GLI ACQUEDOTTI - Restauro Fontana Bernini

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GLI ACQUEDOTTI - Restauro Fontana Bernini
IL RESTAURO DELLA FONTANA DEL BERNINI IN CASTEL GANDOLFO
Forum «Ricerca scientifica e diffusione dell’innovazione tecnologica» XIV edizione | 29 Ottobre 2014
GLI ACQUEDOTTI
Trascrizione dell’intervento del ARCH. ELISABETTA CICERCHIA
Bisogna portare l’acqua alle fontane e portare l’acqua sin dai tempi antichi avveniva attraverso gli
acquedotti. Facciamo una brevissima storia, un breve racconto di come questo avveniva.
Tutte le grandi civiltà antiche erano dotate di una
organizzazione molto complessa per affrontare la vita
quotidiana e organizzare il territorio. Quindi per i
popoli antichi l’approvvigionamento dell’acqua
potabile era sicuramente il problema più difficile.
Il sistema più antico fu quello di raccogliere le acque,
le acque piovane o direttamente dai tetti venivano
incanalate per essere convogliate all’interno di
cisterne ma, l’espansione del tessuto urbano e
soprattutto il mutare delle esigenze degli abitanti e i
nuovi stili di vita di tutti i cittadini che iniziavano a
inurbarsi, si ricorse alla raccolta di acque sotterranee
mediante la costruzione di grandi pozzi o di robusti
Figura 1 - Acquedotto Romano
serbatoi nei quali l’acqua veniva lasciata inutilizzata
per un certo periodo di tempo affinché questa facesse depositare i fanghi e tutte le particelle, quindi
iniziava la decantazione dopodiché poteva essere utilizzata.
Da qui i primissimi acquedotti che vennero trovati già nel bacino del Mediterraneo al tempo di Creta in
Grecia, in Asia minore, in Mesopotamia e durante le campagne di scavi gli archeologi hanno trovato resti
di tubazioni e da questi sono riusciti a comprendere come funzionava e era un funzionamento elementare
questo dei primi acquedotti, cioè cercavano le sorgenti che erano situate in luoghi elevati e le facevano
scendere nelle vallate per poi risalire sfruttando il principio dei vasi comunicanti, all’interno quindi dei
centri abitati, ma questo non era sempre possibile e si creavano anche molte, molte disfunzioni e delle
aree che non potevano essere servite.
In epoche successive e a questo punto arriviamo all’epoca dei romani, affrontarono il problema del
rifornimento idrico in maniera decisamente più evoluta con tecniche di ingegneria idraulica del tutto
innovative ed edificarono delle strutture molto resistenti che ancora oggi noi possiamo vedere che ci
colpiscono soprattutto per la loro importanza, dimensione e a volte anche per funzionalità. Le rovine degli
antichi acquedotti romani che oggi li troviamo come veri e propri monumenti dell’acqua hanno da secoli
interessato gli studiosi, gli archeologi ma soprattutto gli ingegneri.
L’Urbe riuscì a rifornirsi d’acqua dall’agro romano circostante con una portata complessiva che arrivò nei
momenti di massimo splendore del periodo romano a circa metri cubi secondo, per dare una idea è circa
la metà dell’attuale fabbisogno di acqua, il che dà una idea anche della complessità delle opere che
furono in grado di realizzare nel corso dei diversi secoli. Essi captavano le acque prevalentemente dalla
zona orientale dei Monti Simbruini che noi oggi conosciamo come Monti Simbruini, il nome era appunto
Sub Ibrus, ovvero sotto la pioggia, erano monti che fornivano grandi quantità di acqua e questa poteva
essere portata a Roma provenendo dalla zona sud est, questa è una mappa molto sintetica che mostra
come il fascio dei principali acquedotti venisse proprio dalla zona Tiburtina e dai Monti Simbruini.
Per arrivare a Roma, entrando quindi dalla parte sud est, gli acquedotti dovevano superare, anche questi,
delle grandi difficoltà orografiche, c’erano notevoli dislivelli e gli antichi certo non erano in grado di gestire
dei condotti a pressione, non ne avevano ancora la disponibilità, ma erano riusciti a fare arrivare
comunque questa acqua attraverso dei canali protetti che scorrevano a pelo libero con una pendenza
praticamente costante.
