ATTACCAMENTI TRAUMATICI I Modelli Operativi Interni Dissociati

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ATTACCAMENTI TRAUMATICI I Modelli Operativi Interni Dissociati
ATTACCAMENTI TRAUMATICI
I Modelli Operativi Interni Dissociati
Cesare Albasi
PARTE PRIMA
IL CONCETTO DI MOID
CAPITOLO 1 - BOWLBY E I MOID
Il concetto di Modelli Operativi Interni (MOI) deve le sue origini alla Teoria dell’Attaccamento
sviluppata da Bowlby nella trilogia "Attaccamento e Perdita" (1969, 1973 e 198). Nel secondo volume
di tale trilogia, Bowlby pone come obiettivo del sistema d’attaccamento il mantenimento
dell’accessibilità e della responsività del caregiver, qualità che egli definisce in termini di disponibilità.
Utilizzando la metafora di Modello Operativo Interno di Craik (1943), Bowlby vuole indicare due
elementi fondamentali:
- Modello: la struttura delle rappresentazioni è relazionale e attiva;
- Operativo: la rappresentazione è un processo dinamico.
Il Modello Operativo Interno è quindi una rappresentazione interna della relazione, ovvero ciò che il
bambino si aspetta di ottenere dal proprio ambiente sulla base delle sue esperienze passate. Un
attaccamento sicuro è quindi associato a MOI flessibili che si evolvono e si adattano nel corso dello
sviluppo.
Questi Modelli Operativi Interni, in accordo con le teorie di Piaget, derivano da primitivi schemi
transazionali e da memorie delle prime interazioni sensomotorie con l’ambiente. Fondamentale per
l’elaborazione dei modelli operativi interni è il Concetto di Difesa, a cui Bowlby giunge osservando il
modello cibernetico dell’elaborazione dell’informazione, per cui un controllo centrale esclude
selettivamente una quota di informazione da tutti i processi coinvolti. Questo processo, definito
Esclusione Selettiva, avviene a livello psichico ed è un meccanismo generalmente adattivo. Va però
notato come in alcuni casi può trasformarsi in Esclusione Difensiva, concetto molto vicino a quello
attuale di dissociazione.
Bowlby teorizza anche la Molteplicità dei Modelli Operativi dovuta alla duplice natura della
memoria:
- Semantica: prevede la strutturazione di memorie e ricordi secondo il significato conoscitivo generale;
- Episodica: rappresentata da una memorizzazione degli eventi come scene specifiche del passato
autobiografico.
L’immagazzinamento delle immagini e delle relazioni con i genitori avverrà quindi almeno su questi
due livelli distinti, per cui è particolarmente comune in terapia trovare pazienti che riferiscano tratti
positivi delle figure genitoriali insieme a racconti episodici nei quali le figure di attaccamento si erano
comportante in modo traumatico.
Di conseguenza il Sé soggettivo è dato dal sé, ovvero dal Modello Operativo Interno, a cui l’individuo
ha più facile accesso, escludendo massicciamente una parte delle informazioni.
Questa selezione ha Conseguenze gravi tra cui:
- disattivazione sistematica di un sistema comportamentale, motivazionale o di significati, con la
creazione di stati di vuoto e di deficit;
- reazioni isolate cognitivamente dalla situazione interpersonale dell’individuo, per cui viene quindi a
mancare il senso soggettivo dei gesti che una persona rivolge all’altra nella relazione, con il
conseguente smarrimento del senso di agency.
Bowlby analizza anche quelle che possono essere le Cause di tali fenomeni psichici:
- evitare conflitti tra i vari sistemi valutativi interni alla persona;
- evitare gravi conflitti con i genitori, con un conseguente stato di distacco emotivo;
- distorsione tra esperienza diretta del bambino e informazioni provenienti dai genitori.
Queste teorie di Bowlby, le quali si inseriscono nel più ampio campo dell'evoluzione dell'orientamento
relazionale, cercano quindi di interconnettere informazioni provenienti da vari tipi di studio, tra cui
primariamente l'Infant Research, per fornire una visione completa ed interattiva dello sviluppo
psichico, sia esso sano o patologico, dell'individuo.
CAPITOLO 2 - MOID E LIVELLO PROCEDURALE
Bretherton (1992) offre una descrizione dei MOID sottolineando l’impossibilità di collegamento tra
differenti livelli del funzionamento mentale. Rispetto a Bowlby però l’autrice fa alcune precisazioni
importanti:
- il livello procedurale e la sua disconnessione con altri livelli è cruciale per comprendere la
psicopatologia;
- le distorsioni possono cominciare molto precocemente, prima che il bambino acquisisca un
linguaggio, sottoforma di schemi senso-motori o, come li ha chiamati Stern (1985), Rappresentazioni
delle Interazioni Generalizzate (RIG);
- il ruolo causale è portato non solo dai contesti microscopicamente traumatici, ma anche dai contesti
relazionali nei quali le microinterazioni quotidiane tra le figure di attaccamento e il bambino
impediscono lo sviluppo di processi di regolazione adeguati ed integrati.
Per quanto riguarda la molteplicità dei diversi livelli del funzionamento mentale, elemento già messo in
luce da Freud con la distinzione tra conscio ed inconscio, la ricerca attuale cerca di mostrare una
mente che lavora in parallelo a molteplici livelli inconsci e consci organizzati nel contesto della matrice
relazionale.
Mitchell (2000) propone quattro modi, che corrispondono a quattro Livelli di Funzionamento, ordinati
gerarchicamente in base al progressivo aumento di complessità:
1. Comportamento Non Riflessivo: procedurale o implicito che riguarda comportamenti presimbolici
nell'interazione microadattiva del bambino con la madre;
2. Permeabilità Affettiva: basata sul principio che gli affetti oltrepassano i confini del Sé per generare
empaticamente negli altri gli affetti corrispondenti (controtransfert);
3. Configurazioni Sé-Altro: in cui però l’altro è concepito non come soggetto distinto e autonomo ma
esclusivamente al servizio delle proprie necessità;
4. Intersoggettività: il soggetto pensa ed agisce riflettendo sulle proprie intenzioni, in relazione ad altri
soggetti conosciuti come tali.
In questo testo i MOI sono considerati moduli stratificati di funzionamento mentale che operano
parallelamente su tutti questi livelli. Va però considerato che nella clinica con i pazienti i Livelli
Principali da Tenere in Considerazione sono due:
- Livelli Procedurali: sono non simbolici ed impliciti, ed in essi la conoscenza relazionale implicita è
impiegata per regolare gli stati affettivi;
- Livelli Dichiarativi: sono simbolici ed espliciti, ed in essi l'esperienza soggettiva può essere formulata
con rappresentazioni simboliche.
Partendo dalle teorizzazioni di Bowlby sulla memoria, si giunti a riconoscere due Forme di
Conoscenza:
- Conoscenza Esplicita: riguarda l'esperienza soggettiva del "conoscere qualcosa" che permette agli
eventi memorizzati di essere richiamati alla coscienza, favorendo una loro elaborazione a livello
dichiarativo e simbolico;
- Conoscenza Implicita: riguarda il "conoscere come", è inconscia e si riferisce all'acquisizione di
abilità e mappe cognitivo-affettive. Questo tipo di memoria si esprime nel comportamento ma rimane
non pienamente verbalizzabile e soggettivamente non rappresentabile in forma simbolica.
Le teorizzazioni sui MOI hanno trovato riscontro anche nella Ricerca Empirica, di cui è utile
sottolineare tre tappe fondamentali:
- Ainsworth (1978): con lo sviluppo del paradigma della Strange Situation si è potuto osservare i
comportamenti di attaccamento che esprimono i MOI dei bambini;
- Main (1985): con l'AAI vi è stato uno spostamento dal livello del comportamento a quello delle
rappresentazioni;
- Sroufe e Fonagy (1977, 2003): lo scopo del sistema di attaccamento viene definito come regolazione
della sicurezza percepita e, in seguito, come regolazione affettiva.
Quest'evoluzione scientifica ha permesso di sottolineare tre Dimensioni Fondamentali dei MOI:
- Dimensione Interattiva: comportamenti reciproci con un'elaborazione procedurale;
- Dimensione Rappresentazionale;
- Dimensione di Regolazione Affettiva.
Fonagy e Target (2001) hanno elaborato il concetto di Capacità di Mentalizzazione (o Funzione
Riflessiva), intesa come la capacità psichica della madre di pensare e rappresentare mentalmente gli
stati del proprio bambino, inserendolo in un complesso di significati soggettivi ed intersoggettivi e
permettendogli di interiorizzare questa funzione. Tutto questo ha la funzione di promuovere nel
bambino il Senso di Agency, ovvero il senso del proprio potere nell’incidere sulla realtà.
Nell’attaccamento traumatico l’impossibilità di regolare gli affetti tramite la funzione riflessiva, negata
dalla madre, compromette l’integrazione del senso di agency. Se anche nei MOI insicuri è stato
possibile per il bambino trovare strategie di difesa rispetto alla condizione familiare, nel caso dei MOID
si giunge alla testimonianza che in alcuni ambiti esperienziali non è stato possibile sviluppare strategie
di regolazione affettiva e di organizzazione delle interazioni adeguate. Risulta quindi assente il senso
di agency, come è assente la percezione soggettiva della propria affettività.
La mente si sviluppa quindi in una Matrice Relazionale, costituita dal bambino e dalla figura di
attaccamento. La mancanza di riconoscimento e la mancanza di sintonizzazione sono condizioni che
favoriscono l’insorgere della patologia, dato che quello che viene interiorizzato non è l’affetto negativo,
ma un’assenza e un’aspettativa interrotta.
Beebe e Lachmann (2002), rifacendosi allo studio di Sander sulle microinterazioni della relazione
madre-bambino intesa come sistema diadico di auto e mutua integrazione, descrivono un livello
implicito del funzionamento mentale che chiamano Rappresentazioni Pre-Simboliche le quali
compaiono già dal secondo mese di vita e che sono frutto dei modelli di interazione. Nella mente del
bambino vi è una rappresentazione pre-simbolica del processo interattivo momento per momento, e
questa è la base per la costruzione di MOI. Il bambino quindi astrae degli schemi, tramite la
Percezione Transmodale intesa come la capacità di trasferire le informazioni percettive da una
modalità all’altra, che costituiscono dei prototipi della relazione. Questa forma rudimentale di
rappresentazione consentirà lo sviluppo successivo del pensiero simbolico e del linguaggio facendolo
giungere alla rappresentazione del Sé e dell’oggetto.
Questi autori arrivano poi a descrivere tre Principi di Salienza che organizzano la mente del bambino
che portano alla formazione di MOI:
- Principio di Regolazione Attesa: il bambino, sulla base di eventi interattivi reali ricorrenti, si forma
delle aspettative relazionali che funzionano da guida nelle transazioni con l'ambiente;
- Principio di Rottura e Riparazione: le esperienze si organizzano anche sulla violazione delle
aspettative e sul conseguente sforzo di riparare tale rottura;
- Principio dei Momenti Affettivi Intensi: le rappresentazioni mentali memorizzano le trasformazioni del
proprio stato sia in senso negativo che positivo.
Con questi concetti Beebe e Lachmann sottolineano la mancanza di flessibilità e la disorganizzazione
affettiva delle strutture psicopatologiche, sottolineando quelle che sono due caratteristiche
fondamentali dei MOID.
La Teoria del Bio-Feedback Sociale del Rispecchiamento Affettivo (Gergely e Watson, 1996)
illustra qual è il ruolo degli affetti e delle emozioni nel contesto dello sviluppo del Sé. Secondo questo
approccio il bambino è portato a livello innato a esprimere col comportamento il cambiamento dei suoi
stati affettivi interni, mentre la madre è istintivamente portata a rispecchiare i comportamenti collegati
a quegli stati interni. Questa prospettiva considera il rispecchiamento affettivo genitoriale come una
forma di bio-feedback sociale in cui il meccanismo di apprendimento è dato dalla Detezione, ovvero
la registrazione cosciente e il rilevamento dello stimolo, e dalla Massimizzazione della Contingenza.
Questo meccanismo ha due Funzioni che sono rilevabili nello spostare l’attenzione del bambino dalla
conoscenza di se stesso (contingenza perfetta) a quella della conoscenza della madre che costituisce
l’ambiente (contingenza imperfetta). Se questo meccanismo funziona il bambino si sentirà Agente
Causale Attivo nella regolazione del proprio stato affettivo. Per questo motivo si può dire che il senso
del Sé come agente auto-regolativo si basa sul rispecchiamento affettivo genitoriale.
Quando questi meccanismi non si sviluppano in modo adeguato, gli stili di rispecchiamento saranno
devianti e potranno generare esiti patologici, instaurando tendenze dissociative e un attaccamento
disorganizzato. In particolare le tendenze dissociative si avranno quando il bambino vivrà in un
ambiente in cui sono alternati momenti in cui sente di avere il controllo da quelli in cui non ce l’ha. Di
conseguenza a questo si produrrà difensivamente una sorta di spostamento all’indietro del livello di
contingenza, quindi si tornerà al livello perfetto, producendo così uno stile dissociativo di
organizzazione dell’attenzione rappresentato dalla competizione fra due bersagli, quindi quello
orientato sul sé e quello orientato sull’ambiente.
L'angoscia e il vissuto di abbandono provato dal bambino innescherà il ritiro e la dissociazione che
porta al collasso del sistema d’attenzione orientato verso l’altro.
CAPITOLO 3 - IL CONCETTO DI MOID
Il Concetto di MOID, creato a partire dalle teorie di Bowlby e sviluppato grazie agli studi degli
psicoanalisti relazionali, rimanda ad una specifica categoria di MOI, differente sia dal punto di vista del
contenuto che del processo, nella quale essi sono attivamente esclusi da forme di elaborazione
ulteriore a causa del loro potere scompensante e non hanno la possibilità di essere oggetto di
riflessione cosciente se non come consapevolezza di una mancanza.
Essi si sviluppano all'interno di Relazioni di Attaccamento Traumatico, le quali portano il soggetto a
sperimentare stati di disregolazione affettiva che vengono percepiti come elementi comportamentali
privi del senso di agency, i quali coinvolgono gli altri tramite un livello implicito di comunicazione
interattiva.
Soggettivamente l'individuo sperimenta un senso di vuoto e delle zone insensate della sua
esperienza.
Il termine Trauma, il quale rimanda ad una rottura, prevede, come sostenuto da Mitchell (1988), la
crescita del soggetto in un ambiente in cui non si sviluppa un processo di riconoscimento delle sue
specificità, dei suoi bisogni e della sua soggettività. Per questi motivi il soggetto sviluppa dei MOID i
quali agiscono anticipando la possibilità di formulazione, in termini di significato soggettivo,
dell'esperienza interattiva e minano le sue possibilità di un incontro intimo e di riconoscimento con
l'altro.
