Il folklore secondo il t.c.i.

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Il folklore secondo il t.c.i.
1
Mariano FRESTA
LA
CULTURA POPOLARE TRADIZIONALE SECONDO IL TOURING CLUB ITALIANO
0. Un turismo alla ricerca dell’Unità della Nazione
Quando nel 1894 nacque il Touring Club Italiano, lo slancio risorgimentale e patriottico
con cui la borghesia aveva portato a compimento l’Unità d’Italia non si era ancora esaurito; anzi,
nelle persone più coscienti e più sensibili era chiaro che il più doveva essere ancora realizzato
perché, come aveva detto Massimo D’Azeglio, c’era ancora da “fare gli Italiani”. Così, i soci
fondatori del Touring, discendenti da quella borghesia risorgimentale, dettero all’associazione un
connotato ben preciso: il TCI non promuoveva soltanto il turismo in bicicletta, ma si
preoccupava di far conoscere, attraverso le guide, ai suoi soci ed agli Italiani in genere, il
territorio della nazione ancora sconosciuto ai più; se, infatti, si voleva promuovere il turismo,
occorreva esplorare tutta la Penisola: dovevano essere censiti i siti turistici più interessanti per
monumenti, musei e ambienti particolari, si doveva soprattutto verificare l’efficienza della
viabilità. L’opera del Touring, da questo punto di vista, specie per iniziativa di uno dei soci
fondatori e poi suo Presidente, Luigi Vittorio Bertarelli, fu molto meritevole. Le guide, che man
mano venivano pubblicate, erano il risultato di questo enorme lavoro di esplorazione ed avevano
l’intento di facilitare la “unificazione“ culturale degli italiani, dando loro la possibilità di
conoscersi reciprocamente ed esaltando quelle peculiarità regionali che potevano contribuire ad
irrobustire l’idea di nazione. C’era anche, nelle guide, la volontà di descrivere la crescita di
questo giovane stato, segnalando tutte le imprese, le iniziative produttive, industriali ed agrarie,
anche le più piccole, per evidenziare la creatività e l’energia con cui si progrediva. Le guide del
Touring, quindi, erano fatte per permettere agli Italiani di conoscere il loro paese anche nei
particolari e per contribuire al formarsi di una coscienza nazionale.
Si può dire, se è lecito il paragone, che le guide del Touring hanno svolto una funzione
simile a quella della Storia della letteratura italiana del De Sanctis: mentre il grande critico
letterario aveva individuato un filo conduttore che collegava la produzione letteraria da Dante a
Leopardi e la faceva apparire come lo sviluppo di una vicenda unitaria; similmente per i
fondatori del TCI era abbastanza facile trovare una linea unitaria, piuttosto che nel presente
ancora indefinito, in un passato ricco di eventi storici ed artistici: Etruschi, Romani, Medioevo,
Rinascimento erano lì pronti a testimoniare che, nonostante le diversità regionali, l’Italia era
sempre stata “una”, essendo le diversità delle vicende storiche nascoste dall’aura che promana da
un ricchissimo patrimonio d’arte e in genere dalla creatività e genialità poetica ed artistica che
sembra caratterizzare gli Italiani.
Carlo Dionisotti in un famoso saggio del 1949 ha messo, però, in dubbio la validità della
concezione unitaria desanctisiana della storia letteraria italiana 1, che, invece, è molto più
complessa e meno lineare, al pari della vicenda delle regioni italiane nel corso degli ultimi dieci
secoli. Cesare De Seta, pur se fuori del campo letterario, fa sua la tesi di Dionisotti e nega questa
presunta “unità” che si vuole esista nel campo dell’arte, della letteratura e perfino nel paesaggio,
e, nel presentare il quinto volume degli Annali della Storia d’Italia, dedicato al paesaggio2, così
scrive:
1
C. DIONISOTTI, Storia e geografia della letteratura italiana, poi confluito nel volume dallo stesso titolo (Einaudi,
Torino 1957).
2
Storia d’Italia, Annali, Il paesaggio, a cura di Cesare De Seta, vol. V, Torino, Einaudi 1982, p. XXV.
2
«L’immagine centripeta e monocentrica dell’Italia si va così lentamente erodendo: ne scaturisce una più
veridica immagine ove le singole identità si vanno delineando in composito mosaico. Questa volta
l’immagine è centrifuga e policentrica: per la molteplicità dei borghi, comuni e città che la popolano, per la
complessità dei modi e dei tempi in cui essi si combattono e si aggregano in principati, signorie e stati
regionali».
In effetti, le stesse guide del Touring, pur volendo dare l’immagine dell’italianità, non
fanno che dimostrare la peculiarità d’ogni regione o addirittura d’ogni sottoregione, e quindi la
mancanza di una unità culturale, ambientale, economica, artistica delle genti che hanno abitato e
abitano la penisola italiana.
