Vol. 42 • N. 166 Aprile-Giugno 2012
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Pacini Editore Medicina INDICE numero 166 Aprile-Giugno 2012 disturbi della Nutrizione (a cura di Carlo Agostoni) Presentazione È possibile una nutrizione basata sull’evidenza? Giorgio Bedogni, Carlo Agostoni.............................................................................................................................................................. 65 La nutrizione artificiale nel trattamento della malnutrizione secondaria in età pediatrica Antonella Diamanti, Paolo Gandullia, Manuela Gambarara...................................................................................................................... 70 Le adiposità nel bambino – C’è grasso e grasso: localizzazione e rischio clinico Paolo Brambilla, Valerio Nobili, Angelo Pietrobelli................................................................................................................................... 77 Allergologia respiratoria (a cura di Francesca Santamaria) Presentazione A vent’anni dalla nascita dell’hygiene hypothesis Paolo Maria Matricardi, Francesca Santamaria....................................................................................................................................... 85 Fattori di rischio per asma bronchiale Franca Rusconi, Livia Drovandi, Silvia Agostiniani.................................................................................................................................. 92 L’asma difficile nel bambino e nell’adolescente Ines Carloni, Stefania Omenetti, Barbara Fabbri, Luigi Pietroni, Fernando Maria de Benedictis............................................................. 98 Frontiere (a cura di Antonio Cao, Luigi D. Notarangelo, Achille Iolascon, Andrea Biondi) Controllo genetico, cellulare e molecolare della predisposizione a singoli agenti microbici Luigi D. Notarangelo.............................................................................................................................................................................. 106 FOCUS (a cura di Generoso Andria) I rachitismi ipofosfatemici Giuseppe Saggese, Francesco Vierucci, Paolo Simi.............................................................................................................................. 115 Disturbi della nutrizione Il compito assegnatomi, ovvero di coordinare una sezione di aggiornamento in nutrizione per Prospettive in Pediatria è sicuramente opportuno ed impegnativo al tempo stesso. Opportuno perché oggi la nutrizione occupa una grande parte dell’attività pediatrica, si organizzano scuole e corsi di nutrizione, ai nutrienti si richiede il compito di proteggere il bambino da tutti gli insulti, ambientali e fisici. Impegnativo, perché l’applicazione della medicina basata sull’evidenza al campo della nutrizione ha sicuramente aiutato a comprendere la debolezza di molte affermazioni, e la necessità di rivedere la tradizione, su cui si basa gran parte del concetto di nutrizione in pediatria, sotto una nuova luce critica. D’altra parte, l’approccio alla classica malnutrizione secondaria a patologia, ed al nuovo concetto di malnutrizione, ovvero la malnutrizione in eccesso, esitante in obesità e sindrome metabolica, rende necessario riprendere queste tematiche, che sfociano poi in un quadro di terapia clinica vera e propria. Questo è stato anche l’insegnamento che ho raccolto dai miei due Maestri, il professor Marcello Giovanni, e la professoressa Enrica Riva, in trenta anni di lavoro comune presso la Clinica Pediatrica Universitaria dell’Ospedale San Paolo a Milano. Il primo articolo prevede una messa a punto della medicina basata sull’evidenza alla nutrizione in età pediatrica. La nutrizione basata sull’evidenza condivide metodo ed obiettivi della medicina basata sull’evidenza ma vi sono alcune differenze dal punto di vista applicativo. Infatti, poiché gli RCT (Randomized Clinical Trials) sono difficili in ambito nutrizionale, la maggior parte dell’evidenza disponibile deriva da studi di coorte. Ne risulta una netta limitazione di evidenza, che ha portato, nel corso degli ultimi anni, a ripensare totalmente alle raccomandazioni una volta popolari per i primi due anni di vita. Né va dimenticato l’emergere di organismi regolatori (RDA in Nord-America, EFSA in Europa) chiamati a dirimere (EFSA in particolare) le questioni relative ai claim nutrizionali, con un occhio di riguardo proprio per l’età pediatrica, e che evidenziano una volta di più la limitata fruibilità dei claim stessi per la maggior parte dei nutrienti. Passando ai risvolti clinici della nutrizione, il secondo contributo è relativo alla malnutrizione secondaria ed al suo trattamento, tenendo conto che il problema è duplice, interessando sia l’aspetto tecnico di composizione e vie di accesso della nutrizione artificiale, sia la questione relativa alla patologia di base. Il terzo contributo è rivolto alla questione delle adiposità (= obesità), ovvero dell’accumulo in sede extra-fisiologica di tessuto adiposo, in quelle fasi in cui il rapporto causa-effetto con altre variabili non è ancora chiaro, ed in cui alcuni soggetti possono più velocemente essere sottoposti agli effetti ultimi della sindrome metabolica e delle sue complicanze. Nutrienti funzionali, veri o falsi, malnutrizione in malattia, adiposità e i suoi determinanti, per tutti questi aspetti la percezione di dovere evolversi ad un approccio personalizzato, di cui il background genetico debba anche essere un componente fondamentale, ma non il solo, ed in cui lo stesso approccio statistico e metodologico debba prevedere uno, o più, fattori di “correzione”, non ancora ben delineati. Lo scopo finale di questi articoli sarà quindi quello di sottolineare il messaggio della sensibilità individuale ad alcuni nutrienti, da accertare con metodiche e procedure appropriate, per quello che riguarda le loro proprietà funzionali. Contemporaneamente, saranno identificate condizioni di malnutrizione in difetto ed in eccesso, dove l’approccio procedurale qualitativo, quantitativo e tecnico potranno essere decisivi per la terapia della malattia stessa (malnutrizione secondaria) o per la prevenzione delle complicanze legate alla sindrome metabolica (adiposità e sovrappeso). Carlo Agostoni Dipartimento di Scienze Materne e Pediatriche, Università di Milano, Fondazione IRCCS Cà Granda – Ospedale Maggiore Policlinico, Milano 63 Aprile-Giugno 2012 • Vol. 42 • N. 166 • pp. 65-69 disturbi della nutrizione È possibile una nutrizione basata sull’evidenza? Giorgio Bedogni 1,2, Carlo Agostoni 1 Dipartimento di Scienze Materne e Pediatriche, Università di Milano, Fondazione IRCCS Cà Granda – Ospedale Maggiore Policlinico, Milano 2 Unità di Epidemiologia Clinica, Centro Studi Fegato, Basovizza, Trieste. 1 Riassunto L’estensione dei principi della medicina basata sull’evidenza alla nutrizione ed agli studi in campo nutrizionale ha contribuito alla identificazione dei punti in comune e di distinzione relativamente a questo approccio. In particolare, mentre i farmaci sono concepiti per essere efficaci in un tempo relativamente breve, l’impatto dei nutrienti sulla riduzione del rischio di malattia cronica può richiedere decadi per essere dimostrato – una differenza con implicazioni significative per la possibilità di condurre trial randomizzati controllati. Per fare fronte a questo gap temporale sono nella maggior parte dei casi utilizzati “surrogati” (es. indici antropometrici, ematochimici, neurofisiologici) che non rappresentano la malattia, ma indicano un’associazione con un livello di rischio di malattia o di protezione da essa. In campo pediatrico, questo si è tradotto in studi che hanno sviluppato il concetto del programming nutrizionale, in particolare relativo a nutrizione intrauterina, allattamento e divezzamento. In considerazione dei limiti evidenziati, ma anche dell’importanza che la nutrizione riveste nel contesto generale della vita di ogni individuo, la trasmissione di un messaggio equilibrato, che preveda l’inserimento della alimentazione in un contesto più ampio che tenga anche conto dello stile di vita e della genetica, potrebbe contribuire alla prevenzione delle malattie cronico-degenerative dell’età adulta. Summary The extension of the concept of the evidence-based medicine to nutrition and studies within the nutritional field has emphasized similarities and discrepancies between the two areas. While drugs are usually prescribed to have an short-term effect, the impact of nutrients on the reduction of the risk of chronic diseases may require years to demonstrate a long-term target. The difference has enormous implications when we consider the feasibility of randomized, controlled clinical trials. To match this temporal “gap” the use of “surrogates” has entered the common practice of research. Surrogates (such as anthropometric, haematochemical and neurophysiological indices) do not directly stand for the disease, but may indicate an association with a level of risk for a disease, or a protection from a disease. Within pediatrics, the concept has developed as “nutritional programming”, referring to intrauterine nutrition, breastfeeding and complementary feeding. Considering the relevance of nutrition for the individual every-day life, the diffusion of balanced recommendations in which nutrition, lifestyle and genetics are closely connected might contribute to the prevention of chronic degenerative disorders of adulthood. Introduzione: dall’EBM all’EBN Obiettivo e metodologia La Medicina basata sull’evidenza (EBM, evidence-based medicine), che “richiede l’integrazione della miglior ricerca disponibile con l’esperienza clinica e i valori del paziente” (Straus, 2005), ha ottenuto un consenso crescente negli ultimi 20 anni e ha finito col permeare molti aspetti dell’attuale pratica clinica (Liberati et al., 2004). L’EBM utilizza una gerarchia di livelli di evidenza per valutare l’efficacia dei trattamenti e le metanalisi di trial randomizzati controllati (RCT) occupano il primo livello di tale gerarchia (Straus, 2005). Ciò dipende dal fatto che soltanto gli RCT possono dimostrare in senso stretto una relazione di causa-effetto. Al di là delle difficoltà epistemologiche intrinseche al concetto di causa (Rothman et al., 2005), è necessario osservare che una relazione causa-effetto può essere postulata ed infine accettata anche sulla base di studi osservazionali. Il ruolo del fumo di tabacco nella cancerogenesi polmonare è stato accettato proprio in ragione dell’evidenza convergente di numerosi studi osservazionali (Vandenbroucke, 2009). Ciò non toglie che sia molto più complicato inferire una relazione di causa-effetto da studi osservazionali che non da RCT e che la letteratura medica sia piena di esempi dove l’evidenza fornita da studi osservazionali è stata “confutata” da RCT (Rubin, 2007). Queste precisazioni metodologiche sono essenziali per comprendere la domanda che è all’origine di questo articolo: “Può la Nutrizione basata sull’Evidenza (EBN, evidence-based nutrition), intesa come una serie di raccomandazioni relative all’assunzione dei nutrienti nella popolazione generale, utilizzare gli stessi criteri dell’EBM?” Punti salienti: può esistere un’“EBN”? Blumberg et al. (2010), riprendendo il lavoro di Heaney (2008), hanno formulato sei obiezioni all’applicazione dei criteri EBM alla Nutrizione (Tab. I). Prima di passare in rassegna tali obiezioni, è necessario considerare il contesto in cui esse sono originate. Il primo impiego dei criteri EBM per la valutazione della “base di evidenza” sottostante le raccomandazioni nutrizionali è stato fatto dall’Institute of Medicine nel 1997. Tale approccio ha conosciuto rapidamente un’ampia diffusione grazie alla popolarità dell’EBM. Il problema, come osservano Blumberg et al. (2010), è che la stessa base di evidenza è stata utilizzata in maniera differente da Enti differenti per fornire raccomandazioni nutrizionali. Anche se riteniamo che ci sia un’inevitabile componente soggettiva nella valutazione di prove “oggettive” – un punto su cui torneremo in chiusura – le obiezioni di Blumberg et al. (2010) hanno certamente il potenziale per far avan- 65 G. Bedogni, C. Agostoni Tabella I. Sei obiezioni all’EBN (Blumberg et al., 2010). 1. Gli interventi di tipo medico sono concepiti e testati per curare una malattia non prodotta dalla loro assenza, mentre i nutrienti prevengono disfunzioni che risultano da un loro introito inadeguato; 2. Non è generalmente possibile assumere un equipoise clinico per gli effetti di base dei nutrienti e ciò crea impedimenti di natura etica per molti trial; 3. Gli effetti dei farmaci sono per lo più selettivi ed ampi mentre gli effetti dei nutrienti sono di regola multipli e piccoli; 4. Gli effetti dei farmaci tendono ad essere monotonici, con risposta variabile in proporzione alla dose, mentre gli effetti dei nutrienti hanno spesso un carattere sigmoide, con una risposta utile che corrisponde a una porzione ristretta dell’intervallo di introito alimentare; 5. Gli effetti dei farmaci possono essere valutati utilizzando un gruppo di controllo non esposto (placebo) mentre è impossibile e/o non etico utilizzare un gruppo di controllo con introito “zero” di nutrienti; 6. I farmaci sono concepiti per essere efficaci in un tempo relativamente breve mentre l’impatto dei nutrienti sulla riduzione del rischio di malattia cronica può richiedere decadi per essere dimostrato – una differenza con implicazioni significative per la possibilità di condurre trial randomizzati controllati. zare la conoscenza nutrizionale e meritano l’attenzione dei pediatri italiani, da sempre in prima linea nell’educazione nutrizionale. Vediamo dunque in dettaglio le sei obiezioni di Blumberg et al. (2010) all’adozione “acritica” dei criteri EBM alla Nutrizione (Tab. I). Sei obiezioni metodologiche all’“EBN” Obiezione 1 La formulazione di livelli di assunzione raccomandata di nutrienti per la popolazione generale non mira a curare una malattia ma a prevenire la comparsa di disfunzioni e patologie imputabili alla carenza di nutrienti. Il fatto che i nutrienti apportino dei benefici – osservano Blumberg et al. (2010) – è implicito nella loro definizione. Ciò è particolarmente vero per i nutrienti essenziali, che non possono essere sintetizzati dall’organismo e devono pertanto essere assunti con l’alimentazione. Pertanto, l’“ipotesi nulla” tipicamente fatta nei trial clinici che “il trattamento X non conferisce alcun beneficio” non ha un corrispettivo per molti nutrienti. Desideriamo osservare che quest’obiezione non si applica, almeno in linea generale, alla valutazione dell’efficacia della supplementazione di un nutriente nella prevenzione/trattamento di una patologia, come ad esempio il ruolo dell’acido folico nella prevenzione della spina bifida (esempio su cui torneremo in quanto si presta a numerose considerazioni). Obiezione 2 L’“equipoise” (o principio di equipollenza) discusso in questa obiezione è quel principio etico fondamentale che consente di arruolare pazienti in un RCT solo se c’è un’incertezza reale su quale gruppo tra quelli arruolati nel trial otterrà il miglior beneficio (Straus, 2005). Questa sicurezza manca ovviamente nel caso in cui un gruppo di pazienti debba consumare per disegno un basso livello o peggio ancora, un “livello zero” di un nutriente. Obiezione 3 Quest’obiezione condensa due concetti: 1) la dimensione dell’effetto di un nutriente è di regola inferiore a quella di un farmaco e, 2) l’effetto di un nutriente coinvolge più bersagli rispetto a un farmaco. 66 Per quanto attiene alla dimensione dell’effetto, non c’è dubbio che un effetto “piccolo” richieda più accorgimenti – in primo luogo una maggior numerosità campionaria – per essere rilevato ma, in linea generale, il problema è affrontabile da un punto di vista metodologico. Ben più complicato è il problema dei “bersagli” e, quindi, degli “outcome” multipli di un nutriente. Heaney (2008) ha suggerito l’impiego di “indici globali” che siano “l’endpoint primario per molti studi sugli effetti dei nutrienti”. Quest’approccio, teoricamente valido, deve però considerare che “il peso relativo attribuito ai vari outcome può essere controverso e richiede un consenso se i risultati di tali studi debbono essere accettati dalla comunità scientifica” (Heaney, 2008) e, cosa non meno importante, il fatto che esso non ha ancora trovato una formulazione operativa concreta. Secondo Blumberg et al. (2010), le funzioni multiple dei nutrienti dovrebbero rappresentare il punto centrale della ricerca sui nutrienti, che dovrebbe rispondere a due interrogativi: “1) qual è l’intero spettro di disfunzioni o malattie prodotto dall’introito ridotto di un nutriente? e, 2) qual è il suo introito sufficiente ad assicurare funzioni fisiologiche ottimali o una riduzione del rischio di malattia considerando tutti i sistemi corporei e gli outcome”. Si tratta di due domande estremamente ambiziose che complicano in misura notevole la ricerca sui nutrienti rispetto ad altre aree della ricerca biomedica. Le attuali raccomandazioni per l’assunzione di nutrienti si basano sulla scelta di una “malattia indice” per la quale vi è l’evidenza maggiore o quanto meno il consenso maggiore. Secondo Blumberg et al. (2010), questo crea un problema nella misura in cui la prevenzione di una “malattia non-indice” richiede una quantità di nutriente superiore a quella della malattia indice. È il caso, ad esempio, della quantità di acido folico necessaria per la prevenzione della spina bifida (malattia non indice), superiore a quella necessaria per la prevenzione dell’anemia macrocitica (malattia indice nelle attuali raccomandazioni). Obiezione 4 Quest’obiezione considera la tipica natura sigmoide della curva introito-risposta di un nutriente (Heaney, 2008). La risposta al nutriente è rilevabile massimamente nella prima parte del braccio ascendente della curva sigmoide, cioè negli individui con un introito del nutriente relativamente basso. Ciò rappresenta una potenziale spiegazione del perché la supplementazione di un nutriente nel corso di un RCT che coinvolge un gruppo sperimentale e uno di controllo con introito di quel nutriente simile e prossimo ai valori normali (o quanto meno giudicati tali sulla base dell’evidenza disponibile) possa dare un risultato negativo. A scanso di equivoci: ciò non equivale a negare che la supplementazione di quel nutriente non ha ottenuto l’effetto cercato in quella “popolazione” ma soltanto a mettere in evidenza che l’ipotesi testata da un RCT come questo non ha nulla a che vedere col ruolo di quel nutriente nella prevenzione dell’outcome. Obiezione 5 Quest’obiezione – assieme all’obiezione 2 – rappresenta una barriera formidabile all’impiego di un RCT per la valutazione dei livelli di assunzione raccomandata di un nutriente. È impensabile che il gruppo di controllo di un RCT sia artificialmente tenuto a livello zero o pericolosamente basso di un determinato nutriente (sempre sulla base della conoscenza disponibile). Questa è probabilmente la ragione per cui gli RCT sui nutrienti tendono ad essere effettuati su popolazioni con introiti per lo più adeguati, con i problemi inevitabili discussi all’obiezione 4. È possibile una nutrizione basata sull’evidenza? Obiezione 6 Non c’è dubbio che il tempo richiesto per valutare l’efficacia di un nutriente nella prevenzione di una malattia cronica sia molto più lungo rispetto a quello per il quale è disegnata la grande maggioranza degli studi farmacologici. Ciò rende difficile la valutazione dell’effetto dei nutrienti non solo attraverso RCT ma anche attraverso studi di coorte. Alcuni suggerimenti metodologici In Tabella II sono riportati in forma sintetica i suggerimenti di Blumberg et al. (2010) per migliorare la qualità degli studi nutrizionali. La valutazione del rapporto rischio-beneficio Un punto importante della critica di Blumberg et al. (2010) riguarda il rapporto rischio-beneficio percepito delle raccomandazioni nutrizionali rispetto a quelle farmacologiche. In sintesi, mentre per i farmaci sarebbero necessarie prove di efficacia estremamente rigorose, le decisioni relative ai nutrienti dovrebbero essere prese sulla base dell’evidenza disponibile relativa alla quantità di nutriente capace di causare un danno per difetto o per eccesso. Per quanto plausibile in linea generale, quest’argomentazione può scontrarsi con diverse linee di evidenza. Prendiamo ancora una volta il caso della supplementazione di acido folico in gravidanza. Heaney et al. (2011) hanno argomentato che il ritardo nell’implementazione routinaria della supplementazione nell’acido in gravidanza ha causato un numero elevato di neonati con spina bifida evitabile. Ciò sembra “ragionevole” ma la conclusione potrebbe essere molto differente se si considerasse l’evidenza – preliminare ma di estrema importanza nell’ottica di una valutazione del rapporto costo-beneficio – relativa a un ruolo dell’eccesso di acido folico circolante come possibile (con?)causa di cancro e ipoevolutismo psichico. EBN: realtà possibile? In una versione più recente e divulgativa della loro critica all’EBN, Heaney et al. (2011) si chiedono se sia giunto il momento di passare a una “versione 2.0” dell’EBN. In verità, ciò che gli autori propongono è meno drammatico di quanto suggerito dal titolo provocatorio del loro articolo. Essi non hanno infatti mai suggerito che “gli standard di prova per i nutrienti debbano essere rilassati” (Blumberg et al., 2010; Fenton et al., 2011; Heaney et al., 2011) ma che “le decisioni relative ai nutrienti possano [e spesso, aggiungiamo noi, debbano] essere fatte a un livello di certezza inferiore rispetto a quelle fatte per i farmaci… con una confidenza necessariamente inferiore nella correttezza delle conclusioni” (Blumberg et al., 2010). La precisazione sulla confidenza è molto importante perché chiarisce che non si sta cercando di modificare in maniera più o meno arbitraria la gerarchia delle prove di efficacia. Nella nostra personale interpretazione, ciò corrisponde ad ammettere innanzitutto il carattere fallibile e congetturale della conoscenza scientifica e, secondariamente, l’impossibilità di sottrarsi all’evidenza di fornire raccomandazioni nutrizionali, se non altro in ragione del fatto che esse hanno un ruolo importante (quanto meno percepito) per il mantenimento dello stato di salute. Desideriamo inoltre aggiungere che, se è certamente imbarazzante il fatto che Enti regolatori forniscano raccomandazioni nutrizionali diverse utilizzando (almeno in apparenza) la stessa “base di evidenza” (Heaney et al., 2011), questa è almeno in parte una conseguenza del fatto che l’evidenza deve essere interpretata in un contesto non soltanto di fatti ma anche di opinioni e di valori individuali (Shrier et al., 2008; Liberati et al., 2004). Opinione personale ed interpretazione alla luce della “EDN” (every-day nutrition) in età pediatrica Secondo la teoria del nutritional programming (costruita sulla base di evidenze ottenute da studi osservazionali), modificazioni nutrizio- Tabella II. Suggerimenti per gli studi nutrizionali (Blumberg et al., 2010). Tipo di studio Fattori Trial randomizzato controllato Gruppo di controllo (o tempo di esposizione) con introito del nutriente sufficientemente basso Accuratezza della stima dell’introito di nutrienti Perdita minima di soggetti Replicazione dell’effetto Aderenza/compliance al trattamento Ottimizzazione/controllo dell’introito di co-nutrienti Dimensione dell’effetto (ad es. rischio relativo < 0.5 o > 2.0) Studio di coorte Gruppo di controllo con basso introito del nutriente Validazione del metodo di stima dell’introito alimentare Corretta sequenza temporale Relazione dose-tempo Replicazione/molteplicità di studi Bassa variabilità (varianza) tra i soggetti Plausibilità biologica Controllo adeguato per l’introito di co-nutrienti Controllo adeguato per i fattori confondenti Dimensione dell’effetto (ad es. rischio relativo < 0.5 o > 2.0) Studio caso-controllo Basso introito del nutriente nel gruppo di controllo Confronto di gruppi ottenuti in maniera casuale dalla popolazione generale Plausibilità biologica Controllo adeguato per l’introito di co-nutrienti Dimensione dell’effetto (ad es. rischio relativo < 0.5 o > 2.0) in corsivo: punti maggiormente all’origine di errori e/o deficit metodologici in studi nutrizionali. 67 G. Bedogni, C. Agostoni nali in periodi sensibili dello sviluppo possono avere effetti a lungo termine sullo stato di salute (Lucas, 2010). Questa teoria ha paralleli molto stretti con l’epigenetica, che ha dimostrato la possibilità di modificare il fenotipo indipendentemente da modificazioni del genoma come tale (Berni Canani et al., 2011). Anche se le implicazioni pratiche di queste scoperte non sono ancora chiare, è più che comprensibile l’entusiasmo che esse hanno generato nella comunità dei ricercatori. Ciò è alquanto rilevante ai fini di una definizione accettabile di “EBN”. Gli effetti del nutritional programming dovrebbero essere valutati seguendo per tutta (o gran parte del) la vita soggetti esposti a livelli diversi di un nutriente in un periodo sensibile dello sviluppo e gli outcome da investigare dovrebbero essere clinicamente rilevanti (es. mortalità cardiovascolare). Non essendo questo possibile, anche in ragione di una forte richiesta da parte dei cosiddetti stake-holders, si è accettato in generale l’impiego di “marcatori surrogati” che dovrebbero rappresentare un analogo precoce di malattia. Naturalmente, un indicatore surrogato di un qualche valore deve essere stato associato ad un outcome clinicamente rilevante possibilmente con un buon controllo dei fattori confondenti. La Comunità Europea distingue, in maniera assai corretta da un punto di vista metodologico ma con tutti i problemi rilevati dalle obiezioni 3 e 6, le indicazioni salutistiche funzionali dalle indicazioni sulla riduzione del rischio di malattia. Chiediamoci dunque qual è lo scopo dell’EDN (garantire una crescita ottimale non solo per il presente ma anche per il futuro?) e, soprattutto, consideriamo i limiti intrinseci alla natura congetturale e ipotetica della conoscenza e le inevitabili divergenze di opinioni anche in presenza degli stessi fatti apparenti. L’efficacia del singolo provvedimento nutrizionale più importante in età pediatrica, l’allattamento al seno, è inferita da studi osservazionali e da un solo trial “parzialmente randomizzato” (Kramer et al. 2009a), in cui peraltro gli effetti positivi attribuiti al latte materno risultano attenuati (Kramer et al., 2009b). Un altro tema affrontato con notevole coinvolgimento di gruppi di studio e di mezzi di inda- gine nel corso degli ultimi decenni è quello relativo al ruolo dei nutrienti nelle precoci fasi dello sviluppo del Sistema Nervoso Centrale e delle sue funzioni. Tra questi, il ruolo degli acidi grassi polinsaturi della serie n-3, ed in particolare dell’acido docosaesaenoico, è stato identificato come possibile determinante sia della crescita strutturale che funzionale del cervello. Tuttavia, limitazioni metodologiche, la eterogeneità dei disegni di studio e l’incertezza sulla predittività dei test usati non hanno ancora raggiunto un livello di evidenza che ne sanciscano definitivamente un ruolo positivo (Simmer et al., 2011). Inoltre, la sua efficacia in termini di supplementazione esogena è legata probabilmente alla variabilità genetica inter-individuale che solo negli ultimi anni è stata identificata (Caspi et al., 2007). Relativamente all’alimentazione nel primo anno di vita, poco può essere affermato con ragionevole certezza (Agostoni et al., 2008; EFSA, 2009) e le attuali raccomandazioni potrebbero cambiare in ragione di nuove evidenze. L’evidenza attualmente sottostante al concetto di nutritional programming è valida per il primo anno di vita e si basa principalmente su indicatori surrogati (Socha et al., 2011). Per le età successive, la scienza della nutrizione si divide essenzialmente tra gli effetti di diversi dosaggi di singoli nutrienti e l’analisi della composizione corporea e le sue conseguenze. Conclusioni e prospettive per il futuro Fornire un messaggio equilibrato, inserendo l’alimentazione in un contesto più ampio che tenga conto anche dello stile di vita e della genetica, potrebbe aiutare nella prevenzione delle malattie cronicodegenerative dell’età adulta. Questa è la grande sfida che attende la Nutrizione pediatrica negli anni a venire. L’uso del condizionale è d’obbligo perché quest’evidenza è attualmente disponibile in contesti ancora limitati e deve essere sottoposta al vaglio del metodo, con gli strumenti più adeguati al contesto e sempre tenendo conto delle loro limitazioni. Box di orientamento: l’evidenza in nutrizione Cosa si sapeva prima: Le applicazioni e le raccomandazioni in campo nutrizionale, in particolare quelle relative ai primi anni di vita, venivano derivate soprattutto da tradizioni. Di conseguenza la metodologia legata alla medicina basata sull’evidenza ha suscitato immediato interesse per la possibilità di creare un percorso scientifico all’interno della nutrizione, soprattutto per le indicazioni nelle prime fasi di vita. Cosa sappiamo adesso: Modelli diversi di nutrizione si associano a pattern differenti dal punto di vista della antropometria e del quadro ematochimico, almeno a breve termine. A medio e lungo termine, altre variabili legate alla genetica ed all’ambiente arrivano a modificare il programming nutrizionale, in maniera ancora poco definita. Per ovviare alla mancanza di evidenza diretta degli effetti di nutrienti a lungo termine si utilizzano negli studi clinici dei surrogati, che rappresentano potenziali marcatori associati ad alcune fasi della malattia che si desidera prevenire. Quali ricadute sulla pratica clinica: La trasmissione di un messaggio equilibrato alle famiglie, dalla nascita alla adolescenza, sulla nutrizione e gli stili di vita potrebbe contribuire alla prevenzione delle malattie cronico-degenerative dell’età adulta. In questo contesto, l’allattamento al seno prolungato rimane la pratica maggiormente raccomandabile benchè non comprovabile con la metodologia EBM classica. Bibliografia Agostoni C, Decsi T, Fewtrell M, et al. Complementary feeding: a commentary by the ESPGHAN Committee on Nutrition. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2008;46:99-110 ** La prima raccomandazione in base alla evidenza sulle modalità di divezzamento nei Paesi Europei, ripresa anche della European Food Safety Authority, EFSA, nel 2009. Berni Canani RB, Di Costanzo M, Leone L, et al. Epigenetic mechanisms elicited by nutrition in early life. Nutr Res Rev 2011;24:198-205. 68 Blumberg J, Heaney RP, Huncharek M, et al. Evidence-based criteria in the nutritional context. Nutr Rev 2010;68:478-84. ** L’articolo che ha ispirato questa revisione. Si raccomanda di leggere anche l’appendice elettronica che sviluppa in maggior dettaglio alcune questioni metodologiche. Caspi A, Williams B, Kim-Cohen J, et al. Moderation of breastfeeding effects on the IQ by genetic variation in fatty acid metabolism. Proc Natl Acad Sci U S A 2007;104: 18860-5. È possibile una nutrizione basata sull’evidenza? * Il primo studio che associa l’effetto positivo del latte materno sullo sviluppo neuro-cognitivo alla variabilità genetica delle desaturasi degli acidi grassi. EFSA. Scientific Opinion on the appropriate age for introduction of complementary feeding of infants. EFSA Journal 2009;7:1423. Fenton TR, Fenton CJ. Nutrition science mustn’t accept a lower level of evidence. Nutr Rev 2011;69:413-4. Heaney RP. Nutrients, endpoints, and the problem of proof. J Nutr 2008;138:1591-5. Heaney RP, Weaver CM, Blumberg J. EBN (Evidence-Based Nutrition) Ver. 2.0. Nutrition Today 2011;46:22-6. * Una versione più divulgativa di Blumberg et al. (2011). Consigliamo di leggerlo dopo avere letto Blumberg et al. (2011). Heaney RP, Blumberg J. Author reply: Nutrition science mustn’t accept a lower level of evidence. Nutr Rev 2011;69:415-6. Liberati A and Vineis P. Introduction to the symposium: what evidence based medicine is and what it is not. J Med Ethics 2004;30:120-1. * Una sola pagina per riassumere in maniera magistrale i vantaggi, i limiti e la valenza etica dell’EBM. Lucas A. Growth and later health: a general perspective. Nestle Nutr Workshop Ser Pediatr Program 2010, 65 p1-9. Kramer MS, Matush L, Bogdanovich N, et al. Health and development outcomes in 6.5-y-old children breastfed exclusively for 3 or 6 mo. Am J Clin Nutr 2009a;90:1070-4. * L’unica osservazione basata in parte sul principio degli RCT sugli effetti dell’allattamento al seno. Kramer MS, Matush L, Vanilovich I, et al. A randomized breast-feeding promotion intervention did not reduce child obesity in Belarus. J Nutr 2009;139:417S21S. Rothman KJ, Greenland S. Causation and causal inference in epidemiology. Am J Public Health 2005;95 Suppl 1:S144-50. Rubin DB. The design versus the analysis of observational studies for causal effects: parallels with the design of randomized trials. Stat Med 2007;26:2036. Shrier I, Boivin JF, Platt RW et al. The interpretation of systematic reviews with meta-analyses: an objective or subjective process? BMC Med Inform Decis Mak 2008;8:19. Simmer K, Patole SK, Rao SC. Longchain polyunsaturated fatty acid supplementation in infants born at term. Cochrane Database Syst Rev 2011; pCD000376. Socha P, Grote V, Gruszfeld D, et al. Milk protein intake, the metabolic-endocrine response, and growth in infancy: data from a randomized clinical trial. Am J Clin Nutr 2011:e-pub ahead of print. Straus, S.E. Evidence-based medicine: how to practice and teach EBM. Elsevier/ Churchill Livingstone. 