Come sottolineato da Fairbairn (1952) con il concetto di Vischiosità della Libido, la quale sarebbe
collegata con le relazioni oggettuali e non con il piacere, il concetto di attaccamento traumatico
prevede inoltre la necessità di ripetizione, nelle relazioni successive, dei modelli interattivi
internalizzati nei MOID.
Per comprendere a pieno il concetto bisogna quindi considerare Cosa Sono e Cosa Non Sono i
MOID attraverso alcune domande cardine:
1. I MOID sono "Rappresentazioni" Dissociate?: i MOID sono per definizione privi di
rappresentazione simbolica, in quanto l'esperienza relazionale che li ha generati poneva
contraddizioni insanabili tra il livello rappresentazionale simbolico e il livello implicito e procedurale.
Essi possono però diventare delle rappresentazioni;
2. I MOID sono una Nuova Sindrome?: i MOID non sono una sindrome e nemmeno una classe di
sintomi. Il termine dissociato inoltre deve essere considerato come aggettivo, quindi essi non
riguardano neanche il Disturbo Dissociativo di Personalità;
3. I MOID sono "Stati" Dissociati?: i MOID non possono essere definiti come stati, in quanto non
sono semplicemente qualcosa all'interno della mente dell'individuo. Essi sono esprimibili soltanto
attraverso la loro attualizzazione, la quale consiste negli Enactment. Si può però affermare che gli stati
dissociati sono ricompresi nei MOID;
4. I MOID sono un Processo?: i MOID, non corrispondendo ad un contenuto particolare, possono
essere descritti come un processo che porta alla riattualizzazione di configurazioni interattive. In altre
parole essi sono un processo che elabora un processo interrotto, identificabile nella regolazione degli
affetti e nella costruzione di significati intersoggettivi;
5. I MOID si Situano a un Livello Procedurale e sono Inconsci?: i MOID funzionano a livello
procedurale nella mente come conoscenze relazionali implicite, e per questo motivo rimangono
inconsci;
6. MOID è un Altro Termine per Indicare la Conoscenza Procedurale?: i MOID governano solo
una parte della conoscenza procedurale, identificata in quella zona di esperienza che è stata
influenzata dall'attaccamento traumatico;
7. I MOID Consistono in un Deficit e in un Arresto Evolutivo?: i MOID non si esprimono in conflitti
intrapsichici, ma corrispondono all’arresto dello sviluppo della competenza nel regolare i propri stati
affettivi e nel costruire i significati della propria esistenza. Nella prospettiva della molteplicità ciò che si
arresta non è l’interno funzionamento mentale, che invece si adatta ai processi interni e interattivi, ma
vi è una trasformazione dei MOI in MOID. L'obiettivo della terapia sarà allora quello di generare MOI
alternativi attraverso la negoziazione intersoggettiva attuata nel dialogo terapeutico, la quale permette
di avere fiducia in nuove possibilità interattive;
8. I MOID si Sviluppano Definitivamente nell'Infanzia?: anche se generalmente i MOID si
sviluppano nel corso del processo di crescita infantile e adolescenziale, essi si possono consolidare
ed esprimere anche in età adulta a causa di gravi esperienze traumatiche;
9. I MOID sono Strutture che Contengono una Configurazione Sé-Altro?: come i MOI, anche i
MOID sono una struttura derivata da esperienze relazionali e hanno quindi una configurazione diadica
Sé-altro. In essi però non vi è un integrazione tra questi due elementi, e spesso i MOID prevedono
uno sbilanciamento del funzionamento mentale verso la centratura sui bisogni dell'altro. Esempio di
questo processo è l'Identificazione con l'Aggressore proposta da Ferenczi.
Nel corso di una Psicoterapia, i MOID si esprimono nell’interazione terapeuta-paziente e necessitano
della soggettività del terapeuta per essere riconosciuti. L’elaborazione dei MOID in psicoterapia
consiste nello sviluppo di modalità alternative di costruire relazioni intime che il soggetto riconosce
come proprie e vitali. Il processo psicoterapeutico è attraversato dalla rivitalizzazione dolorosa delle
aspettative e degli affetti connessi ai MOID e dalla riattivazione della speranza di incontrare possibilità
relazionali più sicure e funzionali allo sviluppo.
Il processo di separazione dai MOID deve affrontare anche un paradosso, rivelabile nel doversi
separare da qualcosa che non si è mai avuto.
CAPITOLO 4 - PARADOSSI E MOID
Considerando il Paradosso come ciò che è in apparente contraddizione con l'esperienza comune o
con i principi elementari della logica (Devoto e Oil, 1990), esso in psicologia si rivela come il tentativo
di contenere, ma non risolvere, le contraddizioni, mantenendo attive le tensioni fra gli elementi
antitetici.
Quello che può essere definito come il Paradosso degli Attaccamenti Traumatici è quindi
l'esperienza di un genitore che consola ma che contemporaneamente ferisce i sentimenti e i desideri
del bambino. Tale situazione può creare i MOID, in quanto la forza di elementi ambivalenti così grandi
non sono gestibili nel corso dello sviluppo.
Per Pizer (1998) la tolleranza del paradosso è una conquista evolutiva che determina la capacità di
stare nella molteplicità delle esperienze, interne e relazionali, preservando un senso di integrità nel
tempo.
Se il Conflitto Intrapsichico può essere risolto tramite rinunce o repressioni, in quanto permette un
ampio accesso alla rappresentazione simbolica ed al linguaggio, il paradosso viola la logica
dell'esistenza di ciò che sta nel mezzo, per cui rende una proposizione vera e falsa allo stesso tempo.
Paradossi particolarmente severi possono quindi portare alla formazione di MOID, i quali giungono,
dato il fallimento del tentativo di integrare e negoziare paradossi intollerabili, a restituire una Diffusione
del Sé, quindi una difficoltà a negoziare ed integrare le molteplicità.
Il concetto di MOID conduce quindi ad una serie concatenata di paradossi:
- qualcosa che è all'interno della mente ma si manifesta solo nelle relazioni;
- qualcosa che crea disconnessioni ma permette la coerenza della coscienza;
- qualcosa che è legato alla mortificazione ma cerca ambiti dissociati di vitalità;
- il soggetto è contemporaneamente adulto e bambino.
Nella Psicoterapia Psicoanalitica Relazionale si lavora sugli enactment dei MOID e questo
comporta un confronto continuo con la ripetizione di configurazioni interattive ambivalenti.
Nel corso dell'analisi altri paradossi rilevanti sono:
- Paradosso del Cambiamento: il paziente chiede di cambiare rimanendo uguale a se stesso;
- Paradosso della Speranza: voler essere accettati per quello che si è e desiderati per quello che si
vuole diventare;
- Paradosso del Lutto: tentativo di accettare la perdita di qualcosa che non si è mai avuto.
Nonostante nel testo verranno presi in considerazione altri paradossi, bisogna sempre rivelarsi in
grado di considerare i MOID come Processo e come Paradosso.
PARTE SECONDA
LA DISSOCIAZIONE NELLA PSICOANALISI RELAZIONALE E I MOID
CAPITOLO 5 - LE ORIGINI DEL CONCETTO DI DISSOCIAZIONE E IL FONDAMENTO
DELLA PROPSPETTIVA RELAZIONALE SULLA DISSOCIAZIONE NEL PENSIERO DI
FERENCZI
Introduzione
Per Dissociazione, nonostante la varietà di definizioni presenti nelle singole discipline, si intende
comunemente la perdita, da parte del soggetto, della capacità di integrare o associare informazioni e
significati delle esperienze vissute in modo mediamente prevedibile. Esso non sempre è un processo
patologico, infatti brevi esperienze di stati alterati della coscienza e del senso di Sé sono rintracciabili
in alcuni ambiti della quotidianità. Nonostante questo il trauma e i problemi di attaccamento sono
variamente collegati agli stati più gravi di dissociazione.
Il concetto di dissociazione rimanda poi a quello di Molteplicità. Gli autori postmoderni, tra cui Stern
(1997), sono concordi nel descrivere il senso di unitarietà, coesione e continuità nella percezione del
sé come una semplice illusione adattiva, mediata dalla
funzione di sintesi dell'identità, che sottende invece ad una molteplicità di Sé costruiti socialmente
nella matrice intersoggettiva della relazione. Questa molteplicità di Sé è costituita da una molteplicità
di modalità di costruire significati dell'esperienza interattiva in vari ambiti. Se i confini tra questi ambiti
si irrigidiscono, i processi dissociativi possono dar vita alla patologia dissociativa.
Può rivelarsi ora utile analizzare i principali contribuiti degli autori che hanno sviluppato in modo
significativo il concetto di dissociazione.
Gli "Studi sull'Isteria" di Freud e Breuer
Il concetto di dissociazione deve le sue origini anche a Freud e alle prime teorizzazioni
psicoanalitiche. Negli "Studi sull'Isteria" (1892-1985) Freud e Breuer parlano di difese messa in atto
contro i traumi nei termini della rimozione, quindi quando un contenuto mentale è sgradito alla
coscienza deve essere sospinto nell'inconscio, ma viene introdotto anche il concetto di dissociazione,
il quale è usato per comprendere la patologia, in quanto osserva come vi sia netta distinzione tra gli
stati della coscienza vigile e quelli indotti dall'ipnosi e ipotizza questa dissociazione come origine
dell'isteria. Vi sarebbero quindi, per Freud, delle disconnessioni della coscienza che creano i classici
casi di Doble Conscience. Con l'abbandono della Teoria della Seduzione, nel 1897, e la rilevanza data
alle fantasie intrapsichiche dei pazienti, Freud allontanerà però questo concetto dalla formulazione
della sua Metapsicologia.
La Teoria di Pierre Janet
Nel suo testo "L'Automatisme Psychologique" (1889), Pierre Janet è il primo grande autore a studiare
sistematicamente la dissociazione come processo psicologico cruciale con cui l'organismo reagisce al
trauma, trasformando emozioni, pensieri e cognizioni connessi al trauma in Idee Fisse Subconscie,
ovvero memorie collocate automaticamente nella coscienza separata, a causa dell'impossibilità di
darvi un senso, anche se queste idee subconscie continuano ad influenzare la vita del soggetto. Infatti
le
esperienze traumatiche sfuggono alla sintesi del soggetto e la psicopatologia viene influenzata dalla
relazione inversa tra due elementi:
- intensità della reazione emotiva (quindi intensità del trauma);
- capacità di elaborare concettualmente e verbalmente.
I Sintomi Psicopatologici che derivano da questo stato dissociativo, i quali impediscono una
concettualizzazione e quindi una liquidazione di questi eventi dalla memoria, creano il fenomeno della
Fobia della Memoria, il quale li rende intrusivi e preserva la loro azione sottoforma di percezione
paurose.
Il Contributo di Sàndor Ferenczi: Origini e Fondamenti di una Comprensione Psicoanalitica del
Trauma e della Dissociazione
Ferenczi ha dato un'impronta fondamentale alla moderna psicoanalisi relazionale, per l'enorme
importanza data alla relazione. Rispetto alla teoria che sottende alla pratica clinica, egli osserva come
la terapia non possa essere più ridotta ad una sorta di introspezione guidata, ma occorre sottolinearne
gli aspetti intersoggettivi e relazionali. Si differenza inoltre dalla tradizione psicoanalitica classica
anche per la concezione di inconscio in quanto, al contrario di Freud, egli ritiene che l'inconscio sia un
sistema di significati residuali legati alle relazioni di accudimento traumatiche, che implica una
molteplicità di modi di essere che, in via di costituzione, possono essere traumaticamente interrotti.
Ferenczi parla allora della Dissociazione, anche se lui la chiama costantemente Scissione, come di
una reazione specifica al trauma psichico, inteso come un violento attacco alla possibilità di
comprendere il senso dell'esperienza, ovvero all'essenza stessa della mente.
Le Reazioni del Bambino al Trauma Psichico possono essere diverse:
- Immediati Processi Dissociativi: i quali cancellano tutte le dimensioni percettive ed espressive
dell'esperienza;
- Identificazione con l'Aggressore: con un processo di introiezione, il bambino attiva due meccanismi:
- uno volto ad intuire i desideri dell'aggressore;
- uno teso ad assecondare questi desideri cercando di salvarsi).
Entrambe queste reazioni instaurano modalità psichiche e relazionali attraverso la creazione di MIOD.
Nel Contesto degli Attaccamenti Traumatici i genitori legano a sé i figli attraverso tre modalità:
- terrorismo della sofferenza;
- amore passionale;
- punizione passionale.
In questi casi la mente del bambino opera quindi un'Autotomia, organizzando le diverse parti del Sé
come personalità distinte, in cui una di queste parti subisce un definitivo arresto mentre un'altra è
sottoposta a precoce maturazione. E' questo secondo caso quello che viene definito Progressione
Traumatica che può rappresentare una reazione del bambino al trauma psichico.
Un'altro elemento che Ferenczi mette in luce è quello di Inversione dei Ruoli, il quale ha la funzione
di salvare il bambino da genitori incontrollati attraverso l'identificazione stessa del bambino con quelle
che invece dovrebbero essere funzioni strettamente genitoriali.
Breve Cenno al Pensiero di Winnicott sulla Dissociazione
Il pensiero di Winnicott è uno dei punti di riferimento della psicologia interpersonale sia per la
preminenza assegnata alla comunicazione pre-simbolica che per quella assegnata alla diade
madre-figlio nello sviluppo del sé.
Alla nascita Winnicott colloca uno Stato di Non Integrazione Primaria, funzionale allo sviluppo e da
cui il bambino si organizza in un essere unico e unitario. La creatività dell'adulto dipende dalla
capacità dell'individuo di rimanere in contatto con questo stato non ancora integrato del Sé.
Le Fasi di Sviluppo successive sarebbero, per Winnicott (1945):
- Integrazione;
- Personalizzazione (rapporto stretto ed agevole tra psiche e soma);
- Acquisizione del Senso di Realtà.
Nello sviluppo un ruolo fondamentale è assegnato alla Madre, la quale fornisce al bambino
un'organizzazione dell'esperienza tramite le percezione organizzate che ha di lui e che le derivano da
una particolare sensibilità, detta Preoccupazione Materna Primaria. Grazie a questa sensibilità, la
madre riesce a sintonizzarsi affettivamente e cognitivamente con il suo bambino diventando per lui
strumento di onnipotenza e mezzo per l'assenza di forma.
A causa però di alcune Deficienze Materne il bambino può fare esperienza di una mancanza di
continuità che si traduce in una minaccia di annichilimento. In tali casi si instaura quindi un processo di
frammentazione, definibile come una dissociazione tra Vero sé e Falso sé adattivo.
Altro concetto fondante della teoria winnicottiana è il concetto di Oggetto Transizionale, ossia il
prolungamento dell'illusione dell'onnipotenza sperimentata nella relazione con la madre che rende
possibile l'accettazione della realtà esterna e della possibilità di restare solo con se stesso. Esso serve
quindi per sostituire qualcosa compensandone l'assenza.
