Storie di Medea - Casa editrice Le Lettere

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Storie di Medea - Casa editrice Le Lettere
Giulia Tellini
Storie di Medea
Attrici e autori
Le Lettere
INDICE GENERALE
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
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PARTE PRIMA – LE ATTRICI
I.
Da Adelaide Ristori a Giacinta Pezzana
1. La prigioniera e la fuggitiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. Una stella danzante generata dal caos . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3. Una, nessuna e centomila . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4. Medea: ultimo atto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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II. La Medea di Maria Melato
1. ‘Asie’ di Lenormand . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. Il copione di Maria Melato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3. Lo spettacolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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III. Le tre Medee di Sarah Ferrati
1. Ostia, Teatro Romano, 25 giugno 1949, regia di Guido Salvini . . . . .
2. Milano, Teatro Manzoni, 6 marzo 1953, regia di Luchino Visconti . .
3. TV, Canale nazionale, 11 gennaio 1957, regia di Sarah Ferrati . . . . . .
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PARTE SECONDA – ITINERARI DI MEDEA
I.
Antica
1. Il mito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. Da Atene a Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3. Nel Medioevo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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INDICE GENERALE
II. Moderna
1. La Controriforma, il Siglo de Oro e la nascita di Creusa . . . . . . . . . .
2. Tra Classicismo e Romanticismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3. Portabandiera delle femministe d’Oltremanica . . . . . . . . . . . . . . . . .
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III. Contemporanea
1. Barbara. Immigrata. Extracomunitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. Tra guerra e dopoguerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3. Nell’epoca della riproducibilità tecnica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4. Storie di ordinaria alienazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 283
Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 297
II
LA MEDEA DI MARIA MELATO
1. ‘Asie’ di Lenormand
Les Possédés, Le Temps est un songe, Les Ratés, Le mangeur de rêves,
L’homme et ses fantômes, À l’ombre du mal sono i titoli di alcune delle più note
opere scritte dal drammaturgo e romanziere parigino Henri-René Lenormand.
Nato nel 1882 e morto nel 1951, nel corso di un’esistenza inquieta, viaggia molto, legge Nietzsche, Poe, Tolstoj, Dostoevskij e Maeterlinck, lavora per il Grand
Guignol, viene internato in un sanatorio svizzero durante la Prima Guerra
Mondiale, scopre la psicanalisi, incontra i Pitoëff, scrive drammi di grande successo e, nel secondo dopoguerra, il romanzo Une fille est une fille e le
Confessions d’un auteur dramatique.
Noto in Italia soprattutto grazie a Uberto Palmarini che, nel 1922, ne mette in scena I mancati1 e, nel 1923, Il tempo è un sogno2, Lenormand, arrischiandosi sempre, nell’elaborazione dei suoi drammi, oltre i confini stabiliti dai
«mangiatori di mele» di salingeriana memoria3 (ovvero da quelli che, invece di
riconoscerlo e accettarlo, intendono studiare e risolvere il “mistero”)4, sembra
avvertire una irresistibile, morbosa, solidale attrazione per i personaggi le cui
menti sono loro malgrado dotate di una predisposizione naturale o in qualche
modo indotta, non di rado da soggiorni più o meno lunghi in zone asiatiche, a
trovarsi spesso sull’orlo di quei famosi «precipizi» definiti da Patrizia Valduga
«paurosi, a picco, impenetrati, bui».
Mentre, ne I mancati, si assiste al progressivo insinuarsi dell’odio nell’amore, o meglio nella «sconsolata tenerezza senza nome»5, fra uno scrittore fallito e
un’attrice «costretta dalla miseria a recitare in umilianti tournées per i teatri di
provincia»6, in Il tempo è un sogno (accompagnati da un autore che, raggiunto
il fondo dell’inconscio, non ha paura di cominciare a scavare) si segue il lento,
inarrestabile decorso della malattia, diagnosticabile come una tragedia della volontà con esiti depressivi, del giovane protagonista che, «come i credenti in
Budda, si stacca dalla realtà della vita nostra, adagio, adagio, si spiritualizza»7
per poi suicidarsi.
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LE ATTRICI
Era scarsamente probabile che un’attrice virtuale8 e non del tutto “sana” di
nervi9 come Maria Melato, imbattutasi in una tragedia di Lenormand intitolata
Asie e ispirata al mito di Medea, non si affrettasse, dopo averne modificato il titolo in Medea, a tradurla, adattarla e prodigarsi per rappresentarla in Italia (con
la complicità addirittura del metteur en scéne russo Ilja Motileff) ancor prima
che in Francia. A dispetto, infatti, di come è scritto nella prima stampa dell’opera (pubblicata nel giugno del 1932 sui «Cahiers de “Bravo”»), Asie non debutta il 16 dicembre 1931 al Théâtre Antoine di Parigi ma, intitolata Medea e
tradotta in italiano, il 22 gennaio 1931 al Teatro Chiabrera di Savona.