Dopo la seconda guerra mondiale, però, era possibile rintracciare nel presente, senza
bisogno di riferirsi al passato, una “unità” nazionale; a partire, infatti, dal 1946 iniziava
quell’enorme processo di industrializzazione e di trasformazione economica e sociale che ha
sconvolto la situazione precedente e che, interessando, in modi diversi, tutte le Regioni, ha
contribuito a creare una nuova identità culturale del Paese. Seguire queste dinamiche e queste
trasformazioni avrebbe forse consentito l’individuazione dei valori su cui si è formata la nuova
identità d’ogni Regione e quindi un’identità nazionale. Senonché le guide del Touring già da
anni avevano smesso di segnalare modi e condizioni di vita, diventando solo cataloghi ragionati
di monumenti e musei. Mentre nei primi anni del Novecento le Guide (specialmente quelle
pubblicate da Treves) documentavano la nascita e lo sviluppo delle imprese industriali e dell’arte
contemporanea, dopo il 1930 circa il TCI non si occupò più del presente, né delle attività
industriali, né delle trasformazioni sociali avvenute da quegli anni fino al 1970. Nelle Guide tutto
è descritto come se fosse immutabile nel tempo, così l’Italia appare come un unico grande
museo, sciolto totalmente dal contesto economico, sociale e culturale. Riferendosi alle Guide del
TCI degli anni 1950-70, Leonardo Di Mauro scrive:
«L’Italia cambia aspetto velocemente, anzi con velocità progressiva, ma redattori ed autori sembrano non
accorgersene. Non si tratta della normale sfasatura intercorrente tra qualunque descrizione della realtà ed i
suoi mutamenti, o per lo meno non si tratta solo di questo. L’Italia descritta è assai spesso quella che era,
che si vorrebbe che fosse, raramente quella che è»3.
L’altro elemento su cui era possibile delineare un’identità culturale dell’intera Nazione
era quello dell’esistenza di un millenario mondo contadino che in Italia si è mantenuto pressoché
intatto fino al 1950 circa. Nonostante le diversità dovute al fatto che nel Nord i primi nuclei di
industrializzazione ottocentesca avevano indebolito, prima che altrove, la società contadina e che
il Centro era caratterizzato dalla mezzadria e gran parte del Sud dal latifondo e dal bracciantato,
tutto il mondo agrario italiano presentava ancora, nella prima metà del secolo scorso, condizioni
materiali di vita e situazioni culturali sostanzialmente identiche. Volendo delineare l’identità
culturale di ogni regione e poi dell’intera Nazione, occorreva tener di conto, oltre che della storia
politica e della storia dell’arte, anche del folklore, ovverosia la cultura del mondo contadino e dei
ceti popolari, per attraversare poi le dinamiche sociali degli ultimi 50 anni. Invece, della cultura
tradizionale non ci sono tracce nelle Guide del Touring e, a partire dagli anni ’30 del secolo
scorso, non ci sono più nemmeno quelle informazioni che nelle Guide precedenti davano
l’immagine di una nazione viva e dinamica. L’Italia diventava così un enorme museo in cui si
conservavano, ab aeterno, città, monumenti, musei, bellezze naturali in cui il turista potesse
aggirarsi “senza avvedersi mai che intorno gli si move un popolo”4 .
Qualcosa, tuttavia, cambia a partire dalla seconda metà del Novecento, molto lentamente
ma con una certa continuità: il folklore, pur se in una concezione piuttosto ambigua, comincia a
far parte dei contenuti delle pubblicazioni del Touring, fino ad essere accolto anche nelle Guide
3
L. DI MAURO, L’Italia e le guide turistiche dall’Unità ad oggi, in Annali:Storia d’Italia, Il paesaggio, op.cit., p.
413. Devo a questo saggio parte delle informazioni sulla storia del TCI.
4
C. CATTANEO, Scritti letterari, artistici, linguistici e vari, Firenze 1948, vol. II, p. 111, cit. da L. DI MAURO,
cit. p. 372.
3
rosse. I modi con cui esso è svolto ed illustrato si vedranno analizzando l’ultima edizione dei 23
volumi che compongono la collana.
1.- La nuova edizione delle Guide Rosse.
La collaborazione con il quotidiano “La Repubblica” ha consentito al Touring Club
Italiano anche di aggiornare tutti i volumi delle “Guide Rosse” delle Regioni italiane in un breve
periodo di tempo (all’incirca tra il 2002 e il 2005), in precedenza editi a distanza di anni l’uno
dall’altro. La novità maggiore di questa edizione consiste nell’avervi introdotto sia i capitoli
riguardanti la cultura popolare tradizionale, sia quelli in cui si delineano i caratteri peculiari
dell’identità regionale o le trasformazioni culturali avvenute negli ultimi decenni. Questi capitoli,
però, non sono presenti in tutti i volumi, e, quando ci sono, non hanno nemmeno un’omogeneità
di impostazione teorica né di esposizione, in quanto alcuni sono stati affidati a studiosi che negli
ultimi anni si sono serviti di nuove teorie e nuove metodologie della ricerca, altri sono stati curati
dalla redazione, altri ancora risentono degli studi anteriori al 1960. Probabilmente, gli attuali
studi sul folklore e l’ottica storico-antropologica, che da qualche decennio vi è sottesa, non
hanno sufficientemente attirato l’attenzione di chi ha impostato e diretto la revisione delle guide.
A scorrere le pagine riguardanti la cultura popolare, infatti, si nota una certa tendenza ad evitare
di trattare quei fenomeni per i quali è necessaria una disamina storico-antropologica ed a
preferire invece la segnalazione, a volte dandole uno spazio eccessivo, di quelle manifestazioni
non folkloriche ma folkloristiche, come le feste d’origine storica, vera o presunta che sia, con i
loro cortei in costume, le Giostre, i Palii, le Quintane, le feste religiose, ecc.