2005. Vandenbroucke JP. Commentary: “Smoking and lung cancer”– the embryogenesis of modern epidemiology. Int J Epidemiol 2009;38:1193-6. Corrispondenza Carlo Agostoni, Dipartimento di Scienze Materne e Pediatriche, Università di Milano, Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, via Pace 9, 20122 Milano, Italy. E-mail: [email protected] 69 Aprile-Giugno 2012 2011 • Vol. 42 41 • N. 166 162 • pp. Pp. 70-76 xx-xx disturbi dellanefrologia nutrizione La nutrizione artificiale nel trattamento della malnutrizione secondaria in età pediatrica Antonella Diamanti 1, Paolo Gandullia 2, Manuela Gambarara 1 1 2 Unità Operativa di Epato-Gastroenterologia e Nutrizione, Ospedale Bambino Gesù, IRCCS, Roma; Unità Operativa di Gastroenterologia e Nutrizione Istituto Giannina Gaslini, IRCCS, Genova Riassunto La nutrizione artificiale (NA) è indicata quando esiste uno squilibrio tra le richieste energetiche e nutritive e l’introito calorico assunto per via orale. Tale squilibrio si manifesta spesso nei pazienti affetti da patologie croniche per le seguenti cause: inadeguato apporto per via orale, alterazioni della digestione e dell’assorbimento e incremento delle richieste e del dispendio energetici. In tutte le patologie croniche a rischio di malnutrizione alcuni criteri clinici ed antropometrici, benché non supportati da reali evidenze, possono comunque guidare la decisione del clinico di avviare un programma di NA. In generale la nutrizione enterale è quella maggiormente utilizzata se l’apparato gastrointestinale è almeno parzialmente funzionante. In determinate situazioni cliniche si può far ricorso ad un uso associato di enterale e parenterale, anche se l’apparato gastrointestinale è funzionante. Determinate condizioni quali stadi occlusivi intestinali, perforazioni e gravi forme di insufficienza intestinale, richiedono invece l’uso esclusivo della nutrizione parenterale. Summary Artificial nutrition (AN) is indicated when there is imbalance between energy and nutrients requirements that cannot be met by regular food intake, as often occurs in patients with chronic diseases. Inadequate oral intake, disorders of digestion and absorption and increased nutritional requirements and losses, are the main causes of malnutrition in chronic diseases. Clinical and anthropometrical criteria, although not evidence-based, may support the decision to start an AN support in malnourished patients. Enteral nutrition is appropriate when the gut is at least partially functional. In some clinical settings, combined enteral and parenteral nutrition may be approached, even in the presence of a functional gut. Some digestive conditions, as ileus, perforation and severe intestinal failure, represent contraindications to enteral nutrition. Introduzione La Nutrizione Artificiale (NA) viene definita come la terapia mediante la quale è possibile prevenire o correggere la malnutrizione in pazienti in cui l’alimentazione per via naturale è compromessa, temporaneamente o permanentemente, a causa di una sottostante condizione di malattia o dei suoi esiti (American Dietetic Association 2009). Indicazione generale o obiettivo primario della NA è quindi la prevenzione e/o il trattamento della malnutrizione secondaria a malattia, ogniqualvolta essa non sia risolvibile con un adeguamento degli apporti per via orale (Seres et al, 2006). La NA comprende: - la NE modalità di NA mediante la quale i nutrienti in forma prevalentemente complessa sono somministrati nello stomaco o nell’intestino mediante l’uso di apposite sonde o stomie; - la NP modalità di NA mediante la quale i nutrienti in forma semplice vengono somministrati attraverso una vena (periferica o centrale) in pazienti in cui la funzionalità del tratto intestinale è compromessa. Obiettivo del Lavoro Definire indicazioni e gestione clinica della NE e della NP nelle patologie croniche Metodologia della ricerca bibliografica La ricerca degli articoli è stata effettuata utilizzando come motore di ricerca Medline e come parole chiave: “malnutrizione, nutrizione enterale (NE) e nutrizione parenterale (NP)”. Sono stati utilizzati i 70 seguenti filtri: articoli pubblicati negli ultimi 5 anni e fascia d’età 0-18 anni. Sono stati così selezionati 72 lavori riguardanti la NP e 79 la NE. Sono stati inclusi nella revisione tutti quelli riguardanti l’uso delle due tecniche nutrizionali nella malnutrizione secondaria, come anche gli articoli rilevanti citati, ma pubblicati prima del 2006. Definizione di malnutrizione secondaria e indicazioni alla NA La malnutrizione è definita come uno stato di alterazione funzionale, strutturale e di sviluppo dell’organismo conseguente allo squilibrio tra fabbisogni, introiti ed utilizzazione dei nutrienti. La malnutrizione secondaria è così definita, perché innescata da una patologia di base e non primitivamente causata da carenze nutrizionali (Joosten et al., 2008, Joosten et al., 2011). La malnutrizione secondaria si può esprimere, dal punto di vista antropometrico, come malnutrizione acuta (wasting), definita da uno z-score per il peso <-2 o, più frequentemente, come malnutrizione cronica (stunting), definita da uno z-score per la statura <-2 (WHO, 1999), rispetto agli standard della popolazione di riferimento (Cacciari et al., 2006, www.cdc.gov). In qualche caso la malnutrizione che accompagna le patologie croniche è di tipo misto, poiché lo stunting preesistente si può associare a wasting in occasione di ricoveri ospedalieri per una malattia intercorrente o per riacutizzazione della malattia di base (Joosten et al., 2008). Per particolari condizioni patologiche a rischio di malnutrizione esistono delle curve di crescita specifiche: la paralisi cerebrale infantile (Krick et al., 1996), le sindromi di Down (Myrelid et al., 2002), di Williams (Morris La nutrizione artificiale nel trattamento della malnutrizione secondaria in età pediatrica Tabella I. Cause di malnutrizione secondaria nelle differenti condizioni cliniche Principali cause di malnutrizione Condizione cliniche Alterazioni della digestione e dell’assorbimento Intestino corto (sindrome malassorbitiva determinata dagli esiti di resezioni intestinali più o meno estesa secondaria per lo più a patologie e difetti malformativi dell’apparato digerente rappresentati da: enterocolite necrotizzante, gastroschisi, atresie, malrotazione con volovolo, megacolon esteso) Disordini della motilità gastrointestinale: pseudostruzione intestinale cronica, megacolon esteso Difetti strutturale della mucosa gastrointestinale: sindrome del microvillo incluso, displasia epiteliale e diarrea sindromica Gravi allergie alimentari Diarrea protratta dell’infanzia Patologie epatiche croniche Gravi immunodeficienze Fistole intestinali Graft versus host disease Enteriti da infestazione cronica da Giardia Malattie infiammatorie croniche intestinali Fibrosi cistica Inadeguato apporto orale Esiti di danno neurologico secondario a:paralisi cerebrale, danno anossico-ischemico-emorragico ed encefalopatia epilettogena Condizioni sindromiche associate a cronico ritardo di crescita (es. Sindrome di Down, Williams, Noonan) Fistole tracheo-esofagee Estese lesioni traumatiche ed ustioni del primo tratto digestivo Pazienti in ventilazione meccanica Grave reflusso gastroesofageo Patologie psichiatriche (anoressia-depressione) Patologie mataboliche Richieste nutrizionali e dispendio energetico incrementati Patologie polmonari gravi (es. broncodisplasia) Cardiopatie congenite Fibrosi cistica Ustioni/traumi, sepsi gravi, HIV, interventi chirurgici maggiori Nefropatie richiedenti trattamento dialitico Malattie infiammatorie croniche intestinali et al., 1991) e di Noonan (Ranke et al., 1988), ne rappresentano esempi specifici. I meccanismi che possono indurre la comparsa di malnutrizione nelle patologie croniche sono sostanzialmente tre: a) presenza di alterazioni digestive che comportano maldigestione e malassorbimento; b) inadeguati apporti per via orale e c) squilibrio tra richieste caloriche e dispendio energetico. Molte patologie, possono riconoscere, magari in fase diverse del loro decorso, anche più meccanismi (Axelrod et al., 2006 e Baegger et al., 2010). Nella Tabella 1 sono riepilogati i principali meccanismi determinanti la malnutrizione nelle varie patologie croniche. L’elevata prevalenza di malnutrizione e le possibili complicanze a lungo termine di questa, dovranno pertanto indurre ad un attento follow up in senso nutrizionale dei pazienti con patologie croniche, per poter identificare tempestivamente i potenziali candidati a programmi di NA. In Tabella II vengono riportati gli elementi anamnestici, antropometrici, clinici e laboratoristici utili per identificare il rischio nutrizionale (Baegger et al., 2010). Alcuni criteri anamnestici, clinici ed antropometrici, benché non basati su sicure evidenze cliniche, possono supportare il clinico nella programmazione di un intervento di NA (vedi Tab. III). Tabella II. Valutazioni da effettuare periodicamente nei pazienti a rischio di malnutrizione cronica Valutazione apporti Recall alimentare e rilevazione degli apporti spontanei Rilevazioni antropometriche attuali e pregresse Peso, statura, circonferenza cranica (<3 anni) attuali e alla nascita, con riferimento alle curve di crescita; ricostruzione della curva di crescita ponderale e staturale; stadio di sviluppo puberale e body mass index Elementi obiettivi suggestivi di malnutrizione Ipotrofia muscolare; ridotta rappresentazione del sottocutaneo; fragilità dei capelli, lesioni muco-cutanee, ascite ed edemi Esami di laboratorio (sangue) Glicemia, indici di funzionalità renale, emocromo, elettroliti, calcio, fosforo, magnesio, proteine totali ed albumina Da Braegger et al., 2010, modificata. 71 A. Diamanti et al. Tabella III. Esempi di nutrizione parenterale centrale ed esclusiva (>70% delle richieste energetiche) 5 kg 10 kg 20 kg 30-40 kg >40 kg Volume (ml) 500 1000 1500 2000 2500 Glucosio (gr) 70 140 210 280 250 Aminoacidi (gr) 10 20 30 40 70 Lipidi (gr) 8 15 30 60 100 Sodio (mEq) 15 30 45 60 80 Potassio (mEq) 12 25 38 50 60 Cloro (mEq) 20 42 65 85 110 Calcio (mEq) 5 10 8 15 10 Fosforo (mEq) 5 10 8 15 15 Magnesio (mEq) 2 4 4 8 11 Nelle composizioni riportate sono omessi gli apporti in oligoelementi e vitamine. I volumi finali riportati per fasce di peso potranno essere modulati sulla base del peso e delle perdite idriche. La Figura 1 riporta per esteso l’algoritmo di scelta delle tecniche di NA. pertanto diventeranno indicazioni alla NP (Braegger et al., 2010) (vedi Fig. 1). Vie di accesso Nutrizione Enterale Indicazioni La NE è indicata in tutte le patologie riportate in Tabella I, nelle quali la funzione gastrointestinale risulti conservata. In particolari setting clinici la NE esclusiva può non essere sufficiente a soddisfare totalmente gli apporti del paziente e spesso è richiesta una NP parziale, anche in presenza di una funzione gastrointestinale conservata. Esistono controindicazioni assolute e relative all’uso della NE, che La sede di infusione più utilizzata è intragastrica, realizzata attraverso sonda naso-gastrica o gastrostomia, posizionata generalmente per via endoscopica; quest’ultima è indicata se la durata prevista del programma nutrizionale è >4-6 settimane. Meno utilizzata è la via duodeno/digiunale, realizzata mediante digiunostomia, in genere realizzata per via endoscopica; tale via di accesso è riservata ai gravi difetti di svuotamento, importante reflusso e rischio di aspirazione nelle vie respiratorie (Axelrod et al., 2006). VALUTAZIONE NUTRIZIONALE Decisione di iniziare la NA FUNZIONALITà DEL TRATTO GASTRO-INTESTINALE Sì No CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE NE* NE CONTROINDICAZIONI RELATIVE NE° Lungo termine Breve termine >4-6 sett < 4-6 settimane NP Gastrostomia Sonda naso-gastrica Digiunostomia Sonda naso-digiunale Scelta formula GI (vedi Fig. 2) Breve Termine Lungo Termine NP PERIFERICA NP CENTRALE TOLLERANZA ALLA NE ADEGUATA Passare gradualmente all’alimentazione per os INADEGUATA Si Ripristino della funzionalità GI NP supplementare NE continua No Legenda. NA: nutrizione artificiale; GI: gastro-intestinale; NE: nutrizione enterale; NP: nutrizione parenterale.*Ileo (paralitico o meccanico), ostruzione intestinale perforazione ed enterocolite necrotizzante. °Difetti di motilità intestinale, megacolon tossico, peritonite, sanguinamento gastrointestinale, diarrea intrattabile, vomito incoercibile, pancreatite e fistole ad alta portata (Da Braegger et al., 2010). Modificata da: A.S.P.E.N board of Directors. Linee-guida per l’uso della nutrizione parenterale ed enterale nell’adulto e nel bambino. Gennaio-Febbraio 2002. Figura 1. Algoritmo per le indicazioni alla NA 72 La nutrizione artificiale nel trattamento della malnutrizione secondaria in età pediatrica Scelta delle formule Le formule nutritive da somministrare nella NE possono essere naturali o commerciali. Le miscele naturali sono state soppiantate dalle formule commerciali, in grado di rispondere più adeguatamente alle richieste caloriche e di micro- e macro-nutrienti (Lochs et al., 2006). Sono costituite da formule lattee, miscele polimeriche, semielementari, elementari e speciali e integratori modulari (Baegger et al., 2010). Le formule lattee sono utilizzate ed indicate nei bambini sotto l’anno di vita con normali fabbisogni. Le miscele polimeriche sono complete, bilanciate e forniscono un apporto calorico di 1-1,5 Kcal/ml; sono indicate in caso di integrità digestiva e possono essere utilizzate anche per lunghi periodi di tempo sia come integrazione calorica sia come dieta esclusiva. Sono attualmente disponibili per tutte le fasce d’età, anche inferiore all’anno. Le formule semielementari ed elementari sono prodotti modificati principalmente nell’apporto di proteine e lipidi per essere utilizzati nelle insufficienze digestive, nell’allergia alle proteine del latte vaccino, e nella nutrizione digiunale. Le miscele nutritive cosiddette speciali sono rappresentate da prodotti del commercio adeguati a specifiche esigenze, come per esempio nell’insufficienza renale o epatica e nella fibrosi cistica. Gli integratori modulari sono utilizzati per incrementare l’apporto calorico soprattutto delle formule lattee che hanno una densità calorica di 0,6-0,8 Kcal/ml. Nella Figura 2 viene riportato un algoritmo che può guidare la scelta delle formule per NE nella varie situazioni cliniche (Diamanti, 2010). Modalità di infusione L’infusione della NE può avvenire in modo intermittente, continuo o ciclico. La modalità intermittente, ottenuta mediante l’infusione di boli della durata di 30-60 minuti, rispetta la fisiologia della nutrizione anche se può comportare il rischio di aspirazione nei pazienti neurologici. La somministrazione ciclica viene realizzata generalmente nelle ore notturne, mantenendo l’introito spontaneo nelle ore diurne. In caso di grave ritardo dello svuotamento gastrico, instabilità clinicometabolica, riduzione della superficie di assorbimento e di nutrizione post-pilorica, si ricorre alla NE a flusso continuo. Nella somministrazione ciclica o continua le soluzioni sono somministrate attraverso una pompa peristaltica/volumetrica (Axelrod et al., 2006). Complicanze Le complicanze della NE si possono distinguere in complicanze le- Nutrizione Parenterale Indicazioni Deve essere utilizzata (Braegger et al., 20109) solo in caso di: a) fallimento della NE (non efficace, non tollerata o rifiutata), avviata per tutte le condizioni riportate nella Tabella I o b) funzione intestinale FUNZIONE GASTRO-INTESTINALE CONSERVATA Pz < 1 ANNO gate alla NE o alla via di accesso (Baegger et al., 2010 e Lochs et al., 2006). Le complicanze legate alla NE possono essere: a) digestive (nausea, vomito, distensione addominale, dumping syndrome e diarrea) e sono in genere facilmente risolvibili modulando la velocità di infusione e l’osmolarità della formula utilizzata; b) metaboliche (sovraccarico idrico, alterazioni dell’equilibrio glucidico ed idro-elettrolitico), rare ma specifiche delle condizioni di grave malnutrizione e in genere prevenibili modulando la velocità di infusione e rispettando la gradualità degli apporti. La presenza della sonda naso-gastrico può facilitare il reflusso gastro-esofageo per un esofagite secondaria a micro-traumatismi e modificazione del tono dello sfintere esofageo inferiore; in caso di esofagite o di broncopneumopatia cronica associate si può ricorrere alla terapia medica (ispessenti, antiacidi, procinetici) o chirurgica (funduplicatio sec. Nissen). La sonda naso-gastrico può andare inoltre facilmente incontro a ostruzione, per una non idonea gestione della stessa dopo l’uso, con persistenza di materiale alimentare all’interno e può essere risolta con il lavaggio con acqua o soluzione fisiologica al termine dell’infusione. La complicanza tecnica più frequente invece sulla gastrostomia è rappresenta dalla comparsa di tessuto di granulazione, trattabile con toccature a base di nitrato d’argento. La NE può inoltre facilitare l’evenienza di complicanze infettive. Esse sono rappresentate soprattutto da infezioni delle prime vie respiratorie (faringiti, sinusiti, otiti), correlate alla presenza molto protratta nel tempo della sonda naso-gastrico, o da broncopolmoniti da aspirazione. In corso di NE per via post-pilorica non è infrequente inoltre la contaminazione del tratto digestivo superiore con malassorbimento e diarrea per la perdita dell’effetto anti-batterico del succo gastrico. È inoltre possibile che, incongrue manovre di preparazione e conservazione delle miscele, possano portare, seppure raramente, alla loro contaminazione, con comparsa di infezioni a carico del tratto gastrointestinale. Pz > 1 ANNO ALLERGIA ALLE PLV NON CONSERVATA PATOLOGIE SPECIFICHE VIA DIGIUNALE FORMULE FORMULE FORMULE POLIMERICHE LATTEE POLIMERICHE ADATTE ALLA PATOLOGIA O POLIMERICHE Pz > 2 ANNI Pz < 2 ANNI IDROLISATO O AA Legenda. PLV: proteine del latte vaccino. Pz: paziente. AA: formule a base di aminoacidi Figura 2. [manca didascalia figura] 73 A. Diamanti et al. gravemente compromessa dalla patologia di base (controindicazioni assolute e relative alla NE) o dal trattamento di questa (graft versus host disease e patologie oncologiche) (vedi Fig. 1). Una funzione intestinale gravemente compromessa è spesso associata alla condizione patologica definita insufficienza intestinale che può essere temporanea o cronica. L’insufficienza intestinale cronica benigna è definita come la necessità di coprire almeno il 50% dei fabbisogni calorici sotto forma di NP per almeno 3 mesi e può essere indotta da cause anatomiche e funzionale (Guarino et al., 2003 e De Marco et al., 2006). In riferimento alla Tabella I, possiamo identificare come cause di insufficienza intestinale tutte quelle che causano disturbi dell’assorbimento e della digestione. Tra queste l’intestino corto, i disturbi della motilità gastrointestinale e i difetti strutturali della mucosa sono considerati come forme di insufficienza intestinale cronica benigna, che possono necessitare di un trattamento parenterale molto protratto nel tempo (Goulet et al., 2004). Le altre cause di alterata digestione ed assorbimento riportate nella Tabella I possono essere considerate come cause di insufficienza intestinale temporanea (Diamanti et al., 2008). In molte delle forme di insufficienza intestinale, anche la NE può comunque avere un ruolo di supporto nutrizionale, poiché, anche se erogata a bassissimo flusso, riveste una funzione trofica mirata a migliorare la funzione di barriera dell’intestino, a liberare enterormoni e a ridurre le complicanze della NP esclusiva (Barclay et al., 2011). Via di accesso e modalità di infusione La NP può essere realizzata attraverso un accesso venoso periferico o attraverso un catetere venoso centrale (CVC), la cui punta è posizionata in genere in prossimità della giunzione tra vena cava superiore e atrio destro. Tale via consente la somministrazione di soluzioni nutritive concentrate e pertanto a maggiore densità calorica, rispetto a quanto possibile tramite la via periferica. La via centrale va riservata a soggetti con patrimonio venoso periferico ridotto (neonati e lattanti) o con elevate necessità nutrizionali, poiché consente l’infusione di soluzioni ad elevata osmolarità e quindi ad alta densità calorica; essa consente inoltre di effettuare dei programmi nutrizionali a lungo termine (Koletzko et al., 2005). Composizione di un regime parenterale La prescrizione di un regime parenterale è attualmente facilitato dalla disponibilità di linee-guida pediatriche (Koletzko et al., 2005), che guidano l’elaborazione dei programmi parenterali in volume idrico, apporto calorico totale, apporto in macronutrienti (glucosio, aminoacidi e lipidi) e apporto in micronutrienti (elettroliti, minerali, vitamine ed oligoelementi). Nell’avvio di un programma parenterale si parte dalla stima del fabbisogno calorico del paziente, che dovrà essere realizzato per NP. La seconda considerazione dovrà essere relativa al volume idrico da infondere, all’interno del quale dovranno essere contenute le opportune quantità di micro e macronutrienti. La NP viene definita binaria se contiene soltanto glucosio ed aminoacidi come macronutrienti o ternaria, sicuramente preferibile alla prima e maggiormente utilizzata, se si eccettuano condizioni cliniche particolari, se contiene anche lipidi. Nella Tabella III riportiamo alcuni esempi di NP esclusiva (apporto energetico fornito >70% delle richieste). Complicanze Le complicanze della NP possono essere suddivise in complicanze legate alla via di accesso e complicanze metaboliche legate alla NP (Koletzko et al., 2005). Le complicanze legate alla via di accesso (CVC) sono di tipo: a) meccanico (rimozione accidentale, malposizione e rottura del CVC, trattabili con il riposizionamento dello stesso o con la 74 riparazione mediante idonei kit di sostituzione nel caso di rottura); b) trombotico (trombosi dei vasi venosi nei quali è posizionato il CVC, trattabili mediante l’impiego di farmaci anticoagulanti) e c) infettivo (sepsi del CVC, trattabili con idonei antibiotici scelti sulla base degli esami colturali). Tali complicanze possono essere prevenute mediante la corretta gestione degli accessi e delle linee infusionali. La complicanza metabolica più frequente connessa con l’impiego prolungato della NP è l’epatopatia. Tale complicanza, tuttavia, è solo parzialmente imputabile all’impiego della NP, ma è più spesso secondaria ad altri fattori clinici considerati genericamente epatotossici e correlati con il decorso delle insufficienze intestinali (sepsi, interventi chirurgici e alterazioni del circolo entero-epatico). Può essere prevenuta con l’utilizzo di regimi parenterali non aggressivi sotto il profilo dell’apporto in glucosio e modulando l’apporto in lipidi, prediligendo le emulsioni lipidiche arricchite in omega 3 (Diamond et al., 2009) e monitorizzando correttamente il paziente. Una importante complicanza legata all’uso protratto della NP, è la ridotta mineralizzazione ossea, che però sembra regredire dopo sospensione del trattamento parenterale (Diamanti et al., 2010). La Nutrizione artificiale domiciliare La NE e la NP, una volta avviate in ospedale, possono essere proseguite a domicilio in modo efficace con una bassa prevalenza di complicanze, sotto il monitoraggio di un team nutrizionale (Baegger et al., 2010; Koletzko et al., 2005). La NA domiciliare consente al bambino di ricevere il migliore trattamento riabilitativo in un ambiente psicologicamente ed emotivamente più confortevole rispetto all’ospedale e di ridurre anche i rischi infettivi connessi con l’ospedalizzazione protratta. Nutrizione artificiale La nutrizione artificiale (NA) viene definita come la terapia mediante la quale è possibile prevenire o correggere la malnutrizione in pazienti in cui l’alimentazione per via naturale è compromessa, temporaneamente o permanentemente, a causa di una sottostante condizione di malattia o dei suoi esiti. La NA si distingue in nutrizione enterale (NE) e nutrizione parenterale (NP). La NE è la modalità di NA mediante la quale i nutrienti in forma prevalentemente complessa sono somministrati nello stomaco o nell’intestino mediante l’uso di apposite sonde o stomie. La NP è la modalità di NA mediante la quale i nutrienti in forma semplice vengono somministrati attraverso una vena (periferica o centrale) in pazienti in cui la funzionalità del tratto intestinale è compromessa. Malnutrizione secondaria La malnutrizione è definita come uno stato di alterazione funzionale, strutturale e di sviluppo dell’organismo conseguente allo squilibrio tra fabbisogni, introiti ed utilizzazione dei nutrienti. La malnutrizione secondaria è così definita, perché innescata da una patologia di base e non primitivamente causata da carenze nutrizionali. Inadeguato apporto per via orale, alterazioni della digestione e dell’assorbimento e incremento delle richieste e del dispendio energetici, rappresentano le principali cause di malnutrizione secondaria nelle patologie croniche. Alcuni criteri clinici ed antropometrici possono supportare la decisione del clinico di avviare un programma di NA. Indicazioni alla NE La NE è quella maggiormente utilizzata se l’apparato gastrointestinale è almeno parzialmente funzionante. In determinate situazioni cliniche si può far ricorso ad un uso associato di enterale e parenterale, anche La nutrizione artificiale nel trattamento della malnutrizione secondaria in età pediatrica se l’apparato gastrointestinale è funzionante. Controindicazioni assolute alla NE sono: ileo (paralitico o meccanico), ostruzione intestinale perforazione ed enterocolite necrotizzante. Controindicazioni relative alla NE sono: difetti della motilità intestinale, megacolon tossico, peritonite, sanguinamento gastrointestinale, diarrea intrattabile, vomito incoercibile, pancreatite e fistole ad alta portata. Indicazioni alla NP Deve essere utilizzata in caso di fallimento della NE (non efficace, non tollerata o rifiutata) o se la funzione intestinale è gravemente compromessa dalla patologia di base (in presenza delle controindicazioni assolute o relative alla NE) o dal trattamento di questa (graft versus host disease e patologie oncologiche). Box di orientamento Cosa si sapeva prima: Negli ultimi anni sta emergendo in modo molto chiaro la necessità di ricorso alla nutrizione artificiale, soprattutto enterale, nei pazienti con malnutrizione secondaria a malattie croniche. La conduzione dei regimi di nutrizione artificiale, non sempre però a basata sulle indicazioni cliniche che emergono dalla letteratura più recente. Cosa sappiamo adesso: In questo articolo vengono riportati i dati salienti emersi dalle linee-guida più recenti riguardanti la NE e la NP, adattati alle necessità cliniche e pertanto difficilmente riportate nei libri di testo. Sicuramente gli apporti in macro e micronutrienti attualmente impiegati per la NP sulla base delle linee-guida del 2005, differiscono in modo significativo rispetto a quanto riportato nella letteratura precedente. Per quanto riguarda la NE, le indicazioni all’uso di formulazioni specifiche per enterale e, in casi selezionati, di formulazioni specifiche per patologia, con chiara indicazione a cercare di superare l’uso di formule homemade frullate, rappresenta senz’altro un notevole passo in avanti nel miglioramento della gestione dei pazienti con patologie croniche, soprattutto neurologiche. Anche tale indicazione non è sempre emersa in modo chiaro nelle pubblicazioni precedenti. Entrambe le linee-guida, riguardanti la NE e la NP, fanno inoltre riferimento alla necessità che la gestione della NA nel bambino sia condotta da team nutrizionali pediatrici, elemento questo che spesso è disatteso nella realtà italiana. Quali ricadute sulla pratica clinica: In definitiva questo articolo consente di divulgare ad un pubblico molto ampio di clinici le più recenti acquisizioni nell’ambito della NA pediatrica. Sarà necessario in futuro uno sforzo comune, da parte dei clinici e degli specialisti nutrizionisti, per adattarsi in modo più stretto alle indicazioni europee, in modo da ottimizzare la gestione dei pazienti con patologie croniche, in cui il miglioramento dell’aspetto nutrizionale è sicuramente molto rilevante nell’ambito della gestione globale. Bibliografia American Dietetic Association. Pocket guide for international dietetic & nutrition terminology (IDNT) reference manual: standardized language for the nutrition care process. 2nd ed. Chicago, IL: American Dietetic Association, 2009. Axelrod D, Kazmerski K, Iyer K. Pediatric enetral nutrition. J Parenter Eteral Nutr 2006;36:S21-S26. *Questo lavoro riporta in maniera completa l’approccio alla nutrizione eneterale nel paziente con patologie gastrointestinali ed extra-gastrointestinali. Braegger C, Decsi T, Dias JA, et al. Practical approach to paediatric enetral nutrition: a comment by the ESPGHAN Committee on Nutrition. I Pediatr Gastroenterol Nutr 2010;51:110-22. ** Riporta in modo estremamente dettagliato indicazioni, gestione e complicanze della nutrizione enterale in pediatria. Barclay AR, Beattie LM, Weaver LT, et al. Systematic review: medical and nutritional interventions for the management of intestinal failure and its resultant complications in children. Aliment Pharmacol Ther 2011;33:175-84. *Questo lavoro fornisce le migliori evidenze relative alla terapia nutrizionale e farmacologica dell’insufficienza intestinale. Cacciari E, Milani S, Balsamo A. Directive Councils of SIEDP/ISPED for 199697and 2002-03. J Endocrinol Invest 2006, 29(7):581-93. Centili Italiani di riferimento [2-20 anni] per altezza, peso e BMI. CDC website www.cd.gov/growthcharts. De Marco G, Barabino A, Gambarara M, et al. Network approach to the child with primary intestinal failure. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2006 Jul;43 Suppl 1:S61-7. Review. Diamanti A. Enteral formulas in children: which is the best choice? Nutritional Therapy & Metabolism 2010;28(1):40-5. Diamanti A, Basso MS, Castro M, et al. Irreversible intestinal failure: prevalence and prognostic factors. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2008 Oct;47(4):450-7. *Il lavoro riporta i dati relativi alla insufficienza intestinale irreversibile, dipendente dalla nutrizione parenterale, riferiti ad una ampia casistica nazionale. Diamanti A, Bizzarri C, Basso MS, et al. How does long-term parenteral nutrition impact the bone mineral status of children with intestinal failure? J Bone Miner Metab. 2010 May;28(3):351-8. Diamond IR, Sterescu A, Pencharz PB, et al. Changing the Paradigm: omegaven for the Treatment of Liver Failure in Pediatric Short Bowel Syndrome. J Ped Gastroenterol Nutr 2009; 48:209-15. *Riporta una delle più importanti esperienze relative all’impiego degli omega-3 nella patologia epatica dei pazienti affetti da insufficienza intestinale. Guarino A, De Marco G. Italian National Network for Pediatric Intestinal Failure. Natural history of intestinal failure, investigated through a national network-based approach. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2003 Aug;37(2):136-41. *Rappresenta il più significativo lavoro epidemiologico italiano sulla insufficienza intestinale cronica benigna. Goulet O, Ruemmele F, Lacaille F, et al. Irreversible intestinal failure. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2004 Mar;38(3):250-69. Review. *Il lavoro riporta in modo molto esaustivo le modalità di approccio alla insufficienza intestinale , dalla nutrizione enterale e parenterale fino al trapianto di intestino, suddivise in base alla patologia di base. Joosten KFM, Hulst JM. Prevalence of malnutrition in pediatric hospital patients. Curr Opin Pediatr 2008;20:590-96. ** Tale lavoro fornisce una precisa messa a punto delle modalità di valutazione e della prevalenza di malnutrizione secondaria nelle varie patologie croniche. Joosten KFM, Hulst JM. Malnutrition in pediatric hospital patients: Current issues. Nutrition 2011;27:133-7. Koletzko B, Goulet O, Hunt J, et al. Guidelines on Paediatric Parenteral Nutrition of the European Society of Paediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition (ESPGHAN) and the European Society for Clinical Nutrition and Metabolism (ESPEN), Supported by the European Society of Paediatric Research (ESPR). J Pediatr Gastroenterol Nutr. 2005 Nov;41 Suppl 2:S1-87. ** Tale lavoro fornisce in modo dettagliato gli apporti idrici e nutrizionali richiesti per fasce d’età e peso, come anche riporta le complicanze della gestione della nutrizione parenterale. Krick J, Murphy-Miller P, Zager S, et al. Pattern of growth in children with cerebral palsy. J Am Diet Assoc 1996;96:680-5. Lochs H, Allison SP, Meier R, et al. Introductory to the ESPEN Guidelines on Enteral Nutrition. Terminology, definitions and general topics. Clin Nutr 2006;25:180-6. Myrelid A, Gustafsson J, Ollars B, et al. Growth charts for Down’s syndrome from birth to 18 years of age. Arch Dis Child 2002;87:97-103. 