Evidentemente l’autore, che assiste allo spettacolo della Melato il 7 aprile 1931
al Teatro Argentina di Roma, ne rimane talmente poco entusiasmato da considerarlo la messa in scena di un testo che con la sua Asie ha poco a che fare. E,
perciò, se ne dissocia.
Nata a Reggio Emilia il 16 ottobre del 1885, dopo aver recitato in alcune filodrammatiche, l’attrice viene scritturata come generica da Ettore Berti (1902).
Viene poi promossa amorosa nella Mariani-Zampieri (1904) e, nel 1906, prima
attrice giovane nella compagnia di Irma Gramatica e Flavio Andò. Il 10 gennaio
del 1908, ammalatasi la Gramatica, interpreta, al Lirico di Milano, la protagonista ne La moglie del dottore di Silvio Zambaldi e ottiene il primo grande successo. Nel 1909, Virgilio Talli, con cui rimane in ditta fino al 1921, la scrittura
come prima attrice. Divenuta capocomica nel 1921, forma per alcuni anni compagnia insieme ad Annibale Betrone. Ottiene la consacrazione ufficiale nel settembre del 1927, quando è Mila di Codra nella messa in scena della Figlia di
Iorio al Vittoriale. Continua a recitare anche negli anni della guerra, prende parte ad alcuni film e muore di polmonite in Versilia il 24 agosto 1950.
A tradurre e adattare la tragedia di Lenormand per le ribalte italiane, come
abbiamo detto, è lei stessa: spesso, infatti, invece di rivolgersi ad agenzie teatrali10, la Melato preferisce curare di persona la traduzione e la riduzione dei testi
che intende portare in scena. Per avvalorare la tesi in base alla quale a tradurre
Asie sarebbe stata proprio lei, non è trascurabile il fatto che l’attrice abbia inoltrato alla Siae11 una domanda di iscrizione come traduttrice proprio il 3 febbraio 1931, solo una decina di giorni dopo il debutto di Medea. Benché siano
andate perdute, a Roma, nella babilonia archivistica della Siae, le schede di molti testi sicuramente tradotti (e/o ridotti) e poi depositati da lei12, sono presenti
comunque molti titoli13. Uno spoglio del carteggio fra l’attrice e Silvio d’Amico,
reperibile nel Museo Biblioteca dell’Attore di Genova (e, in copia fotostatica,
nel Fondo Melato, conservato presso la Biblioteca «Antonio Panizzi» di Reggio
Emilia), ha finito col confermare la tesi.
In una lettera scritta dalla Melato, datata «Pasqua 1931» e indirizzata al critico, si può infatti leggere:
Se in questi pochi giorni nei quali mi trattengo a Roma, potrete farmi del bene con la
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vostra critica benevola ve ne sarò molto riconoscente. In questi tempi così difficili, il bisogno che si ha di aiuto, è veramente estremo! In ogni modo, qualunque cosa voi farete per me, sarà sempre ben fatta. Volevo dirvi che la traduzione della Medea l’ho fatta
io! Non lo annuncio, perché mi sembra un esibizionismo di cattivo gusto. Ma se non vi
sembra troppo ignobile, e ne dite una parola, mi farete molto piacere! Scusatemi vi prego […].
A parte un breve rilievo polemico al testo di Lenormand (inserito all’interno di un articolo che parla d’altro)14, d’Amico non recensirà mai, pur avendola
vista, la Medea della Melato. La traduzione dell’opera, che in effetti è una vera
e propria riscrittura, deve essere costata all’attrice anche molto lavoro se, in una
lettera senza data ma presumibilmente della seconda metà del 1930, scrive al
padre:
Caro papà, finalmente posso scriverti! Ho finito la mia traduzione! Quanto lavoro!
Quattro atti! Ora con l’aiuto di Dio è finita! Ora la spedisco a Parigi perché sia riveduta, corretta, e, speriamo in Dio, approvata! Mi dispiacerebbe proprio molto che non
l’accettassero. Dopo tanto lavoro! Io ho lavorato meglio che ho potuto. Speriamo!15
Asie, «pièce in trois actes et dix tableaux», viene pubblicata per la prima
volta nel 1932 e poi, senza alcuna variante, nel IX volume del Théâtre Complet
di Lenormand (edito nel 1938)16.
Suddiviso in tre quadri, il primo atto si svolge sul ponte di un piroscafo diretto dall’Asia in Europa. È nel primo quadro che Lenormand presenta tutti i
personaggi principali della vicenda: ad aprire l’atto è il colloquio fra il vecchio
amministratore coloniale De Listrac (un uomo che è stato impiegato presso il
governo francese in Indocina per trent’anni) e sua figlia Aimée a proposito di
De Mezzana, spericolato avventuriero franco-spagnolo che al primo ha affidato
le proprie carte e di cui la seconda, sebbene lo conosca solo da quattordici giorni, è già innamorata:
Ce ne sont pas – dichiara De Listrac – ses faits et gestes, c’est l’homme qui m’échappe,
ses mobiles, son caractère. Sa personne respire la droiture, le courage, le désintéressement. Et ses actes, mon Dieu, les actes... Il y a des pionniers qu’on a couverts d’honneurs et qui en avaient fait moins que lui... Il y a des pirates qu’on a fusillés sans jugement et qui n’en avaient pas fait davantage17.
