Scheda da Film discussi insieme 2006
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Scheda da Film discussi insieme 2006
La vita è un miracolo regia: Emir Kusturica (Rep. Fed. Yugoslava, Francia 2004) sceneggiatura: Ranko Bozic, E. Kusturica fotografia: Michael Amathieu montaggio: Svetolik Mica Zajc musica: E. Kusturica, Dejan Sparavalo scenografia: Milenko Jeremic costumi: Zora Popovic interpreti: Slavko Stimac (Luka), Natasa Solak (Sabaha), Vesna Trivalic (Jadranka), Vuk Kostic (Milos), Aleksander Bercek (Veljo), Stribor Kusturica (Capitano Aleksic), Nicola Kojo (Filipovic), Mirjana Karanovic (Nada) produzione: Les Films Alain Sarde, Cabiria Films, France 2 Cinema, Studio Canal distribuzione: Fandango durata: 2h 34’ EMIR KUSTURICA Sarajevo - 24 novembre 1954 1981 Ti ricordi di Dolly Bell? 1985 Papà è in viaggio d’affari 1989 Il tempo dei gitani 1993 Arizona Dream 1995 Underground 1998 Gatto nero gatto bianco 2001 Super8 stories 2003 Hungry Heart 2004 La vita è un miracolo 2005 Take Seven 2005 All the Invisible Children LA STORIA 1992. In un villaggio al confine tra Bosnia e Serbia, tra i monti, così isolato dal mondo d’oggi, dove uomini e animali vivono insieme e gli uni sembrano dividere con gli altri non solo la casa e il cibo, ma anche gli stessi sentimenti, è arrivato Luka con la sua famiglia: Milos, un ragazzo che sogna la carriera di calciatore, la moglie Jadranka cantante lirica, con molti sogni ancora nel cassetto. Anche Luka ha un sogno, è ingegnere e vuole costruire una ferrovia che renda quei luoghi più ospitali. A portare le notizie di quello che succede ai confini è il postino, che va su e giù spingendo una leva che fa muovere un carrello sui binari. Ha visto un orso sbarrargli la porta di una casa e adesso avvisa che sono arrivati gli orsi perché scappano dalla guerra in Croazia. Una notizia che sembra lasciare indifferenti gli abitanti di quel villaggio in attesa solo della festa della Liberazione e della locomotiva che finalmente darà vita alla ferrovia, e che non può preoccupare neanche Luka, troppo preso dalle crisi di nervi della moglie e dalle aspirazioni del figlio, a cui è stato promesso vagamente dall’allenatore del Partisan un ingaggio che adesso vuol vedere realizzato. La guerra però è ormai una realtà: la televisione fa sapere che Serajevo è in subbuglio e a Milos è arrivata una lettera dall’esercito, spedita da Belgrado. Tra le lacrime della madre e l’incredulità del padre il ragazzo lascia casa convinto di andare incontro soltanto a un periodo di addestramento. Luka, a cui l’esercito affida il compito di provvedere al buon funzionamento della ferrovia, resta solo. Anche la moglie se ne è andata conquistata da un orchestrale magiaro, da cui si è LA VITA È UN MIRACOLO 275 30 lasciata sedurre anche troppo facilmente, La guerra avanza. Serajevo è in fiamme e la popolazione allo sbando. Milos sul fronte è fatto prigioniero. Appena lo sa Luka offre se stesso per uno scambio. Gli viene invece offerta quella che vede come un’altra opportunità: custodire una ragazza musulmana fatta prigioniera, perché ritenuta benestante, e poi scambiarla con suo figlio. Un nuovo malinteso. Sahaba è tutt’altro che una ragazza ricca, e non ha nessuna famiglia importante alle spalle. Dopo l’equivoco e una violenta arrabbiatura, con cui Luka tenta di allontanarla, Sabaha ritorna e lui, ormai innamorato, è ben lieto di accoglierla tra le braccia. A sorpresa però ritorna anche Javranka, che non si aspetta certo di trovare in casa una bella ragazza, e nessuna spiegazione tentata da Velio, il postino che anticipa ogni notizia, serve a tenerla tranquilla. Tra le due donne la baruffa scoppia violenta e a Sabaha non resta che andarsene, immediatamente seguita da Luka che non vuole perderla. E a lei non rinuncia neanche quando gli viene quasi strappata da quei soldati che ancora ritengono di poterla considerare oggetto di scambio. Poco dopo, raggiunta dal colpo di un fucile, Sabaha è ferita e prontamente porta in salvo proprio dall’uomo che, deciso a non lasciarla più, riesce a