In questa logica i MOID possono essere interpretabili come oggetti transizionali perduti, i quali hanno
perso il loro ruolo dopo una certa persistenza di inadeguatezza dell'oggetto esterno.
Fairbairn: Repressione, Dissociazione e Modello della Mente
Secondo il pensiero di Fairbairn, la Dissociazione è il processo più primitivo della mente, e svolge
una funzione primaria. Infatti la Repressione è una meccanismo psichico difensivo utilizzabile solo
quando la coscienza può riconoscere l'incompatibilità dei diversi contenuti psichici, che quindi devono
avere una dimensione simbolica e concettuale. La dissociazione è invece un meccanismo di difesa
molto più primitivo in quanto non presuppone l'elaborazione e l'integrazione dei diversi contenuti
traumatici. Proprio per questa pervasività della dissociazione, la Posizione Basilare della Psiche è
Schizoide. Nel suo sviluppo quindi il bambino divide l'oggetto in diversi oggetti interni (ad es. madre
gratificante, madre frustrante e madre eccitante). Queste introiezioni andranno poi a stratificarsi
strutturando la personalità e il Sé del bambino, per cui l'oggetto gratificante si lega all'Io Centrale,
l'oggetto eccitante si lega all'Io Libidico e l'io frustrante si lega all'Io antilibidico o sabotatore.
Se l'Io Centrale, responsabile delle relazioni, si relazionerà con gli oggetti cattivi attraverso i mandati
della Difesa Morale, da intendere come l'identificazione con l'oggetto ideale e con le sue modalità
difensive, il soggetto si troverà a vivere una parte di se stesso come cattiva e deciderà di metterla in
atto oppure di cercare relazioni simili.
Il Modello di Fairbairn offre quindi un idea del funzionamento mentale che si regge sulla divisione in
molteplici strutture, alcune delle quali dissociate e che portano l'individuo a stringere relazioni che le
attualizzino.
CAPITOLO 6 - ALCUNE RIFLESSIONI PSICOANALITICHE SUCCESSIVE SULLA
DISSOCIAZIONE
Può risultare utile analizzare alcune Riflessioni Psicoanalitiche Successive sulla Dissociazione:
1. Kohut (1971): sviluppa il concetto di Scissione Verticale, da intendere come una scissione che
separa un intero segmento della psiche da quello che include il Sé centrale, quindi un nuovo
meccanismo di difesa che promuove un cambiamento strutturale, cronico e specifico in relazione alla
struttura psichica narcisistica. Questa difesa si mette in atto quando il bambino percepisce che i
proprio bisogni mettono in pericolo la relazione di attaccamento dato che si rivelano in contrasto con i
bisogni dei caregiver;
2. Goldberg (1999): uguale all’esclusione difensiva di Bowlby, la cui funzione principale è impedire
l’accesso alla coscienza di contenuti dolorosi, la Scissione Verticale di Goldberg si verifica perché in
origine nell’infanzia il comportamento del genitore e le regole da lui dettate, sia esplicite che implicite,
creano nel bambino una sorta di ripartizione della personalità in settori paralleli. L'esperienza di
sentire la propria Mente che si Sdoppia è abbastanza familiare per molti pazienti e consiste nella
sensazione di ambivalenza che porta a scegliere fra due possibilità che vengono ritenute entrambe
allettanti. La scissione verticale si origina quando la scelta deve essere effettuata fra obiettivi che
hanno dei significati diversi e opposti che riflettono stili di vita diversi. Nel caso della scissione
orizzontale il soggetto opta per una soluzione mentre l’altra viene scartata e vi si rinuncia. Un
processo mentale patologico associato alla scissione verticale è, per Goldberg, il Diniego per mezzo
del quale il soggetto cerca disperatamente di dimenticare e risparmiarsi dalle assenze e dalle
manchevolezze delle figure genitoriali. Il diniego in alcuni casi può essere favorito dai genitori che
scoraggiano il bambino a parlare di questioni angosciose mandandogli il messaggio che se non se ne
parla spariranno. Nella scissione verticale nessuna delle due parti vuole perdere e così si innesca la
patologia mentre quando le realtà si fanno contrastanti, in quanto portatrici di obiettivi e sistemi di
valore incompatibili s’innesca il diniego, in quanto ciascuna parte scissa del Sé vuole sconfiggere
l’altra (ad es. psicosi). L'esperienza soggettiva di individui in cui è in atto la scissione verticale è quella
di percepire dentro di sé una parte diversa ed estranea e il soggetto può sviluppare verso di essa un
atteggiamento di rifiuto o di tolleranza, questo vuol dire che personalità diverse possono esistere
dentro la stessa persona. Questo però porterà la persona stessa a sentire una lotta interiore portatrice
di sofferenza. La reazione comune a questo conflitto è quella dell’occultamento secondo cui la parte
negativa della personalità viene nascosta a se stessi e agli altri. Entrambi, Scissione Verticale e
Diniego, portano al Fallimento della Sintesi, che si realizza con un evitamento costante
dell'integrazione, il quale ha effetti anche sulla relazione caregiver-bambino, non rendendo più
possibile la sintonizzazione e promuovendo quindi la formazione dei MOID. Bisogna poi distinguere
tra tre Tipi di Scissione Verticale:
- Disturbi di Personalità: in cui la parte scissa è un trionfo di fantasie;
- Disturbi della Condotta: la parte scissa creca di raggiungere e soddisfare i propri bisogni attraverso
atti condannati socialmente, siano essi nascosti o palesi;
- Disforica: caratterizzata da una parte scissa che provoca angoscia e che rimanda ad affetti dolorosi.
In questo caso le personalità parallele non portano benessere ma angoscia e depressione.
3. Stolorow e Atwood (1992): questi autori riconcettualizzano nella prospettiva intersoggettiva il
termine Inconscio. Secondo gli autori i modelli ricorrenti di transazione intersoggettiva portano alla
costituzione di principi invarianti che organizzano inconsciamente le esperienze del bambino. Questi
principi invarianti diventano parte della soggettività. Tali Principi Invarianti sono distinti come tre forme
di inconscio:
- Inconscio Preriflessivo: opera automaticamente secondo l’emotività;
- Inconscio Dinamico: informazioni emotive che erano consce ma sono dovute essere dimenticate
perché erano in conflitto;
- Inconscio Non Convalidato: gli eventi interpersonali che non si sono mai potuti costituire pienamente
perché non sono mai stati riconosciuti.
Anche la stessa concezione della coscienza cambia, in quanto essa si articola progressivamente
grazie alla risposta convalidante dell'ambiente.
4. Bollas (1987-1995): questo autore crea la nozione di Conosciuto Non Pensato, il quale è un
fenomeno dissociativo che tratta l’esperienza non formulata costitutiva del sapere relazionale implicito
che, se dissociato, dà vita ai MOID.
Per Bollas il bambino non interiorizza rappresentazioni dei genitori e delle relazioni con essi, ma i loro
processi mentali in forma di memoria profonda. Le modalità di assegnazione dei significati
all’esperienza che i genitori trasferiscono ai figli sono il conosciuto non pensato.
Tali norme sono assimilate dal bambino ed entrano a far parte del suo Io e la madre, per Bollas, ha
una funzione trasformativa
L'Io ha struttura relazionale ed è il prodotto delle negoziazioni dell'Io con gli altri, quindi è la storia di
molti rapporti.
La differenza tra il conosciuto non pensato e la rimozione primaria freudiana è che quest’ultima non
contemplava lo scambio relazionale. Nelle situazioni peggiori il bambino va incontro a esperienze di
Introiezione Estrattiva che è l’atto intersoggettivo con cui la figura di attaccamento ruba qualcosa dalla
mente del bambino aggredendolo e sostenendo che il bambino manca della caratteristica psichica che
gli è stata rubata. Bollas, seguendo Ferenczi, afferma che se la figura di attaccamento attua un
diniego dell’esperienza interna del bambino quest’ultimo dissocia dal proprio interno quell’esperienza,
e per mantenere il contatto con l’aggressore il bambino rinuncia a parti della sua vita psichica
ponendo le basi per un senso di vuoto che lo accompagnerà per tutta la vita. Bollas dice che i Genitori
Normotici che non hanno la capacità di riconoscere gli stati del bambino danno come risultato il
conosciuto non pensato, inteso come la memoria implicita nelle esperienze intersoggettive.
5. Steiner (1993): creando il concetto di Rifugio della Mente, Steiner crea una modalità che può
aiutare nel capire come la mente dei pazienti cerchi di difendersi dalle sensazioni sgradevoli che ci
sono nei MOID. Il rifugio della mente è un luogo creato per fuggire dalle relazioni reali vissute come
troppo dolorose e insopportabili. In questi rifugi i soggetti si sentono protetti anche se questo non li
protegge dal continuare a soffrire. Per Steiner il rifugio della mente rappresenta l’attività di
organizzazione patologica della personalità intesa sia come raggruppamento di difese sia come un
sistema di relazioni oggettuali molto strutturato derivato da sensazioni di rancore e/o offesa
sperimentate dal soggetto che però non è in grado di esprimere.
6. Benjamin (1995-2002): sviluppa una Teoria Intersoggettiva del Processo di Riconoscimento.
Nell'affermazione di sé stessi come soggetti autonomi e indipendenti, è contemporaneamente
necessario riconoscere all'altro la stessa dignità di soggetto perché possa offrire un riconoscimento
costruttivo. È questo il paradosso fondamentale del bisogno di riconoscimento, in quanto nel
momento in cui si realizza il desiderio di indipendenza si diventa anche dipendenti da qualcun'altro
che possa riconoscerlo.
Durante lo sviluppo la figura di attaccamento deve sostenere questo paradosso di grande importanza
evolutiva ed essere in grado di fissare confini chiari per il figlio ma, contemporaneamente,
riconoscerne la volontà, insistere sulla propria indipendenza e rispettare quella del figlio stabilendo un
equilibrio tra assertività e riconoscimento. Se non lo farà l’onnipotenza persisterà e verrà attribuita
alternativamente ora alla madre ora a se stessi e non sarà favorito mai un riconoscimento reciproco.
Il fallimento del processo di riconoscimento psichico durante lo sviluppo favorisce l'insorgere dei
MOID. Ci possono essere due Casi Prototipici:
- in un contesto traumatico al bambino sono offerti pochi strumenti psichici per fronteggiare le difficoltà
di regolazione affettiva e comprensione del significato dell’esperienza. Questa generale trascuratezza
porta alla dissociazione e la formazione di MOID;
- la mancanza di riconoscimento in ambiti specifici e ricorrenti in modo sistematico nella vita di un
bambino. In questo caso alcune parti possono essere dissociate selettivamente (ad es. sessualità,
impulsività, dipendenza o autonomia).
Quindi nell’interiorizzazione dei MOID, così come lo intende la Benjamin, vi è una formazione di
processi mentali che escludono il possibile presentarsi alla coscienza di alcune esperienze che non
possono essere elaborate nel processo di riconoscimento.
7. Aron (1998): con il termine Intersoggettivo, Aron intende due modalità complementari
dell’esperienza, nelle quali ci si pone in relazione con sé e con l’altro sia in qualità di soggetto che di
oggetto. Aron si riferisce direttamente a James (189) facendo proprio il termine di Autoriflessività,
intendendo con essa l'essere consapevoli della propria consapevolezza, in quanto è questo che
permette di dare un senso alla vita.
Per Aron il concetto di Autoriflessività coinvolge anche il corpo in quanto l’immagine e la
rappresentazione che le persone possiedono di se stesse poggia sulle sensazioni corporee che hanno
sperimentato. Il Sé per Aron è quindi potenzialmente corporeo, e uno degli effetti del trauma consiste
nel disgregare il legame del Sé come oggetto e del Sé come soggetto. In sostanza la dissociazione si
verifica tra corpo e mente, tra Io-Me e tra pensiero e affetto.
CAPITOLO 7 - DA SULLIVAN A BROMBERG E ALLA CONCEZIONE CONTEMPORANEA
SULLA MOLTEPLICITA' E I PROCESSI DISSOCIATIVI
Sullivan e la Costruzione Interpersonale dell'Esperienza
Harry Stack Sullivan può essere concepito come l'ideatore della Approccio Interpersonale, il quale
prevede un netto rifiuto della concezione pulsionale freudiana e delle sue implicazioni, considerando
quindi la personalità come lo schema relativamente stabile delle situazioni interpersonali tendenti a
ripetersi che caratterizzano una vita umana. L'unità minima di studio è quindi, secondo
quest'impostazione, la situazione interpersonale.
Sullivan considera poi il sentimento di unicità individuale un'illusione narcisisticamente investita, per
cui risulta cardine il concetto di Molteplicità, tanto che egli arriverà ad affermare che "per quel che ne
so, ogni essere umano ha tante personalità quante relazioni interpersonali" (1970).
Egli ipotizza tre Modi di Esperienza:
- Prototassico: modo più semplice e più antico, caratterizzato dall'alternanza di bisogno e
soddisfazione, costituito da una sorta di registrazione di tutti gli eventi che attraversano la coscienza,
ma non vengono necessariamente connessi ed integrati;
- Paratassico: il bambino è in grado di identificare e riconoscere oggetti diversi sulla base di differenze
e analogie. Secondo Sullivan la maggior parte del nostro funzionamento mentale non supera questo
livello;
- Sintassico: le esperienze trovano un'elaborazione raffinata e vengono organizzate simbolicamente,
diventando quindi comunicabili.
Sullivan non considera l'Angoscia come un semplice sintomo, ma essa sarebbe identificabile in una
forma di organizzazione, o di disorganizzazione, del mondo interno. L'angoscia della madre, se
presente, può infatti costituire per il bambino l'assenza totale di riconoscimento e quindi di significato
e, non avendo egli alcuno strumento per fronteggiare questa esperienza, mette in modo processi di
scompaginamento della soggettività, originando i MOID. Quindi l'esperienza discriminante perché il
bambino sperimenti o meno degli stati angosciosi è la presenza/assenza di stati angosciosi nella
madre, situazione definita da Sullivan con la distinzione tra Buona Madre e Cattiva Madre, che
sottende alle caratteristiche temperamentali di chi accudisce il bambino, fornendo quindi quella che
Mitchell definirebbe come la Matrice entro la quale si va strutturando la personalità.
Nel corso dello sviluppo il bambino sviluppa una Personificazione Multipla Tripartita:
- Me Buono: personificazione iniziale che integra le esperienze soddisfacenti;
- Me Cattivo: personificazione iniziale che integra le esperienze angoscianti;
- Non-Me: stadio paratassico che costituisce un sistema dissociativo, non comunicabile, presimbolico
ed implicito, il quale si trova alla base dei MOID.