Chiamato da De Listrac, che ne esige chiarimenti relativi alle imprese compiute in Indocina, De Mezzana, raggiunto il ponte, narra pittorescamente come
sia arrivato a nuoto nel reame dei Sibang dopo un mese di marcia con tre elefanti, come sia diventato «chef de guerre» di «un tas d’affreux bonshommes» e
abbia marciato vittorioso sulla capitale dopo essersi garantito l’appoggio della
Principessa Katha Naham Moun. Una volta deposto il re, in seguito a una co-
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LE ATTRICI
spirazione ordita dalla figlia, De Mezzana racconta come sia divenuto capo di
duemila guerrieri, oltre che generale e ministro della giustizia, come abbia condotto alla vittoria per otto anni il popolo dei Sibang e come infine sia fuggito
per non venire assassinato. Ciò che desidera è solo rivedere, e condurre in
Francia, i bambini avuti da Katha, che (ospiti di un educandato cattolico in
Cambogia) non vede da tre anni. «Je ne vois même plus – dice – la coleur de
leurs visages»18: frase evidentemente sintomatica del suo inconscio disagio per
il fatto di avere due figli che non sono bianchi come lui.
A interrompere la conversazione fra De Listrac e De Mezzana interviene,
verso la fine del quadro, la Principessa, «une mince et imposante figure sauvage,
avec, dans la démarche et l’attitude, una force de résistance et de révolte qui décèle son origine guerrière et montagnarde»19, impaziente anch’essa di riabbracciare, il giorno dopo, i figli Apaït e Saïda:
DE MEZZANA:
Je ne vois plus leur couleur.
La mienne, bien-aimé. Un peu plus claire. L’intérieur de mes mains.
DE MEZZANA: Beaucoup plus claire, il me semble.
LA PRINCESSE: Un peu seulement. Un tout petit peu seulement…20
LA PRINCESSE:
Il secondo quadro è interamente dedicato all’incontro con i bambini: il piroscafo fa scalo nel protettorato francese dove ha sede la missione che li ha accolti quando stavano per morire a causa delle febbri malariche contratte nel loro paese.
LA PRINCESSE: […] Les enfants de sang pur supportent le climat du haut pays. Les enfants de sang mélangé y meurent. (A elle-même, avec amertume) De tels enfants ne devraient peut-être pas exister.
DE LISTRAC: Hé, Princesse, dites alors que l’Asie ne devrait pas exister, – c’est d’ailleurs
mon avis, – car pour le mélange des sangs, quel mixed grill! Avec de la chair de toute
couleur et de toute provenance. Quelle salade!21
La constatazione del fatto che i missionari non solo li hanno cresciuti avvolgendoli nella più invadente delle educazioni cattoliche, e parlando loro solo del
padre, ma ne hanno anche modificato i nomi in Vincent e Julien («l’usage de la
mission… – spiega il Missionario – Nous donnons des prénoms chrétiens… à
nos petits élèves»), inquina la gioia che la Principessa prova nel rivederli:
«Vincent et Julien! – esclama – Je n’ai jamais eu de fils portant ces noms grotesques. Vincent et Julien appartiennent à leur père, – exclusivement à leur père!».
Il terzo quadro si apre sul felice decorso dell’idillio fra Aimée e De
Mezzana, il cui più grande desiderio, a questo punto, è «un mariage français»:
DE MEZZANA:
[…] Vous êtes l’Europe, vers qui je me précipite à la vitesse de deux cents
milles par jour […].
LA MEDEA DI MARIA MELATO
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AIMÉE: Vous fuyez l’Asie, mais elle vous suit. Elle est à bord, – tout comme l’Europe.
Vous ne pouvez appartenir à toutes les deux.
DE MEZZANA: J’appartiens à ce qui me permet de vivre, à qui donne à mon cœur la confiance, à mon esprit, la liberté, à mes yeux, la couleur claire. J’appartiens à ce qui me
permet de vivre.
AIMÉE: Elle vous a paru aussi nécessaire que moi. Vous avez cru ne pouvoir trouver paix
et respiration qu’auprés d’elle.
DE MEZZANA: C’est vrai. Parce que l’homme s’enivre d’inconnu et se trompe sur la nature de ses passions. Il prend ses curiosités pour de l’amour. Il s’enfonce dans une âme
étrangère comme dans une mine. Il se grise de noirceur, de périls et de faux mystères…
Quand il revient au jour… il sait qu’il aime le jour22.