portarla in ospedale. E a prometterle una vita insieme in Australia. Intanto giunge l’annuncio della fine del conflitto, a cui fa seguito la restituzione dei prigionieri. Milos torna a casa e Sabaha rispedita di forza dai suoi genitori. Luka travolto dal dolore, di nuovo riunito alla moglie che gli è sempre più estranea e al figlio incapace di capire che cosa gli stia succedendo, pensa di andarsene. E si allontana lungo quella ferrovia fino a sdraiarsi sui binari ad attendere l’arrivo del treno. Ma il treno si arresta a pochi passi. A fermarlo un’asina innamorata, come lui decisa a morire. Cavalcando l’asina Luka se ne va già idealmente unito alla sua Sabaha, che lo sta aspettando. (LUISA ALBERINI) LA CRITICA La vita è un miracolo (Zivot Je Cudo) del cinquantenne Emir Kusturica non è una novità: anzi, il regista riflette sul suo lavoro passato, ripercorre i suoi film sulla guerra, sul 276 LA VITA È UN MIRACOLO temperamento, sulla cultura di Bosnia, trascurando la politica e concentrandosi sulle persone, sull’ironia della vita. Nel film-compendio un poco monotono, non manca nulla di quanto ha reso sempre affascinante il cinema del regista, vitalità, musica, stravaganza, sfrenatezza, fisicità, corruzione, paesaggi, ruralità, alcol, bellezza, comicità. Bosnia,1992 è la collocazione. Un vecchio trascina lentamente una bara sul terreno. Un’asina sta inchiodata sulle rotaie del treno: ha avuto un dolore d’amore, vuole suicidarsi, piange e non si sposta. Un gatto mangia il panino imburrato del padrone, a gara con lui. Galline, uova fresche. Imbroglioni, ladri, cocomeri, amanti, bellissime canzoni. Cani. Cavalli al galoppo. Cibo. Fisarmoniche, violini. Un ufficiale intrattiene costose conversazioni oscene al telefono satellitare dell’esercito. Alla partita di calcio, lo scontro fra opposte tifoserie non è meno feroce della guerra. Montagne innevate o fiorite o rosso ruggine, a seconda delle stagioni, sempre bellissime: per evitare ogni angustia, il film è realizzato all’aperto almeno al settanta percento. Un uomo tranquillo, ingegnere appassionato all’installazione di nuove ferrovie, arriva da Belgrado con la moglie ex cantante lirica e con il figlio calciatore, si sistema in una piccola stazione-casa, si dedica a completare la ferrovia. Fiducioso e ottimista, non vuol credere ai balenanti segni di guerra, tanto più che viene rassicurato da un bravo ufficiale da sempre suo amico. Ma il conflitto s’avvicina e anche la vita privata dell’ingegnere ne viene coinvolta: la moglie approfitta della confusione per scomparire con un musicista ungherese, il figlio viene richiamato alle armi e subito preso prigioniero, l’uomo vede ogni giorno passare sotto i suoi occhi quella guerra di scellerati. Gli danno da tenere e sorvegliare una prigioniera musulmana, ragazza infermiera che potrà essere scambiata con suo figlio: lui se ne innamora, il resto del mondo è nulla rispetto alla forza della passione, quando dovrà separarsi dall’amata desidererà morire. Sopravvivrà, con «triste ottimismo» perché ha conosciuto l’amore. In Bosnia come altrove, la guerra è la guerra, dice il regista: «Estremamente sporca, tutta diversa da quanto s’è visto alla televisione, la cui superficialità e manipolazione cancella ogni credibilità». Ma anche gli uomini sono uomini, e soltanto pochi in guerra non sono mossi da un’avidità, una corruzione, una ferocia non dissimili da quelle della guerra stessa. (LIETTA TORNABUONI, La Stampa, 15 maggio 2004) La stazione e la linea ferroviaria di La vita è un miracolo l’ultimo film di Emir Kusturica non è a caso la principale location del film. Da lì, stazione di Golubici zona sperduta al centro del futuro conflitto, Bosnia del `92, un ferroviere filosofo trasferito lì da Belgrado si incarica di testimoniare una svolta epocale, riportandoci con aplomb slavo nel pieno di un conflitto del tutto fuori moda nei nostri media. La vecchia ferrovia come strada di collegamento, via di fuga, meravigliosa metafora, e in particolare potente icona del cinema dell’est, fin dal tempo di Treni