La necessità di mantenere costante la pendenza divenne effettivamente drammatica in molte zone prima
di entrare a Roma, il che obbligò gli ingegneri romani a progettare sistemi di tubazione interrate per
superare i tratti di rilievo e le gallerie, oppure delle maestose arcate per superare i fossi.
Da qui emerge che uno dei problemi che dovettero affrontare era proprio la pressione dell’acqua che
veniva incanalata nelle tubature che per quel tempo era veramente un problema insolubile, i Romani non
potevano dotarsi di grandi tubi di grande diametro come noi abbiamo oggi e, quindi, non avrebbero in
altra maniera potuto fare fronte a questo problema e soprattutto resistere alla pressione.
Nel terzo secolo dopo Cristo Roma contava una
popolazione di un milione di abitanti ma avevano già
costruito undici acquedotti che sono quelli che
abbiamo visto nei tracciati precedenti e tra i più noti
possiamo ricordare l’Acqua Appia che fu il primo,
l’Anio Vetus, l’Anio Novus, l’Acqua Claudia, Vergine,
Marcia, la Tepula, la Adriana, l’Acqua Alessandrina
etc., questi i più noti.
Dovevano in realtà soddisfare un grande fabbisogno,
il milione di abitanti che nel terzo secolo appunto si
contava fossero già insediati, assicuravano a ogni
cittadino mille litri di acqua al giorno, queste quantità
di acqua servivano i bagni pubblici, i bagni privati,
Figura 2 - Acquedotto dell'Acqua Vergine
moltissime fontane o rifornivano le cisterne. Queste
non furono mai abbandonate perché la cisterna era una grande risorsa in caso di bisogno.
Come costruivano? Una vera e propria scienza idraulica hanno applicato e individuata la sorgente
verificavano la qualità delle acque, perché anche al tempo ogni acqua aveva il suo sapore, eseguivano
le opere di captazioni quindi gli incili che qui vediamo rappresentati, si procedeva in intubamento,
sbarramenti, venivano canalizzate e queste acque condotte prima nelle vasche di decantazione e poi nei
condotti per raggiungere l’urbe. Il canale di deflusso all’interno del quale scorreva l’acqua a pelo libero,
aveva una copertura piatta a volta o a cappuccina, si vede una sezione di resti degli antichi acquedotti
dove proprio c’era lo spazio dove l’acqua scorreva. Il canale di deflusso abbiamo visto correva proprio
all’interno di quel passaggio. Per mantenere la pendenza dell’acqua, assecondare e superare le ardite
morfologie del terreno furono realizzare delle sostruzioni, queste grandissime arcate anche a doppio arco
che oggi ancora troviamo in grandissime vestigia e queste gallerie erano garantite da periodica, costante
e accuratissima manutenzione. Le costruzioni erano in mattoni e pietra, veniva cementata e intonacata
e questo faceva sì che poteva contenere la vibrazione dell’acqua che scorreva in velocità.
L’acqua erogata dagli acquedotti era in parte destinata a tutti i cittadini che potevano attingerla
gratuitamente dalle fontane pubbliche. L’acqua che residuava, la caduca, veniva concessa dietro
pagamento con una tassa annua ai proprietari dei bagni e dei lavatoi. Quindi l’acqua a Roma è stata
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amministrata sempre da una figura che si chiamava il Procurator Acquarum, dal primo secolo avanti
Cristo, fino al quarto secolo dopo Cristo.
Gli acquedotti funzionarono fino ai tempi più recenti e furono ammodernati, migliorati fino a arrivare al
periodo del Papato, come prima si diceva delle fontane di cui ha parlato l’Architetto Moroni.
Qui possiamo citare Sisto V che tra il 1585 e il 1587 realizzò un nuovo acquedotto riutilizzando le sorgenti
dell’Acqua Alessandrina e per tratti recuperando il tracciato dell’Acqua Marcia, entrava a Roma dalla Via
Tuscolana precisamente a Porta Furba ed era l’Acqua Felice e questa è la fontana che sta all’inizio del
Mandrione che è la mostra dell’Acqua Felice.
