Titolo: Spettrometria laser per il controllo dello stato di

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Titolo: Spettrometria laser per il controllo dello stato di
Università degli Studi di Firenze
Dipartimento di Ingegneria Elettronica e Telecomunicazioni
CORSO DI DOTTORATO IN
“CONTROLLI NON DISTRUTTIVI”
XV CICLO
IL CONTROLLO DELLO STATO
DI CONSERVAZIONE E
LA CARATTERIZZAZIONE
DEI MATERIALI LAPIDEI
NELLE OPERE D’ARTE
CON LIDAR A FLUORESCENZA
Candidato:
Dr.
David Lognoli
Coordinatore:
Prof. Ing. Leonardo Masotti
Tutori:
Dr.
Giovanna Cecchi
Prof. Ing. Elena Biagi
IN MEMORIA
L’applicazione del telerilevamento lidar per la tutela
dei beni culturali è stata una delle ultime intuizioni scientifiche
di Luca Pantani. Come molte delle idee che Luca ha avuto nella
ricerca questa applicazione coinvolge diverse discipline della
scienza, ha una concreta applicazione ed al contempo offre
molti spunti per la scoperta di “cose” nuove.
Ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere Luca
nella vita e nel lavoro e di apprezzarne le grandi capacità
umane e scientifiche, la gioia per la scoperta, la passione per la
ricerca. Ho avuto il piacere di apprezzarne la franchezza e la
forza che deriva dalla consapevolezza del proprio lavoro, di
come questo possa comunque risultare utile anche quando il
risultato si fa attendere. Ho avuto la fortuna di apprezzarne le
grandi capacità di sintesi e di giudizio e la dote di saper trarre
da ogni persona che lavorava con lui quanto di meglio potesse
offrire.
Dedicare a lui questa tesi è un semplice modo per
dirgli “Grazie”.
Firenze, li 31 marzo 2003.
2
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio l’Istituto di Fisica Applicata “Nello Carrara” del Consiglio Nazionale
delle Ricerche (IFAC-CNR) presso cui ho svolto il lavoro presentato. In particolare
ringrazio i collaboratori del Gruppo di Ricerca “Telerilevamento Lidar del Mare e del
Territorio” e specificamente il Dr. Iacopo Mochi e la Dr. Valentina Raimondi per i
proficui scambi di idee, il Sig. Daniele Tirelli e il Sig. Massimo Trambusti per la
preziosa collaborazione negli esperimenti in laboratorio e in campo.
Ringrazio il Dipartimento di Fisica Atomica del Lund Insititute of Technology
(LTH) ed in particolare il suo direttore, Prof. Sune Svanberg, ed i suoi collaboratori
Dr. Hans Edner, Dr. Thomas Johansson e Dr. Petter Weibring per la proficua
collaborazione nella realizzazione degli esperimenti comuni e gli utili confronti
sull’analisi dei dati.
Ringrazio il Dr. Roberto Chiari del Dipartimento di Petrografia dell’Università
degli Studi di Parma per le pietre utilizzate nell’esperimento di laboratorio di Lund e per
la preziosa collaborazione nell’identificazione dei litotipi del Duomo e del Battistero di
Parma e per la realizzazione del relativo esperimento.
Ringrazio il Dr. Michele Macchiarola dell’Istituto di Scienza e Tecnologia dei
Materiali Ceramici del CNR per la proficua collaborazione relativa alle malte e per il
supporto, anche organizzativo e logistico, per la realizzazione dell’esperimento presso la
Piazzetta del Battistero degli Ariani di Ravenna.
Per la campagna di misura presso il Duomo di Pisa un ringraziamento
particolare va al Dr. Francesco Gravina della Regione Toscana ed alla Dr. Clara
Baracchini Vice Sovrintendente per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici
di Pisa per la disponibilità offerta per la realizzazione delle misure.
3
Per la campagna di misura presso Piazzetta degli Ariani in Ravenna un
particolare ringraziamento va alla Dr. Luisa Tomaselli ed al Dr. Stefano Ventura del
Centro di Studio dei Microrganismi Autotrofi del CNR ed alla Sovrintendenza per i
Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Ravenna per la disponibilità
offerta per la realizzazione delle misure.
Per la campagna di misura sul Duomo e sul Battistero di Parma un
ringraziamento particolare va alla Fabbriceria del Duomo di Parma che ha reso possibile
le misure.
I costi del lavoro svolto sono stati in parte coperti dai contributi della Comunità Europea
con l’Access to Large Scale Infrastructure Programme (contratto HPRI-CT-199900041) e dal Progetto Finalizzato per i Beni Culturali del CNR.
4
INDICE
1
2
3
4
Introduzione ..............................................................................................................9
1.1
Interazione radiazione materia ..........................................................................9
1.2
Fluorescenza indotta da laser ..........................................................................11
1.3
Litotipi.............................................................................................................12
1.4
Biodeteriogeni .................................................................................................15
1.5
Trattamenti conservativi..................................................................................20
1.6
Croste nere ......................................................................................................22
1.7
Malte ...............................................................................................................23
Telerilevamento LIDAR .........................................................................................26
2.1
Telerilevamento ottico ....................................................................................26
2.2
LIDAR ............................................................................................................26
2.3
Il LIDAR per il controllo dei monumenti lapidei ...........................................28
Strumenti e misure ..................................................................................................30
3.1
FLIDAR3® ......................................................................................................30
3.2
Sensore LIDAR a scansione............................................................................33
3.3
Acquisizione degli spettri................................................................................36
3.4
Acquisizione delle immagini iperspettrali ......................................................37
Analisi dei Dati .......................................................................................................39
4.1
Rapporto tra aree .............................................................................................40
4.2
Analisi delle componenti principali ................................................................41
4.2.1
Procedura ................................................................................................41
4.2.2
Rappresentazione geometrica..................................................................43
4.2.3
Interpretazione delle componenti principali............................................45
4.2.4
Propagazione dell’errore nella PCA .......................................................46
4.3
Mappe tematiche .............................................................................................49
4.4
Software per l’analisi dei dati .........................................................................50
5
5
Errore sperimentale .................................................................................................59
Sorgenti di errore ............................................................................................59
5.2
Errore su ciascun spettro acquisito..................................................................59
6
5.1
Esperimento LIDAR per il riconoscimento dei litotipi...........................................64
Caratterizzazione dei litotipi e delle malte......................................................66
6.2
Mappe tematiche .............................................................................................72
7
6.1
Telerilevamento LIDAR del Duomo di Pisa...........................................................81
7.1
8
Caratterizzazione dei litotipi e del degrado.....................................................82
Telerilevamento LIDAR del muro In Piazzetta degli Ariani presso Ravenna........88
Caratterizzazione del substrato .......................................................................89
8.2
Presenza di biodeteriogeni ..............................................................................93
9
8.1
Telerilevamento LIDAR del Duomo e del Battistero di Parma..............................95
9.1
Controllo puntuale con il FLIDAR .................................................................99
9.2
Controllo puntuale con il sensore LIDAR a scansione .................................106
9.3
Mappe tematiche ...........................................................................................112
10
Conclusioni .......................................................................................................137
11
Bibliografia .......................................................................................................141
6
PREMESSA
Il patrimonio artistico permette ad ogni società di tramandare la propria civiltà e
rappresenta un concreto strumento per ogni ulteriore progresso. Molte società evolute
hanno tra i propri obiettivi la conservazione e la perpetuazione del proprio patrimonio
artistico da cui ricavano sia una fonte diretta di reddito sia un retroterra culturale alla
base della loro crescita.
Nell’ambito della conservazione del patrimonio culturale vi è quello della
conservazione dei monumenti lapidei e degli edifici storici. La loro è volta
principalmente alla salvaguardia degli aspetti strutturali e dei rivestimenti che
rappresentano spesso la gran parte di quanto è direttamente visibile e fruibile. Lo studio