75 A. Diamanti et al. Morris CA, Demsey MS, Leonard CL, et al. Height and weight of males and females with Williams Syndrome. Williams Syndrome Assoc Newsletter, Summer 1991;29-30. Ranke MB, Heideman P, Knupfer C, et al. Noonan syndrome: growth and clinical manifestations in 144 cases. Eur J Pediatr 1988;148:220-7. Seres D, Compher C, Seidner D, et al. American Society for Parenteral and Enteral Nutrition (A.S.P.E.N.) Standards and Guidelines Survey. Nutr Clin Pract 2006;21:529-32. *Il lavoro discute le modalità di approccio al trattamento domiciliare dei pazienti in nutrizione enterale e parenterale. WHO. Management of severe malnutrition: a manual for physicians and other senior health workers. Geneva: World Health Organization, 1999. Lista delle abbreviazioni NA: nutrizione artificiale AN: artificial nutrition NE: nutrizione enterale NP: nutrizione parenterale CVC: catetere venoso centrale Corrispondenza Antonella Diamanti, Unità di Epatologia, Gastroenterologia e Nutrizione, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, piazza S. Onofrio 4, 00165 Roma, Italy. Tel: +39 06 68592329. Fax. +39 06 68592876. E-mail: [email protected] 76 Aprile-Giugno 2012 • Vol. 42 • N. 166 • pp. 77-82 disturbi della nutrizione Le adiposità nel bambino – C’è grasso e grasso: localizzazione e rischio clinico Paolo Brambilla1, Valerio Nobili2, Angelo Pietrobelli3,4 ASL Milano 2, Milano; Unità Operativa di Epatologia, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, Roma; 3 Clinica Pediatrica, Università degli Studi di Verona, Verona; 4 Pennington Biomedical Research Center, Baton Rouge, LA, USA 1 2 Riassunto Descriviamo le principali forme di adiposità riportate nel bambino obeso, caratterizzate in base agli aspetti patogenetici e clinici, alle metodiche diagnostiche e di indagine consigliate, alle adipochine coinvolte e al rischio metabolico associato. Ne deriva la necessità per il pediatra di un approccio individualizzato di fronte ad un bambino obeso, volto ad indagare il contributo dei depositi adiposi nei vari distretti corporei, allo scopo di ottimizzare la gestione nella pratica clinica e migliorarne la prognosi. Summary Aim of the paper is to analyze the different adipose tissue depots, specifically genetic and clinical aspects. We present different techniques used assessing body composition, the main clinical tests performed, with attention to adipokines and associated medium- and long-term metabolic risks. According with results presented, we suggest a different approach to pediatricians. It is fundamental to look at obese subject at individual level, focus on different adipose tissues expression (i.e., subcutaneous Vs visceral) at different body level in order to optimize the day-by-day clinical practice for prevention and/ or treatment. Introduzione Sono passati 56 anni dalla prima descrizione ad opera di Jean Vague dell’esistenza di più forme di obesità nel soggetto adulto (Vague, 1956), vale a dire di differenti adiposità con diverso andamento clinico. Per semplicità ciò è stato tradotto nella pratica clinica nel confronto tra obesità ginoide (eccesso di adipe sottocutaneo nelle porzioni inferiori del corpo) e obesità androide (eccesso di adipe sottocutaneo nelle porzioni superiori del corpo), indipendentemente dal sesso del soggetto anche se la ginoide prevale in quello femminile e l’androide in quello maschile. Quest’ultima è stata progressivamente segnalata come altamente correlata con complicanze metaboliche e rischio cardiovascolare. Qualcosa comunque nell’intuizione originaria è rimasto inespresso e inesplorato per lungo tempo. Le evidenze scientifiche raccolte negli ultimi anni riportano ora a parlare di varie forme di obesità in modo più dettagliato e multiforme, sia nell’adulto che nel bambino. Di conseguenza, appare sempre più necessario che il pediatra conosca e sappia orientarsi in questo argomento. Nella trattazione saranno discusse le variazioni legate all’età e al genere dell’adipe sottocutaneo fisiologico e i limiti che ci consentono di definirne i quadri patologici per eccesso come per difetto. Saranno successivamente affrontati i principali aspetti clinici associati ad un’eccessiva adiposità in sede viscerale, intramuscolare, epatica e peri-organo (perilaringea, pericardiaca, ecc.). Cercheremo inoltre di analizzare le metodiche utilizzabili nella pratica clinica per la diagnosi e quantificazione. Infine, sarà esaminata l’attuale conoscenza sugli aspetti patogenetici che condizionano ciascuna forma, in particolare nella interrelazione tra fattori ormonali e adipochine. Non tratteremo il tema del tessuto adiposo bruno, ancora largamente in studio, e le sue localizzazioni corporee. È chiaro sin d’ora che le varie forme di adiposità possono coesistere nel singolo bambino, tuttavia l’entità variabile degli accumuli adiposi nelle varie sedi rende necessario considerare quello specifico bambino come diverso da ogni altro e meritevole di un approccio clinico individualizzato. Metodologia della ricerca bibliografica Il presente lavoro è stato realizzato sulla base di una ricerca bibliografica effettuata tramite PubMed nel dicembre 2011, utilizzando come principali parole chiave le seguenti: obesity, body mass index, childhood, fat distribution, visceral adiposity, fatty liver, adipokines, body composition. Non è stato fissato un limite temporale da cui la ricerca dovesse partire. Andare oltre peso e altezza La misura di peso e altezza consente il calcolo del Body Mass Index (BMI) e attraverso quest’ultimo la classificazione di un bambino in una precisa categoria ponderale (normopeso, sottopeso, sovrappeso o obeso). Tuttavia, il BMI non permette di riconoscere se l’eccesso di peso rapportato all’altezza sia dovuto ad un incremento della sola massa grassa del soggetto oppure ad un aumento degli altri distretti corporei (massa magra, massa ossea, acqua corporea, ecc.). Nasce pertanto la necessità di utilizzare nuovi indicatori dello stato nutrizionale del bambino in grado di differenziarne la composizione corporea. È intuibile quanto questa conoscenza possa avere importanza clinica nel bambino affetto da ogni altra patologia cronica in grado di alterarne quantità e distribuzione delle masse corporee. Ai fini della presente trattazione, limitiamo il campo di interesse alla stima della massa adiposa totale e alla sua distribuzione nelle varie regioni corporee. Nello specifico, la descrizione delle varie forme di adipo- 77 P. Brambilla et al. sità nel bambino trova essenziale contributo dall’utilizzo delle varie tecniche di valutazione della composizione corporea, che verranno via via menzionate. L’adiposità sottocutanea (o fisiologica) Il tessuto adiposo costituito dall’insieme degli adipociti rappresenta il principale deposito di trigliceridi. Al di sotto della pelle gli adipociti si raggruppano a formare uno strato più o meno spesso, chiamato tessuto adiposo sottocutaneo. Lo spessore e la distribuzione del tessuto adiposo sottocutaneo è influenzato da vari fattori, tra cui sesso, pubertà, stato nutrizionale e assetto ormonale. In ogni caso, una determinata quantità di adipe in sede sottocutanea è decisiva per il mantenimento dello stato di salute in ogni età della vita. Infatti, in caso di carenza (eccessiva magrezza) si manifestano quadri clinici importanti, tra cui segnaliamo il ritardo puberale, l’amenorrea nel sesso femminile e l’osteoporosi. Il principale fattore secreto dal tessuto adiposo sottocutaneo è la leptina, ormone in grado di influenzare l’appetito e la funzionalità gonadica attraverso una sua diretta azione a livello ipotalamico. In età pediatrica si osservano repentine e cospicue modificazioni del distretto adiposo correlate con le diverse fasi della crescita corporea e differenziazione sessuale (Fomon et al., 1982). Nei primi mesi dopo la nascita si assiste ad un rapido incremento del grasso corporeo che raggiunge un primo massimo verso i 12 mesi. Successivamente vi è una lenta e progressiva riduzione fino ad un minimo raggiunto attorno ai 6 anni. Fin qui le dinamiche osservate nei 2 sessi sono simili. Dopo i 6 anni, la crescita del grasso corporeo è progressiva nei due sessi, ma significativamente maggiore nelle bambine e nelle adolescenti rispetto ai coetanei maschi. Tutto ciò è regolato da fini meccanismi ormonali, comuni in fase prepubere e poi concordi con le secrezioni gonadiche dall’inizio della pubertà in poi. Significativo è anche il ruolo giocato dall’alimentazione nei primi anni di vita (quota calorica totale e proteine sembrano essere i maggiori determinanti di un precoce aumento dell’adiposità) (Rolland-Cachera et al., 1995; Rolland-Cachera et al., 2006). Secondo alcuni studi trasversali e longitudinali, il grasso sottocutaneo rappresenta la maggior parte del grasso totale nei primi anni di vita (Pietrobelli et al., 2007). Questo grasso non comporta particolari problemi clinici anche se presente in surplus, e si correla minimamente con il rischio cardiovascolare e/o metabolico. Classicamente in età pediatrica esso viene misurato con la plicometria (plica tricipitale e sottoscapolare). Anche altre metodiche di valutazione della composizione corporea vengono usate per stimare il grasso sottocutaneo come la Bioimpedenza e la Assorbimetria a doppio Raggio X (DXA), ma le metodiche gold standard sono la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) e la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC). Queste ultime due sono in grado di valutarne presenza e quantità in modo accurato e preciso. Da pochi anni abbiamo a disposizione percentili di riferimento per entrambi i sessi (dall’età di 8 anni in poi) ottenuti con DXA su popolazioni pediatriche (Kelly et al., 2009). Tali percentili dimostrano chiaramente un effetto dell’etnia di origine sull’adiposità. L’adiposità viscerale Il grasso viscerale è la parte di tessuto adiposo concentrato all’interno della cavità addominale e distribuito tra gli organi interni. L’accumulo di grasso a livello viscerale si associa in modo inequivocabile al rischio di complicanze cardio-vascolari ed è uno dei fattori di rischio 78 per il diabete di tipo II. L’insieme di tali complicanze metaboliche e vascolari viene definito Sindrome Metabolica (ipertensione, iperlipidemia, steatosi epatica, aterosclerosi, diabete tipo II) (Pietrobelli et al., 2008). Gli adipociti del grasso viscerale assorbono glucosio dal sangue e rilasciano glicerolo, acidi grassi liberi e sostanze, le adipochine, dotate di effetti locali, centrali e periferici. Attraverso il rilascio di queste sostanze, il grasso viscerale “controlla” l’appetito e di conseguenza il bilancio energetico, la sensibilità all’insulina ed il metabolismo lipidico (Freedman et al., 2007). Tra le adipochine secrete dal grasso viscerale, un ruolo predominante va alla adiponectina, i cui livelli sono più bassi nei soggetti obesi e che è in grado di migliorare la sensibilità all’insulina e di svolgere un’attività antiaterogena e anti-infiammatoria (Rasouli et al., 2008). L’eccesso di grasso viscerale aumenta complessivamente il rilascio di adipochine ad attività pro-infiammatoria, pro-trombotica e di stimolo alla sintesi di trigliceridi, tutti fattori di rischio cardiovascolare. Le adipochine rilasciate dal grasso viscerale vengono indirizzate nel sistema venoso portale e da qui trasportate al fegato. Il che significa, in ultima analisi, che il grasso viscerale viene ad assumere un ruolo primario nell’economia metabolica di tutto l’organismo. Inoltre gli acidi grassi liberi agiscono sul pancreas compromettendo la funzionalità delle cellule beta (che producono insulina) e sui muscoli (inducendo insulino-resistenza). Il grasso viscerale si correla direttamente con la circonferenza della vita (Brambilla et al., 2006) che assume quindi il ruolo di indice primario di rischio cardio-vascolare diventando una misura fondamentale nella valutazione della composizione corporea (Lee et al., 2011). Altre metodiche importanti nella valutazione/stima del grasso viscerale come la RMN e la TAC consentono una esatta valutazione della quantità e localizzazione del grasso viscerale. In conclusione, per un intervento sia di prevenzione che di trattamento di fronte ad un bambino obeso, diventa essenziale la conoscenza dell’esatto valore del suo grasso viscerale. L’adiposità intramuscolare Il grasso intramuscolare è distribuito tra le fibre dei muscoli. Normalmente è presente solo in tracce e un suo aumento appare strettamente correlato con l’insulino-resistenza. Classicamente la deposizione/presenza del grasso nei muscoli si poteva misurare con la biopsia muscolare, metodo altamente invasivo. La sua quantificazione è diventata possibile anche in età pediatrica con l’impiego della RMN con spettroscopia (Sinha et al., 2002). Grazie a questa metodica si è potuto stabilire che la presenza di lipidi nei muscoli si associa significativamente a insulino-resistenza in adolescenti in sovrappeso ed obesi. Uno studio effettuato in adolescenti con ridotta tolleranza glucidica, inoltre, ha mostrato che una anomala ripartizione a livello addominale tra grasso viscerale e sottocutaneo caratterizzata da un aumento del primo a scapito del secondo, si associa ad eccessiva deposizione di trigliceridi in sede intramuscolare, marcata insulino-resistenza ed elevato rischio di sindrome metabolica (Taksali et al., 2008). È fondamentale sottolineare che i 2 distretti adiposi addominali (sottocutaneo e viscerale) sono caratterizzati da marcate differenze nei profili secretori endocrini e paracrini degli ormoni e delle adipochine coinvolte nel metabolismo glucidico. Si sta pertanto confermando anche nell’adolescente l’ipotesi che la capacità di trattenere lipidi nel grasso sottocutaneo, ed in particolare nel suo strato più superficiale, sia protettiva nei confronti del rischio di alterazioni metaboliche. In altre parole, il tessuto sottocutaneo agirebbe come un serbatoio in grado di assorbire l’eccesso di grassi e di prevenirne l’afflusso ad organi non deputati all’accumulo di lipidi (muscolo e fegato in primis). Resta da spiegare come mai in certi soggetti Le adiposità nel bambino – C’è grasso e grasso: localizzazione e rischio clinico Figura 1. Relazione tra eccesso adiposo, alterata ripartizione del grasso addominale tra sottocutaneo e viscerale, complicanze metaboliche e aumentato rischio cardiovascolare. il tessuto adiposo sottocutaneo abbia una limitata capacità di assorbire trigliceridi. L’insulino-resistenza stessa sarebbe determinata da un aumentato flusso di acidi grassi liberi che perviene al muscolo, direttamente proporzionale all’incremento di grasso viscerale (Schrauwen-Hinderling et al., 2006). Infine, l’insulino-resistenza si aggrava se il soggetto non pratica adeguata attività fisica, dato che quest’ultima è in grado di consumare l’eccesso di lipidi presente nel muscolo stesso (Goodpaster et al., 2004). La Figura 1 mostra come l’eccesso di grasso e una anomala ripartizione tra grasso sottocutaneo e viscerale porti a degli effetti metabolici che in ultima analisi provocano la Sindrome Metabolica, il diabete di Tipo II e un aumento del rischio per complicanze cardio-vascolari e trombotiche. In conclusione, ribadiamo che la ricerca di tale componente adiposa, minoritaria dal punto di vista quantitativo ma cruciale da quello funzionale, sta diventando sempre più importante per la comprensione del destino metabolico del soggetto obeso. L’adiposità epatica (steatosi) La steatosi epatica di origine non-alcolica o NAFLD, è una patologia emergente che comprende un ampio spettro di condizioni epatiche: la semplice steatosi, la steatoepatite con necro-infiammazione e fibrosi più o meno avanzata (condizione nota anche come steatoepatite non-alcolica (non-alcoholic steatohepatitis, NASH), la cirrosi e, secondo alcune osservazioni, il carcinoma epatocellulare. Stime di popolazione basate su criteri indiretti (elevazione delle transaminasi, fegato “brillante” all’ecografia, etc.) indicano che la prevalenza della NAFLD si aggira tra il 10-25% della popolazione generale, con ampie differenze in funzione dell’età e dell’etnia (Papandreou et al., 2007; Patton et al., 2006). Nonostante la patogenesi della NASH non sia ancora completamente nota, gli studi condotti fanno supporre che il meccanismo determinante sia dovuto a due insulti: il primo, caratterizzato dall’accumulo di grasso, sarebbe capace di sensibilizzare il fegato al secondo insulto (insulino-resistenza) che conduce alla necro-infiammazione e quindi alla fibrosi (de Alwis et al., 2008). Infatti, è stato osservato che un aumento di acidi grassi liberi circolanti è associato ad un alterato Figura 2. Quadro istologico del fegato: (A), di un bambino non affetto da patologie epatiche; (B), di un bambino con diagnosi di NASH; (C), di un bambino con una evoluzione in condizione di pre-cirrosi. CV (vena centrale), PA (aree periportali). In dettaglio: B: fegato di un bambino di 9 anni con quadro istologico di steato-epatite caratterizzato da presenza di steatosi macro e micro-vacuolare occupante più dell’80% del parenchima epatico, e da infiltrato infiammatorio negli spazi portali. C: fegato di un bambino di 14 anni in evoluzione pre-cirrotica (F3) in cui si notano tralci e bridging fibrotici (colorati in rosso). 79 P. Brambilla et al. metabolismo degli acidi grassi negli epatociti, determinando così un netto accumulo di trigliceridi nel fegato. A sua volta, l’accumulo di grassi nel fegato agisce sull’insulino-resistenza interferendo con la fosforilazione dei substrati del recettore dell’insulina. I fattori responsabili della progressione della steatosi verso le lesioni gravi della steatoepatite e della fibrosi sono a tutt’oggi ancora poco definiti. La steatosi epatica può infatti evolvere in fibrosi epatica almeno attraverso tre diverse vie molecolari: lo stress ossidativo e la conseguente perossidazione lipidica; la produzione e il rilascio di adipochine pro-infiammatorie e profibrotiche e/o la riduzione dei livelli di adiponectina; un’aumentata sintesi di leptina con conseguente stimolo fibrogenetico attraverso la stimolazione diretta delle cellule stellate epatiche o per effetti paracrini sulle cellule endoteliali sinusoidali. Tutte queste informazioni scientifiche, frutto di studi sulla patogenesi e sulla evoluzione di questa patologia effettuati anche su modelli animali, supportano l’ipotesi dell’insulto multiplo nella patogenesi della NAFLD/NASH e indicano che spesso alcuni dei fattori responsabili sopra indicati sono concatenati fra di loro (Alisi et al., 2007). Sia nel bambino che nell’adulto la diagnosi di NAFLD non è possibile senza il ricorso alla biopsia epatica. Nell’adulto le caratteristiche istologiche che rappresentano la NASH sono ampiamente descritte: steatosi macrovescicolare, infiammazione globulare e la degenerazione balloniforme degli epatociti, spesso con pochi corpi ialini di Mallory, e talora deposito di collagene perisinusoidale e perivenulare. Nella Figura 2 si osserva il quadro istologico del fegato sano (A) a confronto con un fegato di un paziente pediatrico affetto da NASH (B) e con quello di un bambino con una evoluzione pre-cirrotica (C). Nel quadro B si osserva steatosi macro e micro vacuolare, con infiltrazione infiammatoria degli spazi portali, mentre nel quadro C tralci e bridging fibrotici indicano l’evoluzione pre-cirrotica. Gli studi effettuati su diverse coorti di bambini hanno dimostrato che alcuni aspetti istologici sono simili a quelli riscontrati nei pazienti adulti, mentre altri sono peculiari della NAFLD pediatrica. Nel bambino, infatti, troviamo come nell’adulto steatosi con balloning e/o fibrosi perisinusoidale in assenza di elementi di alterazione portale; tuttavia troviamo anche steatosi associata ad infiammazione portale e/o fibrosi in totale assenza di fibrosi perisinusoidale o balloning. I dati istopatologici a nostra disposizione ci suggeriscono quindi di considerare la storia naturale e la patogenesi della NAFLD/NASH pediatrica utilizzando informazioni derivanti dall’adulto ma anche approfondendo le ragioni delle differenze riscontrate nel bambino. Adiposità peri-organo (peri-faringea, pericardiaca) L’obesità è il più importante fattore di rischio reversibile per la sindrome delle apnee ostruttive (OSAS) (Malhotra et al., 2002). Tra i fattori di rischio predittivi per l’OSAS sono stati annotati sia l’accumulo di grasso viscerale (Shinohara et al., 1997) che una aumentata circonferenza del collo (Davies et al., 1992). L’alta prevalenza di OSAS tra i pazienti obesi è stata attribuita ad un carico di massa sulle vie aeree superiori esercitato dal tessuto adiposo (Shelton et al., 1993). Infatti è stato dimostrato che adulti obesi con OSAS hanno un aumentato deposito di grasso adiacente alle vie aeree superiori (Horner et al., 1989; Mortimore et al., 1998) e una riduzione del calibro faringeo, attribuita ad un effetto massa prodotto dalla deposizione di grasso. Il grasso perifaringeo si localizza preferenzialmente nei pressi della parete posteriore del palato-faringe, sito dove è facile che si verifichi un’occlusione dinamica durante il sonno. Inoltre, il calibro faringeo determinato alla RMN è inversamente correlato al numero di episodi apnoici durante il sonno (Shelton et al., 1993). Qualunque sia il meccanismo che porta al restringimento faringeo negli adulti obesi con OSAS, i risultati associati alla perdita di peso hanno confermato il ruolo patogenetico dell’obesità viscerale. È probabile che l’accumulo di grasso intraddominale e il deposito di adipe attorno alla faringe siano due facce diverse dell’obesità viscerale e coesistano negli stessi pazienti. La prevalenza di OSAS nei bambini obesi varia dal 13 al 59%, nettamente maggiore di quella osservata nella popolazione infantile generale (1-2%) (Verhulst et al., 2008). È stato dimostrato che l’OSAS si associa ad una infiammazione delle vie aeree in bambini e adolescenti obesi, come testimoniato da elevati livelli di ossido nitrico esalato. Tale dato è riscontrabile anche in bambini con un russamento abituale ma senza una OSAS conclamata, mentre è assente in bambini obesi senza OSAS e/o russamento abituale (Verhulst et al., 2008). Non è dato di sapere ancora se l’infiammazione delle vie aeree è causa o conseguenza della OSAS. L’infiammazione delle vie aeree (superiori e inferiori) riscontrata nel bambino con obesità può giustificare almeno in parte anche il legame epidemiologico tra obesità e asma. Va sottolineato il ruolo patogenetico della presenza di OSAS su altre funzionalità non legate all’apparato respiratorio: in bambini non obesi con OSAS si sono osservate alterazioni metaboliche ed aumentato rischio cardiovascolare del tutto analoghi a quelli descritti nei casi di obesità viscerale. Ciò suggerisce che obesità e OSAS coinvolgono meccanismi patogenetici infiammatori molto simili tra loro o addirittura coincidenti e che i 2 quadri clinici possono amplificarsi a vicenda Tabella I. Principali caratteristiche delle varie forme di adiposità, metodiche di indagine, caratteristiche cliniche rilevanti e rischio metabolico associato. Metodiche di Indagine Adipochine coinvolte Rischio metabolico Caratteristiche cliniche Sottocutanea Plicometria Leptina Minimo Serbatoio fisiologico di trigliceridi Viscerale Circonferenza della vita Adiponectina Elevato Stretta relazione con l’adiposità epatica Intramuscolare RMN con spettroscopia Elevato Relazione con l’insulino-resistenza Epatica Biopsia epatica Ecografia epatica Adipochine proinfiammatorie e profibrotiche, leptina Elevato Possibile evoluzione in steatoepatite e fibrosi Perifaringea RMN, TAC, Polisonnografia Adipochine proinfiammatorie sulle vie aeree Presente Relazione con OSAS e con grasso viscerale Pericardiaca Ecocardiografia Presente Distinzione tra epicardica e pericardica 80 Le adiposità nel bambino – C’è grasso e grasso: localizzazione e rischio clinico quando presenti nello stesso soggetto (Bhattacharjee et al., 2011). È descritta infine la presenza di disfunzioni endoteliali e di deficit neuro-cognitivi in bambini con OSAS, spesso coesistenti nello stesso soggetto e che suggeriscono patogenesi comuni (Gozal et al., 2010). Si segnala un crescente interesse per la valutazione dell’adiposità a livello cardiaco, indagata in adulti e bambini obesi tramite ecocardiografia (Mazur et al., 2010). Sono state descritte due differenti localizzazioni anatomiche dell’accumulo adiposo: quella epicardica (tra lo strato esterno del miocardio e lo strato viscerale del pericardio) e quella pericardica (localizzata tra i foglietti viscerale e parietale del pericardio), con differenze per quanto concerne la microcircolazione miocardica e la produzione di adipochine. Allo stato attuale delle conoscenze, sembra che il ruolo patogenetico dell’adipe epicardico sia più rilevante, in base alla dimostrata relazione tra quest’ultimo e la Sindrome Metabolica, l’insulino-resisitenza, la funzionalità epatica e il rischio aterosclerotico (Iacobellis, 2009). In ogni caso, l’adiposità a livello cardiaco si conferma un campo di studio presente e futuro estremamente interessante dal punto di vista delle implicazioni cliniche. Conclusioni Non è escluso che nel prossimo futuro si parlerà di ulteriori localizzazioni adipose e di nuove topografie nella distribuzione del grasso corporeo con specifica rilevanza clinica. Ma già il quadro attuale rende ragione del perché sia corretto parlare di varie adiposità del bambino e non più di una sola. Abbiamo cercato di tracciare un disegno alla luce delle attuali conoscenze delle diverse adiposità, dei loro ruoli clinici, degli aspetti ormonali e nutrizionali regolatori e dei prodotti (adipochine) secreti nei diversi ambiti, come la Tabella I riassume. È intuibile che il pediatra, di fronte a questo approccio rivoluzionario al bambino sovrappeso e obeso, debba cambiare atteggiamento culturale e caratterizzare il bambino che ha di fronte: a suo modo un unicum, con una peculiare combinazione delle varie adiposità possibili. Ne deriva la necessità di cercare di approfondire gli aspetti di composizione corporea che consentano di definirlo al meglio, in modo da individuare l’approccio clinico e terapeutico più adatto al caso. Va riconosciuta infine particolare gratitudine all’intuizione di Jean Vague, che ancora non ha terminato di stupirci e incuriosirci (Vague, 1956). Box di orientamento Che cosa si sapeva prima: L’obesità infantile era considerata un’entità nosologica unica, pur con differenze cliniche individuali. L’eccesso adiposo corporeo non era sistematicamente differenziato. Cosa sappiamo adesso: Sono descritte varie forme di adiposità in relazione al distretto corporeo in cui l’accumulo adiposo si realizza. Si conoscono le differenze tra le varie forme in base alla patogenesi specifica, al quadro clinico predominante, alle adipochine coinvolte, ai metodi di indagine consigliati, nonché ai principali aspetti metabolici e ormonali. Quali ricadute sulla pratica clinica: Il bambino con obesità, in base a questa caratterizzazione, potrà ricevere un approccio diagnostico, clinico e terapeutico più individuale, con l’obiettivo di migliorarne la gestione e la prognosi. Bibliografia Alisi A, Nobili V. Molecular pathogenesis of nonalcoholic steatohepatitis: today and tomorrow. Am J Pathol 2007;171(2):712. Bhattacharjee R, Kim J, Kheirandish-Gozal L, et al. Obesity and obstructive sleep apnea syndrome in children: a tale of inflammatory cascades. Pediatr Pulmonol 2011;46:313-23. Brambilla P, Bedogni G, Moreno La, et al. Crossvalidation of anthropometry against magnetic resonance imaging for the assessment of visceral and subcutaneous adipose tissue in children. Int J Obes 2006;30:23-30. Davies RJO, Ali NJ, Stradling JR. Neck circumference and other clinical features of the obstructive sleep apnea syndrome. Thorax 1992;47:101-5. de Alwis NM, Day CP. Non-alcoholic fatty liver disease: the mist gradually clears. J Hepatol 2008; 48 Suppl 1:S104. Freedman DS, Mei Z, Srinivasan SR, et al. Cardiovascular risk factors and excess adiposity among overweight children and adolescents: the Bogalusa Heart Study. J Pediatr 2007; 150:12-7. Fomon SJ, Haschke F, Ziegler EE, et al. Body composition of reference child from birth to age 10 years. Am J Clin Nutr 1982;35:1169-75. Goodpaster BH, Wolf D. 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Early adiposity rebound: causes and consequences for obesity in children and adults. Int J Obes 2006;30(Suppl 4):S11-S17. * Prima descrizione dell’esistenza di un precoce aumento del BMI nel bambino e sue conseguenze cliniche. Schrauwen-Hinderling VB, Hesselink MK, Schrauwen P, et al. Intramyocellular lipid content in human skeletal muscle. Obesity 2006;14,357-67. Shinohara E, Kihara S, Yamashita S, et al. Visceral fat accumulation as an important risk factor for obstructive sleep apnoea syndrome in obese subjects. J Intern Med 1997;241:11-8. 81 P. Brambilla et al. Sinha R, Dufour S, Petersen KF, et al. Assessment of skeletal muscle triglyceride content by 1H nuclear magnetic resonance spectroscopy in lean and obese adolescents. Diabetes 2002;51:1022-27. Taksali SE, Caprio S, Dziura J, et al. High visceral and low abdominal subcutaneous fat stores in the obese adolescents. A determinant of an adverse metabolic phenotype. Diabetes 2008;57: 367-71. ** Dimostrazione clinica dell’esistenza di un’alterata ripartizione adiposa addominale tra grasso sottocutaneo e viscerale, nonché delle sue conseguenze metaboliche. Vague J. The degree of masculine differentiation of obesities: a factor determining predisposition to diabetes, atherosclerosis, gout, and uric calculous disease. Am J Clin Nutr 1956;4:20-34. ** Lavoro storico pioniere nel tema che ha guidato la ricerca scientifica per molti anni. Verhulst SL, Van Gaal L, De Backer W, et al. The prevalence, anatomical correlates and treatment of sleep-disordered breathing in obese children and adolescents. Sleep Med Rev 2008;12:339-46. Abbreviazioni BMI: body mass index DXA: Assorbimetria a doppio Raggio X RMN: Risonanza Magnetica Nucleare TAC: Tomografia Assiale Computerizzata NAFLD: steatosi epatica di origine non-alcolica NASH: steatoepatite non-alcolica OSAS: sindrome delle apnee ostruttive Corrispondenza Paolo Brambilla, ASL Milano 2, via Parada 32, 20854, Vedano al Lambro (Monza e Brianza) Italy. Tel. +39-33 92 23 87 72. Fax. +39-33 02 95 15 86 03. E-mail: [email protected] 82 Allergologia respiratoria Abbiamo accolto con entusiasmo la proposta di una Sezione di Allergologia Respiratoria per Prospettive in Pediatria. Essa ci dà l’opportunità di portare all’attenzione dei lettori alcuni degli argomenti che riteniamo essere di maggiore rilevanza scientifica e clinica in tale branca. Il primo articolo costituisce la rivisitazione di un’interessante teoria formulata nel 1989 dall’epidemiologo inglese David Strachan allo scopo di fornire una razionale spiegazione dello straordinario aumento di prevalenza delle malattie allergiche nel mondo occidentale: l’hygiene hypothesis. Abbiamo affidato questo compito a Paolo Matricardi, uno dei principali esperti di questo argomento, anche se egli non è purtroppo operativo, al momento, in Italia. L’hygiene hypothesis propone che la crescente diffusione delle malattie allergiche ed autoimmuni sia dovuta a modifiche nell’interazione tra ecosistema dei microrganismi ed esseri umani, e conseguente insufficiente contatto di questi ultimi con i primi. Matricardi ha fornito una sintesi delle principali tappe che hanno contraddistinto il cammino, talvolta controverso, dell’hygiene hypothesis negli ultimi vent’anni circa. Ci siamo poi addentrati nel cuore di una delle manifestazioni allergiche più frequenti a tutte le età, l’asma bronchiale, e Franca Rusconi, da tempo concentrata sull’epidemiologia delle malattie respiratorie in età pediatrica, ci ha dato l’opportunità di approfondire la conoscenza dei fattori di rischio per asma e del loro peso, per alcuni versi ancora problematico, sulle manifestazioni cliniche della malattia. D’altronde l’area forse di maggiore impatto per il pediatra, per i riflessi che ha anche nella gestione del bambino sano, è proprio quella della prevenzione delle malattie allergiche. È noto che la sensibilizzazione allergica, le infezioni respiratorie, soprattutto quelle virali ad elevata incidenza in età prescolare, alcuni polimorfismi genetici e diversi fattori ambientali sono responsabili dell’aumento della prevalenza dei disturbi asmatici in età pediatrica. L’identificazione dei fattori di rischio per l’asma, la riduzione dell’esposizione ai principali allergeni ed ai più comuni fattori irritanti migliora di certo la gestione del bambino asmatico. Infine, ci siamo spinti ancora più oltre a discutere di asma, e, volendo deliberatamente evitare i comuni, sebbene sempre importanti, aspetti clinici del più frequente asma lieve o moderato, abbiamo chiesto a Fernando de Benedictis di fornire una revisione critica di una forma particolare di asma nel bambino e nell’adolescente: l’asma difficile. Recente è la nascita in Europa della Problematic Severe Asthma in Childhood Initiative (PSACI), che, sotto la conduzione di de Benedictis e diversi altri esperti, si è prefisso l’obiettivo di chiarire gli aspetti ancora controversi di questa condizione molto poco studiata in età pediatrica. Esiste infatti non solo una generica mancanza di consenso tra gli esperti sulla definizione dell’asma difficile, ma anche e soprattutto una difficoltà di gestione dei pazienti, con chiaro pericolo sia di sottostima sia di sovrastima della condizione. L’articolo di de Benedictis vi si sofferma e puntualizza efficacemente la necessità di studi collaborativi per caratterizzare meglio i fenotipi dell’asma difficile e per individuare strategie terapeutiche più efficaci. L’auspicio è che lo sforzo realizzato in questa Sezione contribuisca a far conoscere meglio alcuni aspetti dell’Allergologia Respiratoria al pediatra generalista, altrettanto coinvolto quanto gli specialisti del settore nelle cure dei bambini affetti. Francesca Santamaria Dipartimento di Pediatria, Università degli Studi Federico II, Napoli 83 G. Ancora et al. 84 Aprile-Giugno 2012 • Vol. 42 • N. 166 • Pp. 85-91 Allergologia respiratoria A vent’anni dalla nascita dell’hygiene hypothesis Paolo Maria Matricardi1, Francesca Santamaria2 1 2 Dipartimento di Pneumologia e Immunologia Pediatrica, Università Medica di Charité, Berlino Dipartimento di Pediatria, Università degli Studi di Napoli Federico II Riassunto La crescente diffusione dell’allergia è stata attribuita a modifiche nell’interazione tra ecosistema dei microrganismi ed esseri umani, come conseguenza dell’adozione dello stile di vita occidentale. L’evoluzione dei microrganismi, che ha avuto luogo contemporaneamente a quella dei mammiferi, ha condizionato lo sviluppo della funzione e della struttura del sistema immunitario di questi ultimi. Private di questi stimoli microbici, alcune componenti del sistema immunitario umano (attività di tipo Th 2) non risultano più adeguatamente controllate da altre componenti. Questi concetti rappresentano le basi dell’hygiene hypothesis. Secondo l’hygiene hypothesis è stato suggerito che: A) le dimensioni del nucleo familiare e l’ordine di nascita influenzano lo sviluppo di allergia, in particolare di rinite allergica, attraverso un meccanismo IgE mediato; B) questo effetto non viene osservato in presenza di norme igieniche precarie; C) nelle società occidentali le malattie allergiche sono inversamente correlate all’acquisizione di infezioni per via oro-fecale, e il diffondersi di febbre da fieno e asma avviene prevalentemente nella popolazione non esposta a infezione da virus dell’epatite A; D) tra le infezioni gastrointestinali, i patogeni intracellulari meno aggressivi sono i migliori candidati ad esercitare un effetto protettivo nei confronti dell’atopia. I pediatri non devono abbassare la guardia contro le infezioni, prescrivendo l’igiene, le vaccinazioni di legge e le terapie antibiotiche, quando necessarie. Tuttavia, è probabile che nei prossimi anni le ricerche sulla hygiene hypothesis portino a produrre una miscela di componenti microbiche che, appropriatamente somministrata, sia in grado di prevenire le malattie allergiche senza indurre effetti collaterali. Summary The allergy epidemic has been attributed to changes in the interactions between humans and the microbes of their ecosystem as a consequence to the “western lifestyle”. Microbes that coevolved with mammals influenced the evolution of their immune structures and functions. Partially deprived of these microbial stimuli, some components of the human immune system (Th 2-like activities) are no longer adequately regulated by other components. Taken together, these concepts are known as the hygiene hypothesis. We herein report on a series of investigations on the hygiene hypothesis which suggest that: A) the sibship-size and birth order effect on the development of allergy, particularly hay fever, is mediated by an impact on allergen-specific IgE responses; B) this effect cannot be observed in the presence of poor hygienic standards; C) allergic diseases are inversely related to the acquisition of foodborne and fecal oral infections in western societies and the epidemic trend of hay fever and asthma can be observed only in the fraction of the population not exposed to hepatitis A virus infection; D) among the infections of the gastrointestinal tract, mild intracellular pathogens are the best candidates to exert an atopy protecting effect. Pediatricians must continue to promote hygienic habits and a correct use of immunizations and antibiotics. However, future research on the hygiene hypothesis will probably lead to identify a mix of microbial components that, properly administered, will allow us preventing the development of allergic diseases without inducing infectious diseases or adverse effects. Introduzione La teoria dell’hygiene hypothesis propone che la crescente diffusione delle malattie allergiche ed autoimmuni sia dovuta a modifiche nell’interazione tra ecosistema dei microrganismi ed esseri umani, e conseguente insufficiente contatto di questi ultimi con i primi. Secondo tale teoria, l’aumento delle malattie allergiche nei paesi industrializzati si spiega con alcuni cambiamenti radicali dello stile di vita. Questi hanno portato nei paesi occidentali a nuclei familiari meno numerosi, a minor contatto con gli animali da fattoria, ed a miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie ambientali con minore esposizione agli stimoli microbici rispetto ai paesi a basso tenore igienico-sanitario ed in cui la prevalenza delle malattie allergiche ed immunomediate è in genere più bassa (Okada et al., 2010). La Tabella I sintetizza le principali tappe della storia dell’hygiene hypothesis (Tab. I). Tabella I. Alcune delle tappe iniziali dell’hygiene hypothesis, sviluppate successivamente in diverse linee di ricerca. 