La scelta di dedicare uno spazio alla cultura popolare e alle sue più importanti
manifestazioni non è nata per caso ed improvvisamente; essa ha una lunga gestazione il cui
andamento può essere seguito sulle pubblicazioni che il Touring ha dato alle stampe nel corso
degli ultimi cinquanta anni. Se, infatti, nelle Guide i temi del folklore italiano non entravano mai,
tuttavia essi facevano capolino ogni tanto nella rivista mensile dell’Associazione: “Le Vie
d’Italia” prima e successivamente “Qui Touring”. Compulsando tutti i numeri degli anni dal
1950 al 1970, si sono trovati trentotto interventi su diversi aspetti della cultura popolare, più
spesso riguardanti attività artigianali (i figurinai della Lucchesia, le sculture di legno del Trentino
e della Val d’Aosta); oppure relativi alla vita dei campi in alcune regioni italiane, oppure sui
pescatori, sui santuari, sulla condizione della donna in Calabria, sull’esodo delle zone di
montagna, sull’opera “dei pupi” in Sicilia, sui canti di montagna, ecc. Gli autori dei contributi
erano in genere giornalisti che prestavano la loro opera presso la rivista o che ne erano
collaboratori, ma spesso, per raccontare un comportamento o un territorio, erano invitati scrittori
come Domenico Rea 5 o Carlo Cassola6. Si incontrano anche due nomi di folkloristi famosi:
Giuseppe Cocchiara7 e Paolo Toschi, con quattro contributi8. Molti sono gli articoli sulla
gastronomia e sulla cucina tipica di quasi tutte le regioni, affidata ad esperti del ramo come
Vincenzo Buonassisi (che si occupa anche di altri argomenti), oppure a giornalisti più o meno
famosi. L’argomento del folklore è però trattato come un fenomeno pittoresco e piacevolmente
strano: l’autore dell’articolo fa sentire che il suo atteggiamento è molto lontano dalle cose e dalle
persone che descrive; Paolo Toschi, da parte sua, nell’esame dei canti rimane ancorato al
concetto di arte di impostazione crociana. Nonostante queste incursioni nel campo folklorico,
tuttavia, fino agli anni ’60 del secolo scorso, le motivazioni di fondo delle Guide rosse non
5
Per esempio: D. REA, Vita contadina nella campagna di Napoli, “Le vie d’Italia”, Aprile 1954, n. 4.
C. CASSOLA, Viaggio nella Maremma toscana, “Le vie d’Italia” Giugno 1959, n. 6.
7
G. COCCHIARA, La Sicilia del Museo Pitrè, “Le vie d’Italia”, Aprile 1950, n. 4.
8
P. TOSCHI, Danze popolari italiane, “Le vie d’Italia”, Marzo 1950, n. 3; La donna e l’amore nel canto popolare,
ibidem, Gennaio 1951, n. 1; Pasqua tradizionale italiana, Ibidem, Aprile 1953, n. 4; Folklore italiano nel Museo delle
Arti e delle Tradizioni popolari, ibidem Gennaio 1958, n. 1.
6
4
cambiavano: esse si rivolgevano, in genere, ad un pubblico d’élite, il solo che possedesse
un’automobile e che, avendo una cultura di base di livello medio-alto, potesse muoversi
facilmente da una città all’altra, da un albergo all’altro, da un museo all’altro; un pubblico,
infine, che potesse accedere ai prodotti di un alto artigianato, sempre ampiamente illustrato nelle
Guide rosse, e che potesse frequentare ristoranti di buon livello.
Ma tra il 1950 e il 1960, l’Italia si trasformava profondamente: centinaia di migliaia di
contadini lasciavano i campi e si trasferivano nelle città; l’attività agricola cedeva il posto a
quella industriale. Era il tempo del boom economico, della scolarizzazione di massa, della
motorizzazione diffusa e della conquista del “tempo libero”; conseguentemente era anche
l’epoca in cui la popolazione italiana cominciava a viaggiare per diporto, prima per visitare i
paesi e le città vicine alla sua zona di residenza, attratta magari da qualche festa o da una sagra;
poi per recarsi a visitare città più lontane, fuori regione. Nasceva così il turismo di massa, cui il
Touring non poteva non prestare attenzione.
Tutte queste trasformazioni economiche e sociali segnarono la fine del mondo contadino
e delle società tradizionali che dentro e attorno ad esso avevano vissuto per secoli. La scomparsa
di quel mondo e di quelle società fu sentita come la perdita di un grande patrimonio storico e
culturale. Così, mentre cominciava l’azione di recupero delle tradizioni popolari e della cultura
materiale che avrebbe dato vita al revival e a ricerche più avvertite scientificamente, nel 1967 il
Touring pubblicò un volume sul folklore in Italia curato e scritto in massima parte da Paolo
Toschi9, quasi a voler sottolineare che nel patrimonio culturale italiano, oltre ai siti archeologici,
ai monumenti dell’antichità e ai grandi musei nazionali di arte figurativa, rientravano anche “gli
usi e i costumi” di un’Italia incolta e ancora contadina. Il Toschi, nell’illustrazione di questi
aspetti, attinse alla documentazione che era stata prodotta nelle regioni italiane dalla fine
dell’Ottocento in poi, riordinando il materiale secondo la classificazione che ne avevano fatta,
per certi aspetti, Giuseppe Pitrè e, per altri, lo studioso francese Van Gennep. I vari temi
folklorici furono svolti per buona parte con quella stessa ottica degli studiosi ottocenteschi a cui
il mondo popolare, con i suoi riti, le sue feste ed i suoi comportamenti, era apparso pittoresco e
talora alquanto strano. Solo quando tratta del lavoro contadino e di cultura materiale, Toschi fa
intravedere che quel mondo produce anche una cultura propria. Si trattava in ogni modo di una
buona opera di sintesi che riguardava tutti gli aspetti degli “usi e delle tradizioni” di tutta l’Italia,
dal ciclo della vita a quello dell’anno, dalle feste religiose cattoliche ai riti agrari, dal lavoro dei
campi a quello dell’artigianato.