Il Sistema del Sé funziona dinamicamente come sintesi di queste tre dimensioni, servendosi di
Operazioni di Sicurezza per mantenere attiva la disattenzione selettiva sul Non-Me, e tra queste
operazioni di sicurezza, all'estremo patologico del continuum, figura la dissociazione. Quindi solo le
esperienze a cui gli altri reagiscono significativamente vengono a far parte integrante del Sé mentre le
altre esperienze vengono dissociate.
Se la dissociazione non è per Sullivan direttamente manifestazione di psicopatologia, essa può
divenirlo quando diventa il modo principale per difendersi dall'angoscia, quindi quando il Bisogno di
Sicurezza prevale sull'espressione di tutti gli altri bisogni.
La Differenza con i MOID è che quest'ultimi vengono visti come riguardanti un potenziale evolutivo,
quindi un tentativo di ricercare stati in cui ci si sente vivi a discapito della dissociazione di settori della
realtà mentre per Sullivan la dissociazione prevede aree di sicurezza e tenerezza che, se non
sperimentate nell'infanzia, non verranno mai ricercate nella vita adulta.
Philip Bromberg: Stare tra gli Spazi
Philip Bromberg propone una Concezione della Mente come una complessa organizzazione di
molteplici e discontinue versioni del Sé che si connettono tra loro in modo dialettico, formando la sana
illusione di possedere un Sé integro ed unitario, sensazione che svolge un'importante funzione
psicologica adattiva.
La Dissociazione viene vista da Bromberg come un processo fisiologico attivo nella mente di ogni
individuo attraverso cui un essere umano è in grado di mantenere la coesione in se stesso. L'idea di
salute di Bromberg non rimanda quindi all'integrazione, ma alla Capacità di Stare tra gli Spazi di
differenti realtà senza perderne alcuna.
La Dissociazione Patologica si realizza quando i fallimenti ambientali nel processo di
sintonizzazione e riconoscimento affettivo diventano recidivi, lasciando nella mente del bambino un
vuoto, chiamato da Bromberg uno Stato di Non-Me. In questo caso di dissociazione post-traumatica, il
caregiver disconosce sistematicamente lo stato mentale del bambino, per cui egli crescerà diffidando
della sua capacità di riconoscere e dare significato affettivo agli eventi, danneggiando il senso stesso
della sua esperienza e il suo senso di agency.
Queste esperienze diventano il contenuto dei MOID attivi nel bambino, sotto forma di memorie
implicite, che non possono essere narrate, ma solo agite attraverso Enactment provenienti dalla
memoria esperienziale e procedurale.
Donnel B. Stern: Esperienza Non Formulata, Dissociazione e Immaginazione
Donnel Stern, il quale è attualmente considerato come uno dei capiscuola della Psicoanalisi
Interpersonale, considera la Dissociazione come Esperienza Non Formulata, in quanto essa è
composta da sensazioni percezioni e pensieri privi di chiarezza e differenziazione dato che sono
elementi che non hanno mai avuto accesso alla coscienza. L’Esperienza Non Formulata si manifesta
quindi sotto forma di assenze, lacune, contraddizioni, stereotipi e ripetizioni del materiale portato in
terapia, e necessita di un Linguaggio Creativo e dell'Immaginazione, da contrapporre a quello
logico-empirico, per venire integrata. La dissociazione, o Esperienza Non Formulata come la chiama
Stern, può avere due destini:
- Disordine Creativo: favorisce nuove forme di espressioni di se stessi;
- Caos Familiare: tende a mantenere allo stato non formulato l’esperienza. Il caos è la forma naturale
di un pensiero non sviluppato e la necessità di mantenerlo tale ha origine nel contesto famigliare di
origine. Il caos che rimane nella mente individuale rivela così la sua matrice interpersonale.
Con il termine Caos, Stern coglie l’aspetto di disorganizzazione che anche la teoria dell’attaccamento
ha messo in luce rispetto agli attaccamenti traumatici, quindi la mancanza di flessibilità di questi
dinamismi. Il caos è la forma naturale del pensiero non sviluppato e la necessità di mantenerlo tale ha
origine nel contesto familiare.
L’Esperienza Non Formulata come Caos Familiare può racchiudere il mandato genitoriale inconscio
volto a impedirne attivamente la formulazione. In questo caso la dissociazione risulta un modo di
strutturare rigidamente l’esperienza in cui questa proibizione è contenuta come parte costitutiva. Ed è
in questa formulazione che si vede la connessione con i MOID, in quanto anch'essi si possono
manifestare solo nelle interazioni che ripercorrono rigidamente le configurazioni del passato.
La Dissociazione proposta da Stern è un Processo Attivo di cui la mente dispone per prevenire
l'interpretazione del significato di un'esperienza, volto alla salvaguardia della vita mentale stessa.
Essa è quindi interpretabile come un impedimento attivo rispetto al riflettere sull’esperienza.
Stern teorizza poi due Forme di Dissociazione:
- Forma Forte: prevede la dissociazione come attiva e si avvicina al concetto di MOID. Essa viene
quindi vista come un processo attivo di difesa che corrisponde a un evitamento inconscio di certi tipi di
esperienza che hanno già qualche tipo di struttura non linguistica inconscia, quindi esperienze che
esistono come azioni o pratiche;
- Forma Debole: considera la dissociazione come passiva e indiretta. In questi casi il significato in
questione non è rinnegato del tutto, ma è completamente implicito. In pratica non si è prestato
attenzione al modo in cui si sarebbe potuto formulare un certo significato. Essa è quindi una
dissociazione passiva e indiretta che si manifesta distogliendo l’attenzione in modo da non notare i
significati alternativi.
Pizer e la Dissociazione come Impossibilità di Costruire Ponti tra le Isole del Sé
Staurt A. Pizer, psicoanalista newyorkese, offre un contributo originale alla Psicoanalisi Relazionale.
Secondo questo autore la realtà interna è costituita dalla molteplicità, da intendere come un
arcipelago di Isole Separate di Esperienza Soggettiva connesse tra di loro da ponti. Ciascuna di
queste isole contiene in Sé un conflitto e differenti livelli di coscienza. La mente è quindi costituita da
molte isole i cui Collegamenti possono essere:
- Stretti;
- Paradossali.
La capacità di tollerare il paradosso permettere al Sé di tollerare lo stare tra gli spazi e di sostenere
uno scambio costruttivo lungo lo spazio tra le varie isole. Ci sono poi le isole senza ponti, in cui quindi
tutti i ponti sono stati distrutti, ed è in queste aree che si sviluppa la Dissociazione. La mente ha
comunque la capacità di sintesi, permettendo la formazione di questi ponti e producendo quella che
Sullivan e Bromberg chiamano la necessaria illusione di essere un Sé Integro.
La realtà interna quindi non è unitaria, ma è costituita da Realtà Molteplici:
- Sé Distribuito: un Sé che organizza la molteplicità interna collegando le varie isole;
- Sé Dissociato: formato da molteplici realtà sconnesse tra loro.
La Dissociazione, per Pizer, è un processo di base e si crea quando si concentra adattivamente
l’attenzione. È possibile comunque distinguere tra dissociazione come focalizzazione dell’attenzione e
Dissociazione come Organizzazione delle Strutture Mentali, le quali rimangono scollegate fra loro nel
tempo, permettendo così la formazione dei MOID.
Il mantenimento del sé dissociato dipende dal grado di shock. La molteplicità del sé si suddivide in sé
distribuiti e dissociati, e la differenza sta in due Fattori:
- Severità del Paradosso;
- Incapacità di Connettere il Grado di Shock.
Rispetto alle Funzioni Materne, Pizer utilizza la Metafora del Direttore d'Orchestra. Essa servirebbe
quindi come collegamento tra due mondi separati, collegando quindi il Mondo dell'Esaltazione con il
Mondo della Delusione e aiutando il bambino a negoziare la transizione degli stati e degli affetti, ad
accettare le discrepanze e a sentire che anche quello che è al di là della comprensione può essere
accettato. E' proprio attraverso questa Negoziazione della Transizione tra gli stati che il bambino
sviluppa la competenza per collegare la molteplicità di esperienze contraddittorie e paradossali del Sé
e di Sé-con-gli-altri, potendole così contenere al proprio stato interno.
Pizer fa quindi una riformulazione del concetto della funzione di rispecchiamento della madre, come
funzione di collegamento fra diversi stati. Il Rispecchiamento deve quindi essere:
- Empatico: quando vi è sintonizzazione;
- Impreciso: quando è differente.
In questo modo il bambino può imparare a tollerare quei momenti in cui non vi è armonia nella diade.
Una Caleidoscopica Molteplicità: il Punto di Vista di Jody Davies sul Trauma, l'Inconscio e la
Dissociazione
Jody Messler Davies e Mary G. Frawley scrivono un articolo nel 1991 in cui si occupano
principalmente di Pazienti che hanno Subito un Abuso Sessuale Infantile. Andando oltre la lettura
critica della ritrattazione freudiana della Teoria della Seduzione, le autrici descrivono l'esperienza dei
pazienti abusati tramite due Metafore:
- Sé come Bambino;
- Sé come Adulto.
Visto il tradimento che questi pazienti hanno subito a livello precoce è come se in analisi si interagisse
con due personalità, quindi con un adulto che lotta per relazionarsi e dimenticare, e con un bambino
che combatte per ricordare e trovare la voce per urlare al mondo l'oltraggio subito. Il Sé-Bambino
custodisce quindi la rabbia e ha un sistema di difese primitivo e fragile, il quale si esprime attraverso
gesti e interazioni.
Queste autrici presentano il Funzionamento Mentale, in accordo con la Teoria dei MOI e dei MOID,
come un insieme articolato di processi descritti come relazioni tra sotto-personalità.
A volte il paziente è abbastanza consapevole del Sé bambino e del Sé adulto ma essi possono
rivelarsi in disaccordo nel decidere quali sia il bisogno prioritario da soddisfare:
- Sé Bambino: pensa che il sé adulto si sia venduto diventando grande, diventando come colui che gli
ha fatto del male, e di conseguenza farà di tutto per sabotare il sé adulto;
- Sé Adulto: da parte sua odia quel bambino sadico e distruttivo che vorrebbe rammentargli di essere
una vittima, anche perché il sé adulto pensa che il bambino fosse un seduttore quindi che si sia
meritato ciò che gli è accaduto.
Le autrici mettono allora in rilievo che il mondo relazionale del paziente è costantemente mantenuto
dal perpetrarsi di interazioni che rievocano lo schema dell’abuso. La configurazione relazionale rimane
quindi racchiusa nei MOID, ed è costituita dal sé bambino e dall’altro abusante, isolati e dissociati dal
resto della personalità. La dissociazione fatta dal bambino di un sé e un oggetto separati ha il tentativo
di mantenere il controllo.
Se il Sé Adulto e il Sé Bambino entrano in contatto, i ricordi dell’abuso possono riaffiorare e può
affacciarsi un terzo sé, definibile Sé Adolescente il quale possiede una visione del mondo dura e
cinica caratterizzato da impulsività, acting out, auto-lesionismo, comportamento delinquenziale,
menzogna patologica e anche l’intero spettro della bulimia-anoressia.
Questo Sé Adolescenziale mira a preoccupare il Sé Adulto e offuscare l’emergere minaccioso del Sé
Bambino con i suoi ricordi traumatologici.
Una fantasia compensatoria e universale degli abusati è che una volta che il delitto verrà noto il
mondo sarà spinto a fornire una nuova e idealizzata infanzia compensatoria. Divenire consapevoli
che invece questo non avverrà, rappresenta il tradimento più intimo e sacro del proprio Sé, generando
a volte idee suicidarie che devono essere tenute in seria considerazione. Comunque la rinuncia a
questa infanzia compensatoria provoca un rafforzamento delle difese dissociative e dell’odio nei
confronti del Sé Bambino.
Le autrici parlano di Inconscio Relazionale, per contrapporlo al concetto di inconscio intrapsichico
freudiano, il quale sarebbe composto da esperienze del Sé mutuamente escludentesi e incompatibili,
ciascuna connessa ad aspetti inconciliabili dell’altro, e si manifesterebbe lungo un continuum di
integrazione e frammentazione, essendo organizzato dalla dissociazione e non dalla rimozione.
Nell’inconscio sono contenuti brandelli di esperienza interattiva riassumibili come desideri e fantasie
inaccettabili in relazione all’oggetto, rappresentazioni di Sé e dell’oggetto inaccettabili e aspetti
dell’esperienza di Sé che a causa della loro natura estrema rimangono tagliate fuori da una
categorizzazione linguistica.
Per Davies la Dissociazione serve a preservare l’immagine e la relazione buona del caregiver.
Siccome essa anticipa l’elaborazione mentale, le esperienze traumatiche memorizzate non sono mai
veramente conosciute e quindi non possono essere dimenticate, rimosse o represse. I pazienti
soffrono quindi di ricorrenti visioni nella loro mente di immagini visive intrusive ricorrenti legate al
trauma ma non riconoscibili. L’intrusione può avere la forma di acting out violenti e i simbolici,
sensazioni somatiche, inspiegabili, incubi ricorrenti, ansia e sintomi psicosomatici, elementi che
possono essere definiti anche come Enactment.
Peter Goldberg: Dissociazione, Pseudo-Vitalità e Uso Non Autentico dei Sensi
Secondo Goldberg, il Processo Dissociativo consiste in un ritiro della mente dall’apparato sensoriale
in modo da consentire all’individuo di affrontare adattivamente le minacce dell’esistenza del proprio
Sé. Le minacce sono registrate dai sensi e perciò è proprio qui che la dissociazione ha luogo. Così si
realizza un Ritiro Difensivo della Mente dal Sistema Sensorio.
La Dissociazione permette quindi di ritirarsi dal mondo affettivo interpersonale e il soggetto si
autoregola, realizzando questo obiettivo tramite la vita programmata, le imposizioni di cibi ed esercizi.
In questo senso è come se il soggetto si staccasse dal proprio corpo e lo vedesse come uno
spettatore. La dissociazione provoca un blocco del tempo interno per cui crea ripetizione.
Rispetto ai MOID Goldberg offre un importante contributo sottolineando l'aspetto essenziale del loro
funzionamento, quindi il loro effetto di bloccare le rappresentazioni di Sé simbolizzate provenienti dal
corpo, e fornendo anche gli spunti per una riflessione socio-culturale nel contesto occidentale rispetto
alle possibilità relazionali della dissociazione.
PARTE TERZA
MOID E PSICOTERAPIA PSICOANALITICA RELAZIONALE
CAPITOLO 8 - MOID E INTERAZIONE NELLA PSICOTERAPIA PSICOANALITICA
RELAZIONALE
Visto che i concetti di Interpretazione e Introspezione sembrano sempre meno rilevanti all'interno
dell'Intervento Psicoanalitico, Gabbard e Westen, nel loro articolo "Rethinking Therapeutic Action"
(2003) sintetizzano le caratteristiche del Dibattito Contemporaneo sull'Azione Psicoanalitica in tre
argomenti cardine:
- Fragilità della Contrapposizione tra Interpretazione e Relazione, e Conseguente Consapevolezza di
Molteplici Modalità di Azione Terapeutica;
- Spostamento dell'Interesse dalla Storia del Paziente all'Interazione con il Terapeuta;
- Importanza della Negoziazione dell'Atmosfera Terapeutica.
