nozioni di colorimetria e di controllo strumentale del colore

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Capitolo 8
- Nozioni di colorimetria e di controllo strumentale del colore -
CAPITOLO 8
NOZIONI DI COLORIMETRIA E DI CONTROLLO STRUMENTALE DEL COLORE
1.
INTRODUZIONE
2.
COLORE E SENSAZIONE VISIVA
3.
IL SISTEMA: SORGENTE – CAMPIONE – OSSERVATORE
3.1.
3.2.
3.3.
3.4.
SPETTRO DEL VISIBILE E SORGENTI DI LUCE
CAMPIONE ED INTERAZIONE RADIAZIONE MATERIA
L’OSSERVATORE
OSSERVATORE STANDARD
4.
METAMERIA
5.
SPAZI COLORE
5.1. DIAGRAMMA DI CROMATICITÀ CIE 1931
5.2. SPAZI COLORE A CROMATICITÀ UNIFORME
5.3. LO SPAZIO COLORIMETRICO CIELAB
6.
DIFFERENZE DI COLORE
6.1. TOLLERANZE DI COLORE CON LE FORMULE CIEL*A *B* E CIEL*C*H*
7.
LA MISURAZIONE STRUMENTALE DEL COLORE: LO SPETTROFOTOMETRO
7.1. GEOMETRIA OTTICA PER LE MISURE IN RIFLESSIONE
8.
CONSIDERAZIONI FINALI SULLA OTTIMIZZAZIONE DI UN SISTEMA DI CONTROLLO
STRUMENTALE DEL COLORE
1. INTRODUZIONE
L’aspetto di un prodotto tessile, senza niente togliere ai contenuti tecnici che racchiude,
rappresenta sicuramente l’attributo più importante. È praticamente inutile produrre un
prodotto tessile per abbigliamento caratterizzato da elevatissimi contenuti tecnici, ma di
aspetto sgradevole, questo perché il vero “messaggio” dell’articolo tessile è portato
dall’apparenza (forma superficiale, mano, trasparenza, ecc.) e dal colore.
Ma il colore è un fenomeno fisico, chimico, o qualcosa di diverso? Niente di tutto ciò, il
colore è una sensazione, uno stato d’animo, “il colore non esiste”, il colore, a differenza
della luce e della materia che sono realtà fisiche, è un’interpretazione cerebrale
dell’osservatore.
2. COLORE E SENSAZIONE VISIVA
La sensazione visiva che induce l’osservazione di un colore può essere razionalizzata
suddividendola in tre concetti fondamentali:
•
Tinta (hue): rappresenta la sensazioni visiva che permette l’attribuzione dei colori (blu,
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viola, giallo, arancio, ecc.).
•
Saturazione (chroma): permette di valutare la purezza di un colore, ci consente di
attribuire la pienezza di un colore senza variarne la nuance. Un rosso più “pieno” è un
rosso più saturo, lo stesso rosso più “vuoto”, ma della stessa nuance è meno saturo.
•
Luminosità (lightness): indica il carattere più o meno chiaro della superficie del corpo
osservato, ed è legata alla capacità della superficie di trasmettere o di riflettere una
frazione della luce incidente più o meno grande.
L’insieme di queste tre “grandezze” permette di individuare, in un ipotetico spazio dove
sono racchiusi tutti i possibili colori, un solo e unico colore.
Il colore, come già anticipato, non è un fenomeno semplice infatti può essere considerato
come un’elaborazione delle informazioni visive raccolte dall’occhio, elaborate dalla
corteccia cerebrale; questa elaborazione, allo stato attuale ancora non completamente
conosciuta, è sicuramente diversa da individuo ad individuo. E, proprio questo passaggio,
così personale ed individuale, fa sì che la sensazione indotta dallo stesso oggetto colorato
su individui diversi è sicuramente differente.
È ovvio che in un sistema produttivo, dove il colore rappresenta un elemento
fondamentale ed un grandissimo “valore aggiunto” , la soggettività della sua misura, cosi
come possibile per la semplice osservazione visiva costituisce una forte limitazione. Per
sopperire a tale situazione da alcuni decenni si è cercato di misurare in maniera
strumentale (obiettiva) il fenomeno fisico alla base della generazione della sensazione del
colore e successivamente di elaborare modelli matematici sempre più sofisticati che
tendessero a riprodurre in termini numerici le sensazioni visive indotte da un oggetto su un
ipotetico “occhio o osservatore standard”.
L’introduzione di elaboratori sempre più veloci, accoppiata a strumenti di rilevazione fisica
delle radiazioni assorbite e riflesse da un corpo (spettrofotometri) ha fatto sì che la misura
obiettiva del colore (colorimetria) diventasse in questi ultimi anni il mezzo più utilizzato
a livello industriale per la catalogazione, riproduzione e controllo qualità di materiali
colorati.
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3. IL SISTEMA: SORGENTE – CAMPIONE – OSSERVATORE
Alla base della generazione della sensazione di un colore deve essere sempre presente
un sistema costituito da tre elementi fondamentali:
•
la sorgente: con sorgente si intende la fonte primaria di radiazioni elettromagnetiche di
particolare lunghezza d’onda (luce visibile emessa dal sole, da una lampada, ecc.) che
vanno ad illuminare il corpo colorato. Al buio nessun corpo appare colorato!
•
il campione: materiale colorato deve presentare al proprio interno molecole costituiti
da particolari gruppi di atomi (cromofori) che interagiscono con le radiazioni incidenti
emesse dalla sorgente (luce) assorbendone in maniera selettiva una parte. I materiali
che assorbono tutte le radiazioni incidenti danno la sensazione cromatica del colore
nero, quelli che riflettono o che si fanno attraversare da tutte le radiazioni incidenti sono
bianchi, mentre i corpi che assorbono o riflettono soltanto una parte delle radiazioni
sono colorati.
•
l’osservatore: nel caso dell’osservazione visiva è costituito dal sistema occhio –
corteccia cerebrale, mentre nella colorimetri strumentale l’osservatore è costituito dal
sistema spettrofotometro (rilevatore della qualità e della quantità di radiazioni riflesse o
trasmesse dal campione) – software (sistema di elaborazione dati che, tramite
l’elaborazione delle informazioni fisiche provenienti dallo spettrofotometro, e per mezzo
degli algoritmi impostati, attribuisce al colore del campione una serie di parametri
numerici di riferimento).