Secondo l’ormai pluridecennale tradizione del TCI, gli argomenti privilegiati nella
stesura delle Guide continuavano, però, ad essere l’arte figurativa e l’architettura, insieme con
l’impianto urbanistico delle città.
Nel 1977, probabilmente sotto l’impulso dei movimenti ambientalisti, il TCI si preoccupò
anche del paesaggio, analizzato con l’ottica della geografia umana, pubblicando un volume che
comprendeva saggi di diversi autori10, tra i quali, per fare almeno due nomi, Eugenio Turri e
Henri Desplanques. Sempre sul paesaggio il Touring sarebbe tornato nel 2000 con un’altra
pubblicazione corredata da un notevole apparato fotografico11, con contributi, tra gli altri, di A.
Paolucci, E. Turri, A. e V. Emiliani.
Quattro anni dopo, riprendendo il discorso avviato nel 1967 dal Toschi, il Touring fa un
altro passo sulla via della conoscenza e della comprensione della società italiana, affidando alla
cura di Lucio Gambi un volume sulla cultura materiale rintracciata nel paesaggio agrario e nei
primi insediamenti industriali di fine Ottocento e dei primi anni del Novecento12. Nella breve
presentazione del volume, Franco Brambilla, il Presidente d’allora del T.C.I., si mostra piuttosto
9
P. TOSCHI, Il folklore, tradizioni vita e arti popolari, collana “Conosci l’Italia”, 1967.
T.C.I., I paesaggi umani, a cura di U. Bonapace, collana “Capire l’Italia”1977.
11
T.C.I., Il paesaggio italiano. Idee Contributi Immagini, 2000.
12
T.C.I., Campagna e industria. I segni del lavoro, collana “Capire l’Italia”, 1981.
10
5
impacciato nel dover dare alle stampe un’opera in cui si tratta di temi molto lontani da quelli
tradizionalmente affrontati dell’Associazione:
Col titolo “Campagna e industria” si è voluto sintetizzare in due parole quel complesso di valori e di beni
che il mondo contadino e i primi segni di organizzazione industriale ci hanno lasciato e che sono
generalmente definiti come beni della cultura materiale. Dove l’aggettivo, a prima vista inconsueto, vuole
sottolineare l’origine e la dimensione strumentale non per questo meno importante di tale cultura, il che ci
ha suggerito di aggiungere, come sottotitolo, “i segni del lavoro”.
Ma, superato l’imbarazzo iniziale per aver dovuto accostare al termine “cultura”
l’aggettivo “materiale”, il Presidente accenna agli indirizzi nuovi che il Touring si deve dare per
affrontare la nuova situazione venutasi a creare:
“Capire l’Italia”, cinque anni fa, all’apparire del suo primo volume, fu annunciata come il primo segno di
un Touring che sentiva già chiara e precisa la necessità di rinnovarsi, di proporre temi e chiavi di rapporto
col territorio e con la sua storia destinati a costituire la premessa a un modo più consapevole di percorrere
l’Italia e di riconoscere in essa le ricche tracce emergenti o consuete della sua cultura.
La cultura popolare tradizionale, insieme con molti temi ripresi da discipline contigue, era
così finalmente approdata nella redazione in cui si progettano tutte le pubblicazioni del Touring;
per entrare, però, a far parte dei contenuti delle Guide rosse ha dovuto aspettare, per alcuni
volumi, fino alla vigilia del 2000, e per gli altri fino al 2005. In ogni caso, una così lunga attesa
non è stata sufficiente a che la sua trattazione fosse uniforme per tutte le regioni e in tutti i
volumi, come vedremo fra poco attraverso una sintetica schedatura, per ogni singolo volume, dei
capitoli che riguardano il folklore, cominciando da quelli in cui esso non appare per nulla o è
appena accennato, e finendo con quelli in cui il tema è trattato in modo articolato e completo.
2. Schede delle Guide
a) Abruzzo-Molise, Puglia
Le Guide di queste tre regioni13 non riservano nemmeno una pagina al folklore: per la
Puglia, oltre ad un breve contributo riguardante i dialetti regionali, ci sono, nel capitolo
introduttivo, pochi cenni sulle feste di carnevale, sulla cucina e sulla coltivazione della vite e
dell’ulivo. Per l’Abruzzo e il Molise, oltre ad un capitolo sull’artigianato artistico, dal punto di
vista storico-antropologico c’è una mezza pagina dedicata alla “nuova identità” , in cui la tecnica
retorica prevale sulla documentazione scientifica; qualche accenno c’è anche alle feste, ai
pellegrinaggi ed infine alla produzione enologica.
b) Milano, Lombardia, Liguria
Meno povere di notizie sono le guide riguardanti Milano, la Lombardia e la Liguria 14; si
tratta però, di contributi di natura sociologica. Per la città di Milano c’è un breve capitolo
sull’immigrazione extracomunitaria, basato più su elementi di pittoresco che su riflessioni
socioantropologiche sull’integrazione; all’intera Regione lombarda non è stato dedicato nessun
capitolo sul folklore, ma solo un contributo di Roberto Mainardi su “La formazione dell’identità
regionale”, svolto con ottica storico-sociale. Anche per la Liguria manca totalmente il capitolo
sulla cultura popolare e il folklore; qua e là ci sono riferimenti alle trasformazioni sociali e
culturali (inurbamento, industrializzazione, abbandono delle campagne); cenni sulla cultura
materiale (coltivazioni agricole, gastronomia, ecc.), ma è assente qualsiasi discorso organico
sulla cultura tradizionale.