strettamente sorvegliati, film Oscar di Menzel dove un giovane ferroviere spensierato con il pensiero fisso delle ragazze fa succedere qualcosa di veramente significativo quando la Storia entra sul primo binario. Film straordinario, di grande energia, come era magnifico il cinema di quell’epoca. Un altro ferroviere (l’emblematico attore Polivka, simbolo di non conformismo) prende in mano i destini di un intero treno in Calamita di Vera Chytilova: qui cercava di liberare un intero convoglio dalla morsa del ghiaccio in cui era rimasto imprigionato. Facile il riferimento, erano gli anni del congelamento completo del paese, ai primi segnali di cambiamento. Emir Kusturica c’entra moltissimo con tutta questa ambientazione, avendo studiato alla “Famu”, la prestigiosa scuola di cinema di Praga, studente prestigioso, poi diventato celebre, scontroso maestro, oggi quasi pacificato con un film dal titolo tanto esuberante non fosse che l’humour nero permea tutta la cinematografia balcanica, dalla Serbia alla Cekia. A cominciare dal vero protagonista del film: sarà l’ingegnereferroviere responsabile della piccola stazione che ha costruito con un suo microcosmo ideale in un plastico con l’obiettivo di collegare paesi limitrofi proprio là dove sta scoppiando la più feroce delle guerre europee? Però potrebbe anche essere l’asino che compare fin dalle prime scene, animale antico e per lo più scomparso nel mondo contemporaneo e che sembra essere molto più saggio e consapevole di tante persone che si agitano senza posa tutt’intorno a lui. Lui non si muove dalle rotaie e neanche il ferroviere: cosa vuoi che sia, è solo un po’ di guerra, dice, e incolla i pezzi degli scacchi con la mostarda alla scacchiera così non cadono ad ogni bomba che scoppia. Un piccolo innocuo asino aveva completamente bloccato la carriera del suo maestro Jurai Jakubisko, censurato per vari anni per il solo fatto di averlo dipinto di rosso. Ai ragazzi del cinema negli anni sessanta sembrava tutto permesso, ma hanno pagato caro i loro scherzi e le loro invettive. Film amarissimo, opera della decadenza, sarabanda dedicata a una terra indivisibile, rende perfettamente conto del fatto che non è più epoca di nuove onde, sembrerebbe il frutto di una grande deflagrazione di immagini provenienti un po’ da ogni paese dell’area: oltre le schegge impazzite del cinema ceco c’è perfino traccia della commedia buffa russa messa in scena negli spettacoli di inaugurazione, circolano personaggi ungheresi poco raccomandabili, partite di calcio seguite minuto per minuto e con grande partecipazione, come una guerra simulata sul campo che anticipa quella che si svolgerà di lì a poco. L’umanità che circola per il film crea una barriera beffarda con un certo mondo occidentale che ha parlato talmente tanto dei problemi jugoslavi da perdere la voce, a cominciare dai cronisti dei telegiornali, ai filosofi sparsi sui fronti, per tutti loro c’è una frecciata. Una guerra fatta scoppiare e pilotata per procurare grossi affari, sembra dire il film, non farà sparire le regole fondamentali, i valori della vita, quali che siano, le amicizie che non guardano la carta d’identità, non smembrerà un paese indivisibile nella sua cultura. Kusturica (lo abbiamo sentito prima e dopo la guerra) ha vissuto lo stesso disastro, mentre era lontano dal paese tutto è andato distrutto, anche parte della sua famiglia, sulle sue amicizie non ha potuto contare. Musical trascinante dai ritmi balcanici travolge con la sua musica un bel po’ di anni che sembrano ormai lontani, personaggi e brani celebri, come un’epoca passata per sempre. (SILVANA SILVESTRI, Il Manifesto, 4 Marzo 2005) Attenzione allo slavo: quando scende in campo, è un vincente. Ha già conquistato due Mondiali (pardon, due Palme d’oro) e un paio di Coppe Uefa (Leoni d’argento veneziani LA VITA È UN MIRACOLO 277 assortiti). Emir Kusturica sa come si vince sulla Croisette. La metafora calcistica non è gratuita: Emir è un grande tifoso e nel suo nuovo film, La vita è un miracolo, il calcio ha un ruolo importante. A un certo