scientifico offre un valido ausilio alla conservazione, alla ricostruzione della storia
stessa dei monumenti ed alla ricerca delle tecniche artistiche del passato.
La soluzione dei molteplici problemi della conservazione e caratterizzazione dei
monumenti lapidei e degli edifici storici coinvolge discipline scientifiche differenti e
richiede lo sviluppo di tecniche e metodologie sempre più avanzate. Per le opera d’arte
le tecniche di indagine devono essere non distruttive. Un controllo non distruttivo
permette di preservare l’integrità del monumento ed è ben accolto dai soggetti che
devono decidere le modalità e gli interventi di conservazione e restauro.
I controlli per i monumenti lapidei e gli edifici storici devono poter essere eseguiti
frequentemente per individuare il degrado al suo inizio, interessare ampie superfici del
monumento, fornire risultati chiaramente leggibili da una comunità allargata, avere costi
contenuti e non richiedere l’impiego di personale scientifico per la loro attuazione.
Sarebbe inoltre vantaggiosa la possibilità di realizzare i controlli senza ostacolare
l’accesso e la fruizione del monumento.
La spettroscopia di fluorescenza indotta da laser permette di acquisire in modo non
distruttivo informazioni sulle proprietà chimiche e fisiche del bersaglio e, quindi, di
caratterizzarlo. Il telerilevamento permette l’impiego a distanza di questa tecnica non
distruttiva su bersagli anche quando non siano direttamente accessibili. Il
telerilevamento della fluorescenza indotta da laser può soddisfare le esigenze associate
al controllo dello stato di conservazione ed alla caratterizzazione dei materiali lapidei
delle opere d’arte.
7
L’applicazione del telerilevamento della fluorescenza indotta da laser ai beni culturali è
iniziata alla metà degli anni ’90 presso il gruppo di ricerca “Telerilevamento lidar del
mare e del territorio” dell’IROE-CNR “Nello Carrara” (ora IFAC – CNR) e si è
sviluppata attraverso collaborazioni nazionali ed internazionali. In particolare sono stati
conseguiti risultati per la caratterizzazione dei materiali lapidei, lo studio del degrado
dovuto ai biodeterigoeni e l’individuazione di trattamenti conservativi e protettivi. I
risultati ottenuti hanno confermato che questo è un nuovo e promettente campo di
applicazione del telerilevamento lidar.
Il lavoro presentato in questa tesi si inserisce nell’ambito di tale attività dell’IFAC –
CNR e ne rappresenta un progresso per rendere la tecnica impiegabile in campo al fine
del controllo di monumenti lapidei e di edifici storici. Gli obiettivi proposti sono:
•
l’acquisizione in condizioni operative e l’analisi di spettri di diversi litotipi, di
malte, di pietre con trattamenti superficiali e di pietre con diverse tipologie di
degrado (attacco da biodeteriogeni, croste nere);
•
l’acquisizione di immagini iperspettrali sui monumenti e la loro elaborazione per
la produzione di mappe tematiche specifiche;
•
lo sviluppo di una tecnica operativa per il controllo non distruttivo dei
monumenti lapidei e degli edifici storici.
Questa tesi è articolata in tre parti principali. La prima parte introduce il problema, con
la descrizione dei fenomeni fisici che sono alla base della tecnica utilizzata (Capitolo 1)
e con la presentazione dei sensori lidar per il telerilevamento (Capitolo 2). La seconda
parte descrive la tecnica di misura e l’analisi dei dati: il Capitolo 3 presenta i sensori
impiegati per le misure e la modalità con cui sono condotte le misure; il Capitolo 4
presenta i metodi e gli algoritmi impiegati per l’analisi dei dati; il Capitolo 5 tratta
dell’errore associato alle misure. Nella terza ed ultima parte sono presentati e discussi i
risultati dei quattro esperimenti realizzati (Capitoli 6, 7, 8 e 9). Nel Capitolo 10 sono,
infine, tratte le conclusioni del lavoro svolto e proposti gli sviluppi futuri di questa
ricerca.
8
1
1.1
INTRODUZIONE
INTERAZIONE RADIAZIONE MATERIA
I fenomeni fisici di interazione tra radiazione e materia che causano la retrodiffusione
della radiazione che colpisce il bersaglio sono di tipo risonante, elastico e anelastico. Il
fenomeno risonante è la diffusione Raman di risonanza, i fenomeni elastici sono lo
diffusione di Mie e lo diffusione di Rayleigh, i fenomeni anelastici sono l’effetto Raman
e la fluorescenza[1].
La Figura 1-1 riporta schematicamente i processi di interazione radiazione – materia
mettendo in rilievo le loro caratteristiche fondamentali. Essi sono riferiti ad una
radiazione incidente monocromatica e ad un sistema fisico di cui sono rappresentati, in
maniera semplificata, i soli livelli energetici necessari alla descrizione del fenomeno.
La diffusione Raman risonante (Figura 1-1 (c)) corrisponde ad una emissione stimolata
alla stessa frequenza della radiazione incidente. Esso è un processo a due fotoni in cui
l’assorbimento del fotone incidente e l’emissione del fotone sono contemporanee,
l’eccitazione e l’emissione sono quindi in fase. Affinché il fenomeno sia possibile è
necessario che la radiazione incidente corrisponda ad una transizione ammessa dal
sistema perturbato.
Nella diffusione elastica di Rayleigh (Figura 1-1 (a)) il livello eccitato è virtuale ed ha,
quindi, vita media nulla. La diffusione avviene sempre con un decadimento allo stato
fondamentale e diffusione ed emissione sono in fase. La diffusione di Mie, ti tipo
elastico, si ha quando la lunghezza d’onda della radiazione incidente è più corta delle
dimensioni fisiche del sistema fisico perturbato.
L’effetto Raman (Figura 1-1 (b)) è associato ad una transizione da un livello virtuale ad
un livello vibrazionale intermedio. L’energia residua è dissipata del sistema fisico per
via non radiativa ed il fenomeno è anelastico. La lunghezza d’onda della radiazione
diffusa è associata sia alle caratteristiche del sistema fisico sia alla lunghezza d’onda
della radiazione incidente, in particolare per lunghezze d’onda minori si ha un effetto
Raman più intenso ed una minor distanza tra la lunghezza d’onda di eccitazione e quella
di emissione. Al limite la condizione raggiunta è quella della diffusione Raman
risonante in cui il livello virtuale coincide con un livello reale del sistema verso il quale
si ha una transizione ammessa.
9
a)
Livello virtuale
Fotone incidente
Livello fondamentale
b)
Fotone
diffuso
Livello virtuale
Fotone incidente
Livello vibrazionale
Livello fondamentale
c)
Fotone
diffuso
Livello eccitato
Fotone incidente
Livello fondamentale
d)
Fotone
diffuso
Livelli
vibrazionali
Fotone incidente
Livello fondamentale
Fotone
diffuso
Figura 1-1: Schema dei processi di interazione radiazione – materia. (a) Diffusione di
Rayleigh, (b) effetto Raman, (c) diffusione Raman risonante, (d) fluorescenza.
La fluorescenza (Figura 1-1 (d)) è un fenomeno anelastico associato alla presenza di un
decadimento non radiativo prima dell’emissione del fotone e conseguentemente
10
assorbimento ed emissione non sono contemporanei. Quale fenomeno anelastico rende
quindi possibile l’indagine delle proprietà fisiche associate alla distribuzione dei livelli
energetici del sistema.
La Tabella 1-I riporta un confronto tra le diverse sezioni d’urto dei processi di
interazione radiazione-materia[2]. L’effetto Raman risonante e la fluorescenza sono i
fenomeni che presentano una maggior sezione d’urto.
Tabella 1-I: Ordine di grandezza delle sezioni d’urto per i principali processi di
interazione radiazione materia per la molecola di SO2. Per lo scattering di Mie i valori
sono relativi a lunghezze d’onda nel visibili e particelle di diametro compreso tra 0.1 e
1 µm.
PROCESSO
Effetto Raman risonante
Fluorescenza
Scattering di Rayleigh
Effetto Raman
Scattering di Mie
1.2
SEZIONE D’URTO σ (cm2)
10-16
10-16
10-26
10-29
10-26-10-8
FLUORESCENZA INDOTTA DA LASER
La fluorescenza è l’emissione di radiazione elettromagnetica associata alla transizione
di dipolo elettrico tra livelli di energia secondo regole di selezione che esprimono la
conservazione del momento angolare. Nel caso di una molecola il processo di
fluorescenza avviene così come schematicamente rappresentato in Figura 1-2.
La molecola è inizialmente nel livello vibrazionale più basso dello stato fondamentale
elettronico (E0). L’assorbimento di un fotone porta la molecola in uno degli stati
rotovibrazionali (E3) del primo livello elettronico eccitato. All’interno di questo livello
elettronico la molecola decade, tramite processi non radiativi, nel livello
rotovibrazionale più basso la cui vita media (10-9 s) è maggiore di quella dei livelli
superiori (10-13 s). La successiva transizione dal livello E2 al livello E1 è associata
all’emissione di un fotone.
Nelle molecole complesse i livelli elettronici sono articolati in un una banda quasi
continua di sottolivelli a causa del gran numero di livelli vibrazionali e
dall’allargamento di quelli rotazionali procurato dagli urti con le molecole vicine.
La possibilità di disporre di una sorgente monocromatica coerente (come il laser) per
l’induzione della fluorescenza è assai utile per l’impiego della fluorescenza come
11
tecnica spettroscopica per l’indagine delle proprietà della materia. Diversamente il
segnale di fluorescenza indotto da una sorgente policromatica o a spettro continuo
produrrebbe il sovrapporsi della fluorescenza indotta alla riflessione che ha una sezione
d’urto più elevata.
E3
Live lli vibraziona li
E2
Live llo e ccitato
hν o u t
hν i
Live lli v ibrazio na li
E1
Liv e llo fo ndame ntale
E0
Figura 1-2: Descrizione schematica della fluorescenza. Le frecce tratteggiate indicano i
decadimenti non radiativi, quelle continue i decadimenti radiativi.
Molti sono i settori in cui trova applicazione la LIF (Laser Induced Fluorescence) sia