3.1. Spettro del visibile e sorgenti di luce
Spettro del visibile
La luce generata dalle sorgenti naturali (sole) ed artificiali è costituita da un insieme di
radiazioni elettromagnetiche di diversa lunghezza d’onda. La lunghezza d’onda delle
radiazioni elettromagnetiche (unità di misura: nanometro (nm) = 10-6m) costituisce il
principale elemento distintivo; la lunghezza d’onda è inversamente proporzionale
all’energia posseduta da queste radiazioni (più corte sono le onde elettromagnetiche e
maggiore è l’energia posseduta). Per portare un esempio basta ricordare che le onde
elettromagnetiche che costituiscono la zona dello spettro detta “ultravioletto” sono più
corte di quelle della zona del visibile; il contenuto energetico delle radiazioni ultraviolette è
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sicuramente maggiore rispetto alle radiazioni visibili, infatti se ci esponiamo al sole
direttamente possiamo scottare la pelle (forte interazione radiazione – materia), mentre se
ci sistemiamo dietro un vetro (assorbe tutte le radiazioni ultraviolette, ma è trasparente a
quelle visibili) non incorriamo nel suddetto inconveniente.
La radiazioni elettromagnetiche esistenti in natura e nel nostro ambiente coprono un range
di lunghezza d’onda amplissimo, si va infatti dai potentissimi raggi cosmici (fortunatamente
bloccati dall’atmosfera terrestre) con lunghezze d’onda di 0,00001 nm fino alle onde radio,
che possono avere lunghezze d’onda anche nell’ordine di 1 km (1.000.000.000 nm).
L’insieme delle radiazioni che costituiscono la luce bianca, cioè le radiazioni che sono
percepite dall’occhio umano vengono dette “spettro visibile” e sono costituite da
radiazioni di lunghezza d’onda compresa tra 350 e 700 nm circa. Le lunghezza d’onda più
vicine costituiscono le infrarosse, nel caso di lunghezze d’onda maggiori, e le ultraviolette
se minori. Da quanto descritto è evidente che la luce visibile è costituita da un piccolissimo
intervallo di radiazioni elettromagnetiche, se confrontato con l’intero spettro di radiazioni
elettromagnetiche esistenti.
Come possiamo notare a seconda delle varie zone all’interno dello spettro visibile si
associano colori diversi (tra 350 e 450 il violetto; tra 490 e 560 il verde; tra 600 e 700
l’arancio ed il rosso); possiamo perciò considerare la luce bianca come la sommatoria di
tutte le radiazioni colorate.
Per questo motivo il concetto di colore e tinta sono strettamente associate alle lunghezze
d’onda caratteristiche della radiazione elettromagnetica trasmesse o riflesse dal materiale
colorato, ma questo fenomeno fisico non è assolutamente sufficiente per definire la
sensazione di colore, infatti nessuno percepisce il colore rosso ad esempio, come il doppio
del blu in termini di lunghezza d’onda.
Sorgenti di luce ed illuminanti
La principale sorgente luminosa è costituita dalla luce solare ( intervallo 200 – 4000 nm).
Le sorgenti artificiali sono costituiti da corpi che riscaldati divengono incandescenti ed
emettono radiazioni elettromagnetiche (lampade ad incandescenza), e da sistemi costituiti
da gas che vengono eccitati da scariche elettriche con conseguente emissione di
radiazioni (lampade fluorescenti).
Il colore della luce di emissione delle sorgenti viene generalmente descritto indicando la
temperatura colore in gradi Kelvin (K).
Con temperatura colore di una sorgente si intende la temperatura alla quale deve essere
riscaldato il “corpo nero” (sorgente di riferimento) per emettere una luce che abbia la
stessa tonalità di colore di quella della sorgente in esame.
Lo spettro solare, ad esempio, può essere assimilato alle radiazioni emesse dal corpo
nero, scaldato alla temperatura di 5800 K.
Illuminanti
Il colore di un materiale è ovviamente influenzato dal colore della sorgente di emissione di
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radiazioni (il colore di un corpo appare nettamente diverso se illuminato da una luce
bianca o da una colorata), per tale motivo, l’avvento della colorimetria strumentale ha reso
indispensabile la definizione di condizioni normalizzate di emissioni di radiazioni e cioè di
illuminanti standard.
I principali illuminanti, normalizzati dalla CIE (Commission Internazionale de l’Eclairage),
sono i seguenti:
•
D65 : simula la luce diurna – temperatura colore 6500 K
•
A
•
F11 : lampada fluorescente - temperatura colore 4000 K – assimilabile alla lampada
Philips TL84 utilizzata nei punti di vendita Mark & Spencer.
•
F2
: simula una lampada ad incandescenza - temperatura colore 2856 K
: lampada fluorescente - temperatura colore 4230 K – corrisponde alla lampada
CWF.
3.2. Campione ed interazione radiazione materia
I fenomeni legati all’interazione tra la radiazione che illumina il campione (radiazione
incidente) e le radiazioni che vengono dallo stesso riflesse, assorbite o trasmesse, sono
legati a numerosi fenomeni che possono essere così esemplificati:
•
riflessione esterna: il fenomeno è legato alla variazione della velocità di trasmissione
della radiazione nell’aria e nel corpo investito dalla radiazione stessa (variazione
dell’indice di rifrazione).si intende la capacità che ha un materiale di riflettere in
maniera speculare o diffusa la radiazione incidente. Per riflessione speculare si intende
quella generata da una superficie perfettamente liscia e levigata dove la radiazione
viene riflessa dalla superficie con un angolo identico a quello formato dalla radiazione
incidente con la perpendicolare alla superficie stessa (caratteristica dei corpi
perfettamente lisci e levigati). Per riflessione diffusa si intende invece la riflessione in
tutte le direzioni della radiazione incidente; il fenomeno è dovuto alla scabrosità della
superficie, genera la sensazione di corpo opaco e rappresenta la maggior componente
della riflessione dei materiali tessili.
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Assorbimento: i corpi non hanno soltanto la prerogativa di riflettere le radiazioni
incidenti ma, nel caso presentino al loro interno molecole che sono in grado di
interagire con alcune radiazioni elettromagnetiche, possono assorbire parte delle
radiazioni costituenti lo spettro della luce bianca originando il fenomeno
dell’assorbimento. Come già detto lo spettro visibile della luce bianca è costituito da
tutte le radiazioni comprese tra 350 e 700 nm; l’assorbimento selettivo delle radiazioni
di determinate lunghezze d’onda genera il colore degli oggetti. Le radiazioni che non
sono assorbite vengono riflesse o trasmesse e raggiungono l’osservatore.
