemente a vedere cosa succede. Nel 2003 diventa stilista per la linea prêt-à-porter della maison francese Kenzo. Nel 2006 rivoluziona il concept e nel 2008 è promosso direttore artistico globale del marchio. Come si rivoluziona un mondo? Rispettando il DNA del brand. Di solito chi arriva cerca di cancellare, togliere, annientare, buttare via, sradicare quello che c’è stato prima. Alle volte funziona ma non sempre. Credo che non si possa lavorare nel presente guardando al futuro se non si dà un’occhiata al passato. È stato un periodo molto intenso, una tappa di un viaggio molto lungo. Quell’equilibrio dei contrasti così tangibile nelle sue collezioni come si raggiunge? Con assoluta incoscienza. Agisco e mi muovo come un animale, per istinto. Sono un sardo marino, cocciuto, determinato, ascolto tutti ma faccio come penso sia opportuno fare. Porto avanti un’idea, un concetto ma spesso parto da cose che non mi piacciono, che ho trovato brutte, irritanti fino a poco prima e poi a un certo punto scatta in me il desiderio per certi dettagli sui quali mi accanisco, fino a quando non trovo la soluzione e quei particolari diventano parte integrante della collezione. Devo poi lottare con una serie di persone che mi danno sistematicamente del pazzo. Franca Sozzani era molto più di una semplice editrice italiana per la moda, l’Italia e la città di Milano. Cosa resta di questa donna così esile eppure così carismatica? Un vuoto. È riuscita a fare di un giornale, un baluardo, il biglietto da visita nel mondo dell’Italia. Sceglieva dei fotografi che trasformavano quel giornale in oggetto del desiderio da possedere anche solo per quei servizi. E poi aveva dei collaboratori straordinari, penso a Mariuccia Casadio, a Patrizia Gatti, Cesare Cunaccia che facevano del giornale “quel giornale”. Come definirebbe Milano? Milano è una bella donna. È una città nella quale sto molto bene, che negli anni è cambiata tanto, migliorata in maniera straordinaria, con i problemi che non può non avere una capitale così importante. È una donna piena di segreti che si apre in maniera piacevole Nonostante Marras è il concept store aperto a Milano nel 2012. Un po’ negozio, un po’ libreria e un po’ bar, si trova al civico 8 di via Cola di Rienzo e totale, mi piace pensare di poterla vestire con uno di quei manteau che Biki (Elvira Leonardi Bouyeure, NdR) fece per Maria Callas. Spesso le sfilate di oggi prendono il via nel web e poi arrivano in passerella... è finita un’epoca o è solo cambiato il modo di fare moda? Nessun computer, tv o mezzo di proiezione ti possono regalare l’emozione e quell’atmosfera magica che vivi durante una sfilata. Un tempo le signore in prima fila potevano illustrare ma non pubblicare se non dopo mesi i loro disegni, pensate a Brunetta (Mateldi, NdR) geniale disegnatrice di moda. Oggi le prime file sono occupate da blogger e le giornaliste faticano a essere inserite. Quando mi chiedono chi ho in prima fila potrei uccidere. La moda è un lavoro serio, pesante, richiede tempo, passione, coinvolgimento, non può riassumersi con chi occupa la prima fila. Nessuno applaude più, sono tutti con il telefono in mano a fare foto. Sono cambiati i tempi, cambieranno ancora ma quei cinque minuti restano lì e raccontano il lavoro di sei mesi. Le persone vedono anche dieci sfilate al giorno, devi essere bravo a lasciare il segno. Perché ha deciso di far sfilare le collezioni femminili e maschili insieme? Ho bisogno di raccontare un universo, una storia che sia mia e mai come in queste stagioni sento l’esigenza di intersecare l’uomo con la donna, la prima con la seconda linea. È stato un anno in cui ho avuto la possibilità di mostrare un altro me. La mostra in Triennale mi ha spogliato e unendo uomo e donna, credo di essere riuscito a raccontare il mio mondo e una parte di quello che sono. Quante persone lavorano a una sua sfilata? Sommando tutte le varie fasi di lavorazione si va dalle 400 alle 500 persone. Lavora nella moda eppure il suo quartier generale, il suo laboratorio è ancora in Sardegna. Perché ha scelto di complicarsi la vita? Anche lo studio di progettazione è lì. Devo rendere articolata la mia vita, le cose semplici non vanno bene, mi annoio, ho bisogno di alternative. Perché un simile attaccamento ad Alghero? Perché ho iniziato lì e perché è lì che tornavo a casa, nei fine settimana, la sera dai miei due figli piccoli. Ho bisogno di tornare anche se, oggi, la mia vita è equamente divisa tra Milano e Alghero, con le varie sortite tra Parigi, New York e Londra. Sia chiaro che Milano non è solo moda però, c’è stata la mostra, c’è il Salone del Mobile e uno spazio, Nonostante Marras, che apre la porte a un flusso sempre più importante di appuntamenti. 19 Portfolio Portfolio In questa pagina. Orange Blind, #smudge, 2016, Kenta Cobayashi. L’artista giapponese esplora le possibilità di trasformazione dell’immagine digitale, sottoponendola a un processo di OSSERVATORIO MILANESE manipolazione che Più in centro di così non si può. Ha aperto a dicembre in Galleria Vittorio Emanuele II Osservatorio Fondazione Prada, un nuovo spazio espositivo della maison di moda dedicato alla fotografia e ai linguaggi visivi. Si parte con la mostra “Give Me Yesterday”, a cura di Francesco Zanot, che raccoglie le immagini di 14 fotografi italiani e internazionali che hanno lavorato sul tema della fotografia come diario personale. I diari raccontano la quotidianità e i rituali intimi e personali in un arco di tempo che va dal Duemila a oggi. L’immediatezza e la spontaneità del documentario diventano in questo modo controllo estremo dello sguardo di chi osserva ed è osservato Gli autoritratti della ne afferma la fragilità. Photo courtesy Kenta Cobayashi G/P gallery Nella pagina a fianco. Camera Woman, 2015, Tomé Duarte. fotografa portoghese sono realizzati mentre indossa i vestiti della ex-compagna nel tentativo di riconnettersi con lei. Photo courtesy Tomé Duarte di Carolina Saporiti - foto di autori vari 20 21 Portfolio Portfolio In questa pagina. Her-story: Ke dutse pela dipalesa II, 2013. Lebohang Kganye è una fotografa del Sudafrica, i cui lavori si basano sulla figura materna e la memoria. L’artista inserisce digitalmente la propria immagine all’interno di vecchie istantanee della madre scomparsa. Photo courtesy Lebohanf Kganye, Afronova Gallery Nella pagina a fianco. To Me You Are a Work of Art, 2011, Maurice van Es. Olandese, Maurice fotografa oggetti e vestiti riordinati dalla madre nella propria casa, facendone delle eleganti sculture. Photo courtesy Maurice van Es 22 23 Portfolio Portfolio In questa pagina. Orizzonte in Italia, 2011-2015. Tra il 2011 e il 2014 Antonio Rovaldi ha scattato immagini di orizzonti che esprimono una personale visione di paesaggio e tracciano i confini di un ideale viaggio in Italia. Photo courtesy Antonio Rovaldi; The Goma/ Madrid; Galleria Michela Rizzo Nella pagina a fianco. Hair Cut, 2016. Izumi Miyazaki si osservatorio fondazione prada Ospitato al quinto e al sesto piano di uno degli edifici centrali della Galleria Vittorio Emanuele II, Osservatorio Fondazione Prada si trova al di sopra dell’ottagono, al livello della cupola in vetro e ferro 24 che copre la Galleria realizzata tra il 1865 e il 1867. Gli ambienti, ricostruiti nel secondo dopoguerra, sono stati sottoposti a un restauro che ha reso disponibile una superficie espositiva di 800 mq sviluppata su due livelli. www.fondazioneprada.org autorappresenta in situazioni ironiche. Photo courtesy Izumi Miyazaki 25 FOCUS FOCUS Spazio al pensiero A due anni dalla posa della prima pietra la Fondazione Feltrinelli ha inaugurato il 13 dicembre la nuova sede di viale Pasubio con cinque giorni di incontri e letture, anticipo di una programmazione che si preannuncia intensa e la risposta della cittadinanza, con le lunghe file all’ingresso, è stata più che generosa di Marilena Roncarà - foto di Filippo Romano 02 01 01. I 250 metri quadrati della sala lettura al quinto e ultimo piano della Fondazione Feltrinelli. La sala lettura è aperta dalle 9.30 alle 17.30 26 Qualcosa in viale Pasubio è cambiato, dove prima c’era un vivaio storico, adesso c’è un vivaio di idee o meglio un nuovo spazio di cittadinanza che ha la forma di un edificio possente, ma anche leggero, con lo scheletro in cemento armato e le superfici vetrate. Nei suoi 188 metri di lunghezza per 32 di altezza sulla cuspide, il palazzo è una piccola meraviglia che non lascia certo indifferente nemmeno il passante più distratto. Progettato dallo studio di architettura Herzog & De Meuron, che l’ha voluto aguzzo come il gotico locale e fortemente orizzontale come le cascine delle campagne della Lombardia, l’edificio alterna pieni e vuoti secondo un ritmo costante e crea un gioco di riflessi e viste prospettiche sul quartiere che mescolano il vecchio e il nuovo in un tutt’uno organico e originale. E questo è “il fuori”, ma il progetto nutre l’ambi- zione di non essere semplice edilizia, ma architettura per la città, luogo di sviluppo di idee, una piazza contemporanea di partecipazione e aggregazione. «Resto convinto che investire nella cultura e nell’istruzione sia fondamentale per creare e mantenere in vita una società aperta. La grande architettura può essere un sostegno rilevante, ma è meno importante delle attività che accadono dentro e intorno agli edifici» sostiene a questo proposito il progettista Jacques Herzog. A lui fanno eco le parole di Carlo Feltrinelli, committente dell’opera con il Gruppo, di cui è direttore «Ci siamo messi in moto per un progetto fuori dal tempo, da questo tempo, ma secondo noi necessario e che deve tornare attuale. Una nuova sede iconica per una grande casa delle culture sociali, moderna e internazionale: questa è l’idea». Non a caso con un patrimonio archivistico di 12 km lineari di archivi, 270mila volumi e 16mila periodici, la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli si configura come uno dei maggiori centri di documentazione e ricerca nel campo delle scienze storiche, politiche, economiche e sociali e la nuova sede di viale Pasubio vuole essere una piattaforma di confronto accessibile a tutta la cittadinanza nella convinzione profonda che cambiare le cose per migliorare le condizioni di vita di tutti sia possibile e necessario. «Il nostro DNA è scritto nei nostri libri e nei nostri archivi, aprire nuove opportunità di conoscenza e creare nuove occasioni di lavoro sono le nostre finalità. Fare dell’insieme delle nostre iniziative un fattore di politica partecipata è la nostra ambizione» precisa il segretario generale della Fondazione Massimiliano Tarantino. Ed è così che nei cinque piani più interrato del building Feltrinelli ha già preso vita e corpo tutto questo. Cominciando dall’alto il quinto e ultimo piano, quello dove davvero sembra di toccare il cielo, è una sala di lettura aperta a tutti con quaranta postazioni per la consultazione più altre poltrone a uso libero. Quarto e terzo piano sono dedicati agli uffici della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, oltre che spazio di co-produzione, ricerca e didattica. Cuore del progetto è la sala polifunzionale del primo e secondo piano, un luogo di ritrovo, incontro e scambio tra cittadini e realtà all’avanguardia in campo artistico e divulgativo nell’ambito della ricerca delle scienze sociali. Il piano interrato accoglie infine il materiale della biblioteca e degli archivi della Fondazione, mentre al piano terra c’è l’immancabile libreria che qui è anche il satellite culturale che orbita attorno alle attività di ricerca e divulgazione della Fondazione, accompagnando i lettori nell’esplorazione dei temi proposti: globalizzazione e sostenibilità, cittadinanza europea, innovazione politica, futuro del lavoro e fonti della Storia. L’assortimento dei circa 15mila titoli è stato, infatti, realizzato privilegiando le scienze umane e sociali, la letteratura e le arti visive. E considerata la generale vocazione all’incontro e alla socialità non poteva mancare neppure uno spazio di ristoro: il Babitonga Caffè, che deve il suo nome alla comunità brasiliana della Baia di Babitonga autrice già nel 1842 di un importante esperimento sociale all’insegna di un mondo più giusto. Ecco allora che l’eco di quest’utopia e il richiamo verso mondi nascosti sono ulteriori risonanze di un luogo che vuole combinare insieme cultura e convivialità. Insomma le suggestioni sono davvero tante: a noi non resta che andare a curiosare, approfittando il più possibile di questa occasione da vivere in maniera attiva. 