1989 Formulazione dell’hygiene hypothesis (Strachan, 1989) 1994 Osservazione che l’asma allergico è più frequente nelle città meno inquinate della ex-Germania Ovest rispetto alle città più inquinate della ex-Germania Est (Von Mutius et al., 1994) 1997 Osservazione che le infezioni orofecali sono inversamente associate alle allergie respiratorie (Matricardi et al., 1997) 1999 Osservazione che l’ambiente rurale protegge dalle allergie (Braun-Fahrlander et al., 1999) 2002 Estensione della hygiene hypothesis alle malattie autoimmuni, attraverso coinvolgimento dei linfociti T regolatori (Yazdanbakhsh, 2002; Bach, 2002) 85 P.M. Matricardi, F. Santamaria Obiettivo Presentare una sintesi delle tappe fondamentali che hanno caratterizzato la teoria dell’hygiene hypothesis dall’epoca della sua formulazione ad oggi, attraverso un’analisi dei dibattiti che essa ha suscitato e delle prospettive dei possibili interventi preventivi o terapeutici in grado di conferire una protezione verso l’insorgenza delle allergie. Metodologia della ricerca La ricerca bibliografica effettuata su PubMed ha preso in esame la letteratura scientifica degli ultimi anni con riferimento alle seguenti parole chiave: “hygiene hypothesis”, “allergy”, “infections”, “autoimmune disease”. Data la numerosità delle referenze bibliografiche, abbiamo utilizzato anche alcune revisioni pubblicate dai gruppi che hanno fornito i maggiori contributi attraverso studi originali. È stato valutato il periodo dal 1989 al 2011, inserendo, come limiti, la lingua (English). Elementi costitutivi dell’hygiene hypothesis Occidentalizzazione Negli anni Novanta, si è assistito ad un progressivo incremento dei casi di asma e atopia sia tra gli adulti che in età pediatrica. In particolare, da alcuni studi internazionali è emerso un caratteristico pattern di distribuzione geografica di entrambe le condizioni. La maggiore prevalenza dell’asma è stata osservata nei paesi industrializzati (European Community Respiratory Health Survey, 1996; The International Study of Asthma and Allergies in Childhood Steering Committee, 1998), e sarebbe legata alla maggiore sensibilizzazione allergica, come dimostrato da uno studio molto noto condotto in Germania negli anni ’90 (Von Mutius et al., 1994). La forte associazione tra indicatori di status socio-economico e atopia sembra essere indipendente dalla residenza del paziente e da altri fattori socio demografici conosciuti (Strachan, 1987). La tendenza “epidemica” del fenomeno atopico potrebbe essere attribuita non solo a fattori di ordine immunologico, ma rappresentare anche la risposta adattativa dell’organismo nei confronti di modificazioni complesse provenienti dall’ambiente esterno. Nucleo familiare e residenza La predisposizione a sviluppare atopia e malattie allergiche è stata associata alla struttura ed alle dimensioni del nucleo familiare. In alcuni studi di coorte condotti in Inghilterra alla fine degli anni ’80, il rischio di sviluppare rinite allergica è apparso inversamente correlato al numero complessivo di fratelli e sorelle presenti in quel nucleo familiare (sibship side effect) (Strachan, 1989). Anche l’ordine di nascita è risultato rilevante, dal momento che la rinite allergica è meno frequente nelle fratrie numerose, in cui gli ultimi nati sono più protetti dal rischio di atopia (birth order effect). Sia le dimensioni della famiglia sia l’ordine di nascita sono significamente correlate con l’insorgenza di eczema atopico nel primo anno di vita (Strachan, 1996). A questi primi dati si è aggiunto alla fine degli anni ’90 l’osservazione secondo cui, se si vive in ambienti rurali, difficilmente si sviluppano manifestazioni allergiche, incluso l’asma. Alcuni studi hanno dimostrato che i bambini che crescono e abitano nelle fattorie hanno minori probabilità di sensibilizzazione verso i comuni aereoallergeni ambientali e di soffrire di rinite rispetto ai bambini 86 che non vivono in campagna (Braun-Fahrlander et al., 1999; Riedler et al., 2000). Inquinanti ambientali e modifiche delle abitudini alimentari L’esposizione agli inquinanti ambientali fa si che un allergene, una volta inalato, venga processato dalle cellule-presentanti l’antigene, favorendo in tal modo la risposta Th 2 (Frew et al., 1997). Ciò, unitamente alle modifiche delle abitudini alimentari conseguenza dell’occidentalizzazione (minor consumo di anti-ossidanti; maggior assunzione di sale, olii vegetali e di cibi pronti), potrebbe contribuire all’aumentata prevalenza delle allergie nelle aree urbane e industrializzate (Burney, 1987; Black et al., 1997; Soutar et al., 1996; Kramer, 1988). Immunità La crescente diffusione delle malattie allergiche ed autoimmuni è stata attribuita a modifiche nell’interazione tra l’ecosistema dei microrganismi e quello umano, come conseguenza dell’occidentalizzazione dello stile di vita (Martinez et al., 1999): tale teoria spiega il carattere epidemico dell’atopia in termini evoluzionistici (Rook et al., 1998) e la sua plausibilità in termini biologici è supportata da evidenze riprodotte in vivo e in vitro. L’esposizione dei mammiferi ai microorganismi avrebbe influenzato l’evoluzione della struttura e della funzione del sistema immunitario. La maturazione del sistema immunitario in senso Th 1 è un processo dinamico, che deriva dalla complessa interazione tra la componente genetica individuale e l’insieme degli stimoli dell’ambiente esterno. Modificazioni del tipo e dell’intensità degli stimoli provenienti dall’ambiente microbico, associate al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, hanno contribuito allo sviluppo delle allergie, attraverso una disregolazione del sistema immunitario (Romagnani, 1994; Holt, 1995). Cinque domande sull’hygiene hypothesis 1) Effetto delle dimensioni del nucleo familiare e dell’ordine di nascita: quali evidenze? Alle prime osservazioni di Strachan effettuate su una popolazione inglese di piccole dimensioni (Strachan, 1989), ha fatto seguito, dieci anni più tardi, un vasto studio retrospettivo eseguito in Italia su 11.371 soggetti tra i 18 e i 24 anni che confermò che la prevalenza di atopia è inversamente correlata al numero totale di fratelli presenti nel nucleo familiare (Matricardi et al., 1998). Gli autori sottolinearono anche la relazione inversa esistente tra la prevalenza di atopia e l’ordine di nascita, per cui, per ciascun figlio, maggiore era il numero di fratelli più vecchi, minore era la probabilità di sviluppare atopia (Matricardi et al., 1998) (Fig. 1). 2) L’atopia è meno frequente nei soggetti che vivono in condizioni igieniche più disagiate? Un’ulteriore conferma dell’hygiene hypothesis è stata ottenuta attraverso l’analisi della relazione esistente tra atopia e presenza di anticorpi contro l’epatite A (HAV; marker rappresentativo di condizioni igienico-sanitarie scadenti) in una popolazione di 1659 militari italiani (Matricardi et al., 1997). In questo studio gli autori hanno dimostrato che la sieropositività per epatite A si associa a minore prevalenza di atopia e di malattie respiratorie allergiche, indipendentemente dal numero di fratelli maggiori che compone il nucleo familiare o di altri fattori di rischio. È interessante osservare che negli Stati Uniti la riduzione della frequenza dei casi di epa- A vent’anni dalla nascita dell’hygiene hypothesis Figura 1. Alcuni fattori ambientali rilevanti nella spiegazione della hygiene hypothesis. tite A è correlata a maggiore riscontro di atopia nella popolazione HAV-sieronegativa (Matricardi et al., 2002a). Tuttavia, è giusto utilizzare la sieropositività per HAV come marker rappresentativo della maggiore esposizione alle infezioni? Se questo fosse vero sarebbe possibile riscontrare una relazione inversa anche tra l’atopia e altre malattie che sono frequenti in condizioni igienico-sanitarie scarse. Per questo motivo, in una popolazione di 1659 militari italiani (età 17-24 anni) è stata analizzata la relazione esistente tra atopia ed infezione causata dai principali patogeni a trasmissione oro fecale, generalmente frequenti nei ceti sociali più bassi (Matricardi et al., 2000a). I risultati di tale studio hanno evidenziato una minore frequenza di asma (0.4%) e rinite allergica (7%) in 245 dei 1659 partecipanti, risultati almeno per due volte sieropositivi per Helicobacter pylori, Toxoplasma gondii o HAV. Le infezioni di origine alimentare e a trasmissione oro fecale, attraverso la stimolazione di una risposta di tipo Th 1 da parte del tessuto linfoide associato (GALT), delle placche del Peyer e del tessuto linfonodale mesenterico, proteggerebbero dall’insorgenza di malattie allergiche, autoimmuni e altre malattie immuno-mediate, in quanto la risposta immune Th 2 in questo modo viene soppressa. Gli agenti infettivi che possono indurre un effetto protettivo nei confronti dell’atopia rientrano per lo più nella categoria dei patogeni intracellulari meno aggressivi, come la Salmonella, il Toxoplasma gondii, e i micobatteri. Questi agenti infettivi sono inclusi nella categoria più ampia dei cosiddetti “vecchi amici” (old friends), e condividono molte caratteristiche: sono agenti patogeni intracellulari meno aggressivi, sono in grado di stimolare l’attività immunitaria Th 1, sono molto diffusi nell’ambiente e sono in grado di sopprimere la risposta allergica in modelli sperimentali. Un altro importante fattore protettivo nei confronti dell’asma e del- le allergie è stato associato all’ambiente nel quale il bambino è cresciuto e ha vissuto. È stato dimostrato che i bambini allevati in un ambiente rurale sono protetti da allergie (Braun-Fahrlander et al., 1999). Questo “effetto” sembrerebbe essere legato a molti fattori, ma soprattutto alla presenza di condizioni igieniche più scarse (per la presenza ad esempio di stalle, bestiame, contaminazione fecale dell’ambiente) (Riedler et al., 2001). Il fattore protettivo più forte dentro e fuori l’ambiente agricolo è l’ingestione di latte non pastorizzato, ovvero una fonte di infezioni di origine alimentare (Perkin et al., 2006). Poiché il consumo di latte crudo sembra essere il più importante fattore che in ambiente agricolo conferisce una protezione dalle allergie, è possibile ipotizzare che tale informazione sia utile per sviluppare nuove strategie d’intervento per le malattie allergiche. Purtroppo, il latte “crudo” non è né uno standard né un prodotto totalmente “sicuro” ed eventuali sperimentazioni per l’adozione di strategie di prevenzione con latte crudo, sarebbero motivo di critiche. Tuttavia, se si considera che i bambini che crescono e vivono in ambiente agricolo “protetti” dall’ingestione di latte non pastorizzato crescono sani come i loro coetanei, in futuro si potrebbero identificare metodi terapeutici che simulino l’effetto del latte non pastorizzato in modo standardizzato e sicuro. Sono in corso alcuni studi che indagano sulla componente microbica e/o nutrizionale del latte vaccino crudo, e i risultati potrebbero essere fondamentali ai fini della futura ricerca trasversale che origina dall’hygiene hypothesis (Grüber et al., 2002; von Mutius et al., 2007). Le diverse linee di ricerca che indagano sull’hygiene hypothesis attraverso differenti modelli (l’ambiente agricolo; le reclute militari; la popolazione generale; i modelli animali) sono concordi nell’identificare nel sistema immunitario localizzato nell’intestino il 87 P.M. Matricardi, F. Santamaria Figura 2. Evoluzione nel tempo della diffusione delle malattie allergiche in relazione al fenomeno dell’occidentalizzazione e all’esposizione a malattie infettive protettive. potenziale bersaglio di un effetto preventivo di allergie ed infezioni di origine alimentare e orofecale. La Figura 2 sintetizza l’evoluzione nel tempo dei rapporti tra infezioni e stile di vita nei confronti dell’asma e dell’allergia (Fig. 2). Un aspetto interessante riguarda i bambini figli di immigrati che vivono nei centri urbani e che appaiono protetti dalle allergie, come ad esempio i figli di immigrati turchi che vivono nelle grandi città Europee (Kabesch et al., 1999). Questo fattore protettivo è inversamente correlato al grado di adattamento alla cultura del paese nel quale sono ospitati e non si spiega con uno qualsiasi dei già noti fattori di rischio o fattori protettivi per le allergie (ad esempio presenza di fratelli maggiori, presenza di un animale domestico, livello di istruzione) (Grüber et al., 2002). Spesso le famiglie di immigrati vivono in appartamenti simili a quelli in cui vivono i bambini autoctoni. Essi non sono esposti ad animali o a qualsiasi degli altri fattori tipici di un ambiente agricolo. Verosimilmente i bambini immigrati e le loro famiglie preservano, quindi, alcuni dei fattori protettivi derivanti dallo stile di vita del proprio paese di origine, anche se risultano esposti a molti fattori ambientali tipici del paese ospitante. È probabile che la maggiore protezione verso l’allergia derivi da quei pochi elementi non condivisi dai bambini nativi, come la dieta e i contatti con i parenti provenienti dal loro paese di origine. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi per avvalorare tale ipotesi che, se confermata, faciliterebbe la strada verso l’identificazione di infezioni protettive e verso strategie di intervento efficaci. 88 3) La microfora batterica intestinale è un fattore di protezione dalle allergie? Numerosi studi hanno dimostrato che la microflora intestinale potrebbe avere un ruolo nell’attivazione della risposta immune in senso Th 1 o Th 2 (Hooper et al., 2001). Si potrebbe, quindi, ipotizzare di prevenire l’atopia intervenendo attraverso modifiche della flora batterica intestinale. Alcuni studi osservazionali hanno confermato che la composizione della microflora intestinale nei soggetti allergici può rappresentare un fattore predisponente per lo sviluppo dell’allergia. In un piccolo studio longitudinale, un rapporto più basso di colonie di bifidobatteri e clostridii, rispetto a soggetti non allergici, è stato trovato nelle feci di bambini che in seguito hanno sviluppato atopia (Kalliomaki et al., 2001). Gli autori hanno concluso che le differenze nella microflora intestinale neonatale precedono lo sviluppo di atopia, sottolineando il ruolo fondamentale svolto dall’equilibrio tra le diverse specie di batteri nella microflora intestinale per la maturazione del sistema immunitario verso una condizione di non atopia. Di contro, uno studio condotto in 3 città europee sulla microflora fecale di oltre 300 bambini nel primo anno di vita, ha dimostrato che sensibilizzazione ad alimenti o la comparsa di eczema atopico non sono associate all’assenza o presenza di alcun particolare agente microbico commensale del tratto gastrointestinale (Adlerberth et al., 2007). Diversi sono i risultati di uno studio osservazionale, in cui è stata valutata la probabilità, a lungo termine, di sviluppare rinite e/o asma allergico in A vent’anni dalla nascita dell’hygiene hypothesis bambini italiani che nei primi 4 anni di vita avevano avuto un’infezione gastrointestinale da Salmonella rispetto a quelli nei quali era stata diagnosticata una gastroenterite virale (Pelosi et al., 2005). I risultati hanno mostrato che i bambini affetti da salmonellosi presentavano una minore prevalenza di rinocongiuntivite allergica o asma rispetto ai controlli. È stato, quindi, ipotizzato che contrarre l’infezione da Salmonella nei primi anni di vita potrebbe successivamente contrastare lo sviluppo di malattie atopiche come l’asma. Inoltre, la Salmonella potrebbe contribuire a prevenire lo sviluppo di allergie respiratorie attraverso una serie di meccanismi che agiscono sul sistema immunitario, in un periodo critico per la maturazione della risposta immunitaria contro allergeni ubiquitari, rispondendo in questo modo anche ai criteri di plausibilità biologica. Già negli anni ’70 venne avanzata l’ipotesi che anche gli elminti hanno un effetto protettivo nei confronti di allergie ed asma, sia attraverso un meccanismo di saturazione di recettori ad alta affinità per le IgE su mastociti e basofili, sia attraverso l’induzione del blocco della sintesi di IgG (Wilson et al., 2004). In numerosi paesi in via di sviluppo l’infezione cronica da elminti intestinali protegge i bambini dalla reattività atopica (Cooper et al., 2008). Al contrario, forme transitorie, tardive o lievi di infezioni da elminti sono risultate positivamente associate ad atopia (van den Biggelaar et al., 2004). Per spiegare tale contraddizione, è stato ipotizzato che le infezioni da elminti più precoci e gravi e le infezioni croniche sarebbero in grado di proteggere i bambini dalle allergie, stimolando la regolazione immunitaria di cellule T e citochine (Cooper et al., 2008). Tuttavia, ad oggi vi sono evidenze ancora insufficienti su tale argomento. 4) È possibile prevenire le allergie attraverso interventi mirati? Come conseguenza dell’hygiene hypothesis, nel 2000 sono state proposte strategie di intervento per la prevenzione e la terapia delle allergie (Matricardi et al., 2000b). Il programma di “immuno-educazione” consisterebbe nel somministrare, in maniera progressiva, la giusta varietà di stimoli microbici richiesti dal sistema immunitario della mucosa durante il suo sviluppo, necessari per mantenere un adeguato equilibrio tra suoi componenti. Tuttavia, l’omeostasi del sistema immunitario è così complessa e l’esposizione microbica è così diversificata che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, questo obiettivo appare lontano. Inoltre, purtroppo, i risultati di diversi studi appaiono scoraggianti, e soltanto alcuni approcci sono apparentemente promettenti (Kalliomäki et al., 2002; Kalliomäki et al., 2001; Matricardi et al., 2003). La ragione per gli effetti deludenti di questi tentativi potrebbe essere dovuta alla mancanza di una chiara comprensione di tutti gli eventi che precedono e causano le malattie allergiche. È indubbio che le strategie terapeutiche preventive o curative a base di prodotti microbici, andrebbero realizzate molto precocemente, prima che si verifichino alcuni eventi irreversibili legati all’infiammazione allergica cronica. Sono stati proposti a tal proposito nella pratica clinica probiotici, estratti batterici, micobatteri, derivati liposaccaridici, sequenze di oligodeossinucleotidi immunostimolanti (ISS-ODN) e prodotti derivati da elminti. Alcuni di questi approcci (estratti batterici orali, probiotici), hanno finora dato risultati negativi o di difficile interpretazione (Kukkonen et al., 2007; Rosenfeldt et al., 2003, Viljanen et al., 2005; Grüber et al., 2005; Weston et al., 2005; Brouwer et al., 2006), altri sembrano più promettenti (ISS-ODN; Takahashi et al., 2006), ma non hanno raggiunto un livello di evidenza tale da essere raccomandati dalle linee guida internazionali. In definitiva, gli elementi forniti finora non sono ancora sufficienti per consigliare l’uso di tali prodotti per la prevenzione primaria o per la terapia delle allergie. In questa prospettiva, non ci sono ancora elementi chiari per proporre, oggi, interventi utili in base alle evidenze della hygiene hypothesis. Nella sua pratica clinica il pediatra deve proseguire a consigliare l’igiene ed a sostenere la prevenzione delle malattie infettive, la pratica delle vaccinazioni di legge ed un corretto uso delle terapie antibiotiche. Tuttavia, i notevoli progressi recenti lasciano sperare che si possa arrivare presto a proporre una “miscela” di componenti microbiche che, a dosi e vie di somministrazione appropriate, possano vicariare l’effetto preventivo microbico e infettivo, senza indurre patologie infettive. 5) Perché la prevalenza dell’asma allergico è in aumento anche nelle comunità urbane statunitensi dotate di scarsa igiene? Il resoconto di studi epidemiologici condotti negli ultimi 30 anni negli Stati Uniti ha evidenziato un’esacerbazione dell’asma allergico anche nei centri urbani (inner-city asthma), contrastando, così, la teoria dell’hygiene hypothesis (Platts-Mills et al., 2001; Marder et al., 1992). Tuttavia, tale conflitto è solo apparente. Infatti, una rivisitazione dell’hygiene hypothesis in chiave dinamica porta ad ipotizzare che prima della rivoluzione industriale, negli Stati Uniti le abitudini quotidiane adottate avrebbero favorito lo sviluppo di una protezione nei confronti delle allergie. Con il lento progredire dello sviluppo economico e dell’urbanizzazione, tali abitudini sarebbero state parzialmente abbandonate, contribuendo all’incremento della frequenza della rinite allergica e dell’atopia (Matricardi et al., 2002b). Il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie negli anni seguenti avrebbe dato un importante contributo alla diffusione delle malattie allergiche, soprattutto nelle classi più agiate, sempre più numerose. Negli anni ’70 si è assistito, inoltre, alla comparsa di nuovi fattori di rischio, come conseguenza dell’urbanizzazione dei centri cittadini (sovraffollamento, umidità, assistenza sanitaria non ottimale), che favoriscono la comparsa di vere e proprie epidemie allergiche anche nei centri urbani dotati di scarsa igiene (Weitzman et al., 1990). Ciò porta a definire un diverso concetto di povertà: al giorno d’oggi la povertà dei quartieri americani più degradati comporta il vivere in un ambiente in cui l’esposizione agli allergeni indoor (come scarafaggi e urine dei roditori) è diventata cronica, ma in cui l’esposizione ad infezioni di origine alimentari o a trasmissione oro fecale potrebbe essere anche meno o per niente rilevante. Tale fenomeno potrebbe rappresentare il risultato dell’evoluzione del processo di urbanizzazione e occidentalizzazione iniziato due secoli fa negli USA (Matricardi et al., 2002a). Conclusioni L’hygiene hypothesis rimane un’avventura scientifica affascinante e un campo di ricerca incredibilmente vasto e produttivo. Grazie al dibattito intorno ai dati contrastanti ed alla ricerca continua, le nostre idee sono al giorno d’oggi più chiare rispetto a vent’anni fa. Tuttavia, numerosi sono ancora i pro ed i contro di quest’affascinante teoria (Tab. II). Una spiegazione meccanicistica assai promettente riguarda il ruolo protettivo che alcuni agenti patogeni avrebbero nell’interazione con le cellule presentanti l’antigene, e la loro influenza sullo sviluppo futuro delle risposte immunitarie. Queste acquisizioni potrebbero rappresentare una buona base per identificare quelle infezioni “vantaggiose” e per sviluppare forme di ricerca volte a identificare strategie di intervento preventive e terapeutiche delle malattie allergiche. 89 P.M. Matricardi, F. Santamaria Tabella II. Alcuni argomenti pro e contro l’hygiene hypothesis. Pro Contro • Effetto delle dimensioni del nucleo familiare e dell’ordine di nascita • Correlazione tra livelli di IgE del cordone ombelicale e ordine di genitura (Strachan, 1989; Matricardi et al., 1998) (Halonen et al., 1991) • Azione protettiva svolta dalle infezioni di origine alimentare e a • Elevata prevalenza di asma allergico tra i poveri che vivono nelle inner trasmissione orofecale sull’atopia (Matricardi et al., 1998; Matricardi et cities americane (Platts-Mills et al., 2001) al., 2000a; Umetsu et al., 2010) • Mancata influenza di lattobacilli e bifidobatteri sullo sviluppo di eczema • Maggiore diversità nella flora microbica intestinale che protegge atopico e sulla sensibilizzazione ad alimenti (Adlerberth et al., 2007) dall’eczema atopico (Wang et al., 2008) • Minore frequenza di atopia tra i bambini che vivono in ambiente rurale (Braun-Fahrlander et al., 1999; Riedler et al., 2000) Box di orientamento I punti salienti • La crescente diffusione dell’allergia è stata attribuita a modifiche nell’interazione tra ecosistema dei microrganismi ed esseri umani, come conseguenza dell’adozione di uno “stile di vita occidentale”. • La predisposizione a sviluppare atopia e malattie allergiche è stata anche associata alla struttura del nucleo familiare (dimensione della famiglia e ordine di nascita). • Nelle società occidentali le malattie allergiche appaiono inversamente correlate all’acquisizione di infezioni per via oro-fecale. • Il diffondersi di rinite allergica e asma può essere osservato prevalentemente nella popolazione non esposta a infezioni da patogeni trasmessi per via orofecale. • Al momento il ruolo dei probiotici nel prevenire o curare le malattie allergiche è ancora controverso. Bibliografia Adlerberth I, Strachan DP, Matricardi PM et al. Gut microbiota and development of atopic eczema in 3 European birth cohorts. J Allergy Clin Immunol 2007;120:343-50. Black PN, Sharpe S. Dietary fat and asthma: is there a connection? Eur Respir J 1997;10:6-12. Braun-Fahrlander C, Gassner M, Grize L, et al. Prevalence of hay fever and allergic sensitization in farmer’s children and their peers living in the same rural community. SCARPOL team. Clin Exp Allergy 1999;29:28-34. ** è uno dei primi articoli in cui viene riportata la prevalenza delle manifestazioni allergiche in soggetti che vivono in campagna. Brouwer ML, Wolt-Plompen SA, Dubois AE et al. No effects of probiotics on atopic dermatitis in infancy: a randomized placebo controlled trial. Clin Exp Allergy 2006;36:899-906. Burney P. A diet rich in sodium may potentiate asthma. Epidemiologic evidence for a new hypothesis. Chest 1987;91:143-8. Cooper PJ, Mitre E, Moncayo AL, et al. 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Matricardi, Dipartimento di Pneumologia e Immunologia Pediatrica, Università Medica di Charité, Virchow Campus, Augustenburger Platz 1, 13353 Berlino, Germania. E-mail. [email protected] 91 Aprile-Giugno 2012 • Vol. 42 • N. 166 • Pp. 92-97 Allergologia respiratoria Fattori di rischio per asma bronchiale Franca Rusconi1, Livia Drovandi2, Silvia Agostiniani1 Unità di Epidemiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria A. Meyer, Firenze Dipartimento di Scienze per la Salute della Donna e del Bambino, sezione di Pediatria, Università degli Studi di Firenze 1 2 Riassunto L’asma è una malattia multifattoriale nel cui determinismo e scatenamento concorrono fattori di rischio genetici e ambientali. La conoscenza dei fattori ambientali associati ad asma bronchiale e la loro interazione con i fattori genetici è importante in termini di prevenzione e di salute pubblica. L’articolo riassume le evidenze emerse in letteratura sui fattori di rischio per asma, con un’attenzione particolare alla realtà italiana. Vengono riportati più in dettaglio dati relativi a due fattori di rischio che hanno recentemente trovato ampio spazio in letteratura, le infezioni respiratorie virali e la vitamina D, e ne verrà discusso il ruolo causale. Summary Asthma is a multifactorial disease where genetics and environmental risk factors coexist and interact. The knowledge of environmental risk factors is important in order to implement public health programs. This article summarizes evidences on asthma risk factors, with an attention to data obtained from Italian children. We report literature data about two recently discussed risk factors: viral infections and vitamin D; their role in causality of asthma will be discussed. Metodologia della ricerca bibliografica La ricerca bibliografica ha preso in esame la letteratura scientifica degli ultimi 3 anni con riferimento a “asthma and risk factors in children” utilizzando come motore di ricerca “PubMed”. Sono stati utilizzati i seguenti filtri “Humans, Editorial, Practice Guideline, Review, English, All Child: 0-18 years”. Ciò ha permesso di selezionare due tematiche (fattori di rischio) per cui sono state effettuate ricerche ad hoc con riferimento alle seguenti parole chiave: “viral respiratory infections” “vitamin D”, “asthma”e “wheezing”. Sono inoltre stati inclusi studi sugli argomenti selezionati di cui gli autori erano a conoscenza, e studi epidemiologici su fattori di rischio che si riferiscono all’Italia. L’asma bronchiale, una malattia multifattoriale È noto come l’asma bronchiale rappresenti la più frequente patologia cronica dell’infanzia e, almeno per i paesi industrializzati, un problema di importante rilievo in termini di salute pubblica. In Italia due studi effettuati nelle scuole di 6 regioni italiane nel 1994 e nel 2002 (Studi Italiani sui Disturbi Respiratori nell’Infanzia e l’Ambiente, SIDRIA) hanno stimato per l’asma una prevalenza del 9 e del 10%, rispettivamente in alunni di 6-7 e di 13-14 anni (Galassi et al., 2005). I dati epidemiologici suggeriscono anche come “l’epidemia di asma” degli anni ’80-’90 non possa, per la rapidità con cui la frequenza della patologia è aumentata nel corso di pochi anni, essere dovuta a modificazione di fattori genetici, quanto piuttosto a cambiamenti nei fattori di rischio ambientali. L’International Study of Allergy and Asthma in Children (ISAAC), a cui anche l’Italia ha partecipato, ha riportato una variabilità di 15 volte nella prevalenza di asma in diverse popolazioni; l’asma è stato associato al vivere in nazioni sviluppate e, tra queste, in particolare in paesi di lingua anglosassone quali Re- 92 gno Unito, Australia e Nuova Zelanda (Asheret el al., 2010). Gli studi ISAAC hanno anche mostrato come in paesi sviluppati ad alto reddito l’allergia è più strettamente legata all’asma. La riunificazione della Germania ha rappresentato un buon modello per verificare come l’allergia e l’asma fossero meno comuni nei bambini della Germania dell’Est rispetto a quelli dello stesso ceppo genetico della Germania dell’Ovest, che vivevano in un paese più benestante. Un’altra osservazione, che attiene anche alla nostra realtà, è che la frequenza di asma e sintomi asmatici sono maggiori nei bambini italiani rispetto ai bambini figli di migranti e, tra questi, la frequenza è più bassa in coloro che vivono in Italia da meno tempo (Migliore et al., 2007). A tutt’oggi non vi è una risposta univoca e definitiva alla domanda su quali aspetti dello stile di vita delle nazioni dell’Europa dell’Ovest e in generale delle nazioni più agiate siano particolarmente importanti nel determinismo della malattia. La dieta, il sovrappeso e l’obesità, e la sedentarietà – fattori tra loro spesso associati – sono stati considerati come fattori di rischio importanti in diverse realtà, tra cui l’Italia, ma il loro ruolo nel determinismo della malattia necessita la conferma in studi longitudinali (Corbo et al., 2008). L’epidemiologia ha portato un contributo non solo alla descrizione della frequenza della malattia, ma anche alla comprensione di meccanismi e cause in gioco e, in termini di salute pubblica, un’attenzione ai fattori di rischio prevenibili. Gli studi epidemiologici trasversali, che “fotografano” una popolazione in un determinato momento, hanno fornito dati importanti per mettere in luce alcuni possibili meccanismi causali. L’asma è stato associato a diversi fattori tra cui i più importanti sono: la familiarità per asma/allergia, l’età, il sesso e l’esposizione al fumo di tabacco (Rusconi et al., 1999). L’importanza della genetica nel determinismo della malattia ha grandemente favorito negli anni passati la ricerca di un “gene responsabile dell’asma”, ricerca che tuttavia è finora rimasta senza successo. Quello che si può affermare con sicurezza è che asma e atopia non sono dovute a mutazioni in un singolo gene e che, come per tutte le malattie complesse, la relazione tra geni e Fattori di rischio per asma bronchiale asma dipende anche da fattori ambientali (Le Souëf, 2009). Numerosi studi hanno dimostrato come il possedere un certo genotipo rende alcuni soggetti particolarmente sensibili all’effetto di fattori ambientali; ad esempio la relazione tra asma ed esposizione a fumo è maggiore in soggetti che hanno una riduzione su base genetica delle capacità antiossidanti delle vie aeree (Sly, 2011). Questo è un aspetto che potrebbe in un futuro non lontano essere rilevante in termini di salute pubblica: la prevenzione dell’esposizione a fattori ambientali potrebbe rivelarsi particolarmente importante in soggetti geneticamente predisposti. Come si è già anticipato, l’epidemiologia ha anche focalizzato l’attenzione sui cosiddetti fattori prevenibili: si tratta perlopiù di fattori che non determinano un aumento considerevole del rischio di sviluppare la malattia nel singolo soggetto esposto; comportano invece un’elevata “frazione attribuibile di malattia” nel caso in cui vi sia esposta una parte cospicua della popolazione. Ad esempio, lo studio Italiano SIDRIA 2 ha definito come la “quota di malattia prevenibile” per i disturbi respiratori nell’infanzia (non solo asma e allergie ma anche tosse e catarro) sia dell’ordine del 15-18%, modificando l’esposizione a fumo di tabacco, a umidità/muffe in casa (per il loro ruolo allergizzante e pro-infiammatorio), e l’esposizione a traffico veicolare (Forastiere et al., 2005; Migliore et al., 2009; Heinrich, 2011). Gli studi epidemiologici più recenti hanno seguito in modo prospettico un gruppo (coorte) di bambini dalla nascita o dalla prima infanzia (studi longitudinali). Sono al momento attivi numerosi studi di coorte in diversi paesi europei ed extraeuropei che, in particolare in Europa, si sono consorziati in progetti collaborativi. In Italia sono in corso due piccoli (1500 soggetti) studi di coorte iniziati nel 2003 a Roma (GASPII: Gene ed Ambiente: uno Studio Prospettico nell’Infanzia in Italia) e a Bologna (CONER: Cohort of Newborns in Emilia Romagna) e lo studio NINFEA (Nascita e Infanzia: gli Effetti dell’Ambiente, con 4638 bambini finora arruolati). È inoltre appena iniziato in diverse regioni italiane il reclutamento di una coorte “tradizionale”, con la raccolta anche di campioni biologici, che permetterà di condurre studi più mirati (www. piccolipiu.it). Gli studi di coorte hanno dimostrato in modo incontrovertibile che l’inizio precoce dell’asma e l’alterata funzionalità polmonare in bambini che presentano manifestazioni asmatiche già dai primissimi anni di vita sono strettamente associati anche ad una alterata funzionalità respiratoria in età adulta; si tratta dunque, presumibilmente, di importanti fattori di rischio per l’insorgenza di patologia cronica ostruttiva delle vie aeree dell’adulto (Martinez, 2009a). Questi studi hanno avuto anche il merito di chiarire la rilevanza di fattori di rischio che intervengono molto precocemente nello sviluppo delle vie aeree e quindi anche della malattia asmatica, compresi alcuni fattori della gravidanza come l’esposizione a fumo materno in utero, il fattore di gran lunga più studiato, ma anche alcune patologie materne quali ipertensione e diabete (Rusconi et al., 2007; Sly, 2011). Rispetto al fumo, è stato recentemente dimostrato come i bambini figli di madri che hanno smesso di fumare durante il primo trimestre di gravidanza non hanno un maggior rischio di asma all’età di 5 anni in confronto ai bambini nati da madri non fumatrici, e come l’esposizione a fumo sia associata a una riduzione delle dimensioni del feto (e probabilmente anche del polmone e delle vie aeree) fin dal secondo trimestre di gravidanza (Prabhu et al., 2011). È stato anche chiarito come l’associazione tra fumo in gravidanza e rischio di asma sia indipendente dall’esposizione al fumo in epoca post-natale e dal peso alla nascita del bambino, di nuovo confermando l’ipotesi di un danno diretto del fumo a livello del sistema respiratorio (Duijts et al., 2011). Considerata l’estensione della letteratura sull’argomento “fattori di rischio per asma bronchiale” nei successivi due paragrafi saranno analizzati più in dettaglio due fattori di rischio su cui si è recentemente focalizzata l’attenzione, discutendone il ruolo causale nel determinismo della malattia. Trovare un’associazione, infatti, non significa dimostrare un meccanismo di causa-effetto. Gli studi epidemiologici possono avere dei limiti, e – soprattutto in un campo apparentemente così semplice ma invero abbastanza complesso come quello del wheezing in età pre-scolare e della malattia asmatica – è importante conoscere a fondo il problema che si sta trattando e pensare non solo in termini di associazione, ma anche e soprattutto, di meccanismi causali. A questo proposito, e sempre sull’argomento che stiamo trattando, segnaliamo l’ampia mole di lavori che trovano un’associazione tra somministrazione di paracetamolo o di antibiotici nei primi anni di vita e sviluppo di asma: l’associazione è effettivamente presente ma, come