Marocco - TOAssociati
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Marocco – Tourneé nel deserto di Giuseppe Cederna, da I Viaggi di Repubblica Il paese magrebino è diventato da molti anni un gran set cinematografico, dove registi come Welles, Scorsese, Bertolucci hanno girato alcuni indimenticabili film. Un viaggio dalle città imperiali ai villaggi berberi, dall’alta montagna al Sahara, fino alle spiagge dell’atlantico in compagnia di Otello, Kundun e Paul Bowles. Correte subito là, è un paese da consumare subito. È alla portata del vostro piacere. Ah che bel paese il Marocco!". Comincia così Il pianeta delle scimmie, una poesia "arrabbiata" di T. B. Jelloun, uno dei più importanti scrittori magrebini, una lucida invettiva contro il razzismo dei nostri viaggi esclusivi e organizzati. Ce la porteremo dietro come antidoto. Infiliamola nella Lonely Planet e partiamo. Ah che bel paese il Marocco! "L'isola del ponente, isola di pieghe, di gobbe, di conche e di picchi, tra le dune del Mediterraneo e le onde del Sahara" (J. Madelain). Marocco varietà umana e geografica. Ricchezza e povertà. Marocco paradiso degli Italiani! Marocchino che da noi significa disgraziato, indesiderabile, che da noi dorme ammucchiato negli appartamenti affittati in nero da "italiani brava gente", in Marocco ti invita a sedere per terra, in salotto, a mangiare il cous cous e poi ti incoraggia a tornare, e a dormire sotto il cielo del deserto, a visitare gole selvagge e valli delle rose. Marocco poesia di un tramonto mille volte fotografato e scocciatura ai semafori. Marocco Lawrence d'Arabia, Bertolucci, Scorsese, Ali Babà, Salvatores, Orson Welles...Da molti anni il Marocco è diventato un grande set cinematografico, un laboratorio di immagini che saltano fuori continuamente, creando quello spaesamento, quella sindrome da film che proviamo in America, soprattutto , a New York o a Los Angeles. Lì sono le sirene, le strade, il lusso, le puttane, "le mille luci". Qui il sole, lo spazio, il deserto e la terra cruda. È di questo Marocco cinematografico, dei suoi studios, delle sue "location", che seguiremo le tracce. Attraverso alcuni dei suoi set più famosi passeremo dalle atta ai villaggi berberi, dall'alta montagna al deserto, fino alle spiagge e alle fortezze portoghesi dell'Atlantico. Partiamo da Casablanca, la città che ha dato il nome ad uno dei film più famosi della storia del cinema. Solo il nome perché come molti sanno, non una sola inquadratura dei 102 minuti di "Casablanca" è stata girata a Casablanca, bensì reinventata e ricostruita negli studi Warner a Hollywood. Casablanca oggi è una città moderna e decadente, grandi viali deserti e quartieri intensivi, caos e quiete. Una città senza centro dai molti centri - in cui si legge il conflitto tra due entità opposte: la città vecchia e quella nuova, la Medina e la Ville Nouvelle costruita dai francesi dal 1912 (anno in cui fu proclamato il protettorato) in poi. Che è anche il conflitto, la spaccatura tra la cultura nordafricana e quella occidentale, da cui il Marocco sta cercando di uscire. Risale agli anni '30 un interessante capo lavoro di reinvenzione: il quartiere Habous, la Nouvelle Medina. Esperimento di quartiere indigeno, con souk coperto, volte e vicoli labirintici. Curato e irreale come un villaggio turistico. Basta fare pochi metri per trovarsi nel caos di un vero quartiere ad alta intensità, il "quartiere del sultano", quello della squadra di calcio più popolare di Casablanca. E il centro storico, la Medina, quella vera, che fine ha fatto? «A Fez e a Marrakesh, la Medina è forte, ha resistito» racconta Karim El Achak, architetto che da dieci anni vive a Marrakech, «a Casablanca invece, nella città del contrasto pianificato, la Medina è ormai un ghetto degradato per chi non ha altre possibilità. E stata sconfitta». A camminarci la mattina al sole, oltre la stazione degli autobus e i maghi-attori-cantastorie che incantano centinaia di persone, non si direbbe. Viene voglia di perdersi tra la folla, di lasciarsi trascinare lungo le mura, tra carretti di pesce e di verdure e di entrare coraggiosamente nei suoi