02. Vista dall’alto della Fondazione, il primo edificio pubblico italiano progettato da Herzog & de Meuron 27 Interview interview EZIO BOSSO L’ULTIMO GESTO IN NOTE In Italia è diventato famoso lo scorso anno dopo la partecipazione a Sanremo, lui però fa musica da 41 anni e su quel palco non voleva salirci. Ora è a Milano agli Arcimboldi con il suo primo disco da solista “The 12th Room”, dodici brani che svelano le sue radici e quelle della sua musica di Nadia Afragola 28 Dopo aver venduto oltre 100mila biglietti con il tour Al piano, collezionando un sold out dietro l’altro, ha firmato un contratto di esclusiva con Sony Classic, insieme al suo pianoforte Steinway Gran Coda. Come tutti i musicisti è un po’ nomade. Si considera un quarto inglese e un po’ bolognese, ma è Torino la prima città dalla quale è dovuto andare via per essere ascoltato. L’inizio è con il botto: «La musica è un fenomeno sociale, è il più grande coadiuvante. Non chiedetemi di parlare della mia musica, parliamo della musica, che è di tutti. Noi abbiamo semplicemente la responsabilità di scriverla, interpretarla e suonarla. La musica non vuole consenso». Poi prosegue con i pregiudizi da combattere: «Pensano che io scriva musica per balletti, ma sono i teatri più importanti al mondo a scegliere per i loro balletti la mia musica. In Italia invece pensano che io sia nato il 10 febbraio del 2016 sul palco dell’Ariston accanto a Conti, peccato che faccio musica da 41 anni e da 30 concerti». Cosa resta di Sanremo, quel giorno in fondo le ha un po’ cambiato la vita? La cosa più bella è aver dato spazio alla musica. Sarai la prima a scriverlo, ma io non ci volevo proprio andare. Avevo paura, tre giorni prima dissi che non mi sarei presentato, non volevo essere confuso con un personaggio che era lì per se stesso. Ho rischiato per amore della musica, le devo tanto. Dice spesso che la musica non è di nessuno. In che senso? La musica si fa solo insieme: lo dicevo sempre ai miei concerti, ora non riesco più a dirlo perché continuate a ripeterlo in televisione. La musica è uno spazio condiviso, non esiste senza l’ascolto. Ai musicisti, che lavorano con me, dico sempre che la musica non sono le note che suonano. Ha uno strumento in più che non vedi, lo spazio e un musicista in più, chi ascolta. E noi, che mettiamo solo le mani, abbiamo la responsabilità di coinvolgere. Nella musica studi non per essere il migliore ma per essere migliori. Quando Ezio diventa il maestro? Mi imbarazza quando mi chiamano così… Quando ho la bacchetta in mano e anche in quel caso continuo a essere Ezio. Il maestro non è colui che ti dice come fare, ma colui che ti fa vedere la tua strada. Nel 2011 le è stata diagnosticata una malattia neurodegenerativa. Che cosa è successo dopo? Parto dalla fine, da chi mi ha salvato. È stato il pianoforte che mi ha permesso di tornare a vivere e ad ascoltare la musica. Nel 2011 mi sono perso per imparare a seguire. È cambiato tanto il mio corpo, a volte lui ha ancora memoria dell’uomo che ero e si arrabbia. Personalmente ho deciso che è meglio godere per le fortune che ho, non devo dimostrare nulla. Il 2016 è stato l’anno della sua consacrazione. Come si affronta, a riflettori spenti, un simile carico di aspettative? Non amo i riflettori, amo quello che faccio, musica. Credo profondamente nel condividere quello che imparo. Non mostri la musica ma la condividi, perché ha un potere fantastico e rende bello persino me. In Italia purtroppo credono che io sia un fenomeno da baraccone, è faticoso dover sempre dimostrare un po’ di più... Io che poi non ho niente da dimostrare! Le sue prove sono oramai quasi sempre aperte al pubblico. È sicuro di quello che fa? Mai stato più sicuro di così. Vorrei riportare all’umanità la musica. Quando devo spiegare le note ai musicisti dico sempre che sono l’ultimo gesto di una persona. Prima c’è la vita, la ricerca, la sua storia e la storia intorno a lui. Non chiamatela rivoluzione, la mia, è solo un bellissimo desiderio. È bello assistere a qualcosa che nel tempo si perfeziona. Non voglio far vedere solo il lato forte, non è nella mia natura. La musica è studio, ma per colpa della disattenzione mediatica c’è tanta gente che dice che non serve a niente studiare. Sogno che i teatri siano un posto per tutti, non dove si va a vedere un fenomeno paranormale. Bisognerebbe pensare a qualcosa di vivo quando si pensa a un teatro. Quando ha firmato con Sony Classic, quel giorno cosa vi siete detti? All’inizio la cosa mi ha un po’ spaventato, detto questo il resto è stato tutto in discesa perché l’obiettivo comune era quello di fare e divulgare musica. Sto pensando di dare vita a una Fondazione che si occupi di questo. La fine del 2016 è coincisa con l’uscita della sua antologia: “…And the Things that Remain”. Le antologie mi danno sempre l’idea di qualcosa di postumo, ma piacciono… Ci sono 12 anni di registrazioni dentro. Faccio tutto come fosse l’ultima cosa e sono sempre stato così, anche prima di ammalarmi. Sento l’urgenza di fare, non so per quanto ancora potrò tenere certi ritmi. Mi premeva dare protezione a me e alla mia musica. Ha ripreso a vivere grazie al suo pianoforte Steinway Gran Coda. Com’è andata all’inizio? Se usi il passato qualcosa nel presente non va, ecco perché mi piace ricordare che i più grandi amori sono quelli di cui non si ricorda il momento in cui li si è incontrati. Se sei innamorato il prima non conta, ami l’adesso e non ti importa niente del domani. Mi ha chiamato, mi ha detto: «Vieni qui, metti un dito su quel tasto, poi un altro e un altro ancora e vedrai che riusciremo a risolvere qualche problema, come quello di non connettere più tanto le sinapsi». Al piano da solo o a dirigere un’intera orchestra, cosa cambia? Sono più tranquillo quando ho la bacchetta in mano. Una precisazione: non si suona il pianoforte, si suona con il pianoforte e un direttore non suona un’orchestra ma con un’orchestra. 29 FOCUS FOCUS Milano in un sorso In alcune si chiacchiera condividendo bottiglie prestigiose con perfetti sconosciuti, in altre si leggono poesie o componimenti in milanese, in altre ancora si socializza ballando o giocando a carte. Un viaggio fra le enoteche di Milano e le loro diverse anime di Elisa Zanetti INDIRIZZI Bicerìn Milano via Panfilo Castaldi 24 Bottega del Vino La Coloniale corso Genova 19 Cantine Isola via Paolo Sarpi 30 La Cieca via Carlo Vittadini 6 N’Ombra de Vin via San Marco 2 Vineria di Via Stradella via Alessandro Stradella 4A 03 02 01 01. La Vineria di via Stradella propone degustazioni guidate dai produttori di vino che raccontano il loro lavoro 30 «Bevendo gli uomini migliorano: fanno buoni affari, vincono le cause, son felici e sostengono gli amici». Così diceva più di 2000 anni fa il commediografo greco Aristofane. Seguire il suo consiglio potrebbe essere un buon proposito da aggiungere alla lista di quelli già preparati per il 2017: del resto chi l’ha detto che bisogna chiedere a se stessi solo di mangiare meno, fare più sport o smettere di fumare? Dedicare un momento in più a un buon bicchiere di vino può rappresentare un’occasione di convivialità, scambio e incontro (e se tra i vostri obiettivi per l’anno nuovo c’è anche quello di trovare l’anima gemella potrebbe essere di aiuto). A Milano sono diverse le enoteche dove è possibile assaporare le delizie di Bacco e fare anche molto altro. Partiamo con Cantine Isola. Nata nel 1896 come Boeucc dell’Isola, da un Giovanni Isola compagno di idee di Filippo Turati, sulla cui rivista “La Battaglia” Isola stesso inserì un invito a recarsi nella sua cantina. Questo storico locale milanese prese il nome attuale durante la seconda gestione, quando un’altra famiglia Isola formata da cinque fratelli scelse il plurale “cantine” che meglio si confaceva alla propria numerosa realtà. Sarà Giacomo, uno dei nipoti dei fratelli a portare avanti l’attività e sua moglie, conosciuta come Milly, potrà vantare di essere una delle prime sommelier donna. Tutti i suoi segreti li ha imparati Luca Sarais, l’attuale proprietario, che spiega: «Tenere il cliente al banco è un’arte, occorre saper parlare un po’ di tutto, senza mai cadere nel banale e nel ridicolo». Per riuscirci ha dato vita all’appuntamento La poesia del martedì: ogni settimana alle 20.30 si legge un piccolo brano «per regalare un momento di un’arte diversa dal fare vino» e da qualche anno ai versi si alternano letture in dialetto milanese. Ha una bella storia da raccontare anche N’Ombra de Vin: attaccata alle mura della Basilica di San Marco, questa enoteca sorge in quello che fu l’antico refettorio cinquecentesco dei frati agostiniani, citato da Manzoni ne I promessi Sposi. Frequentato un tempo dalle truppe napoleoniche, annovera fra i suoi illustri ospiti anche Mozart e oggi tutti i milanesi che la scelgono non solo per un calice, ma anche per serate con musica dal vivo dove non è difficile lanciarsi nelle danze, a volta addirittura sui tavoli. Inaugurato nel 1973 dal veneto Giacomo Corà offre un’ampia selezione di etichette, con una particolare attenzione per la Francia. Punto di incontro imperdibile anche il marciapiede davanti al locale, sempre frequentatissimo sia d’estate sia d’inverno. Con le belle giornate non perdetevi il rilassante giardino della Vineria di via Stradella. Nato come piccolo ristorante e punto vendita di vino sfuso di qualità, ha poi ampliato la sua offerta ai vini di etichetta, cui dedica degustazioni guidate dalla presenza dei produttori. Fra i progetti in cantiere un corso di avvicinamento al vino, con lezioni su bianchi, rossi e bollicine. Da Bicerìn Milano invece si fa winesharing: il primo lunedì di ogni mese Alberto, Lorenzo e Silvia propongono ai loro ospiti una bottiglia speciale che gli iscritti alla serata condividono seduti a un tavolo comune. Un’occasione per fare nuove conoscenze e per provare vini pregiati dall’annata e dal prezzo importante, che forse altrimenti difficilmente si avrebbe l’occasione di stappare. Se preferite mettere anche qualcosa sotto i denti scegliete la serata A cena con: si sta sempre insie- me in uno dei grandi “tavoli sociali”, degustando una cena abbinata alle bottiglie che il produttore ospite ha scelto di raccontare. Grazie alla formazione di Lorenzo, architetto, Bicerìn Milano offre anche consulenze per la realizzazione di una cantina a casa propria, valutando se l’ambiente è idoneo e suggerendo la soluzione più adatta. Si condivide anche alla Bottega del Vino La Coloniale di corso Genova, storica enoteca aperta nel 1966 con una buona attenzione sia per i vini sia per le bollicine. Con la bella stagione, su ampi tavoloni di legno posti fuori dal locale, giovani e meno giovani si mescolano per un bicchiere in compagnia o una partita di carte. Infine i sommelier più esperti non possono perdere l’occasione di mettersi alla prova da La Cieca: oltre alla normale carta dei vini, questa enoteca propone ai suoi ospiti una carta “nera”, in cui l’unica informazione disponibile è il costo del vino al bicchiere abbinato a un nome di fantasia. I degustatori potranno provare il vino servito in un calice nero e fare delle domande per indovinare quale bottiglia è stata loro servita. L’oste potrà però rispondere solo con un “no” o un “forse” e scoprire l’identità del vino non sarà facile. Vale la pena provare: chi riesce non paga il bicchiere. 02. Da Bicerìn Milano durante le serate di winesharing vengono aperte bottiglie prestigiose che gli ospiti hanno la possibilità di assaporare seduti a un tavolo comune 03. L’offerta di N’Ombra de Vin è specializzata in etichette italiane e francesi e il locale ospita spesso serate con musica dal vivo 31 Interview interview GIGI SIMONI Un Mister sottovoce Diciotto mesi circa all’Inter che valgono quasi come una vita intera. Nella sua biografia, “Simoni si nasce. Tre vite per il calcio” uno dei mister più amati dell’epopea nerazzurra apre gli scrigni della memoria. E a noi ne ha raccontate di storie succose, come quel famoso rigore non dato, Baggio e Suning… di Simone Sacco «Il mio pregio maggiore? L’umanità nel lavoro. Parlare ai giocatori come se fossero miei figli». Nell’affascinante e contrastata epopea interista, Gigi Simoni da Crevalcore – 78 anni – è stato l’allenatore “per bene”, che nel becero calcio di oggi è più handicap che valo32 re indiscutibile. Solo che sono i buoni quelli che entrano nel cuore dei tifosi. A maggior ragione se sanno leggere la partita. Come appunto sa fare il vero cuore di Gigi Simoni. Lasciamo a lui la navigazione tra i ricordi. Mister, è stato “corteggiato” a lungo per questa sua biografia? Abbastanza. I tre autori (Carmignani, Tronchetti e Ghedini, NdR) non hanno mai smesso di farmi pressing, ma a me sembrava un progetto presuntuoso. Però sono contento d’aver ceduto. Perché la prefazione di Claudio Ba- glioni? Siete amici? Siamo molto amici. L’anno che ho allenato la Lazio (1985-86, NdR) Claudio mi chiese se poteva venire ad allenarsi a Tor Di Quinto per preparare il fiato in vista di una tournée. E il fatto che un tifoso della Roma volesse correre in mezzo ai laziali mi ha fatto simpatia. Da lì è nato un rapporto speciale. Il messaggio più importante del libro? Mai arrendersi nella vita. Io, a fine anni Ottanta, ero un allenatore in crisi; venivo da alcuni esoneri e avevo pensato di smettere. Nel 1991 mi ritrovai in C2 con la Carrarese. Poteva essere la fine, ma strinsi i denti e risalii. Poi venne la straordinaria avventura con la Cremonese che mi portò a Napoli e da lì, nel 1997, finalmente l’Inter. Sia sincero: è stato traumatico passare dal golfo di Napoli alla nebbia meneghina? Macché: io al mito di Milano città grigia non ci ho mai creduto. Certo, al Nord la gente è più riservata mentre a Napoli dal calcio non stacchi mai. Sotto il Duomo, allo stesso tempo, mi sono sempre trovato bene: camminavo in centro, prendevo la metro, andavo a teatro. Scusi, lei viaggiava in metropolitana? Abitavo in Duomo, a due passi dall’allora sede dell’Inter e perciò la metro era comodissima. Certo la gente attorno mi guardava un po’ stupita! La sua con l’Inter è stata simile a una love story con una donna capricciosa? Il grande amore e poi l’addio traumatico… Questo è un luogo comune che mi piace smentire. Tutti parlano di “piazza difficile” quando tirano in ballo i colori nerazzurri; al contrario per me il periodo ad Appiano Gentile fu il più facile di tutti perché i giocatori di quella rosa erano sempre felici. Certo, ne avevo 25 e in campo potevo