L'Interpretazione e le Azioni Terapeutiche
Gabbard e Western cercano di far notare come una netta distinzione tra gli aspetti relazionali ed
interpretativi non sia più possibile, e che essi, nonostante le loro differenze, debbano essere integrati
all'interno dell'Approccio Psicoanalitico.
Se l'Interpretazione Freudiana era da intendere come un flusso di conoscenza e di informazioni che
passa dall'analista al paziente, con lo sviluppo della pratica clinica, e anche grazie alle Teorie della
Linguistica Pragmatica di Wittgenstein, è diventato evidente che le parole non possono mai essere
neutre, ma che assumo la funzione di un'azione all'interno del contesto comunicativo-relazionale
terapeutico.
Lo stesso concetto di Neutralità del Terapeuta, assunto fondamentale della clinica tradizionale legato
ad una concezione del processo analitico che vede il paziente esternalizzare il proprio psichismo su
uno schermo bianco e finalizzato a garantire uno spazio di accoglienza per le proiezioni del paziente,
è un principio inutile ed imperseguibile, reso vano dal fatto che ogni intervento e ogni formulazione del
terapeuta è sempre determinata da fattori personali di cui egli non può essere consapevole.
Nella pratica interpersonale, non è più assegnato il primato dello strumento analitico
all'interpretazione, che viene concepita come una rivelazione implicita e un'autosvelamento al
paziente del modo del terapeuta di organizzare il mondo soggettivo ed affettivo. L'autonomia del
paziente è molto meglio salvaguardata se gli interventi del terapeuta vengono considerati per quello
che sono, ovvero giudizi personali che riflettono la propria soggettività immersa nel contesto relazione
e coinvolta affettivamente.
Il paziente vive l'interpretazione proprio attraverso i suoi MOI, attraverso gli stessi schemi patologici
che il terapeuta sta cercando di analizzare e quindi lo sperimenta come un tentativo di sostituire la sua
soggettività con la propria senza una sufficiente negoziazione.
Per Bromberg è il Processo Relazionale della Comunicazione Terapeutica ad essere il vero
strumento curativo, e non il contenuto, dato che i MOID possono essere elaborati verbalmente solo
dopo essere stati drammatizzati attraverso gli Enactment.
Obiettivo della terapia non sarà quindi unicamente l'insight, come proponeva Freud, ma il
raggiungimento, da parte del paziente, della consapevolezza dei suoi modelli interattivi tipici,
sviluppando così un senso di padronanza (Agency) e comprensione.
La Teoria di Riferimento del Terapeuta e la Pratica della Psicoterapia
Da quanto affermato in precedenza, e considerando comunque rilevanti tutte le ricerche e le teorie
che portano alla costruzione di una concettualizzazione più ampia del funzionamento psichico del
soggetto, si può desumere che la psicoterapia è principalmente fatta dalla Persona Reale del
Terapeuta, il quale si deve dimostrare in grado di creare un'Integrazione tra Conoscenza Procedurale
e Conoscenza Relazionale Implicita, la quale intende un'attenzione particolare ai MOI e ai MOID del
terapeuta in modo che egli, prima ancora che il paziente, sviluppi quella capacità di "restare tra gli
spazi" teorizzata da Bromberg.
Livello Implicito ed Esplicito, Interazione e Introspezione
Gabbard e Westen, discutendo gli Obiettivi del Trattamento Psicoterapeutico, sottolineano la
Demarcazione tra Funzionamento Implicito ed Esplicito. Questo argomento può risultare
particolarmente utile se si pensa che i MOID del paziente possono non aver mai avuto una
dimensione esplicita di rappresentazione simbolica, ma possono essere stati attivi a livelle implicito
realizzandosi nelle interazioni. In quest'ottica il lavoro terapeutico deve quindi poter operare sui
molteplici livelli del funzionamento psichico in quanto le riorganizzazioni positive ottenute con il
trattamento possono avvenire esclusivamente a livello implicito. E' questo uno degli argomenti
utilizzati per diminuire drasticamente il ruolo dell'Introspezione, la quale andrebbe alla ricerca di
qualcosa che non c'è mai stato. Il concetto di MOID orienta quindi il lavoro terapeutico in un quadro di
molteplici livelli di intervento inconsci e consci, sia a livello implicito che esplicito e si esplica in
entrambi indipendentemente dal loro grado di interazione. Questi due livelli, che si influenzano a
vicenda durante tutto il corso dell'analisi, riguardano però argomenti differenti:
- Simbolizzazione dell'Interazione Implicita: è uno degli obiettivi del lavoro terapeutico sui MOID
dopo che si sono espressi nell'Enactment;
- Narrazione Simbolica Esplicita: elementi che possono essere osservati insieme al paziente
quando si riflette con lui su sentimenti ed emozioni che prova in determinate situazioni.
CAPITOLO 9 - TEORIE CLINICHE DELL'INTERAZIONE: CONFINE INTIMO E PENSIERO
DIALETTICO
L'Interazione nella Tradizione Interpersonale
Nella Prospettiva Interpersonale l'Interpretazione non viene rifiutata ma rivista, in quanto può essere
utilizzata efficacemente quando è l'espressione della possibilità di esprimersi e di incontrare
qualcun'altro a un livello più intimo.
Per Levenson (1983) l'approccio interpersonalista deve porre la domanda “che cosa sta succedendo
qui tra noi?”, e quindi non più la domanda freudiana "che cosa significa?" spostando il fuoco dal
passato al presente e strutturando una progressiva Teoria dell'Interazione.
Anche per Sullivan infatti la psicopatologia è come una patologia del sistema familiare, quindi una
reazione di adattamento del paziente all'ambiente che lo circonda, e per questo la posizione del
terapeuta è fondamentale in quanto fornisce un diverso grado di influenza sul paziente.
Clara Thompson (1964) asserisce inoltre che la dimensione del passato non è importante in quanto
tale, ma come fonte di aiuto alla comprensione dell'esperienza presente del paziente. Dato che nella
relazione terapeutica di stampo interpersonale si cerca di comprendere cosa succede nel qui ed ora,
l'analisi della storia passata renderà quindi evidenti i meccanismi stereotipati di relazioni attuati da
paziente e terapeuta.
Va comunque notato come oggi sia nettamente cambiato il Principio della Partecipazione e,
differentemente da quanto asserito da Sullivan e Thompson, l'osservazione venga vista come
unicamente contestuale, negando ogni possibilità del terapeuta di agire il ruolo di osservatore
obiettivo.
Il Confine Intimo dell'Esperienza
Come antidoto alle asserzioni fallaci di obiettività della psicoterapeuta, Ehrenberg (1992) propone la
metafora del Confine Intimo dell'Esperienza, inteso come una frontiera interattiva tra il terapeuta ed
il paziente che quindi implica almeno due parti e che è la soglia invisibile che lascia trasparire i MOID
durante la psicoterapia. L'autrice enfatizza il Ruolo dell'Autosvelamento, da intendere come
Self-Disclosure, dello psicoterapeuta, in quanto, secondo Ehrenberg, egli deve mostrare al paziente le
sue reazioni affettive per aiutarlo a comprendere la sua esperienza e inoltre deve elaborare, e
comunicare, nell'immediato le sue reazioni con il paziente.
Questo pensiero dialettico, basato sulla costante ricerca di cosa ciascuno si aspetta dall'altro e dalle
rispettive attese, minacce e desideri, potrebbe quindi portare ad una concettualizzazione dell'essenza
paradossale dei MOID.
MOID e Interazione nella Dialettica tra Rituale e Spontaneità
Irwing Z. Hoffman (1998) definisce la sua posizione come Costruttivismo Dialettico in quanto
implica una costante tensione tra la disciplina suggerita dal modello teorico psicoanalitico e la
partecipazione espressiva del terapeuta.
Dato che per Hoffaman è impossibile non comunicare e l'interazione non può essere sospesa, egli
individua quattro Fattori per un Atteggiamento Clinico Ottimale:
- Relazione Dialettica tra gli Aspetti del Rituale Psicoterapeutico e Elementi di Spontaneità e
Reciprocità: il paziente deve vivere il terapeuta come esperto e consideralo un'autorità per rivolgersi a
lui. Ma quando vede che egli è anche in grado di coinvolgersi nei suoi problemi in modo autentico e
personale, fa un'esperienza di riconoscimento intersoggettivo che gli restituisce il valore di soggetto
dell'esperienza e dell'azione. Per spiegare questa modalità, Hoffman utilizza la metafora di Gettare il
Libro;
- L'Esperienza dei Proprio Bisogni e Desideri da Parte del Paziente Dipende Parzialmente dalla
Natura della Partecipazione del Terapeuta;
- Riconoscimento della Relazione Dialettica e Spesso Paradossale tra Ripetizione e Nuova
Esperienza nel Processo Terapeutico;
- Consapevolezza che il Terapeuta Non Possa mai Uscire dall'Incertezza Relativa a Chi ha Causato
una certa Configurazione Interattiva.
In definitiva la relazione paziente-terapeuta deve svilupparsi come un costante scambio di ruolo, sul
quale si può in un secondo momento riflettere, giungendo quindi alla Negoziazione dei Significati
Intersoggettivi.
CAPITOLO 10 - PER UNA TEORIA DELL'INTERAZIONE PSICOTERAPEUTICA: MOID E
CONCETTO DI ENACTMENT
La Diffidenza Ideologica di Freud nei Confronti dell'Azione e le Strategie di Evitamento
dell'Interazione nella Teoria e nella Pratica
Il concetto di enactment ruota attorno alle dimensioni di una teoria dell'azione e dell'interazione che
mette al centro la soggettività e l'intersoggettività, e quindi la ricerca di significati dell'esperienza
soggettiva.
Nella Clinica Tradizionale i riferimenti all'azione sono sempre stati visti con sospetto, vista la
preminenza assegnata alla parola sul gesto. Freud analizza il concetto di transfert evidenziando come
ogni persona ha un proprio cliché in base al quale vive e sperimenta gli affetti, e come spesso il
paziente non ricordi intere parti della sua vita ma le metta in atto sotto forma di agiti guidato dal
principio della coazione a ripetere. Tali elementi sono però solo relativi al paziente ed il terapeuta deve
dimostrarsi neutrale.
Ferenczi (1924), considerato il primo psicoanalista ad aver rivalutato la partecipazione affettiva
dell'analista e la sua attività durante la terapia, inverte concettualmente le priorità terapeutiche tra
ripetere e ricordare, affermando che è necessario che le esperienze emotive intense vengano ripetute
nell'interazione con l'analista prima che esse possano essere ricordate e quindi analizzate.
"Acting", Attualizzazione ed "Enactment"
Gli essere umani non hanno strumenti mentali per elaborare internamente gli affetti incomprensibili e
sgradevoli legati agli attaccamenti traumatici, identificabili nei MOID, ma li possono solo agire tramite il
processo di enactment.
I pazienti traumatizzati possono Agire in due modi:
- verso il proprio corpo (ad es. i tossicodipendenti);
- ricreando nelle interazioni con le persone per loro significative le esperienze che permettono di
attualizzare gli affetti che non possono riconoscere nella loro realtà interna.
Quando il paziente non è in grado di chiedere aiuto con le parole allora esternalizza e attualizza tali
elementi, nella speranza che qualcuno riconosca la sua problematica e la nomini, offrendogli quindi
parole per dirla. La comunicazione risulta, in questi casi, limitata a causa del deficit della funzione
riflessiva.
Il Concetto di Enactment
L’autore che più degli altri è responsabile dell’introduzione del Concetto di Enactment è Jacobs
(1991) che lo utilizza per descrivere i sottili modi in cui il paziente e il terapeuta interagiscono. Questo
autore ha inoltre definito l’enactment come l’effetto inevitabile dell’unicità e della personalità del
terapeuta. La chiave per il cambiamento è situata nell’incontro spontaneo tra terapeuta e paziente.
Dato che l’enactment indica i modi in cui paziente e terapeuta agiscono uno nei confronti dell’altro,
verbalmente e non, il terapeuta stesso, differentemente da quanto sostenuto da Freud, è un soggetto
attivo e diventa oggetto di riflessione la stessa relazione tra i due. La comprensione del paziente non
si ferma alle ipotesi sui suoi meccanismi interni ma giunge fino a comprendere le azioni del terapeuta.
Quest’ultimo si osserva agire e considera le sue osservazioni come oggetto di discussione per
alimentare la comprensione, attraverso la negoziazione con il paziente.
Lo Strumento Terapeutico Principale non è quindi solo la persona del terapeuta, ma le menti di
paziente e terapeuta che si incontrano, si connettono e interagiscono, creando processi
costantemente negoziati.
In quest'ottica la Negoziazione, come sostenuto da Chused (1992), è fondamentale per gestire
l'inevitabile quota di conflittualità e ambiguità che caratterizza ogni comunicazione.
Come sostenuto da Renik (1993), la Dimensione di Realtà che si crea nel rapporto terapeutico aiuta
il paziente a non dissociare la terapia dal resto della sua esistenza e a trasferire i suoi cambiamenti
nelle sue relazioni quotidiane.
L’Enactment consiste quindi in una drammatizzazione dei MOI e dei MOID di entrambi i membri della
diade, nella loro dimensione relazionale implicita. In questo senso Bromberg (1998) afferma che
mentre un’interazione viene narrata un’altra viene drammatizzata intanto che il racconto va avanti.
Con i pazienti traumatizzati, come sostenuto da Borgogno (1999) si lavora sulla dissociazione,
sull'omissione e sul diniego, dato che la soluzione di tagliare via la coscienza per non soffrire affonda
le sue radici nell’ambiente famigliare in cui il bambino è cresciuto o era immerso.
L’enactment i clinici relazionali l’hanno inserito come concetto cardine della terapia aprendo così una
nuova strada per la psicoterapia psicoanalitica. Questo concetto offre il modo di comprendere
l’interazione e la comunicazione interpersonale che sembra fatto apposta per i bisogni di
attualizzazione dei MOID.
Auto-Svelamento e MOID
Gli autori relazionali connettono il tema dell'enactment a quello della Self-Disclosure definita da Maria
Luisa Tricoli (2003) come la tecnica secondo la quale la comprensione ottenuta dall'analista attraverso
l'analisi del controtransfert si estende fino alla comunicazione al paziente della propria esperienza
interiore.
Dato che il dialogo stesso è una forma di azione, in quanto tramite le parole paziente e terapeuta
offrono atti attraverso i quali svelano il proprio mondo interno, bisogna considerare due Forme di
Rivelazione:
- Self-Revelation: auto-rivelazione non volontaria del terapeuta. Essa è inevitabile poiché è
impossibile non comunicare e avviene tramite la comunicazione verbale e non verbale;
- Self-Disclosure: decisione attiva del terapeuta volta a rivelare qualcosa di sé stesso. Essa può
essere anche utilizzata come modalità per controllare le Self-Revelation.