per la realizzazione di misure in situ, per esempio per l’individuazione di molecole nel
controllo dei processi di combustione, sia per lo studio delle molecole organiche in
laboratorio per impiego nei campi della biologia e della medicina, sia per misure in
campo in regime di telerilevamento applicato per esempio all’atmosfera, al mare, alla
vegetazione terreste e ai beni culturali.
1.3
LITOTIPI
Le pietre sono isolanti che, alla temperatura ambiente, hanno la banda elettronica di
valenza completamente occupata e quella di conduzione vuota. La distanza tra le due
12
bande energetiche è maggiore di 3 eV, a cui corrispondono le transizioni associate
all’emissione di fotoni nella parte visibile dello spettro elettromagnetico, ad essa
corrispondono transizioni a cui è associata l’emissione di fotoni nella regione
ultravioletta. La loro emissione in fluorescenza nella regione visibile dello spettro è
causata dalla presenza di impurezze ed anamorfismi del reticolo cristallino.
Nel reticolo cristallino impurezze o difetti geometrici svolgono il ruolo di centri di
attivazione (attivatori), di attenuazione (attenuatori) o di sensitizzazione (sensitizzatori)
della fluorescenza[3].
Gli attivatori sono sia impurezze sia difetti reticolari. Le impurezze corrispondono alla
sostituzione di un elemento della matrice cristallina con un elemento di transizione o
con una terra rara[4]. Le terre rare hanno gli orbitali più esterni (per esempio 6s)
completi mentre quelli interni (per esempio 4f) non sono totalmente occupati.
L’emissione di fluorescenza è associata proprio alle transizioni di questi ultimi elettroni
ed è quindi poco influenzata sia dalla simmetria di coordinazione della matrice
cristallina ospite che dalle reciproche posizioni. Gli ioni dei metalli di transizione hanno
gli orbitali esterni 3d parzialmente vuoti. Proprio le transizioni di questi elettroni
originano la fluorescenza che viene quindi a risentire della matrice cristallina ospitante.
Per i carbonati (CO32-) la coordinazione è generalmente ottaedrica e, nel caso dei metalli
di transizione, le posizioni dei livelli energetici delle impurezze coinvolte risente del
campo cristallino ospitante. I difetti reticolari corrispondono ad una diversa disposizione
geometrica degli ioni che originano il campo elettrico che modifica la disposizione dei
livelli. I difetti reticolari più diffusi sono le vacanze. Una vacanza causata dalla
mancanza di un anione prende il nome di centro F quando intrappola un elettrone e di
centro F1 allorché ne intrappola due. Una vacanza causata dalla mancanza di un catione
è invece un centro V. I difetti reticolari sono all’origine di una ampia banda di
fluorescenza nella regione blu dello spettro tuttora oggetto di indagine per una
interpretazione dettagliata. Nella Tabella 1-II è riportato uno schema delle posizioni
delle bande di fluorescenza prodotte dalla presenza degli attivatori più frequenti nei
reticoli cristallini. Le posizioni dipendono anche dalle lunghezze d’onda di eccitazione.
Alcune impurezze, specialmente quando la loro densità è elevata, possono svolgere il ruolo di
attenuatori. Lo ione che assorbe i fotoni che dovrebbero originare il fenomeno della
fluorescenza può, piuttosto che fluorescere, trasferire la propria eccitazione ad un altro ione
13
con caratteristiche simili e così via finché l’energia non viene dissipata per via non radiativa.
Altre impurezze sono invece causa di un processo opposto e prendono nome di sensitizzatori.
L’energia, per risonanza, può essere trasferita verso un attivatore che non assorbe fotoni alla
lunghezza d’onda di eccitazione dando luogo a fenomeni molto intensi di fluorescenza.
Le medesime impurezze possono svolgere il ruolo di attivatori, di attenuatori o di
sensitizzatori. Il complesso delle interazioni possibili è considerevole e proprio questa vastità
di combinazioni, che rende difficile l’interpretazione degli spettri di fluorescenza delle pietre,
origina per ogni pietra un suo specifico spettro e consente l’applicazione del telerilevamento
di fluorescenza per il riconoscimento dei materiali lapidei. Pur non essendo possibile alcuna
interpretazione specifica degli spettri ottenuti mediante la LIF sui litotipi è pero possibile
applicare questa tecnica per l’identificazione dei litotipi stessi. In particolare è possibile
definire una firma spettrale che identifica tra loro tutti i litotipi che hanno il medesimo
comportamento spettrale. Oltre che nell’identificazione dei litotipi la conoscenza dei loro
spettri trova applicazione anche nello studio delle diverse tipologie di degrado e della
presenza di trattamenti protettivi che possono essere indagate attraverso le modifiche agli
spettri di fluorescenza delle pietre stesse.
Tabella 1-II: Posizione delle bande di fluorescenza prodotte dalla presenza di attivatori.
ELEMENTI OTTICAMENTE ATTIVI
Mn2+ in calcite naturale
Mn2+ in dolomite artificiale
Mn2+ in dolomite artificiale
Pb2+ in calcite artificiale
Eu3+
Eu2+
Tb3+
Dy3+
Difetti reticolari in calcite artificiale
Difetti reticolari in dolomite artificiale
POSIZIONE DEI MASSIMI DI EMISSIONE BIBLIOGRAFIA
[5]
600-630 nm
[3]
590-620 nm al posto di Ca+
+
[3]
640-680 nm al posto di Mg
[6]
330 nm; 450 nm
[3]
590 nm; 610 nm; 660 nm
[3]
400-500 nm
[3]
550 nm
[3]
480 nm; 580 nm; 670 nm
[5]
420 nm
[7]
430 nm
Il riconoscimento dei liotipi per mezzo della firma spettrale può avvenire sia attraverso il
confronto con un archivio di spettri in cui i medesimi spettri sono già stati identificati sia per
mezzo di una identificazione diretta ad esempio realizzata su un campione facilmente
accessibile del monumento stesso. La Figura 1-3 mostra la capacità di caratterizzare i
materiali lapidei mediante la LIF.
14
4000
dolomitico
Carrara
3500
intensità (u.a.)
3000
2500
2000
1500
1000
500
0
300
350
400
450
500
550
600
650
700
750
lunghezza d'onda (nm)
Figura 1-3: Spettro di fluorescenza di Marmo dolomitico e di Marmo di Carrara,
eccitazione a 308 nm.
1.4
BIODETERIOGENI
Gli agenti di origine biologica che causano danni ai beni culturali sono classificati in
biodeteriogeni inferiori (alghe, cianobatteri, muffe e licheni) e superiori (vegetazione
superiore, animali, etc.).
Tra i biodeteriogeni inferiori particolare importanza rivestono le alghe verdi ed i
cianobatteri. Sono infatti quelli che per primi attaccano i materiali lapidei e, spesso,
sono i precursori di altri agenti di danno[8],[9]. La Tabella 1-III riporta un quadro della
diffusione dei biodeteriogeni sui monumenti lapidei.
Monumento – località
Monumento Khmer
Angor
Sculture paleolitiche
Angels sur l’Anglin
Partenone
Atene
Chiese e castelli
varie località
Chiese e dimore romane
numerose località
Cattedrali
numerose località
Malham Tarn House
Yorkishire occidentale
Castillo de San Marcos
St. Augustine
Nazione
Supporto
Biodeteriogeno
Cambogia
Arenaria
Cianobatteri, alghe verdi
Francia
Calcare
Cianobatteri
Grecia
Marmo
Cianobatteri, bacillariofiti
Irlanda
Pietre
Cianobatteri, alghe verdi,
bacillariofiti
Italia
Spagna
Pietre e pareti
affrescate
Granito, marmo,
calcare e malte
Cianobatteri, alghe verdi
Cianobatteri, alghe verdi
Regno Unito
Arenaria e calcare
Cianobatteri, alghe verdi,
bacillariofiti
USA
Gesso e calcare
Cianobatteri. bacillariofiti
Tabella 1-III: diffusione dei biodeteriogeni sui monumenti[9]
15
Alghe verdi e cianobatteri risultano avvantaggiati rispetto ad altri biodeteriogeni sia
perché necessitano per vivere di pochi elementi nutritivi, che recuperano dall'atmosfera
e dai materiali lapidei, sia perché hanno una grande resistenza dalle basse alle alte
temperature[8]. Sono entrambi organismi di tipo fotoautotrofo e sfruttano la fotosintesi
clorofilliana per produrre l'energia necessaria alla vita.
I danni prodotti dalle alghe verdi e dai cianobatteri sono sia estetici sia strutturali. Il
danno estetico consiste nello sviluppo di una patina verde, quando sono vitali, o giallobruna, quando sono residui di una colonizzazione, che compromette la fruibilità del
monumento. Il danno strutturale, con riferimento ai paramenti lapidei, consegue allo
sviluppo dei loro apparati radicali che producono pressioni all’interno delle pietre e
possono originare reazioni chimiche con gli elementi del substrato. Una volta rimossi
lasciano degli spazi vuoti che causano un aumento della porosità della pietra e che sono
agevolano l’azione di altri agenti di danno, quali, ad esempio, i cicli di gelo-disgelo o
quelli secco-umido.
Alghe verdi e cianobatteri sono caratterizzati, come gli altri organismi fotoautrotofi,
dalla presenza dei pigmenti fotosintetici. Questi pigmenti nel processo della fotosintesi
svolgono il ruolo di assorbire i fotoni, l'energia assorbita è poi trasferita ai centri di
reazione dove si ha la fase luminosa della fotosintesi. I pigmenti fotosintetici sono
suddivisi in clorofille, caratenoidi e ficobiliproteine; clorofille e ficobiliproteine
emettono in fluorescenza nella regione visibile dello spettro se eccitate a lunghezze
d’onda inferiori (blu ed ultravioletto).
Le clorofille (Chl) sono i pigmenti che conferiscono il caratterisco colore verde alle
piante. Esse sono suddivise, in relazione alle loro catarreristiche strutturali, in quattro
tipi indicati con le lettere a, b, c e d. La clorofilla a (Chl a) è il pigmento fotosintetico
presente in tutti gli organismi fotoautotrofi ed è coinvolto anche nella fase luminosa
della fotosintesi come centro di reazione, la Chl b è presente più raramente e
caratterizza in peso al massimo il 3% dei pigmenti, essa è però presente in alcune alghe
verdi nelle quali si può, talvolta, trovare anche la Chl c.
Lo spettro di assorbimento della Chl a (Figura 1-4) presenta un’ampia banda