13
14
T.C.I., Puglia, La biblioteca di Repubblica, 2005; T.C.I., Abruzzo e Molise, 2005.
Tutte e tre edite e aggiornate al 2005.
6
c ) Firenze e Provincia, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia
Nel volume dedicato a Firenze e Provincia 15 c’è un lungo articolo di Daniela Magnani
sull’artigianato fiorentino ma nessuna notizia concernente la cultura popolare.
Un po’ meglio va per le altre due Guide del Trentino-Alto Adige e del Friuli-Venezia
16
Giulia ; ma qui è la gastronomia a farla da padrona con i salumi, le mele, la polenta, insieme con
l’“eccezionale produzione enologica” friulana; un paragrafo è dedicato alle feste folkloristiche.
Antiquati appaiono i paragrafi dedicati all’artigianato del legno.
d) Venezia, Torino-Val d’Aosta, Napoli e dintorni, Campania
In questi quattro volumi i capitoli sul folklore riguardano le feste tipiche della cultura
popolare urbana, piuttosto che quella rurali: non manifestazioni folkloriche ma folkloristiche,
vicine spesso a quella popolarità che è rintracciabile nella cultura di massa.
Così avviene per la guida dedicata a Venezia17, in cui l’autore del capitolo, Antonio
Niero, tratta solo le feste religiose, le feste patronali delle isole e poi il Carnevale e soprattutto la
Regata storica. Il tutto ha un andamento descrittivo, senza approfondimenti storici. Naturalmente
non poteva mancare una parte dedicata all’artigianato (il vetro di Murano, il merletto di Burano).
Chiude una pagina sui piatti tipici veneziani e qualche accenno al dialetto.
Andrea Borghini e Michele Musso sono gli autori che si occupano delle tradizioni della
Val d’Aosta18 (quelle torinesi non sono nemmeno accennate). Dopo una breve panoramica sui
tessuti, sui costumi femminili e su quelli carnevaleschi delle varie zone valdostane, la trattazione
riguarda le fiere, come quella di S. Orso, e l’artigianato (ferro battuto, legno, pietra ollare, ecc.);
molto rilievo è dato alle processioni religiose e al culto mariano. Festa importante è anche il
carnevale, con le due maschere più famose, il “Toc” e la “Tocca” (il Matto e la Matta). Sono
ricordate anche le “battaglie delle regine”, combattimenti tra vacche, a testimoniare la rilevanza
dell’allevamento bovino. Chiudono la trattazione il paragrafo riguardante le tradizioni culinarie e
quello sulla lingua valdostana, il “patois”, cui si affiancano alcuni dialetti d’origine germanica.
Leonardo Di Mauro, che nello stesso volume ha scritto sull’architettura della città e dei
modi della visita, si occupa del folklore della città di Napoli19 con un capitolo intitolato Folklore,
tradizioni, artigianato. Dopo essersi lamentato per la scomparsa delle “costumanze arcaiche”, il
Di Mauro svolge alcuni paragrafi sulla “canzone napoletana”, sui “bassi”, sui piatti tipici, sui
dolci, sulle osterie e le trattorie (ormai standardizzate), sui prodotti della campagna. Dà poi
notizie sulle feste religiose; riporta anche alcuni fenomeni come quelli delle capuzzelle e delle
pezzentelle (culto delle anime del purgatorio), della Madonna dell’Arco e dei fujenti, che egli
attribuisce alla categoria piuttosto vaga della “religiosità precristiana”. Il presepe e la via di San
Gregorio Armeno, infine, con il corallo e la ceramica chiudono il capitolo.
Nel volume riguardante l’intera Regione non c’è nessun accenno al folklore pur essendo
la Campania20 assai ricca di tradizioni. Sono rimasti i paragrafi riguardanti la gastronomia, i
prodotti tipici e il vino, che però non sono trattati come elementi di cultura materiale. Molto
spazio è dedicato, invece, alle trasformazioni socio-economiche della regione dopo il terremoto
del 1980 e la successiva ricostruzione e la dismissione di alcuni importanti poli industriali.
e) Roma, Lazio, Basilicata-Calabria, Marche
Nella Guida di Roma21, l’esposizione dei temi folklorici si riduce ad un capitolo su “Le
feste di Roma”, affidato a Mario Verdone, storico del teatro, che si cimenta nella descrizione
15
Edizione aggiornata al gennaio 2005.
Tutte e due aggiornate al febbraio del 2005.
17
Il volume è aggiornato al gennaio del 2005.
18
Edizione aggiornata al gennaio 2005.
19
Napoli e dintorni, edizione aggiornata al gennaio 2005.
20
Campania, edizione aggiornata al gennaio 2005.
21
Roma, ed. aggiornata al dicembre 2004.
16
7
delle feste laiche e religiose più famose della città. Sono ricordate brevemente anche le feste
ebraiche come il “Purim”, e, tra le feste introdotte recentemente, si parla anche della festa del
Primo maggio, con il concerto per il mondo giovanile che si svolge nella piazza di San Giovanni
in Laterano.
A Valeria Cottini Petrucci e a Stefania Massari è affidato il compito di illustrare, in due
brevi schede, il Museo Nazionale delle Arti e delle Tradizioni popolari; un’altra scheda di Maria
Grazia Bulgarelli riguarda il Museo preistorico-etnografico Pigorini; una terza scheda, infine,
illustra il Museo di Roma in Trastevere in cui si conservano testimonianze iconografiche della
Roma popolare dell’Ottocento, nonché i risultati delle indagini sociologiche sui cambiamenti
sociali, economici e culturali della città contemporanea.