punto Milos, il figlio del protagonista, va a giocare una partita decisiva per il suo futuro (sogna di giocare nel Partizan di Belgrado). In un tremendo campetto di periferia, la partita inizia con scherzi goliardici e sfocia in uno scontro etnico ferocissimo. Nella ex Jugoslavia accadde davvero: una storica trasferta belgradese della Dinamo Zagabria (squadra-simbolo dei croati) fu una delle micce del conflitto che ha insanguinato quelle terre per anni. D’altronde, anche nel film siamo in un momento cruciale: è il 1992 e gli orsi fuggono dalla Croazia in fiamme. Un postino va a consegnare una lettera a un tizio, e in casa, al posto dell’uomo, ci sono due orsi intenti a divagarsi. L’immagine è di una potenza comica degna di Chaplin La febbre dell’oro, come no?), ma la violenza fa subito irruzione, perché gli orsi hanno ucciso il padrone di casa e ne hanno appeso il cadavere a un albero. Nell’arco di due inquadrature, Kusturica ci fa ridere, ci spaventa, ci fa piangere. È la sua scommessa, chiara da sempre (fin dai tempi di Ti ricordi di Dolly Bell?, chiarissima in questo film che forse non casualmente allude a La vita è bella di Benigni, altra tragicommedia dei nostri tempi. Infatti, nella seconda parte, la fluviale e complicatissima vicenda si trasforma nell’ennesima riscrittura di Romeo e Giulietta, con gli amanti appartenenti a opposte fazioni. Quando si ride e si piange assieme, salta sempre fuori Shakespeare: è una lettura abbastanza ovvia, e anche se Kusturica l’approva, non ci sembra nemmeno la più pertinente. Mai come in questo film, nel suo cinema, si aggira il fantasma di Ivo Andric (la resa dei conti avviene sulle rive della Drina, il fiume sacro di tutti quei popoli) e crescono i debiti a Gabriel Garcia Marquez, lo scrittore del «realismo magico»: l’unico stile al quale Kusturica è iscrivibile. Semmai, è dal punto di vista politico che La vita è un miracolo risulta inafferrabile. A distanza di 12 anni dagli eventi, Kusturica dà colpi a tutti i cerchi e a tutte le botti disponibili: sceglie come eroe un serbo, ma con la complicità di Shakespeare lo fa innamorare di una ragazza musulmana. Luka è un ingegnere serbo che vive con moglie e figlio in una 278 LA VITA È UN MIRACOLO zona della Bosnia lontana miglia e miglia dalla città più vicina. Il sogno dell’inguaribile ottimista Luka è portare lassù la ferrovia, per creare «turismo e commercio»: tutto questo, mentre la Croazia dichiara l’indipendenza e il mosaico costruito da Tito va in briciole. Il figlio di Luka, Milos, sogna di giocare in serie A ma viene chiamato sotto le armi; la moglie Jadranka è un’ex cantante lirica pazza. Quando fugge con un musicista ungherese, Luka si consola ben presto con Sabaha, una ragazza musulmana presa come ostaggio dai serbi: ma quando verrà il momento di scambiare Sabaha con Milos, a sua volta prigioniero, che farà il povero Luka? Come si intuisce dalla trama, Kusturica compone un affresco in cui nessuno ha ragione e nessuno ha torto, e gli unici presi indiscutibilmente per i fondelli, nel finale, sono gli inviati della Cnn e i caschi blu dell’Onu (che, poveraccia, si beccava tutti gli sberleffi del caso anche in No Man’s Land di Tanovic). Forse è l’unica lettura politica possibile di quel caos che fu la ex Jugoslavia, almeno per artisti che hanno avuto il problema (e l’astuzia) di sopravvivere senza scontentare nessuno. Ciò che conta, alla fin fine, è che Kusturica compone un altro capitolo di quello che appare ormai come un unico, lunghissimo film. Lo stile è sempre quello, frenetico e schizzato; le trovate poetiche e comiche sono impagabili, la presenza degli animali è pregnante quanto quella degli attori (qui ci sono un gatto, una mula, un cane, delle oche e degli orsi da Oscar) e se la denuncia politica è vaga e pasticciata, l’amore per la vitalità dei personaggi è totale e coinvolgente. Kusturica è politicamente inaffidabile, ma è un poeta: un poeta che, come John Ford, fa sempre lo stesso film e ha trovato nelle colline jugoslave la sua Monument Valley. Perché dovremmo chiedergli