caratterizzata nel blu da due massimi posti a 410 nm e 430 nm ed una banda nel rosso
con un picco a 662 nm. Per la Chl b la prima banda è più intensa e viene a trovarsi a
lunghezze d’onda maggiori, mentre la seconda, meno intensa, è centrata a 642 nm. Gli
16
spettri di assorbimento dipendono dal solvente in cui la clorofilla è disciolta e la
Assorbimento (a.u.)
posizione delle bande può spostarsi di alcuni nm per gli spettri rivelati in vivo[10].
Lunghezza d’onda (nm)
Figura 1-4: Spettri di assorbimento rivelati in vitro di Chl a e Chl b[11].
Lo stato fondamentale della molecola di clorofilla è uno stato di singoletto (S(π,π)) e la
Figura 1-5 riporta lo schema delle bande energetiche, la loro nomenclatura e le
transizioni possibili[11]. All’assorbimento di un fotone della regione rossa dello spettro
corrisponde una transizione alla banda Sa(π,π*), mentre per l’assorbimento di un fotone
della regione blu dello spettro avviene una transizione alla banda Sb(π,π*). Lo stato eccitato
di singoletto Sb(π,π*) è instabile e decade in 10-12 s con una transizione non radiativa verso
una delle bande rotovibrazionali dello stato di singoletto Sa(π,π*). Al successivo
decadimento verso lo stato fondamentale è associata l’emissione di fluorescenza. La
transizione verso la banda energetica di tripletto T(π,π*) è 10-5 volte meno probabile
dell’altra.
I carotenoidi sono pigmenti coinvolti nel processo di assorbimento dei fotoni e
trasferiscono poi l’energia assorbita ai centri di reazione della fotosintesi. I carotenoidi
sono raggruppati in caroteni (rossi, costituiti da idrogeno e carbonio) e xantofille (gialle,
che sono derivati ossidati dei caroteni). In tutti i cianobatteri è presente almeno il βcarotene e ciascun gruppo di cianobatteri sintetizza specifici carotenoidi. La Figura 1-6
riporta gli spettri di assorbimento di alcuni carotenoidi. La risposta in fluorescenza dei
carotenoidi osservata in vitro è assai rara ed è stata osservata con deboli intensità[10].
17
728 nm
666 nm
615 nm
Sottolivelli
vibrazionali
662 nm
Primo stato eccitato
a
[S (π,π*)]
Stato fondamentale
[S(π,π)]
Assorbimento
Fluorescenza
Figura 1-5. Diagramma dei livelli energetici della molecola Chl a. Il diagramma
presenta i sottolivelli del livello fondamentale e del primo livello eccitato di singoletto,
non sono presentati i livelli di tripletto meno coinvolti nella fluorescenza della molecola
stessa. La freccia continua rappresenta le transizioni in cui vi è un assorbimento di
fotoni, quella tratteggiata rappresenta le transizioni associate all’emissione di fotoni.
Figura 1-6: Spettri di assorbimento di alcuni carotenoidi[13].
Le ficobiliproteine sono pigmenti che assorbono la radiazione luminosa e trasferiscono
l’energia ai centri di reazione della fotosintesi. Ciascuna ficobiliproteina ha il proprio
caratteristico spettro di assorbimento e di fluorescenza. La Figura 1-7 presenta lo spettro
di emissione (linea continua) e di fluorescenza (line tratteggiata) delle tre
ficobiliproteine più diffuse, gli spettri proposti sono realizzati in vitro. Il processo di
18
trasferimento energetico dalle ficobiliproteine alle clorofille in vivo è molto efficiente[14]
e il contributo che le ficobiliproteine offrono in fluorescenza agli spettri degli organismi
che le contengono è modesto poiché l’energia assorbita è, appunto, trasferita ai centri di
reazione e non è disponibile per originare la fluorescenza.
Alghe verdi e cianobatteri hanno una differente composizione di pigmenti, in particolare
le alghe verdi sono prive delle ficobiliproteine. La diversa composizione origina un
diverso spettro di fluorescenza attraverso il quale è possibile distinguere le alghe verdi
dai cianobatteri. La Figura 1-8 presenta il confronto tra due spettri di fluorescenza
rivelati in vivo nella regione rossa dello spettro di alghe verdi e di cianobatteri. Le
specie scelte sono utilizzate come riferimento nello studio dell’attacco da biodeteriogeni
e provengono da alcune statue del Giardino di Boboli (Firenze). Lo spettro di
fluorescenza delle alghe verdi presenta il caratteristico andamento conseguente alla
presenza della Chl a ed è facilmente distinguibile dallo spettro dei cianobatteri nei quali,
in conseguenza della fluorescenza dovuta alle ficobiliproteine, lo spettro è più articolato
e presenta un marcato massimo a 660 nm.
Figura 1-7: Spettri di assorbanza (linea continua) ed emissione di fluorescenza (linea
tratteggiata) di tre ficobiliproteine[17]: (i) ficourobilina, (ii) ficoetrobilna, (iii) ficocianina.
19
Oltre alla semplice possibilità di riconoscere le alghe verdi dai cianobatteri, le differenti
caratteristiche di fluorescenza dei pigmenti e la differente composizione di ciascuna
specie di alghe verdi e di cianobatteri permettono una più raffinata divisione fino,
appunto, alla individuazione della specie stessa attribuendole una propria firma
spettrale[12]. Questa applicazione è di particolare interesse nel telerilevamento per il
controllo dell’ambiente marino[14].
intensity (a.u.)
1
.8
.6
.4
.2
0
600
700
wavelength (nm)
800
Figura 1-8: Confronto tra uno spettro di fluorescenza (con eccitazione a 355 nm)
realizzato su di un campione di alga verde (Specie Coccomyxa) e uno spettro
realizzato su un campione di cianobattero (Ordine Pleurocapsales)[15].
1.5
TRATTAMENTI CONSERVATIVI
Gli interventi di restauro realizzati sui monumenti lapidei prevedono in certi casi la
stesura di trattamenti di tipo protettivo o consolidante. Sono chiamati protettivi quei
trattamenti che hanno quale primario obiettivo quello di preservare la pietra da ulteriori
azioni di danno, tra questi possono essere inclusi anche alcuni trattamenti biocidi,
utilizzati per rimuovere i biodeteriogeni, che protraggono la loro azione nel tempo; sono
chiamati consolidanti quei trattamenti che, laddove il danno ha già disgregato la
superficie della pietra, possono rinsaldare i legami e ridurre la porosità della pietra
stessa.
La pratica di stendere trattamenti conservativi sui materiali lapidei ha origini antiche e
talvolta si trovano monumenti trattati in epoca remota dei cui trattamenti non vi è traccia
documentata. Anche i moderni trattamenti sono talvolta di origine artigianale.
20
I prodotti di origine industriale possono essere classificati come penetranti e non
penetranti. I trattamenti non penetranti formano dei film sottili che ricoprono la
superficie trattata e sono caratterizzati dall’essere composti da polimeri o copolimeri,
molecole di grosse dimensioni rispetto alle molecole del solvente in cui sono disciolte. I
trattamenti penetranti sono composti da molecole di piccole dimensioni sia rispetto alle
dimensione dei pori del lapideo sia rispetto alle dimensioni della molecola del solvente
in cui sono disciolti.
Tra i trattamenti industriali non penetranti disponibili sul mercato vi sono, in
particolare, i fluoroelastomeri e le resine acriliche. I fluoroelastomeri sono caratterizzati
dalla presenza di fluoro, da un elavato peso molecolare e dalle proprietà elastiche, più
modeste sono le proprietà adesive. Essi si dispongono sulla pietra dando luogo ad un
reticolo elastico che è in grado di smorzare le tensioni dovute alla dilatazione termica
dei materiali lapidei esposti in luoghi aperti. Le resine acriliche hanno un maggior
potere adesivo e a temperatura ambiente si presentano come materie rigide e vetrose. La
loro elasticità e la loro flessibilità dipendono dal solvente utilizzato.
Figura 1-9: Confronto tra spettri di fluorescenza (eccitazione a 355 nm) realizzati su un
campione di marmo dolomitico (control, linea tratteggiata) e su campioni dello stesso
materiale con trattamenti protettivi[16].
21
Tra i trattamenti industriali penetranti sono di particolare importanza i perfluoropolieteri
e i siliconi. I perfluoropolieteri sono oli composti da monomeri contenenti fluoro ed
hanno la caratteristica di rimanere oleosi nel tempo. I siliconi sono alla base di molti
prodotti consolidanti e si trasformano in silice contribuendo alla “ricostruzione” della
pietra.
In letteratura non è presente alcuno studio sulle modalità dell’assorbimento e della
fluorescenza di questi trattamenti e, vista la loro varietà, è anche difficilmente
proponibile una trattazione sistematica degli stessi. La loro individuazione per mezzo
della LIF è quindi possibile attraverso l’osservazione delle modifiche che producono
sugli spettri delle pietre non trattate.
La Figura 1-9 presenta gli spettri di campioni di marmo dolomitico con trattamenti
protettivi (Fomblin e Paraloid B72) e consolidanti (Akeogard CO e Rinforzante OH).
Lo spettro di riferimento è ottenuto su di un campione non trattato.
1.6
CROSTE NERE
Le aree (o croste) nere sono regioni di degrado che si formano sui monumenti lapidei e
che sono in colore nero. Esse sono punti di accumulazione della deposizione
atmosferica e delle reazioni chimiche che avvengono sulla superficie delle pietre[22] e
possono raggiungere considerevoli spessori fino ad apparire in rilievo rispetto alla
superficie del monumento. Le regioni in cui si sviluppano sono quelle esposte agli
agenti atmosferici ma protette dal dilavamento prodotto dall’acqua ruscellante. Tra le
regioni particolarmente soggette al formarsi delle croste nere vi sono, quindi, le nicchie
poco profonde, le zone sottostanti fregi e pieghe, sottosquadri e zone confinanti con le
linee di drenaggio delle acque di scorrimento. Le croste nere producono due differenti
tipi di danno:
•
un danno estetico dovuto all’annerimento di alcune parti della superficie del
monumento, spesso proprio in corrispondenza di fregi e decori;
•
un danno strutturale poiché la crescita delle croste coinvolge anche materiale
sottratto al substrato che viene così assottigliato[18], il danno è osservabile con la