Esempi di combinazione dell’effetto di riflessione superficiale, assorbimento e diffusione
Nella figura 7 si rilevano le seguenti situazioni:
1. le radiazioni incidenti (luce bianca) non vengono assorbite dalle particelle immerse in
un materiale (stesso indice di rifrazione delle particelle e del materiale) - il campione
si presenta incolore e trasparente (es. fibra tessile sintetica lucida [materiale] –
prodotti plastificanti [particelle]);
2. le radiazioni incidenti (luce bianca) vengono selettivamente assorbite dalle particelle
immerse in un materiale (stesso indice di rifrazione delle particelle e del materiale) - il
campione si presenta colorato e trasparente (es. fibra tessile sintetica lucida
[materiale] – colorante [particelle]);
3. le radiazioni incidenti (luce bianca) non vengono assorbite dalle particelle immerse in
un materiale, ma le particelle possiedono un indice di rifrazione diverso dal materiale
(fenomeno della riflessione diffusa) - il campione si presenta bianco e opaco (es.
fibra tessile sintetica [materiale] – biossido di titanio [particelle] – Questo insieme
costituisce le cosiddette “fibre opache” in quanto le particelle bianche di biossido di
titanio non assorbono selettivamente radiazioni del visibile, ma tendono a rifletterle in
tutte le direzioni);
4. le radiazioni incidenti (luce bianca) vengono assorbite dalle particelle immerse in un
materiale, inoltre le particelle possiedono un indice di rifrazione diverso dal materiale
(fenomeno della riflessione diffusa) - il campione si presenta colorato e opaco (es.
fibra tessile sintetica [materiale] – pigmento [particelle] – Questo insieme costituisce la
situazione che si verifica quando nelle fibre sintetiche vengono immerse particelle di
pigmenti colorati (tintura in pasta o massa); in questo caso le particelle di pigmento,
caratterizzate da diverso indice di rifrazione rispetto al polimero costituente la fibra, in
parte originano riflessione diffusa, ed in parte vengono selettivamente assorbite
generando la sensazione di corpo opaco e colorato.
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Tutti i fenomeni sopra descritti coinvolgono variazioni di lunghezze d’onda e/o variazioni di
energia tra le radiazioni emesse dalle sorgenti e quelle trasmesse o riflesse dal campione.
L’esecuzione di un’analisi obiettiva di tipo puramente fisico di questi fenomeni viene
effettuata, misurando tramite apparecchi detti spettrofotometri, l’energia luminosa
trasmessa o riflessa da un oggetto per ogni lunghezza d’onda del visibile. Le curve
risultanti da quest’analisi vengono chiamate curve spettrali e sono significative del colore
e dell’aspetto del materiale. Queste curve riportano nelle ascisse le lunghezze d’onda e
nelle ordinate la percentuale di radiazione riflessa (riflettanza %) o trasmessa
(trasmittanza %) rispetto a quella incidente.
•
•
•
Nel caso di colore bianco si avrà una retta parallela alle ascisse caratterizzata da
riflettanza = 100%;
per il colore nero una retta identica alla precedente, ma posizionata a valore di
trasmittanza = 0%;
per una sostanza colorata un profilo dello spettro con picchi di riflettanza o
trasmittanza.
Esempi di curve di riflettanza:
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1. bianco ideale: riflettanza = 0 a tutte le lunghezze d’onda (λ);
2. campione blu: il campione appare blu perché assorbe le radiazioni giallo – arancione –
rosse;
3. campione blu-rossastro: il campione appare blu-rossastro perché assorbe le radiazioni
verdi;
4. campione giallo: il campione appare giallo perché sono assorbite le radiazioni blu-viola.
Fenomeno della fluorescenza
Il fenomeno della fluorescenza è caratterizzato dalla capacità di alcune molecole di
assorbire razioni elettromagnetiche di una determinata lunghezza d’onda e di riemettere
radiazioni a lunghezza d’onda maggiore.
Questo principio viene sfruttato, nel settore tessile, nella utilizzazione dei candeggianti
ottici; queste molecole, infatti, sono in grado di assorbire dalla luce incidente le radiazioni
ultraviolette e di riemetterle nel visibile, incrementando così, ad esempio in un tessuto
bianco, la quantità di radiazioni visibili riflesse dal manufatto.
Per questo motivo, le curve di riflettanza di un manufatto bianco, candeggiato mediante
l’utilizzazione di imbiancanti ottici (molecole fluorescenti), presenta in alcune zone dello
spettro valori di riflettanza percentuali superiori al 100%.
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3.3. L’osservatore
Il sistema occhio – corteccia cerebrale costituisce lo stadio finale per la generazione della
sensazione visiva del colore.
La neurofisiologia dell’occhio e del sistema visivo evidenzia che gli organi recettori
responsabili della visione sono collocati nella retina dell’occhio; in detta posizione sono
alloggiati i coni ed i bastoncelli. Di questi elementi, i coni, sono responsabili della visione
diurna (fotopica), sono cioè sensibili alla percezione dei colori, mentre i bastoncelli sono
responsabili della visioni notturna (scotopica) e sono sensibili soprattutto alla variazioni di
luminosità.
Questi elementi (120 milioni di coni e 7 milioni di bastoncelli) hanno tutti la stessa
sensibilità; i coni sono preferenzialmente raggruppati in una zona della retina chiamata
“fovea” e sono suddivisi in tre grandi categorie a seconda della loro massima sensibilità.
Le tre serie (sensibilità ai blu, ai verdi ed ai rossi) presentano i massimi di sensibilità
rispettivamente a 477, 540 e 577 nm. La loro distribuzione media è di 40 verdi, 20 rossi ed
1 blu.
Questa situazione fisiologica elaborata con alcune importanti teorie del processo della
visione (teoria di Young [1801], di Hemotz [1850], di Herrring [1878] e di Muller [1931]) e
confermata con recenti dati sperimentali, ha permesso di indicare che la sensazione del
colore è legata alla presenza di tre tipi di recettori nella retina, le cui risposte vengono
convertite dal sistema retina – nervo ottico, in tre nuove serie di segnali, coppie
antagoniste o opposte del tipo: bianco/nero; rosso/verde; giallo/blu.