Ad Aimée, che gli domanda come pensa di risolvere il problema del matrimonio che lo vincola alla Principessa, De Mezzana dichiara che stenta a riconoscerne la validità (dato che è stato celebrato «au son des tambours de guerre, par des démons hurleus entortillés de soie jaune») ma che non rinuncerebbe mai ai suoi bambini: «Je les garde, quoi qu’il arrive. Ce sont mes enfants, –
mais pas encore mes fils. Ils ne seront mes fils que quand je les aurai séparés
d’elle et repeints à la couleur de ma race [...]. J’en ferai des garçons blancs.
J’effacerai la sombre tache originelle… le péché de noirceur...».
Accompagnati dalla madre e dall’ayah, fanno irruzione sul ponte Vincent e
Julien che, corsi incontro al padre, sempre incantati da tutto ciò che riguarda il
progresso tecnologico e l’Occidente, lo pregano di portarli a vedere il motore
del piroscafo: sono convinti, infatti, che la madre abbia mentito dicendo loro
che a muovere l’imbarcazione è un diavolo col fuoco nella pancia. Il resto del
quadro è occupato in buona parte dall’accesa se non persino violenta discussione relativa ai progetti formativi che i due coniugi hanno in mente per i figli:
DE MEZZANA:
[…] Tu connais pourtant ma volonté?
Oui. Des têtes pleines de chiffres. Je sais.
DE MEZZANA: En tout cas, pas des têtes pleines de superstitions.
LA PRINCESSE: Tu en feras des ingénieurs, n’est-ce pas? Des agités en casque blanc qui
construiront des ponts et des canaux.
DE MEZZANA: Je n’en ferai assurément pas des magiciens23.
LA PRINCESSE:
Prima che i bambini ritornino dai genitori sul finire dell’atto, la Principessa
ricorda a De Mezzana il terrore che lo aveva paralizzato quando, in Indocina,
in riva a un lago magico, evocate da un incantesimo, aveva visto due forme nebulose colore di sangue, presumibilmente uscite dalla notte dell’avvenire, muoversi in mezzo al buio:
Je n’oserais plus essayer la puissance des charmes. Je me sens – confessa Katha – comme un arbre dont on a sournoisement coupé les racines... (Suppliante) Laisse-moi, du
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LE ATTRICI
moins, mes enfants, pour quelque temps encore. Ne les tourne pas contre leur mère. Ne
m’humilie pas devant eux... Ce sont de très petits enfants…24
Seduta sul ponte con i figli in braccio, Katha chiede al più sensibile, il primogenito Julien, se non preferirebbe avere una mamma bianca. E si sente rispondere: «Eh bien, en France… une maman blanche, ce serait peut-être plus
pratique pour voyager».
Il secondo e il terzo atto si svolgono quasi completamente nella villa, situata nei dintorni di Marsiglia, che De Mezzana e Aimée, non appena sbarcati in
Francia, si sono comprati per mettere i puntini sulle “i” della smania di pace e
stabilità coniugale del primo, il «notre conquistador», come De Listrac chiama
il promesso sposo della figlia. Sul punto di divenire nonno acquisito, il vecchio
amministratore ha regalato ai bambini due biciclette e mentre, dalla terrazza
della villa, all’inizio del quarto quadro che apre il secondo atto, li guarda pedalare su e giù per il parco, domanda a De Mezzana se intende sempre imbarcare
Katha, temporaneamente parcheggiata in un albergo, sul successivo piroscafo
diretto in Asia (il Lotus), tanto più che, «si cet project du société dont il est question aboutit… si votre aventure ouvre à la civilisation le royaume des Sibangs,
il lui sera plus facile d’en redevenir la souveraine». Ma De Mezzana, cercando
di spacciare a se stesso la propria «lâcheté» per «pitié», non l’ha ancora resa
partecipe del suo proposito di risposarsi.
Quanto ai bambini, Aimée, deputata alla loro formazione, è preoccupata
sia per il modo con cui affrontano lo studio25, sia per le manifestazioni di razzismo, tutt’altro che scoraggiate dagli insegnanti, che sono costretti a sopportare
a scuola da parte dei compagni: «Je trouve intolérable – commenta il padre –
que dix ans après la guerre, et dans une démocratie européenne, deux enfants
de sang mêle soient considérés comme des espèces de singes apprivoisés»26.
Nel quinto quadro, ambientato nella camera d’albergo dove è stata reclusa
la Principessa, ha luogo lo scontro fra i due, ormai quasi ex, coniugi. Dopo averle rivelato le proprie intenzioni nuziali nei confronti di Aimée, De Mezzana comunica a Katha, di cui è già stato predisposto il rientro in Indocina, che le autorità della colonia si sono mostrate disponibili ad aiutarla nella riconquista del
proprio reame. A Katha, che gli dichiara il suo imperituro amore («mon cœur
est fixe comme une étoile») e gli ricorda che per causa sua ha provocato la morte del vecchio padre e dell’amato fratello (avvelenato con una marmellata di
manghi), De Mezzana riesce solamente a dire che quei delitti li avrebbe commessi comunque: «Petit Franc hypocrite! – replica lei – Ceux que j’ai commis,
tu en as profité. Ce sont tes crimes, autant que les miens»27.