Le pagine sulla cultura tradizionale dell’intera Regione del Lazio22 sono state inserite nel
capitolo “Le ragioni di una visita” che, nel suo complesso, appare come opera redazionale. Il
paragrafo sul folklore si apre con questa premessa: «Profonde trasformazioni socioeconomiche… hanno investito il Lazio, hanno alterato e del tutto distrutto quanto vi era di
caratteristico in fatto di patrimonio folcloristico (sic!). Ma nella Ciociaria, sui Monti Lepini, gli
Ernici, i Simbruini e nella Sabina il patrimonio è meno deteriorato». Ma quando si passa a
descrivere ciò che è rimasto della cultura tradizionale, il discorso cade immancabilmente nelle
manifestazioni folkloristiche più viete, perché si tratta di sagre delle nocciole, delle regne, delle
fragole, dei carciofi, ecc.; e poi le feste religiose, i pellegrinaggi ai santuari e le feste di “origine
storica”, il festival della zampogna ed anche il Festival internazionale del folklore di Alatri. Ben
quattro pagine, infine, sono dedicate all’artigianato, ai piatti tipici, alle specialità culinarie subregionali, alla produzione enologica. Anche questo paragrafo appare come la somma redazionale
di più interventi.
L’autore del capitolo sul folklore in Basilicata e Calabria è Giovanni Battista Bronzini,
insigne studioso della cultura tradizionale ed uno dei protagonisti della storia del folklore in Italia
della seconda metà del Novecento. Probabilmente, la sua improvvisa scomparsa, avvenuta nei
primi mesi del 2002, ha impedito alla redazione del Touring di far modificare il capitolo o di
commissionarne uno nuovo; così, appoggiandosi all’autorevolezza dello studioso, ha pubblicato
quello dell’edizione precedente senza sentire il bisogno di sostituirlo con uno più aggiornato.
La panoramica etnografica che il Bronzini presenta è abbastanza ampia, pur nella
sinteticità dell’esposizione, ma riprende studi piuttosto invecchiati, antecedenti agli anni ’60 del
secolo scorso. I due capitoli riguardano usanze del ciclo della vita e del ciclo dell’anno. Nella
parte riguardante la Calabria, un paragrafo è riservato alle colonie Albanesi e al loro
abbigliamento; in quella riguardante la Lucania, i punti di riferimento più importanti sono
costituiti dall’opera di Carlo Levi e da quella di Ernesto De Martino.
Qualche accenno alla storia culturale delle Marche23 e alle loro tradizioni culturali si trova
nel capitolo iniziale “Le ragioni di una visita” di Dante Cecchi. Ed infatti alla mezzadria
“creatrice del paesaggio marchigiano” è dedicata mezza pagina, con qualche riferimento ai
“microcosmi autosufficienti” dove la “vergara (la moglie del capo-famiglia) tesseva al telaio
pezze, rigatini, saie e mezzolàni con la lana delle pecore allevate, la canapa e il lino che
provvedeva a coltivare”. Tutto il resto, relativo alla cultura materiale e alle condizioni di vita dei
mezzadri marchigiani, è demandato alle istituzioni demologiche: «Le Marche mezzadrili, gli
attrezzi del lavoro, il telaio e il filarello, il biroccio, le prime macchine dell’agricoltura si trovano
nei Musei della Civiltà contadina sparsi ovunque per la regione».
f) Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Sicilia, Sardegna,
22
23
Lazio, ed. aggiornata al
Marche, edizione aggiornata al
8
In quest’ultima scheda sono state raggruppate quelle Guide24 in cui il capitolo sul folklore
è stato svolto o con completezza di informazioni, oppure con le ottiche demo-antropologiche più
recenti.
Silvia Cravero e Paola Nano sono le autrici del capitolo sul folklore piemontese. Non si
tratta di un lavoro originale, ma la loro trattazione è esauriente nei contenuti e chiara e ordinata
nell’esposizione. Intento delle autrici è quello di mostrare lo stretto rapporto che c’è tra le
condizioni materiali di vita da una parte, e l’espressività, i comportamenti e i costumi, dall’altra.
Nell’esposizione esse suddividono la Regione nelle aree di Montagna, Collina e Pianura, per
illustrare meglio come ogni ambiente abbia condizionato la cultura. Così nella Montagna ci sono
le tradizioni legate alla lavorazione del legno, all’allevamento, alle vie del sale, all’importanza
alimentare del maiale, dei funghi, del tartufo e delle acciughe, le quali ultime stanno alla base di
un piatto famoso, la bagna caoda. In Collina domina ormai la monocultura della vite, ma
ciononostante è scomparsa la tradizionale cultura materiale legata alla vite che è reperibile solo
nei musei, come quello di Barolo. In Pianura, le tradizioni sono collegate al riso e alle mondine.
Un paragrafo, poi, è dedicato agli ecomusei che la Regione Piemonte ha istituito per prima in
Italia.
Daniela Perco ha curato il capitolo “La cultura popolare tradizionale” della Guida del
Veneto. Anche lei nell’esposizione ha tenuto a distinguere l’area di montagna da quelle collinare
e di pianura e di quella costiera, zone in cui, ovviamente, il folklore presenta peculiarità
territoriali. L’autrice, in concordanza con la quasi totalità degli studi demoantropologici più
recenti, individua nel folklore la cultura delle “classi subalterne” dei secc. XIX e XX; dopodichè
passa ad illustrare le condizioni di vita e di lavoro delle varie aree, quindi tratta della cultura
materiale, dei dialetti, delle tradizioni culinarie quotidiane, in cui predomina la polenta, e di
quelle festive, e delle altre usanze, con particolare attenzione ai residui di antichi riti agrari, come
il brusar la vécia, e alle molteplici varianti locali del carnevale.