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3.4. Osservatore standard
La presenza di tre gruppi di segnali provenienti dal fondo dell’occhio umano è alla base
dell’approccio scientifico e strumentale della misurazione del colore. Oggi le tre risposte
spettrali, funzione della lunghezza d’onda dei tre tipi di recettori dell’occhio umano sono
note.
Al fine di standardizzare questi stimoli, la CIE ha attribuito alle funzioni colorimetriche
dell’occhio dei valori numerici e li ha utilizzati per la definizione di un “osservatore
standard”. L’osservatore standard è di fatto costituito da una serie di dati riferiti ad un
osservatore umano medio e normale, e non ad un particolare osservatore realmente
esistente. L’attribuzione di questi valori è stata effettuata per la prima volta nel 1923
studiante le modalità con cui 10 osservatori campioni modulavano tre luci colorate (rossa,
verde e blu) per riprodurre una luce di un qualsiasi colore proiettata in uno schermo
bianco.
Per operare una semplificazione dei calcoli necessari per definire in maniera
standardizzata un colore, la CIE sviluppò, a partire dalle funzioni tricromatiche reali (r,g,b
[luce red, green, blu]) alcune trasformazioni matematiche, arrivando così ad individuare tre
nuove luci standard x,y,z che permisero di identificare lo stimolo visivo con tre soli numeri,
e dalle quali fu possibile ottenere un insieme di funzioni dette funzioni colorimetriche
CIE (x, y, z) che rappresentano funzioni medie di un osservatore standard
immaginario.
L’utilizzazione di queste funzioni colorimetriche attribuite all’osservatore standard,
permette di trasformare una curva di spettrale in tre valori numerici detti Valori Tristimolo
(XYZ), utilizzati per definire univocamente il colore di un campione o di una luce colorata.
Il calcolo dei Valori Tristimolo per corpi colorati si effettua moltiplicando, per ogni
lunghezza d’onda (o per intervalli di 10 nm) su tutto l’intervallo del visibile, il valore
dell’energia della sorgente a quella lunghezza d’onda (S), diminuito del valore di riflettanza
di quel colore ( R ) alla stessa lunghezza d’onda, per il valore della relativa funzione
colorimetrica (x, y, oppure z).
La formula per il calcolo del Valore Tristimolo (X) può essere così descritta:
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−
Χ = ∑350 S (λ ).R(λ ). x (λ ).∆(λ )
700
Analogamente per i Valori Tristimolo (Y) e (Z).
4. METAMERIA
Il fenomeno della metameria si evidenzia quando due campioni con diverse curve spettrali
presentano sensazioni cromatiche identiche in condizioni di illuminazione e di
osservazione costanti, mentre cambiando sorgente o angolo di osservazione si ottiene
una sensazione di colore diverso (noto l’effetto di cambiamento di colore che si osserva in
taluni tessuti se osservati sotto la luce artificiale [es. neon] o alla luce del giorno). Dal
punto di vista colorimetrico la metameria si ottiene quando i Valori Tristimolo X,Y,Z di due
campioni sono uguali sotto un illuminante e diversi sotto un altro.
La metameria si evidenzia, in alcuni casi, quando un colore ottenuto su un materiale
tessile con una miscela di coloranti, viene riprodotto con una diversa miscela di coloranti,
ottenendo la stessa sensazione visiva sotto un determinato illuminante (colore a
campione), mentre se si cambia illuminante i due colori prima identici, appaiono adesso
diversi.
Esempio:
combinazione 1: colore ottenuto per miscelazione di giallo, rosso, blu;
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combinazione 2: colore ottenuto per miscelazione di arancione, blu.
5. SPAZI COLORE
5.1. Diagramma di cromaticità CIE 1931
I Valori Tristimolo X, Y, Z attribuiti ad un singolo colore permettono di individuare solo quel
colore con grande accuratezza; purtroppo la correlazione tra il dato matematico e la
sensazione visiva del colore è spesso molto difficile. Tutto ciò avviene perché, anche se il
Valore Y è correttamente associabile alla sensazione di chiarezza del colore altrettanto
non possiamo dire per l’associazione dei Valori X, Z alla sensazione di colore (hue) e di
saturazione (chroma).
Per illustrare le disposizione dei colori, dopo l’identificazione di un osservazione standard,
la CIE raccomandò di identificare separatamente gli aspetti cromatici di un colore dalla
luminosità.
Per fare ciò si impiegarono le grandezze x, y per precisare la cromaticità dei colori e la
rappresentazione grafica si concretizza in un diagramma bidimensionale con assi x e y
che definisce uno spazio a forma di ferro di cavallo chiamato triangolo dei colori CIE
all’interno del quale sono descritti tutti i possibili colori presenti nella luce.
• I bordi del diagramma sono costituiti dalle coordinate cromatiche dei colori puri;
• la parte centrale del diagramma rappresenta il punto di bianco neutro o punto
acromatico (x=0,333; y=0,333);
• tutti gli illuminanti sono localizzati nella parte centrale, ma in punti diversi a seconda
della tonalità della luce bianca (es. illuminante A [lampada ad incandescenza] spostata
nella parte dei gialli).
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Un qualsiasi colore contenuto all’interno del triangolo può perciò essere descritto
indicando i due valori numerici delle coordinate x e y che coincidono con il punto colore.
Un secondo metodo per definire l’esatta posizione di un colore nel Triangolo Cromatico è
quello di individuare le grandezze di lunghezza d’onda dominante e di purezza
colorimetrica. Questo metodo offre una migliore correlazione tra i valori numerici della
colorimetria e l’osservazione visiva, perché permette di identificare un colore con i termini
di tinta e di saturazione, così come avviene nell’apprezzamento visivo.
•
lunghezza d’onda dominante: si ottiene prolungando la retta che unisce il punto
acromatico (C ) con il punto del colore in oggetto (P), fino ad intercettare la linea dei
colori saturi, individuando così la lunghezza d’onda detta “dominante” (fig. 15);
•
purezza colorimetrica o saturazione: è misurata come il rapporto tra la distanza del
colore (P) dall’illuminante (CP) e la distanza tra l’illuminante ed il colore puro (CP’). Il
colore puro avrà saturazione = 1 e l’illuminante = 0 (fig. 15).