Condotta all’esasperazione dai ragionamenti di De Mezzana («j’ai pitié de
ta douleur, de tes chimères et de ton impuissance. […] J’aime une femme de ma
race. J’obéis simplement à la loi de mon espèce»), la Principessa, che non può
fare a meno di pensare ai figli, lascia a briglie sciolte la battuta che chiude il qua-
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dro: «Je les hais, tes enfants! [...] Enlèveleur, si tu le peux, le seule chose qu’ils
tiennent encore de moi: leur couleur! Teins-les! Peins-les! Maquille-les!»28.
Il sesto quadro si svolge sulla terrazza della villa, dove troviamo De Listrac,
De Mezzana e Aimée alle prese con una discussione riguardante il destino della Principessa, sulla quale grava, per volere di De Listrac, la minaccia di «un
arrêté d’expulsion» e la perentoria decisione, presa da De Mezzana e biasimata
dalla sua fidanzata, di non concederle assolutamente l’affidamento dei figli («lui
rendre ses enfants, c’est les rendre à l’ignorance et à la barbarie»).
Risoluta a voler uccidere Aimée, Katha, accolto De Listrac nella sua camera d’albergo (che fa da scenario al settimo quadro della tragedia), lo convince,
esibendogli un intero campionario di buon senso29, a prorogarle la partenza di
dieci giorni; giusto il tempo necessario per permetterle di elaborare il dolore per
la separazione dai figli: «dix jours… pour m’habituer… pour ne pas devenir folle…». Alla visita di De Listrac, segue quella di De Mezzana, cui lei, adottando
la tecnica già collaudata con l’ospite precedente, fa con successo un’ulteriore richiesta: «Je voudrais – jusqu’au jour du départ, – vivre entre les enfants et toi,
dans la maison que tu as achetée». Ma quando, per sondare il terreno, lei gli
chiede se può portare i bambini con sé in Asia, De Mezzana le oppone un furioso rifiuto e le confessa accoratamente di amarli più di Aimée:
DE MEZZANA:
Oui… Je les aimes plus que’elle. Je les aime plus que ma propre existen-
ce. [...]
LA PRINCESSE:
[...] Voilà donc comment il les aime! [...] Ah, les pauvres, pauvres petits!30
La protagonista va dunque a vivere nella villa di De Mezzana ed è sulla solita terrazza che la troviamo all’inizio del terzo atto, tutta intenta a esporre all’ayah il proprio piano infanticida: erano, dunque, i figli le «deux formes sanglantes qui flottaient» sulle acque del lago magico. Non appena l’ayah è riuscita
a distoglierla dal suo proposito, entrano i bambini e cominciano a discutere fra
loro di calcolatrici e automobili. Quando escono, la madre è risoluta a ucciderli
(«Ils n’inventeront pas de machines […]. Je sauverai l’âme que je leur ai
donnée!»): la rivale (che, in Asie, infatti, rimane in vita) non le interessa più.
Movente dell’infanticidio non è solo la volontà di annichilire il marito che l’ha
tradita, ma soprattutto il desiderio di preservare i figli dal mondo occidentale –
corrotto, tracotante, materialista, industrializzato – rappresentato dal loro padre.
Nel quadro successivo, il nono, ambientato sempre nella terrazza, De
Mezzana e Katha sono nel pieno di una conversazione – che gravita intorno al
futuro di lei (e quindi all’appoggio che il Presidente della Società per la valorizzazione del reame dei Sibangs le garantisce) e dei bambini31 – portata avanti,
con notevole distratta disinvoltura, in particolar modo dal primo, mentre la seconda si mostra ossessionata da un’idea fissa: «Tous les deux, bientôt, dans la
terre».
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LE ATTRICI
L’idea si concretizza nel decimo e ultimo quadro, che si svolge nella camera dei bambini: Vincent e Julien, dopo aver manifestato i rispettivi contrastanti
pareri a proposito della partenza della madre e delle imminenti nozze del padre
con Aimée, indugiano nell’esprimere apprezzamenti sul sapore della marmellata di manghi, dono della madre, appena mangiata. Katha, come abbiamo visto,
aveva ucciso suo fratello proprio con una conserva di manghi avvelenata.