vicoli più interni. Ma poi l'odore e gli sguardi della povertà violata ti ricacciano indietro. Al tuo posto. Nella Casablanca reinventata. Scartato orgogliosamente il Rick's Bar, quello di Humphrey Bogart, con camerieri in trench e inevitabile pianista triste - "As time goes by" salutato l'Atlantico e il "trono di Dio", la gigantesca moschea Hassan II, possiamo finalmente partire verso altri film, a sud. Da Casablanca a Marrakech una sola fermata. Nell'Altopiano dei fosfati, all'altezza di Settat, una cinquantina di chilometri a ovest per cercare la Kasbah di Boulaouane (fine del XVII sec.). È una meravigliosa fortezza merlata colore del grano, protetta dalle anse del Oum Er Rbia. Nonostante la sua posizione elevata, appare quasi all'improvviso con il suo calcare morso dal tempo e il vecchio guardiano sulla porta. Un bastone, un vestito bianco immacolato e occhi da anima vecchia, come le pietre che custodisce. È lui il film. E puntuale arriva l'immagine: Paul Bowles alla fine del "Tè nel deserto" di Bertolucci. Il vecchio sorride, annuisce, non sa chi sia questo signore ma non importa, naturalmente. E poi dopo averlo pagato e ringraziato per la sua guida ripartiamo. Ed eccoci a Marrakech poco prima del tramonto. È il momento migliore per stupirsi ancora una volta di questa capitale del sud, mercato e crocevia di traffici e razze, turistiche ma non solo, che proprio al tramonto si accende, impallidisce e trascolora con le sue case basse, le mura, i bastioni, le porte, i giardini. «Una città di berberi e neri», scriveva nel 1917 Edith Warton, «ultimo avamposto contro il feroce mondo nero oltre l'Atlante da cui venivano i suoi stessi fondatori, i principi Almoravidi che venivano dal nero deserto del Senegal...». E poi i conquistatori Almohadi che alla fine del XII secolo costruirono la Koutoubya, uno dei capolavori assoluti dell'arte islamica, conficcandola così profondamente da colorare di rosso, il rosso sangue della terra, tutta la città, le strade e il deserto intorno. È una leggenda berbera. E Marrakech è una città leggendaria, cantata da poeti, scrittori, viaggiatori e musicisti: «Guardo il mondo attraverso il tramonto nei tuoi occhi... Donne vestite di blu, i cieli chiari del Marocco... Ti rendi conto? Stiamo viaggiando in treno sul Marrakech Express...». Così cantavano nel 1969, Crosby Stili & Nash. Marrakech-la-rossa la città dove tutto è "set" già pronto, preparato. Sembra che qui sappiamo benissimo quello che ci piace e ce lo fanno trovare, ogni anno più finto, più povero e reinventato, ma va bene lo stesso. A Marrakech, ricche case di produzione americane hanno affittato interi quartieri con tutta la gente dentro. A Marrakech piccole troupes di disperati hanno rubato immagini qui e là approfittando del fattore sorpresa e della loro scarsa visibilità. È stato così per alcune scene di "Marrakech Express" di Gabriele Salvatores: telecamera nascosta tra la gente e i microset in un angolo del Souq tra vasi, lampade, babbucce e tagli di luce, per girare la scena in cui Ponchia (Diego Abatantuono) si rompe il dente con il ghiaccio. E questa immagine, sepolta tra tutte le altre immagini del mercato- fiume, è saltata fuori di colpo, come lo scenario di un sogno che si anima. Potenza del cinema! Una sera, tra le decine di campi di calcio fuori dalle mura di Marrakech, affollati di giocatori, pubblico e polvere, ne ho riconosciuto uno in particolare. Quello in cui si è consumata una delle più gravi e definitive disfatte calcistiche nel cinema italiano in trasferta. Sarebbero dovuti essere solo "quattro calci" con dei ragazzini malridotti incontrati la mattina, ma alle cinque e mezza del pomeriggio si presentò una squadra giovanile con tanto di magliette, scarpini e arbitro. Una vera e propria trappola: Marocco-Italia, ciclo sereno, quattrocento spettatori sempre più esilarati, serpentine, scatti, lanci, attacchi, goal! Una disfatta razziale: il fiato, la magrezza e la velocità marocchina contro lo stile generoso ma imbolsito e un pò rachitico degli italiani. Ad un certo punto, "sportivamente", smisero persino di segnare e noi gettammo la spugna. Pubblico