mandarne solo 11. Qualcuno ogni tanto giustamente mugugnava. Qualcuno tipo Roberto Baggio? No, lui no e mi sembra l’abbia scritto nella sua autobiografia. Una frase tipo: «Con tanti allenatori mi sono trovato in disaccordo, ma con Simoni mai. Sapeva sempre spiegarti i motivi della tua esclusione». In quell’Inter c’erano tanti campioni di vita e Roby era uno di questi. E in più ci univa l’amore per la caccia e la pesca. Baggio contro il Real Madrid campione d’Europa, il 25 novembre 1998, fu devastante. Una delle sue più belle partite in assoluto... Quella sera era infuriato per non essere partito titolare, ma in campo fece scintille: due goal in dieci minuti. Non venne subito ad abbracciarmi, ma cinque giorni dopo, quando venni esonerato, quello con lui fu l’addio più struggente. Gli dissi: «Roby, hai visto che con il Real quella panca ti ha dato la carica?». E lui mi abbracciò più forte. Ronaldo, invece, lo trovò cambiato in quel malinconico autunno del ’98? In ritiro si presentò un po’incupito, ma la cosa gli passò e tornò in fretta al massimo delle sue potenzialità. Quel Ronaldo non si può davvero descrivere a parole: era imprendibile e ubriacante. Una velocità pazzesca unita a una tecnica di un altro pianeta. Nonostante ciò non vinceste lo scudetto anche a causa di una certa partita che lei nel libro non cita… Non mi è mai piaciuto fare dietrologia su Juventus-Inter del 26 aprile 1998, quella del rigore non fischiato su Ronaldo. Però al signor Ceccarini, l’arbitro, glielo dissi al telefono: «Non le chiedo di ammettere il suo sbaglio, ma almeno mi confessi qui il suo dubbio». Lui fu irremovibile. Solo che a vent’anni di distanza tutti parlano ancora di quel fallo. Sta lì il paradosso… Con Massimo Moratti, al contrario, si è chiarito da tempo. Parlo del suo clamoroso esonero… Sì, lui ha fatto autocritica dicendo di essere stato avventato. E io, esonero o meno, non finirò mai di ringraziare il Presidente. Se non ci fosse stato Moratti non avrei potuto allenare l’Inter, avere a disposizione Ronnie, vincere una coppa UEFA, la Panchina d’Oro... Queste sono cose che non si dimenticano. Deduco quindi che non sia molto soddisfatto del passaggio di consegne tra Thohir e Suning con l’attuale proprietà nerazzurra in mano a Zhang Jindong… Semplicemente non mi pronuncio. Me la faccia tra due-tre anni questa domanda perché prima voglio vedere mister Zhang in azione. Da fuori vedo una persona ambiziosa e ricca, ma non basta a dargli credito. L’Inter è una creatura italiana e con questi investitori cinesi di mezzo non si capisce granché. 33 FOCUS FOCUS La città s’illimpidiva Centosettanta immagini in bianco e nero ci portano per mano dal 1943 al 1953: dai bombardamenti alla ricostruzione, a ritrovare piazze e scorci del capoluogo lombardo. Merito della mostra “Milano, storia di una rinascita” che tra l’altro ci ricorda come la guerra, allora come oggi, abbia sempre la stessa faccia di Marilena Roncarà milano centro Fino al 12 marzo, l’ultimo piano del Museo del Novecento, quello affacciato su piazza Duomo, presenta la personale della fotografa Paola Di Bello, che nelle proprie vedute coglie una Milano del tutto estranea ai meccanismi dell’abitudine con cui siamo soliti guardarla. In particolare le immagini concepite per la Sala Fontana e basate su riprese fotografiche realizzate intorno all’Arengario, mettono in moto un’interessante visione a doppio senso tra quello che si coglie a occhio nudo dalle vetrate e i paesaggi proposti dalla fotografa, creando un gioco a incastri tra reale e virtuale. 01 01. Lavori di rifacimento della copertura della Galleria Vittorio Emanuele, 1948, Cittadella degli Archivi e Archivio Civico di Milano 34 «La morte ‘insudicia’. Insudicia quello che era pulito, intorbida quello che era limpido, inlaidisce quello che era bello, intenebra quello che era luminoso, instupidisce quello che era intelligente, immiserisce quello che era ricco. Pure si dice che la morte è serenità, calma, e l’arte per parte sua... Ma anche questa è forma di retorica: la peggiore: la retorica dell’ottimismo. Quella calma, quella serenità, non sono della morte, sì della vita che rinasce dalla morte: della vita che si è celata nella morte e l’ha vinta. Il primo giorno vidi Milano ‘insudiciata’ dalla morte. Poi la notte calò e uno spettrale silenzio. L’indomani già Milano s’illimpidiva». Sono le parole di Alberto Savinio che si stagliano davanti a ogni visitatore appena oltrepassato l’ingresso, ad accoglierlo alla mostra in programma a Palazzo Morando fino al 12 febbraio: Milano, storia di una rinascita. 1943-1953 dai bombardamenti alla ricostruzione. Le parole dello scrittore e compositore ci ricevono come uno schiaffo potente, di quelli capaci di sbatterci in faccia la realtà, salvo poi farci atterrare in maniera mor- bida con il senso profondo che ci può essere un poi, una rinascita. E tutta la mostra è così: forte, emotiva, in grado di catturare lo sguardo di noi visitatori con le immagini dei 170 scatti d’epoca fino a riportarci, quasi per magia, in quel tempo e in quello spazio rappresentato. Ed è tutto un cercare di capire e riscoprire una città che è la nostra di adesso, ma andando a ritroso, prima in quell’abbattimento e sconforto fatto di macerie e distruzione dei bombardamenti e poi nello slancio e nella capacità della città di rialzare la testa dalla polvere, «a volte costruendo, altre ricostruendo, spesso speculando, dimentica di un passato ingombrante», come ci ricordano le parole del curatore Stefano Galli. La mostra si apre con i grandi bombardamenti del 1943, quando Milano fu oggetto di ripetuti attacchi e una mappa con i luoghi colpiti dai raid diventa il fulcro di una narrazione condotta attraverso immagini d’epoca, cimeli e reperti bellici: dalle maschere antigas, agli ordigni, al paracadute “da bengala” usato per illuminare a giorno la città prima dell’attacco. L’esposizione prosegue poi con il racconto di alcuni aspetti della quotidianità in tempo di guerra e a poco a poco, come a procedere per frammenti, la complessità, ma anche la ricchezza della vita e delle relazioni sociali di quei momenti così drammatici diventano palesi. Lo stesso accade per episodi non sempre noti, dalla Madonnina del Duomo ricoperta di stracci per mascherarne il luccichio alle case di tolleranza ben distribuite nel territorio cittadino, dal drammatico episodio della strage degli innocenti, che vide l’eccidio di oltre 180 bambini nella scuola elementare Crispi alla vista macabra dei cadaveri di Mussolini, della Petacci e degli altri gerarchi appesi in piazzale Loreto. Durante i bombardamenti la città era buia come anche nere sono le pareti dell’allestimento che racconta la guerra. Le stesse pareti diventano poi bianche quando si passa al dopo, alla fase della rinascita, come a dirci in maniera ineludibile che qualcosa è mutato, «la città s’illimpidiva», che un nuovo giorno si mostra luminoso e ricco di progetti per la città. Non a caso Milano diventa già da allora ciò che è adesso: un centro di sperimenta- 02 zione artistica, un motore industriale per l’intero Paese, una forza di rinnovamento continuo, senza sosta. Sorgono nuovi quartieri e nuovi edifici su progetti di grandi architetti: Figini, Moretti, Pollini, Bottoni, Portaluppi, si afferma la grande scuola di design e Palazzo Reale ospita nel ’53 la mostra monografica dedicata a Pablo Picasso, con l’esposizione nella Sala delle Cariatidi di quel capolavoro di denuncia sociale che è Guernica, mai più esposto in futuro in Italia, come a chiudere un cerchio di quella guerra prima vissuta e poi raffigurata. A scorrerli uno dopo l’altro i 170 scatti in bianco e nero della mostra emozionano, ci obbligano quasi a soffermarci davanti ancora qualche istante per cogliere meglio il racconto di cui sono testimoni. Le foto ci guidano in maniera lieve attraverso un allestimento semplice, ma puntuale, capace di meravigliare fino a diventare volano, soprattutto nella parte dei bombardamenti, di tutte le altre immagini di guerra che ogni giorno, anche nel nostro presente, arrivano sotto i nostri occhi. Come a dire che l’orrore è lo stesso. Oggi come allora. 02. Palazzo Argentina, corso Buenos Aires, 1949, Archivio Piero Bottoni, Dastu, Politecnico di Milano 35 HANDWRITING Che bello scrivere… Un foglio bianco e una penna. Bastano queste due cose per scrivere a mano, eppure gli effetti benefici che questa azione ha sulla nostra mentre e sul nostro corpo sono tantissimi, dallo sviluppo della creatività allo stimolo del cervello. E se il digitale ci sta facendo dimenticare come farlo bene (o semplicemente come farlo), a rimetterci la matita in mano ci pensano tanti oggetti ispirati a questo universo, fatto di grazie e svolazzi illustrazione di Virassamy 37 focus focus SCRIPTA MANENT Ma se smettessimo di scrivere a mano perderemmo qualcosa? Secondo i maestri di calligrafia, sì, perché la grafia è parte di noi, di ciò che siamo e della nostra civiltà, e racconta molto del nostro carattere. Ecco perché non dovremmo abbandonare del tutto l’uso di carta e penna di Carolina Saporiti - foto di ruskiduski 02 01 01. Nonostante sia sempre meno comune annotarsi le cose a penna, aumentano (e sono frequentatissimi) i corsi di calligrafia in tutta Italia, per affinare la propria scrittura 38 «Se non respiri attraverso la scrittura, se non piangi nello scrivere, o canti scrivendo, allora non scrivere, perché alla nostra cultura non serve» lo diceva Anais Nin. Scrittrice del Novecento, conosciuta soprattutto come la prima donna a pubblicare libri erotici, Anais scriveva tantissimo, prendeva appunti sul suo diario, poi pubblicato in una serie di volumi. Forse da piccoli un diario lo abbiamo avuto tutti, ma quanti di noi oggi ne hanno uno? Pochi. E ancora meno sono quelli che tengono un diario scritto a mano: capita di prendere appunti salvandoli nelle bozze della posta elettronica su smartphone o nelle note di un tablet, alcuni tengono un blog su cui riportano pensieri e riflessioni di vario genere, ma girare con carta e penna in borsa è sempre più raro. Ma non è che ci stiamo perdendo qualcosa? Secondo l’ACI (l’Associazione Calligrafica Italiana) sì, perché la tecnologia rischia di allontanarci dagli strumenti che ci permettono di comprendere la realtà, e soprattutto rischia di far scomparire i fondamenti della nostra civiltà che è basata sulla scrittura. Calligrafia è una parola derivante dal greco e composta dalle parole kalos, bello, e graphìa, scrittura. Calligrafia, poi, è l’arte della scrittura ornamentale. Si sviluppò soprattutto in ambito religioso, dove c’era abbastanza ricchezza da potersi permettere carta e inchiostro. Nei secoli divenne comune la grafia onciale (maiuscola, usata da latini e bizantini) prima e quella gotica poi, durante il Medioevo. A far tentennare per la prima volta la scrittura a mano fu la comparsa della stampa. Quando Gutenberg la inventò nel XV secolo, i libri scritti e decorati a mano divennero meno comuni, pur non scomparendo. Oggi, invece, ci chiediamo davvero che fine farà. Era il 2013 quando negli Stati Uniti cresceva un dibattito nazionale (che diventò cronaca internazionale) sull’utilità dell’insegnamento della scrittura a mano e in particolare dello stile corsivo. Stati come la California o il Massachusetts non volevano abbandonarlo, la Carolina del Nord addirittura varò la legge Back to basics, proponendo un ritorno alle fondamenta e quindi al corsivo nei programmi per la scuola primaria, mentre le Hawaii, l’Indiana e l’Illinois avevano sostituito le lezioni di scrittura a mano in corsivo con lezioni di battitura meccanica dei testi dal momento che ormai tutto – dalla corrispondenza personale a quella di lavoro, fino ai compiti in classe, tesi ecc... – viene fatto da tastiera. Sarà una scelta giusta? Se combattere contro la diffusione di PC e smartphone è senza senso, perdere la capacità di scrivere a mano lo è altrettanto. «La scrittura a mano e quella digitale hanno ognuna una propria area di competenza, una non esclude l’altra» afferma Veronica Rosano, maestra calligrafa e grafologa presso Fabriano Boutique. Ma oltre alla ricchezza di uno strumento che è stato fondamentale per lo sviluppo della nostra società, è anche provato che la scrittura a mano garantisca diversi tipi di stimoli (dall’associazione di forme e suoni al collegamento tra mente e mano durante il movimento). A fine novembre l’Archivio di Stato ha organizzato un convegno sul tema. «Diversi medici e optometristi hanno lanciato un allarme. Non scrivendo a mano alcune aree cerebrali non vengono più utilizzate, alcuni abilità cognitive si perdono e si memorizza in maniera diversa. Oggi nelle scuole le lavagne sulle quali si scriveva con i gessi sono state sostituite da quelle luminose, in questo modo gli studenti non vedono il movimento del braccio e della mano dell’insegnante che scrive, ma devono semplicemente copiare una forma. E il numero di ragazzi che soffrono di forme di disgrafia è aumentato notevolmente». Tra una decina di anni, secondo alcuni medici, vedremo che ripercussioni avrà sulla nostra vista e la nostra postura lo stare così tante ore davanti a uno schermo. «Siamo di fronte anche a un impoverimento della personalità e della creatività» spiega Veronica Rosano. In questo non aiuta la nostra società: «Al convegno è stato dato spazio anche alle grafiche, oggi quasi sempre disordinate. Soprattutto quelle online, che sono i nuovi riferimenti, gli unici per i più giovani, sono brutte e confuse». E così i corsi di grafia stanno vivendo una stagione fortunatissima: dalle mamme preoccupate che mandano i figli a lezione a chi, adulto, vuole imparare la scrittura ornamentale, in tutta Italia è un fiorire di seminari di calligrafia. 