Aron sostiene inoltre che l'auto-rivelazione può essere utile come strumenti per conseguire l’obiettivo
di fornire al paziente una chiave di lettura alternativa delle sue emozioni dei suoi vissuti e di saper
comprendere le relazioni interpersonali e i significati altrui in quanto, nella prospettiva relazionale
costruttivista, lo spazio potenziale, concetto creato e definito da Winnicott (1971), non è una realtà
prestabilita ma è prodotto e negoziato nella relazione tra paziente e terapeuta.
Va comunque ricordato che il terapeuta deve considerare attentamente ogni Self-Disclosure all'interne
della singola relazione con il paziente, facendo si che questo strumento non diventi una modalità per
imporre la propria autorità sull'altro ma si stabilisca come possibilità di stare con l'altro, ricercando
nuove forme negoziate di espressione all'interno della relazione terapeutica.
CAPITOLO 11 - ENACTMENT E PROCESSO TERAPEUTICO SECONDO BROMBERG
Rimanere Se Stessi Cambiando, Cambiare per Rimanere Se Stessi
Considerando, come affermato da Granieri e Albasi (2003), che i pazienti traumatizzati hanno bisogno
di un grande coinvolgimenti affettivo ed emotivo per poter sperimentare un reale sentimento di fiducia
nei confronti del terapeuta, il quale passa attraverso la disponibilità reale a scendere con coraggio in
quel luogo oscuro che è diventato rifugio della mente del paziente, Bromberg rappresenta una dei
maggiori psicoanalisti che hanno fatto dell'Enactment e della Dissociazione i concetti cardine del loro
intervento clinico.
Bromberg (2000), il quale considera la dissociazione e la molteplicità degli stati del Sé come
caratteristiche costitutive, e non necessariamente patologiche, dell'essere umano, conia la Metafora
dello Stare tra gli Spazi per indicare l'essenza stessa dell'azione terapeutica, intesa quindi come un
processo evolutivo che può ricreare o creare per la prima volta connessioni e integrazioni tra psiche e
soma, affetto e pensiero e tra i diversi stati del Sé.
La psicoterapia permette allora il materializzarsi di fantasie del paziente, comprese quelle dissociate
che sono da intendere come configurazioni relazionali che non sono mai state riconosciute dalle figure
di attaccamento come una realtà che manifestava l'interiorità del paziente. Affinché ciò avvenga
occorre creare un ambiente terapeutico che il paziente percepisca come Sicuro ma non Troppo, in
modo che egli sia sì in grado di tollerare l'esperienza dell'inondazione affettiva ma anche in cui sia
possibile il verificarsi di rotture della sintonizzazione, di esperienze nuove e sorprendenti attraverso le
quali portare l'esperienza dal livello degli enactment a quello della riflessione e del pensiero.
Il Nucleo Centrale della Crescita Terapeutica di ogni paziente è la negoziazione tra la sicurezza del
Sé e la sicurezza del legame di attaccamento con un altro significativo in quelle aree mentali dove tale
negoziazione è stata compromessa o non avvenuta. I momenti di impasse sono a loro volta importanti
perché rappresentano un’importante risorsa di crescita, nel senso che il paziente li utilizzerà per
provare a comunicare ciò che è più importante e difficile per lui.
I momenti di impasse mettono in atto un tentativo da parte del paziente di forzare il terapeuta a
riparare l’irreparabile, identificabile nel suo passato congelato e gli inevitabili fallimenti porteranno
l'analista a conoscere l’esperienza stessa del paziente nei confronti della rottura della sintonizzazione.
Ma visto che conoscere non è sufficiente, dovrà succedere qualcosa di nuovo, un evento relazionale
non anticipato, che Bromberg chiama Sorprese Sicure. Esse si verificano quando il paziente si rende
conto che il terapeuta agisce diversamente dalle figure traumatizzanti e questo porta alla disconferma
dei MOID esistenti e alla creazione di nuovi MOI più adattivi. Ed è proprio grazie a Fallimenti e
Riparazioni della relazione che potrà costruirsi qualcosa di nuovo, esattamente come succede tra il
bambino e la sua mamma, i quali tramite le rotture e le conseguenti riparazioni costruiscono un
legame sicuro.
Il Processo di Comunicazione Inconscia degli Enactment è rappresentato dallo sforzo del
paziente di ottenere una negoziazione gli aspetti dissociati e congelati del Sé, quindi di quelle parti del
non-me che si esplicano in una sensazione di “assenza di voce”. Il processo di cui parla Bromberg è
quindi un processo che coinvolge la funzione di convalida consensuale di un MOID, il quale deve
essere sperimentato come reale tramite l’esperienza di enactment, e solo così può attivare un
processo di negoziazione di significati anche a livello verbale.
Uno dei segnali dell'efficacia della psicoterapia è, per Bromberg, il Sentimento di Vergogna che il
paziente prova e che dissocia immediatamente, unitamente al senso di colpa per la sensazione di
aver caricato il terapeuta di affetti negativi.
La vergogna è dovuto al trauma subito, a causa non solo dell’esposizione nei confronti di un’altra
persona ma anche relativo all’esposizione di se stesso di parti del proprio sé che non possono essere
riconosciute. In pratica ci si vergogna di ciò che si è. Questa vergogna in terapia viene dissociata per
preservare la relazione con terapeuta, in quanto il paziente si trova nella stessa situazione
dell’infanzia, in cui colui il quale gli genera vergogna è lo stesso che dovrebbe aiutarlo a elaborarla.
Al paziente mancano le rappresentazioni simboliche che potrebbero aiutarlo a parlare della sua
esperienza traumatica, per cui il compito del terapeuta è quello di riconoscere la vergogna evocata in
seduta, in quanto solo in questo modo l’affettività legata al trauma e trattenuta dall’aspetto del Sé
dissociato potrà entrare nella co-costruzione di un’esperienza relazionale ed essere affrontata nel
dialogo, per giungere così ad essere elaborata simbolicamente.
Il Processo Terapeutico e l'Evoluzione dalla Dissociazione al Conflitto
Lo Scopo Principale della Terapia, per Bromberg, è incrementare la competenza del paziente nella
regolazione affettiva all’interno degli Stati del Sé, attraverso un’evoluzione che permetta agli stati
dissociati di essere prima riconosciti nell'enactment e, una volta che possono essere tollerati, essere
elaborati come stati di conflitto. A questo punto i contenuti mentali potranno essere sottoposti ad
un’esplorazione riflessiva, cercandone un significato anche tramite l’interpretazione e dando quindi un
nuovo senso di realtà alla propria storia.
In questo modo si può accedere al fulcro del processo terapeutico, ovvero il passaggio dalla
dissociazione che emerge negli enactment, ovvero pre-simbolica, implicita e inenarrabile, al conflitto
psichico, reso possibile dall'acquisita capacità del paziente di sostenere il conflitto interno in quelle
aree dove la formulazione di significati era impedita dalla dissociazione.
Il conflitto psichico non è quindi la principale causa di sofferenza, ma anzi, un prioritario obiettivo
terapeutico e il cambiamento emerge dalla crescente capacità del paziente di assumere una
Posizione Autoriflessiva.
Il desiderio del paziente è poi da considerare come il Paradosso di Cambiare Rimanendo Uguali.
Questo si basa sul fatto che il Sé cerca stabilità mantenendo fuori dalla coscienza tutti i dati
discrepanti, e tenta anche di trovare un posto per questi dati al fine di soddisfare il suo bisogno di
crescita interpersonale. In ogni momento quindi c’è un bilanciamento di forze che riflette il concorrente
bisogno di essere lo stesso e crescere. Tale processo può essere concettualizzato pensando ad un
auto-regolazione che possa permettere il presente stato di equilibrio strutturale per mezzo della
dissociazione, e un simultaneo tentativo di permettere qualche disequilibrio quale condizione
necessaria per assimilare l’esperienza discordante.
Per quanto riguarda la Resistenza, anch'essa è concepita come una dimensione relazionale piuttosto
che individuale, in quanto non è vista come un ritiro difensivo ma come un disperato tentativo da parte
del paziente di preservare la sua struttura mentale dissociativa proprio mentre la sta abbandonando.
La resistenza è quindi una dimensione intrinseca del processo di negoziazione tra domini del Sé
incompatibili, in tensione fra loro e non ancora disponibili per la funzione riflessiva.
Il compito del terapeuta non è quello di correggere questo sentimento, ma di elaborarlo e metterlo in
atto con il paziente attraverso un'esplorazione creativa ed immaginativa.
Rispetto al Sogno, Bromberg considera che esso sia l'espressione di una delle più consuete forme di
dissociazione della mente umana e rappresenta un sforzo adattivo per vivere molteplici stati senza
interferire con l’illusione di essere un Sé unitario.
Bromberg assegna un'importanza strategica ai sogni, ma non in senso classico come fonti di
materiale da analizzare, ma come importante obiettivo in quanto segnale dello spostamento
dall'enactment al conflitto intrapsichico.
I sogni che rappresentano la perdita di controllo (ad es. quello di guidare una macchina senza i freni)
sono quindi quelli che segnalano una stabilità interna maggiore, in quanto il processo dissociativo
strutturale sta perdendo di importanza e, nella mente del paziente, vi è ora lo spazio per la gestione
del conflitto.
Una delle funzioni del sogno durante il trattamento è quella di contenere come una realtà separata
l’esperienza non elaborata. Il sogno è quindi un’esperienza transazionale e permette alle voci dei Sé
dissociati di essere ascoltate. Bromberg usa il termine di Riportare il Sognatore intendendo con
questo un processo di sviluppo graduale del dialogo tra gli stati del Sé svegli del paziente e gli stati del
Sé addormentati del sognatore. Per Bromberg quindi lo stato di sognatore facilità lo stare negli spazi
in terapia, in quanto è come se il paziente ed il terapeuta stessero utilizzando la loro capacità di stare
nello stato sognante, per cui ogn'uno di loro sta contenendo la realtà di veglia dell’altro come se fosse
il proprio sogno.
Infine Bromberg (2004) assegna un ruolo fondamentale agli Incubi in quanto essi, per la loro potenza
affettiva ed emozionale, riescono a raggiungere la realtà di veglia. Il lavoro terapeutico avrebbe quindi
la funzione di rendere ogni sogno un incubo, dato che in questo modo il paziente potrebbe avvicinarsi
affettivamente alla realtà di ciò che sperimenta, evitando le "fredde" narrazioni che spesso sono
identificative dell'esistenza di MOID.
CAPITOLO 12 - NEGOZIAZIONE E MOID
Le Politiche della Negoziazione e il Potere del Terapeuta
All'interno del concetto di MOID, così come tratteggiato nei capitoli precedenti, la psicoterapia diventa
allora una questione di politiche della negoziazione.
Il Concetto di Potere non può essere escluso dalla dimensione del trauma in quanto per una
relazione di attaccamento traumatico è necessario che vi sia una posizione di potere che impone una
definizione e una versione della realtà. Nella psicoterapia questa visione del potere deve essere
rimessa in gioco al fine di generare potere nel paziente. Questo è un paradosso che il potere deve
sostenere, in quanto esso è fondamentale sia nel trauma psichico che in quello di crescita sana, e ciò
che cambia è solo l’uso che si fa di questo potere.
Il trauma tramite i MOID si trasmette di generazione in generazione grazie al potere. Quando chi ha
subito un trauma relazionale acquista potere rischia di riprodurre e riattualizzare i propri MOID con chi
subisce, ed è questa che può essere definita come la Meccanica dei MOID.
Il cambiamento terapeutico e l’elaborazione dei MOID passano attraverso il confronto con il potere
delle figure del passato e il potere del terapeuta. Il paziente deve quindi essere aiutato a trovare il
coraggio di sperimentare le sue dimensioni fragili in presenza del terapeuta, in quanto se esse
vengono riconosciute vi è la possibilità di creare nuovi MOI. Per questo la terapia deve durare molto
tempo, dato che il terapeuta deve diventare una persona import per il paziente e avere potere sul
significato in molti ambiti di esperienza.
In quest'ottica il terapeuta non si pone come autorità indiscutibile e come detentore di una verità
inconfutabile ma come una persona competente che esplora, insieme al paziente, i significati
dell’esperienza.
La terapia e i MOID sono quindi inestricabilmente connessi alla dimensione del potere, in quanto si
passa dal potere del caregiver traumatizzante nella relazione di attaccamento al potere paradossale
del terapeuta.
Negoziazione e Reciprocità
La Negoziazione è una caratteristica intrinseca del modello relazionale di psicoterapia psicoanalitica,
in cui si dà per scontata l’influenza reciproca. Il tema della negoziazione rimanda a Ferenczi e al suo
concetto di Elasticità della Tecnica, termine derivato dal racconto di un paziente che si rappresentava
unito da un elastico con il suo analista.
La Negoziazione a sua volta è connessa alla Reciprocità, dato che si negoziano sia gli accordi pratici
che i significati delle esperienze mutue, così come sarebbe dovuto avvenire nella relazione
madre-bambino. L'impegno al processo di negoziazione di significati è un elemento fortemente
terapeutico per il paziente, in quanto fornisce una versione alternativa rispetto alle proprie esperienze
traumatiche di passività.
Pizer (1998) schematizza poi le diverse Dimensioni della Negoziazione:
- Intrapsichica: nel senso che bisogna mediare tra la familiarità del passato e la spinta al
cambiamento, tra contenimento ed espressione degli affetti e tra i molteplici stati del Sé;
- Interpersonale: nel senso che i soggetti adattano reciprocamente i desideri, le ansie, il potere e la
convenienza;
- Intersoggettiva: nel senso che i soggetti si influenzano reciprocamente in maniera conscia e
inconscia dall’infanzia e per tutto il corso della loro vita.
La Negoziazione del Paradosso nel Processo Terapeutico
La Negoziazione del Paradosso, in cui quest'ultimo si riferisce alla possibilità di tollerare in sé una
molteplicità di stati, prevede che la costruzione e l’elaborazione di interazioni significative preveda
innanzitutto la generazione di enactment che avvengono attraverso un processo di negoziazione
intersoggettiva tra paziente e terapeuta, e che sono le condizioni necessarie per il trattamento del
MOID. L’elemento di cambiamento sono i reciproci aggiustamenti che avvengono solitamente senza
la consapevolezza di entrambi le parti. Solo alcuni di questi processi hanno bisogno di diventare
coscienti al paziente, o di essere spiegati attraverso l’interpretazione.
In definitiva il paziente impara, attraverso la negoziazione, a creare i significati prima impossibili da
prevedere.
Elementi utili allo scopo di negoziare il paradosso, costruendo ponti tra gli stati del Sé, sono (Pizer,
1998):
- Metafora;
- Gioco;
- Uso del Condizionale;
- Uso del Pensiero Ipotetico.