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Come già detto il sistema oggettivo di misurazione del colore, attribuisce ad ogni colore tre
indici numerici (x e y che individuano le coordinate cromatiche dello triangolo dei colori
CIE ed il Valore Tristimolo Y che indica la luminosità del campione).
Questa situazione indica che il piano individuato dal triangolo dei colori è costituito da una
superficie a luminosità costante, e pertanto in teoria non potrebbero esistere due colori
con le stesse coordinate cromatiche (x e y), ma tenendo conto che la grandezza Y (Valore
Tristimolo Y) si sviluppa in senso perpendicolare al triangolo dei colori, possiamo
giustamente ritenere che due colori possono essere caratterizzati dalle stesse coordinate
x,y, ma diverso valore di luminosità Y (colori C 1 e C 2 fig. 16).
In altri termini si può costruire uno spazio con una serie di triangoli cromatici sovrapposti e
ciascuno caratterizzato da una propria luminosità. All’aumentare della luminosità,
diminuisce la saturazione possibile dei colori puri con la conseguente diminuzione della
superficie del triangolo cromatico.
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5.2. Spazi colore a cromaticità uniforme
Lo spazio colore sopra descritto (x, y, Y) presenta lo svantaggio di non essere euclideo;
ciò non permette di esprimere le differenze di colore tra due punti in termini semplici, in
altre parole le distanze geometriche esistente tra due punti (due colori) posti all’interno
dello spazio non sono proporzionali alle differenze di colore osservate.
Le disomogeneità esistono sia nella scale delle Y sia nel piano x, y. Tale situazione è stata
studiata da Mac Adam che rappresentò la non uniformità ponendo i colori al centro, ed
individuando uno spazio attorno a quel punto (colore) dove i colori non risultano
visivamente distinguibili. Lo spazio di colore uniforme (non riconoscibile) è costituito in
ogni punto del triangolo dei colori CIE da un ellisse di dimensioni diverse a seconda del
colore posto al centro dell’ellisse stesso.
La disomogeneità è evidente, perché la soglia di percettibilità (bordo dell’ellisse) non è
per ogni punto cromatico (colore) un cerchio di uguale raggio, ma è costituita da un ellisse
i cui semiassi sono diversi a seconda della zona del triangolo colore dove è posizionato il
colore.
Le dimensioni dei suddetti ellissi sono maggiori nella zona dei verdi e minori in quelli dei
blu; ciò significa che la visione dei colori è maggiormente sensibile alle differenze dei colori
verdi rispetto ai blu ed ai rossi.
La necessità di definire dei limiti di tolleranza nella riproduzione dei colori ha perciò indotto
a ricercare, per triangolo dei colori x, y altre forme geometriche che meglio si prestassero
alla rappresentazione dei colori in uno spazio a cromaticità uniforme.
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5.3. Lo Spazio Colorimetrico CIELAB
Nel 1976 la CIE raccomandò l’utilizzazione di due nuovi sistemi (CIELUV) e (CIELab); per
distinguerli dagli altri sistemi a cromaticità costante (es. HUNTER), tutti i parametri
utilizzati sono contrassegnati da un asterisco (es. L*, a*, b*).
Il sistema CIELab è tutt’oggi il sistema a cromaticità costante più utilizzato nelle moderne
applicazioni della colorimetria.
Lo scopo dell’introduzione del sistema CIELab, oltre a quello utilizzare uno spazio a
uniformità costante nelle differenze dei colori è stato anche quello di introdurre un sistema
più semplice per la rappresentazione obiettiva della sensazione colore. Nel sistema
CIELab si ritrova inoltre il metodo di individuazione dei colori che riprende la teoria delle
tre coppie antagoniste: bianco/nero; rosso/verde; giallo/blu.
Esistono delle formule di trasformazione che permettono di calcolare lo spazio CIE 1976
(CIELab) partendo dai Valori Tristimolo X,Y,Z (CIE 1931).
Il sistema CIELab possiede anche le proprietà di uno spazio euclideo, ed in esso ognuno
dei sui punti può essere individuato da:
Coordinate cartesiane: L*, a*,b*:
• L* = indica la luminosità
• a* = indica la componente cromatica rosso-verde
• b* = indica la componente cromatica giallo-blu
Coordinate cilindriche: L*, C*,h*:
• L* = indica la luminosità
• C* = rappresenta la saturazione (chroma)
• h* = rappresenta l’angolo del colore, inteso come tono di colore (hue).
Spiegazione fig. 19:
• gli assi a* e b* descrivono il punto colore e si incrociano nel punto incolore “U” (nero,
grigio o bianco a seconda della luminosità);
• l’asse L* descrive la luminosità, interseca a* e b* nel punto “U”, e assume valori da 0
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Capitolo 8
•
•
•
- Nozioni di colorimetria e di controllo strumentale del colore -
(nero) a 100 (bianco);
i colori dello stesso tono si trovano allineati nel piano a*, b* su una retta passante
dall’origine “U”;
l’angolo di rotazione h (in gradi) (crescente dal rosso al giallo) è una misura del tono
del colore (h = 0 gradi → rosso; h = 90 gradi → giallo; h = 180 gradi → verde; h = 270
gradi → blu;
la distanza del punto colore rispetto al punto incolore “U” definisce la saturazione (C*=
chroma). Il valore di C* varia da 0 a 80 (80 per colori molto brillanti o puri).
6. DIFFERENZE DI COLORE
Il rispetto del colore del campione in un processo industriale di riproduzione di un
manufatto colorato rappresenta una dei momenti più importanti per il controllo qualità dei
prodotti tessili.
La colorimetria, oltre ad essere utilizzata dai chimici tintori per la formulazione della ricetta
tintoriali più adatta per la riproduzione di un colore campione, rappresenta un mezzo ormai
indispensabile per la valutazione del controllo qualità dei prodotti tessili, sia in relazione
alla rispondenza colorimetrica della produzione al campione, sia per valutare l’omogeneità
del colore all’interno di uno stesso manufatto (centro/cimosa; testa-coda).
La ricerca di uno spazio colore uniforme, ha fra gli altri lo scopo di consentire la
valutazione delle differenze di colore mediante la misura delle distanze geometriche che
sparano i diversi punti colore situati in quello spazio. Così la distanza tra due punti colore
verrà calcolata con una relazione matematica che terrà conto delle proiezioni spaziali dei
punti su ciascuna delle tre variabili utilizzate per individuare lo spazio colore a cromaticità
costante.