02. La scrittura onciale fu usata dal III all’VIII secolo nei manoscritti dagli amanuensi latini e bizantini, e successivamente dall’VIII al XIII secolo soprattutto nelle intestazioni e nei titoli 39 handwriting handwriting A mano Tanti prodotti dedicati a chi ha ancora il piacere di sfiorare la carta e sentire la penna scorrere sul foglio purity A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta l’artista Irma Blank, tedesca di nascita, ma italiana di adozione, ha rivolto la propria attenzione al gesto scritturale puro. Le sue opere saranno in mostra presso la galleria P420 di Bologna dal 28 gennaio al 18 marzo www.p420.it Fabriano Boutique - Set Carta da Lettere Un canotto, 9 punte, 2 boccette di inchiostro e un foglio di carta da lettere possono farci riscoprire tutto il fascino di una lettera scritta a mano www.fabrianoboutique.it IN BELLA SCRITTURA Campo Marzio - Filigree Fountain Pen Un anticato motivo decorativo è lavorato a mano e curato nei minimi dettagli per “Scripta manent”, ovvero gli scritti rimangono, dice un proverbio latino, affermando la necessità di mettere nero su bianco i propri diritti. Ma se le parole volano, mentre la scrittura sopravvive ai capricci del tempo, quale futuro ha, nell’era digitale, quella a mano? dare vita a questa penna raffinata www.campomarzio.it di Alessia Delisi La calligrafia è l’arte che insegna a scrivere in modo elegante e regolare. Come il disegno, essa richiede una forte personalità, espressa però entro i confini strettamente definiti dell’armonia, le cui regole, costruite su relazioni matematiche e relative alla corretta interazione tra forme e spazio, rappresentano la visione che ciascuna civiltà ha del mondo e di Dio. Gli arabi, i cinesi e la civiltà occidentale – basata sull’alfabeto romano, la Chiesa cristiana e alcune istituzioni secolari come corti, cancellerie e laboratori di scribi – hanno scritto in accordo con la propria eredità culturale, il testo da trascrivere o comporre e tutti quegli strumenti che hanno permesso lo sviluppo nel tempo dei vari stili calligrafici, perché anche la penna, il modo in cui essa veniva tagliata e impugnata, era responsabile di una bella scrittura. E oggi? In un’epoca come la nostra, caratterizzata dalla diffusione delle tecnologie digitali, qual è il destino della calligrafia? Se lo sono domandati un gruppo di esperti provenienti da tutto il mondo – dall’artista statunitense Brody Neuenschwander ai calligrafi italiani Luca Barcellona e Giovanni de Faccio, dall’illustratrice Francesca Biasetton fino a Monica 40 Dengo, docente di calligrafia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia – durante un convegno organizzato a Milano dall’Associazione Calligrafica Italiana. Se la conservazione e divulgazione della conoscenza non dipendono più, come un tempo, dall’effettivo processo di scrittura, perché a immagazzinare l’informazione ci pensano i computer, la storia della scrittura manuale può essere letta come il racconto di un’avventura che in quasi ventimila anni ha toccato tutti gli aspetti della vita umana, non solo quello filologico. Per questo è importante salvaguardarla: stringere una penna tra le dita mette in atto complessi coordinamenti sensomotori che richiedono molta più concentrazione di quella necessaria a digitare su una tastiera. La scrittura a mano inoltre stimola l’attività cerebrale e la capacità di fare collegamenti. A valorizzarne la funzione pedagogica e formativa sono oggi molte creazioni di design: se Tapparelle Desk dell’azienda italiana Colé fa parte di una collezione di mobili ispirata alle case degli scrittori, Campo Marzio e Fabriano Boutique propongono articoli per la scrittura con i quali dare forma al pensiero, riscoprendo il fascino senza tempo del gesto grafico. Bosa - Lume La luce, nella forma di una piccola lanterna luminosa che accompagna chi scrive, è protagonista del nuovo progetto ideato da Alessandro Zambelli per Bosa www.bosatrade.com Internoitaliano – Stra Una lastra di alluminio, tagliata e ripiegata su se stessa, si fa incastro perfetto per questa lente di ingrandimento progettata da Giulio Iacchetti Colé Italia - Tapparelle Desk www.internoitaliano.com Scrittoio in rovere naturale in cui la tapparella, originariamente pensata per piuma e calamaio, diventa un moderno contenitore che cela telefono, tablet e laptop www.coleitalia.com 41 style style Bomber jacket Un classico del casualwear riproposto per il guardaroba primaverile tagliatore Manifattura completamente made in Italy per la giacca a due bottoni in tessuto mélange berwich Cinquetasche dal taglio classico sdramattizzato dalla coulisse in vita Sealup Puntododici Blauer Verde militare in tessuto waterproof In tessuto tecnico super leggero Classico in stile aviator www.sealup.net www.puntododici.com www.blauer.it Gant MCS Stella McCartney In suede nocciola con tasconi frontali Con profili e colletto in pelle a contrasto Con terza tasca portadocumenti sul petto www.gant.com www.mcs.com www.stellamccartney.com C.P. Company Eleventy AT.P.CO Con taschina e dettaglio logo sull’avambraccio Collo e bordi in maglia elasticizzati a contrasto Interno in tessuto camiceria con zip a contrasto www.cpcompany.com/it www.eleventy.it www.atpco.it urban gentlemen salvatore ferragamo Stringata rivisitata in chiave moderna grazie ai dettagli futuristici su linguetta, tallone e suola Una combinazione perfetta tra tailoring e sportswear contraddistingue la collezione dal sapore retrò di Neil Barrett. I colori naturali e le forme senza tempo richiamano un guardaroba inglese per il perfetto gentiluomo urbano di Elisa Anastasino 42 43 sport sport SAILING ON THE ROCKS Le ice boat sono incredibili macchine da velocità in grado di sfrecciare su qualsiasi lago, fiume o mare che abbia perso la consistenza liquida a favore di quella solida. Intuitive e facili da condurre, hanno un unico “problema”: fermarle non è affatto facile di Andrea Zappa windsurf e kite Chi ama il ghiaccio ma preferisce sentire il vento nelle mani con una vela da windsurf o da kite può rivolgersi alla WISSA (World Ice and Snow Sailing Association). L’associazione organizza un campionato mondiale fin dal 1980 e quest’anno l’appuntamento sarà dal 20 al 27 febbraio nella città russa Togliatti, nei presi del fiume Volga. www.wissa.org 01 01. Un ice boat classe DN pronto a sfrecciare sul ghiaccio a più di 90 km/h. Lo scafo dotato di tre pattini sganciabili misura 3,7 metri e ha una superficie velica di 5,57 metri quadrati. Foto courtesy iceboating.net 44 Veloci, velocissime. Chi non soffre il freddo e ama le accelerazioni da brivido deve, almeno una volta nella vita, salire a bordo di una ice boat e provare questa eclettica quanto refrigerante evoluzione dell’andare a vela. L’ice sailing è una disciplina che ha trovato diffusione, per ovvie ragioni climatiche, soprattutto nelle regioni del nord tra Russia, Europa, Stati Uniti e Canada, anche se, in occasione di inverni particolarmente rigidi, qualche tentativo è stato compiuto anche in Italia. Il problema è trovare luoghi dove il ghiaccio sia spesso almeno quindici centimetri e ci siano spazi di fuga sufficientemente ampi per manovrare in sicurezza questi bolidi dalle alte velocità. In Europa gli appassionati sono qualche migliaio, ma spostandosi verso nord-est o andando direttamente oltreoceano, il numero degli ice sailor cresce in modo significativo. L’outfit di chi pratica questo sport consiste in una tuta, guanti da sci, un casco e un bel paio di scarpe chiodate necessarie per camminare sul ghiaccio, ma anche per fermare gradualmente il proprio mezzo una volta che la vela ha perso di portanza. Sfrecciare su una superficie ghiacciata controllando una vela diventa una pratica sportiva solo attorno al 1880 in Svezia, ma l’ice sailing ha radici più “pratiche” e abbastanza antiche. Per esempio in Olanda, già nel XVII secolo, durante la stagione invernale, molti commercianti montavano ai loro carri dei pattini e delle grandi vele in modo da poterli condurre con il minimo sforzo lungo i canali ghiacciati del Paese. La vela veniva regolata attraverso lunghe funi e chi la controllava seguiva a piedi il mezzo camminando lungo le sponde del corso d’acqua. In Québec, invece, delle piccole “caravelle” in legno progettate per scivolare erano utilizzate per attraversare gli innumerevoli laghi ghiacciati che caratterizzano la regione. L’evoluzione “ludica” si è avuta solo in un secondo tempo, quando le vele hanno iniziato a essere più performanti, dalle dimensioni ridotte e anche scafi e pattini sono diventati più leggeri e tecnici. Condurre una ice boat è abbastanza semplice, ovviamente bisogna possedere rudimentali conoscenze veliche, come intendere qual è la direzione del vento e le andature che si possono tenere in relazione a questa, e poi si è già pronti per salire a bordo e disegnare infinite traiettorie sul ghiaccio. Le regolazioni sono minime: il pattino anteriore fa da timone e poi c’è una scotta (paranco a più linee) con la quale il pilota regola l’angolo di apertura e chiusura dell’unica vela che ha a disposizione. Ci sono diverse classi di ice boat a seconda della lunghezza della “slitta” e della superficie velica. La più popolare è forse la DN. Il cui nome deriva da “Detroit News”, giornale che nel 1936 sponsorizzò un concorso per progettare un modello che potesse essere costruito facilmente da una sola persona nel proprio garage. Le dimensioni di un DN sono ridotte: lo scafo, dotato di tre pattini smontabi- 02 li, è lungo 3,7 metri per 53 cm di larghezza e la vela misura 5,57 metri quadrati. Il tutto per un peso complessivo di circa 20,4 chili. Caratteristiche che lo rendono facilmente trasportabile così da permettere agli amanti di questa disciplina di spostarsi senza grossi problemi alla ricerca del “buon ghiaccio”. Il costo di una di queste “macchine volanti” si aggira tra i 4 e i 5mila euro, ma si possono trovare ottime occasioni anche nel mondo dell’usato. La International DN Ice Yacht Racing Association (www.icesailing.org) organizza ogni anno, dalla metà di novembre fino ai primi di aprile, un fitto circuito di regate che culmina con la World Cup, appuntamento che si tiene ogni volta in un Paese distinto tra Europa, Stati Uniti, Canada e Russia. Le regate si svolgono solitamente su un percorso a forma di bastone di circa 1,5 km da compiere per tre volte. Sulla linea di partenza possono schierarsi un massimo di 60 ice boat, un numero impressionante se si pensa che, una volta dato lo start, sul campo di regata si incroceranno scafi in grado di tenere medie superiori ai 90 km/h, e in quei frangenti, per fermarsi non si può certo buttare l’ancora! 02. ll lago Bajkal nella Siberia meridionale ospita innumerevoli regate sul ghiaccio, tra queste la più popolare è l’omonima Bajkal Cup. Foto courtesy iceboatracing.com 45 design design In bloom La mania per la botanica ha raggiunto l’apice nell’800, quando si collezionavano piante esotiche. E anche oggi tutti vogliono circondarsi di verde Botanique - Jewelled Garden Hanging Ispirato dai cristalli sfaccettati e dai boudoir bohèmien, questo terrario è perfetto per ospitare belle piante rampicanti www.botanique-boutique.com Giardino d’inverno È tempo di motivi botanici e trame vegetali, che attaccano radici (anche) nel design. La natura è fonte di ispirazione primaria e dà vita a collezioni verdi tra felci e licheni Etsy Piante e fiori sulla tavola, per una prima colazione speciale. Tovaglietta in cotone di ispirazione scandinava di Marzia Nicolini www.etsy.com Kann Design - Kora Beechwood La carta da parati con motivi floreali disegnata da 4P1B Design Studio per Wall&Decò è un paradiso di felci e uccelli incantati 46 Quello del plants power è un trend forte. Lo dimostrano le ultime uscite editoriali: dal nuovo libro da collezione A Garden Eden edito da Taschen, raccolta di alcune delle più belle illustrazioni botaniche di Ottocento e Novecento direttamente dagli archivi della biblioteca di Vienna, al più moderno volume Evergreen di casa Gestalten, raccolta ispirazionale tutta dedicata ai professionisti e appassionati del gardening. La verità è che quello per il verde è un amore ad alto tasso di contagio. Anche la moda si è lasciata influenzare, vedi la seducente collezione autunno inverno 2016-17 firmata Dolce & Gabbana. Gli stilisti siciliani hanno detto di essersi ispirati ai lussureggianti alberi dell’orto botanico di Palermo. Gli abiti di Giambattista Valli, invece, si ricoprono di gardenie e peonie effetto 3D, in un inno alla femminilità, alle fioriture, alla primavera. E che dire del beauty? Dalle fragranze come My Burberry Black, che replica il profumo di un giardino inglese dopo una giornata di pioggia, alla mania degli estratti vegetali come elisir di giovinezza, con maison come Yves Rocher in prima fila, piante e fiori trovano il loro posto anche nell’olimpo della cosmesi. Poteva il design restare indifferente? No, ovviamente. Ed ecco che anche nel settore dell’interior è tutta una profusione di pattern vegetali e fantasie fiorite. Trame di felci, profili di muschi, ciuffi di palme esotiche, delicati boccioli hanno invaso divani, tappeti, sedute e tende, ma anche carte da parati, rivestimenti e copriletti. Un inno alla vita naturale che avrebbe reso orgoglioso Rousseau e il