Questi strumenti accrescono lo spazio potenziale per l’utilizzo della negoziazione, la quale consente la
costruzione di ponti da intendere come l'acquisizione della competenza di riflessione su di sé.
Il terapeuta deve inoltre diventare un Oggetto Trasformativo che, come sostenuto da Bollas (1987)
aiuti il paziente a tollerare il paradosso.
In definitiva lo Spazio Potenziale per il processo terapeutico è mantenuto dalla negoziazione dei
significati dell’esperienza intersoggettiva attraverso anche un processo dialettico che porta alla
distruzione e alla perdita di questo spazio.
Una Teoria del Non-Negoziabile
Pizer (1998) ha cercato di analizzare anche l'esperienza di ciò che è Non-Negoziabile.
Se alcuni elementi non sono effettivamente negoziabili all'interno della relazione terapeutica, come ad
esempio le cornici e i ruoli professionali e l'asimmetria della relazione terapeutica, altri elementi
entrano nell'area del Non-Negoziabile, la quale prevede tutte le interferenze al processo dovute ai
MOID dello stesso terapeuta. Ciò che conduce a queste situazione è quindi la mancanza di
riconoscimento da parte del terapeuta che risulta cieco o insensibile agli stati e ai gesti del paziente, e
a dimensioni intrinseche del rapporto terapeutico.
CAPITOLO 13 - MOID, GIOCO E PSICOTERAPIA PSICOANALITICA RELAZIONALE
Introduzione
In questo capitolo verrà analizzato il Gioco, inteso nella considerazione di Winnicott (1960) come
fondamento del Vero Sé, e come esso sia un elemento imprescindibile sia dello sviluppo del bambino
che del lavoro con adulti e minori in psicoterapia, in quanto permette di attivare processi nei quali la
conoscenza riflessiva di sé non è disgiunta dal sentimento di essere un Sé Agente, con la creazione di
gesti in cui riconoscersi e che permettano di esprimersi e incontrare gli altri.
Sviluppare queste capacità di gioco può condurre all'Integrazione del Sapere Relazionale Implicito,
quindi dei MOID, attraverso una relazione in cui sia possibile incontrare la specificità del paziente,
elemento fondamentale di ogni psicoterapia.
Il Gioco
Un segno del funzionamento dei MOID è l'incapacità di giocare, quindi di realizzare attività divertenti e
fini a se stesse che diano la possibilità di esprimere e realizzare qualcosa di personale.
Sutton-Smith (1995) ha caratterizzato diverse Forme di Gioco:
- Giochi Mentali o Soggettivi (ad es. il sognare ad occhi aperti);
- Giochi Solitari (ad es. la scrittura);
- Giochi Sociali Informali (ad es. il ballo);
- Giochi di Prestazione.
L'interpretazione di questo concetto da parte di molte discipline costituisce sette Forme di Retorica
sul Gioco che sono il progresso, il fato, la frivolezza, il potere, l'immaginazione, l'esperienza di sé e
l'identità.
L'Essenza Paradossale del Gioco, come definita da Winnicott (1971) il quale la considera
un'analogia del processo psicoterapeutico, è rappresentata dal fatto che gli atti compiuti sono frutto di
realtà e finzione contemporaneamente.
Il bambino, aiutato dal terapeuta, può quindi utilizzare il carattere paradossale e dissociativo del gioco,
quindi il suo non avere conseguenze dirette sulla realtà, per esplorare, senza assumersi le
responsabilità di tutte le implicazioni, molteplici ruoli e personaggi, così da apprendere la modalità di
"stare tra gli spazi" descritta da Bromberg.
Quando si Attualizzano i MOID nel Gioco, elemento che non è sempre presente, è possibile
riconoscere una drammatizzazione che il bambino non padroneggia e che mette in scena in uno stato
dissociativo, quindi come non fosse presente, attivando nel terapeuta sentimenti contrastanti che lo
tengono lontano dalla sua spontaneità e gli danno l'impressione di non sapere cosa fare.
La Funzione Espressiva del Gioco
Il gioco, così come la narrazione nell'adulto, sfrutta il ruolo della Metafora per approfondire i significati,
non solo letterali ma anche affettivo-simbolici, dell'esperienza.
I paradossi del gioco permettono quindi lo sviluppo di un Area Intermedia Transizionale (Winnicott,
1971) in cui il soggetto possa sperimentare sia l'adattamento al contesto di abitudini e valori
socio-culturali che l'esplorazione fantastica di alternative, relative a differenti ruoli e soluzioni.
Un rischio è però rappresentato dallo sviluppo della Dipendenza dal Gioco in cui, come nel caso
dell'utilizzo di sostanze psicotrope, il soggetto ha bisogno di sentirsi vivo in un'altra realtà parallela che
gli permette l'enactment del MOID.
E' quindi fondamentale aiutare i pazienti a vivere con un atteggiamento di creatività e di gioco la vita di
tutti i giorni, mantenendo per le relazioni intime ordinari l'interesse e la curiosità che sono vive nel
gioco.
Il Gioco nella Psicoterapia
Nella Psicoterapia con i Bambini è importante sviluppare attività di gioco che vadano a rafforzare gli
Aspetti Simbolici e la Dimensione Interattiva. Dato che, differentemente da quanto fatto in numerose
psicoterapie, l'obiettivo non è solo quello di apprendere compiti ed autonomie personali ma sviluppare
uno spazio relazionale in cui il bambino riesca a sviluppare le sue capacità personali, il Gioco può
risultare un importante strumento per evidenziare i MOID, come nel caso del Gioco Traumatico
descritto da Terr (1981) in cui il bambino riattualizza esperienze traumatizzanti infantili, per segnalare
mancate integrazioni tra i MOI e per individuare modalità di contenimento dell'ansia.
Le stesse funzioni, nell'adulto, sono svolte dalla Narrazione.
Giocare la Finzione Psicoterapeutica
Secondo Winnicott il gioco, fondato sulla metafora e sull'analogia, è il fondamento di ogni attività
psicoterapeutica. Per lui la preoccupazione e la concentrazione che il bambino mostra nel giocare
sono gli elementi che sottolineano l'importanza di tale attività.
Come sottolineato anche da Fonagy e Target (2003) il gioco ha anche l'obiettivo di sviluppare la
Funzione Riflessiva in quanto consente un'integrazione, generalmente databile tra il quarto ed il
quinto anno, tra realtà interna ed esterna.
Nella Relazione Psicoterapeutica con Adulti il gioco assume un ruolo fondamentale in quanto
permette di realizzare il paradosso di attualizzazione di forme arcaiche e simboliche di relazione (ad
es. padre e figlio) senza che però esse assumano caratteristiche di realtà.
Compito del terapeuta è quindi quello di mantenere attive nel paziente le funzioni di immaginazione e
di riflessione, le quali possono consentirgli di giocare con le sue ritualità di vita e di relazione,
sviluppando pensieri e soluzioni alternative che consentano di giungere a differenti forme di
riconoscimento da parte dell'altro. Inoltre il terapeuta deve mantenere un atteggiamento aperto a ciò
che sorge nella sua mente durante l'interazione.
L'attualizzazione delle relazioni passate attraverso il gioco può quindi creare una rappresentazione dei
MOI e dei MOID del paziente, invertendo i ruoli con il terapeuta e permettendo quindi l'esplorazione di
soluzioni condivise.
MOID e Negoziazione nel Gioco Psicoterapeutico
All'interno del gioco, il quale può essere il canale per esprimere i MOID del paziente e per cercare
forme di riconoscimento e di simbolizzazione dell'esperienza non verbalizzabile, il processo
terapeutico va condotto tramite la Negoziazione di attività, interazioni e significati da attribuire
all'esperienza con il dialogo. Il Processo di Negoziazione avviene a vari Livelli:
- Livello Procedurale: trovare i modi per regolare l'interazione;
- Livello di Esperienza Fenomenica Soggettiva e Intersoggettiva: confrontare e condividere i significati.
Anche alcuni elementi del setting, sopratutto nella terapia di bambini ed adolescenti, possono essere
frutto della negoziazione (ad es. durata e luogo per la terapia).
Interazione, Contenuto, Processo
Dal punto di vista relazionale anche il Rapporto tra Contenuto e Processo è invertito, come lo è
quello tra interpretazione ed interazione, per cui il terapeuta deve situarsi all'interno del gioco e
dell'interazione, così da poter esplorare e ampliare i significati e le possibilità di altre interazioni.
Egli sostiene quindi la sfida di pensare quale gioco o attività, e quale tra i molteplici ruolo che può
interpretare, potrebbero favorire maggiormente il processo psicoterapeutico.
La tensione dialettica tra lo stare dentro l'azione del gioco e commentare riflessivamente quanto
avviene prevede dei Processi Integrativi che possono essere orientati in tre sensi:
- ampliare le modalità relazionali facendo fare qualcosa ai giocattoli. Questo permette lo sviluppo di
scene inattese e processi comunicativi nuovi;
- far dire qualcosa ai personaggi, al fine di esplorare alcuni argomenti che ritiene rilevanti;
- esplicitare dei collegamenti tra il gioco ed il bambino, esprimendo anche commenti personali
sull'esperienza in corso.
Le attività di gioco proposte possono essere le più diverse, in quanto non è facile valutare a priori quali
siano quelle più adatte per far emergere i MOID.
Conclusioni
Il Processo Terapeutico si sviluppa quindi in una tensione dialettica tra la finzione e la realtà,
mostrando la sua natura paradossale e di processo di apprendimento volto a utilizzare in modo
diverso la propria mente e le proprie potenzialità.
Il fattore terapeutico, il quale tende all'integrazione dei MOI e dei MOID del paziente, è determinato
dalla possibilità di sperimentare libertà e giocosità, sentendosi coinvolti in un'esperienza in cui si
comunica in modo creativo nell'interazione.
Gli Obiettivi del Trattamento sono quindi:
- riconoscere e comunicare i propri bisogni, desideri e pensieri;
- costruire relazioni di attaccamento in cui il vero Sé venga considerato;
- utilizzare gesti e parole significativi nell'interazione;
- sperimentare la vita come occasione per realizzare e conoscere se stessi.
APPENDICE
SANDER
Sander è considerato il padre delle ricerche sulla relazione di attaccamento madre-bambino e ha
mostrato come vi siano alcuni Processi che Garantiscono la Salute e lo Sviluppo:
- riconoscimento;
- incontro delle specificità;
- tolleranza dei molti paradossi caratteristici degli esseri viventi.
Tali concetti, integrati da altri provenienti da teorizzazioni cliniche successive, hanno posto le basi per
la comprensione dei MOID.
Introduzione
Il Modello di Sviluppo proposto da Sander, basandosi sull'epistemologia sistemica e sulla
metodologia della ricerca empirica, è stato creato a partire dall'osservazione delle interazioni reali
primarie e dei dettagli di ciò che fanno davvero la madre ed il bambino. Attraverso questo sistema ha
proposto una visione relazionale dello sviluppo, in cui gli affetti rappresentano il metodo privilegiato
per giungere al significato dell'organizzazione psichica.
Il Processo di Vita e i Suoi Paradossi
Per Sander la struttura dell'esperienza ha una logica sistemica e paradossale. Egli utilizza il concetto
di Sistema, inteso come un gruppo di unità diverse rapportate tra loro in modo da costituire un'unità
integrale, analizzando quelli che von Bertalanffy considera i due Principi Essenziali della Vita:
- Organizzazione: si riferisce all'integrazione delle parti di un'unità e alla coerenza o coesione della
complessità di esse, le quali sono reciprocamente distinte ma in connessione specifica tra loro. Ogni
sistema vivente è quindi visto come dotato di auto-organizzazione, auto-regolazione e
auto-correzione;
- Attività Autonoma Primaria: l'organismo è visto come un sistema attivo, quindi dotato di un sistema di
Agency.
I MOID, in quest'ottica, rappresentano il fallimento psicopatologico del raggiungimento del senso di
agency e della coerenza, elementi visti da Sander come processi di base dei sistemi viventi.
Nel suo considerare gli esseri viventi secondo la logica dei Sistemi Dinamici Non Lineari, Sander
analizza anche i Paradossi propri dello sviluppo:
- Paradosso della Continuità-Discontinuità: tensione dialettica tra elementi che cercano la coerenza e
la stabilità ed altri che spingono verso la disorganizzazione e la novità;
- Paradosso degli Individui Auto-Organizzanti che Necessitano di Relazioni.
Per comprendere questi elementi Sander introduce il Problema dell'Integrazione, il quale necessita
di due elementi:
- Meccanismo della Specificità: mutuato dal concetto di specificità del biologo Paul Weiss (1947), tale
meccanismo contribuisce a stabilire e mantenere le relazioni e i legami che sottostanno
all'organizzazione dei sistemi viventi;
- Meccanismo della Ritmicità: il sincronizzarsi dei ritmi tra bambino e genitori permette l'emergere di
schemi di congiunzione e disgiunzione reciproca, in cui i momenti di coinvolgimento e di disimpegno si
organizzano in modo coerente.
La Polarità dell'Essere Con e l'Essere Distinto Da è poi un elemento che rimane costante in tutta la
vita, ed è proprio dall'esperienza del relativo disimpegno che nasce quello che Sander definisce
Spazio Aperto, il quale è un primo livello dell'area intermedia transizionale di Winnicott (1971).
Lo Sviluppo Precoce e la Sequenza dei Compiti Adattivi tra Madre e Bambino
Lo Sviluppo infantile avverrebbe quindi secondo Sander attraverso una Sequenza di Momenti
Adattivi Madre-Bambino la quale si sviluppa nei primi tre anni di vita. Ogni momento di questa
sequenza ha una sua tematica nella quale deve incontrarsi la specificità della regolazione interattiva
richiesta dalla nuova funzione del bambino.
In tale sequenza, orientata alla specificità del riconoscimento, vi è all'inizio la regolazione degli stati
nel neonato (sonno, fame, veglia e tensione), seguita da compiti che riguardano la consapevolezza
emergente del bambino riguardo agli stati interni, alla sua intenzionalità e concernono lo sviluppo delle
capacità della madre di sintonizzarsi con gli stati del bambino, di percepirne il cambiamento di stato, di
comprendere le intenzioni e di attribuire un significato al suo comportamento relazionale.
Ogni fase necessita di una negoziazione, in cui il bambino assume anche un ruolo attivo, e necessita
del riconoscimento genitoriale per evitare che si formino i MOID.
Alla sequenza dei sette compiti adattivi, Sander associa cinque Affermazioni che indicano il modo in
cui l'esperienza interna diventa il filo rosso del senso di continuità:
- l'iniziale esperienza interna del bambino si consolida attorno all'esperienza dei propri stati ricorrenti.