Nel sistema CIELab la differenza totale di colore è data dal grandezza ∆E* che integra le
differenze delle tre variabili indipendenti, cioè:
∆E =
(∆a *)2 + (∆b *)2 + (∆L *)2
per le coordinate cartesiane: L*, a*,b*:
•
•
•
∆L* = indica la differenza di luminosità sull’asse L*
∆a* = indica la differenza cromatica sull’asse rosso-verde
∆b* = indica la differenza cromatica sull’asse giallo-blu
per le coordinate cilindriche: L*, C*,h*:
•
•
•
∆L* = indica la differenza di luminosità sull’asse L*
∆C* = rappresenta la differenza di saturazione sul raggio C*
∆h* = rappresenta la differenza sull’angolo del colore h*; la differenza ∆h* espressa in
gradi viene trasformata in unità di lunghezza. Tale differenza di tinta sarà quindi
rappresentata da ∆H*, per associazione al raggio del cerchio cromatico C*, che
rappresenta la saturazione. La differenza totale di tinta ∆H* può quindi essere integrata
nella differenza totale di colore ∆E*:
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Capitolo 8
- Nozioni di colorimetria e di controllo strumentale del colore -
∆H =
(∆E *)2 − (∆L *)2 (∆C *)2
La suddetta scomposizione dello scarto totale di colore ∆E* in ∆L*, ∆C*, ∆H*, avvicina
l’espressione delle differenze di colore alla valutazione visiva della classificazione naturale
dei colori. Questa trattazione delle differenze di colore è, per la semplicità e la praticità,
uno dei metodi a tutt’oggi frequentemente utilizzato.
6.1. Tolleranze di colore con le formule CIEL*a*b* e CIEL*C*h*
L’introduzione di fattori di tolleranza negli spazi colori citati, utilizzati con le formule di
calcolo delle differenze di colore (es. CIEL*a*b* e CIEL*C*h*), si prefigge lo scopo di
individuare una porzione di spazio del solido colore, al centro del quale viene posto il
colore del campione da riprodurre, ed al cui interno risiedono tutti i colori delle riproduzioni
che vengono considerate in tolleranza con il colore campione. Tutti i colori delle
riproduzioni che risiederanno al di fuori di questo volume saranno ovviamente da scartare
(sistema pass/fail).
È ovvio che l’individuazione ed il dimensionamento dei valori di tolleranza ha un peso
fondamentale nella procedura di controllo qualità colorimetrico delle tinte.
Sistema a coordinate cartesiane: CIE L*, a*,b*
Lo spazio colorimetrico in oggetto è quasi uniforme per quanto riguarda la percezione di
piccoli scarti di colore; cioè per i campioni paragonati a uno standard, le differenze di
colore (distanze) in qualsiasi direzione vengano valutate hanno la stessa importanza (peso
o ponderazione), cosi possiamo considerare la differenza di colore ∆E* come una
combinazione pesata degli scarti tra il campione e la riproduzione delle tre coordinate L*,
a*,b*.
La valutazione industriale del controllo qualità dei colori, comunque molto spesso, non si
basa soltanto sulla valutazione della differenza di colore globale ∆E*, ma introduce delle
tolleranze differenziate sui parametri ∆L* ,∆a* ,∆b* a seconda dei diversi colori esaminati.
Questa complicazione (introduzione di valori diversi di tolleranza a seconda dei colori
analizzati) viene introdotta per avvicinare il più possibile la soglia di accettabilità
strumentale a quella della percezione visiva.
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Capitolo 8
- Nozioni di colorimetria e di controllo strumentale del colore -
Nella fig. 21 la zona dei colori accettabili viene delimitata dalle tolleranze ± ∆a*, ± ∆b*; se
vengono considerate anche le tolleranze relative alla luminosità ± ∆L* in direzione
perpendicolare al piano a*,b*, la zona di accettabilità si estende in tre dimensioni fino ad
assumere la forma di un ellissoide.
L’utilizzazione dei sistemi di tolleranza basati sull’uso della CIE L*,a*,b* presenta
inconvenienti basati sul fatto che i volumi di accettabilità cartesiana di questo metodo,
spesso non coincidono esattamente con quelli della percezione visiva.
Il volume di tolleranza individuato con la percezione visiva assume anch’esso la forma di
un ellissoide i cui assi minori si allineano in direzione del cambio della tinta (maggiore
sensibilità dell’occhio a variazioni di tono).
È inoltre importante considerare che, poiché sia la forma che l’allineamento del volume
circoscritto dalle tolleranze L*,a*,b*, non collima esattamente con il volume circoscritto
dalla percezione visiva, i colori (riproduzioni) vicini al margine del volume possono risultare
accettabili per il calcolo strumentale, mentre risultano non accettabili da un punto di vista
visivo.
Sistema a coordinate cilindriche: L*, C*,h*
In questo sistema l’individuazione del volume che racchiude i colori di riproduzione in
tolleranza con il colore campione, prevede la sostituzione rispetto al sistema CIE L*,a*,b*
di a*,b*, con C* e h*.
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Capitolo 8
- Nozioni di colorimetria e di controllo strumentale del colore -
Nella fig. 22 la zona dei colori accettabili viene delimitata dalle tolleranze ± ∆C*, ± ∆h*; se
vengono considerate anche le tolleranze relative alla luminosità ± ∆L* in direzione
perpendicolare al piano a*,b*, la zona di accettabilità, anche in questo caso, si estende in
tre dimensioni fino ad assumere la forma di un ellissoide.
Dobbiamo inoltre precisare che le tolleranze possono essere di diversa entità per le
diverse direzioni degli assi (+ -), con la conseguente formazione di volumi di tolleranza
diversi a seconda del colore esaminato.
Rispetto al sistema CIE L*,a*,b*, il volume di accettabilità CIE L*,C*,h* si adatta meglio al
volume di tolleranza della valutazione visiva; l’allineamento dei volumi di accettabilità
visiva è analogo a quello del sistema L*,C*,h* , anche se la forma è considerevolmente
diversa.