suo mito del bon sauvage. Nel frattempo Pantone Inc. ha decretato che il colore di questo nuovo anno è un bel verde chiaro e brillante: secondo gli esperti, infatti, il greenery, delicata sfumatura di verde e giallo, è destinata a influenzare le prossime mode. «Greenery simboleggia rinascita, rinnovamento e rigenerazione. Ogni primavera inizia un nuovo ciclo», ha spiegato Leatrice Eiseman, direttore esecutivo del Pantone Color Institute, ai giornalisti del “The New York Times”. Verde uguale piante, uguale tutti pazzi per la vegetazione. Design incluso. Poltroncina imbottita con braccioli della Collezione Rewind. Un progetto del designer José Pascal www.kanndesign.com House Of Hackney - Ananas Lampada da tavola con base a forma di ananas in fine porcellana, dettagli in Design by Nico - Leaf Rug ottone e paralume a fantasia tropicale Tappeto rettangolare in feltro di lana disegnato da Nicolette www.houseofhackney.com de Waart. Come un soffice prato sotto i piedi www.designbynico.co.uk 47 wheels wheels genio volante Per i 60 anni di Citroën DS il Museo di Flaminio Bertoni si trasferisce a Volandia, a due passi dall’hub internazionale di Milano Malpensa. L’allestimento ripercorre la vita e le creazioni del designer varesino di Ilaria Salzano 02 03 01 01. DS è oggi diventato un marchio a sé, sinonimo di lusso e innovazione. Una preziosa eredità che si deve alla DS 19, prima vettura della gamma 48 Come fosse un passaggio temporale, dal terminal T1 dell’aeroporto di Milano Malpensa una passerella trasporta i curiosi direttamente a Volandia: il museo, concepito da principio per custodire pezzi unici del mondo dell’aeronautica, simulatori, archivi storici, oggi ha tutta l’intenzione di far volare i visitatori tra i successi di terra e cielo dello scorso secolo. L’omaggio “terrestre” va a Flaminio Bertoni, designer varesino nell’anima. Bertoni ha contribuito notevolmente nel settore proponendo automobili innovative, confortevoli e dallo stile inconfondibile. La collezione – installata dal 2007 nella sede della provincia di Varese – dopo mesi di ricerca, dunque, adesso trova finalmente uno spazio ad hoc in grado di evocare le origini professionali del suo creatore. Siamo nell’ex lattoneria delle Officine Caproni. Chi conosce la storia sa che prima di andare a Parigi e iniziare la sua carriera Bertoni lavorò come lattoniere in alcune delle più importanti carrozzerie del posto (tra cui la Macchi, destinata a crescere come azienda aeronautica). Un filo che si ricongiunge, quindi, per partire dalla notte dei tempi e descrivere totalmente la personalità del genio. L’occasione è speciale: i 60 anni di Citroën DS, i marchi che più in assoluto ricordano il suo nome. L’allestimento, con una dozzina di stanze, ripercorre la sua vita, dai primi esordi nella scultura, ai bozzetti delle auto, intervallati da tutte le collaborazioni artistiche di cui nel contempo si cibava. Interessanti i pezzi unici, come ad esempio la curiosa vettura a tre ruote denominata V3R, oppure i prototipi dove Bertoni riponeva la sua creatività più fervida in attesa dei debutti. Era il 1934 quando venne lanciata sul mercato la Traction Avant, esposta in questa sede con tanto di manifesti pubblicitari e altre opportunità artistiche sviluppate al tempo. L’auto guadagnò subito il terzo premio di scultura alla quarta Exposition des Beaux Arts ad Asnières; fu un successo, così come accadde per la successiva 2 CV, attorniata nel museo da opere che si rifanno al tema del viaggio e della libertà. Temi con cui la vetturetta venne presentata nel 1948 al Salone dell’Automobile di Parigi e che contribuirono a renderla negli anni un fenomeno culturale. Quasi dieci anni dopo dall’elaborazione dei progetti è evidente come il designer si sentisse più vicino al mondo della natura: nello specifico, il disegno della DS 19 mostra come la calandra e il frontale riprendevano i tratti di un pesce. Quest’ultima produzione vinse il primo premio come opera d’arte industriale: presentata nel 1957, venne esposta alla Triennale di Milano come esemplare. Non fu l’ultimo lavoro per l’automotive. Con il mercato in aumento e le esigenze di un marchio in espansione, Bertoni in questi anni lavorò ancora per le quattro ruote. Fu la sua fatica più grande. Dal suo atelier di rue du Theatre 48 nel 1964 uscì l’Ami6. Una storia lunga e tormentata. Per Citroën era indispensabile avere un segmento nuovo da poter inserire tra la 2CV e la DS. Per l’allora progetto M (M stava per milieu de gamme, che in francese significa di metà gamma), dunque, l’artista pensò a una due volumi con portellone: idea troppo innovativa per i tempi, che venne bocciata, come si vede dalle teche del museo. Il suo estro dunque diede vita a una versione con montante posteriore rovesciato, con cui i passeggeri posteriori avrebbero avuto spazio per la testa ma nel contempo anche un baule generoso. Non andò tutto liscio. Per ragioni di costo, il designer si vide costretto a ridisegnare di corsa il frontale, andando a ribassare in maniera drastica solo la parte centrale di muso e cofano. Per poi alzare anche l’alloggiamento dei fari anteriori e aumentare il fascio luminoso. «Sembra che abbia investito 3 pedoni», commentò alla fine del proprio progetto. Nonostante ciò, la versione successiva, la Break, debuttata nel ‘64, riuscì a fregiarsi del titolo di “auto più venduta” in Francia (1965). Certo, per renderla accattivante, il nome scelto fu Amì (amico), venne pubblicizzata con donne bellissime a bordo e in luoghi da sogno. Ma il marketing poteva dirsi ancora agli antipodi. Quella fu la sua fortuna. Bertoni lo ricordiamo per il suo operato più puro. Male o bene, è così che ha lasciato il segno. 02. Flaminio Bertoni lavorava di notte nel suo atelier. Per tutto ciò che diede alla cultura francese venne nominato Cavaliere dell’ordine delle Arti e delle Lettere della Repubblica Francese 03. Il debutto in strada della DS negli anni del dopoguerra fu eclatante. Mai si era vista tanta eleganza “dentro” e tanta innovazione “fuori” 49 hi tech hi tech Alta definizione Schermi, fotocamere, tv e proiettori. Con questi sofisticati device vedrete tutto, fino all’ultimo dettaglio BenQ - XI2000 È il primo videoproiettore LED UHD 4K DLP al mondo dedicato all’home cinema, con 8,3 milioni di pixel reali. In parole povere, porta tra le pareti domestiche un perfetto equilibrio tra elevata luminosità e precisione cromatica www.benq.it Quando la tv è Ultra (HD) Samsung - UBD-M9500 Anche i lettori Blu-ray entrano nella partita dell’alta definizione. Quello appena lanciato al CES dispone di una modalità “private La parte del leone quest’anno la fanno gli OLED, sottili, sofisticati, super performanti. Ma c’è spazio anche per proiettori, fotocamere, webcam e monitor per computer. A una condizione: che spacchino il pixel! cinema” per trasferire l’audio del televisore agli auricolari Bluetooth personali. Inoltre riconosce automaticamente il tipo di pannello a cui è collegato e si setta di conseguenza www.samsung.it di Paolo Crespi Fra i protagonisti di CES 2017, Sony ha presentato una vasta gamma di tv tra cui spiccano i nuovi Bravia delle serie A1 e XE93. Entrambi utilizzano pannelli Oled e tecnologia 4kK 50 Alta definizione, anzi altissima. È la parola d’ordine di questo inizio d’anno, sia per i “broadcaster” e i produttori di contenuti che preparano e in parte hanno già realizzato il passaggio alle trasmissioni in HD, sia per i big player dell’audio/video, che al CES di Las Vegas (la più importante fiera mondiale dell’elettronica di consumo) hanno appena sfoderato le ultime novità in fatto di super schermi televisivi. A partire naturalmente dal nuovo fronte degli OLED, considerato lo standard del futuro, sempre più prossimo, man mano che i prezzi si “democratizzano” con il crescere della domanda. Ma non solo, perché nel club dell’alta definizione entrano di diritto anche i proiettori high-end, le foto-videocamere in grado di girare senza soluzione di continuità filmati in 4K (detto anche Ultra HD, questo standard fa riferimento ai circa 4mila pixel orizzontali di risoluzione), che a loro volta alimentano il circuito dell’home-entertainment di qualità, e i monitor da computer che in fatto di definizione non hanno nulla da invidiare ai totem da salotto… Parlando di tv, i brand del giorno sono LG, che dalla capitale del Nevada ha lanciato lo schermo OLED W77, premiato con il Best of Innovation Award, sottile come una carta da parati (aderisce al muro grazie a una lastra magnetica, mentre tutte le componenti elettroniche e gli speaker sono contenuti in una speciale soundbar), Sony con la serie A1, che al contrario riesce a proiettare l’audio direttamente dallo schermo, di grande design (Acoustic Surface il nome del loro brevetto), Panasonic con i nuovi OLED Ultra HD Hdr, dall’inarrivabile resa cromatica, e Samsung con i suoi QLed, alternativa agli Oled basata sulla tecnologia Quantum Dot, con picchi di luminosità e valori di contrasto superiori per ora a quelli dell’agguerrita concorrenza. E poi (o prima) viene il software, cioè i contenuti televisivi in 4K, di cui c’è grande richiesta ma scarsità di titoli, tutti per la verità di alto gradimento da parte del pubblico (come nel caso della serie I Medici, prodotto nativamente in 4K). E le infrastrutture tecnologiche che devono poter supportare i nuovi canali del palinsesto pubblico e privato. Per la Rai, lo switch è avvenuto curiosamente il giorno della Befana: ora tutte le reti del servizio pubblico, comprese quelle tematiche, viaggiano in HD, ma solo attraverso la piattaforma satellitare TivùSat, utilizzata soprattutto in quelle zone del Belpaese in cui il segnale del digitale terrestre è debole o assente. Per un cambio generalizzato bisognerà aspettare ancora un bel po’… LG - Ultra Wide Mobile da 34” Esperienza di gioco senza precedenti e grande produttività per i professionisti e gli appassionati di video con i nuovi monitor ad alta risoluzione della casa coreana. Si usano in abbinamento al computer ma anche come periferiche Chromecast www.lg.com/it Logitech - C922 Pro Stream La webcam, molto innovativa, permette di registrare e trasmettere video naturali in alta risoluzione a 30 frame per secondo (fps) oppure a 720p con 60fps. Include la modifica dinamica dello sfondo, senza bisogno di usare i tradizionali “teli verdi” www.logitech.it Panasonic - Lumix LX15 Versatile e creativa, la nuova fotocamera compatta a ottica fissa (Leica) dispone di ben 22 filtri e gira filmati in 4K di durata pressoché illimitata. Grazie al funzionamento digitale, “panning” e zoomate stabili sono un gioco da ragazzi www.panasonic.it 51 weekend weekend STORIE PREZIOSE Influenzata dalla vicinanza con la Germania, è una delle regioni più ricche di tradizioni. “Bienvenue en Alsace”, terra di ottimi vini, castelli incantati, artigiani maestri dell’intarsio e delle stoffe... e di mura misteriose di Carolina Saporiti sul web www.auberge-de-l-ill.com www.les-haras-hotel.com www.tourisme-alsace.com www.france.fr www.paindepices-lips.com 01 01. Vista dell’Ecomusée d’Alsace, il più grande ecomuseo di Francia, che riaprirà dopo la chiusura invernale il 19 marzo. Foto di Florentin Havet 52 Non c’è bisogno di andare nelle grandi città per vedere monumenti storici o visitare musei affascinanti. E non serve prenotare una vacanza in montagna o in Paesi del nord per sentirsi nel posto giusto nella stagione invernale. Basta andare in Alsazia dove, passato il Natale, che qui è un affare molto serio (le decorazioni delle case di Strasburgo e Colmar fanno invidia a tutto il mondo) ci si può dedicare indisturbati alla scoperta del territorio e soprattutto alle sue storie preziose. Ogni eccellenza è accompagnata da tradizioni mitiche. Il primo motivo che rende speciale questa regione della Francia è la sua vicinanza alla Germania: per secoli i due Stati si sono alternati nella sua “gestione” e ciò le ha conferito un lato tipicamente indipendente. Le tre città principali sono Strasburgo, Colmar e Mulhouse e tutt’intorno il paesaggio è circondato dalle montagne verdi dei Vosgi, dal Reno e da ettari di vigneti. La strada del vino dell’Alsazia è la più antica di Francia ed è per questo che qui è molto sviluppato il turismo enologico. Ma la potenza della natura rende speciale l’Alsazia anche per chi vuole trascorrere una vacanza su una mountain bike o facendo attività sportive di vario genere – come trekking, pesca e canottaggio. Fondata nel 1953, la strada dei grand crus d’Alsazia si estende ai piedi delle foreste dei Vosgi, dominate da misteriosi castelli, attorno ai quali si sviluppano piccoli villaggi con locande dove assaggiare alcuni di questi vini. La route si estende per più di 170 km da nord a sud, con più di 1.000 vignerons sempre pronti ad accogliere i visitatori nelle loro cantine per scoprire i sette vitigni alsaziani: sylvaner, gewurztraminer, muscat, riesling, pinot bianco, pinto grigio e pinot nero. Oltre al vino si possono assaggiare acquaviti distillate dalla frutta. La Maison Massenez, a Val de Villé, oggi guidata da Manou, ne produce di ottime ottenute da ciliegie, lamponi, prugne e pere. Le acquaviti prodotte da Manou Massenez (il nuovo volto – femminile – della casa) oggi si trovano un po’ ovunque in tutto il mondo. Da Klur invece vi aspettano degustazioni e visite delle cantine (per le vigne non è la stagione più adatta) alla scoperta di una maison che da 10 anni è impegnata nel- 02 la coltivazione biologica e biodinamica. Girando per i villaggi del vino vi