in delirio. Abbracci. Sera. Undici anni dopo, stesso campo, stesso pubblico e altri giocatori, la partita continua. Lasciati i colori e "le voci di Marrakech", la mattina presto partiamo verso la montagna, "il bianco muro dell'Atlante", quella specie di onda immobile tra le nuvole che si alza sull'orizzonte sud di Marrakech. In meno di un'ora, ultimi chilometri di pianura, eucalipti, olivi e cartelli con mucche pezzate dell'Atlas Ranch, arriviamo ad Asni e cominciamo a salire verso il villaggio di Imlil. Sulla strada raccogliamo Ahmed, una guida del posto che sembra già sapere perché siamo qui e ci offre di mostrarci "tutto il film". Il titolo ci appare subito a caratteri cubitali dipinto sulle rocce a lato della strada: Kundun. Nel 1996 questa valle è stata uno dei set del film di Martin Scorsese sulla storia del XIV Dalai Lama e del suo esilio per sfuggire all'invasione cinese del 1949. E adesso anche noi siamo in Tibet. «Ecco quella è la frontiera», dice Ahmed indicando sempre la strada e i sassi bianchi del torrente Mizane. Scendiamo dalla macchina e siamo in India. Salve. «Qui c'erano baracche di legno», continua la nostra guida, «cavalli, monaci tibetani, la sbarra del confine e le guardie indiane». Qui Kundun, dopo un lungo viaggio, arrivava finalmente in salvo. E qui sussurrava esausto a una guardia: «Ciò che vedi è un semplice monaco. Sono un riflesso, come la luce sull'acqua. Quando vedi me, vedi te stesso che cerca di essere un uomo buono». Saliamo verso un altro set. A Imlil, 1720 mt, l'aria è fresca e rarefatta. Siamo nel cuore attrezzato del trekking marocchino. Alto Atlante, sotto il massiccio del Djebel Toubkal, 4167 mt. la montagna più alta del Nord Africa, coperta di neve da novembre a metà giugno. Imlil è il punto di partenza di piste e sentieri che collegano i villaggi ai pascoli, ai rifugi fino ai passi d'alta quota e alle vette. Arroccata in cima al paese la Kasbah di Imlil è stata rinnovata interamente da manodopera locale e trasformata in un bei rifugio da un inglese e una guida berbera. Dall'alto della sua terrazza il panorama è stupendo: affioramenti di terre rosse, riquadri di coltivazioni verdissime, corsi d'acqua, villaggi di case basse con finestre cerchiate di bianco, camaleonti traditi solo dai colori dei panni stesi, animali al pascolo, imponenti montagne seminascoste, creste innevate. Sembra veramente di essere in India del Nord o in una remota valle nepalese. La Kasbah con Scorsese è diventata un monastero tibetano e da qui Kundun puntava il cannocchiale verso il Tibet, nelle ultime, bellissime inquadrature del film. Potenza del cinema! Il Sud e il Nord capovolti e uniti da un'immagine. E il Marocco, con il deserto infinito dietro la grande montagna, trasformato nel sogno di un Lama. Da Asni, con una strada tortuosa e spettacolare tagliata nel cuore dell'Atlante, in circa tre ore si arriva alla moschea rosa di Tin Mal. Merlata, senza tetto, solida e leggerissima, Tin Mal, del 1156; contemporanea della Koutoubia di Marrakech, è l'occasione per i non musulmani di visitare l'armonia interna di una moschea. Ancora 30 chilometri e si raggiunge il passo Tizi n'Test, 2093 mt. Nebbia, freddo d'alta montagna e un piccolo bar gestito da tre ragazzini, due fratelli e un cugino di 12 anni che è anche il cuoco del gruppo. Té bollente, stufetta rudimentale e deliziosi uccellini dipinti sul muro. Dal passo attraverso le nuvole, si plana giù verso la Souss Valley, la pianura arancione, rossa, viola e il nostro letto a Taliouine. Notte. 5 chilometri da Ouarzazate. Studi Cinematografici Atlas. È la "Cinecittà del Marocco", da Van Damme a Campiotti. Oggi sembra un fortino egizio smantellato dal tempo e dai Lillipuziani: sono i resti di "Cleopatra" un colossal inglese finito da poco. Una vera tempesta di sabbia, strati di scenografie precocemente invecchiate, l'interno, come uno scavo archeologico è pieno di sorprese: bighe romane, cannoni, leoni orientaleggianti, cammelli, palme, carcasse di jeep, mura megalitiche e colonne argentate, un tempio a pagoda, l'enorme prua di una nave nera insabbiata. Tra teatri di posa "en plein air”.