Anche in questo , come nel precedente sistema i colori di riproduzione posti in prossimità
dei margini del solido di tolleranza L*,C*,h*, vengono spesso accettabili secondo i calcoli,
anche se la percezione visiva le percepisce come non accettabili.
Differenze e tolleranze di colore con sistemi di accettabilità CMC
Un uso molto frequente delle formule relative alla differenze nel sistema CIELab, ha
evidenziato, come già descritto, che in alcuni casi detti algoritmi portano a commettere
errori.
Per questo motivo il problema è stato nuovamente affrontato verificando con decine di
migliaia di giudizi visivi la formula CIELab, ed arrivando a definire delle modifiche che
rendono la formula più sicura e di più semplice applicazione.
Molti studi statistici, basati sulle valutazioni visive di un nutrito gruppo di osservatori, hanno
permesso di valutare e di capire la sensibilità dei criteri psicosensoriali della visione.
Questi lavori hanno portato alla definizione di fattori psicometrici (coefficienti ponderali)
per ciascuno dei criteri di classificazione che saranno integrati nel calcolo dello scarto
totale (DE).
Questo metodo, inizialmente noto come JPC79 è stato in questi ultimi tempi collocato
come CMC (Color Measurement Committee of the Society of Dyers and Colourists).
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- Nozioni di colorimetria e di controllo strumentale del colore -
In pratica si applicano i coefficienti ponderali (termini correttivi) alle differenze totali di
colore (DE*) espresso in L*,C*,H*.
2
∆E CMC
2
 ∆L *   ∆C *   ∆H * 
 + 
 + 

= 
IS
cS
S
 L  C   H 
2
I termini correttivi (S L, SC, SH) sono stati valutati in maniera empirica e sperimentale e
provengono da formule che ne permettono un calcolo preliminare.
Inoltre due parametri supplementari (I,c), in base alla natura del sistema, possono
modulare i risultati in base alla particolare natura del problema; in altre parole possono
modificare la grandezza dei volumi di tolleranza, modificando così l’accettabilità di
una riproduzione rispetto al colore base.
I parametri I e c, sono regolabili dall’utilizzatore, e possono essere posti uguali ad
uno CMC(1:1), come possono essere modificati a valori di I=2 e c=1 [CMC(2:1)].
Nella consuetudine industriale il parametro ( c ) è generalmente posto = 1 per tutte le
applicazioni, ed il parametro ( l ) = 2 per i prodotti tessili e =1,4 per l’industria delle
vernici e delle materie plastiche.
Nella fig. 23 l’ellissoide di tolleranza del colore pone sempre al centro il colore campione, e
la forma e la dimensione è determinata dalla posizione del colore campione nello spazio
colorimetrico e dalla formula CMC utilizzata.
Le dimensioni dell’ellissoide di tolleranza possono essere aumentate o diminuite,
rendendo così più o meno severo il controllo qualità, introducendo un fattore
moltiplicativo di tipo commerciale.
Differenze e tolleranze di colore CIE94
Con lo scopo di procedere al miglioramento delle formule di accettabilità delle differenze di
colore la CIE ha raccomandato nel 1994 un’estensione del spazio CIE76 (CIELAB) e delle
formule per il calcolo delle differenza di colore, introducendo dei fattori correttivi rispetto al
contributo dato dalle differenze ∆L*, ∆C*, ∆H*, al valore globale ∆E*.
Oltre a ciò la formula modificata per il calcolo delle differenze di colore è stata completata
con le condizioni di osservazione che costituiscono la base per la lettura strumentale del
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colore del campione.
La formula CIE94 è simile alla formula CMC, e si basa sulle differenze CIE relative alla
luminosità ∆L*, saturazione ∆H* e tinta ∆H*, corrette con l’introduzione di fattori di
correzione ponderale (S L,SC,SH) che compensano le differenze CIE (∆L*, ∆C*, ∆H*) che
sono funzione della posizione del colore di riferimento nello spazio colorimetrico CIELAB.
 ∆L *
∆E = 
 k LSL
*
94
SL= 1
SC = 1 + 0.045 C*
2
2
  ∆C *   ∆H *
 + 
 + 
k
S
  C C   kH SH



2
SH = 1 + 0.015 C*
I termini kL, kC, kH rappresentano dei valori numerici che sono utilizzati per pesare
separatamente le differenze di luminosità, saturazione e tinta.
Questi termini sono rappresentati nella sigla della formula con la dizione: CIE94 (kL:kC:kH).
I suddetti termini inizialmente sono stati posti = 1 per le condizioni di riferimento stabilite;
per le procedure di accettabilità nell’industria tessile, kL posta = 2 e gli altri (kC, kH) =
1, conseguentemente la formula è designata come: CIE94 (2:1:1).
Nella successiva fig. 24 si riporta l’ellissoide di tolleranza individuato con la formula CIE94;
anche in questo caso la dimensione dell’ellissoide può essere modificata moltiplicando gli
assi per un fattore numerico commerciale, generalmente determinato da un accordo tra
fornitore e cliente in base al livello di accettabilità commerciale richiesto.
7. LA MISURAZIONE STRUMENTALE DEL COLORE: LO SPETTROFOTOMETRO
L’elemento strumentale che, in sistema colorimetrico sostituisce l’occhio umano, è
costituito dallo spettrofotometro.
Lo spettrofotometro è uno strumento in grado di misurare la quantità di radiazione che
viene riflessa a trasmessa da un campione illuminato con una sorgente di luce; la
valutazione viene eseguita per tutte le lunghezze d’onda caratteristiche dello spettro
visibile.
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- Nozioni di colorimetria e di controllo strumentale del colore -
Il sistema è costituito dai seguenti elementi (la disposizione degli elementi descritti segue
la cronologia sotto indicata):
1. sorgente: ha la funzione di emettere le radiazioni che incideranno sul campione;
generalmente costituita da lampade alogene che emettono spettri continui nel visibile
con energie assimilabili ai diversi illuminanti;
2. zona portacampione: parte dello spettrofotometro dove viene alloggiato il campione
che deve essere sottoposto ad analisi;
3. monocromatore: sistema che riesce a scindere la luce bianca che ha investito il
campione e che dallo stesso è stata riflessa o trasmessa, nelle singole lunghezze
d’onda che costituiscono lo spettro visibile della luce bianca. Il monocromatore è
costituito da un sistema a reticolo.
4. rivelatore: è un sistema che rileva la quantità di radiazione che arriva dal campione.