L'Io iniziale non è corporeo ma è un Io-Stato;
- gli stati coerenti diventano l'obiettivo primario del comportamento;
- il bambino percepisce come proveniente da se l'inizio di un comportamento per realizzare un
obiettivo e tale elemento, che è frutto del sistema interattivo madre-bambino, permette la nascita del
senso di agency;
- ogni sistema caregiver-bambino costituisce singolari modi che regolano l'accesso alla
consapevolezza dei propri stati, alla propria esperienza interna e al ruolo svolto dai propri stati interni
per attivare schemi di auto-regolazione. Queste configurazioni diventano un repertorio di azioni
coordinate resistenti e di strategie adattive all'interno dell'interazione, e rendono possibile il senso di
continuità del Sé;
- la logica organizzativa dell'esperienza iniziale influenza il senso di agency e le competenze per
ricostruire stati familiari in contesti più ampi e mutevoli. Migliori saranno i livelli di regolazione raggiunti
nel sistema e migliore risulterà la differenziazione e l'esperienza di continuità.
Il Processo di Riconoscimento
Il Processo di Riconoscimento, quindi l'esperienza di essere riconosciuti da un altro, aumenta
gradualmente con l'accesso da parte del bambino a livelli di funzionamento di complessità crescente.
Questo elemento è uno dei contributi centrali di Sander in quanto l'Attualizzazione dei MOID può
essere vista come un tentativo del paziente di sanare proprio le deviazioni del processo di
riconoscimento.
L'Incontro di Specificità tra due soggettività, sintonizzate una con l'altra attraverso proprietà
corrispondenti, attiva un processo di riconoscimento intersoggettivo reciproco, e il ritmo e il
susseguirsi di questi momenti di incontro segneranno lo specifico senso di continuità e di coerenza,
interna e relazionale, che ogn'uno dei due partner vive.
Il Riconoscimento e lo "Stato"
Lo Stato è la categoria osservativa che Sander utilizza per descrivere il processo di riconoscimento e
può essere inteso come la configurazione, ricorrente e riconoscibile ogni volta che si presenta, di un
insieme di variabili che caratterizzano il funzionamento del sistema come unità in un momento dato.
Gli stati del neonato sono il sonno e la veglia, e successivamente gli stati emotivi e gli affetti.
Fondamentali sono poi gli Stati di Mutua Disponibilità, all'interno dei quali si sviluppano i momenti di
incontro, in quanto costruiscono dei pilastri strutturali nell'organizzazione nascente della mente
infantile, danno la stabilità emergente dalla logica della ricorrenza e fissano dei punti motivazionali sui
quali si costruiscono i modelli di equilibrio.
Il bambino costruisce quindi la consapevolezza dello stato e del proprio ruolo nell'avviare l'azione
(agency), in quanto l'aspettativa di guadagnare uno stato da forma all'intenzionalità e al senso di
iniziativa.
I MOI si formano proprio in questa matrice di scambi, mentre nel caso di fallimento nei processi di
riconoscimento delle specificità si creano nel bambino delle sensazioni di vuoto e di dispersione, le
quali portano alla strutturazione dei MOID.
Per questo ogni paziente, e ogni persona, va conosciuta nei suoi specifici punti di discontinuità, e cioè
dove sente "che manca".
IRA BRENNER: LA DISSOCIAZIONE DEL TRAUMA
Ira Brenner divide i Caratteri Dissociativi in due tipi:
- Carattere Dissociativo di Alto Livello;
- Carattere Dissociativo di Basso Livello.
Secondo Brenner inoltre la transitoria mancanza di attenzione, la sonnolenza persistente e l'apparire
nell'analisi di altri Sé con identità separate sono difese contro la comparsa di stati affettivi intollerabili e
lotte istintuali alla consapevolezza. Dato che essi sono interpretabili come Difese dell'Io è importante
comprenderne l'origine e il significato.
Esse, che Brenner collega dal punto di vista neurobiologico a mancanze di integrazione
interemisferica, deriverebbero da una risposta adattiva alla sovrastimolazione, al panico ed ai traumi
esterni, i quali aumenterebbero la capacità della mente di autoipnotizzarsi e la repressione e
scissione.
Nel Trattamento dei Disturbi Dissociativi, in cui l'obiettivo è trasformare le autosservazioni
depersonalizzate in autosservazioni analitiche, il compito fondamentale è allora l'integrazione della
personalità del soggetto, la quale passa, secondo Brenner, attraverso tre fasi distinte:
- Non-Io: sono presenti personalità totalmente disconnesse e separate;
- Una Parte di Me, ma Non sono Io: fase intermedia;
- Ero Io, Dopo Tutto: integrazione e autosservazione analitica.
CONTRIBUTI DI RICERCA CLINICA E TEORICA
Russel Meares: Intimità e Alienazione
Meares (2000) spiega il fenomeno della Dissociazione attraverso due concetti:
- Disaccoppiamento della Coscienza: il trauma porterebbe quindi a minacciare la Duplicità del Sé,
costituita dal Sé e dalla memoria che ne è parte, creando una dissoluzione della continuità
dell'esistenza la quale deriverà dall'immagazzinamento nella memoria delle esperienze traumatiche;
- Perdita del Senso di Valore: gli attacchi al valore sono forme di trauma importanti in cui ciò che
risulta assente è il riconoscimento, a causa di ripetute risposte non sintoniche.
In definitiva, per Meares, nel caso di traumi si perde lo spazio tra Sé e l'altro, con una conseguente
Interiorizzazione Maligna, la quale si realizza con l'identificazione con colui che infligge il trauma.
Il Modello degli Stati Comportamentali Separati (SCS) di Frank W. Putnam
Nel Modello degli Stati Comportamentali Separati elaborato da Putnam (2001) lo sviluppo del
bambino avverrebbe secondo due fasi:
- Aumento degli Stati Comportamentali Separati: il bambino sin dalla nascita inizierebbe a sviluppare
stati comportamentali separati che si susseguono in un ciclo ordinato. I passaggi da uno stato all'altro
sono definiti Salti, in quanto si basano su una discontinuità facilmente osservabile (ad es. passaggio
dal sonno alla veglia). All'inizio è il genitore che modula tali stati ma con il tempo il bambino deve
imparare ad autoregolarsi e ad integrare gli stati;
- Integrazione Metacognitiva dell'Informazione e Generalizzazione: un importante compito evolutivo,
che sorge sin dai due anni, è l'integrazione degli stati, la quale consente al bambino di generalizzare
le informazioni acquisite ed applicarle a contesti differenti.
Le Esperienze Traumatiche impediscono l'integrazione tra gli stati comportamentali e spesso le
famiglie sono responsabili di tale processo, creando un modello in cui viene negato lo stato di accesso
a determinate informazioni e stati, i quali non sono più recuperabili (ad es. differenze di
comportamento pubblico e privato in famiglie maltrattanti).
Per Putnam esistono due Tipi di Stati Dissociativi:
- Normali: presenti in tutti gli individui e che diminuiscono nel corso degli anni;
- Patologici: legati al trauma, i quali non permettono l'integrazione dei diversi stati comportamentali
separati minando il consolidamento evolutivo del senso di sé nel corso della vita.
A differenza di questo modello, l'ipotesi dei MOID si articola maggiormente su un versante relazionale
e implica una maggiore attenzione ai contesti interattivi ed intersoggettivi coinvolti nel mantenimento
della dissociazione, favorendo lo sviluppo del concetto di negoziazione in psicoterapia.
Le Forme della Dissociazione Secondo Bessel A. van der Kolk
Studiando i modi di immagazzinamento nella memoria degli episodi traumatici, van der Kolk (1996)
teorizza l'esistenza di tre Modi della Dissociazione:
- Dissociazione Primaria: isola le componenti somato-sensoriali di un episodio percepito come
minaccioso dalla coscienza ordinaria e non permette a queste componenti di venire integrate nel
racconto personale;
- Dissociazione Secondaria (Peritraumatica): serve ad anestetizzare l'esperienza, permettendo al
soggetto di divenire osservatore di ciò che sta accadendo, prendendo quindi le distanze dalla
sofferenza;
- Dissociazione Terziaria: consiste nello sviluppo di stati dell'Io distinti, ciascuno con le proprie
caratteristiche (ad es. identità molteplici).
La conseguenza del trauma si produce quindi a lungo termine e implica un blocco dello sviluppo del
soggetto all'età in cui il trauma si è verificato.
Emily A. Holmes
Attraverso l'analisi della letteratura clinica, Emily A. Holmes (2005) considera che il termine
Dissociazione intenda due Fenomeni Qualitativamente Distinti:
- Distacco: stato alterato di coscienza caratterizzato da un senso di separazione dal Sé o dal mondo.
Esso si può strutturare in modo stabile e si riattiva a partire da intense angosce stimolate
dall'ambiente o da qualcosa di interno;
- Compartimentalizzazione: incapacità a controllare deliberatamente le azioni o i processi cognitivi che
sono normalmente soggetti ad un certo controllo.
RIFLESSIONI SULL'ATTACCAMENTO E LA PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO
Liotti: la Disorganizzazione dell'Attaccamento e la Psicopatologia Dissociativa
Liotti (1992) considera la Dissociazione come un meccanismo psichico che protegge da esperienze
dolorose ma anche come il segno di una rottura nei processi intersoggettivi che, nello sviluppo,
dovrebbero portare alla formazione di un Sé coerente ed integrato.
Quest'autore afferma inoltre che il MOI dell'Attaccamento Disorganizzato è molteplice e incoerente,
e questo significa che in questo tipo di attaccamento le funzioni integrative della memoria hanno
subito un fallimento.
Vari studi clinici hanno confermato il collegamento tra dissociazione e attaccamento disorganizzato.
Secondo Liotti inoltre in questo tipo di organizzazione i bambini creano una Rappresentazione
Molteplice di Sé e dell'Altro, creando quello che lui definisce Triangolo Drammatico. Le tre
configurazioni sono poi riferibili ai tre principali tipi di personalità esistenti nel Disturbo Dissociativo
d'Identità:
- Sé come Salvatore: evidenziato da strategie di controllo e cura;
- Sé come Vittima: evidenziato da temi di catastrofi e di impotenza;
- Sé come Persecutore: evidenziato da auto-descrizioni di se come cattivo.
Trauma e Dissociazione
Il Trauma è da intendere sia come situazioni effettivamente abusanti operate da parte del genitore (ad
es. maltrattamenti fisici o psichici) che come condizioni in cui il genitore è dominato da sentimenti di
paura, dolore o disorientamento.
Nella formazione della Dissociazione hanno poi un ruolo anche le difese del bambino, le quali,
disattivando il sistema di attaccamento, creano ulteriori difficoltà e fraintendimenti nella relazione.
Infine Liotti (1999) ha sottolineato come non tutti i bambini che hanno un Attaccamento Disorganizzato
svilupperanno sintomi Dissociativi, ma come invece tutti gli adulti con Disturbi Dissociativi abbiano
avuto, nella prima infanzia, una forma di Attaccamento Disorganizzato.
NIJENHUIS: TRAUMA E DISSOCIAZIONE STRUTTURALE DELLA PERSONALITA'
Nijenhuis (2004) considera che gli eventi sensoriali vengano sintetizzati nella forma simbolica in modo
automatico e preconscio. Le Esperienze Traumatiche danno invece vita alla Dissociazione
Peri-Traumatica, la quale si verifica attraverso l'insuccesso dell'individuo di Personificare, quindi
considerare un evento come vissuto personalmente, e Sintetizzare gli eventi di vita.
Il fallimento dell'integrazione che ne consegue, definito da Nijenhuis come Dissociazione Strutturale
Primaria della personalità pre-morbosa, crea una spaccatura tra:
- Personalità Emotiva: rappresenta il sistema difensivo e racchiude le esperienze traumatiche. Le
Memorie Traumatiche risultano atemporali e vengono quindi sperimentate dall'individuo come se
l'evento terrificante si stesse verificando nel qui e ora;
- Personalità Apparentemente Normale: riguarda lo svolgimento normale della propria vita. Questo
sistema crea dei Sistemi Operativi Emotivi Specifici, come l'attaccamento e l'accudimento, che non
permettono l'integrazione della Personalità Emotiva. Quest'ultima può comunque creare delle
intrusioni che si verificano come particolari sensazioni o risposte motorie.
L'autore propone anche l'esistenza di una Dissociazione Strutturale Secondaria che si crea nel
caso vi siano mancanze di integrazione nei sottosistemi difensivi della Personalità Emotiva. Tali
elementi sono rilevabili in una fobia per l'attaccamento (evitamento del contatto, pseudo-indipendenza
e disconnessione dei bisogni fondamentali del Sé) o in una fobia per la perdita emotiva (paura
dell'abbandono, comportamenti morbosi, intolleranza alla solitudine e dipendenza regressiva).
In seguito ad un processo analogo può prodursi anche una Dissociazione Strutturale Terziaria,
provocata nei casi di traumatizzazione estrema, in seguito alla mancanza di integrazione dei
sottosistemi della Personalità Apparentemente Normale. Essa si realizza con il Disturbo Dissociativo
dell'Identità ed emerge quando alcuni aspetti inevitabili della vita quotidiana vengono associati al
trauma vissuto.
In definitiva Nijenhuis adopera il termine Dissociazione secondo diverse Accezioni:
- Processo: fallimento della sintesi e della personificazione delle esperienze traumatiche;
- Fase Acuta: presenza di sintomi dissociativi peri-traumatici somatoformi e psicoformi e, in seguito al
trauma, sintomi dissociativi reali;
- Scissione Sistema Emotivo: creata seguendo linee metaforiche che esistono naturalmente tra i
sistemi d'azione e i relativi sottosistemi.
THOMAS: LA TEORIA DELLA PROTEZIONE INTERPERSONALE
Thomas (2005), creando la Teoria della Protezione Interpersonale, considera che i bambini abusati
non siano stati in grado di creare MOI di un Protettore Efficace e, per tale ragione, essi hanno difficoltà
a difendersi dalle aggressioni interpersonali e dal criticismo interno.
Secondo Thomas nelle situazioni di pericolo si formano tre Rappresentazioni Interne:
- Aggressore;
- Protettore;
- Sé.
Se nel caso di Attaccamento Sicuro i bambini sono in grado di interiorizzare l'immagine di un
protettore forte, nei casi di maltrattamento verrà invece creata una rappresentazione del Sé come
insicuro, in quanto non è presente un protettore capace di difenderli dall'aggressore.
La Dissociazione viene quindi utilizzata quando si attiva nel soggetto la rappresentazione del
bambino indifeso, sia nel caso di attacchi esterni che in quello di attacchi interni, causati dal criticismo
connesso all'immagine interna dell'aggressore.
Inoltre tali soggetti seguiranno strade evolutive che li condurranno verso nuove esperienze di trauma,
rafforzando così il modello già presente.
Thomas propone quindi un Modello di Intervento Terapeutico che, basandosi sul concetto di
Sicurezza-Protezione Interpersonale, miri a rendere i soggetti capaci di crearsi delle immagini interne
di protezione.