rimozione delle croste stesse durante i lavori di restauro.
Le croste nere sono principalmente costituite da gesso (CaSO4⋅2H2O) prodotto della
reazione tra i composti dello zolfo presenti nell’inquinamento atmosferico e il carbonato
22
di calcio delle pietre[19]. Il gesso è presente in due distinte strutture cristalline come
conseguenza del suo sviluppo: la struttura laminare che indica una crescita veloce; la
struttura globulare che indica una crescita lenta e la presenza di processi di dissoluzione
e ricristallizzazione.
Durante la loro crescita i cristalli di gesso inglobano frammenti tratti dalla disgregazione
del substrato[19] ed i prodotti della deposizione atmosferica[20]: particelle residue dai
processi di combustione[21],[22],[23] tra cui le particelle carboniose, quelle metalliche e
quelle alluminosilicatiche[24],[25],[26]; soil dust; polveri stradali; aerosol marino[27];
particelle d’origine biologica[28]; gas di origine naturale e antropica[29],[30]. Le particelle
carboniose e il soil dust sono i principali componenti inglobati nelle croste nere.
Per quanto in letteratura non vi sia alcuna informazione relativa alla fluorescenza delle
croste nere è ipotizzabile che il loro comportamento in fluorescenza sia riferito ai
singoli componenti delle croste stesse. Il gesso, in particolare, fluoresce nella regione X
dello spettro elettromagnetico ed un eventuale contributo a lunghezze d’onda superiori
può esser causato dalla presenza di impurezze e difetti reticolari in analogia alla teoria
della fluorescenza dei materiali lapidei (Paragrafo 1.3). I composti organici possono
contribuire alla fluorescenza con il loro spettro caratteristico. Le particelle carboniose
sono nere ed assorbono la radiazione in tutto lo spettro visibile causando quindi una
diminuzione complessiva della retrodiffusione totale delle croste stesse.
La caratterizzazione delle croste nere avviene mediante l’impiego di analisi in
microscopia
ottica,
in
microscopia
elettronica
e
in
diffrattometria
a
raggi X [31],[32],[33],[34]. I risultati così ottenuti sono utili sia in relazione agli interventi di
restauro dei monumenti esaminati sia allo studio di provvedimenti complessivi sulla
conservazione dei monumenti in relazione alle caratteristiche dell’inquinamento
atmosferico.
1.7
MALTE
Le malte, o calci, sono impiegate nella costruzione dei monumenti lapidei fin
dall’antichità e svolgono la funzione di allettamento, per legare gli elementi strutturali
del monumento, o la funzione di intonaco, per proteggere i materiali dall’ambiente.
Le malte sono realizzate miscelando acqua, legante ed aggregato e sono classificate in
relazione ai loro componenti e alle loro proprietà di indurimento. Sono malte aeree
23
quelle che induriscono solo in aria, sono malte idrauliche quelle che induriscono sia in
area sia in acqua e, quindi, anche in presenza di ambienti umidi.
I leganti aerei sono la calce semplicemente detta ed il gesso. I leganti idraulici sono la
calce idraulica, e la calce cementizia (o cemento). Le calci idrauliche sono impiegate
solo a partire dalla seconda metà del diciottesimo secolo a causa delle elevate
temperature di calcinazione (cottura), intorno ai 1000-1100 °C, e ad un processo di
spegnimento (idratazione) complesso. In passato si ottenevano malte con proprietà
idrauliche partendo da calce aerea e particolari aggregati costituiti, in misura esclusiva o
quasi, da pozzolana (sabbia derivante da un’attività vulcanica di tipo esplosivo, dove i
singoli granuli presentano una frazione vetrosa a composizione silicatica e silicoalluminatica fortemente reattiva) o cocciopesto (polvere e frammenti di terracotta,
generalmente laterizi. La terracotta presenta una frazione amorfa derivante dalla
distruzione in cottura dei minerali argillosi. La cottura di argille carbonatiche determina
la distruzione dei minerali argillosi e la decarbonatazione del carbonato di calcio con
formazione di CaO; l’ossido di calcio (CaO) molto reattivo si combina con i relitti
strutturali dei minerali argillosi dando luogo a silicati e silico-alluminati di calcio.
Questi composti di neo formazione presentano struttura micro-cripto cristallina o
amorfa). I silicati e silico-alluminati presenti nella pozzolana e i silicati e silicoalluminati di calcio presenti nel cocciopesto in fase di presa possono reagire con la calce
(Ca(OH)2) dando luogo a composti idrati (silicati e silico alluminati di calcio idrato)
responsabili del comportamento idraulico della malta. Le proprietà idrauliche della
pozzolana e della calce idraulica sono date dalla presenza di allumina (Al2O3),
l’allumina è contenuta nella pozzolana stessa, o, nel caso della malta idraulica, è
ricavata dalla presenza di argilla frantumata (10-15% in peso) che si decompone in
silice ed allumina[35].
Il legante idraulico più moderno, diffusosi a partire dal XIX secolo, è il cemento
Portland o più precisamente il Cemento Ordinario Portland (OPC). Così come per la
calce idraulica, l’OPC viene prodotto per cottura di calcari marnosi (con un contenuto di
argilla del 20-30% in peso) fino al raggiungimento della parziale fusione (1450 °C).
La caratterizzazione ed il riconoscimento delle malte è di notevole interesse sia per i
lavori di restauro, sia per la ricostruzione storica del monumento ed in particolare la
conoscenza nel tempo delle tecniche di costruzione, sia per la scelta delle migliori
24
strategie di conservazione. Le tecniche di caratterizzazione prevedono l’impiego di un
complesso di analisi di laboratorio realizzate che iniziano con il prelievo di campioni
dai monumenti. L’identificazione della tipologia del legante, sia per malte aeree sia per
malte idrualiche, prevede l’osservazione dei campioni in campioni in microscopia ottica
in epi-illuminazione e tramite luce trasmessa, analisi mineralogiche, granulometriche e
microstrutturali, saggi chimici e di pozzolanicità[36]. Nel caso delle malte pozzolanica
una sua classificazione coinvolge l’impiego della microscopia ottica per l’osservazione
delle sezioni sottili, della diffrattrometria a raggi X (XRD), della microscopia a
scansione elettronica e del SEM-EDX (Scanning Electron Microscopy - Energy
Dispersive X-ray analyser), separazione dell’aggregato dal legante ed analisi chimica
elementale di quest’ultimo utile per determinare l’indice di idraulicità e per ricavare
precise informazioni circa le materie prime utilizzate.
Nessuno studio delle proprietà ottiche di fluorescenza delle malte è presente in
letteratura. L’ipotesi più plausibile è quella di una emissione in fluorescenza analoga a
quella delle pietre e più precisamente delle arenarie.
25
2
2.1
TELERILEVAMENTO LIDAR
TELERILEVAMENTO OTTICO
Il termine telerilevamento descrive le tecniche impiegate per la misura delle
caratteristiche fisiche o chimiche di un bersaglio distante nello spazio dall'apparato di
misura. Il concetto di telerilevamento include inoltre la possibilità di cambiare
facilmente il bersaglio osservato[1].
Nel telerilevamento ottico alcuni parametri fisici e chimici tra quelli che caratterizzano
il bersaglio sono misurati da un sensore che riceve la radiazione elettromagnetica
retrodiffusa dal bersaglio stesso. La misura comprende un'analisi della radiazione
elettromagnetica proveniente dal bersaglio. Il telerilevamento può essere passivo o
attivo. E' passivo quando sono misurati i cambiamenti che il bersaglio produce alla
radiazione elettromagnetica di fondo, sostanzialmente la radiazione solare. E' attivo
quando il sensore invia una radiazione elettromagnetica e raccoglie ed analizza la
risposta del bersaglio.
I sistemi di telerilevamento ottico sono di grande utilità per le misure dell’atmosfera e
della superficie terrestre. I sensori possono essere installati su diversi vettori, quali
satelliti che permettono una copertura globale, aerei e navi per una copertura di alcune
specifiche regioni, piattaforme statiche infine permettono l'osservazione di una
determinata area, per esempio per il monitoraggio di emissioni inquinanti.
2.2
LIDAR
Il LIDAR è un sensore per il telerilevamento ottico attivo. Lo schema generale di un
sensore LIDAR è riportato in Figura 2-1. La radiazione emessa da un laser impulsato è
collimata e diretta verso il bersaglio. La radiazione retrodiffusa è raccolta da un
telescopio, quindi analizzata, rivelata ed acquisita. La distanza tra il sensore ed il
bersaglio e l'andamento spaziale dei parametri del bersaglio sono studiati per mezzo del
coordinamento temporale tra il laser ed il sistema di rivelazione.
L'analisi spettrale del segnale retrodiffuso è realizzabile sia per mezzo di un sistema di
filtri interferenziali e fotomoltiplicatori sia per mezzo di uno spettrometro accoppiato ad
un rivelatore multicanale[3]. L'analisi spaziale del bersaglio è realizzabile mediante il
campionamento nel tempo del segnale retrodiffuso.
26
Il LIDAR è stato realizzato grazie allo sviluppo dei laser ad impulsi giganti ed
inizialmente è stato applicato per il telerilevamento atmosferico[38],[39]. Le successive
applicazioni hanno riguardato il telerilevamento delle acque[40], del suolo[41] e della
vegetazione[42]. Più recente è, infine, la prima applicazione al telerilevamento dei beni
culturali[43],[44]. E' adesso in corso lo sviluppo di sensori che abbinano l’alta risoluzione
spettrale e la risoluzione spaziale[45].
Laser
Collimatore
Bersaglio
Sistema di
rivelazione
Telescopio
Sistema di
acquisizione
Figura 2-1: principio di funzionamento del LIDAR
L'equazione LIDAR[46] esprime l'energia ricevuta dal sensore alla lunghezza d'onda
λi per diffusione della radiazione emessa dal laser (alla lunghezza d'onda λ0 ) da parte
del bersaglio posto ad una distanza R :