recentemente dimostrato, è probabilmente interamente dovuta a un bias (confounding by indications): i bambini che assumono paracetamolo e/o antibiotici nel primo anno di vita per lo più lo assumono per infezioni respiratorie spesso associate a wheezing, e i bambini con wheezing sviluppano più frequentemente asma in età scolare (Lowe et al., 2010; Rusconi et al., 2011). Infezioni respiratorie e asma Che le infezioni del tratto respiratorio possano scatenare episodi acuti di asma bronchiale è noto da tempo, e l’utilizzo di metodiche di diagnostica molecolare ha recentemente permesso di dimostrare la presenza di virus respiratori in oltre l’80% dei soggetti in corso di riacutizzazione asmatica (Busse et al., 2010). Il punto che rimane ancora definitivamente da chiarire è se esiste un rapporto causale tra infezioni virali respiratorie e sviluppo di wheezing o asma o se le infezioni si limitano a rivelare la suscettibilità allo sviluppo di asma in pazienti geneticamente predisposti (Sly et al., 2010), come sostenuto nella teoria dei two hits (Lemanske, 2002). Secondo questa teoria, i pazienti con un’alterata regolazione del sistema immunitario (first hit) – per esempio con un deficit nella produzione di interferone o un incremento delle risposte immuni del tipo Th-2 mediato, caratteristico del fenotipo allergico – se colpiti da infezione virale (second hit), in particolare in un’età critica per lo sviluppo del polmone, vanno incontro allo sviluppo di asma. Il ruolo del virus respiratorio sinciziale (VRS) La bronchiolite da VRS è stata storicamente associata ad un incremento del rischio di sibili ricorrenti. I dati più indicativi in tal senso provengono da studi di coorte longitudinali, effettuati in diversi paesi come il Tucson Children’s Respiratory Study (USA) e lo studio ALSPAC (Bristol, UK) (Stein, 2010). Sigurs e collaboratori (2010) hanno recentemente riportato i risultati del follow-up a 18 anni su una casistica molto selezionata, mostrando come soggetti ospedalizzati per bronchiolite nel primo anno di vita avessero, rispetto ai controlli, un rischio aumentato di sviluppare non solo wheezing ricorrente, ma anche asma, atopia e alterazioni della funzionalità polmonare (Sigurs et al., 2010). Gli autori, in quest’ultimo e nei precedenti lavori, hanno dedotto che una grave infezione da VRS potrebbe compromettere lo sviluppo del polmone e determinare un rimodellamento delle vie aeree. Tale ipotesi, per lungo tempo sostenuta anche da altri, è stata solo recentemente confutata non solo da un punto di vista teorico, ma anche sulla base dei risultati di studi prospettici effettuati in Danimarca su un ampio campione di gemelli (Stensballe et al., 2009; 93 F. Rusconi, L. Drovandi, S. Agostiniani Thomsen et al., 2009): i bambini ospedalizzati per bronchiolite da VRS presentavano un rischio 6-8 volte maggiore di sviluppare broncostruzione, ma limitatamente ad un periodo di alcuni mesi; d’altra parte, i soggetti che in seguito avrebbero sviluppato asma, presentavano un incremento di 3 volte del rischio di pregressa ospedalizzazione per grave infezione da VRS. Per analizzare il ruolo di fattori genetici e ambientali nello sviluppo di asma, gli stessi ricercatori hanno inoltre studiato trentasette coppie di gemelli monozigoti, all’interno delle quali solo un gemello era stato ospedalizzato nel primo anno di vita per grave bronchiolite da VRS; in età scolare i gemelli non differivano per sviluppo di asma e di atopia e neppure per funzionalità polmonare e markers di flogosi (Poorisrisak et al., 2010). Tali risultati non confermano la relazione ipotizzata tra infezione severa da RSV e sviluppo successivo di asma, suggerendo che fattori ambientali ancora sconosciuti svolgano un ruolo importante in tal senso. Il ruolo del rhinovirus (RV) Negli ultimi anni, grazie alle aumentate possibilità di diagnosi virologica, numerosi studi hanno evidenziato l’importanza del ruolo di altri virus, in particolare del RV, nello sviluppo di bronchiolite e di wheezing (Valkonen et al., 2009, Midulla et al., 2011): il RV sarebbe un determinante maggiore di ricorrenza o persistenza di wheezing rispetto al VRS. In uno studio prospettico (Jackson et al., 2008) è stato valutato il nesso tra specifiche infezioni virali associate a wheezing e sviluppo successivo di asma, analizzando anche il ruolo dell’atopia. Nei primi tre anni di vita i bambini con wheezing da RV hanno un rischio maggiore di sviluppare asma in età scolare rispetto ai bambini con wheezing da VRS. La concomitanza di wheezing da RV e sensibilizzazione allergica, inoltre, è il maggiore determinante dello sviluppo futuro di asma. Questi dati non permettono tuttavia di accertare la natura causale dell’associazione tra infezione da RV e asma. In realtà è inverosimile che il RV causi l’asma, perché è un’infezione respiratoria molto comune, e solo una parte degli affetti sviluppa wheezing e in seguito patologia asmatica. La suscettibilità di un individuo allo sviluppo sia di asma/atopia che di gravi infezioni virali delle basse vie respiratorie con componente ostruttiva potrebbe invece essere determinata da un fattore causale comune, imputabile ad un’alterazione della risposta immunitaria Tmediata e della regolazione della ‘cascata infiammatoria’ (Martinez, 2009b). Alcuni bambini sarebbero dunque predisposti a sviluppare risposte immunitarie anomale contro i virus, e l’espressione clinica di questa suscettibilità potrebbe spaziare da episodi acuti e gravi di ostruzione delle vie aeree e wheezing ricorrente fino allo sviluppo di asma conclamato. Di recente è stato infine suggerito un ruolo possibile per la vaccinazione contro RV come mezzo per prevenire le riacutizzazione asmatiche indotte da tale virus (Edlmayr et al., 2011; Rohde, 2011). Vitamina D e asma Oltre che al ben noto effetto sulla regolazione dell’omeostasi del calcio, la vitamina D è stata negli ultimi anni associata allo sviluppo di diversi disordini accomunati da un’infiammazione immunomediata e alla suscettibilità ad alcuni agenti infettivi. L’osservazione, nei soggetti con carenza di vitamina D, di una maggiore suscettibilità allo sviluppo di infezioni respiratorie, è stato probabilmente il “primum movens” per studiare la relazione tra vitamina D e patologia broncostruttiva. I primi studi che riguardano l’età pediatrica (Tab. I) sono stati effettuati su coorti di madri in gravidanza; è stata riscontrata un’associazione tra assunzione di vitamina D con la dieta e riduzione del rischio nei figli di wheezing nei primi 2-5 anni di vita (Camargo et al., 2007; Devereux et al., 2007; Miyake et al., 2010), e di asma e rinite atopica a 5 anni (Erkkola et al., 2009). Purtroppo in questi studi è stato calcolato l’intake di vitamina D mediante questionari che indagavano la frequenza di assunzione di alimenti ricchi in vitamina D, senza accertarne i livelli sierici. Un ulteriore limite è che, come noto, l’assunzione con la dieta fornisce solo una piccola frazione della vitamina D circolante: l’80-90% dipende invece dall’esposizione a luce solare. I meccanismi ipotizzati per spiegare l’azione della vitamina D sulla funzionalità respiratoria sono essenzialmente Tabella I. Studi di coorte su assunzione e livelli di vitamina D in gravidanza e asma o wheezing nei figli Autori Soggetti studiati (N) Risultati Camargo e coll. (2007) 1194 Ogni incremento di 100-UI nell’intake di vitamina D durante la gravidanza era associato con un ridotto rischio di wheezing (OR 0.81; 95% IC, 0.74-0.89). Devereux e coll. (2007) 1253 In confronto con il quintile più basso, il quintile più alto di intake materno di vitamina D durante la gravidanza era associato con un ridotto rischio di wheezing (OR 0.48; 95% IC, 0.25-0.91) o wheezing ricorrente (OR 0.33; 95% IC, 0.11-0.98). 178 Vitamina D >75 Nmol/L durante la gravidanza era associata con un rischio maggiore di asma infantile (OR 5.4; 95% IC 1.1-26.7) a 9 anni di età. Erkkola e coll. (2009) 1669 Rispetto ai tre quartili inferiori, il quartile più alto di assunzione di vitamina D durante la gravidanza era associato con un ridotto rischio di asma (HR 0.76; 95% CI, 0.59-0.99). Miyake e coll. (2010) 763 Intake di vitamina D durante la gravidanza al di sopra del primo quartile (> 172 UI/die) era associato con un ridotto rischio di wheezing (OR 0.64; 95% CI, 0.43-0.97) Camargo e coll. (2011) 922 I livelli di vitamina D nel sangue del cordone ombelicale erano inversamente associati con wheezing, ma non con asma a 5 anni. Morales e coll. (2012) 1724 Camargo e coll. (2011) 922 Gale e coll. (2008) Nessuna associazione significativa. I livelli di vitamina D nel sangue del cordone ombelicale erano inversamente associati con wheezing, ma non con asma a 5 anni. OR= odds ratio; IC= intervallo di confidenza al 95%; HR= hazard ratio. 94 Fattori di rischio per asma bronchiale due: una possibile attività immunomodulatrice (inibizione della secrezione di interleuchina 2 e interferon-gamma) e un’azione di stimolazione sullo sviluppo del polmone fetale. In uno studio più recente Camargo e collaboratori hanno dosato la 25-idrossivitamina D nel sangue cordonale, dimostrando un’associazione inversa tra i livelli di vitamina D e il rischio di infezioni respiratorie e di wheezing infantile; tale associazione, tuttavia, era al limite della significatività statistica dopo correzione per alcuni fattori confondenti (Camargo et al., 2011). Non è stata invece osservata un’associazione con lo sviluppo di asma a 5 anni. Questi dati sono stati confermati dallo studio di coorte INMA (INfancia y Medio Ambiente) (Morales et al., 2012). D’altra parte, un altro studio (Tab. I) ha invece riscontrato un maggior rischio di eczema a 9 mesi, e di asma a 9 anni in bambini le cui madri avevano concentrazioni sieriche più elevate di 25-idrossivitamina D in gravidanza (Gale et al., 2008), nonostante la perdita del 70% dei soggetti arruolati durante il follow-up. Altri studi si sono concentrati sulla relazione tra livelli sierici di vitamina D e diversi outcome in bambini affetti da asma bronchiale (Tab. II). Brehm e collaboratori hanno dimostrato un’associazione inversa tra livelli sierici di vitamina D e reattività delle vie aeree, eosinofili ed IgE circolanti, e rischio di ospedalizzazione per asma (Brehm et al., 2009). Trattandosi di uno studio trasversale, non è stato possibile stabilire un collegamento temporale tra bassi livelli di vitamina D e morbilità per asma; gli stessi autori hanno quindi successivamente condotto uno studio longitudinale su bambini con asma persistente (Brehm et al., 2010). In questo studio, la carenza o l’insufficienza di vitamina D era associata ad aumentato rischio di esacerbazioni asmatiche gravi (ricovero ospedaliero o visita al Pronto Soccorso) durante 4 anni di follow-up. Altri studi trasversali, di cui due effettuati in Italia (Searing et al., 2010; Chinellato et al., 2011a; Chinellato et al., 2011b), su casistiche più piccole di bambini asmatici, hanno dimostrato che bassi livelli di vitamina D erano associati ad un ridot- to controllo dell’asma, ad una ridotta funzionalità polmonare e ad un aumentato utilizzo di corticosteroidi. Infine, in due recentissimi studi (Hollams et al. 2011, van Oeffelen et al., 2011) su coorti nati di popolazione generale, in cui è stata studiata la relazione fra livelli sierici di vitamina D nei bambini e sviluppo successivo di asma a diverse età, i risultati appaiono contrastanti (Tab. II). Sia negli studi effettuati in gravidanza che in quelli in età pediatrica, è stata riscontrata un’elevata percentuale di donne e di bambini con livelli di vitamina D considerati sub-ottimali (Tab. II), anche in paesi con alta frequenza di esposizione alla luce solare. Una relazione causale tra deficit di vitamina D e broncostruzione o atopia potrebbe quindi rappresentare un importante problema di sanità pubblica. D’altra parte, oltre ai risultati contrastanti degli studi finora pubblicati e ai limiti del disegno di alcuni di questi (Paul et al., 2012), che per brevità non possiamo qui discutere, è necessario anche considerare alcune potenziali fonti di bias; la minore assunzione di vitamina D con gli alimenti, ma anche la minore esposizione alla luce solare, potrebbero essere un marker di stili di vita (alimentazione, esposizione ad inquinanti, altri fattori confondenti non “misurati”) e di basso stato socioeconomico e culturale, a loro volta associati a sviluppo di asma o a mancato controllo della malattia in pazienti asmatici. Per ciò che riguarda gli effetti della supplementazione di vitamina D in gravidanza, una risposta potrebbe arrivare da due studi d’intervento tuttora in corso: “Vitamin D Supplementation During Pregnancy for Prevention of Asthma in Childhood: An Interventional Trial in the ABC (Asthma Begins in Childhood) Cohort” (http://clinicaltrials. gov/show/NCT00856947) e “Randomized Trial: Maternal Vitamin D Supplementation to Prevent Childhood Asthma (VDAART)” (http:// clinicaltrials.gov/show/NCT00920621); in questi due studi le madri, reclutate durante la gravidanza, ricevono un supplemento giornaliero di Vitamina D3 ed è previsto di studiare prospetticamente lo sviluppo di asma nei figli. Tabella II. Studi osservazionali sui livelli di vitamina D in età pediatrica e asma o wheezing Autori Soggetti studiati (N) Risultati Brehm e coll. (2009) 616 bambini asmatici Livelli sierici di vitamina D inversamente correlati con ospedalizzazione (OR 0.05; 95% IC 0.004-0.71) e reattività delle vie aeree (OR 0.15; 95% IC 0.024-0.97). Brehm e coll. (2010) 1024 bambini asmatici Livelli sierici insufficienti di vitamina D correlati con esacerbazioni asmatiche gravi in 4 anni di follow-up (OR 1.5; 95% IC, 1.1-1.9). Searing e coll. (2010) 100 bambini asmatici Livelli sierici di vitamina D correlati con funzionalità polmonare e inversamente correlati con IgE totali, grado di atopia e uso di steroidi (p=0,001). Chinellato e coll. (2011a) 75 bambini asmatici Correlazione borderline tra livelli sierici di vitamina D e FVC (p= 0,04). Chinellato e coll. (2011b) 45 bambini asmatici Livelli sierici di vitamina D più bassi nei bambini con broncocostrizione indotta da esercizio fisico. Hollams e coll. (2011) van Oeffelen e coll. (2011) 989 bambini di 6 anni, 1380 bambini di 14 anni, 689 bambini ad entrambe le età 372 bambini di 4 anni Correlazione tra livelli sierici di vitamina D e C-ACT scores (p=0,011). Nessuna associazione significativa fra livelli sierici di vitamina D e asma a 6 e 14 anni. A 6 anni i livelli di vitamina D sono inversamente associati ad outcomes a 14 anni: • BHR: OR 0.28, 95% IC 0.06-1.37. • Atopia: OR 0.14, 95% IC 0.04-0.47. • Asma: OR 0.11, 95% IC 0.02-0.84. A 4 anni i livelli di vitamina D sono inversamente associati ad asma a 5-8 anni (OR 0.45, 95% IC 0.32-0.57). A 8 anni i livelli di vitamina D sono direttamente associati con asma alla stessa età (OR 2.21, 95% IC 0.88-5.57). OR= odds ratio; IC= intervallo di confidenza al 95%; FVC= capacità vitale forzata. 95 F. Rusconi, L. Drovandi, S. Agostiniani Box di orientamento Cosa si sapeva prima: L’asma bronchiale è una patologia multifattoriale di cui sono noti diversi fattori di rischio congeniti e post-natali, tra cui indiscutibilmente i fattori genetici, il sesso, l’esposizione a fumo e a umidità/muffe. La conoscenza dei “fattori di rischio ambientali” qui utilizzata, nella accezione ampia dell’OMS, è importante per aumentare la consapevolezza della possibilità concreta di misure efficaci per ridurre il rischio delle malattie respiratorie. Cosa sappiamo adesso: L’ampia letteratura sui fattori di rischio per asma bronchiale nell’infanzia ha permesso di evidenziare la presenza di numerosi fattori di rischio confermati come tali in diverse parti del mondo tra cui l’Italia. Alcuni fattori di rischio, quelli ambientali, sono fattori prevenibili e, data la loro diffusione, concorrono a livello di popolazione ad una importante frazione prevenibile della malattia. Gli studi di coorte prospettici in atto contribuiranno a chiarire il ruolo causale di questi fattori nel determinismo della malattia. Relativamente ai rapporti tra infezioni respiratorie virali e vitamina D, il riscontro di una associazione tra alcuni fattori di rischio e “outcome” (asma) non è sufficiente a provare il ruolo di questi fattori nel determinismo della malattia e non vanno esclusi dall’analisi importanti “bias”. Bibliografia Asher MI, Stewart AW, Mallol J et al. Which population level environmental factors are associates with asthma, rhinoconjunctivitis and eczema? Review of the ecological analyses of ISAAC Phase One. Respir Res 2010;11:8. Brehm JM, Celedon JC, Soto-Quiros ME et al. Serum vitamin D levels and markers of severity of childhood asthma in Costa Rica. Am J Respir Crit Care Med 2009;179:765-71. ** Primo studio a mostrare una correlazione fra i livelli di vitamina D e il rischio di riacutizzazioni asmatiche in una coorte di asmatici: anche in una zona del mondo vicina all’equatore può esservi carenza di vitamina D. Brehm JM, Schuemann B, Fuhlbrigge AL et al. Serum vitamin D levels and severe asthma exacerbations in the Childhood Asthma Management Program study. J Allergy Clin Immunol 2010;126:52-8. Busse WW, Lemanske RF Jr, Gern JE. The role of viral respiratory infections in asthma and asthma exacerbations. Lancet 2010; 376: 826-34. ** Descrive il ruolo dei virus respiratori nello sviluppo dell’asma e nelle sue riacutizzazioni, analizzando i risultati degli studi più recenti e significativi. Camargo CAJ, Ingham T, Wickens K et al. Cord-blood 25-hydroxyvitamin D levels and risk of respiratory infection, wheezing, and asthma. Pediatrics 2011;127:180-7. Camargo CAJ, Rifas-Shiman SL, Litonjua AA et al. Maternal intake of vitamin D during pregnancy and risk of recurrent wheeze in children at age 3 years. Am J Clin Nutr 2007;85:788-95. ** Fra i primi studi a mostrare che l’assunzione in gravidanza di vitamina D è associata ad un minor rischio di wheezing nei bambini. Chinellato I, Piazza M, Sandri M et al. Vitamin D serum levels and markers of asthma control in italian children. J Pediatr 2011a;158:437-41. * Conferma in Italia l’associazione in pazienti asmatici tra livelli di vitamina D e markers di controllo dell’asma. Chinellato I, Piazza M, Sandri M et al. Serum vitamin D levels and exercise-induced bronchoconstriction in children with asthma. Eur Respir J 2011b;37:1366-70. Corbo GM, Forastiere F, De Sario M et al. and SIDRIA collaborative group. Wheeze and asthma in children: associations with body mass index, sports, television viewing, and diet. Epidemiology 2008;19:747-55. ** Dimostra l’associazione tra alcuni stili di vita caratteristici delle nazioni sviluppate, l’obesità e l’asma. Devereux G, Litonjua AA, Turner S et al. Maternal vitamin D intake during pregnancy and early childhood wheezing. Am J Clin Nutr. 2007;85:853-9. ** Fra i primi studi a mostrare che l’assunzione in gravidanza di vitamina D è associata ad un minor rischio di wheezing nei bambini. Duijts L, Jaddoe VWV, van der Valk RJP et al. Fetal exposure to maternal and paternal smoking and the risks of wheezing in preschool children. The generation R Study. Chest; Prepublished online September 29,2011;DOI 10.1378/chest.11-0112. Edlmayr J, Niespodziana K, Popow-Kraupp T, et al. Antibodies induced with recombinant VP1 from human rhinovirus exhibit cross-neutralisation. Eur Respir J. 2011;37:44-52. Erkkola M, Kaila M, Nwaru B et al. Maternal vitamin D intake during pregnancy is inversely associated with asthma and allergic rhinitis in 5-year old children. Clin Exp Allergy. 2009;39:875-82. ** Studio di coorte che ha mostrato un effetto protettivo dell’assunzione materna di vitamina D sull’asma e sulla rinite allergica nei bambini a 5 anni. 96 Forastiere F, Galassi C, Biggeri A et al e Gruppo Collaborativo SIDRIA. La frazione dei disturbi respiratori dell’infanzia attribuibile a fattori di rischio modificabili e non modificabili. Epidem Prevenz 2005;2:67-9. ** Evidenzia il peso dei fattori di rischio per asma modificabili nel determinismo della malattia nella popolazione italiana. Galassi C, De Sario M, Biggeri A et al. Changes in prevalence of asthma and allergies among children and adolescents in Italy, 1994-2002. Pediatrics 2006;117:34-42. Gale CR, Robinson SM, Harvey NC et al. Maternal vitamin D status during pregnancy and child outcomes. Eur J Clin Nutr 2008;62:68-77. * Trova un’associazione diretta tra livelli di vitamina D in gravidanza e asma a 9 anni. Heinrich J. Influence of indoor factors in dwellings on the development of childhood asthma. Int J Hyg Environ Health 2011;214:1-25. * Riassume l’evidenza sui fattori di rischio indoor. Hollams EM, Hart PH, Holt BJ et al. Vitamin D and atopy and asthma phenotypes in children: a longitudinal cohort study. Eur Respir J 2011;38:1320-7. ** Primo studio di coorte che valuta il valore predittivo dei livelli sierici di vitamina D in età scolare e lo sviluppo di atopia, iperreattività bronchiale e asma. Jackson DJ, Gangnon RE, Evans MD. Wheezing rhinovirus illnesses in early life predict asthma development in high-risk children. Am J Respir Crit Care Med 2008;178:667-72. Jackson DJ, Lemanske RF Jr. The role of respiratory virus infections in childhood asthma inception. Immunol Allergy Clin North Am. 2010;30:513-22. ** Riporta le acquisizioni più recenti sul ruolo delle infezioni respiratorie virali, in particolare RSV e RV, nello sviluppo di asma. Le Souëf PN. Gene-environmental interaction in the development of atopic asthma: new developments. Curr Opin Allergy Clin Immunol. 2009;9:123-7. ** Riassume l’evidenza disponibile su interazione geni-ambiente nella patogenesi dell’asma. Lemanske RF Jr. The childhood origins of asthma (COAST) study. Pediatr Allergy Immunol 2002;13:1538-43. Lowe AJ, Carlin JB, Bennett CM et al. Paracetamol use in early life and asthma: prospective birth cohort study. BMJ 2010;341:4616-19. Martinez FD. The origins of asthma and chronic obstructive pulmonary disease in early life. Proc Am Thorac Soc 2009a;6:272-7. Martinez FD. The connection between early life wheezing and subsequent asthma: the viral march. Allergol Immunopathol 2009b;37:249-51. Midulla F, Pierangeli A, Cangiano G et al. Rhinovirus bronchiolitis and recurrent wheezing: one year follow-up. Eur Respir J. 2012;39:396-402. * Conferma anche per la realtà italiana l’associazione tra Rhinovirus e wheezing ricorrente. Migliore E, Berti G, Galassi C et al. Respiratory symptoms in children living near busy roads and their relationship to vehicular traffic: results of an Italian multicenter study (SIDRIA 2). Environ Health 2009;18: 8-27. * Dimostra l’associazione tra asma e inquinamento da traffico veicolare nella popolazione italiana. Migliore E, Pearce N, Bugiani M et al. Prevalence of respiratory symptoms in migrant children to Italy: the results of SIDRIA-2 study. Allergy 2007;62:293-300. Fattori di rischio per asma bronchiale ** Uno dei primi lavori pubblicati e il primo in Italia a suggerire come l’ambiente in cui i bambini sono cresciuti e in particolare i figli di migranti rispetto ai bambini italiani possa influenzare la prevalenza di asma e altri sintomi respiratori. Miyake Y, Sasaki S, Tanaka K et al. Dairy food, calcium and vitamin D intake in pregnancy, and wheeze and eczema in infants. Eur Respir J 2010;35:1228-34. Morales E, Romieu I, Guerra S et al. Maternal vitamin D status in pregnancy and risk of lower respiratory tract infections, wheezing, and asthma in offspring. Epidemiology 2012;23:64-71. Paul G, Brehm JM, Alcorn JF et al. Vitamin D and asthma. Am J Respir Crit Care Med 2012;185:124-32. Poorisrisak P, Brydensholt Halkjaer L, Thomsen SF et al. Causal direction between respiratory syncytial virus bronchiolitis and asthma studied in monozygotic twins. Chest 2010;138:338-44. ** Analizza il ruolo dei fattori genetici nello sviluppo di infezioni gravi da RSV e di asma. Prabhu N, Smith N, Campbell D et al. First trimester maternal tobacco smoking habits and fetal growth. Thorax 2010;65:235-40. * Riafferma l’importanza dell’esposizione a fumo materno in gravidanza come fattore di rischio per asma e indica come la cessazione precoce del fumo in gravidanza sia fondamentale per la riduzione del rischio. Rohde GG. Rhino virus vaccination: the case in favour. Eur Respir J. 2011;37:3-4. Rusconi F, Gagliardi L, Galassi C et al. Paracetamol and antibiotics in childhood and subsequent development of wheezing/asthma:association or causation? Int J Epidemiol 2011;40:662-7. Rusconi F, Galassi C, Corbo GM et al and SIDRIA Collaborative Group. Risk factors for early, persistent, and late-onset wheezing in young children. SIDRIA Collaborative Group. Am J Respir Crit Care Med. 1999;160:1617-22. ** Conferma anche in Italia i principali fattori di rischio per asma già evidenziati in altre popolazioni e trova associazioni diverse tra fattori di rischio precoci e i diversi fenotipi di asma. Rusconi F, Galassi C, Forastiere F et al. Maternal complications and procedures in pregnancy and at birth and wheezing phenotypes in children. Am J Respir Crit Care Med 2007;175:16-21. ** Trova un’associazione tra fattori di rischio in gravidanza e al parto e diversi fenotipi di wheezing. Searing DA, Zhang Y, Murphy JR, Hauk PJ et al. Decreased serum vitamin D levels in children with asthma are associated with increased corticosteroid use. J Allergy Clin Immunol 2010;125:995-1000. Sigurs N, Aljassim F, Kjellman Bengt, et al. Asthma and allergy patterns over 18 years after severe RSV bronchiolitis in the first year of life. Thorax 2010;65:1045-52. Sly PD. The early origins of asthma: who is really at risk? Curr Opin Allergy Clin Immunol. 2011; 11:24-8. ** Riassume l’evidenza disponibile tra la suscettibilità all’asma in soggetti con un certo assetto genetico, e in particolare la suscettibilità all’esposizione a fumo passivo. Riassume l’evidenza sui fattori di rischio precoci. Stein RT, Martinez FD. Respiratory syncytial virus and asthma: still no final answer. Thorax 2010;65:1033-4. Stensballe LG, Simonsen JB, Thomsen SF et al. The causal direction in the association between respiratory syncytial virus hospitalization and asthma. J Allergy Clin Immunol. 2009;123:131-7. Thomsen SF, van der Sluis S, Stensballe LG et al. Exploring the association between Severe Respiratory Syncytial Virus Infection and Asthma- a Registrybased Twin Study. Am J Respir Crit Care Med 2009;179:1091-7. * Analizza la relazione tra infezione da RSV e sviluppo successivo di asma, cercando di chiarire il ruolo dei fattori genetici. Valkonen H, Waris M, Ruohola A et al. Recurrent wheezing after respiratory syncytial virus or non-respiratory syncytial virus bronchiolitis in infancy: a 3-year follow-up. Allergy 2009;64:1359-65. * Confronta i dati di prevalenza di asma e alcuni fattori di rischio rilevati in diversi paesi del mondo con la stessa metodologia e discute l’importanza dei fattori ambientali. van Oeffelen AA, Bekkers MB, Smit HA et al. Serum micronutrient concentrations and childhood asthma: the PIAMA birth cohort study. Pediatr Allergy Immunol 2011;22:784-93. Corrispondenza Franca Rusconi, Unità di Epidemiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria A. Meyer, viale Pieraccini 24, 50139 Firenze. Tel + 39 055 5662556. E-mail: [email protected] 97 Aprile-Giugno 2012 • Vol. 42 • N. 166 • Pp. 98-105 Allergologia respiratoria L’asma difficile nel bambino e nell’adolescente Ines Carloni, Stefania Omenetti, Barbara Fabbri, Luigi Pietroni, Fernando Maria de Benedictis Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Ospedali Riuniti, Ancona Riassunto Asma problematico grave è il termine utilizzato per descrivere un asma che non beneficia della terapia con steroidi per via inalatoria ad alte dosi ed altri farmaci associati. La valutazione dei bambini affetti da questa forma di asma deve essere attuata metodologicamente tramite l’applicazione di un protocollo molto dettagliato. Il primo passo prevede l’esclusione dell’asma per diagnosi errata. Il successivo è indirizzato alla ricerca di eventuali co-morbilità. Sarà poi necessario effettuare una valutazione multidisciplinare al fine di conoscere l’aderenza alla terapia, la presenza di eventuali fattori di disagio psicosociale e la situazione ambientale di vita del bambino, con particolare riguardo all’esposizione ad allergeni e fumo di tabacco. Dopo aver corretto i precedenti fattori, molti pazienti migliorano e saranno considerati affetti da “asma difficile da trattare”. I casi rimanenti andranno invece inquadrati come “asma grave resistente alla terapia”. Per questi pazienti bisognerà individuare un piano terapeutico personalizzato con farmaci antiasmatici a dosi elevate o farmaci alternativi utilizzati per malattie diverse dall’asma. La maggior parte di questi trattamenti non è autorizzata in età pediatrica e l’evidenza scientifica è scarsa. Studi collaborativi internazionali che utilizzino protocolli di studio condivisi si rendono necessari per comprendere meglio i meccanismi dell’asma grave e individuare trattamenti basati su una solida evidenza scientifica. Summary Problematic severe asthma is the umbrella term used to describe children who have been referred to specialist care with asthma not responding to standard asthma therapy with high dose inhaled corticosteroids and additional controllers. The assessment of these children should be obtained through a systematic protocol. The initial step is to ensure that a wrong diagnosis has not been made (“not asthma at all”); and next to evaluate co-morbidities (“asthma plus”). The next step is a detailed multidisciplinary assessment, including if possible a home visit, in order to evaluate adherence to therapy, psychosocial issues, and the home environment, especially with regard to exposure to tobacco smoke and relevant allergens. More than half the children will be found to have “difficult to treat asthma”, which improves if the basic management is got right. The remainder are defined to have “severe therapy-resistant asthma”, and we recommend the development of an individualised treatment plan after a detailed and invasive protocol of investigations. Therapeutic options can be divided into medications used at lower doses for children with less severe asthma, and those used in other paediatric diseases but not for asthma. Most treatments are unlicensed and the evidence base is poor. International collaborations, using standard protocols of investigation, will be essential if the mechanisms of severe therapy resistant asthma are to be understood, and evidence-based treatment delivered. Introduzione Nella maggior parte dei casi l’asma in età pediatrica può essere facilmente controllato con basse dosi di corticosteroidi per via inalatoria. Un’esigua quota di pazienti non risponde al trattamento nonostante l’uso di farmaci multipli a dosaggi elevati. L’esatta prevalenza di questa popolazione è difficile da stimare, ma verosimilmente è inferiore al 5% di tutti i casi di asma (Lang et al., 2008). Per questi pazienti il peso globale della malattia è rilevante in termini di qualità di vita, problemi sociali, utilizzazione di risorse e mortalità (Bush et al., 2010). Obiettivo Obiettivo di questo articolo è illustrare l’approccio clinico da adottare nei confronti di bambini e adolescenti che giungono all’attenzione di un centro specialistico per un asma ritenuto “difficile” in quanto il trattamento prescritto non è efficace. Metodologia della ricerca bibliografica La ricerca è stata effettuata sulla banca bibliografica Medline utilizzando come motore di ricerca PubMed. Sono state utilizzate le seguenti parole chiave: “difficult asthma”, “severe asthma”, “refractory asthma” “uncontrolled asthma”. È stata valutata la letteratura nel periodo 2000-2011, inserendo i seguenti limiti: età della popo- 98 lazione (all child: 0-18 years), lingua (English). Quando i dati erano insufficienti, ci si è riferiti all’età adulta. Terminologia Negli ultimi 15 anni alcune Task Force internazionali e commissioni di esperti hanno proposto definizioni diverse per l’asma che non risponde al trattamento con i farmaci comunemente in uso (Tab. I) (Bel et al., 2011). Nel 2008 un gruppo internazionale di pediatri (PSACI, Problematic Severe Asthma in Childhood Initiative) ha coniato il termine “asma problematico grave” per descrivere bambini in età scolare e adolescenti con asma scarsamente controllato nonostante l’assunzione regolare di budesonide a dosi uguali o superiori a 800 mcg/die (o dose equivalente di corticosteroidi per via inalatoria), beta2-agonista a lunga durata di azione, antagonista del recettore per i leucotrieni o teofillina (Bush et al., 2008). Ritenere che tutti i pazienti che non rispondono a tale associazione farmacologica abbiano un asma resistente al trattamento è una tentazione facile, ma un ragionamento di per sé acritico. L’accettazione di questo principio costituisce il presupposto per indagare i motivi del mancato controllo della malattia e permette di enucleare le seguenti entità: • assenza di asma per diagnosi errata (altra diagnosi); • asma associato ad altre patologie (asma con co-morbilità); • asma il cui insufficiente controllo può essere migliorato ottimizzando la gestione della malattia (asma difficile da trattare); L’asma difficile nel bambino e nell’adolescente Tabella I. Storia della classificazione dell’asma grave 1999 - Task Force of the European Respiratory Society: Difficult Therapy-Resistant Asthma 2000 - Workshop of the American Thoracic Society: Refractory Asthma 2003 - European Network For Understanding Mechanisms of Severe Asthma: Severe Asthma 2004 - TENOR Study Group: Difficult-To-Treat Asthma 2007 - International workshop: Severe / Difficult / Refractory Asthma 2008 - Problematic Severe Asthma in Childhood Initiative: Problematic Severe Asthma • asma che rimane grave nonostante l’ottimizzazione della gestione della malattia (asma difficile resistente alla terapia). Per i paesi non industrializzati che non riescono a garantire un’assistenza medica di base l’OMS ha coniato l’ulteriore termine di asma difficile non trattato (Bousquet et al., 2010). In questo articolo i termini di asma problematico, asma difficile e asma grave sono utilizzati come sinonimi. È da sottolineare come molta terminologia in età pediatrica sia arbitraria, in quanto basata su una scarsa evidenza scientifica (Taylor et al., 2008). Pattern di presentazione La presentazione clinica dell’asma difficile in età pediatrica è variabile (Tab. II). I differenti pattern possono essere presenti contemporaneamente nello stesso paziente e pertanto non vanno considerati vicendevolmente esclusivi (Hedlin et al., 2010). Caratteristiche cliniche Non esiste una differente prevalenza della malattia tra i sessi (Fitzpatrick et al., 2006). La morbilità in termini di necessità farmacologiche e utilizzazione delle strutture sanitarie è rilevante (Bossley et al., 2009). L’atopia è quasi sempre presente (Wang et al., 2009) (Frith et al., 2011). La spirometria può essere normale o evidenziare una grave broncostruzione, e la risposta ai broncodilatatori è variabile (Chipps et al., 2007). Una risposta fortemente positiva ai test di provocazione bronchiale è pressoché costante (Lang et al., 2010). I valori di ossido nitrico esalato possono essere normali o elevati (Fitzpatrick et al., 2006; Bossley et al., 2009). La valutazione del paziente I pazienti con asma difficile devono essere valutati in modo siste- matico attraverso un approccio metodologico a gradini successivi (Fig. 1). Questo percorso