Il capitolo sul folklore dell’Emilia-Romagna è stato curato da Fabio Foresti; l’autore, ad
apertura di trattazione, spiega le cause della scomparsa della cultura folklorica che egli
attribuisce ai radicali cambiamenti avvenuti nelle strutture economiche e nei sistemi di
comunicazione culturale nell’ultimo secolo. Ci sono, però, egli dice, ancora delle sopravvivenze
nelle aree meno esposte, come il “Maggio” drammatico dell’Appennino reggiano e il “Maggio”
lirico nell’Appennino modenese, e la “Pasquella” nella provincia di Forlì. Nelle zone di
montagna, oltre alla rappresentazione del Maggio drammatico e allo svolgimento di quello lirico,
resistono anche molti balli tradizionali. Nel settore dell’espressività orale sono ancora diffusi i
proverbi, i canti narrativi, gli stornelli e soprattutto i canti sociali (famoso quello degli
“scariolanti”) e i canti “alla stesa”; molto vivace è anche il mondo dei cantastorie e dei
burattinai.
Il volume della Toscana si apre con un e contributo (Le ragioni di una visita) di Antonio
Paolucci sull’identità toscana, ricostruita attraverso le vicende storiche medievali e
rinascimentali. Il municipalismo, l’individualismo e la diversità, afferma il Paolucci, sono le
caratteristiche dei “popoli” toscani, cui vanno aggiunti la bellezza diffusa del paesaggio, la sua
tutela insieme con quella del passato storico e culturale.
Sempre sul paesaggio, frutto del lavoro secolare dei mezzadri, si soffermano Lando
Bortolotti (La formazione dell’identità regionale), e Antonio Floridia (La Toscana oggi, la
Toscana domani”), che sottolinea l’azione di tutela del paesaggio agrario nel corso dell’ultimo
cinquantennio.
Questi tre capitoli trovano un loro compimento, non definitivo ma aperto e problematico,
nel saggio di Pietro Clemente, il quale, innanzi tutto delinea la storia degli studi della “poesia
popolare” nell’Ottocento che videro proprio la Toscana come terreno privilegiato di ricerca, ma
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Piemonte, ed. aggiornata al febbraio 2005; Veneto, ed. aggiornata al gennaio 2005; Emilia-Romagna, ed. aggiornata al
gennaio 2005; Toscana, ed. aggiornata al 2005; Umbria, ed. aggiornata al dicembre 2004; Sicilia, ed. aggiornata al
gennaio 2005; Sardegna, ed. aggiornata al gennaio 2005.
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solo per le fiabe e per i canti lirici, nei quali si rintracciavano elementi di una presunta “anima
nazionale”. Scrive Clemente: “Guardando agli studi sulla cultura popolare col senno di poi ci si
accorge che il loro limite fu guardare solo ai canti, alle feste, agli oggetti materiali e mai alla
gente, alle famiglie, ai gruppi sociali, alla loro vita quotidiana”. Seguendo poi i risultati
dell’indagine antropologica nel secondo dopoguerra, l’autore illustra le feste, le sagre, i riti
agrari, i cibi, quotidiani e festivi, e tutti i fenomeni legati al mondo popolare che sono vitali
ancora oggi e che rimandano al sostrato ancora fresco della cultura mezzadrile. “I mezzadri,
scrive ancora Clemente, “nei secoli elaborarono una cultura di lavoro e sapere della terra, di
parsimonia e di cura del cibo, di uso del tempo e di celebrazione delle feste, che per generazioni
hanno trasmesso; e che ora tace, ma vive sotto la superficie della società moderna in stili
profondi di comportamento lavorativo, economico, familiare e festivo”.
Nel capitolo sulla “Formazione dell’identità regionale” dell’Umbria Alberto Grohmann
segue l’evoluzione della mezzadria che si diffonde, dal sec. XV al XX, dalle zone di pianura
anche a quelle alte di collina e di montagna. E’ in questo contesto mezzadrile che si forma una
specifica cultura tradizionale, di cui Baronti ci dà un’ampia illustrazione. Prima della quale, però,
egli pone la differenza tra folklorico (ciò che è tradizionale, radicato, che appartiene alla cultura
di classi subalterne, ecc.) e folkloristico (le feste urbane, le giostre, i carnevali, ecc.). Dopodichè,
adattandosi in parte allo spirito del Touring, descrive molte delle feste urbane, laiche e religiose,
ma avvertendo che queste manifestazioni hanno sempre elementi che appartengono alla cultura
tradizionale e che non possono sfuggire a chi guarda con occhio attento: sono queste le feste di
Carnevale, della Settimana santa, dei riti di Maggio, dei Ceri di Gubbio, dei Pugnaloni di
Allerona, del Corpus Domini, delle giostre, ecc. ecc... Tuttavia uno dei fenomeni più forti e
rappresentativi della cultura tradizionale umbra non può essere misconosciuto, nemmeno dai
lettori delle Guide del Touring: nel parlare della Quaresima, Baronti non può tacere di «un rituale
tra i più antichi e diffusi nell’ambito rurale della regione», come quello del Sega la Vecchia,
spettacolo comico itinerante con questua, ormai scomparso, ma così importante da essere trattato
e illustrato dal Baronti in più di mezza pagina.