Entra la Principessa, li mette a letto, intona un canto magico, li abbraccia e
assiste alla loro morte: si tratta di un rito sacrificale che, compiuto con estrema
lentezza, mira a purificare lei stessa e a salvaguardare la purezza della sua stirpe. Dopo aver chiesto all’ayah di affidare a De Mezzana l’onere di seppellire i
cadaveri dei figli mentre a lei resta l’onore di condurne le anime in cielo32, persuasa di scorgere fuori dalla finestra il carro di fuoco inviatole dal Sole, sale sul
cornicione e si lancia nel vuoto: invece di guardare per terra, dove si è appena
andata a schiantare, l’ayah la cerca nel cielo, fra le nuvole, a bordo del suo carro di fuoco.
2. Il copione di Maria Melato
Presso la Biblioteca Municipale «Antonio Panizzi» di Reggio Emilia, dove
si trova il Fondo Maria Melato33, è conservato il copione di Medea appartenuto
all’attrice: mutilo del primo atto e composto da tre fascicoli. A ogni fascicolo (il
primo di 32 cartelle dattiloscritte, il secondo di 28 e il terzo di 38) corrisponde
un atto della tragedia che, organizzata da Lenormand in tre atti e dieci quadri,
viene suddivisa dalla Melato in quattro atti e undici quadri34. Diverso in alcuni
macroscopici aspetti dal testo originale (fra cui il titolo modificato, la metamorfosi del cognome De Mezzana in De Mairenna35, i tre atti divenuti quattro
e l’aggiunta di un undicesimo quadro alla fine), il copione presenta numerose
correzioni autografe di mano dell’attrice.
Meno interessata di Lenormand al motivo del contrasto fra culture diverse
e dello scontro fra Europa e Asia, la Melato, nell’adattare il testo, elimina tutte
le parti in cui De Listrac e De Mezzana parlano dell’istituzione di una Società,
presieduta da un francese, per la «civilisation»36 (ovvero per la «mise en valeur»)37 del regno dei Sibang e della possibilità che Katha, previo il beneplacito
del presidente, possa tornare a regnare sul suo «peuple en armes» (come lo
chiama De Mezzana). Un popolo che è ormai ridotto a lavorare nelle industrie
francesi: «Et mon peuple? – chiede lei – Est-ce que vous le ferez travailler de
force? Dans la misère et les fumées», «Mon Dieu oui, – le risponde lui – ça le
changera de couper les têtes»38. Una possibilità che sortisce l’unico effetto di
moltiplicare all’ennesima potenza l’irritato e lungimirante scetticismo dell’interessata:
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Craignez les cervelles sauvages gonflées de vos inventions. Craignez l’Asie cruelle en vêtements de travail. Si vous faites d’elle un enfer pareil au vôtre, il en sortira des démons
qui répandront vos poisons sur la terre. Et vous serez leurs premières victimes39.
Mentre, secondo Seneca, gli Argonauti avevano violato i sancta foedera uomo-natura, per Katha l’intrusione degli Occidentali in Asia ha posto fine all’esistenza libera e felice del suo popolo e lo ha trasformato in uno schiavo della
società industriale.
Una Principessa, quella delineata da Lenormand, che si dimostra scarsamente propensa sia ad accettare qualsiasi tipo di aiuto da qualsiasi tipo di persona, sia, una volta tornata in Indocina, a stabilirsi nella sua capitale per regnare, paradossalmente, sotto la stretta sorveglianza di un ministro europeo:
Régner? Je n’ai pas besoin de ton aide, pour régner! – dice a De Mezzana – Si je reparaissais là-bas, dix mille hommes feraient parler la poudre en m’acclamant40.
La protagonista di Lenormand è in grado di aiutarsi da sé per quanto riguarda le questioni pratiche e non commetterebbe mai l’errore che la Melato
(complice la semplice aggiunta, all’inizio del secondo atto, del seguente colloquio fra De Listrac e De Mairenna) le fa fare nella sua Medea:
DE LISTRAC:
C’è un particolare del quale è necessario siate informato… I nostri agenti
della Prefettura hanno ricevuto un rapporto della polizia, nel quale è detto che la principessa si è incontrata con Sao Vimh.
DE MAIRENNA: L’agitatore anamita?
DE LISTRAC: Sì! Che appartiene alle nostre università e, ben inteso, è uno dei capi del movimento nazionalista…
DE MAIRENNA: Che cosa potrà volere da lui?
DE LISTRAC: Deve aver cercato d’ottenere da lui delle informazioni importanti…41
Comunque, la discendente del sole, è andata a far visita all’antico studente…42 e ha trascinato con sé i vostri bambini.
DE MAIRENNA (contrariato): I bambini?
DE LISTRAC: Non è mai troppo presto per impossessarsi dei giovani cervelli.
DE MAIRENNA (riflettendo): Avete ragione! Mi punisce d’averli mandati a scuola nel nostro liceo.
DE LISTRAC: E deve aver loro imposto il silenzio… sopra Sao Vimh, come voi sopra
Aimée.