sembrerà di essere in una fiaba tra cottage dipinti con colori vivaci, mura medievali e nidi di cicogna sulle guglie delle chiese. I più belli sono Riquewihr, Eguisheim, Kaysersberg e Bergheim, più piccoli e più silenziosi sono Saint-Hippolyte e Katzenthal. Nonostante la fama mondiale dei vini alsaziani, anche la birra di questa regione si difende bene. La famiglia Haag conduce il più antico birrificio d’Alsazia, Méteor, fondato nel 1640. Ma non di solo vino (e birra)... Quindi via alla scoperta del pane pepato (pain d’épices). Il pane al miele è citato sia da Omero sia da Virgilio, ma nel XIII secolo si è diffuso il suo consumo, con leggeri variazioni, tra Basilea, Strasburgo e Francoforte. Se viaggiate con bambini dovreste fermarvi al Gingerbread Museum, a Gertwiller, dove il maestro panettiere Michel Habsiger ha creato un museo pieno di giocattoli. Da nord a sud, percorrendo l’Alsazia in macchina, si incontrano anche città più grandi. Strasburgo non è solo sede del Parlamento europeo: dal 1988 eat & sleep A pochi km da Colmar Jérome Jaegle ha aperto il ristorante l’Alchemille, che prende il nome da una pianta famosa per le sue proprietà legate alla fertilità. Jaegle, chef giardiniere, propone piatti alla clorofilla e cioccolato alla regina dei prati. L’Auberge de l’Ill è un piccolo gioiello nel villaggio d’Illhauesern che esiste da 150 anni ed è gestito da quattro generazioni dalla famiglia Haeblin. Il ristorante detiene 3 stelle Michelin. Lo chef Marc Haeblin ha firmato anche la carta del ristorante nel cuore di Starsburgo della brasserie dell’albergo Les Haras. Tutti templi imperdibili della gastronomia alsaziana. è infatti patrimonio dell’Umanità dell’Unesco e in effetti, nei secoli, in tanti si sono innamorati delle sue vie e delle sue piazze. Gutenberg, Victor Hugo, Napoleone e Gustave Doré rimasero probabilmente incantati dalla cattedrale gotica che si affaccia sulla place du Chateau. Spostandosi verso sud si incontra l’abbazia San Leonardo ai piedi del Mont Sainte Odile, dove Charles Spindler iniziò un’attività di intarsio che oggi è portata avanti dal nipote Jean Charles. Entrando le narici vi si riempiranno di profumo di legno. Attorno al monte si snoda un sentiero archeologico che inizia con il Muro Pagano (lungo 11 km) probabilmente risalente al 1 secolo d.C. di cui è sconosciuta la funzione. Infine, prima di raggiungere la pittoresca Colmar con le sue case colorate affacciate sui canali, fermatevi al castello dell’Haut-Koenigsburg. Giunti in città concludete il viaggio con un po’ di arte. Progettato da Herzog e De Meuron nel cuore della città, il Musée Unterlinden racchiude capolavori di grandi artisti come Jean Dubuffet, Pablo Picasso e Grunewald. Per un finale in bellezza. 02. Il Parc Salvator di Mulhouse, la seconda città d’Alsazia per dimensione dopo Strasburgo, è stato aperto nel 1890 dove un tempo sorgeva un cimitero 53 weekend weekend Carnevale tutto l’anno Si avvicina il weekend più sentito per Ivrea. Nonostante la manifestazione prenda il via ufficiale il 6 gennaio e per tutto l’anno i cittadini si ritrovino in varie occasioni, è nel fine settimana di Carnevale che la festa esplode con la Battaglia delle Arance. Se siete scettici dovreste farci un salto. Verrete travolti dall’entusiasmo degli eporediesi di Tullia Carota 02 01 01. Il Carnevale di Ivrea prende ufficialmente il via il 6 di gennaio con la prima uscita di Pifferi e Tamburi, che accompagnano poi ogni momento della manifestazione fino al Martedì di Carnevale 54 «Ivrea la bella». Se a dirlo è Carducci, allora deve essere vero. E, in effetti, lo è: il capoluogo simbolico del Canavese, quel territorio che si estende per circa 50 Km da Chivasso alla Valle d’Aosta, conta poco più di 25mila abitanti, è attraversato dalla Dora Baltea e il suo centro storico affascina chiunque lo veda per la prima volta. Seppure piccola e non in cima all’elenco delle mete turistiche italiane, Ivrea è famosa in tutto il mondo, soprattutto per due cose: l’Olivetti e il Carnevale. Sull’Olivetti si sa quasi tutto. Camillo e il figlio Adriano furono imprenditori illuminati che, oltre a sviluppare prodotti tecnologici all’avanguardia, ebbero la lungimiranza di proporre un modello di sviluppo industriale avanzato, attento ai propri dipendenti, al territorio e alla società. Il secondo motivo per cui Ivrea è famosa in tutto il mondo, si diceva, è il Carnevale. Ma a essere famosa è soprattutto la Battaglia delle Arance. Criticata e malvista da molti, ha una storia curiosa alle spalle e fa, in realtà, parte di una manifestazione, lo Storico Carnevale di Ivrea, che dura molti giorni e si apre ogni anno il 6 gennaio con l’uscita di Pifferi e Tamburi – che potrebbero essere considerati la banda ufficiale della manifestazione. Districarsi tra gli appuntamenti e la storia di questo Carnevale, il più antico d’Italia, non è facile, anche perché i diversi momenti pescano da differenti epoche storiche. Ma sono due le anime principali: da un lato c’è la componente storica, rappresentata dal corteo di cui fanno parte personaggi come il Generale, la Mugnaia, gli Abbà e il Podestà; dall’altro la Battaglia delle Arance, combattuta da squadre a piedi e squadre su carri da getto. Il comune denominatore è uno però: rappresentare la liberazione di Eporedia (questo il nome di Ivrea in epoca romana) dalla tirannia. Nel 1600 l’ennesima rivolta popolare contro il Marchese di Monferrato, signore della città, portò alla liberazione e così le nove squadre di aranceri a piedi rappresentano il popolo che sfida il tiranno, interpretato simbolicamente dalle squadre sui carri che indossano una maschera a protezione del volto. Se ve lo state chiedendo... sì, tutti possono partecipare alla Battaglia iscrivendosi a una delle squadre. Le origini della Battaglia risalgono al Medioevo, quando a essere lanciati in strada erano i fagioli e non gli agrumi. Due volte l’anno, infatti, il feudatario donava una pignatta di legumi alle famiglie meno abbienti che per disprezzo gettavano il contenuto per strada. La battaglia moderna viene combattuta dal 1947, ma ha radici nell’Ottocento quando le giovani della città, per attirare l’attenzione dei ragazzi, lanciavano dai balconi coriandoli, confetti, lupini, fiori e anche arance, un frutto esotico (portugaj in dialetto piemontese) proveniente dalla Costa Azzurra. Era un modo (forse un po’ bizzarro) per richiamare la loro attenzione. Il gesto cortese si trasformò presto in duello. Le due anime, dunque, si incontrano per la prima volta il sabato sera di Carnevale quando alla città viene presentata la Mugnaia che ogni anno è interpretata da una giovane eporediese sposata: anche se può sembrare difficile da capire, per le donne della città essere Mugnaia è motivo di grande orgoglio. Inizia quindi, di sabato, il cuore della manifestazione con il Corteo Storico che attraversa la città e continua per i tre giorni successivi con la Battaglia, il Corteo, i fuochi, le fagiolate nei vari rioni e l’abbruciamento degli scarli (alti pali di legno, sinonimo di prosperità) il martedì sera, quando si svolge anche la marcia funebre per la fine del Carnevale dopo la quale viene dato appuntamento all’anno successivo. Ma non si può certo concludere una festa così: quindi mercoledì, primo giorno di Quaresima, nel rione Borghetto viene distribuita polenta con merluzzo (vengono cucinati 1400 kg di polenta, 800 di merluzzo e 1400 di cipolle!). Chi c’è stato, al Carnevale di Ivrea, ci vuole tornare. Se fosse un eporediese a dirlo sarebbe troppo facile, ma invece ad assicurare che vale la pena andare almeno un giorno sono anche quelle persone che con il Canavese non hanno nulla a che fare. Le vie della città, preparate per difendersi dai lanci delle arance, sono invase da turisti, cittadini e curiosi, ma soprattutto da un’atmosfera di grande festa. Da non sottovalutare, poi, la possibilità di fermarsi a mangiare in qualche ristorante della zona per assaggiarne le specialità quali zuppe, pane, polenta, salumi e molti legumi e una sosta a Caluso, la culla dell’Erbaluce, vino tipico della zona che dal 1975 è tutelata dalla Cantina Cooperativa produttori Erbaluce di Caluso che oggi conta 160 produttori. Infine, per addolcire lo spettacolo della Battaglia (o da portare a casa) è consigliabile passare dalla pasticceria Balla a Ivrea a comprare la torta Novecento, la cui ricetta segreta è stata depositata come marchio registrato. 02. La Battaglia delle Arance è il momento più famoso del Carnevale di Ivrea. Criticata da molti, è in realtà combattuta con lealtà e in amicizia 55 overseas overseas MI BUENOS AIRES QUERIDO La capitale mondiale del tango è una città frenetica e dai mille volti, che si odia o si ama, dove noi italiani ci sentiamo quasi a casa, e che per essere capita deve venir vissuta barrio per barrio testo e foto di Andrea Zappa naturalmente Per prendersi una pausa della frenesia cittadina e conoscere la vera forza di Madre Natura, non resta che prendere un volo da Buenos Aires e andare a visitare le eccezionali cascate di Iguazù nella provincia argentina di Misiones al confine con il Brasile. Dichiarate patrimonio dell’umanità dall’Unesco, sono un sistema di 275 cascate che raggiungono salti fino a 70 metri di altezza. 01 01. La capitale dell’Argentina, Buenos Aires, è suddivisa in barrios ognuno dei quali con proprie caratteristiche 56 Non c’è dubbio, “l’italianitudine” che si respira a Buenos Aires dà la sensazione, nonostante le 14 ore di volo, di non essersi mossi dallo Stivale. La maggior parte dei porteñi, infatti, ha nel proprio albero genealogico un pezzo di quell’Italia migrante che se ne andò in Argentina in cerca di fortuna a partire dai primi del Novecento. E allora non ci si sorprende della calda accoglienza quando intuiscono la parentela, del «ciao» quando si esce da un negozio, o se, nel menù di un qualsiasi ristorante spicca in bella vista la Milanesa, che qui si presenta anche con una variante più ricca, la Milanesa Napolitana ricoperta di mozzarella e pomodoro. Buenos Aires è una città immensa, caotica e di grande fascino, chi viene da fuori la chiama, non a caso: la ciudad de la furia. Una delle esperienze più incredibili è quella di girarla sugli autobus. La fitta rete di linee porta in qualsiasi angolo della capitale, ovviamente con i dovuti tempi. I mezzi sono pittati come auto del circuito Nascar americano e i conduttori li guidano con lo stesso estro dei piloti di Indianapolis: velocità da ultimo giro di qualifica, la salita e la discesa avvengono quasi al volo e se non alzi il braccio alla fermata il bus tira dritto. La giustificazione? «La città è grande e per arrivare da un capo all’altro bisogna fare in fretta». Dopo essersi fatti frullare dentro l’autobus, non resta che iniziare il paseo por el barrio. A Buenos Aires ogni quartiere (barrio) possiede un’anima distinta. Gli amanti delle boutique alla moda e del design potranno incontrare “interessanti souvenir” tra le case basse e colorate di Palermo: il quartiere si divide in maniera non ufficiale nelle zone di Soho, Hollywood, Viejo e Chico. Sempre da queste parti si trova un parco, noto come il Bosques Palermo, di circa 25 ettari con un piccolo lago artificiale navigabile nel centro, dove trova spazio il Planetario Galileo Galilei. Molto in voga tra i turisti anche il quartiere Recoleta, famoso per il suo immenso cimitero (assolutamente da visitare) dalle lussuose tombe dove riposano le personalità più illustri del Paese, compresa la tanto amata Evita Peron. A pochi passi dall’entrata del cimitero, la piazza Intendente Alvear, meglio conosciuta come plaza Francia, ospita ogni fine settimana la Feria de Artesanos e gli spettacoli di numerosi artisti di strada. Chi ama lo shopping compulsivo a basso prezzo e cerca un’alternativa culinaria al classico asado argentino (carne cotta alla brace), apprezzerà invece i colori e i sapori del barrio chino (quartiere cinese) a Belgrano, una volta passati sotto l’arcoporta della via principale si viene catapultati in una vera Chinatown. Ma per respirare la reale atmosfera porteña, bisogna spingersi a sud nella zona del porto dove si incontra San Telmo, il primo quartiere della città, in cui nacque il tango tra taverne di marinai e bordelli. Oggi è una zona molto turistica con bancarelle e bar, da non perdersi il Bar Plaza Dorrengo, nell’omonima piazza, caratterizzato da tavoli in legno pieni di scritte e con le immagini delle leggende del tango appese alle pareti. Attaccato a San Telmo c’è la Boca, il multicolore quartiere del porto fondato dai nostri immigrati genovesi che decisero di dipingere le loro case con la vernice avanzava dagli scafi delle navi. Il cuore della Boca è rappresentato dalla Bombonera, ufficialmente 02 lo stadio Alberto José Armando, culla del Boca Juniors, la squadra più amata dagli abitanti della capitale. Molto interessante la visita guidata di circa due ore alla scoperta dei segreti di questo tempio della fede calcistica porteña che ha dato la gloria a un giovane Diego Armando Maradona. Una volta calpestata l’erba del campo della Bombonera, se è l’ora dell’aperitivo, ci si può dirigere verso la moderna zona di Porto Madero, dove sorseggiare in relax un’ottima Patagonia Weisse, ammirando la silhouette illuminata di vecchie gru portuali. Un’altra tappa obbligata è il suggestivo e tradizionale Café Tortoni, in pieno centro, Avenida de Mayo 825. Inaugurato nel 1958, era il preferito di molti intellettuali dell’epoca. Un classico è fare merenda seduti nei piccoli tavoli di legno e marmo con medialunas e café con leche, il tutto accompagnato per tradizione da un bicchiere di soda. Alla sera il locale ospita anche esibizioni di tango. Ma se volete vedere uno spettacolo con un’intera compagnia di ballerini, non resta che passeggiare lungo la centralissima Avenida Corrientes, soprannominata il viale dei teatri e delle librerie. La vera anima del tango però la si può respirare andando una sera in una delle milongue più famose della città, come il Niño Bien, il Salon Canning, la Catedral e la Viruta, il cui slogan è entrás caminando y sales bailando, entri camminando, esci ballando. Se questo dovesse accadere per davvero, non lascerete più questa città. 