Quasi undici pagine occupa il testo che Antonio Buttitta ha destinato alla cultura
tradizionale della Sicilia. Anche lui, partendo dalla premessa teorica che “la natura condiziona la
cultura”, distingue le molte aree che caratterizzano l’isola. Nel suo contributo, il panorama della
cultura popolare siciliana dall’Ottocento al Novecento appare molto vasto, pur se la trattazione
riguarda soprattutto la parte centrale ed occidentale della Regione. L’analisi si svolge attorno ai
temi del “ciclo delle stagioni”, del “cambiamento dei processi produttivi”, dei “flussi migratori”
esterni ed interni, della “cultura del cibo” e dei piatti della tradizione, della magia e della
religione, delle feste religiose con relative processioni.
A Giulio Angioni è toccato il compito di esporre la situazione della cultura tradizionale
della Sardegna che, secondo il parere di molti (che l’Angioni condivide), si presenta come tra le
più conservative del Mediterraneo, “soprattutto dal punto di vista delle forme di vita e di
mentalità”. In questi modi di vita tradizionali, che permeano ancora la vita quotidiana della gente
comune e che si contrappongono a quelli del resto dell’Europa occidentale, sta l’individualità
sarda. L’ottica con cui la cultura sarda è guardata è quella dell’antropologo; l’analisi è condotta
sia a livello storico, sia a livello economico, sia sul piano linguistico, raggruppando le
argomentazioni sotto i titoli di Stile etnico, Innovazione e sincretismo, Le forme
dell’insediamento, Le variazioni del paesaggio agrario, Tradizioni marinare, Cibi della
tradizione, La comparazione etnografica, Le varietà del ballo tondo, La narrativa tradizionale.
2. Conclusioni
Se si considera la parte riservata nelle Guide alla cultura popolare tradizionale non si può
che rimanere perplessi. La rapida analisi dei contributi demoantropologici ivi contenuti, infatti,
ha evidenziato una disparità di trattamento delle Regioni e soprattutto la disomogeneità
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scientifica con la quale il progetto di inserire dei capitoli sulle tradizioni popolari è stato
intrapreso e condotto a termine.
Dalla lettura di tutte le parti introduttive delle Guide risulta che l’artigianato e le arti
minori continuano a restare, dopo l’arte figurativa e l’architettura, i temi privilegiati dal T.C.I.; si
tratta certamente di attività che hanno una loro nobile tradizione e che vanno salvaguardate. Lo
stesso discorso vale per la gastronomia: produttori di innumerevoli alimenti e cibi locali,
ristoratori di vario livello costituiscono un’ossatura economica molto importante; tra l’altro i
cosiddetti “piatti tipici” appartengono alla cultura di chi li ha inventati e di chi continua a
prepararli, appartengono ad un sapere, come quello dell’artigianato e delle arti minori, che spesso
si è tramandato per generazioni e che rinvia a specifiche condizioni materiali di vita.
Negli ultimi trent’anni in Italia si sono fatti avanti, quasi con prepotenza, la cultura e il
culto del vino: ogni regione ha rivalutato vitigni, tecniche di vinificazione, ogni località ha
rivendicato la Denominazione di Origine Controllata; anche questi fenomeni hanno una notevole
rilevanza economica e costituiscono uno degli elementi del made in Italy, un marchio divenuto
indispensabile nelle attività commerciali di esportazione e nel turismo. Di tutto questo le Guide
rosse hanno tenuto conto, dedicando alla coltura della vite e ai vini molte pagine, a volte anche
troppe.
Il paesaggio pure ha un posto di rilievo nell’economia dei volumi, come d’altra parte è
sempre avvenuto. Tuttavia c’è stato un progresso notevole, perché si è passati dalle brevi
notazioni, presenti sulle varie guide, e dalla segnalazione sulle mappe stradali, attraverso una
linea verde, delle strade panoramiche e di paesaggi particolarmente ameni, ad un’illustrazione
del paesaggio non più visto come un fatto estetico d’origine naturale, ma come il frutto del
lavoro secolare dell’uomo. Così dietro il paesaggio ameno c’è la storia dell’agricoltura, c’è la
visione antropologica degli interventi umani che vi si sono avvicendati.
Contrariamente a quanto è successo per l’aspetto paesaggistico, nelle Guide odierne,
però, la cultura popolare non ha avuto lo stesso trattamento. Così, poiché, come si è detto, per
sua tradizione il Touring ha dato sempre precedenza assoluta all’arte figurativa e all’architettura,
dove queste sono predominanti non ci sono accenni al folklore (per esempio, nel volume
dedicato a Firenze e provincia), oppure ci si riferisce solo alle feste urbane (per esempio, Roma).
In definitiva, manca del folklore italiano quella visione d’insieme che il compendio del Toschi
aveva fornito, forse perché allora la trattazione fu raccolta in un unico volume e non distribuita
nelle singole Guide; ma manca soprattutto perché molto eterogenei sono gli interventi. Una
direzione specifica e unitaria per la trattazione della cultura popolare avrebbe potuto dare almeno
indicazioni teoriche e metodologiche uguali per ogni regione e per ogni guida. Questa difformità
di trattazione è l’aspetto negativo di un’iniziativa che, se realizzata completamente, avrebbe
delineato un quadro globale delle culture regionali italiane, che non possono essere limitate
soltanto ai paesaggi, ai monumenti delle città, alle raccolte museali delle arti figurative,
all’enogastronomia e alla produzione dell’artigianato artistico.
(Pubblicato su «Antropologia Museale», V, n. 16, Estate 2007)