Successivamente nel 1605 Paolo V incarica Carlo
Maderno, Giovanni Fontana e tanti altri Architetti di
migliorare l’approvvigionamento della zona ovest e
questa entrava attraverso quella che oggi è nota
come l’Acqua Paola dove la mostra dell’Acqua
Paola che è il fontanone del Gianicolo che vediamo
qui in immagini antiche e più recenti.
Nel 1870 quindi poco prima della fine del potere
temporale del Papato, si realizza a opera di Pio IX
un ulteriore riadattamento dell’Acquedotto
dell’Acqua Marcia che culmina nella fontana delle
Naiadi a Piazza Esedra e prima nell’altra fontana
che oggi troviamo in Largo di Santa Susanna e
questo è il trionfo dell’acqua di Papa Pio IX.
Poi ci sono stati gli interventi in epoca più moderna
Figura 3 - Acqua Paola, Fontanone del Gianicolo
e contemporanea, nel 1937 dal Fiume Velino viene
costruito l’Acquedotto del Peschiera, nel 1960 l’Acquedotto dell’Appio Claudio, negli anni sessanta
l’Acquedotto Appio Alessandrino farà fronte a tutta la nuova espansione della zona est di Roma.
Poi caliamoci nella nostra realtà e quindi nell’area dei Castelli Romani e delle Colline Tuscolane che nel
tempo lunghi tragitti e alcune deviazioni vennero fatte proprio da questi antichi acquedotti per alimentare
prima le residenze romane, ne abbiamo citate molte anche negli interventi precedenti e successivamente
alle residenze di Villeggiatura delle famiglie principesche o dei nobili che villeggiavano in queste zone.
Furono rinforzati con l’ausilio e l’integrazione di altre sorgenti in loco, nella fattispecie quella di Palazzolo
e Palafitto e sono prossime ai Comuni di Rocca di Papa, Ariccia e Albano. Da queste sorgenti il più antico
tracciato è quello detto delle Cento Bocche che arriva a alimentare a Albano anche Villa Doria e si lega
alle sorgenti del Malafitto da cui venne realizzato un duplice acquedotto: il Malafitto Alto e il Malafitto
Basso, questo ultimo con tecniche meno di qualità, infatti non esiste più.
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Comunque da questa sorgente, quindi dal
Palazzolo, arrivava l’acqua che arriva…, non so se
arriva ancora oggi vicino alla cisterna detta
Torlonia e da qui arrivava a alimentare la Fontana
Berniniana che è in piazza a Castel Gandolfo.
Oggi l’acqua di questa fontana viene dalle sorgenti
Palazzolo e Malafitto e sono gestite da un
Consorzio di antica formazione che risale al 1899
che tutt’oggi è ancora in essere, questo Consorzio
vede riunite moltissime figure e che abbisogna
anche di interventi.
Comunque lungo il percorso questo acquedotto, io
vi mostro un disegno, non so se si vede, che è
legato a questa antica convenzione di costituzione
del Consorzio, dove si vede il percorso che dalle sorgenti del Palazzolo, partono due condotti di cui uno
di esclusivo uso del Palazzo Apostolico e un altro è quello che arriva, come vedete, direttamente alla
Fontana che sta in Piazza di fronte al Comune, da questa fontana, prima di arrivare naturalmente ci sono
molte deviazioni che portano l’acqua anche a altre zone, parte da Albano e arriva sotto la fontana di
Piazza della Libertà dove un ripartitore ridistribuisce a sua volta questa acqua portandone una parte alla
Santa sede nuovamente, una parte va nelle zone più a valle tra cui anche il Ninfeo di Palazzo del Drago
e l’altra residua un tempo andava anche alla Proprietà Torlonia e dalle Suore Immacolatine.
Figura 4 Fontana del Bernini a Castel Gandolfo
Oggi quest’acqua va persa, non la prende più nessuno.
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Elisabetta Cicerchia
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