DE MAIRENNA: Che confusione, che disordine in quelle testoline! Ma perché si lasciano
in libertà degli esseri come Sao Vimh? Perché non sono espulsi?43
Consapevole della propria abilità nell’incarnare le eroine negative (per
esempio, Anfissa)44, sembra che l’attrice lavori duramente, fino alle ultime pagine del suo copione, per rendere torbida, dopo averne tolta in abbondanza,
l’acqua rimasta nel mulino del suo personaggio.
52
LE ATTRICI
Se si confronta l’Asie di Lenormand e la Medea della Melato, si assiste alla
metamorfosi di un’austera, lucida, laconica regina (che non pensa affatto a recarsi da un «agitatore anamita» a capo del movimento nazionalista) in un logorroico monstrum senza una dimora sentimentale ma dotato di una spiccata
tendenza all’autolesionismo, all’irrazionalità, al vaniloquio. Non è un caso che
l’attrice elimini il significativo scambio di battute, a metà del quinto quadro (atto secondo), fra lei e De Mezzana:
DE MEZZANA:
[...] Allons, résigne-toi. Que retireras-tu des larmes ed des imprécations?
Retirer! Retirer! Il parle comme un marchand dans le bazar!
DE MEZZANA: Je veux dire que si tu es raisonnable...
LA PRINCESSE: Il sème la folie dans une âme et il vient lui parler de raison!45
LA PRINCESSE:
Non c’è il rischio che la Melato si lasci sfuggire, nell’adattare il testo, l’occasione di privare Katha di alcune fra le sue più acute, lapidarie e pertinenti osservazioni. Dopo aver informato De Mezzana (arrampicatore sociale che, ardente d’inconsapevolezza per non dire di sadica incoscienza, sembra non aver
mai avuto neppure il piacere di conoscerla) della sua intenzione di uccidere
Aimée e averne ricevuto una risposta preconfezionata e semplicistica («Tu déraisonnes»), la Principessa in Asie dice: «S’il est raisonnable de croire que j’ai
tué mon frère pour que tu vives et que je ne tuerai pas l’étrangère qui t’a volé
à moi, je déraisonne». Una battuta che nella Medea della Melato manca. E
quando De Mezzana, di lì a poco, la esorta provocatoriamente ad ammazzarlo
insieme ad Aimée, «Non. – risponde lei – Je ne vous enverrai pas ensemble
dans la mort. Vous seriez trop heureux». Una lucidità e una determinazione
che trovano conferma nel settimo quadro (atto secondo), vale a dire nella postulatio prima a De Listrac e poi a De Mezzana. In Lenormand, lei dice a De
Listrac:
Pour penser à la vengeance, quand on est prise au piège, abandonnée, à d’énormes distances de son pays… quand l’homme qui devrait vous défendre se tourne contre vous…
Il faudrait être une folle. (Un silence) Je ne hais pas votre fille. Je hais celui dont elle a
fait un traître46.
Una battuta che nell’adattamento dell’attrice diventa:
Quando una donna è presa in un tranello, abbandonata da tutti; quando l’uomo, che
dovrebbe difenderla, le si volge contro; per meditare disegni di vendetta dovrebbe essere pazza! (una pausa) Io non odio vostra figlia! Che cos’è per me? Una bianca come
tutte le altre. Io la vedo appena come un essere vivente!… Per me è piuttosto come un
simbolo… Il simbolo di un colore! Io odio colui che il colore bianco ha fatto diventare un traditore. Questo mio rancore che anche voi, spero, ammetterete, non può imporvi di scacciarmi47.
LA MEDEA DI MARIA MELATO
53
La Melato solleva un polverone di dettagli inutili in mezzo a cui Katha (che
in Lenormand, oltre a essere una smaliziata diplomatica, si rende conto di quanto sia opportuno, nella posizione in cui si trova, parlare il meno possibile di
Aimée con De Listrac) finisce con lo smarrirsi. «Je crains – le comunica il vecchio
amministratore dopo essere entrato nella sua stanza – les ressources de votre intelligence et de votre ruse»48: un timore che, nella traduzione-tradimento della
Melato, rischia di apparire infondato se si pensa alle poco strategiche iniziative
prese dalla Principessa (l’incontro con Sao Vimh) e alle sue nebulose, barocche
argomentazioni. Uscito De Listrac, lei si lascia andare a fantasticherie omicide:
L’AYAH:
Le malheur, il a rendu malade ta pauvre tête.
Au contraire, je suis redevenue moi-même.
L’AYAH: Autrefois, quand le délire te prenait... l’ayah, elle te serrait dans ses bras... et tu
devenais bien sage, bien tranquille.
LA PRINCESSE: Je verrai cette femme. Je l’approcherai. On m’a laissé dix jours et il ne me
faut qu’un instant! Ouvre la malle49.