02. Porto Madero è la moderna zona portuale: andate all’ora dell’aperitivo per bere una birra Patagonia 57 food food Gourmet in quota La montagna d’inverno riserva sorprese. Oltre alle piste da sci e alle cime innevate, ci sono i ristoranti stellati. Che con i loro piatti capolavoro, sintesi di tradizione alpina e innovazione, conquistano i sensi. Sullo sfondo, paesaggi incantati di Marzia Nicolini 02 03 01 01. Servizio impeccabile e accoglienza altoatesina al ristorante St. Hubertus, due stelle Michelin gestito dallo chef Norbert Niederkofler. All’interno dell’hotel Rosa Alpina di San Cassiano, sposa la filosofia del cook the mountain 58 Immaginate il paesaggio mozzafiato delle cime più belle delle nostre Alpi, tra comprensori sciistici invidiati in tutto il mondo, boschi innevati, ghiacciai e altopiani assolati. Amatissima dagli sportivi di ogni età, la montagna riserva però anche un lato meno dinamico e assai più godereccio: parliamo dell’haute cuisine firmata dagli chef del posto. Un connubio, quello tra territorio montano e alta gastronomia, che trova nelle loro creazioni la sintesi perfetta. Tradizione e innovazione vanno a braccetto, in piatti che dialogano con le vette circostanti. Perché per questi chef, fini conoscitori del luogo in cui operano (e da cui spesso provengono), è la montagna la fonte prima di ispirazione. Esserle fedeli è quasi d’obbligo. Le scuole di pensiero e i piatti da gustare sono tanti e diversi. Se la montagna resta il fil rouge per eccellenza, quelle degli chef di montagna sono preparazioni assai personali. Il St. Hubertus, due stelle Michelin, è il palcoscenico privilegiato dello chef Norbert Niederkofler, mente e mani dell’hotel Rosa Alpina, il Relais & Châteaux della famiglia Pizzinini a San Cassiano, nella bellissima Val Badia. In un borgo altoatesino dove si comunica in lingua ladina, si assaggiano piatti esaltanti come il trancio saltato di foie gras con créme brûlée alla mela e balsamico e risotto al pino mugo con faraona affumicata. A Niederkofler, sud-tirolese della Valle Aurina, il merito di aver concettualizzato la filosofia del cook the mountain, un grande progetto di promozione e valorizzazione della gastronomia montana. In un’ambientazione in puro stile sudtirolese, al ristorante del Romantik Hotel Stafler di Vipiteno, la doppia stella Michelin Peter Girtler, star della cucina della Gourmetstube Einhorn, crea piatti ricercati. Il suo riferimento? La migliore tradizione altoatesina, compresi gli antichi ortaggi dimenticati e la varietà di erbe spontanee selvatiche di montagna. Qui si mangia riscaldati da una grande stufa in maiolica, con la netta sensazione di fare un salto temporale nel passato. Sempre in Alto Adige, il promettente Matteo Metullio, classe 1989, triestino, dirige le cucine de La Siriola, il celebre ristorante dell’Hotel Ciasa Salares a San Cassiano. Il menu si apre con una frase che sembra un motto: «la forza sta in tutto quello che ha radici solide». Dall’uovo di Bresse al magret d’agnello in soffice crema al latte di capra, l’itinerario goloso lascia (estremamente) contenti. Altra regione alpina, altre suggestioni. Chi ha provato la cucina valdostana di Agostino Buillas, una stella Michelin, lo sa: la meticolosità che questo chef riserva ai piatti del suo Café Quinson a Morgex, pochi chilometri da Courmayeur, è unica. Situato nella piazza principale del paese e a conduzione familiare, il ristorante di Buillas è caldo e avvolgente. Merito della scelta di rivestimenti in pietra e legna locale, degli spessi tappeti che coprono i pavimenti e delle stufe che scoppiettano allegramente. Da non perdere l’hamburger di carne cruda valdostana, il magret d’anatra e l’ampia selezione di vini e formaggi della Valle (e non solo). Lasciarsi coccolare è un attimo. E quando si esce, la vista del Monte Bianco, svettante di fronte al paese, rende il tutto ancora più suggestivo. Ultima tappa all’Umami di Bormio, nel cuore della Valtellina. Il giovane chef Antonio Borruso, una stella Michelin, dedica al nome del suo ristorante, che in giapponese significa “saporito”, una cucina capace di miscelare abilmente aromi, colori, profumi, creando un insolito punto di incontro tra due (diversissime) tradizioni culinarie, quella napoletana e quella valtellinese, che si fondono in un menu inaspettato. Da ricette tradizionali come i succulenti pizzoccheri, rivisitati in forma sferica, al merluzzo gratinato con mandorle, non ci si annoia di certo. Anche l’arredamento gioca il suo ruolo: di gusto contemporaneo, il ristorante ha vetrate a tutta altezza che lasciano entrare la luce, toccando il paesaggio circostante. E dopo una bella mangiata, i più temerari possono avventurarsi sugli sci o sulle ciaspole. 02. Ambientazione valdostana e caldi rivestimenti in legno locale al Café Quinson di Morgex. In cucina lo chef stellato Agostino Buillas è affiancato dalla sua famiglia 03. Piatti come opere d’arte: al Romantik Hotel Stafler di Vipiteno, la doppia stella Michelin Peter Girtler propone ricette della tradizione sudtirolese 59 food food La ricetta dello chef FELIX LO BASSO Felice, detto “Felix”, appare più giovane della sua età (compirà 44 anni quest’anno) probabilmente per l’entusiasmo, la sveltezza e un che di “guasconeria alla d’Artagnan” dei fornelli, che ha attraversato la provincia milanese in tutte le sue sfumature per arrivare nella grande città a vedere l’effetto che fa. Ed è anche l’ultima stella a essere stata accesa a Milano lo scorso novembre, ma per lui è la terza in tre ristoranti diversi Intuizione, fantasia, innovazione e creatività sono i pilastri della cucina del cuoco pugliese Risotto alla parmigiana… di Roberto Perrone Natale è appena passato. Sono curioso, che cosa si prepara un cuoco per la festa più importante dell’anno? Tortellini in brodo, che mi faccio io. A novembre la terza stella con il nuovo ristorante a Milano, ma in realtà è la terza in tre ristoranti diversi, come vincere tre campionati di calcio con tre differenti club. Felix non le manda a dire, è schietto. Da dove viene? Vengo da Molfetta. Dalla Puglia come arriva qua? Frequento l’istituto alberghiero “Armando Perotti” a Bari. Quindi parto. Le mie prime esperienze sono sulla riviera romagnola, a Rimini, a Riccione. Da dove nasce la spinta? Avevo voglia di andare fuori, di mettermi in gioco, a quell’età non guardi alle stelle. C’è sempre un momento catartico nella vita di un uomo, specialmente di un cuoco... Il mio è rappresentato dall’incontro con Vincenzo Cammerucci, storico chef romagnolo con formazione marchesiana. È nata un’altra storia, un altro modo di pensare la ristorazione, capendo gli ingredienti che sono una cosa importante per l’alta cucina. Dopo la Romagna, una breve, ma intensa parentesi a Montecarlo da Robuchon, poi l’Alto Adige, all’Alpenroyal di Selva di Val Gardena... Qui sono rimasto dodici anni e nel 2011 arriva la stella numero 1. A quel punto cercavo la seconda o comunque 60 qualcosa in più, qualcosa di mio, ma il titolare aveva altre strategie. In definitiva ero io che sentivo di voler/dover cambiare. Dopo tanto girovagare per la provincia generosa è il momento di mettere piede in città. Prime impressioni? Arrivo a “Unico” nella cucina lasciata Fabio Baldassarre. A Milano, finalmente. Qui c’è un concentrato di ristorazione che ti spinge a voler fare meglio. La competizione a noi cuochi piace, è stimolante. Stella anche a Unico. E nuovo addio. Come mai? I proprietari non avevamo voglia di investire, volevano fare eventi, mischiare le cose. Stavo già pensando di lasciare Milano, ma all’ultimo minuto ho trovato questa location interessante che mi ha convinto a restare e così il 14 giugno del 2016 apro in piazza Duomo e a novembre, a Parma, eccomi per la terza volta sul palco tra i premiati Michelin per il 2017. Tre stelle in tre posti differenti. Dove ha incontrato il piacere della cucina? Nella casa di mia nonna Marianna. Faceva di tutto: le orecchiette, i triddi, una pasta in brodo tradizionale, le polpette di uovo e la parmigiana di melanzane, la mia preferita. Così ho creato un risotto con il gusto di una parmigiana e l’ho dedicato a mia mamma. La sua idea di cucina? Prima avevo un’idea diversa, ora penso che si debba ritornare ad amare le cose più semplici. Riscoprire il servizio in sala ad esempio: completare un piatto al tavolo. Il cliente italiano lo chiede e poi così si dà un ruolo anche al cameriere che è un mestiere in via di estinzione. L’evoluzione ci sta, ma non è quello che principalmente chiede l’ospite. Approfondiamo la sua idea del mestiere di cuoco... Da ragazzo avevo un quadro con tutte le foto degli chef che ammiravo. Compravo giornali, ritagliavo le foto e le riunivo in un collage. Al primo posto, però, avevo sempre Alain Ducasse. Sempre francesi, a me gli italiani non mi fanno impazzire, anche quando viaggiavo e frequentavo gli eventi internazionali andavo a guardare gli altri, negli italiani non trovavo nulla di esaltante. Gli altri sono bravi, la Francia ancora oggi è un modello nell’hotellerie e nella ristorazione. Separato, con due figli, Samuele di 14 anni e Melissa di 6 che vivono a Igea Marina, Felix, ma in Puglia torna? Ogni tanto. Mi hanno fatto ambasciatore della cucina pugliese. Con Milano ha un rapporto aperto, senza sconti... Sì, Milano è una metropoli, ma non la vedo come la descrivono, come la capitale economico-gastronomica. Non è una città che lavora tutti i giorni, non è ancora stabile ci sono alti e bassi. Milano si sveglia a dicembre. Ingredienti: 280 g di riso carnaroli, 60 g di parmigiano, 40 g di burro di capra, 1 l d’acqua, 1 l di latte, 50 g di vino bianco, 250 g di latte, 25 g di scalogno, 2 melanzane nere, 10 g di capperi disidratati, 300 g di pomodori San Marzano, sale, pepe, olio d’oliva q.b, 4 foglie di basilico comune piccolo, 4 foglie di basilico rosso, 4 foglie di basilico thai, 4 foglie di basilico selvatico, dadini di melanzana fritta Preparazione. La crema di melanzane: realizzare incisioni nelle melanzane, cuocere e abbrustolire in salamandra prestando attenzione a girarle costantemente. Quando saranno morbide dentro e abbastanza abbrustolite all’esterno, toglierle dalla salamandra e sbucciarle. Frullare aggiustando di sale, pepe e un filo d’olio fina a ottenere una crema liscia e omogenea. Polvere di pomodoro: frullare il pomodoro crudo, quindi scolarlo per una notte nell’etamina. Frullare una seconda volta con un filo d’olio, stendere il composto su carta forno. Far essicare a 65° per 36 ore. Quando il composto assumerà la consistenza di una cialda croccante, frullarla al Bimby ottenendo la polvere di pomodoro. Per il risotto: fare sudare lo scalogno con un cucchiaio d’olio in casseruola, quindi tostare il riso fin quando i chicchi non diventeranno traslucidi. Sfumare con il vino bianco, fare evaporare e continuare la cottura per altri 16 minuti con acqua e latte precedentemente miscelati. A fine cottura, togliere dal fuoco e mantecare con burro di capra e parmigiano reggiano. cena con vista All’ultimo piano di Townhouse Duomo, con vista sul Duomo, ha aperto lo scorso giugno il ristorante dello chef pugliese Lo Basso. E dopo appena cinque mesi ha conquistato la stella Michelin. L’ambiente accogliente è arredato con finiture curate in ogni dettaglio, per rendere l’esperienza unica e per far sentire gli ospiti a casa. Nel suo ristorante Felix Lo Basso offre una cucina di alto livello, sofisticata nell’elaborazione dei piatti ma con forti ancoraggi alla tradizione e alle materie prime italiane Ristorante Felix Lo Basso Piazza Duomo 21 – Milano www.duomo.townhousehotels.com 61 free time free time Da non perdere... Una selezione dei migliori eventi che animeranno la città nei prossimi mesi a cura di Enrico S. Benincasa Keith Haring - About Art Jack Savoretti Boom 60! L’arte in Italia a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta era protagonista sulle pagine di magazine e rotocalchi più di quanto si pensi. Una mostra al Museo del Novecento celebra questa relazione esponendo copie originali dell’epoca con servizi e interviste ad artisti come De Chirico, Picasso e Niki de Saint Phalle. Museo del Novecento - Milano fino al 12 marzo www.museodelnovecento.org Art Garfunkel Quattro date in Italia per il cantautore statunitense, metà di quel duo capace di rimanere nella storia della musica con brani come The Sound of Silence. Accompagnato da Tab Laven (chitarra) e Cliff Carter (tastiere), Art Garfunkel passerà anche da Milano per un’unica occasione a metà febbraio. Teatro LinearCiak - Milano il 15 febbraio www.dalessandroegalli.com Palazzo Reale - Milano dal 20 febbraio al 18 giugno www.palazzorealemilano.it Kish Kush La compagnia Teatrodistinto porta al Parenti uno spettacolo di teatro danza che indaga sul tema della diversità e sulla meraviglia che può