non va inteso in maniera rigida, in quanto alcuni aspetti possono essere affrontati contemporaneamente allo scopo di facilitare i tempi. Step 1 – Accertarsi della diagnosi (è sicuramente asma?) Una rivalutazione della diagnosi dovrebbe essere effettuata in ogni paziente con asma che non risponde al trattamento. Lo spettro della diagnosi differenziale dell’asma è molto ampio. Nella Tabella III sono indicate le caratteristiche delle condizioni che possono simulare l’asma e che suggeriscono una diagnosi alternativa. Il wheezing è un sintomo presente in diverse malattie respiratorie, ma è così tipico dell’asma che la sua assenza ne rende improbabile la diagnosi (Elphick et al., 2000). Poiché il wheezing è frequentemente confuso dai genitori con altri sintomi respiratori, è necessario che la sua presenza sia sempre confermata dal medico. Non esistono elementi clinici o indagini sicuramente diagnostici per l’asma; tuttavia un’anamnesi circostanziata, un esame clinico ben condotto e i test di funzionalità respiratoria possono indirizzare con ragionevolezza verso la corretta diagnosi (Tab. IV). Step 2 – Indagare sulle co-morbilità (ci sono patologie associate?) In considerazione della elevata prevalenza dell’asma nella popolazione generale, l’associazione con altre malattie non è improbabile. Il passo successivo di fronte a un bambino con asma difficile è dunque quello di identificare eventuali condizioni che possono coesistere con l’asma e peggiorarne l’espressione clinica (de Groot et al., 2010). Obesità Asma, obesità e sintomi respiratori sono tra loro strettamente collegati. L’obesità induce di per sé dispnea e bisogna sempre porre attenzione a non attribuire necessariamente all’asma sintomi dovuti all’eccessivo peso del bambino. Questo aspetto è particolarmente importante in Tabella II. Modalità di presentazione dell’asma difficile Sintomi di broncostruzione persistenti (la maggior parte dei giorni per almeno 3 mesi) e gravi (necessità di beta2-agonisti a breve durata per almeno 3 volte la settimana) nonostante dosi elevate di corticosteroidi per via inalatoria e farmaci aggiuntivi Esacerbazioni asmatiche gravi e ricorrenti che nonostante il trattamento antinfiammatorio giornaliero hanno richiesto nell’ultimo anno: • almeno 1 ricovero in terapia intensiva • almeno 2 ricoveri in ospedale con necessità di terapia endovenosa • almeno 2 cicli di steroidi per os Ampie oscillazioni giornaliere del picco di flusso espiratorio per un periodo prolungato (asma instabile tipo 1); attacchi asmatici improvvisi e a rapida evoluzione con necessità di ricovero in terapia intensiva (asma instabile tipo 2)* Persistente ostruzione al flusso aereo dopo terapia con steroidi orali e broncodilatatori: valori di FEV1 inferiori a 2 DS (dal 70% al 80% del valore predetto in base all’età) Necessità di uso giornaliero o a giorni alterni di steroidi orali per mantenere il controllo dell’asma * Entrambe queste definizioni sono arbitrarie in età pediatrica e necessitano di validazione 99 I. Carloni et al. età pediatrica perché i genitori spesso interpretano autonomamente i sintomi del bambino (Schwartzstein et al., 2009). Prima di aumentare la terapia antiasmatica in un bambino obeso con sintomi respiratori Figura 1. Algoritmo per l’inquadramento dell’asma difficile. FeNO = ossido nitrico esalato 100 persistenti è pertanto opportuno accertarsi dell’effettivo peggioramento della malattia. Il reflusso gastro-esofageo e le apnee ostruttive nel sonno sono molto frequenti negli obesi e possono costituire elementi di L’asma difficile nel bambino e nell’adolescente Tabella III. Caratteristiche cliniche e indagini utili per una diagnosi alternativa all’asma Diagnosi Caratteristiche cliniche Indagini Anomalie strutturali (tracheobroncomalacia, anelli vascolari, stenosi tracheale, lesioni cistiche e masse, tumori, linfoadenopatie, cardiomegalia) Sintomi ad esordio precoce, stridore Fibrobroncoscopia, TC torace Aspirazione polmonare Tosse durante l’alimentazione Studio della deglutizione Reflusso gastro-esofageo Rigurgiti, vomito post-prandiale pH-impedenzometria Corpi estranei inalati Tosse e wheezing ad esordio improvviso Broncoscopia rigida Fibrosi cistica Tosse cronica, scarsa crescita, steatorrea Test del sudore, genetica Bronchiectasie (fibrosi cistica, discinesia ciliare primitiva) Tosse cronica, espettorazione, clubbing TC torace Anomalie immunitarie Infezioni ricorrenti Immunoglobuline, risposta anticorpale Respiro disfunzionale Iperventilazione, stridore, parestesie Osservazione diretta Displasia broncopolmonare Prematurità grave Rx torace, spirometria Bronchiolite obliterante Dispnea, infezioni respiratorie TC torace, biopsia polmonare confusione nell’interpretazione dei sintomi respiratori in quanto capaci di indurre o peggiorare l’asma (Shore, 2008). Bisognerebbe infine ricordare che l’obesità è una condizione pro-infiammatoria, capace di per sé di aumentare la resistenza agli steroidi (Sutherland et al., 2008). Vie aeree superiori I rapporti fisiopatologici tra vie aeree superiori e inferiori sono complessi e tuttora molto dibattuti (de Benedictis et al., 1999) (Fig. 2). Oltre l’80% dei pazienti con asma presenta rinite e circa il 15% di quelli con rinite allergica ha un asma associato. La presenza di rinite dovrebbe pertanto essere sempre ricercata in ogni asmatico (Hellings et al., 2009). C’è infatti evidenza che il mancato trattamento della rinite aumenta la morbilità dell’asma e la necessità di farmaci. In caso di interessamento delle vie aeree superiori andrebbero attuati tutti i tentativi terapeutici in grado di ridurre l’interferenza negativa dell’ostruzione nasale sulle vie aeree inferiori. Reflusso gastro-esofageo I rapporti fra sintomi respiratori e reflusso gastro-esofageo costituiscono uno degli aspetti più dibattuti della medicina respiratoria (de Benedictis et al., 2009) (Tab. V). A seconda dei criteri utilizzati, il 3580% dei bambini con problemi respiratori cronici presenta reflusso gastro-esofageo, ma l’evidenza di un nesso causale fra reflusso e asma è limitata. Di fronte a un paziente con asma difficile in cui si sospetta un reflusso gastro-esofageo come fattore peggiorativo della sintomatologia clinica è bene procedere con senso critico. Se il paziente ha un reflusso asintomatico, è poco verosimile che il trattamento anti-reflusso possa apportare benefici sui sintomi respiratori. In presenza di un reflusso sintomatico, può essere invece ragionevole effettuare un trial con un farmaco anti-acido, ma bisognerebbe ricordare che molti reflussi patologici sono non-acidi e pertanto poco sensibili alle terapie classiche (Thakkar et al., 2010). Respiro disfunzionale Molti asmatici presentano sintomi attribuibili a iperventilazione o a disfunzione delle corde vocali. Tali sintomi possono essere confusi con quelli dell’asma e ciò può indurre ad incrementare erroneamente il trattamento. Sono indicativi di respiro disfunzionale la dispnea inspiratoria, lo stridore, il senso di costrizione toracica, le parestesie, i crampi alla mano e l’assenza di sintomi durante il sonno. Il respiro disfunzionale può essere individuato abbastanza agevolmente con un’attenta anamnesi (Niggemann et al., 2002). Allergia alimentare La sensibilizzazione ad allergeni alimentari è molto comune nell’asma grave, ma non è ben chiaro se sia solo l’espressione di una sottostante atopia o se invece esista un nesso causale tra le due condizioni (Simpson et al., 2007). Tabella IV. Elementi utili per la diagnosi di asma Domande chiave • É presente wheezing, oppure i rumori ascoltatori sono meno specifici? • Sono presenti elementi anamnestici e clinici che suggeriscono una diagnosi alternativa? • Il paziente è atopico? Dati strumentali • • • • Documentata ostruzione al flusso aereo alla spirometria Reversibilità dell’ostruzione bronchiale dopo inalazione di beta2-agonista a breve durata Variabilità del picco di flusso espiratorio durante un periodo di monitoraggio domiciliare Positività dei test di provocazione bronchiale (es. metacolina, esercizio) 101 Rapporti fisiopatologici tra vie aeree superiori e inferiori I. Carloni et al. Irritanti Infezioni virali Allergeni Danno epiteliale delle vie aeree superiori Edema della mucosa Difetto ciliare Ostruzione nasale Mediatori Citochine INFIAMMAZIONE Secrezioni nasali Infezione dei seni paranasali Ridotta autoinalazione di FeNO Respirazione orale Riflesso faringo-bronchiale Iperreattività bronchiale Figura 2. Rapporti fisiopatologici tra vie aeree superiori e inferiori (Modificato da: de Benedictis et al., 1999). FeNO = ossido nitrico esalato Tabella V. Modificato da: degastro-esofageo Benedictis et eal., 1999respiratori Rapporti tra reflusso sintomi Tabella VI. Indagini per definire le caratteristiche e la gravità dell’asma • Il reflusso gastro-esofageo induce aspirazione polmonare e sintomi respiratori • Spirometria basale e 15 minuti dopo inalazione di beta2-agonista (salbutamolo 400 mcg) • Il reflusso gastro-esofageo peggiora l’iperreattività bronchiale attraverso la stimolazione vagale dell’esofago • Valutazione della reattività bronchiale (test di provocazione bronchiale) • I sintomi respiratori possono causare o peggiorare il reflusso • Valutazione dello stato allergico (test cutanei e IgE specifiche)* • L’asma e il reflusso-gastroesofageo coesistono indipendentemente • Valutazione della qualità di vita (specifici questionari) • Alcuni farmaci antiasmatici possono facilitare il reflusso * Entrambe le determinazioni devono essere effettuate per la scarsa correlazione dei due test nei pazienti con asma difficile Step 3 – Inquadramento dell’asma e identificazione di fattori aggravanti Questo gradino prevede una dettagliata valutazione multidisciplinare con il duplice scopo di definire le caratteristiche e la gravità dell’asma e di identificare l’eventuale presenza di fattori capaci di interferire negativamente sul controllo della malattia. Il primo obiettivo è affrontato con l’esecuzione di specifiche indagini (Lødrup Carlsen et al., 102 21 2011) (Tab. VI). La valutazione della seconda componente prevede invece il coinvolgimento di personale infermieristico addestrato o, in sua assenza, del medico curante. Utili informazioni potranno essere ottenute inizialmente da un colloquio con i familiari durante la visita in ospedale. In seguito è invece necessario prevedere la valutazione dell’ambiente di vita del paziente, compresa l’osservazione diretta dell’abitazione. Nel complesso, saranno esaminati i seguenti aspetti. L’asma difficile nel bambino e nell’adolescente Aspetti educativi A tutti i bambini che afferiscono ad un centro specialistico va consegnato apposito materiale divulgativo sull’asma, dopo una formale esplicitazione del contenuto. Il corretto uso degli erogatori e del distanziatore va insegnato con calma e verificato ad ogni visita di controllo. La scelta dell’inalatore più idoneo va effettuata sulla base dell’età, della capacità collaborativa del bambino e delle risorse economiche della famiglia. Purtroppo, nonostante ripetute raccomandazioni in proposito, molti pazienti effettuano la terapia inalatoria in maniera inappropriata o con strumenti non adeguati (Kamps et al., 2000). Aderenza al trattamento La mancata aderenza al trattamento continua ad essere una causa molto comune di insufficiente controllo dei sintomi (Bracken et al., 2009). In alcuni casi i farmaci vengono assunti in maniera irregolare o erratica, in altri non vengono addirittura mai acquistati (“non aderenza primaria”) (Williams et al., 2007). Durante la visita domiciliare dovrà essere controllata l’effettiva disponibilità dei farmaci, la loro accessibilità e la data di scadenza. Dovrà inoltre essere verificata la data della prescrizione e calcolata l’effettiva quantità del farmaco utilizzato (Jentzsch et al., 2009). Andrà inoltre verificato se gli erogatori/distanziatori sono idonei per l’età e chi sovrintende la loro utilizzazione. Molto spesso, purtroppo, anche i bambini in età scolare vengono lasciati liberi di effettuare la terapia inalatoria senza un’adeguata supervisione (Orrell-Valente et al., 2008). La casa e l’ambiente di vita Diversi fattori aspecifici sono in grado di interferire negativamente sul controllo dell’asma. Tra quelli outdoor spiccano i vapori industriali e l’inquinamento da traffico. I fattori indoor (kerosene, vapori di cucina, etc.) assumono particolare importanza in situazioni di basso livello socio-economico. L’esposizione al fumo di tabacco rappresenta un fattore molto pericoloso per gli asmatici ed è per altro in grado di indurre resistenza agli steroidi (Chaudhuri et al., 2003). Fattori apparentemente meno ovvi, quali la violenza familiare e situazioni socio-economiche svantaggiate, possono inoltre avere un ruolo non trascurabile sull’imperfetto controllo dei sintomi (Sternthal et al., 2010). Esposizione agli allergeni La sensibilizzazione agli allergeni è di comune riscontro nei pazienti con asma grave (Wang et al., 2009; Frith et al., 2011). L’elevata esposizione allergica aumenta la possibilità di riacutizzazioni gravi (Haselkorn et al., 2009), soprattutto se combinata con infezioni virali (Murray et al., 2006). Gli allergeni inoltre hanno la capacità di indurre resistenza agli steroidi tramite specifici meccanismi immunologi (Nimmagadda et al., 1997). Nonostante l’utilità della prevenzione ambientale nel soggetto atopico sia a tutt’oggi dibattuta, bisognerebbe effettuare ogni sforzo affinché un bambino con asma difficile eviti il contatto con gli allergeni, sia a casa che a scuola (Platts-Mills et al., 2008). Una menzione particolare merita la sensibilizzazione ai micofiti che è correlata ad una aumentata morbilità dell’asma (Denning et al., 2006). Fattori psicosociali I fattori psicosociali sono molto frequenti in soggetti deceduti per asma (Strunk et al., 1985) o che hanno presentato attacchi quasi mortali (Martin et al., 1995) e pertanto vanno sempre ricercati con attenzione. Lo stress può peggiorare in misura considerevole i sintomi asmatici, verosimilmente attraverso meccanismi neuroimmunologici (Wright et al., 2007) e l’induzione di resistenza agli steroidi (Miller et al., 2006). I problemi psicosociali possono talora manifestarsi sotto forma di sintomi respiratori disfunzionali, che talvolta coesistono con l’asma. Riunione del team multidisciplinare Dopo aver raccolto tutte le informazioni necessarie è fondamentale effettuare una riunione collegiale allo scopo di concordare i comportamenti da adottare. In oltre la metà dei casi si riesce di solito ad identificare fattori capaci di incidere negativamente sulla risposta terapeutica (Bracken et al., 2009). Questi casi vanno considerati come “asma difficile da trattare” in quanto l’asma migliora se i suddetti fattori sono rimossi. I pazienti in cui non sono stati identificati fattori aggravanti sono invece da considerare affetti da “asma grave resistente alla terapia” e accedono allo step successivo. Step 4 – Caratterizzazione dell’asma grave resistente alla terapia Prima di pianificare un trattamento individualizzato è necessario applicare un protocollo dettagliato. L’obiettivo è quello di rispondere alle seguenti domande: 1) C’è concordanza tra i sintomi e l’infiammazione delle vie aeree? 2) Qual è il pattern dell’infiammazione? 3) Qual è la risposta agli steroidi? 4) C’è una limitazione persistente al flusso aereo? In pratica, il bambino verrà osservato in due occasioni, prima e dopo la somministrazione di una singola dose di triamcinolone per via intramuscolare. Saranno valutati i seguenti parametri: controllo dei sintomi (Schatz et al., 2006), funzionalità polmonare (spirometria prima e dopo inalazione di salbutamolo) e infiammazione delle vie aeree (ossido nitrico esalato, sputo indotto) (Tab. VII). Sarà inoltre effettuata una broncoscopia con esame del liquido di lavaggio broncoalveolare e biopsia bronchiale. Al termine del protocollo i bambini costituiscono un gruppo eterogeneo con differenti pattern di infiammazione e differente risposta agli steroidi. Il protocollo proposto va considerato frutto di indicazioni di esperti e non è a tutt’oggi sostenuto da una sicura evidenza scientifica (Bush et al., 2010). Tabella VII. Criteri per la valutazione della risposta agli steroidi Ambito Esame Sintomi Asma Control Test: • punteggio fino a 20 su 25, oppure aumento di almeno 5 punti dal valore basale Funzionalità respiratoria Spirometria: • aumento del FEV1 fino al valore normale (≥ -2 DS del valore teorico) oppure aumento di almeno 15% dal valore basale; • nessuna risposta residua alla broncodilatazione Markers di infiammazione In presenza di campioni comparabili di sputo indotto Conta degli eosinofili: valore normale (< 2,5% cellularità) In assenza di campioni non comparabili di sputo indotto FeNO: valore normale (< 24 ppb) FeNO = ossido nitrico esalato; FEV1 = volume espiratorio forzato a 1 secondo Risposta assente = Nessun miglioramento in alcun parametro Risposta parziale = Miglioramento in uno o due parametri Risposta completa = Normalizzazione di tutti e tre i parametri 103 I. Carloni et al. Step finale – Trattamento dell’asma grave resistente alla terapia Il trattamento di questi pazienti è penalizzato dalla carenza di studi in età pediatrica ed è pertanto aneddotico. I pochi dati disponibili derivano infatti dalla estrapolazione di quelli provenienti da studi su adulti con asma grave o su bambini con asma lieve/moderato. Le opzioni terapeutiche a disposizione possono essere sommariamente distinte fra due categorie: farmaci usualmente somministrati a dosi minori nell’asma meno grave e farmaci utilizzati per patologie diverse dall’asma. Nella prima categoria sono contemplati i corticosteroidi per via inalatoria ad alto dosaggio (fino a 2,000 mcg/die di budesonide o equivalente), i corticosteroidi per via orale, l’omalizumab, i beta-2 agonisti a lunga durata di azione ad alte dosi, la teofillina a bassi dosaggi e il triamcinolone per via intramuscolare. I trattamenti alternativi prevedono la somministrazione di macrolidi, ciclosporina, farmaci citotossici come metotrexate e azatioprina, i sali d’oro, le immunoglobuline per via endovenosa, la terbutalina per via sottocutanea e, nei soggetti sensibilizzati ai funghi, farmaci antifungini. È da sottolineare come molti dei farmaci sopra elencati non siano approvati per il trattamento dell’asma in età pediatrica (Bush et al., 2011). Ci si augura che tecniche di avanguardia come la proteomica e la metabolomica (Carraro et al., 2010) e sistemi innovativi di approccio biologico (Auffray et al., 2010) possano migliorare in un prossimo futuro la caratterizzazione fenotipica di questi pazienti ed indirizzare a un trattamento più mirato. Conclusioni e prospettive future Negli ultimi 15 anni c’è stata una generica mancanza di consenso tra gli esperti sulla definizione di asma grave. Molte delle incertezze sono dovute al fatto che gli studi, soprattutto in età pediatrica, sono pochi e che hanno utilizzato criteri di inclusione/esclusione non uniformi ed una nomenclatura a volte fuorviante. I bambini con asma difficile dovrebbero essere valutati sulla base di un preciso algoritmo. Al termine di questo protocollo, oltre la metà dei pazienti risulta avere un asma passibile di miglioramento. I bambini che invece continuano a presentare sintomi nonostante sia stata ottimizzata la gestione della malattia costituiscono un gruppo eterogeneo con differenti pattern di infiammazione e differente risposta agli steroidi. Per essi devono essere riservati piani di trattamento individualizzati. Al momento mancano studi di qualità sull’argomento e per di più la maggior parte dei farmaci alternativi non è approvata per età pediatrica. La caratterizzazione dei diversi fenotipi di asma grave è un requisito urgente per poter individuare le strategie terapeutiche più adeguate. La collaborazione internazionale è a riguardo fondamentale. Esperienze in tal senso sono al momento in corso. Box di orientamento • I bambini e gli adolescenti asmatici che non rispondono al trattamento con farmaci multipli a dosi elevate sono una minoranza, ma il coinvolgimento individuale ed il peso socio-economico della malattia è rilevante. • I pazienti con asma difficile devono essere inviati a un centro di riferimento per essere studiati attraverso l’applicazione di uno specifico algoritmo. • Al termine del protocollo pochi pazienti saranno da considerare affetti da “asma grave resistente alla terapia”. Per essi saranno previsti trattamenti individualizzati. • Studi collaborativi internazionali si rendono necessari per caratterizzare meglio i fenotipi dell’asma difficile e per individuare strategie terapeutiche più efficaci. Bibliografia Auffray C, Adcock IM, Chung F, et al. An integrative system biology approach for understanding of pulmonary disease. Chest 2010;137:1410-16. Bel EH, Sousa A, Fleming L, et al. Diagnosis and definition of severe refractory asthma: an international consensus statement from the Innovative Medicine Initiative (IMI). Thorax 2011;66:910-7. ** Questo articolo presenta un consenso internazionale sulla definizione e la diagnosi di asma grave in base alle più recenti acquisizioni per l’adulto e il bambino. Bossley CJ, Saglani S, Kavanagh C, et al. Corticosteroid responsiveness and clinical characteristics in childhood difficult asthma. Eur Respir J 2009;34:1052-9. Bousquet J, Mantzouranis E, Cruz AA, et al. Uniform definition of asthma severity, control, and exacerbations: Document presented for the World Health Organization Consultation on Severe Asthma. J Allergy Clin Immunol 2010;126:926-38. Bracken M, Fleming L, Hall P, et al. The importance of nurse-led home visits in the assessment of children with problematic asthma. Arch Dis Child 2009;94:780-4. Bush A, Hedlin G, Carlsen KH, et al. Severe asthma in childhood: a common international approach. Lancet 2008;372:1019-21. ** È il primo articolo della letteratura in cui viene formalmente proposto il termi ne di “asma problematico grave”. Vengono esplicitate le suddivisioni in “asma difficile da trattare” e “asma grave resistente alla terapia” sulla base di uno specifico iter metodologico. Bush A, Saglani S. Management of severe asthma in children. Lancet 2010;376:814-25. 104 ** L’articolo è una review molto dettagliata sul percorso clinico, le indagini e il trattamento da adottare in pazienti con asma grave in età pediatrica. Bush A, Pedersen S, Hedlin G, et al. Pharmacological treatment of severe, therapy resistant asthma in children: what can we learn from where? Eur Respir J 2011;38:947-58. ** È la revisione più aggiornata esistente sui trattamenti alternativi ai classici farmaci antiasmatici. Viene sottolineato il concetto che la maggior parte di questi trattamenti non è autorizzata in età pediatrica e che non esistono forti basi di evidenza scientifica sul loro uso. Carraro S, Cogo PE, Isak I, et al. EIA and GC/MS analysis of 8-isoprostane in EBC of children with problematic asthma. Eur Respir J 2010;35:1364-9. * Gli autori hanno valutato lo stress ossidativo in bambini con asma problematico grave e con asma ben controllato. L’8-isoprostano è significativamente aumentato nell’esalato di bambini con asma problematico, suggerendo uno specifico ruolo per lo stress ossidativo in questo fenotipo di asma. Chaudhuri R, Livingston E, McMahon AD, et al. Cigarette smoking impairs the therapeutic response to oral corticosteroids in chronic asthma. Am J Respir Crit Care Med 2003;168:1308-11. Chipps BE, Szefler SJ, Simons ER, et al. Demographic and clinical characteristics of children and adolescents with severe or difficult-to-treat asthma. 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Email: [email protected] 105 Aprile-Giugno 2012 2011 • Vol. 42 41 • N. 166 162 • pp. Pp. 106-114 xx-xx nefrologia frontiere Controllo genetico, cellulare e molecolare della predisposizione a singoli agenti microbici Luigi D. Notarangelo* * Division of Immunology and The Manton Center for Orphan Disease Research, Children’s Hospital Boston, Harvard Medical School, Boston, MA, USA Sommario La recente scoperta che la suscettibilità ad infezioni dovute a singoli agenti microbici può avere una base genetica mendeliana ha rivoluzionato le nostre conoscenze sui meccanismi cellulari e molecolari di difesa nei confronti di batteri, virus e funghi, dando supporto alla teoria genetica delle malattie infettive, in base alla quale il verificarsi di infezioni gravi nel primo periodo di vita riflette difetti costituzionali geneticamente determinati. In questo articolo, vengono trattate le malattie infettive monogeniche fin qui descritte: suscettibilità mendeliana a malattie da micobatteri, malattie invasive da piogeni, encefalite erpetica, candidiasi mucocutanea cronica ed epidermodisplasia verruciforme. È verosimile che questo affascinante capitolo si arricchisca presto di nuove acquisizioni. Summary The recent discovery that susceptibility to a narrow group of microrganisms may be due to mendelian inherited defects has revolutionized our understanding of the molecular and cellular mechanisms of defense against bacteria, viruses and fungi. Furthermore, it has given support to the genetic theory of infectious diseases, that postulates that occurrence of severe infections early in life reflects genetically determined defects. In this article, we review the various monogenic infectious diseases described so far: mendelian susceptibility to mycobacterial diseases, invasive pyogenic infections, herpes simplex encephalitis, chronic mucocutaneous candidiasis, and epidermodysplasia verruciformis. It is likely that several new discoveries will soon enrich this fascinating group of diseases. Metodologia di ricerca bibliografica La ricerca degli articoli rilevanti è stata effettuata sulla banca bibliografica PubMed, utlizzando come parole chiave: “Mendelian susceptibility to mycobacterial diseases”, “invasive pyogenic infections”, “herpes simplex encephalitis”,”chronic mucocutaneous candidiasis”, “epidermodysplasia verruciformis”, “Toll-like receptors”, “innate immunity” e “intrinsic immunity”. Introduzione Sono trascorsi 150 anni da quando Pasteur formulò la teoria microbica delle malattie e 100 anni da quando Charles Nicolle identificò soggetti in cui l’infezione decorreva in modo asintomatico, ponendo così la questione della variabilità interindividuale delle manifestazioni cliniche associate ad infezione (Alcaïs et al., 2010). Inizialmente, l’attenzione dei ricercatori si focalizzò sul ruolo di fattori ambientali di origine microbica (virulenza) e non microbica (condizioni macro- e micro-ambientali che potevano favorire l’evoluzione dell’infezione), nonché su fattori costituzionali dell’ospite, soprattutto riferiti a stato nutrizionale e danni d’organo coesistenti. Con la scoperta dell’agammaglobulinemia congenita da parte di Bruton (Bruton, 1952), e quindi con la nascita del capitolo delle immunodeficienze primitive, viene affermato il ruolo di fattori genetici nel determinare aumentata suscettibilità ad agenti infettivi. In realtà, che un aumentato rischio di infezioni potesse associarsi a malattie geneticamente determinate era già noto (valga per tutti l’esempio della fibrosi cistica), ma le immunodeficienze primitive hanno rappresentato il gruppo di malattie che proprio nella maggiore suscettibilità alle infezioni trovano la manifestazione fenotipica più eclatante. 106 Nel corso degli anni, oltre 200 diverse forme di immunodeficienza primitiva sono state descritte, e molte di esse sono state caratterizzate nelle loro basi cellulari e molecolari (Al-Herz et al., 2011). Una caratteristica comune di queste malattie è rappresentata dalla suscettibilità a diversi agenti microbici, appartenenti allo stesso gruppo (es: infezioni batteriche in pazienti con deficit anticorpali) o a gruppi diversi (es: infezioni batteriche, fungine e virali in pazienti con immunodeficienza combinata grave). Negli ultimi 15 anni, è stato descritto un gruppo crescente di malattie genetiche il cui fenotipo clinico è costituito dalla suscettibilità ad un gruppo ristretto di patogeni. Lo studio di queste condizioni, la cui definizione molecolare si deve soprattutto al gruppo di Casanova, ha permesso di identificare i meccanismi cellulari e molecolari che nell’uomo regolano la risposta a singoli agenti infettivi. È stato così scoperto che alcuni meccanismi di difesa nell’ambito dell’immunità innata, che studi nel topo avevano fatto ritenere cruciali per la difesa contro diversi patogeni, svolgono nell’uomo un ruolo critico di protezione solo verso un numero assai ristretto di microrganismi. Inoltre, lo studio delle basi mendeliane delle malattie infettive ha permesso di definire l’esistenza della “immunità intrinseca”, cioè del complesso dei meccanismi di difesa antimicrobica che non dipendono da cellule del sistema ematopoietico, cui invece competono i meccanismi protettivi di immunità innata ed adattiva. Difetti dell’asse IL-12/IFN-g e suscettibilità mendeliana a malattie da micobatteri La suscettibilità mendeliana a malattie da micobatteri (MSMD, Mendelian susceptibility to mycobacterial diseases) comprende un Controllo genetico, cellulare e molecolare della predisposizione a singoli agenti microbici Figura 1. Basi cellulari e molecolari della suscettibilità mendeliana a malattie da micobatteri (MSMD). L’infezione da parte di micobatteri determina la produzione di interleuchina-12 (IL-12), che si lega al proprio recettore (IL-12R) espresso sulla superficie di linfociti T. Questo segnale favorisce la produzione di interferone-g (IFN-g) che viene secreto e si lega al recettore (IFN-gR) espresso da macrofagi e cellule dendritiche. Ciò determina la fosforilazione di STAT1, che dimerizza e trasloca nel nucleo, causando l’induzione di genibersaglio coinvolti nella difesa contro i micobatteri. Tra i meccanismi di difesa contro i micobatteri, un ruolo importante è svolto nei macrofagi dal complesso NADPH-ossidasi, di cui fa parte la molecola gp91phox. La produzione di IL-12 è sotto il controllo del fattore trascrizionale IRF8 e di NF-κB; quest’ultimo viene attivato dall’interazione tra macrofagi e cellule dendritiche da un lato (che esprimono CD40) e linfociti T CD4+ attivati (che esprimono CD40 ligando, CD40L) dall’altro. Le molecole per le quali sono state riportate mutazioni associate a MSMD sono indicate in rosso in figura. gruppo eterogeneo di condizioni caratterizzate da una aumentata suscettibilità a specie poco virulente di micobatteri, come il bacillo di Calmette-Guérin (BCG) e micobatteri ambientali non tubercolari, ma non ad altri germi, con eccezione di Salmonella, Nocardia e pochi altri microrganismi a tropismo intramacrofagico. Lo studio di pazienti con MSMD ha permesso di definire che la risposta a micobatteri nell’uomo è sotto il controllo di singoli geni lungo l’asse interleuchina-12 (IL-12)/interferone-g (IFN-g) (Fig. 1). La prima dimostrazione delle basi genetiche della MSMD venne con la descrizione di pazienti i cui linfociti non esprimevano in membrana la catena b1 del recettore per interferone-g (IFN-gR1) (Jouanguy et al., 1996). Studi nel topo avevano dimostrato come l’IFN-g rappresentasse una citochina essenziale nella difesa contro patogeni a tropismo intramacrofagico, ma anche contro numerosi virus. In questo senso, la dimostrazione che difetti completi di IFN-gR1 nell’uomo si associno a MSMD, ma non ad aumentata suscettibilità ad infezioni virali, è risultata sorprendente, evidenziando importanti differenze nei meccanismi di controllo antimicrobico nel topo e nell’uomo. Il difetto di IFN-gR1rappresenta la seconda forma più comune di MSMD, con più di 80 pazienti descritti. Nei soggetti con difetto recessivo completo, la proteina IFN-gR1 non viene espressa in membrana o, se presente, è priva di funzione (Jouanguy et al., 2000). Il quadro clinico è grave, con esordio precoce (entro i 2-3 anni di vita) e mortalità elevata. Nei Paesi in cui è in uso la vaccinazione antitubercolare con BCG alla nascita, la malattia si manifesta con disseminazione loco-regionale (BCGite) e sistemica (BCGosi) del BCG (Fig. 2). L’unica terapia è rappresentata dal trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE), il cui attecchimento è peraltro spesso ostacolato dagli alti livelli di IFN-g circolante. La forma recessiva parziale del difetto di IFN-gR1 è legata a mutazioni bialleliche del gene che non compromettono del tutto la funzione biologica del recettore (Jouanguy et al., 1997). Il fenotipo clinico è meno grave; la maggior parte dei pochi pazienti descritti riesce a controllare la malattia con l’impiego di farmaci antimicobatterici. La forma più comune di deficit di IFN-gR1 (con oltre 60 pazienti descritti) è trasmessa con modalità autosomico-dominante (AD) parziale; l’allele mutato determina l’espressione di una proteina troncata in sede prossimale intracellulare, in grado di legare IFN-g, ma non di mediare la trasduzione del segnale (Jouanguy et al., 1999). Tuttavia, l’espressione dell’allele normale consente l’espressione residua di eterodimeri IFN-gR1/IFN-gR2 funzionalmente intatti, giustificando l’esordio tardivo (età media: 13.4 anni) e un quadro clinico non grave. Anche il difetto di IFN-gR2 (a trasmissione AR) può essere completo o parziale (Dorman et al., 1998) e può essere causato da una mutazione missenso (T168N) che introduce un nuovo sito di N-glicosilazione; tale modificazione post-traduzionale abroga la risposta biologica all’IFN-g (Vogt et al., 2005). Il legame tra IFN-g e il proprio recettore innesca meccanismi di trasduzione del segnale con conseguente fosforilazione del fattore 107 L.D. Notarangelo Figura 2. Espressione fenotipica della disseminazione del BCG. trascrizionale STAT1, che forma un omodimero (noto anche come g-activated factor, GAF) che regola l’espressione di geni-bersaglio coinvolti nell’attività microbicida. STAT1 è anche coinvolto nella risposta biologica antivirale indotta da IFN-a, IFN-b e IFN-λ; in questo caso, tuttavia, esso si lega a STAT2 e a IRF-9 (IFN regulatory factor-9) formando il fattore trascrizionale ISGF-3 (IFN-stimulated gene factor-3). Mutazioni eterozigoti missenso di STAT1 che riducono fortemente l’attività del fattore trascrizionale GAF, senza alterare tuttavia l’attività antivirale del complesso ISGF-3, sono state associate a MSMD (Dupuis et al., 2001). La malattia ha bassa penetranza e il fenotipo clinico è simile a quello dei pazienti con difetto parziale di IFN-gR1. Nelle forme finora descritte, la MSMD dipende da difetti di risposta biologica all’IFN-g. Altre forme di MSMD dipendono invece da alterazioni in geni implicati nella produzione di IFN-g. L’infezione da parte di micobatteri ambientali o da BCG causa la produzione di IL-12 da parte dei macrofagi e delle cellule dendritiche. La IL-12 è costituita da un eterodimero (p35 e p40); la proteina p40 può anche associarsi alla proteina p19, costituendo l’IL-23. L’IL-12 lega un proprio recettore specifico (costituito dall’eterodimero IL-12Rb1 e IL-12Rb2) espresso dai linfociti T e, a seguito di attivazione intracellulare, determina l’espressione del gene che codifica per l’IFN-g. Sono stati descritti vari pazienti con MSMD dovuta a difetti di IL-12, a trasmissione AR (Altare et al., 1998); in tutti i casi, le mutazioni erano di tipo nullo e riguardavano il gene IL12B, che codifica per la subunità p40. Mutazioni nulle a carico del gene IL12RB1 (che codifica per la proteina IL-12Rb1, condivisa da IL-12R e da IL-23R) costituiscono la causa più frequente di MSMD, a