LA PRINCESSE:
Dominata dallo stesso ferreo autocontrollo della Medea euripidea, la Katha
di Lenormand – cui non si addicono né le parole superflue, né i punti esclamativi – sottintende nel non detto gli affannosi sommovimenti della propria lacerata interiorità. La Melato, che si muove nella direzione opposta rispetto allo
scrittore francese, trasforma in detto il non detto e, sbarazzandosi dei puntini di
sospensione, riempie di parole ciò che nel testo originale rimane suggestivamente sottinteso:
AYAH:
Il dolore ha confuso le idee nella vostra povera testa!
No! Al contrario: adesso vedo chiaro in me. Il veleno che ho nell’anima non
è andato via tutto. Ne ho tanto ancora, che il mondo tremerà d’orrore quando lo farò
colare su di esso. E fuggiranno tutti come innanzi a un flotto di lava che brucia, e che
devasta!50
AYAH: Altra volta, quando vi coglieva il delirio, la vostra vecchia nutrice vi stringeva fra
le sue braccia e ritornavate calma, ragionevole…
PRINCIPESSA: Vedrò questa donna… Mi avvicinerò a lei… Mi hanno lasciato dieci giorni… e mi basta un solo istante!…
AYAH: Con quel volto51 deformato dalla collera, non potrete avvicinarvi ai vostri nemici.
PRINCIPESSA: Tu non sai quello che freme in me… Io stessa non so dove mi sento trascinata… ma, certo verso qualcosa di terribile! Quando l’amore fu troppo forte, l’odio è
troppo forte!… Apri il baule, e cerca il cofano dove ho messo i veleni52.
PRINCIPESSA:
Il “tu” con cui l’ayah, in Lenormand, si rivolge maternamente alla sua padrona si converte in “voi” nella Medea dell’attrice che, intenta a disfarsi degli
aspetti più positivi della protagonista, cerca di demonizzarla raffreddandone,
fra l’altro, il rapporto con l’unica confidente53.
54
LE ATTRICI
Poco dopo, Katha chiede a De Mezzana se, nei dieci giorni che la separano
dalla partenza, può abitare nella sua villa e passare, così, un po’ di tempo con i
figli. Per conciliare meglio la motio animi dell’interlocutore, gli ricorda i bei
tempi andati, quando vivevano insieme in un rifugio di paglia nella foresta:
«Oh, ce temps-là, – conclude portando alla perfezione un raffinato “crescendo”
– s’il pouvait revenir, si tu pouvais seulement m’en redonner l’illusion, j’aurais
la force de tout endurer!». Incline per natura a strafare, la Melato quadruplica
i punti esclamativi della peroratio: «Ah! se quei tempi potessero ritornare!... Se
tu potessi darmene soltanto l’illusione… credo che, dopo, avrei la forza di sopportare qualunque sofferenza! Si, mi getterei con un cuore di ferro nel nero
abisso della partenza!»54.
Quando, in Asie, alla fine del secondo atto, Katha scopre che De Mezzana
ama i figli più di Aimée, decide che, sull’altare della propria vendetta, saranno
loro a essere sacrificati:
LA PRINCESSE,
frissonnant et repoussant du geste une image effrayante: Ah, les pauvres,
pauvres petitis!
DE MEZZANA, surpris: Pourquoi les plains-tu? Pourquoi trembles-tu?
LA PRINCESSE, se dominant: Pour rien55.
Il secondo atto si chiude così – su una domanda che rimane senza risposta,
su uno straniato «rien» che annuncia la tragedia imminente, su una suspense cinematografica costruita a beneficio di uno spettatore che (al contrario dell’ignaro protagonista maschile) sa cosa sta per accadere, su una situazione di impotente attesa e di disagio –, lasciando l’amaro dell’inespresso nella bocca di chi
legge o di chi guarda. La Melato allunga il brodo:
(rabbrividendo e respingendo col gesto un’immagine spaventosa): Ah! Poveri,
poveri piccoli!…
DE MAIRENNA (sorpreso): Perché li compiangi?… Perché tremi così?
PRINCIPESSA (dominandosi): Per niente!
DE MAIRENNA: Allora se lasci l’albergo, vai a prepararti.
PRINCIPESSA: Vado.
DE MAIRENNA: Verrò domani a prenderti. E non dimenticare quello che ti ho detto.
PRINCIPESSA: Non lo dimentico!56
PRINCIPESSA
E inserisce, nell’interlinea, due integrazioni autografe: un «Perché?» prima
di «Per niente!» e un «Poveri piccoli! Poveri piccoli!» dopo «Non lo dimentico!». I protagonisti di Lenormand sono ombre57, sembrano fatti della materia
di cui sono fatti i sogni più che di carne e ossa: ad avvolgerli, a ovattarli per proteggerli dalla realtà, è un’atmosfera da incubo, liricamente espressa, morbida,
desolata, evanescente58. Senza il coraggio di uscire dalla prigione che si sono costruiti intorno, si lasciano sopravvivere, trascinati da qualcosa o da qualcuno cui