comportare. Un muro di carta sottile divide i due protagonisti sulla scena, desiderosi però di confrontarsi in un gioco di suoni, luci e ombre che porta poi alla creazione di immagini nuove. Teatro Franco Parenti - Milano dal 31 gennaio al 5 febbraio www.teatrofrancoparenti.it 62 Sembra quasi un passaggio di testimone tra due grandi protagonisti della Pop Art del secolo scorso: Jean Michel Basquiat ci saluta, ma arriva Keith Haring a “sostituirlo” in un’ipotetica staffetta che vede coinvolti due grandi poli museali della città, il Mudec e Palazzo Reale. Sarà proprio quest’ultimo a ospitare fino alla metà di giugno la retrospettiva dedicata a Haring, artista fondamentale degli anni Ottanta che, tra i suoi tanti meriti, ha anche quello di aver aperto la via per lo “sdoganamento” dei graffiti e della street art nel panorama dell’arte mondiale. La mostra ripercorre tutta la sua carriera e contiene una vastissima selezione delle sue opere provenienti Fabrique - Milano il 24 febbraio www.jacksavoretti.com da tutto il mondo, mettendo in costante riferimento la sua produzione con quella di altri artisti. Il suo essere iconico nel tratto e la sua visione militante dell’arte ne hanno fatto un simbolo che oggi, a oltre 25 anni dalla morte, continua ad avere una forza e una capacità di influenzare, entrambe doti che contraddistinguono solo i grandi artisti. Ma la grandezza di Keith Haring passa anche dall’essere stato in grado di mettere in comunicazione mondi e culture diverse tra loro, a volte poco assimilabili almeno a prima vista: è proprio questo uno degli aspetti che la mostra di Palazzo Reale (curata da Gianni Mercurio) si propone di evidenziare. Lo scorso ottobre è uscito il suo quinto album in studio, Sleep No More, accolto come i precedenti da ottime recensioni da parte degli addetti ai lavori. Jack Savoretti continua sulla sua strada, quella della musica di qualità, cercando di non imitare nessuno e costruendosi pian piano un pubblico fedele e attento alla sua evoluzione. E la sua strada non può che passare dall’Italia perché Jack, nonostante i natali britannici, non ha mai rinnegato il legame con il nostro Paese e in particolare con la città da cui proviene suo padre, Genova. Un rapporto, però, vissuto in maniera normale e che, artisticamente parlando, si è declinato in diverse collaborazioni con altri artisti italiani, l’ultima delle quali è Elisa (con cui duetta nel brano Waste Your Time on Me contenuto nell’ultimo On della cantante friulana). Sleep No More può essere considerato il suo album della maturità per il quale si è avvalso della collaborazione di un team di produttori di primo livello, già al lavoro con fenomeni degli ultimi anni come per esempio Adele. Lui stesso l’ha definito come «una lettera d’amore dedicata a mia moglie», l’attrice Jemma Powell, dalla quale ha avuto due figli. Jack sarà in concerto a Milano alla fine di febbraio per una delle sue due date italiane (la seconda non può che essere quella di Genova). Identità golose Torna agli inizi di marzo la kermesse dedicata all’eccellenza gastronomica curata da Paolo Marchi. Il tema scelto per l’edizione 2017 è il viaggio, «per ribadire che tutto quello che consumiamo è frutto di viaggi». Si inizia il sabato, grande novità per questo evento, e non mancheranno certo i protagonisti della nostra cucina. MiCo - Milano dal 6 all’8 marzo www.identitagolose.it 63 secret milano network Puoi trovare Club Milano in oltre 200 location selezionate a Milano Il luogo che non c’è La sua realizzazione non fu semplice, Bramante affrontò diversi problemi, ma alla fine le difficoltà si rivelarono un’opportunità. Situata in pieno centro, ma poco nota, la basilica di Santa Maria presso San Satiro ha un aspetto apparentemente dimesso, ma svela a chi ha voglia di varcarne la soglia uno straordinario segreto di Elisa Zanetti Probabilmente ci sarete passati davanti mille volte, l’avrete intravista senza varcarne la soglia. Del resto accade spesso: alcuni tesori si hanno sotto gli occhi, eppure non si vedono. La basilica di Santa Maria presso San Satiro è sicuramente uno di questi. Collocata al 17/19 di via Torino, viene forse messa in ombra dalle vetrine di una delle vie dello shopping milanese, eppure non è difficile scorgerla. Leggermente aggettante, con il corpo centrale della sua facciata sembra quasi chiamare i passanti. Ascoltate il suo invito ma, fate attenzione, non fermatevi a osservare solamente l’esterno dalla corte poligonale irregolare che la ospita, anzi, sappiate che la facciata neorinascimentale fu tema di dibattito all’epoca della sua realizzazione: la chiesa del resto affondava le sue radici nella fine del XV secolo, ma fu portata a termine solo nel XIX. In origine il compito di realizzare la facciata fu 64 affidato a Giovanni Antonio Amedeo, ma pare che a causa di divergenze con il Bramante – responsabile del progetto, che a sua volta aveva fatto una proposta per l’esterno oltre ad avere progettato la facciata posteriore – i lavori furono solo avviati. Si dovette aspettare il 1871 per vedere la struttura completata. La basilica venne costruita sulla preesistente San Satiro, di cui resta traccia nel nome, per ricordare un miracolo avvenuto nel 1242, quando un uomo pugnalò un’immagine della Madonna custodita all’interno della chiesa e questa iniziò a sanguinare. I problemi legati alla facciata principale non furono gli unici: a metà lavori l’amministrazione della città negò al Bramante il permesso di occupare con l’abside parte della via posteriore. L’artista si trovò quindi a dovere fare i conti con spazi ridotti. Ma si sa, non tutti i mali vengono per nuocere e così quello che in origine sembrava essere un ostacolo si rivelò il punto di forza dell’intera costruzione. Osservate ora gli interni della basilica, lasciatevi abbagliare dalle volte dorate percorrendo la navata centrale e ammirate i soffitti a cassettoni delle due laterali. Alzate gli occhi verso la cupola riccamente decorata da lacunari dipinti in oro e azzurro e infine godetevi lo spettacolo di questa piccola chiesa: l’abside in tutto il suo magnifico sviluppo. Notate niente di strano? Spostatevi lateralmente, vi sarà più facile ricordare quanto vi abbiamo raccontato poco fa: Bramante non potendo estendersi nella via adiacente per la realizzazione dell’abside, con un colpo di genio diede vita al cosiddetto finto coro bramantesco. Ciò che vi sembra profondo una decina di metri, in realtà è raccolto in poco più di un metro. Un abile gioco prospettico che, ancora una volta, mostra che spesso non si vede ciò che si ha davanti agli occhi. night & restaurant: Al fresco Via Savona 50 Angolomilano Via Boltraffio18 Antica Trattoria della Pesa V.le Pasubio 10 Bar Magenta Largo D’Ancona Beda House Via Murat 2 Bento Bar C.so Garibaldi 104 Bhangra Bar C.so Sempione 1 Blanco Via Morgagni 2 Blue Note Via Borsieri 37 Caffè della Pusterla Via De Amicis 24 Café Gorille Via De Castillia 20 Caffè Savona Via Montevideo 4 Cape Town Via Vigevano 3 Capo Verde Via Leoncavallo 16 Cheese Via Celestino IV 11 Chocolat Via Boccaccio 9 Circle Via Stendhal 36 Colonial Cafè C.so Magenta 85 Combines XL Via Montevideo 9 Cubo Lungo Via San Galdino 5 Dada Cafè / Superstudio Più Via Tortona 27 Deseo C.so Sempione 2 Design Library Via Savona 11 Elettrauto Cadore Via Cadore ang. Pinaroli 3 El Galo Negro Via Taverna Executive Lounge Via Di Tocqueville 3 Exploit Via Pioppette 3 Fashion Cafè Via San Marco 1 FoodArt Via Vigevano 34 Fusco Via Solferino 48 G Lounge Via Larga 8 Giamaica Via Brera 32 God Save The Food Via Tortona 34 Goganga Via Cadolini 39 Grand’Italia Via Palermo 5 HB Bistrot Hangar Bicocca Via Chiese 2 Il Coriandolo Via dell’Orso 1 Innvilllà Via Pegaso 11 Jazz Cafè C.so Sempione 4 Kamarina Via Pier Capponi 1 Kisho Via Morosini 12 Kohinoor Via Decembrio 26 Kyoto Via Bixio 29 La Fabbrica V.le Pasubio 2 La rosa nera Via Solferino 12 La Tradizionale Via Bergognone 16 Le Biciclette Via Torti 1 Le Coquetel Via Vetere 14 Le jardin au bord du lac Via Circonvallazione 51 (Idroscalo) Leopardi 13 Via Leopardi 13 Les Gitanes Bistrot Via Tortona 15 Lifegate Cafè Via della Commenda 43 Living P.zza Sempione 2 Luca e Andrea Alzaia Naviglio Grande 34 MAG Cafè Ripa Porta Ticinese 43 Mandarin 2 Via Garofano 22 Milano Via Procaccini 37 Mono Via Lecco 6 My Sushi Via Casati 1 - V.le Certosa 63 N’ombra de Vin Via San Marco 2 Noon Via Boccaccio 4 Noy Via Soresina 4 O’ Fuoco Via Palermo 11 Origami Via Rosales 4 Ozium t7 café - via Tortona 7 Palo Alto Café C.so di Porta Romana 106 Panino Giusto P.zza Beccaria 4 - P.zza 24 Maggio Parco Via Spallanzani - C.so Magenta 14 Patchouli Cafè C.so Lodi 51 Posteria de Amicis Via De Amicis 33 Qor Via Elba 30 Radetzky C.so Garibaldi 105 Ratanà Via De Castillia 28 Refeel Via Sabotino 20 Rigolo Via Solferino 11 Marghera Via Marghera 37 Rita Via Fumagalli 1 Roialto Via Piero della Francesca 55 Serendepity C.so di Porta Ticinese 100 Seven C.so Colombo 11 - V.le Montenero 29 - Via Bertelli 4 Smeraldino P.zza XXV Aprile 1 Smooth Via Buonarroti 15 Superstudio Café Via Forcella 13 Stendhal Via Ancona 1 Tasca C.so Porta Ticinese 14 That’s Wine P.zza Velasca 5 Timè Via S.Marco 5 Tortona 36 Via Tortona 36 Trattoria Toscana C.so di Porta Ticinese 58 Union Club Via Moretto da Brescia 36 Van Gogh Cafè Via Bertani 2 Volo Via Torricelli 16 Zerodue_Restaurant C.so di Porta Ticinese 6 3Jolie Via Induno 1 stores: Ago Via San Pietro All’Orto 17 Al.ive Via Burlamacchi 11 Ana Pires Via Solferino 46 Antonia Via Pontevetero 1 ang. Via Cusani Bagatt P.zza San Marco 1 Banner Via Sant’Andrea 8/a Biffi C.so Genova 6 Brand Largo Zandonai 3 Brian&Barry via Durini 28 Brooksfield C.so Venezia 1 Buscemi Dischi C.so Magenta 31 Centro Porsche Milano Nord Via Stephenson 53 Centro Porsche Milano Est Via Rubattino 94 C.P. Company C.so Venezia Calligaris Via Tivoli ang. Foro Buonaparte Dantone C.so Matteotti 20 Eleven Store Via Tocqueville 11 Fgf store Piazza xxv Aprile1 Germano Zama Via Solferino 1 Gioielleria Verga Via Mazzini 1 Joost Via Cesare Correnti 12 Jump Via Sciesa 2/a Kartell Via Turati ang. Via Porta 1 La tenda 3 Piazza San Marco 1 Le Moustache Via Amadeo 24 Le Vintage Via Garigliano 4 Libreria Hoepli Via Hoepli 5 MCS Marlboro Classics C.so Venezia 2 - Via Torino 21 - C.so Vercelli 25 Moroso Via Pontaccio 8/10 Native Alzaia Naviglio Grande 36 Open viale Monte Nero 6 Paul Smith Via Manzoni 30 Pepe Jeans C.so Europa 18 Pinko Via Torino 47 Rubertelli Via Vincenzo Monti 56 The Store Via Solferino 11 Valcucine (Bookshop) C.so Garibaldi 99 showroom: Alberta Ferretti Via Donizetti 48 Alessandro Falconieri Via Uberti 6 And’s Studio Via Colletta 69 AutoRigoldi Showroom Skoda Via Pecchio10 AutoRigoldi Showroom Volkswagen Via Novara 235 Bagutta Via Tortona 35 Casile&Casile Via Mascheroni 19 Damiano Boiocchi Via San Primo 4 Daniela Gerini Via Sant’Andrea 8 Gap Studio C.so P.ta Romana 98 Gallo Evolution Via Andegari 15 ang. Via Manzoni Gruppo Moda Via Ferrini 3 Guess Via Lambro 5 Guffanti Concept Via Corridoni 37 IF Italian Fashion Via Vittadini 11 In Style Via Cola Montano 36 Interga V.le Faenza 12/13 Jean’s Paul Gaultier Via Montebello 30 Love Sex Money Via Giovan Battista Morgagni 33 Massimo Bonini Via Montenapoleone 2 Miroglio Via Burlamacchi 4 Missoni Via Solferino 9 Moschino Via San Gregorio 28 Parini 11 Via Parini 11 Red Fish Lab Via Malpighi 4 Sapi C.so Plebisciti 12 Spazio + Meet2Biz Alzaia Naviglio Grande 14 Studio Zeta Via Friuli 26 Who’s Who Via Serbelloni 7 beauty & fitness: Accademia del Bell’Essere Via Mecenate 76/24 Adorè C.so XXII Marzo 48 Aspria Harbour Club Milano Via Cascina Bellaria 19 Caroli Health Club Via Senato 1Centro Sportivo San Carlo Via Zenale 6 Damasco Via Tortona 19 Get Fit Via Lambrate 20 - Via Piranesi 9 - V.le Stelvio 65 - Via Piacenza 4 - Via Ravizza 4 - Via Meda 52 - Via Vico 38 - Via Cenisio 10 Greenline Via Procaccini 36/38 Gym Plus Via Friuli 10 Intrecci Via Larga 2 Le Garcons de la rue Via Lagrange 1 Le terme in città Via Vigevano 3 Orea Malià Via Castaldi 42 - Via Marghera 18 Romans Club Corso Sempione 30 Spy Hair Via Palermo 1 Tennis Club Milano Alberto Bonacossa Via Giuseppe Arimondi 15 Terme Milano P.zza Medaglie d’Oro 2, ang. Via Filippetti Tony&Guy Gall. Passerella 1 Virgin Active Milano Diaz Piazza Diaz 6 art & entertainment: PAC (Padiglione Arte Contemporanea) Via Palestro 14 Pack Foro Bonaparte 60 Palazzo Reale P.zza Duomo Teatro Carcano C.so di Porta Romana 63 Teatro Derby Via Pietro Mascagni 8 Teatro Libero Via Savona 10 Teatro Litta C.so Magenta 24 Teatro Smeraldo P.zza XXV Aprile 10 Teatro Strehler Largo Greppi 1 Triennale V.le Alemagna 6 Triennale Bovisa Via Lambruschini 31 hotel: Admiral Via Domodossola 16 Astoria V.le Murillo 9 Boscolo C.so Matteotti 4 Bronzino House Via Bronzino 20 Bulgari Via Fratelli Gabba 7/a Domenichino Via Domenichino 41 Four Season Via Gesù 8 Galileo C.so Europa 9 Nhow Via Tortona 35 Park Hyatt (Park Restaurant) Via T. Grossi 1 Residence Romana C.so P.ta Romana 64 Sheraton Diana Majestic V.le Piave 42 inoltre: Bagni Vecchi e Bagni Nuovi di Bormio (SO) Terme di PreSaint-Didier (AO) 65 Colophon club milano viale Col di Lana, 12 20136 Milano T +39 02 45491091 [email protected] www.clubmilano.net direttore responsabile sales manager Stefano Ampollini Filippo Mantero T +39 02 89072469 art director Luigi Bruzzone editore M.C.S. MEDIA srl caporedattore via Monte Stella, 2 Carolina Saporiti 10015 Ivrea TO redazione distribuzione Enrico S. 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