trasmissione AR, con oltre 140 pazienti descritti (de Beaucoudrey et al., 2010). Una caratteristica peculiare del difetto di IL12B o di IL12RB1 è rappresentato dal fatto che il 50% dei pazienti affetti presentano infezioni da Salmonella, che invece colpiscono solo il 4-5% dei pazienti con difetto di risposta all’IFN-g. È quindi possibile che IL-12/23 svolgano un ruolo protettivo nei confronti dell’infezione da Salmonella (e da altri microrganismi a tropismo intramacrofagico), indipendente da IFN-g. I difetti di IL12B o di IL12RB1 hanno bassa penetranza clinica; inoltre, la maggior parte dei pazienti sopravvive fino all’età adulta e il tasso di mortalità è del 17%. Il trattamento si basa sulla somministrazione di farmaci antimicrobici e di IFN-g. 108 A sua volta, l’espressione di IL-12 è sottoposta a numerosi meccanismi di controllo, tra cui il fattore trascrizionale IRF-8. Difetti completi di IRF-8, a trasmissione AR, causano nell’uomo una immunodeficienza grave, con infezioni da germi opportunisti e assenza di monociti. Al contrario, l’eterozigosi per una mutazione missenso (T80A) causa MSMD con meccanismo dominante-negativo. In questo caso, è ridotta la produzione di IL-12 da parte delle cellule dendritiche e viene compromesso lo sviluppo di cellule dendritiche CD1c+ CD11c+ (Hambleton et al., 2011). In rari casi, la MSMD viene trasmessa con modalità X-recessiva e può dipendere da due distinti difetti genetici. La prima di tali forme è legata a mutazioni della proteina NEMO (nota anche col nome di inhibitor of NF-kB kinase-g, IKK-g), che fa parte del complesso proteico IKK che regola l’attivazione di NF-kB in risposta a diversi segnali di membrana. Mutazioni nulle di NEMO sono letali nei soggetti di sesso maschile e causano incontinentia pigmenti nei soggetti di sesso femminile eterozigoti. Al contrario, mutazioni ipomorfiche dello stesso gene causano nel maschio displasia ectodermica e immunodeficienza (EDA-ID), con suscettibilità a diversi agenti infettivi. In alcune famiglie con MSMD a trasmissione X-recessiva, sono state identificate mutazioni missenso a carico del dominio leucine zipper di NEMO, che alterano in modo selettivo la risposta di macrofagi e cellule dendritiche alla stimolazione via CD40 da parte di linfociti CD4+ attivati. Altre vie di attivazione NFkB dipendenti rimangono integre, giustificando il fenotipo MSMD, in assenza di altri segni di EDA-ID (Filipe-Santos et al., 2006). Infine, alcuni pazienti con MSMD a trasmissione X-recessiva presentano mutazioni di CYBB (Bustamante et al., 2011). Tale gene codifica per la subunità gp91phox del complesso NADPH-ossidasi, che regola il burst respiratorio e induce meccanismi microbicidi nei fagociti. Mutazioni a carico di tale gene sono nell’uomo la causa più comune di malattia granulomatosa cronica (CGD), caratterizzata da aumentata suscettibilità nei confronti di numerosi batteri (S. aureus in particolare) e funghi (Aspergillus). Infezioni da BCG si verificano in una minoranza dei pazienti con CGD. Nei pazienti con MSMD a trasmissione X-recessiva, le mutazioni di CYBB non alterano il burst respiratorio e l’attività microbicida dei neutrofili e dei monociti, ma compromettono selettivamente l’attività microbicida dei macrofagi nei confronti dei micobatteri. Difetti di trasduzione di segnale via Toll-like receptors (TLR) e suscettibilità ad infezioni invasive da piogeni I TLR comprendono un gruppo di recettori dell’immunità innata coinvolti nel riconoscimento di sostanze di derivazione microbica. Nell’uomo sono stati identiicati 10 TLRs; la maggior parte di essi sono espressi sulla membrana cellulare, ma alcuni (TLR-3, -7, -8, -9) hanno una localizzazione intracellulare e mediano il riconoscimento di acidi nucleici “non-self”. I TLR contengono un dominio Toll and interleukin-1 receptor (TIR), che è anche presente nei recettori IL-1R, IL-18R e IL-33R. Il riconoscimento di sostanze microbiche da parte dei TLRs media il reclutamento di vari adattatori (tra cui MyD88 e UNC-93B, che contengono anch’essi domini TIR) e di kinasi intracellulari che mediano la trasduzione del segnale. In particolare, sono note due vie principali di attivazione dei TLRs: tutti i TLRs, ad eccezione di TLR-3, reclutano MyD88 ed attivano il complesso IRAK (IL-1R-associated kinase), determinando così l’attivazione di NF-kB e di MAP kinasi (MAPK) e la sintesi di citochine e chemokine proinfiammatorie (IL-1b, IL-6, IL-8, IL-12, TNF-a) (Fig. 3). Per converso, TLR-3 recluta TRIF (un altro adattatore contenente un dominio TIR), Controllo genetico, cellulare e molecolare della predisposizione a singoli agenti microbici Figura 3. Basi cellulari e molecolari dei difetti monogenici con infezioni invasive da piogeni. In figura sono illustrati i Toll-like receptors (TLR) che mediano la trasduzione del segnale attravreso l’adattatore MyD88 e il complesso kinasico IRAK. Alcuni di tali TLR sono espressi in membrana cellulare, altri sulla membrana endosomiale. Per ciascun TLR è indicato (in apposito riquadro) il relativo ligando. Il segnale via TLR, mediato da MyD88 e IRAK, porta all’attivazione delle via di MAP kinasi (MAPK)/AP-1 e di NF-kB, con conseguente produzione di citochine pro-infiammatorie (IL-1, IL-6, TNF-a). Le molecole MyD88 e IRAK4, le cui mutazioni nell’uomo causano suscettibilità ad infezioni invasive da piogeni, sono indicate in rosso. In figura, non è illustrato TLR3, la cui via di segnale non dipende da MyD88 e IRAK, ma da TRIF. Questa stessa via può anche essere attivata da TLR4. che attiva il complesso IKKe/TBK1 (IKB kinase e/TANK-binding kinase 1) e induce la produzione di IFN di tipo 1 (IFN-a, IFN-b) o di tipo 3 (IFN-1). Questa via TRIF-dipendente può essere innescata anche da TLR-4, che quindi è l’unico TLR in grado di attivare entrambe le vie. Esperimenti nel topo hanno dimostrato come mutazioni a carico di geni implicati nel riconoscimento e nell’attivazione dei TLR determinino suscettibilità ad un numero elevato di microrganismi. Al contrario, è stato dimostrato che mutazioni in geni ortologhi nell’uomo condizionano un aumentato rischio di infezioni solo nei confronti di un numero ristretto di patogeni. In particolare, mutazioni dei geni IRAK4 (che codifica per una serina-treonina kinasi del complesso IRAK) e di MYD88 si associano ad infezioni invasive da piogeni (Picard et al., 2003; von Bernuth et al., 2008). Il fatto che i pazienti con difetti di IRAK-4 e MyD88 siano normalmente resistenti ad altri agenti infettivi dimostra quindi che nell’uomo i meccanismi anti-infettivi dipendenti da IRAK-4 e da MyD88 sono largamente ridondanti, con eccezione della difesa contro batteri piogeni. Fino ad oggi, sono stati descritti 49 pazienti con difetto di IRAK-4 e 22 pazienti con difetto di MyD88 (Picard et al., 2011). Entrambe le malattie hanno trasmissione AR e determinano analoghe manifestazioni cliniche, con infezioni invasive (meningite, sepsi, artrite, osteomielite, ascessi) da Streptococcus pneumoniae, Staphylococ- cus aureus e Pseudomonas aeruginosa. In oltre il 90% dei casi, tali infezioni esordiscono entro i 2 anni di età. La mortalità è elevata (38%); tutti i decessi riportati si sono verificati entro 8 anni di vita (e la maggior parte entro 2 anni). Un elemento caratteristico è costituito dall’assenza di febbre (o dalla presenza di febbre di grado non elevato) pur in presenza di infezioni gravi; ciò riflette il difetto di produzione di citochine pro-infiammatorie. Con l’età, vi è una progressiva riduzione degli episodi invasivi, probabilmente legata allo sviluppo di meccanismi compensatori dell’immunità adattiva. Encefalite erpetica e difetti di segnale via TLR-3 Il virus herpes simplex di tipo 1 (HSV-1) è un virus a DNA a doppia elica, ampiamente diffuso e tipicamente innocuo, che infetta la mucosa orale e dell’occhio. Dopo essersi replicato nella sede iniziale di infezione, il virus viene trasportato attraverso neuroni sensoriali al trigemino e ai gangli neurali, dove stabilisce latenza. In alcuni casi, tuttavia, il virus invade i lobi temporale e parietale, causando encefalite erpetica (HSE, Herpes simplex encephalitis), la più comune forma di encefalite sporadica nei paesi occidentali. A lungo ritenuta una patologia esclusivamente acquisita, la HSE è stata di recente associata a difetti genetici che interessano proteine coinvolte nella 109 L.D. Notarangelo Figura 4. Basi cellulari e molecolari dell’encefailite erpetica. L’infezione da parte del virus herpes simplex di tipo 1 (HVS-1) causa l’attivazione di Toll-like receptor 3 (TLR3) che riconosce RNA a doppia elica enerato nel corso della replicazione virale. TLR3 media la trasduzione del segnale attraverso una serie di molecole adattatrici (UNC-93B, TRIF e TRAF3) e causa l’attivazione sia del complesso IKKe/TBK1 (con attivazione del fattore trascrizionale IRF3) che del complesso IKK (con attivazione di NF-kB). Questi segnali determinano la produzione di interferoni di tipo 1 (IFN-a, IFN-b) e di tipo 3 (IFN-l) che, a seguito dell’interazione con il proprio recettore, causano l’attivazione del fattore trascrizionale ISGF-3, che comprende STAT1, STAT2 e IRF9. Tale fattore trascrizionale induce l’attivazione di geni implicati nella difesa contro HSV-1. Le mutazioni di geni che nell’uomo causano encefalite erpetica sono riportate in rosso. via di segnale mediata da TLR-3 (Fig. 4). Il TLR-3 è espresso sulla membrana endosomiale e riconosce RNA a doppia elica, un prodotto intermedio obbligato generato durante la replicazione dell’HSV-1. Nel 2006, studiando alcune famiglie HSE con consanguineità parentale, il gruppo di Casanova identificò mutazioni omozigoti nel gene UNC-93B1, con conseguente assenza di espressione dell’adattatore UNC-93B, condiviso dalle vie di segnale di tutti i TLR endosomiali (TLR-3, -7, -8 e -9) (Casrouge et al., 2006). Queste alterazioni si associavano ad assenza di produzione di IFN-b e IFN-l dopo stimolazione in vitro dei fibroblasti dei pazienti con poly(I:C), un agonista di TLR-3. L’osservazione che nessuno dei pazienti con deficit di IRAK-4 e MyD88 (entrambi utilizzati dalle vie di segnale mediate da TLR-7, -8 e -9) avesse una storia di HSE suggeriva che la chiave patogenetica dell’HSE risiedesse nel difetto di risposta via TLR-3. Questa ipotesi è stata confermata negli anni successivi, con la dimostrazione di casi in cui la HSE era associata a mutazioni di TLR3 (Zhang et al., 2007; Guo et al., 2011) o dei geni che codificano per le molecole TRIF (Sancho-Shimizu et al., 2011), TRAF3 (Pérez de Diego et al.) e NEMO (Audry et al., 2011), coinvolte nell’induzione TLR-3-dipendente di IFN di tipo 1 e 3. Tali difetti sono trasmessi con modalità AR (UNC93-B, TLR-3, TRIF), AD (TLR-3, TRIF, TRAF-3) o X-recessiva (NEMO). Le forme appena descritte di HSE comportano tutte da un difetto di produzione di IFN di tipo 1 e 3: in altri casi, invece, la HSE è causata da difetti genetici che alterano la risposta a questi IFN. In particolare, mutazioni bialleliche di STAT1, di tipo loss-of-function, inibiscono la formazione del complesso eterotrimerico ISGF3, che agisce da 110 fattore trascrizionale lungo la via di segnale della risposta a IFN-a, -b e -l. In questi soggetti, la suscettibilità alle infezioni virali non si limita all’HSE, ma riguarda anche altri virus (in particolare, cytomegalovirus) e micobatteri (per questi ultimi, perchè viene meno la formazione di complessi trascrizionali GAF) (Dupuis et al., 2003). Nell’insieme, questi dati dimostrano che la HSE può avere una base genetica ed essere causata da difetti TLR-3-dipendenti di produzione di IFN di tipo 1 e 3, o da difetti di risposta a tali IFN. Ma in quali cellule l’integrità di queste risposte è assolutamente necessaria per proteggere nei confronti dell’HSE? Nei pazienti con HSE, non si osserva disseminazione sistemica del virus né vi è ricorrenza di altre infezioni virali gravi. Inoltre, se stimolati in vitro con poly(I:C) o con lo stesso virus HSV-1, i leucociti di pazienti con difetto di TLR-3 producono normalmente IFN antivirali, indicando ridondanza nei meccanismi di difesa contro HSV-1 nel sistema ematopoietico (Guo et al., 2011). È stato quindi ipotizzato che l’immunità anti-virale TLR-3-mediata sia essenziale in stipiti cellulari presenti nel sistema nervoso centrale. Per dimostrare questa ipotesi, in un lavoro collaborativo con i gruppi di Casanova (Rockefeller University) e Studer (Memorial Sloan Kettering) abbiamo generato cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) da fibroblasti di pazienti con difetti di UNC-93B e di TLR-3, nonché da soggetti di controllo. Le iPSC sono quindi state differenziate in neuroni, oligodendrociti e astrociti. Abbiamo così dimostrato che i neuroni e gli oligodendrociti con mutazioni di UNC-93B o di TLR-3 presentano un grave difetto di produzione di IFN antivirali e mostrano aumentata permessività alla replicazione di HSV-1 (Lafaille et al., sottomesso per la pubblicazione). Queste osservazioni indicano Controllo genetico, cellulare e molecolare della predisposizione a singoli agenti microbici l’esistenza di meccanismi di immunità cellulare intrinseca (propria di elementi non ematopoietici), che si affianca così ai meccanismi già noti dell’immunità innata ed adattiva. Candidiasi mucocutanea cronica e difetti di risposte mediate da IL-17 L’infezione da candida è comune nell’uomo, ma in alcuni individui essa può determinare quadri importanti di malattia. La candidiasi muco-cutanea cronica (CMC) costituisce una condizione caratterizzata da infezione persistente di cute e mucose. Le basi molecolari della CMC sono rimaste a lungo oscure, ma un numero crescente di difetti genici è stato identificato negli ultimi 5 anni (Fig. 5). In questo senso, fondamentale è stata la scoperta che mutazioni eterozigoti dominanti-negative del gene STAT3 causano la sindrome da iperIgE (HIES, hyper-IgE syndrome), che comprende CMC tra le proprie manifestazioni (Minegishi et al., 2007; Holland et al., 2007). Nei pazienti HIES il difetto di STAT3 si associa a ridotta generazione di linfociti T in grado di produrre IL-17-A, IL-17F (e altre citochine quali IL-22 e IL-26) e pertanto denominati TH17 (Milner et al., 2008). Nel topo, queste citochine sono importanti per la difesa muco-cutanea nei confronti della candida, ma anche di diversi batteri. Nell’uomo, le citochine del gruppo IL-17 stimolano cellule epiteliali a secernere chemochine (in grado di reclutare neutrofili) e fattori antimicrobici (b-defensine) (Minegishi et al., 2009). Anticorpi neutralizzanti antiIL-17 sono stati dimostrati in pazienti con sindrome APECED (Autoimmune PolyEndocrinopathy-Candidiasis-Ectoderma Dystrophy) (Puel et al., 2010; Kisand et al., 2010), una malattia autosomicorecessiva legata a mutazioni del fattore trascrizionale AIRE, coinvolto nei meccanismi di tolleranza immunitaria. La dimostrazione definitiva del ruolo fondamentale svolto da IL-17 nella difesa contro la candida è venuta con la scoperta dell’esistenza di una forma di CMC a trasmissione autosomico-recessiva legata a mutazioni bialleliche di IL17RA che compromettono la risposta biologica a omo- ed eterodimeri di IL-17A e IL-17F (Puel et al., 2011). Gli stessi autori hanno inoltre riportato una forma autosomico-dominante di CMC legata a mutazioni di IL17F che riducono, ma non abrogano, l’attività biologica di omodimeri di IL17F e di eterodimeri IL-17A/IL-17F (Puel et al., 2011). Se i difetti di STAT3 e di IL-17 (e del suo recettore) compromettono la risposta linfocitaria T nei confronti della candida, altri difetti genici alterano invece la capacità di fagociti e cellule epiteliali di riconoscere la candida e di rispondere ad essa attraverso la produzione di citochine pro-infiammatorie che stimolano i linfociti T a secernere IL-17 (Fig. 5). Fagociti e cellule epiteliali esprimono sulla propria membrana la molecola Dectin-1, che riconosce il b-glucano presente sulla parete cellulare della candida. Nel 2009, sono stati descrit- Figura 5. Basi cellulari e molecolari della candidiasi mucocutanea cronica (CMC). Il b-glucano presente sulla superficie della candida viene riconosciuto dalla molecola Dectin-1, espressa sulla membrana di cellule epiteliali e fagociti. Questo riconoscimento induce la formazione di un complesso molecolare intracellulare che comprende la tirosina kinasi SYK, CARD-9 e AIRE. A seguito del legame di BCL-10 e MALT, questo complesso attiva le vie di MAP kinasi (MAPK)/AP-1 e di NF-kB, causando la produzione di citochine, tra cui IL-6 e IL-23. Queste ultime legano i propri recettori espressi sulla membrana cellulare dei linfociti T e attivano il fattore trascrizionale STAT3, che induce l’epressione di ROR-gt, il fattore che regola la produzione di citochine del gruppo IL-17 (IL-17A, IL-17F, IL-22), che attivano meccanismi di protezione contro la candida. Le molecole mutate in pazienti con CMC sono riportate in rosso. La CMC può anche essere legata ad anticorpi neutralizzanti anti-IL-17. Non riportate in figura sono le mutazioni gain-of-function di STAT1, che determinano CMC con meccanismi ancora non del tutto chiariti. 111 L.D. Notarangelo ti tre pazienti con onicomicosi da Trichophyton e vulvovaginite da Candida, che presentavano omozigosi per una mutazione nonsenso di DECTIN1 che abrogava l’espressione della proteina (Ferwerda et al., 2009). Tuttavia, questo allele mutante rappresenta un polimorfismo comune, essendo presente nel 7% della popolazione europea; pertanto, è probabile che Dectin-1 svolga un ruolo ridondante nella protezione antifungina nell’uomo. Il riconoscimento della candida da parte di cellule epiteliali e fagociti attraverso Dectin-1 induce l’attivazione della tirosina kinasi SYK e il reclutamento di CARD9, un adattatore proteico coinvolto nell’induzione di fattori trascrizionali (AP-1, NF-kB) in grado di favorire l’espressione di citochine proinfiammatorie. Mutazioni bialleliche di CARD9 sono state descritte in una estesa famiglia iraniana con CMC e dermatofitosi (Glocker et al., 2009). La malattia aveva un fenotipo clinico assai più severo di quello riportato nei pazienti con difetto di DECTIN1, suggerendo che CARD9 sia coinvolto anche nella risposta ad altri recettori di superficie in grado di riconoscere componenti di superficie della Candida. Inoltre, è stato recentemente dimostrato che la stimolazione di monociti mediante b-glucano induce la formazione di un complesso che comprende, oltre Dectin-1, SYK e CARD9, anche AIRE. La stimolazione con Candida di monociti di pazienti affetti da APECED (malattia dovuta a mutazioni di AIRE) determina una ridotta produzione di TNF-a, con conseguente difetto di produzione di IL-17 da parte dei linfociti T (Pedroza et al., 2012). Infine, due studi recenti hanno dimostrato che la suscettibilità a CMC può essere legata anche a mutazioni eterozigoti di STAT1 (Liu et al., 2011; van de Veerdonk et al., 2011). Abbiamo visto in precedenza cone mutazioni loss-of-function o dominanti-negative dello stesso gene si associno a quadri di infezione da virus e patogeni intracellulari, o da micobatteri, rispettivamente. Le mutazioni STAT1 associate a CMC sono invece di tipo gain-of-function. Il meccanismo attraverso cui esse causano CMC è ancora poco chiaro: l’aumento di risposta a IFN di tipo 1 potrebbe determinare autoimmunità, con produzione di anticorpi anti-IL-17 (Crow et al., 2011). Alternativamente, l’aumento di attività biologica di STAT1 potrebbe causare una minore induzione di risposte STAT3-dipendenti a IL-6, IL-21 e IL-23, noti induttori di IL-17. In accordo con tale ipotesi, il numero di linfociti TH17 è fortemente ridotto in questi pazienti (Liu et al., 2011). ferazione dei cheratinociti e delle cellule staminali dell’epidermide, verso cui l’HPV ha uno spiccato tropismo. L’infezione da HPV nell’uomo determina frequentemente patologie della cute (verruche) e della mucosa ano-genitale. Non tutti i ceppi di HPV causano malattia nella popolazione generale; in particolare, i genotipi di b-HPV sprovvisti di ORF5 e ORF8 stabiliscono infezione latente asintomatica. Al contrario, questi stessi ceppi di HPV sono responsabili delle manifestazioni cliniche nei pazienti affetti da EV (Orth, 2006). Nel 2002, mutazioni responsabili di EV vennero dimostrate in due geni, identificati mediante clonaggio posizionale: EVER1 e EVER2, localizzati a distanza di soli 4.7kb l’uno dall’altro, in posizione 17q25. Le proteine transmembrana EVER1 ed EVER2 sono ampiamente espresse in cellule del sistema ematopoietico e nei cheratinociti e fanno parte di una nuova famiglia di proteine, denominata transmembrane channel-like (TMC) per la presenza di un dominio transmembrana conservato in tutti i componenti della famiglia. Il gene EVER1 è anche noto come TMC6, mentre EVER2 corrisponde a TMC8. Tutte le mutazioni associate ad EV finora identificate eliminano il dominio TMC delle proteine EVER1 e EVER2. Attraverso la formazione di un complesso con lo zinc-transporter 1 (ZnT-1), le proteine EVER1 e EVER2 bloccano l’induzione del fattore trascrizionale AP-1 mediata da zinco e da alcune citochine (TGF-a, TGF-b) e inibiscono la proliferazione dei cheratinociti. Tale attività inibitoria viene superata a seguito dell’infezione da HPV. In particolare, la proteina codificata da ORF5 dell’HPV lega il complesso EVER-ZnT-1 bloccandone l’effetto inibitorio sulla proliferazione cellulare (Lazarczyk et al., 2008). Queste osservazioni spiegano perché ceppi di b-HPV privi di ORF5 e ORF8 non siano in grado di determinare malattia nei soggetti normali; al contrario, nei pazienti con mutazioni dei geni EVER1 o EVER2, non è necessaria la presenza di ORF5 e ORF8 per innescare la proliferazione dei cheratinociti indotta da HPV (Patel et al., 2010). In questo senso, EVER1 e EVER2 rappresentano quindi altri componenti della “immunità intrinseca”, cioè di quel complesso di processi di resistenza ad agenti infettivi che non dipendono da cellule del sistema ematopoietico. Prospettive Epidermodisplasia verruciforme: una immunodeficienza congenita con selettiva predisposizione ad infezione da β-papillomavirus Nel 1922, Lewandowsky e Lutz descrissero una patologia dell’epidermide, ad esordio precoce, caratterizzata da lesioni cutanee persistenti dall’aspetto di verruche piane o di macule, con tendenza alla disseminazione e con possibile evoluzione verso la degenerazione maligna. La natura di tale patologia, oggi nota col termine di epidermodisplasia verruciforme (EV), è rimasta controversa per diversi decenni, benché già nel 1933 Cockayne ne avesse postulato un’origine genetica, in base al frequente riscontro di consanguineità parentale e alla ricorrenza della malattia in diversi familiari. Negli anni ’70 venne dimostrata la presenza di papillomavirus umano (HPV) nelle lesioni EV. I papillomavirus sono piccoli virus con capside icosaedrico e senza envelope, il cui genoma è costituito da DNA a doppia elica. Se ne riconoscono oltre 100 genotipi diversi, che vengono raggruppati in 5 generi (a, b, g, m, n) che conservano una simile organizzazione genetica, con almeno 8 open-reading frames (ORF). Tra questi, l’ORF5 e l’ORF8 codificano per proteine implicate nell’induzione di proli- 112 Lo studio delle malattie infettive a base strettamente mendeliana ha permesso di stabilire in modo preciso il ruolo di alcuni meccanismi di difesa antimicrobica nell’uomo. Questi studi hanno importante valore euristico. Evidenziando importanti differenze nei meccanismi di difesa anti-microbica nell’uomo e nel topo, essi sottolineano anche i limiti degli studi nell’animale atti ad esplorare la suscettibilità o la resistenza ad agenti infettivi. Inoltre, la scoperta che mutazioni diverse nello stesso gene conferiscono una aumentata suscettibilità a gruppi del tutto diversi di patogeni (come nel caso del rischio di infezioni virali, da micobatteri o da candida in pazienti con mutazioni del gene STAT1), rende evidente come siano complesse e intricate le vie di trasduzione del segnale che sono alla base della difesa anti-infettiva. Parallelamente, studi strettamente genetici atti a definire il tasso di variabilità dei geni implicati nelle difese immunitarie, hanno dimostrato come alcuni di essi (es: TLR3, MYD88, TRIF) tollerino pochissima variabilità a livello aminoacidico, mentre altri (es: TLR4) siano più polimorfici (Casanova et al., 2011). Non è casuale che le malattie infettive su base mendeliane finora identificate siano dovute proprio a mutazioni a carico del primo gruppo di geni. È probabile che il basso grado di polimorfismo a carico di questi geni rifletta la pres- Controllo genetico, cellulare e molecolare della predisposizione a singoli agenti microbici sione selettiva esercitata sull’uomo da agenti infettivi; mutazioni di questi geni esporrebbero quindi a rischio elevato di malattie infettive potenzialmente letali. Se così è, c’è da attendersi che mutazioni a carico di altri geni non polimorfici (come quelli per TLR-7, -8 e -9 e per alcuni dei geni che codificano per IFN-a (Casanova et al., 2011; Manry et al., 2011) possano causare nell’uomo malattie infettive ge- neticamente determinate. Alternativamente, è possibile che il grado di conservazione a carico di questi geni rifletta la selezione esercitata da specie microbiche recentemente scomparse. In ogni caso, è verosimile che questo affascinante capitolo, in rapida evoluzione, si arricchisca di nuove e numerose scoperte nel corso dei prossimi anni. Box di orientamento Che cosa si prima: Le malattie infettive sono patologie tipicamente acquisite; la diversa risposta individuale ad uno stesso agente infettivo dipende dal diverso grado di virulenza e a fattori concausali di rischio ambientali e costituzionali. Le immunodeficienze primitive rappresentano un gruppo particolare di malattie genetiche caratterizzate in modo specifico da aumentato rischio di malattie infettive. Queste ultime comprendono tipicamente un gruppo esteso di microrganismi patogeni. Cosa sappiamo adesso: Difetti genetici a carico di molecole coinvolte nel riconoscimento e nella risposta a singoli agenti microbici possono determinare quadri di suscettibilità ad un gruppo ristretto di patogeni. Lo studio di queste condizioni ha permesso di definire il ruolo essenziale svolto da alcune vie di segnale e di interazione cellulare nei meccanismi di difesa anti-infettiva nell’uomo. Tali evidenze erano inattese in base a precedenti studi condotti nel topo. Quali ricadute sulla pratica clinica: L’identificazione delle basi molecolari di suscettibilità geneticamente determinata a malattie infettive consente di stabilire il rischio prognostico nei singoli pazienti. Nei pazienti con suscettibilità mendeliana a malattie da micobatteri, la natura del difetto genetico permette di definire la terapia più appropriata (terapia antimicrobica eventualmente asociata a IFN-g o trapianto di cellule staminali ematopoietiche). Analogamente, l’impiego di IFN-a può essere postulato in pazienti con encefalite erpetica da difetto di segnale via TLR-3. Nei pazienti con malattie invasive da piogeni legate a difetti di MyD88 e IRAK4, è utile la profilassi antibatterica continuativa. Bibliografia Alcaïs A, Quintana-Murci L, Thaler DS, et al. Life-threatening infectious diseases of childhood: single-gene inborn errors of immunity? Ann N Y Acad Sci 2010;1214:18-33. Al-Herz W, Bousfiha A, Casanova JL, et al. Primary immunodeficiency diseases: an update on the classification from the International Union of Immunological Societies Committee for Primary Immunodeficiency. Frontiers in Immunol, Epub Nov 8, 2011. Altare F, Lammas D, Revy P, et al. Inherited interleukin 12 deficiency in a child with bacille Calmette-Guérin and Salmonella enteritidis disseminated infection. J Clin Invest 1998;102:2035-40. * Questo articolo fornisce la prima dimostrazione che mutazioni della proteina p40, condivisa da IL-12 e IL-23, sono responsabili di aumentata suscettibilità a micobatteriosi e salmonellosi. Audry M, Ciancanelli M, Yang K, et al. NEMO is a key component of NF-kB- and IRF-3-dependent TLR3-mediated immunity to herpes simplex virus. J Allergy Clin Immunol 2011;128:610-7. Bustamante J, Arias AA, Vogt G, et al. Germline CYBB mutations that selectively affect macrophages in kindreds with X-linked predisposition to tuberculous mycobacterial disease. 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Science 2006;314:308-12. ** In questo articolo viene fornita la prima dimostrazione che l’encefalite erpetica può essere dovuta a difetti monogenici lungo la via dei TLR e della sintesi di IFN antivirali. Crow YJ. Type I interferonopathies: a novel set of inborn errors of immunity. Ann N Y Acad Sci 2011;1238:91-8. Dorman SE, Holland SM. Mutation in the signal-transducing chain of the interferon-gamma receptor and susceptibility to mycobacterial infection. J Clin Invest 1998;101:2364-9. Dupuis S, Dargemont C, Fieschi C, et al. Impairment of mycobacterial but not viral immunity by a germline human STAT1 mutation. Science 2001;293:300-3. ** In questo lavoro, si fornisce la dimostrazione di come alcune mutazioni STAT1 compromettano la funzione dei complessi GAF, ma non ISGF3, determinando suscettibilità a micobatteriosi, ma non ad infezioni virali. Dupuis S, Jouanguy E, Al-Hajjar S, et al. Impaired response to interferon-alpha/beta and lethal viral disease in human STAT1 deficiency. Nat Genet 2003;33:388-91. ** Questo articolo dimostra come mutazioni bialleliche nulle di STAT1 compromettano la funzione sia del complesso trascrizionale GAF che di quello ISGF3, causando al contempo suscettibilità ad infezioni da microbatteri e da virus. Ferwerda B, Ferwerda G, Plantinga TS, et al. Human dectin-1 deficiency and mucocutaneous fungal infections. N Engl J Med 2009;361:1760-7. Filipe-Santos O, Bustamante J, Haverkamp MH, et al. X-linked susceptibility to mycobacteria is caused by mutations in NEMO impairing CD40-dependent IL-12 production. J Exp Med 2006;203:1745-59. Glocker EO, Hennigs A, Nabavi M, et al. A homozygous CARD9 mutation in a family with susceptibility to fungal infections. N Engl J Med 2009;361:1727-35. *In questo lavoro viene fornita la prima convincente dimostrazione che difetti nei meccanismi di riconoscimento e risposta a b-glucano causino CMC e dermatofitosi. Guo Y, Audry M, Ciancanelli M, et al. Herpes simplex virus encephalitis in a patient with complete TLR3 deficiency: TLR3 is otherwise redundant in protective immunity. J Exp Med 2011;208:2083-98. Hambleton S, Salem S, Bustamante J, et al. IRF8 mutations and human dendritic-cell immunodeficiency. N Engl J Med 2011;365:127-38. *Questo articolo rappresenta la prima dimostrazione di un difetto genetico che compromette nell’uomo la generazione e funzione di cellule dendritiche. Holland SM, DeLeo FR, Elloumi HZ, et al. STAT3 mutations in the hyper-IgE syndrome. N Engl J Med 2007;357:1608-19. Jouanguy E, Altare F, Lamhamedi S, et al. Interferon-gamma-receptor deficiency in an infant with fatal bacille Calmette-Guérin infection. N Engl J Med 1996;335:1956-61. **In questo articolo, viene fornita la prima dimostrazione di malattie infettive su base genetica mendeliana. 113 L.D. Notarangelo Jouanguy E, Lamhamedi-Cherradi S, Altare F, et al. Partial interferon-gamma receptor 1 deficiency in a child with tuberculoid bacillus Calmette-Guérin infection and a sibling with clinical tuberculosis. J Clin Invest 1997;100:2658-64. Jouanguy E, Lamhamedi-Cherradi S, Lammas D, et al. A human IFNGR1 small deletion hotspot associated with dominant susceptibility to mycobacterial infection. Nat Genet 1999;21:370-8. Jouanguy E, Dupuis S, Pallier A, et al. In a novel form of IFN-gamma receptor 1 deficiency, cell surface receptors fail to bind IFN-gamma. J Clin Invest 2000;105:1429-36. Kisand K, Bøe Wolff AS, Podkrajsek KT, et al. Chronic mucocutaneous candidiasis in APECED or thymoma patients correlates with autoimmunity to Th17-associated cytokines. J Exp Med 2010;207:299-308. * Assieme al lavoro di Puel et al. (2010), questo articolo dimostra come la produzione di autoanticorpi anti-IL-17 causi CMC in pazienti con APECED. Lazarczyk M, Pons C, Mendoza JA, et al. Regulation of cellular zinc balance as a potential mechanism of EVER-mediated protection against pathogenesis by cutaneous oncogenic human papillomaviruses. J Exp Med 2008;205:35-42. * In questo articolo viene dimostrato il meccanismo d’azione delle proteine EVER, mutate in pazienti con epidermodisplasia verruciforme. Liu L, Okada S, Kong XF, et al. Gain-of-function human STAT1 mutations impair IL-17 immunity and underlie chronic mucocutaneous candidiasis. J Exp Med 2011;208:1635-48. ** Questo lavoro fornisce la sorprendente dimostrazione che mutazioni gain-offunction di STAT1 determinano CMC nell’uomo. Manry J, Laval G, Patin E, et al. Evolutionary genetic dissection of human interferons. J Exp Med 2011;208:2747-59. Milner JD, Brenchley JM, Laurence A, et al. Impaired T(H)17 cell differentiation in subjects with autosomal dominant hyper-IgE syndrome. Nature 2008;452:773-6. Minegishi Y, Saito M, Tsuchiya S, et al. Dominant-negative mutations in the DNAbinding domain of STAT3 cause hyper-IgE syndrome. Nature 2007;448:105862. ** Questo lavoro dimostra che la sindrome con iper-IgE è legata a mutazioni dominanti-negative di STAT3, e pone le basi per le successive scoperte delle basi molecolari della CMC. Minegishi Y, Saito M, Nagasawa M, et al. Molecular explanation for the contradiction between systemic Th17 defect and localized bacterial infection in hyper-IgE syndrome. J Exp Med. 2009;206:1291-301. Patel T, Morrison LK, Rady P, Tyring S. Epidermodysplasia verruciformis and susceptibility to HPV. Dis Markers 2010;29:199-206. Pedroza LA, Kumar V, Sanborn KB, et al. Autoimmune regulator (AIRE) contributes to Dectin-1-induced TNF-a production and complexes with caspase recruitment domain-containing protein 9 (CARD9), spleen tyrosine kinase (Syk), and Dectin-1. J Allergy Clin Immunol 2012;129:464-472. * Attraverso la dimostrazione che AIRE forma un complesso con CARD9 nei monociti, questo lavoro offre una nuova chiave interpretativa della CMC associata a sindrome APECED. Pérez de Diego R, Sancho-Shimizu V, Lorenzo L, et al. Human TRAF3 adaptor molecule deficiency leads to impaired Toll-like receptor 3 response and susceptibility to herpes simplex encephalitis. Immunity 2010;33:400-11. Picard C, Puel A, Bonnet M, et al. Pyogenic bacterial infections in humans with IRAK-4 deficiency. Science 2003;299:2076-9. ** Questo fondamentale articolo dimostra che difetti di segnale via TLR che coinvolgono la via canonica di attivazione (MyD88 e IRAK4-dipendente) determinano nell’uomo suscettibilità a malattie invasive da piogeni. Picard C, von Bernuth H, Ghandil P, et al. Clinical features and outcome of patients with IRAK-4 and MyD88 deficiency. Medicine 2010;89:403-25. Picard C, Casanova JL, Puel A. Infectious diseases in patients with IRAK-4, MyD88, NEMO, or IkBa deficiency. Clin Microbiol Rev 2011;24:490-7. Puel A, Döffinger R, Natividad A, et al. Autoantibodies against IL-17A, IL-17F, and IL-22 in patients with chronic mucocutaneous candidiasis and autoimmune polyendocrine syndrome type I. J Exp Med 2010;207:291-7. *Assieme al lavoro di Kisand et al. (2010), questo articolo dimostra come la produzione di autoanticorpi anti-IL-17 causi CMC in pazienti con APECED. Puel A, Cypowyj S, Bustamante J, et al. Chronic mucocutaneous candidiasis in humans with inborn errors of interleukin-17 immunity. Science 2011;332:65-8. **Questo articolo dimostra in modo diretto e definitivo il ruolo della IL-17 nella difesa contro la candida. Ramoz N, Rueda LA, Bouadjar B, et al. Mutations in two adjacent novel genes are associated with epidermodysplasia verruciformis. Nat Genet 2002;32:579-81. * In questo articolo, vengono identificate le basi molecolari della epidermodisplasia verruciforme. Sancho-Shimizu V, Pérez de Diego R, Lorenzo L, et al. Herpes simplex encephalitis in children with autosomal recessive and dominant TRIF deficiency. J Clin Invest 2011;121:4889-902. Vogt G, Chapgier A, Yang K, et al. Gains of glycosylation comprise an unexpectedly large group of pathogenic mutations. Nat Genet 2005;37:692-700. von Bernuth H, Picard C, Jin Z, et al. Pyogenic bacterial infections in humans with MyD88 deficiency. Science 2008;321:691-6. * Questo articolo conferma in modo definitivo che difetti di TLR via MyD88 e IRAK4 determinano nell’uomo suscettibilità ad infezioni invasive da piogeni. Zhang SY, Jouanguy E, Ugolini S, et al. TLR3 deficiency in patients with herpes simplex encephalitis. Science 2007;317:1522-7. ** In questo lavoro viene stabilito in via definitiva che la via di segnale dipendente da TLR3 è assolutamente necessaria per proteggere nei confronti dell’encefalite erpetica. Corrispondenza Luigi D. Notarangelo, Division of Immunology and The Manton Center for Orphan Disease Research, Children’s Hospital Boston, Harvard Medical School, Karp Family Research Building 1, Blackfan Circle, Boston, MA 02115 (USA). Tel. +1-(617)-919-2276. Fax. +1-(617)-730-0709. E-mail: [email protected]. 