di cambiare? Chiedereste al cielo di cambiare colore? (ALBERTO CRESPI, L’Unità, 15 maggio 2004) Arriva a quasi un anno dalla presentazione in concorso all’ultimo Festival di Cannes La vita è un miracolo, l’ultimo lavoro di Emir Kusturica che torna, a distanza di molti anni dal suo ultimo film di fiction (Gatto nero, gatto bianco era in concorso a Venezia nel ‘98), ai suoi temi prediletti. L’autore serbo-bosniaco ricostruisce qui, a modo suo, la follia e l’orrore degli inizi della guerra fratricida nella ex-Jugoslavia. Lasciando per un attimo da parte i suoi gitani, ma non la vitalità che li accompagnava nei suoi film precedenti, Kusturica si interroga sulle ragioni della guerra che insanguinò i Balcani all’inizio degli anni Novanta e della quale si era già occupato in Underground, Palma d’oro a Cannes, tra mille pretestuose polemiche, nel ‘95. La vita è un miracolo accosta, al solito, un piano umoristico e vitale, ai limiti dello straniamento, a uno sguardo affettuosamente benevolo ma lucido sulle ragioni delle divisioni della sua terra. Le scene iniziali in cui Luka, ingegnere che da Belgrado si è trasferito sui monti della Bosnia sognando la realizzazione di una ferrovia che, tra gallerie e dirupi, porterebbe il turismo nella zona, sono belle e commoventi. Con il precipitare degli eventi, il tono del film si fa più cupo senza mai accettare però una descrizione realistica della guerra. Con l’immaginazione tipica del suo cinema, Kusturica si tiene lontano sia da una mera ricostruzione degli eventi sia da ogni sorta di didascalismo morale. Come sempre nei suoi film, si succedono accumuli ed ellissi, frenesie e pause, alla ricerca di un disequilibrio narrativo che è motivo fondante del suo cinema. E se i difetti, anche in questo film, sono spesso evidenti, non si può non riconoscere a Kusturica un’inventiva fuori dal comune e un affetto non moralistico nei confronti dei suoi personaggi che coinvolge e commuove. L’innamoramento tra Luka e il suo ostaggio, la musulmana Sabaha, ha una tenerezza irresistibile e utopica, così come irresistibili sono le figure animali che, nel cinema di Kusturica, assurgono a veri e propri protagonisti. Un mondo non solo di umani ma anche di cani e galline o di un’asina magnifica e impalpabile che tenta il suicidio per amore sui binari del treno. Un mondo e un film tristemente ottimista e inesorabilmente vivo. (FEDERICO PEDRONI, duellanti, marzo 2005) I COMMENTI DEL PUBBLICO DA PREMIO Ursula Biasiolo - Se non avessimo saputo il nome del regista l’avremmo indovinato: Kusturica non si smentisce mai. An- che in questo film esplode la gioia di Kusturica quando inventa le sue situazioni, un po’ burlesche, un po’ surreali, quando accosta il comico al tragico, quando ci fa assistere a un fuoco d’artificio di musiche e scene, tutte susseguentesi con ritmo serrato. Siamo immersi in questo delirio di energia e vitalità; e se talvolta siamo tentati di biasimare una tale regia esilarante, “sopra le righe”, ci riconciliamo però ben volentieri con Kusturica grazie alla sua eccezionale gioia vitale e il grande amore per il suo paese e i suoi compatrioti. Mirabile la figura di Luka (ottima recitazione) nei vari momenti della sua parabola: profondamente umano quando gioisce, quando si arrabbia o quando riflette. E di sicuro non dobbiamo sottacere la parte che Kusturica assegna agli animali: Kusturica sembra volerci dire, in modo più forte ed esplicito che in altri film, che animali ed esseri umani si integrano vicendevolmente, e che sono accomunati nel loro essere viventi. Ricordiamo volentieri la bella scena finale in cui l’asino salva la vita a Luka, e Luka lo abbraccia con un tenero sorriso pieno di gratitudine. Dunque, “La vita è un miracolo” è un film da premio per tanti meriti: eccellente regia, infinita fantasia, coraggio dell’inventiva, amore per la patria e per gli uomini, e un umorismo disincantato e pure partecipe che comprende che la vita è uno spettacolo. Annamaria de’ Cenzo - Atmosfere magiche, gioia di vivere, animali particolarmente portati alla