Le radiazioni arrivano al rivelatore suddivise per singole lunghezze d’onda dal
monocromatore.
La combinazione di tutti questi elementi permette di registrare, per campioni colorati,
illuminati da una sorgente il proprio spettro di riflessione o di assorbimento.
7.1. Geometria ottica per le misure in riflessione
Nel settore tessile rivestono una rilevante importanza le misure in riflessione su manufatti
tessili colorati. Per la misurazione del colore in queste condizioni, ha grande importanza la
scelta della disposizione della sorgente (lampada) e dell’osservatore (rivelatore) rispetto
alla posizione del campione.
Le principali geometrie di misurazione utilizzate nella costruzione degli spettrofotometri
sono:
•
illuminazione orientata (geometria 45°): il campione viene illuminato con la sorgente
posta a un angolo di 45°, mentre l’osservatore è posto a 0° rispetto alla perpendicolare
al campione (geometria 45°/0). Esiste anche la geometria inversa (0/45°), dove le
posizioni tra osservatore e sorgente sono invertite.
•
illuminazione diffusa (geometrie 0°/d e d/0°): esistono due varianti del sistema:
a. geometria (0°/d): l’illuminazione del campione avviene a 0° gradi e la rilevazione
della luce globale riflessa dal campione avviene tramite una sfera integratrice
verniciata di bianco;
b. geometria (d/0°): l’illuminazione del campione avviene con la luce diffusa dalla
sfera integratrice, mentre la rilevazione avviene con osservatore a 0° rispetto alla
perpendicolare alla superficie del campione.
Nella pratica il fascio di radiazioni incidente sul campione o che raggiunge l’osservatore ha
un angolo, rispetto alla perpendicolare al campione, che può variare tra 2° e 8° gradi.
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Capitolo 8
- Nozioni di colorimetria e di controllo strumentale del colore -
I campioni con superficie liscia e riflettente vengono generalmente trattati con la geometria
a 45° perché questa tecnica permette di eliminare l’influenza della lucentezza.
I campioni irregolari, come i materiali tessili, vengono in pratica misurati esclusivamente
con la sfera integratrice, questo perché la misura così effettuata non risulta dipendente
dalla struttura superficiale del campione. Questi strumenti, infatti, illuminano i campioni in
modo diffuso e li osservano con un angolo generalmente di 8° (geometria d/0°).
La componente di energia speculare (luminosità), è in questo caso compresa nella misura:
questa infatti comprenderà sia il colore legato alla presenza del colorante che la luminosità
del campione legata alle sue caratteristiche strutturali.
La geometria (d/0°) permette di eliminare o integrare la componente di energia speculare
con un adatto dispositivo. L’eliminazione della specularità viene generalmente utilizzata
nella misura di campioni tessili.
8. CONSIDERAZIONI FINALI SULLA OTTIMIZZAZIONE DI UN SISTEMA DI
CONTROLLO STRUMENTALE DEL COLORE
La riproduzione dei colori commissionati e la valutazione della costanza del colore in una
fornitura (continuità del colore) rappresentano uno dei fattori determinanti nella pratica
industriale della filiera tessile.
Considerato che i processi tintoriali e di finissaggio, assieme alla variabilità delle
caratteristiche delle materie prime possono portare ad oscillazioni nella riproduzione del
colore, occorre ovviamente standardizzare i modi di lettura del colore e fissare adeguati
margini di tolleranza.
La definizione dei margini di tolleranza dipende spesso da una serie di fattori, come ad
esempio:
• i processi di produzione utilizzati;
• i costi ed i prezzi concordati;
• la qualità del prodotto.
In genere il cliente esige margini di oscillazione molto stretti, mentre il fornitore auspica
una maggiore flessibilità.
La valutazione dei sistemi di lettura del colore e la definizione dei margini di tolleranza
riveste una notevole importanza nella procedura di controllo qualità del colore;
ripercorriamo i principali fattori da tenere sotto controllo:
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Capitolo 8
- Nozioni di colorimetria e di controllo strumentale del colore -
a. I diversi sistemi di tolleranza del colore possono spesso portare a diversi risultati con la
tecnica del tipo “accetta/rifiuta” (pass/fail). È perciò fondamentale definire tra cliente e
fornitore il sistema colorimetrico da utilizzare (CIE, CMC,CIE94).
b. Nel caso di utilizzazione del sistema CIELAB, sono da considerare i vantaggi legati alla
possibilità di applicare coordinate positive o negative per ogni singolo settore delle
tolleranze. Lo svantaggio più rilevante di questo sistema si concretizza nella non
uniformità delle valutazioni rispetto alle percezioni di colore effettuate visivamente;
questo provoca l’impossibilità di applicare lo stesso ∆E per colori diversi.
c. L’utilizzazione dei sistemi CMC e CIE94 offre vantaggi nei confronti del precedente
sistema, sia in termini di semplicità di applicazione che per l’uniformità delle differenze
tra i colori in tutto lo spazio cromatico. Il sistema CMC rappresenta attualmente lo
standard colorimetrico più impiegato a livello industriale. Il sistema CIE94 possiede una
struttura simile al CMC, presenta dei vantaggi rispetto allo stesso CMC, ma allo stato
attuale, anche a causa della sua recente formulazione, non è ancora utilizzato in modo
significativo nell’ambito industriale.
d. Relativamente alla definizione di margini di tolleranza, l’introduzione di margini credibili
ed obiettivi, rappresenta uno degli sforzi più importanti che la filiera tessile deve
effettuare per rendere il più possibile fluide e corrette le transazioni commerciali che
hanno per oggetto materiali tessili colorati. Gli studi di accettabilità dei colori devono
utilizzare punti di vista diversi, a seconda che si tratti del fornitore o del cliente di
materiali tessili. Il tintore (fornitore) può definire le proprie tolleranze sfruttando le
proprie conoscenze a livello della variabilità del ciclo produttivo, e ciò si può
concretizzare cercando di determinare i valori medi di scostamento dei campioni
prodotti. Il cliente invece deve verificare i prodotti accettati e quelli rifiutati, e costruire,
mediante la verifica dei valori medi di scostamento, i propri margini di scostamento. I
sistemi CMC e CIE94 permettono un’analisi della situazione sicuramente più semplice
rispetto a quanto sarebbe possibile utilizzando il sistema CIELAB.
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