R

 − (α 0 ( r ) +α1 ( r ) ) dr 
 ∫

KE

E ( R, λ0 , λi ) = 20 η ( R ) β ( R, λ0 , λi ) e 0
R
(3.1)
dove E0 è l'energia dell'impulso laser;
dove K è una costante;
dove η ( R ) è il fattore geometrico di forma;
dove β ( R, λ0 , λi ) è un coefficiente proporzionale all'efficienza del processo fisico
analizzato e al numero di molecole eccitate dall'impulso laser;
dove
α0 (r)
è il coefficiente di estinzione globale del mezzo alla distanza r per la
lunghezza d'onda λ0 ;
dove
αi (r )
è il coefficiente di estinzione globale del mezzo alla distanza r per la
27
lunghezza d'onda λi .
Il LIDAR a fluorescenza, in particolare, è un sensore espressamente dedicato per
l'analisi dei processi fisici d'interazione anelastica tra radiazione e materia, esso
potenzialmente può indagare sia il fenomeno della fluorescenza sia l'effetto Raman. Le
prime applicazioni del LIDAR a fluorescenza sono state per il rilevamento di chiazze di
idrocarburi in mare.
E' opportuno osservare che, nel caso della fluorescenza, per esempio, il termine
β ( R, λ0 , λi ) della (3.1) esprime complessivamente l'efficienza della fluorescenza del
complesso delle molecole eccitate, ossia è proporzionale al rapporto tra il numero dei
fotoni diffusi dal bersaglio alla lunghezza d'onda λi e il numero dei fotoni assorbiti alla
lunghezza d'onda λ0 . Il termine considera quindi anche l’eventuale riassorbimento da
parte di altre molecole del bersaglio.
2.3
IL LIDAR PER IL CONTROLLO DEI MONUMENTI LAPIDEI
L'impiego del LIDAR a fluorescenza per il controllo dei monumenti lapidei è stato
introdotto nella prima metà degli anni '90[47]. Le prime applicazioni hanno riguardato la
caratterizzazione dei litotipi che costituiscono i materiali utilizzati nei paramenti[48] e la
rivelazione e caratterizzazione di biodeteriogeni [49]. In seguito l'indagine su monumenti
storici è stata estesa allo studio degli effetti di trattamenti biocidi[50], alla
caratterizzazione di trattamenti protettivi[16], ed è stata ottenuta la prima immagine di
fluorescenza di un monumento [51].
L'impiego del LIDAR ha mostrato alcuni vantaggi rispetto alle tecniche tradizionali
basate sul prelievo di campioni o sull'osservazione dei monumenti lapidei permettendo
di conseguire risultati talvolta migliori. Le misure LIDAR sono non distruttive e non
compromettono la fruibilità del monumento. Per le misure realizzate in regioni
accessibili direttamente ai visitatori l'unica limitazione è dovuta alle norme di sicurezza
per l'impiego di laser, limitazione presente solo durante le misure. Le misure LIDAR
sono realizzate senza l'impiego di ponteggi ed impalcature e, infine, possono essere
ripetute per verificare nel tempo l’insorgere di forme di degrado e controllare l’efficacia
dei lavori di restauro.
La caratterizzazione dei materiali lapidei mediante il telerilevamento lidar di
28
fluorescenza ha avuto per oggetto campioni di diverse origini, in particolare sono
presenti in letteratura[47] misure su marmi e calcari (Rosso Ammonitico Veronese,
Marmo dolomitico, Marmo di Carrara, etc.) e su arenarie (Pietra di Lecce, Pietra di
Firenzuola, etc.). In questo caso il vantaggio principale rispetto alle tecniche tradizionali
è il fatto che non è necessario prelevare campioni dai monumenti.
Lo studio della presenza dei biodeteriogeni e la loro caratterizzazione mediante il
telerilevamento della LIF ha coinvolto sia esperimenti in campo, sia esperimenti in
laboratorio[50]. In laboratorio, in particolare, è stata determinata la soglia di
individuazione dei biodeteriogeni stessi che, al momento, corrisponde a 102 cellule/cm2
per le alghe verdi e 103 cellule/cm2 per i cianobatteri. Il telerilevamento offre quindi la
possibilità di individuare lo sviluppo di colonie di biodeteriogeni ben prima che siano
visibili ad occhio nudo (almeno 106 cellule/cm2) e quindi siano applicabili le
tradizionali tecniche. Anche nel caso dei biodeteriogeni le misure in telerilevamento
differiscono da quelle realizzate in laboratorio principalmente per l’assenza di prelievi.
Il materiale biologico prelevato dai monumenti e successivamente analizzato in
laboratorio può subire delle modifiche quali l’attivazione di alcune spore. La possibilità
di controllare l’azione dei trattamenti biocidi offre, inoltre, la possibilità di verificare, in
campo, l’azione dei trattamenti biocidi stessi.
La possibilità di caratterizzare le malte e di individuare e caratterizzare le croste nere,
infine, rappresenterebbe sia un notevole vantaggio rispetto alle complesse tecniche
tradizionali sia un ausilio al lavoro di restauro. Lo studio delle croste nere e del degrado
delle malte può, inoltre, esser sfruttato per analizzare l’inquinamento urbano e, in questo
caso, il telerilevamento della LIF potrebbe permettere di aumentare i dati disponibili.
La possibilità di produrre mappe tematiche dell’intera superficie del monumento o di
sue ampie porzioni è la condizione preliminare per un impiego estensivo di questa
tecnica e per avere un ulteriore elemento di vantaggio rispetto alle tecniche tradizionali
il cui costo e i cui tempi di intervento crescono considerevolmente con l’aumento del
numero dei campioni e quindi della estensione delle zone interessate.
29
3
STRUMENTI E MISURE
I sensori LIDAR utilizzati per le misure di questo lavoro sono il sensore FLIDAR3®
dell'IFAC-CNR "Nello Carrara" e il sensore LIDAR a scansione del Lund Institute of
Technology (Figura 3-1). Entrambi sono strumenti capaci di operare autonomamente in
campo e entrambi hanno avuto impieghi per molteplici applicazioni di telerilevamento.
Figura 3-1: a destra (in bianco) il sensore FLIDAR3®, in secondo piano (in verde)
l’alloggiamento del sensore lidar del LTH a bordo della Nave Oceanografica “Urania”
del CNR.
3.1
FLIDAR3®
Il sensore LIDAR dell'IFAC-CNR "Nello Carrara" (Flidar3®) è un LIDAR a
fluorescenza equipaggiato con due sorgenti di eccitazione, nell'ultravioletto (UV) e nel
visibile (VIS). Il sensore trova impiego per misure di telerilevamento del mare, della
vegetazione e dei beni culturali. Il sensore è ospitato all'interno di un furgone FIAT
Ducato Maxi (Figura 3-2 e Figura 3-4) ed ha un proprio gruppo elettrogeno che fornisce
l'energia necessaria per operare in campo.
La Figura 3-3 rappresenta lo schema ottico del sensore FLIDAR3. Il modulo ottico è
costituito dal sistema di emissione laser e dal sistema di raccolta della radiazione
retrodiffusa dal bersaglio. Il sistema di emissione consiste di un laser ad eccimeri e di
30
un laser a colorante, per il telerilevamento lidar dei beni culturali è utilizzato il laser ad
eccimeri. Il mezzo otticamente attivo del laser ad eccimeri, sviluppato specificatamente
per questo sensore, è una miscela di XeCl pompata mediante una scarica elettrica TEA
(Transversal Electrical dicharge at Atmospheric pressure). Il laser emette impulsi ad
una lunghezza d'onda di 308 nm, della durata di circa 10 ns, con energia di circa 80 mJ
per singolo impulso e con una frequenza massima di ripetizione di circa 10 Hz. Il laser
ad eccimeri è alimentato con due batterie da 12 V ciascuna. Il telescopio è di tipo
newtoniano con diametro di 250 mm e lunghezza focale di 1000 mm. L’impulso laser è
reso coassiale con l’asse ottico del telescopio.
Figura 3-2: Alloggiamento del sensore FLIDAR3 all’interno del FIAT Ducato Maxi.
Il modulo elettronico comprende lo spettrometro ed il sistema di rivelazione ed
acquisizione dei dati. Lo spettrometro ha una configurazione ottica di Czerny-Turner e
dispone di una torretta ruotante per l'impiego alternativo di tre reticoli. La lunghezza
focale dello spettrometro è di 275 mm e l'apertura è f/3.8, i reticoli sono quadrati con
lato di 68 mm. Il sistema di rivelazione è un OMA (Optical Multichannel Analyzer) con
un sensore di 512 fotodiodi ciascuno dei quali di 25 x 2700 µm2. L'apertura del
rivelatore è variabile tra 100 ns e 10 ms ed è comandata da un trigger ottico attivato da
una frazione dalla luce laser raccolta mediante una fibra ottica. E’ possibile impostare
un ritardo in funzione della distanza del bersaglio. Per il telerilevamento LIDAR dei
31
beni culturali è utilizzato un reticolo di 150 righe/mm con angolo di blaze di 450 nm ed
una risoluzione di 0.6 nm/canale con una fenditura in ingresso allo spettrometro larga
100 µm (lo strumento è configurato senza fenditura in uscita) a cui corrisponde una
risoluzione totale di 2.4 nm. Al modulo elettronico è collegato un computer che
permette l'impostazione dei parametri operativi del sistema, l'immagazzinamento degli
spettri e, quando possibili, i collegamenti in rete ad un ulteriore computer di appoggio
per l'analisi dei risultati. Il programma di gestione è realizzato in Visual Basic.
MODULO OTTICO
UV LA SER
VIS
LA SER
RA DIA ZIONE RETRODIFFUSA
BERSAGLIO
TELESCOPIO
FA SCIO LA SER
ALIMENTAZIONE
SPETTROMETRO
OMA
RICEVITORE
He Ne Xe HCl
OMA
FIBRE OTTICHE
MODULO ELETTRONICO
BOMBOMOLE DI GAS
Figura 3-3: Schema ottico del FLIDAR3®
Figura 3-4: Fotografia del sensore FLIDAR3 alloggiato all’interno del furgone FIAT
Ducato Maxi
32
Il modulo di gas-handling comprende le bombole dei gas necessari al riempimento del
laser ad eccimeri, una pompa a vuoto ed un manometro per il controllo della pressione
all'interno del tubo laser. Il laser ad eccimeri ha una autonomia di circa 60000 impulsi
prima che sia necessario un nuovo riempimento.
3.2
SENSORE LIDAR A SCANSIONE
Il sensore LIDAR a scansione del Lund Institute of Technology (LTH) è equipaggiato
con diverse lunghezze d'onda di eccitazione che vanno dalla regione spettrale dell'UV a
quella del medio infrarosso (MIR). Il sensore trova impiego per misure di
telerilevamento atmosferico, oceanografico, della vegetazione e dei beni culturali ed è il
risultato dello sviluppo di un precedente sensore[52]. La Figura 3-5 riporta la
disposizione dei componenti del sensore disposti all'interno di un camion Volvo F610
dedicato ad ospitare il sensore. Il camion è dotato di un sistema idraulico di
stabilizzatori per mantenerlo orizzontale nelle condizioni di esercizio. Per le misure in
campo il sensore è equipaggiato con un carrello dove è alloggiato un generatore
elettrico di potenza di 45 KW alimentato a gasolio. Il camion ed il carrello costituiscono
un laboratorio mobile per le misure in campo.
Electronics
Air & Water
cooling
Nd:YAG
Power
Supply
IR mix
OPO
Calib.
Air
sys
Nd:YAG
Power
Supply
Figura 3-5: Disposizione dei componenti del sensore LIDAR a scansione.
La Figura 3-6 riporta il diagramma a blocchi del sensore. Il modulo di emissione è in
grado di produrre impulsi laser nell'UV, nel VIS e nel MIR cosicché è possibile
realizzare diverse tipologie di misure. Il tempo necessario per cambiare la lunghezza
33
d'onda di emissione è al più di qualche minuto. Il modulo di emissione è composto di
quattro parti principali: due laser ND:YAG, un OPO (Optical Parametric Oscillator)
combinato ad un duplicatore di frequenza (OPO/D), e un sistema IR-mixing. Per il
telerilevamento dei beni culturali sono utilizzati uno dei due laser ND:YAG e l'OPO/D.
Il laser ND:YAG utilizzato è triplicato in frequenza ed emette gli impulsi a 355 nm.
L'OPO/D è realizzato con una unità commerciale, i fotoni prodotti da un oscillatore
primario (cavità di Littman) sono inviati in un oscillatore di potenza (cavità instabile)
che produce un segnale in uscita ad alta potenza. Un sistema di cristalli piezoelettrici
permette di ottenere le lunghezze d'onda desiderate[53].
Figura 3-6: Schema a blocchi del sensore LIDAR a scansione[53].
La Figura 3-7 riporta lo schema generale del modulo di ricezione. Il modulo di ricezione
è composto da un telescopio newtoniano il cui telescopio primario ha un diametro di
40 cm e di lunghezza focale di 1 m. Il telescopio è disposto verticalmente ed è