recitazione, musica travolgente: sono gli ingredienti di un piccolo capolavoro. Umberto Poletti - È la metafora di questo tragico pianeta, che danza, canta e si stordisce, proprio quando le guerre incalzano. L’impero romano d’Occidente crollava fra orge e dibattiti assurdi, con imperatori corrotti o bambini. Questo dice Kusturica: assurdità relazionali, musiche assordanti, sessualità banalizzata, un tracciato ferroviario inutile pur se auspicato per la pace: sarcastico quel correre di “carcasse” d’automobili o di carrelli d’appoggio, che fanno pensare ai milioni di autoveicoli che ci soffocano nelle metropoli “di qui e di là”. “Di qui e di là” si spara, ci si apposta per colpire meglio (il sedere?!) del nemico. Il sarcasmo si fa tragico, il gioco della guerra è lacerante. Sembra un tema calviniaLA VITA È UN MIRACOLO 279 no: o si va sugli alberi (un letto ti porterà via) o, appunto, si vola su un letto che richiama l’obsoleto “facciamo l’amore, non la guerra”. Kusturica rimane un pessimista: vai a Berlino o a Mosca, sottoterra? Torni a Belgrado o rimani in Bosnia? Ti affianchi a Bin Laden o stai con Bush? Aveva ragione Annibale o Catone il vecchio? La tragicommedia è sempre in scena. OTTIMO Annamaria Cascetta - Ottimo film, sia sul piano formale, sia sul piano dei contenuti di riflessione. Complessità ben governata. Per l’aspetto espressivo si nota la maestria nel coniugare l’adesione semplice e diretta a una realtà cara e nota con raffinate mediazioni, come le citazioni da Bresson (il mondo degli animali), daWenders (i voli sopra la realtà), dai Taviani (il mondo campestre), dai pittori (per es. i paesaggi innevati con le piccole figurine di Bruegel). Si nota altresì l’azzeccato contrasto (di brechtiana successione) fra la leggerezza della colonna sonora, il nervosismo da balletto del montaggio e la greve realtà della guerra, della volgarità dei comportamenti e delle motivazioni. Un effetto straniante che aiuta ad assumere un punto di vista diverso, non stereotipato: al di là della retorica della guerra e della pretestuosa drammatizzazione, lo “stupore” sempre rinnovato per il miracolo della vita che la vince sempre. Sul piano del senso, sottolineerei l’emergere delle ragioni ultime meschine e spregevoli della guerra civile ed etnica: l’avidità, l’invidia della vita (si vedano le scene del cecchino che spara mascherato al personaggio pieno di gioia di vivere che si diverte alla festa o dei vecchi o vecchioni che sparano alla pastosa e generosa ragazza che dona il suo amore all’ingegnere). Catalizzatore della positività: l’ingegnere lucido e sognatore, versione moderna della tradizione slava del simpleton, l’“idiota”. Su tutto questo sta lo sguardo banalizzante di un’informazione (quella cui allude la cronista della Cnn) che incasella nelle sue categorie ciò che accade negandosi a una comprensione più profonda e autentica della realtà e della sua imprevedibilità. 280 LA VITA È UN MIRACOLO Mariagrazia Gorni - Travolgente, vulcanico, geniale, lieve e profondo; specchio di passioni, desideri, ombre e luci, poetico e spiazzante. È in gioco la vita e la vita è pulsione, contraddizione, paura e follia, amore e odio, gioia e dolore, malinconia, compassione ed egoismo, dolcezza, crudeltà, forza e debolezza, ingenuità e furbizia… Avvincente la rappresentazione della natura, straordinari gli animali (asina in testa, naturalmente!). “Stranianti” i non-luoghi (l’isolata piccola stazione ferroviaria e la sperduta casa natale del protagonista). “Sospeso” il tempo (nonostante i drammatici riferimenti alla tragica realtà della guerra civile). Splendidi i colori; trascinante la musica. Rosa Luigia Malaspina - Ermetico, turbolento come la passione che unisce Luka a Sabaha, poetico e fantasioso come il volo sul paese a bordo del letto con i due protagonisti passeggeri divertiti. Caleidoscopio di emozioni, con trovate assurde, fantastiche, paradossali, ma sempre coinvolgente. Storie di guerre fratricide insensate, con scambi di persone come fossero pedine di un gioco a scacchi. Bella la fotografia, romantico