114 Aprile-Giugno 2012 • Vol. 42 • N. 166 • pp. 115-121 focus I rachitismi ipofosfatemici Giuseppe Saggese, Francesco Vierucci 1, Paolo Simi 2 1 2 Clinica Pediatrica, Università di Pisa; U.O. Citogenetica e Genetica Molecolare Riassunto I rachitismi ipofosfatemici rappresentano forme rare di rachitismo trasmesse geneticamente che negli ultimi anni sono state meglio caratterizzate da una diagnosi molecolare. Le recenti acquisizioni sulla regolazione del metabolismo fosfo-calcico hanno evidenziato come il fattore di crescita fibroblastico 23 (fibrobast growth factor 23, FGF23) svolga un ruolo centrale nella patogenesi dei rachitismi ipofosfatemici: infatti, livelli elevati di FGF23 determinano l’ipofosfatemia che porta all’instaurarsi delle lesioni rachitiche. Esistono diverse forme di rachitismo ipofosfatemico in cui i livelli di FGF23 sono elevati o inappropriatamente normali per l’ipofosfatemia: il rachitismo ipofosfatemico X-linked dovuto a mutazione inattivante del gene PHEX, la forma autosomico dominante dovuta a mutazione attivante del gene FGF23, le forme autosomiche recessive (tipo 1 e tipo 2) dovute a mutazione dei geni DMP1 e ENPP1, rispettivamente. Esiste inoltre una forma di rachitismo ipofosfatemico ereditario con ipercalciuria, un disordine autosomico recessivo caratterizzato da una mutazione del gene SLC34A3 in cui la fosfaturia consegue ad un difetto primitivo renale, per cui i livelli di FGF23 sono ridotti o ai limiti bassi della norma. Nonostante la diagnosi di queste forme genetiche di rachitismo rimanga essenzialmente clinica, la diagnosi genetica può dare importanti informazioni sul tipo di rachitismo ipofosfatemico, sulla prognosi e sulla terapia. Inoltre, una più precisa identificazione dei meccanismi molecolari alla base delle singole patologie potrà, in un prossimo futuro, identificare nuovi target terapeutici. Summary Hypophosphatemic rickets are rare forms of rickets that in recent years have been characterized by a genetic diagnosis. Recent findings on the regulation of phosphocalcium metabolism have shown that fibroblast growth factor 23 (FGF23) plays a central role in the pathogenesis of hypophosphatemic rickets: indeed, high levels of FGF23 are responsible for the onset of hypophosphataemia leading to the rachitic lesions. Nowadays different forms of hypophosphatemic rickets have been characterized: X-linked hypophosphatemic rickets due to inactivating mutation of the PHEX gene, autosomal dominant form caused by activating mutation of the FGF23 gene, the autosomal recessive forms (type 1 and type 2) due to mutations in DMP1 and ENPP1 genes, respectively. In these forms levels of FGF23 are elevated or inappropriately normal for the hypophosphatemia. Moreover, there is a form of hereditary hypophosphatemic rickets with hypercalciuria, an autosomal recessive disorder characterized by a mutation in the SLC34A3 gene in which phosphaturia is due to a renal primary defect, so the levels of FGF23 are reduced or at the lower limits of normal. Despite the diagnosis of these genetic forms of rickets remains essentially a clinical one, genetic diagnosis gives important information on the type of hypophosphatemic rickets, prognosis and treatment. In addition, a more precise knowledge of molecular mechanisms of each disorder may, in the near future, identify new therapeutic targets. Introduzione Il rachitismo è una patologia caratterizzata da una ridotta mineralizzazione del tessuto osseo in accrescimento, con conseguente accumulo di matrice ossea non mineralizzata, detta tessuto osteoide (Rauch, 2003). Il rachitismo è una condizione tipica dell’età evolutiva, in quanto si presenta prima della saldatura delle epifisi delle ossa lunghe e colpisce soprattutto le ossa a più rapido accrescimento come il cranio, le coste, il polso, le ginocchia e le caviglie. Il rachitismo carenziale, dovuto ad un deficienza di vitamina D, rappresenta la causa più frequente di rachitismo; esistono, tuttavia, forme più rare di rachitismo trasmesse geneticamente che negli ultimi anni sono state meglio caratterizzate. I rachitismi ipofosfatemici, contraddistinti dalla presenza di ridotti livelli plasmatici di fosforo (Tab. 1), rappresentano le forme più frequenti di rachitismo genetico. Regolazione dei livelli circolanti di fosfato Livelli appropriati di fosfato sono fondamentali per i corretti processi di mineralizzazione ossea: in presenza di ipofosfatemia, infatti, si instaurano deformità ossee con alterazioni dei processi di accrescimento. Bassi livelli plasmatici di fosfato impediscono la normale apoptosi dei condrociti ipertrofici della cartilagine di accrescimento, con rigonfiamento cellulare e disorganizzazione del piatto di crescita (Sabbagh et al., 2005). Un ruolo centrale nella regolazione dei livelli plasmatici di fosfato è svolto dal fattore di crescita fibroblastico 23 (fibrobast growth factor 23, FGF23), un ormone di recente caratterizzazione ad azione fosfaturica (Alon, 2010). L’FGF23 è prodotto dagli osteociti e determina fosfaturia inibendo, a livello renale, i canali del fosfato sodio dipendenti NaPi2a e NaPi2c. In particolare, l’FGF23 agisce attraverso la formazione di un eterotrimero con il suo recettore FGFR1 ed il prodotto del gene KLOTHO (Prié et al., 2010). In figura 1 è schematizzato l’asse osso-rene-paratiroidi-intestino nel quale l’FGF23 partecipa, insieme al paratormone e all’1,25-diidrossivitamina D, alla regolazione del metabolismo fosfo-calcico (Bastepe et al., 2008). Diverse forme di rachitismo ipofosfatemico sono dovute a mutazioni di geni implicati nella regolazione dei livelli circolanti di FGF23, che Tabella I. Valori normali di fosforo plasmatico durante l’età evolutiva (modificato da Langlois V. Laboratory evaluation at different ages. In: Geary DF, Schaefer F. Comprehensive pediatric nephrology. Mosby Elsevier 2008:39-54). Età Fosforo (mg/dl) Fosforo (mmol/l)* 0 - 12 mesi 4.8 – 7.4 1.55 – 2.39 1 – 5 anni 4.5 – 6.5 1.45 – 2.10 6 – 12 anni 3.6 – 5.8 1.16 – 1.32 13 – 20 anni 2.3 – 4.5 0.74 – 1.45 *Per convertire i mg/dl in mmol/l moltiplicare per 0.3229. 115 G. Saggese et al. Figura 1. Asse osso-rene-paratiroidi-intestino deputato al controllo del metabolismo fosfo-calcico. Le frecce continue indicano una stimolazione, le frecce tratteggiate indicano una inibizione. PTH: paratormone; FGF23: fattore di crescita fibroblastico 23. NaPi2a e NaPi2c: canali del fosfato sodio dipendenti espressi a livello renale. NaPi2b: canali del fosfato sodio dipendenti espressi a livello intestinale. risultano patologicamente aumentati o inappropriatamente normali per l’ipofosfatemia. Esistono, inoltre, forme più rare in cui il rachitismo ipofosfatemico dipende da un difetto primitivo renale (Tab. 2). Rachitismo ipofosfatemico X-linked Il rachitismo ipofosfatemico X-linked (XLHR, MIM 307800) rappresenta la più frequente causa di rachitismo genetico, con un’incidenza di 1:20.000. La malattia è trasmessa come carattere X-linked dominante; caratteristica istologica dell’XLHR è la presenza di difetti di mineralizzazione peri-osteocitici che persistono nonostante la correzione dell’ipofosfatemia e riflettono un difetto primitivo degli osteoblasti. L’XLRH è causato da una mutazione inattivante del gene PHEX (phosphate-regulating gene with homologies to endopeptidases on the X-chromosome; Xp22.1), espresso dagli osteoblasti presenti nel tessuto osseo e dagli odontoblasti a livello dentale (Pettifor, 2008). In una discreta percentuale di pazienti con XLHR sono stati riscontrati livelli di FGF23 elevati o inappropriatamente normali per l’ipofosfatemia. Pertanto, era stato ipotizzato che il gene PHEX codificasse per una endopeptidasi coinvolta direttamente nel catabolismo Figura 2. La figura rappresenta l’ipotesi ASARM secondo cui il prodotto del gene PHEX mutato non eserciterebbe il suo ruolo fisiologico di controllo dello stato di fosforilazione dei residui ASARM (acidic serine- and aspartaterich motif) delle proteine SIBLING (small integrin-binding ligand N-linked glycoprotein) che regolano i normali processi di mineralizzazione e la secrezione di FGF23 da parte degli osteociti. I residui ASARM fosforilati comporterebbero un’inibizione dei processi di mineralizzazione ossea portando allo sviluppo di osteomalacia. MEPE: matrix extracellular phosphoglycoprotein; DMP1: dentin matrix protein 1; BSP: sialoproteina ossea; OPN: osteopontina. dell’FGF23, anche se tale ipotesi non è stata in seguito confermata. Secondo recenti studi (Addison et al., 2010) alla base dei difetti di mineralizzazione primitivi dell’XLRH ci sarebbe un’alterazione delle cosiddette proteine SIBLING (small integrin-binding ligand N-linked glycoprotein) che regolano i normali processi di mineralizzazione ossea e la secrezione di FGF23 da parte degli osteociti. Rientrano tra queste proteine la proteina MEPE (matrix extracellular phosphoglycoprotein), la proteina DMP1 (dentin matrix protein 1), la sialoproteina ossea e l’osteopontina. Queste proteine presentano dei domini ASARM (acidic serine- and aspartate-rich motif) che, se fosforilati, sono inibitori fisiologici dei processi di mineralizzazione. Secondo questa “ipotesi ASARM” nel XLRH il difetto del gene PHEX comporterebbe una eccessiva fosforilazione dei residui ASARM e quindi un persistente difetto di mineralizzazione ossea che non può essere modificato dalla terapia (Fig. 2). Comunque, non tutti gli autori concordano con questa ipotesi e, di fatto, non è ancora del tutto chiaro come PHEX regoli la produzione dell’FGF23 (David et al., 2010). Clinicamente, la malattia esordisce nel 1°-2° anno di vita: i bambini affetti sviluppano importanti deformità ossee, soprattutto a carico delle ossa lunghe a rapido accrescimento, in particolare quando iniziano la deambulazione. Gli arti inferiori appaiono tendenzialmente Tabella II. Diverse forme di rachitismo ipofosfatemico e relativo gene coinvolto nella patogenesi. Forme FGF23 dipendenti Gene Locus Mutazione MIM X-linked dominante (XLHR) PHEX Xp22.2-p22.1 Inattivante 307800 Autosomico dominante (ADHR) FGF23 12p13.3 Attivante 193100 Autosomico recessivo 1 (ARHR1) DMP1 4q21 Inattivante 241520 Autosomico recessivo 2 (ARHR2) ENPP1 6q22-q23 Inattivante 613312 Difetti primitivi renali Ereditario con ipercalciuria (HHRH) X-linked recessivo 116 Gene Locus Mutazione MIM SLC34A3 9q34 Inattivante 241530 CLCN5 6q22-q23 Inattivante 300554 I rachitismi ipofosfatemici Figura 3. Deformità degli arti inferiori in pazienti affetti da rachitismo ipofosfatemico. A-C: varismo; D: valgismo; E: deformità a colpo di vento (deformità mista varismo-valgismo). Si noti la bassa statura disarmonica. ricurvi, con coxa vara e ginocchio varo o valgo, l’andatura è anserina e vi è una bassa statura disarmonica con prevalenza del tronco sugli arti inferiori (i soggetti non trattati hanno una statura definitiva prevista variabile dai 130 ai 165 cm) (Fig. 3). È spesso presente il tipico slargamento delle regioni metafisarie (braccialetto/caviglia rachitici) mentre non vi sono generalmente manifestazioni tetaniche da ipocalcemia; poco frequenti sono il rosario rachitico ed il solco di Harrison. Da adulti, i soggetti possono sviluppare osteomalacia, entesopatia, processi degenerativi a carico delle articolazioni ed alterazioni dentali come deformità pulpare, alterazioni della dentina intraglobulare ed ascessi periapicali. I segni radiologici sono simili a quelli presenti nel rachitismo carenziale: rarefazione della trabecolatura ossea, slargamento delle metafisi con deformazione “a coppa” ed irregolarità del piatto epifisario (Fig. 4) (Baroncelli et al., 2004). Dal punto di vista biochimico si riscontrano ipofosfatemia, fosfaturia elevata, ridotti valori di TmPO4/GFR (trasporto tubulare massimo del fosfato normalizzato per la frazione di filtrazione glomerulare), normocalcemia, valori di fosfatasi alcalina aumentati, valori di paratormone nella norma o lievemente aumentati, valori di 25idrossivitamina D normali, valori di 1,25-diidrossivitamina D ridotti o inappropriatamente normali per l’ipofosfatemia, valori di FGF23 Figura 4. Bambina di 5 anni affetta da rachitismo ipofosfatemico X-linked. A livello degli arti inferiori (A) si nota un evidente slargamento delle metafisi con deformazione “a coppa” ed irregolarità del piatto epifisario. A livello degli arti inferiori (B), oltre alle alterazioni precedenti, si osserva importante valgismo delle ginocchia, più accentuato a destra. 117 G. Saggese et al. Tabella III. Parametri biochimici nelle varie forme di rachitismo ipofosfatemico. Patologia Gene coinvolto FGF23 Ca UCa P Tmp/GFR FA PTH 25-OH-D 1,25(OH)2D XLHR PHEX N* ↑ N N ↓ ↓ ↑ N N ↓ N* ADHR FGF23 N* ↑ N N ↓ ↓ ↑ N N ↓ N* ARHR HHRH DMP1 N* ↑ N N ↓ ↓ ↑ N N ↓ N* ENPP1 N* ↑ N N ↓ ↓ ↑ N N ↓ N* SLC34A3 ↓N N ↑ ↓ ↓ ↑ ↓ N ↑ * Valori normali ma inappropriati per l’ipofosfatemia Ca: calcio totale; UCa: calciuria; P: fosforo; Tmp/GFR: trasporto tubulare massimo del fosfato normalizzato per la frazione di filtrazione glomerulare; FA: fosfatasi alcalina; PTH: paratormone; 25-OH-D: 25-idrossivitamina D; 1,25(OH)2D: 1,25-diidrossivitamina D. elevati o inappropriatamente normali per l’ipofosfatemia (Tiosano et al., 2009; Igaki et al., 2011). L’ipofosfatemia si sviluppa nei primi mesi di vita per cui il dosaggio della fosfatemia rappresenta una delle indagini più importanti da effettuare in pazienti con sospetto clinico di XLHR o con anamnesi familiare positiva. Altre forme di rachitismo ipofosfatemico FGF23 dipendenti (Tab. 2) Il rachitismo ipofosfatemico autosomico dominante (ADHR, MIM 193100) si presenta con penetranza ed età di insorgenza variabili. La malattia è dovuta a mutazione attivante del gene FGF23 (12p13.3) che rende il suo prodotto proteico resistente ai normali processi di degradazione. Anche questa forma è caratterizzata da elevati livelli circolanti di FGF23; clinicamente la malattia è indistinguibile dall’XLHR. Alcuni pazienti sviluppano rachitismo ipofosfatemico durante l’infanzia, per poi divenire spontaneamente asintomatici con l’età; esistono al contrario casi (in particolare le giovani donne in fase post-puberale) che sviluppano ipofosfatemia ed osteomalacia solo in età giovane-adulta. Recentemente, i livelli circolanti di FGF23 sono stati messi in relazione con lo stato marziale: in questi pazienti i livelli di sideremia e di ferritina correlano inversamente con i livelli circolanti di FGF23 e direttamente con i valori di fosfatemia. Questi risultati suggeriscono come lo stato marziale possa influenzare la secrezione di FGF23 e come i normali processi di regolazione vengano meno nei pazienti con ADHR. Pertanto, tale patologia potrebbe slatentizzarsi quando si sviluppa una carenza marziale, come durante l’infanzia e l’adolescenza. Resta da capire se i pazienti con ADHR possano trovare giovamento da una supplementazione con ferro a basso dosaggio (Imel et al., 2011). Il rachitismo ipofosfatemico autosomico recessivo di tipo 1 (ARHR1, MIM 241520) è causato da una mutazione inattivante del gene DMP1 (4q21) che codifica per la dentin matrix protein 1, una delle proteine SIBLING specifica del tessuto osseo e dentario. Questa proteina sembra svolgere un’azione inibitrice diretta sull’FGF23 per cui, in seguito alla mutazione, i livelli circolanti di FGF23 aumentano e causano fosfaturia. La malattia, che si sviluppa più frequentemente in bambini di genitori consanguinei, può rendersi manifesta più tardivamente rispetto alle altre forme. Il quadro clinico, le deformità scheletriche, le alterazioni dentarie ed il quadro biochimico sono sovrapponibili all’XLHR e all’ADHR (Ruppe et al., 2011). Il rachitismo ipofosfatemico autosomico recessivo di tipo 2 (ARHR2, MIM 613312) è causato da mutazioni inattivanti del gene ENPP1 (ecto nucleotide pyrophosphatase phosphodiesterase 1; 6q22-q23) che regola la sintesi del pirofosfato, inibitore fisiologico della deposizione dei cristalli di idrossiapatite e della differenziazione 118 degli osteobalsti. Mutazioni inattivanti di ENPP1 erano già note causare la calcificazione arteriosa generalizzata dell’infanzia, malattia autosomica recessiva che talvolta si associa anche ad ipofosfatemia. I pazienti con ARHR2 presentano un fenotipo sovrapponibile a quello dei pazienti con XLHR o ADHR; in particolare, possono presentare una scarsa risposta alla terapia con sali di fosfato e metaboliti della vitamina D. Anche in questi soggetti i livelli di FGF23 sono elevati o inappropriatamente normali per l’ipofosfatemia. In questi pazienti vi è inoltre il timore che la terapia possa portare all’instaurarsi delle calcificazioni arteriose (Levy-Litan et al., 2010). Rachitismi ipofosfatemici da difetto primitivo renale (Tab. 2) Il rachitismo ipofosfatemico ereditario con ipercalciuria (HHRH, MIM 241530) è una patologia autosomica recessiva dovuta a mutazione del gene SLC34A3 (9q34) che codifica per il cotrasportatore sodio-fosfato NaPi2c. In questa condizione la fosfaturia consegue ad un difetto primitivo renale, pertanto i livelli di FGF23 sono ridotti o ai limiti bassi della norma. Per questo motivo l’ipofosfatemia stimola efficacemente la produzione di 1,25-diidrossivitamina D che aumenta l’assorbimento intestinale di fosforo e calcio portando ad ipercalciuria, in presenza di normocalcemia. Questa forma si associa, infatti, ad un elevato rischio di nefrolitiasi (Phulwani et al. 2011). Il rachitismo ipofosfatemico X-linked recessivo (MIM 300554) è una malattia autosomica recessiva dovuta a mutazione del gene CLCN5 (Xp11.23-p11.22) che codifica per un canale renale per il cloro voltaggio dipendente. Questa forma fa parte del complesso della malattia di Dent ed è caratterizzata da nefrolitiasi, ipercalciuria, proteinuria ed insufficienza renale progressiva. In tabella 3 sono riportati i parametri biochimici che caratterizzano i vari rachitismi ipofosfatemici. Con il progresso delle conoscenze genetiche, sono state descritte diverse casistiche di pazienti affetti da rachitismo ipofosfatemico con i relativi difetti genetici identificati (Ruppe et al., 2011). Presso la Clinica Pediatrica dell’Università di Pisa sono stati valutati 46 pazienti (14 maschi) affetti da rachitismo ipofosfatemico (età alla diagnosi 7.9 ± 9.0 anni). Di questi, 31 pazienti (11 maschi, età media 23.5 ± 16.7 anni) sono stati analizzati dal punto di vista genetico: il gene più frequentemente mutato è risultato il gene PHEX (n = 28), seguito dal gene FGF23 (n = 3); nessuna mutazione è stata riscontrata a carico dei geni DMP1 e ENPP1. Circa il 60% delle mutazioni sono risultate a carattere familiare e 17 mutazioni del gene PHEX non erano state precedentemente descritte in letteratura (Saggese et al., 2011). I rachitismi ipofosfatemici Figura 5. Esempi di complicanze della terapia con sali di fosfato e metaboliti della vitamina D. A: Nefrocalcinosi di grado 1 (anelli parenchimali caratterizzati da iperecogenicità delle piramidi midollari soprattutto nelle loro porzioni periferiche) dovuto ad eccesso di terapia con metaboliti della vitamina D. B: Paratiroide iperplastica (5.6 mm x 4.7 mm) da iperparatiroidismo secondario dovuto ad eccesso relativo di terapia con sali di fosfato. Terapia La terapia dei rachitismi ipofosfatemici caratterizzati da elevati livelli di FGF23 (XLHR, ADHR, ARHR 1 e 2) si basa sulla somministrazione pluriquotidiana di sali di fosfato inorganico (70-100 mg/kg/die divisi in 4-6 somministrazioni) associata ai metaboliti della vitamina D: 1-alfa-idrossi-colecalciferolo (20-60 ng/kg/die in un’unica somministrazione) o 1,25-diidrossi-colecalciferolo (20-60 ng/kg/die divisi in 2-3 somministrazioni) (Latta et al., 1993; Carpenter et al., 2011). Il trattamento dell’HHRH, caratterizzato da livelli di FGF23 ridotti o ai limiti bassi della norma, si basa esclusivamente sulla somministrazione dei sali di fosfato. La terapia può portare alla guarigione delle lesioni rachitiche dopo circa 3-4 anni, in particolare se iniziata precocemente. È opportuno iniziare il trattamento con sali di fosfato inorganico e metaboliti della vitamina D con dosaggi inferiori, aumentandoli gradualmente durante il follow-up. La complicanza più frequente dell’uso dei sali di fosfato è la comparsa di disturbi gastro-intestinali (nausea, vomito, dolori addominali, diarrea), spesso dovuta all’impiego di dosi troppo elevate. Le principali complicanze della terapia con metaboliti della vitamina D sono rappresentate dall’ipervitaminosi D (con ipercalcemia e/o ipercalciuria) e dalla nefrocalcinosi (Fig. 5A). L’insorgenza di tali complicanze impone la sospensione del trattamento che dovrà essere ripreso nuovamente a dosaggi più bassi dopo la risoluzione delle complicanze stesse. Per contrastare il potenziale danno renale conseguente all’ipercalciuria da ipervitaminosi D, alcuni autori hanno suggerito l’impiego di diuretici come l’idroclorotiazide (1.5-2.25 mg/kg/die) (Seikali et al., 2001) eventualmente associata con l’amiloride (1 mg ogni 5 mg di idroclorotiazide) (Alon et al., 1985). In presenza di nefrocalcinosi di grado 1, la temporanea interruzione della terapia, associata all’aumento dell’introito giornaliero di liquidi, può portare a risoluzione dei depositi renali di calcio. Utile appare anche la somministrazione di citrato di potassio come acidificante delle urine, per ridurre la saturazione urinaria dei sali di calcio. La somministrazione di dosi elevate di sali di fosfato associate a dosi relativamente basse di metaboliti della vitamina D può portare all’insorgenza di iperparatiroidismo secondario (Fig. 5B). Una dose relativamente eccessiva di sali di fosfato può determinare, infatti, una riduzione dei livelli circolanti di calcio ionizzato in seguito all’azione chelante del fosfato sul calcio a livello intestinale con conseguente ipocalcemia ed iperparatiroidismo secondario. Per contrastare l’iperparatiroidismo può essere opportuno ridurre la dose dei fosfati ed eventualmente aumentare la dose dei metaboliti della vitamina D. Se tale condizione non viene prontamente corretta, l’iperparatiroidismo può diventare terziario (iperplasia/adenoma della paratiroidi) fino a rendere necessario l’intervento di paratiroidectomia. Nei pazienti adulti con iperparatiroidismo secondario è stato proposto l’utilizzo del Cinacalcet, un calcimimetico; attualmente non vi sono ancora dati sufficienti per raccomandare l’utilizzo di tale farmaco in età pediatrica (Alon et al., 2008). Terapia ortopedica La terapia medica può non essere in grado di correggere le deformità scheletriche particolarmente severe; in presenza di deformità scheletriche ingravescenti, dolore osteo-articolare e disturbi della deambulazione può essere necessario ricorrere ad un trattamento ortopedico (Fucentese et al., 2008). In presenza di varismo o valgismo importanti nei primi 2-3 anni di vita si può ricorrere al bracing, ossia il posizionamento di docce. Se dopo i 2-3 anni di vita è presente una deformità grave (superiore a 30°), si può porre indicazione ad un intervento di osteotomia seguito da applicazione di apparecchio gessato. Dopo i 5 anni di vita può essere praticato l’intervento di emiepifisiodesi (ripetibile in caso di recidiva) (Fig. 6). A fine accrescimento si può ricorrere all’intervento di osteotomia con eventuale allungamento degli arti. Ormone della crescita (GH) Alcuni studi hanno suggerito l’utilizzo del GH per il suo fisiologico effetto antifosfaturico e per l’effetto di stimolo dell’1-alfa-idrossilasi dal parte dell’IGF1. Comunque, un difetto dell’asse GH-IGF-I non è fra le cause principali di bassa statura nei soggetti affetti da rachiti- 119 G. Saggese et al. evidenzia biochimica di osteomalacia (aumento dei livelli di fosfatasi alcalina), che lamentano dolori ossei o che devono andare incontro ad intervento chirurgico (almeno per 6 mesi prima e dopo la procedura) (Carpenter et al., 2011). Prospettive future Figura 6. Posizionamento di emiepifisiodesi bilaterali esterne in una paziente di 13 anni con rachitismo ipofosfatemico X-linked per correzione di varismo degli arti inferiori. smo ipofosfatemico e attualmente non sono disponibili dati conclusivi per raccomandare l’utilizzo del GH nei pazienti con tale patologia (Huiming et al., 2005). Uno studio di recentissima pubblicazione mostra come tre anni di terapia con GH in pazienti con rachitismo ipofosfatemico prepuberi e bassa statura stimoli la crescita staturale senza alterare le proporzioni corporee (Zivicnjal et al., 2011). Questo studio conferma la nostra esperienza in cui la terapia con GH si era dimostrata efficace nel promuovere la crescita nei pazienti con rachitismo ipofosfatemico e bassa statura severa (Saggese et al., 1995). Follow-up e durata della terapia In tabella 4 sono riportati i controlli consigliati durante il follow-up dei pazienti con rachitismo ipofosfatemico in terapia. La terapia dovrebbe essere continuata fino al raggiungimento della statura finale. Non vi è accordo sulla necessità di trattare i pazienti adulti; si consiglia di trattare i pazienti che presentano fratture spontanee, con La terapia con sali di fosfato e metaboliti della vitamina D può correggere solo alcune delle alterazioni biochimiche della malattia, come l’ipofosfatemia ed i ridotti livelli di 1,25-diidrossivitamina D, senza modificare i meccanismi patogenetici sottostanti, come gli elevati livelli di FGF23. In effetti, sia i sali di fosfato che i metaboliti della vitamina D stimolano la formazione di FGF23 da parte del tessuto osseo (Fig. 1) (Imel et al., 2010). Lo scarso controllo dei livelli di FGF23 potrebbe spiegare perché spesso i pazienti presentano guarigione delle lesioni rachitiche ma non dell’osteomalacia, dal momento che permangono le alterazioni dei processi di mineralizzazione ossea. Negli ultimi anni si è tentato di identificare nuovi bersagli terapeutici: un recente studio condotto su modelli murini di XLRH ha dimostrato che la somministrazione di anticorpi anti-FGF23 corregge l’ipofosfatemia ed i valori ridotti di 1,25-diidrossivitamina D, portando ad un miglioramento della crescita, delle alterazioni della cartilagine di coniugazione e delle lesioni osteomalaciche (Aono et al., 2009; Aono et al., 2011). Studi di fase 1 sull’uomo sono già iniziati. Un altro farmaco proposto per la terapia del rachitismo ipofosfatemico è la calcitonina che, somministrata per via sottocutanea, si è dimostrata capace di ridurre i livelli circolanti di FGF23, probabilmente per un suo effetto sugli osteociti, e di incrementare i livelli di fosfato e di 1,25-diidrossivitamina D per un effetto stimolatorio diretto sull’1-alfa-idrossilasi renale (Liu et al., 2011). Conclusioni I rachitismi ipofosfatemici sono forme rare di rachitismo trasmesse geneticamente. Si tratta di patologie severe, in particolare per quanto riguarda la prognosi staturale, che richiedono una complessa gestione multidisciplinare coordinata dal pediatra. Le recenti acquisizioni genetiche hanno permesso di chiarire i meccanismi patogenetici alla base delle diverse forme, permettendone un migliore inquadramento nosografico. La terapia con sali di fosfato inorganico e metaboliti della vitamina D rappresenta la terapia di scelta. Le nuove conoscenze delle basi fisiopatologiche prospettano l’utilizzo di terapie mirate, maggiormente efficaci. Tabella 4. Follow-up per i pazienti con rachitismo ipofosfatemico in terapia con sali di fosfato inorganico e metaboliti della vitamina D. Accertamenti Periodicità consigliata Visita auxologia ogni 4-6 mesi Esami ematici* ed urinari† ogni 4-6 mesi Indagini radiologiche (polsi e mani; arti inferiori) ogni 12-18 mesi fino a guarigione delle lesioni rachitiche, quindi ogni 2-3 anni in base al quadro clinico Ecografia renale ogni 6 mesi Visita ortopedica ogni 6-12 mesi (controlli più ravvicinati in fase puberale) Visita odontoiatrica ogni 12 mesi * calcemia, fosfatemia, creatininemia, fosfatasi alcalina, 25-idrossivitamina D, 1,25-diidrossivitamina D, paratormone. † esame urine, calciuria e fosfaturia su urine raccolte nelle 24h o spot (seconde urine del mattino, da valutare in rapporto con la creatininuria), TmPO4/GFR (trasporto tubulare massimo del fosfato normalizzato per la frazione di filtrazione glomerulare). 120 I rachitismi ipofosfatemici Box di orientamento Nel presente articolo sono stati sviluppati i seguenti punti: - La fisiopatologia del metabolismo del fosfato e dei rachitismi ipofosfatemici. - La diagnosi delle varie forme di rachitismo ipofosfatemico. - La gestione della terapia dei rachitismi ipofosfatemici. - Le prospettive future per lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici. Bibliografia Addison WN, Masica DL, Gray JJ, et al. Phosphorylation-dependent inhibition of mineralization by osteopontin ASARM peptides is regulated by PHEX cleavage. J Bone Miner Res 2010;25:695-705. Alon U, Chan JC. Effects of hydrochlorothiazide and amiloride in renal hypophosphatemic rickets. Pediatrics 1985;75:754-63. Alon US, Levy-Olomucki R, Moore WV, et al. Calcimimetics as an adjuvant treatment for familial hypophosphatemic rickets. Clin J Am Soc Nephrol 2008;3:65864. Alon US. Clinical practice. Fibroblast growth factor (FGF)23: a new hormone. Eur J Pediatr 2011;170:545-54. ** Articolo recente che tratta le varie azioni fisio-patologiche dell’FGF23 ed il suo ruolo in diverse condizioni patologiche, con particolare riferimento alla pratica clinica. Aono Y, Hasegawa H, Yamazaki Y, et al. Anti-FGF-23 neutralizing antibodies ameliorate muscle weakness and decreased spontaneous movement of Hyp mice. J Bone Miner Res 2011;26:803-10. * Lo studio più recente attualmente disponibile sull’effetto terapeutico degli anticorpi anti-FGF23 su modelli animali. Aono Y, Yamazaki Y, Yasutake J, et al. Therapeutic effects of anti-FGF23 antibodies in hypophosphatemic rickets/osteomalacia. J Bone Miner Res 2009;24:187988. Baroncelli GI, Bertelloni S, Saggese G, et al. Genetic advances, biochemical and clinical features and critical approach to treatment of patients with X-linked hypophosphatemic rickets. Pediatr Endocrinol Rev 2004;1:361-79. * Ampia revisione del rachitismo ipofosfatemico X-linked con particolare riferimento alla diagnosi e alla gestione della terapia. Bastepe M, Jüppner H. Inherited hypophosphatemic disorders in children and the evolving mechanisms of phosphate regulation. Rev Endocr Metab Disord 2008;9:171-80. * L’articolo descrive dettagliatamente i meccanismi di controllo dell’omeostasi del fosfato con riferimento alle varie forme di rachitismo ipofosfatemico. Carpenter TO, Imel EA, Holm IA, et al. A clinician’s guide to X-linked hypophosphatemia. J Bone Miner Res 2011;26:1381-8. ** Recente revisione dell’approccio terapeutico al bambino e al paziente adulto con ipofosfatemia X-linked. David V, Quarles LD. ASARM mineralization hypothesis: a bridge too far? J Bone Miner Res 2010;25:692-4. Fucentese SF, Neuhaus TJ, Ramseier LE, et al. Metabolic and orthopedic management of X-linked vitamin D-resistant hypophosphatemic rickets. J Child Orthop 2008;2:285-91. Huiming Y, Chaomin W. Recombinant growth hormone therapy for X-linked hypophosphatemia in children. Cochrane Database Syst Rev 2005. Igaki JM, Yamada M, Yamazaki Y, et al. High iFGF23 level despite hypophosphatemia is one of the clinical indicators to make diagnosis of XLH. Endocr J 2011;58:647-55. Imel EA, DiMeglio LA, Hui SL, et al. Treatment of X-linked hypophosphatemia with calcitriol and phosphate increases circulating fibroblast growth factor 23 concentrations. 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Hereditary hypophosphatemic rickets with hypercalciuria and nephrolithiasis-identification of a novel SLC34A3/ NaPi-IIc mutation. Am J Med Genet A 2011;155A:626-33. Prié D, Friedlander G. Genetic disorders of renal phosphate transport. N Engl J Med 2010;24;362: 2399-409. ** L’articolo descrive in maniera esaustiva la principali alterazioni del riassorbimento renale di fosfato di origine genetica. Rauch F. The rachitic bone. Endocr Dev. 2003;6:69-79. Ruppe MD, Brosnan PG, Au KS, et al. Mutational analysis of PHEX, FGF23 and DMP1 in a cohort of patients with hypophosphatemic rickets. Clin Endocrinol (Oxf) 2011;74:312-8. Sabbagh Y, Carpenter TO, Demay MB. Hypophosphatemia leads to rickets by impairing caspase-mediated apoptosis of hypertrophic chondrocytes. Proc Natl Acad Sci USA 2005;102:9637-42. Saggese G, Baroncelli GI, Bertelloni S, et al. Long-term growth hormone treatment in children with renal hypophosphatemic rickets: effects on growth, mineral metabolism, and bone density. 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Corrispondenza Giuseppe Saggese, Clinica Pediatrica I Università di Pisa, via Roma 67, 56100, Pisa, Italy. Tel. +39 050 992797. E-mail. [email protected] 121 TI EN AM N 12 BO 0 AB 2 PROSPETTIVE IN PEDIATRIA (Rivista della Società Italiana di Pediatria) Rivista trimestrale ORGANO UFFICIALE DELLA SIP 2011 • Vo l. 41 • N. 164 • pp . 171-224 Società Italiana di Pediatria DIRETTORE Prospettive in Pediatria approfondisce selezionati argomenti di ricerca e di carattere clinico attraverso review sistematiche, focus su tematiche emergenti, confronti tra esperti. Ottobre- Dicembre Generoso Andria Vol. 41 • N. 164 Ottobre- Dicembr ALLERGOL OGIA (a cura e 2011 di Riccardo Tro I nuovi scen ncone) ari delle all Strategie di ergie alime prevenzion ntari in età e dell’allergi pediatrica a alimenta re: stato de Terapie inn ll’arte ovative per le allergie alimentari ENDOCRIN OLOGIA (a cur Sequele en docrine e me taboliche de FRONTIERE Osteopetro l bambino (a cura di Antonio Ca a di Sergio o, Luigi D. si autosom ica recessiv a: ripartiam Notarangel o, Achille Iol ascon) o dalla dia Towards a PREZZO ITALIA: € 60,00 PREZZO ESTERO: € 70,00 Bernasconi) Novità in en docrinolog ia pediatrica nato picco lo per Indicazioni l’età gestazionale. alla terapia con GH Interferenti endocrini gnosi molec olare FOCUS (a cur minimal ris k society? Verso una a di Gener oso Andria) società a mi nimo risch Periodico trimes trale POSTE Aut. 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