sormontato da un torretta ruotante che ospita uno specchio piano deviatore. Lo specchio
della torretta può compiere una rotazione di 360° attorno all'asse del telescopio con un
passo di 0.0035° ed un movimento azimutale tra -10° e 55° con un passo di 0.011°.
L'oscuramento prodotto dalla presenza dello specchio secondario è sfruttato per il
montaggio di un sistema che permette alla radiazione laser di esser coassiale con l'asse
ottico del telescopio stesso e per il montaggio di un beam expander; l'allineamento è
controllato mediante motori passo passo gestiti dall'unità di controllo. All'uscita del
34
telescopio sono alloggiati un filtro ed un beam splitter. Il beam splitter permette di
inviare il segnale in uscita a differenti sistemi di analisi spettrale ed acquisizione. Per
l'applicazione al telerilevamento lidar per i beni culturali l'uscita del telescopio è
accoppiata con un sistema ottico multicanale (OMA) composto da uno spettrometro ed
un rivelatore CCD intensificato. Il sistema è dotato di due videocamere ausiliare, una
posta alla sommità della torretta, l'altra è disposta fuori asse nel piano focale. La prima
permette di avere una visione panoramica del bersaglio, l'altra di osservare con
precisione la porzione del bersaglio misurata.
BERSAGLIO
DEVIATORE
BEAM EXPANDER
LASER
OMA
SECONDARIO
PRIMARIO
Figura 3-7: Schema ottico dell'apparato ricevente
Il sensore ha tre moduli ausiliari per il controllo delle caratteristiche dell'impulso in
uscita, per la misura del vento necessaria nel telerilevamento atmosferico e per il
controllo della temperatura interna del laboratorio mobile. La temperatura interna
condiziona l'allineamento dei componenti della strumentazione e deve essere stabile
35
entro un intervallo di ±2 K. Il modulo permette di controllare anche le temperature
dell'acqua dei circuiti di raffreddamento dei laser.
Il sensore ha un sistema autonomo di sicurezza che garantisce il rispetto dei vincoli
introdotti nel movimento dello specchio deviatore affinché il laser operi in condizioni di
sicurezza. Questo sistema è di particolare utilità per il telerilevamento lidar di beni
culturali quando il sensore opera in presenza di molte persone che visitano il
monumento e in ambiente urbano, per esempio in piazze in cui si affacciano altri edifici.
Le telecamere consentono infine una ulteriore sorveglianza diretta da parte dello
sperimentatore.
La gestione di tutto il sensore è affidata a sei computer. Il primo computer garantisce il
controllo generale del sistema e coordina le diverse operazioni, il secondo computer è
specificatamente dedicato ad una prima analisi dei dati combinando le informazioni con
quelle di altri sensori (caratteristiche del vento, posizione GPS del sensore) quando
necessario, il terzo computer imposta e controlla la lunghezza d'onda degli impulsi
laser, il quarto computer è dedicato a misurare le caratteristiche del vento, il quinto
computer gestisce il sistema dei controlli di sicurezza, il sesto computer, infine,
controlla il sistema di acquisizione ed analisi spettrale OMA. Tutti i PC sono connessi
in rete locale e attraverso il primo computer vi è la possibilità di connettersi con la rete
esterna. Il sistema operativo utilizzato è Windows 98 e i programmi di controllo sono
realizzati su LabVIEW della National Instruments.
3.3
ACQUISIZIONE DEGLI SPETTRI
Sia il sensore FLIDAR3 sia il sensore LIDAR a scansione acquisiscono gli spettri con
un’unità OMA. Gli spettri sono acquisiti integrando la fluorescenza indotta da uno o più
impulsi laser, la radiazione di fondo è misurata e sottratta dagli spettri acquisiti. In
entrambi i sensori è possibile impostare diverse configurazioni con cui effettuare le
misure in relazione alle caratteristiche del bersaglio. La Tabella 3-I riporta i parametri
che definiscono le diverse configurazioni di misura.
Ogni configurazione in cui variano i parametri dell'ottica di ricezione e la distanza del
bersaglio ha una propria funzione di trasferimento e una propria calibrazione in
lunghezza d'onda. La calibrazione in lunghezza d'onda è ricavata mediante
l’acquisizione di spettri di lampade spettrali. La funzione di trasferimento è determinata
36
per mezzo dell’acquisizione dello spettro di una lampada a filamento la cui emissione
sia corrispondente a quella di un corpo nero a temperatura nota, la lampada deve essere
posta nelle stesse condizioni in cui è misurato il bersaglio.
Entrambi i sensori provvedono anche all’acquisizione dell’andamento del background,
ossia del segnale rivelato in assenza di eccitazione del campione, questo valore è poi
sottratto per ogni spettro al segnale misurato in conseguenza dell’impulso laser.
Tabella 3-I: Parametri che definiscono una configurazione di misura lidar.
Distanza del bersaglio
Geometria della misura
Ritardo tra l'apertura del rivelatore e lo
sparo del laser
Lunghezza d'onda di emissione
Energia per ciascun impulso
Parametri del laser
Divergenza
Numero degli impulsi
Frequenza di ripetizione
Parametri
ricezione
dell'ottica
di
Intervallo spettrale misurato
Numero dei canali acquisiti
Risoluzione spettrale
Filtro
Tempo di apertura del rivelatore
3.4
ACQUISIZIONE DELLE IMMAGINI IPERSPETTRALI
Il sensore LIDAR a scansione può, mediante il controllo dei movimenti dello specchio
deviatore, acquisire una sequenza di spettri in successione offrendo quindi la possibilità
di realizzare immagini di bersagli estesi. Il controllo del passo dei motori permette di
definire il campionamento dell'area stessa e il campo visto dal telescopio definisce la
minima risoluzione spaziale possibile del bersaglio.
Il risultato di questa modalità operativa è una matrice di spettri (ciascuno ottenuto nella
medesima configurazione del sensore) che ricopre uniformemente un'area del
monumento. I parametri che definiscono questa matrice sono il passo orizzontale e
quello verticale dei motori che controllano i movimenti dello specchio deviatore. A
37
queste impostazioni, fissata la distanza del bersaglio dal sensore, corrisponde un passo
di campionamento sul bersaglio stesso e, dalla posizione del primo punto misurato, è
possibile identificare l'area campionata.
E' opportuno osservare che il sistema non considera le deformazioni geometriche
introdotte dalla relativa posizione tra il sensore e il bersaglio. Inoltre, nel caso delle
facciate dei monumenti, molto spesso sono presenti elementi decorativi o strutturali in
rilievo rispetto al piano della facciata e anche questa informazione non è acquisita
poiché le misure così realizzate considerano il bersaglio piano.
38
4
ANALISI DEI DATI
L'analisi degli spettri acquisiti con i sensori LIDAR è finalizzata sia ad un confronto
degli spettri e ad una loro classificazione sia alla costruzione di mappe tematiche che
mettono in evidenza alcune caratteristiche specifiche dello spettro in relazione alla loro
posizione sui monumenti. La possibilità di acquisire molti spettri introduce nuove
problematiche nell'analisi dei dati ed anche la necessità di una trattazione rapida dei dati
stessi al fine di offrire in tempo quasi reale valutazioni durante le campagne le misure.
Le metodologie di analisi dati utilizzate sono quindi quelle classiche utilizzate nel
telerilevamento lidar di fluorescenza per i beni culturali ed in più tecniche statistiche
multivariate.
Ciascuno spettro acquisito con i sensori LIDAR può essere rappresentato come un
vettore s = ( s1
s2 … sN ) i cui elementi rappresentano le intensità misurate dai
canali. Alla posizione di ciascun elemento è associato un canale e la relativa lunghezza
d'onda. Lo spettro misurato deve poi essere corretto per la funzione di trasferimento del
sistema:
(
)
s = S ⋅ FT D, λ , k ⇒ S =
s
FT
(5.1)
dove S è lo spettro emesso dal bersaglio;
(
)
dove FT D, λ , k è la funzione di trasferimento del sistema che dipende dalla
lunghezza d'onda ( λ ) , dalla distanza tra il bersaglio e il sensore ( D ) e dai parametri
che descrivono la configurazione del sensore ( k ) .
Lo spettro corretto per la funzione di trasferimento può poi sia essere filtrato sia
normalizzato. Il passo del filtro digitale se è pari o inferiore al rapporto tra la risoluzione
spettrale complessiva del sensore e l'ampiezza dell'intervallo spettrale a cui corrisponde
ciascun canale non compromette la risoluzione dello spettro. La normalizzazione può
essere eseguita al valore massimo dello spettro in un intervallo di lunghezze d'onda e
permette il confronto tra le differenti forme spettrali. E' possibile anche una
normalizzazione dello spettro in modo che l'area sottesa dello spettro stesso sia unitaria.
39
4.1
RAPPORTO TRA AREE
Il rapporto tra le aree sottese in due distinte regioni spettrali permette di confrontare tra
loro distinti spettri al fine di mettere in evidenza una specifica caratteristica, quale per
esempio la presenza di un biodeteriogeno o di un trattamento conservativo. La stessa
procedura può anche essere sfruttata per mettere in rilievo differenti litotipi.
La Figura 4-1 riporta tre spettri misurati con il sensore FLIDAR3 sul Duomo di Parma
come esempio di applicazione del rapporto tra le aree sottese dagli spettri in distinte
regioni spetrali. Gli spettri sono stati raccolti su blocchi di marmo in presenza di un
trattamento protettivo (S1 e S2) e in assenza del trattamento stesso (S3). E' questo un
tipico esempio in cui il rapporto tra aeree permette di identificare le caratteristiche degli
spettri.
14000
S1
12000
S2
Intensità (a.u.)
10000
S3
8000
6000
4000
2000
λ
i
λ
400
f
450
λb λe
500
550
600
Lunghezza d'onda (nm)
650
700
Figura 4-1: esempio di spettri misurati con il sensore FLIDAR3 (marmo in presenza di
trattamento protettivo)
L'intervallo spettrale evidenziato in blu è quello utilizzato come riferimento e
corrisponde ad una regione spettrale in cui è comunque dominante il comportamento del
substrato lapideo (marmo in questo caso), mentre la regione evidenziata in verde è
40
quella in cui è dominante il contributo del trattamento lapideo. L'intervallo spettrale di
riferimento è scelto in modo da essere quanto più possibile prossimo a quello d'interesse
e, contemporaneamente, in una regione in cui il fenomeno indagato non è presente.
L’area sottesa da uno spettro in un intervallo di lunghezze d’onda è:
Aif =
k = f −1
∑
k =i
k = f −1
S k +1 + S k
S + Sk
⋅ ( λk +1 − λk ) = ∑ k +1
⋅ ∆λ
2
2
k =i
(5.2)
dove i è il numero del primo canale dell’intervallo, f è il numero dell’ultimo canale
dell’intervallo e ∆λ = (λ k +1 − λ k ) può essere assunto costante su tutto lo spettro. Mentre
per l'intervallo di riferimento gli estremi sono i canali b ed e. Il rapporto tra le due aree
è:
Rifbe =
4.2
Abe
Aif
(5.3)
ANALISI DELLE COMPONENTI PRINCIPALI
I vantaggi introdotti dall'analisi delle componenti principali (PCA) nell'analisi degli
spettri acquisiti sono essenzialmente due:
-
la possibilità di trattare simultaneamente una grande quantità di spettri;
-
l'evidenziazione delle differenze tra i singoli spettri.
Nella rappresentazione degli spettri come vettori la cui base sono i canali, l'analisi delle
componenti principali è una proiezione degli spettri su di un sottospazio proprio. Questo
sottospazio è costruito sulla base delle componenti principali dove la prima componente
principale è costruita in modo da descrivere la maggior parte possibile della covarianza
tra i campioni, la seconda per descrivere la maggior parte della covarianza residua e così
via per le successive. Nuove componenti sono aggiunte finché la differenza residua è
inferiore al rumore.
4.2.1
PROCEDURA OPERATIVA
Se ciascuno spettro è rappresentato come un vettore, una serie di M spettri di N valori
ciascuno è rappresentata con una matrice in cui ciascuno spettro corrisponde ad una
diversa colonna:
41
{
S = S = S1 , S2 ,
, SM
}
 s11