il parallelo tra la storia dell’asina innamorata che piange e vuole suicidarsi per amore e quella di Luka. Il miracolo è possibile: la vita di Luka viene salvata dall’asina, e il suo sogno d’amore? Film comunque tristissimo sotto l’apparente gaiezza. BUONO Luisa Alberini - “La vita è un miracolo”, dice il postino quando vede allontanarsi per sempre dal guscio il pulcino, superare l’ultimo steccato e avviarsi verso la libertà. “La vita è un palcoscenico”, dice Jadranka, affidando al verso di un poeta il ruolo con cui recita la sua parte. Niente di più distante da questi due mondi. Da una parte la vita osservata attraverso quella inesauribile fonte di meraviglia che sono gli animali, in allegra convivenza con l’uomo. Dall’altra le infinite sfaccettature dell’uomo, il suo sentirsi chiamato a recitare la parte di un attore, magari solo per quell’attimo che proprio perché irripetibile, lascia un segno. Una riflessione: dietro una trama semplice, e sulla sfondo di una guerra terribile, la vita si fa largo con tutte le sue contraddizioni e soprattutto con l’intreccio di quei sentimenti che prendono forma, colore, e suono da una interpretazione forse eccessiva. Che può travolgere, ma certo non annoiare. M. Grazia Agostoni - Una buona regia, ma il film è troppo lungo, ripetitivo, convulso e forzato. Personalmente non so apprezzare rappresentazioni di tragedie storiche in modo così clownesco. Gian Piero Calza - È un film “piacevole”, dal momento che non suscita in noi nessuna inquietudine. Gli avvenimenti gravi - i conflitti interetnici, la guerra vera e propria - rimangono sullo sfondo. In primo piano ci sono i personaggi, animali e umani, e i loro comportamenti osservabili, più che spiegabili. Non occorre infatti spiegare ciò che accade, ma osservare e rappresentare. Tanto più ciò riesce, quanto più la realtà osservata è elementare. In questo caso, una realtà pretecnologica nella quale irrompe il primo mostro meccanico: la ferrovia. Ma basta un asinello a fermarne la corsa. Come i paesaggi appaniono sgombri da ogni artificio, così i personaggi sono privi di ogni sovrastruttura psicologica. Un approccio “minimalista” che l’autore ha già praticato nell’arte figurativa e qui ripropone nel linguaggio cinematografico. Patrizia Gilardino - Film molto ben costruito (forse un pò troppo lungo) in cui si esprime molto bene il senso, o meglio il “non senso” della vita, l’affaccendarsi instancanbile dei personaggi che tentano di dare una svolta alla loro vita, ma vengono inesorabilmente trascinati nel ripetersi instancabile e monotono del vissuto quotidiano. Le fotografie e i personaggi sono splendidi. Rachele Romanò - Con passione e fervida immaginazione il regista esplora la realtà slava di un ben definito periodo storico e ne delinea i tratti salienti dando un ritratto ricco di un mondo falso, crudele, contraddittorio, corruttore. Solo l’amore permette di elevarsi sopra di tutto e di tutti e dare un senso alla vita. Stupefacente il suo virtuosismo nel rap- presentare i sentimenti dei diversi personaggi, compresi gli animali. Un encomio particolare alla recitaizone del protagonista Luka. Maria Grazia Raimondi - Quanti sono i problemi sfiorati o appena suggeriti, soprattutto dagli animali, che Kusturica ha lasciato alla libera interpretazione dell’individuo? Troppi. Ogni argomento potrebbe essere lo spunto di un nuovo film, più completo, più profondo e forse meno caotico: la guerra visivamente risparmiata, ma così palpabile per quel frastuono assordante, martellante, le solite bugie o realtà manipolate dai media, il disagio universale dei giovani in una società in cui l’essere di serie A è l’unico goal d’arrivo, le diverse tradizioni, ecc. La vita è un miracolo in tutte le sue manifestazioni naturali: la tenerezza che si prova per la nascita di un pulcino, l’orrore per la bestialità dell’orso (supremazia del forte), l’asina cocciuta dotata di sensibilità umana può far riflettere, una mamma anatra che infonde sicurezza e valori da imitare seguita e creduta dai suoi piccoli suscita invidia, la non pacifica convivenza di un cane e un gatto, e via via... Quasi a essere inevitabilmente portati a personificare l’animale e volerlo sostituire all’uomo, pur dotato di intelligenza superiore, di coscienza, di memoria... Fine del miracolo vita? No. Riproviamoci, rinnoviamoci, apriamo nuovi tunnel, dopo il buio c’è la luce, proviamo a salire sul treno, lasciamoci trasportare, stringiamo la mano al nuovo compagno di viaggio, decolliamo con rinnovato coraggio sull’alcova dell’amore, novelli Adamo ed Eva, e riscopriamo la vita, è un miracolo. Arturo Cucchi - Il film, pur costruito come commedia, è lontano dalla superficialità. Direi che Kusturica vuol parlare di uno scontro sanguinoso in maniera originale, evitando la violenza. E dà spazio a numerose riflessioni soprattutto osservando e vedendo i fatti della vita. Il sunto di queste sentenze così importanti, dice al figlio, sono “i sentimenti e le emozioni”. La vicenda d’amore, anche se, a mio parere, improbabile, è delicata e poetica e si conclude con un finale, forse, solo immaginario. Comunque è pregno di speranza umana e di tolleranza religiosa. LA VITA È UN MIRACOLO 281 Gioconda Colnago - “La vita è un miracolo”... di sopravvivenza al tragico disordine esistenziale! Il film, molto lungo, a prima vista spalanca la visione su un imprendibile agreste guazzabuglio umano e animale; mi ha aiutato ad entrarci il “pensiero” del primo uomo che appare in scena dicendo “vado in rovina”, non ce la faccio da solo”. Esplicito richiamo alla solidarietà. Poi incombono cannonate e si capisce che è cominciata, un’altra volta, la vera tragedia della guerra, accoratamente più drammatica perché fratricida. Emir Kusturica ne prosegue la narrazione rovistando con lo stile elastico di sempre e la fermezza della mente e del cuore tra il dolore e l’amore, l’angoscia e la speranza che animano, nella sua terra, la sua gente, specchio errante nella valle di lacrime tra la luce e il buio, fuori e dentro la galleria della strada ferrata “sognata” dall’Ing. Luka per unire Bosnia e Serbia. Si tratta di un film forse troppo denso di simboli; per questo ha richiesto una visione un pò faticosa. È detto dalla donna: “l’uomo può fare di tutto, ma non senza di me”. Il genere femminile prevale anche nel regno animale e per questo (!?) le lacrime - per delusione d’amore - dell’asina, hanno la forza di persuadere il conducente del treno per la salvezza dell’Ing. Luka? Lucia Fossati - Non è facile orientarsi nel fantasmagorico mondo di Kusturica, avvolti da una musica gitana frastornante, con automobili che viaggiano su rotaie, letti che volano, cannonate e case che crollano. In questo film mi è parso di cogliere il contrasto fra natura e storia: la natura coi suoi cicli immutabili è madre di vita; la storia degli uomini inve- 282 LA VITA È UN MIRACOLO ce è un tragico e assurdo divenire distruttivo. La natura fa nascere un amore anche fra un serbo e una bosniaca musulmana, la storia li separa. Un tenero asino, emulo della biblica asina di Balaam, cerca invano di fermare l’odio che distrugge tutto, ma forse riesce a salvare solo una vita. Un film che a un primo impatto sconcerta ma poi cresce dentro e non si dimentica. MEDIOCRE Anna Lucia Pavolini Demontis - “La vita è un miracolo” non mi ha per nulla coinvolto. Inutile e anacronistica lapresenza degli animali. La recitazione attraverso strani oblò o finestre è ripetitiva. La storia è mal raccontata e poco dice sulla guerra (in ogni caso è espressa in modo caotico). La lunghezza della pellicola (2h 34’) non gioca certo in suo favore. Stefania Bellazzi - La sceneggiatura caotica e, a volte, raccapricciante, con la gestualità scomposta, le parole urlate, lo scompiglio degli interni e il rumore assordante delle bombe, visualizza il tumulto degli animi. Non c’è posto per affetti pacati: tutto è in eccesso. In contrasto, l’immagine dei binari che indica un percorso lineare, sul quale troveranno la serenità Luka e Sabaha. Un film che infastidisce per la sua smodata sceneggiatura e per l’impercettibile abbozzo di valori umani.