 s21

= {si , j } = 

 sN 1
 S
 1
s1M 
  v1 
s2 M   
v2
  
= 
  
 
sNM   
  vN 
SM 
s12
s22
sN 2
S2
(5.4)
dove il generico spettro è:
N
S j = ∑ sij ⋅ λi
(5.5)
i =1
dove sij è l'intensità misurata nell'i-esimo canale del j-esimo spettro;
dove λi è l’i-esimo canale del rivelatore a cui corrispone la lunghezza d'onda λi.
La covarianza tra due vettori riga della matrice S è:
cov ( vi , v j ) =
(v −
i
(
vi ) ⋅ v j − v j
)
(5.6)
e la matrice di covarianza associata alla matrice S è definita come:
 cov(v1 , v1 )

 cov(v2 , v1 )
C =


 cov(v , v )
M
1

cov(v1 , vM ) 





cov(vM , vM ) 
cov(v1 , v2 )
(5.7)
La matrice C è quadrata e per la definizione (5.6) simmetrica e dunque ammette
autovalori non negativi. Inoltre il numero degli autovalori non nulli di C è pari al
minimo tra il numero delle misure M e il numero dei canali N.
La scelta della base in cui rappresentare gli spettri S si ottiene mediante la
diagonalizzazione della matrice di covarianza:
C = PC iΛi PC t
(5.8)
dove PC è la matrice del cambiamento di base, le cui colonne sono la nuova base delle
componenti principali, e Λ è la forma diagonale della matrice di covarianza. Per
convenzione la matrice diagonale è costruita ponendo gli autovalori in ordine
decrescente cosicché:
Λ ii = Λ i > Λ i +1
(5.9)
Dalla (5.9) consegue che il sottospazio associato alla prima colonna della matrice PC è
quello che rappresenta la maggior parte della covarianza e così via.
42
La matrice degli spettri può ora essere rapprentata nella nuova base:
N = PC i S
(5.10)
dove N sono gli spettri rappresentati nella nuova base.
Per il j-esimo spettro si ha:
N
N j = ∑ N ij ⋅ PCi
(5.11)
i =1
La sommatoria (5.11) è su tutti gli N elementi del vettore della j-esima componente
principale ma è possibile arrestarsi prima, per esempio quando il valore residuo è pari
all'errore presente sugli spettri.
A ciascun autovalore è associata una grandezza che esprime percentualmente quanta
parte di covarianza esso rappresenta; per l'i-esimo autovalore si ha:
S Λ i = Si =
Λi
⋅100
j=M
∏Λ
(5.12)
j
j =1
dove la produttoria della (5.12) considera solo gli autovalori non nulli.
Per la (5.12) Si corrisponde al rapporto, espresso in percentuale, tra il volume
dell'autospazio associato all'i-esimo autovalore e il volume complessivo associato allo
spazio della covarianza.
4.2.2
RAPPRESENTAZIONE GEOMETRICA
Un generico spettro rappresentato in forma vettoriale può essere descritto come un
punto in uno spazio N-dimensionale, dove N è il numero dei canali dello spettro. Per un
insieme di M spettri si hanno M punti ciascuno individuato da N coordinate.
La distanza del j-esimo spettro da una generica direzione nello spazio a N-dimensioni è:
i=N
d ( S j , Lk ) =
Pj ⋅ Lk
Lk
=
∑P ⋅L
i =1
ij
i=N
(5.13)
∑L
i =1
(
ik
2
ik
)
dove L j = S j ,1 ;
dove Lk rappresenta una generica direzione nello spazio.
La somma delle distanze di tutti gli M spettri misurati dalla direzione k-esima dalla
(5.13) è:
43
i= N
( )
d S , Lk =
j =M
∑ d ( S j , Lk ) =
j =1
j=M
Pj ⋅ Lk
j =1
Lk
∑
=
j=M
∑
∑P ⋅L
i =1
j =1
ij
i=N
ik
(5.14)
∑L
i =1
2
ik
Nella Figura 4-2 è rappresentato un esempio tridimensionale.
λ3
Spettri diversi
λ2
λ1
Generica direzione
Figura 4-2: Esempio tridimensionale.
La prima componente principale corrisponde alla direzione rispetto alla quale la
distanza di tutti gli spettri è minima, ossia è determinata ricavando i coefficienti della k-
( )
esima direzione che minimizzano d S , Lk , la direzione così determinata è quella
corrispondente a PC1. La seconda componente principale è calcolata cercando il minimo
rispetto ad una generica direzione scelta però nel sottospazio N-1 dimensionale
ortogonale alla prima componente:
( ( ))
min d S , L

2

 L2 ⋅ PC1 = 0
(5.15)
In questo modo vengono individuati i coefficienti che individuano la seconda
componente principale PC2.
La terza componente è cercata tra le direzioni ortogonali alle prime due e così via, per la
generica k-esima componente si ha:
44
( ( ))
min d S , L
k


 Lk ⋅ PC1 = 0

 Lk ⋅ PC2 = 0
…

 Lk ⋅ PCk −1 = 0

(5.16)
Determinata l'ultima componente si ha una nuova base ortogonale in cui rappresentare
gli spettri. L'origine della nuova base è nel baricentro dei punti che rappresentano gli
spettri e le direzioni sono le componenti principali stesse.
4.2.3
INTERPRETAZIONE DELLE COMPONENTI PRINCIPALI
La nuova rappresentazione degli spettri è costruita in modo da concentrare su PC1 la
maggior varianza possibile tra gli spettri, su PC2 il massimo della varianza residua e
così via e produce due risultati utili all’analisi dei dati: diminuisce la quantità di dati che
è necessario considerare, permette di distinguere più facilmente gli spettri tra loro
attraverso le proiezioni sui primi elementi della nuova base.
Il primo risultato è comunque apprezzabile poiché diminuisce la memoria necessaria per
conservare ed analizzare i dati anche se con le moderne potenzialità dei PC non è una
condizione indispensabile.
Il secondo risultato è quello che rende le PCA vantaggiose per l’analisi dei dati anche se
i risultati prodotti debbono essere attentamente verificati e valutati. Le componenti
principali non hanno di per sé un proprio significato fisico, il loro andamento è infatti
determinato dagli spettri e non è riferito ad un campionario di “firme spettrali” note a
priori. Inoltre l’analisi statistica della varianza può in una regione spettrale
rappresentare una caratteristica di alcuni spettri mentre in un’altra regione spettrale una
caratteristica di altri spettri e quindi aggregare comportamenti diversi. Questo impone
quindi una attenta verifica delle aree di spettri simili individuate. La selezione
dell’intervallo spettrale in cui applicare la PCA condiziona il risultato, ossia la capacità
del sistema di componenti principali di separare effettivamente gli spettri. Di contro un
intervallo spettrale troppo ristretto, a cui quindi corrispondono pochi canali, riduce il
numero dei dati su cui è applicato il metodo statistico e quindi ne limita la
significatività.
45
4.2.4
PROPAGAZIONE DELL’ERRORE NELLA PCA
La PCA è stata sviluppata, storicamente, per la trasmissione di immagini al fine di
comprimere la grande quantità di informazione da trasferire e poca attenzione è stata
dedicata alla propagazione dell’errore associato all’algoritmo. Il principio scelto è
quello di arrestare lo sviluppo fino ad un numero di componenti tale per cui la
differenza tra gli spettri originali e quelli ricostruiti è dell’ordine dell’errore stesso. Per
quanto questo principio trovi fondamento non è però vero che tutta l’incertezza vada a
concentrarsi sulle componenti trascurate e quelle considerate siano invece prive di
errore; quindi arrestarsi ad un determinata componente comporta sia la perdita di una
parte dell’informazione utile sia la conservazione di una parte dell’errore nelle
componenti considerate.
Al fine di svolgere una trattazione formale dell’errore la procedura operativa per la PCA
può essere suddivisa in tre fasi:
•
calcolo della matrice di covarianza;
•
determinazione degli autovalori e degli autovettori della matrice di covarianza;
•
proiezione della matrice S nella nuova base.
Dalla definizione della covarianza tra due vettori (5.6) si ottiene:
(
∆ cov(vi , v j ) = (∆vi ) ⋅ v j − v j
) + (∆v )⋅ (v − v )
j
i
(5.17)
i
dove ∆v esprime l’incertezza relativa a v .
Alla matrice di covarianza può quindi essere associata la matrice che esprime l’errore
sulle singole covarianze. Questa matrice è costruita con la medesima convenzione della
matrice di covarianza ed è indicata con ∆C .
La determinazione degli autovalori, che coincide con la ricerca delle radici di un
polinomio (il polinomio caratteristico) di grado uguale al numero dei canali su cui sono
individuate le componenti principali, non è possibile in forma analitica. Per determinare
la propagazione dell’errore è necessario derivare l’espressione implicita dell’equazione :
det(C − λ ⋅ I ) = 0 ⇒ ∑1 f j ⋅ λ j = 0
M
(5.18)
dove λ sono gli autovalori, I la matrice identica di ordine M e f j corrisponde alla
somma di tutti i minori principali di ordine M − j presi con il segno (− 1)
M−j
Dalla (5.18) si ha:
46
.
∑ df
⋅ dλ = 0 ⇒ dλ = −
∑ j⋅ f
M
∑
M
1
df j ⋅ λ + ∑1 j ⋅ f j ⋅ λ
M
j
j −1
1
M
1
j
⋅λj
j −1
j ⋅λ
(5.19)
che può esser scritta nella forma:
− λj
M
dλ = ∑
1
∑
M
j ⋅ f j ⋅ λ j −1
1
⋅ df j
(5.20)
e passando dalla forma differenziale alle differenze finite:
− λj
M
∆λ = ∑
1
∑
M
j ⋅ f j ⋅ λ j −1
1
⋅ ∆f j
(5.21)
dove ∆λ è l’errore associato all’autovalore λ e ∆f j quello associato a f j .
La (5.21) può essere utilmente riscritta come:
∆λ = ∑
1
∑
M
1
j ⋅ f j ⋅λ
∑ λ ⋅ ∆f
=
∑ j ⋅ f ⋅λ
M
λj
M
j −1
⋅ ∆f j
j
1
M
1
j
j −1
(5.22)
j
La (5.22) vale per tutti gli autovalori e pertanto per il k-esimo degli M autovalori si ha:
∑ λ
=
∑ j⋅ f
M
∆λk
1
j
k
M
1
j
⋅ ∆f j
⋅ λk
j −1
(5.23)
dove l’errore sui coefficienti del polinomio caratteristico ∆f j rimane invariato perché
dipende dall’errore associato ai valori della matrice di covarianza.
L’errore sui coefficienti del polinomio caratteristico, ∆f j , dipende dalle matrici C e
∆C ed è una combinazione dei coefficienti.
Nell’equazione agli autovettori, la i-esima componente del k-esimo autovettore è:
(PCk )i =
C ki
C
(5.24)
dove C ki rappresenta una matrice costruita con la sostituzione della i-esima colonna
della matrice C con un vettore colonna i cui elementi sono tutti uguali all’autovalore
λk e dove PC rappresenta la matrice degli autovettori che corrisponde alla matrice
delle componenti principali. Il k-esimo autovettore corrisponde quindi alla k-esima
componente principale e rispetto alla matrice PC vale la notazione (PC k )i = PC ki .
Dalla (5.24) si ottiene:
47
C ki
∂
⋅ ∆(cki )lm
∂ (cki )lm C
l =M m=M
∆(PC k )i = ∑ ∑
l =1 m =1
(5.25)
dove anteponendo la ∆ è stata indicata l’incertezza della grandezza corrispondente e
dove rispettivamente i pedici l ed m rappresentano il numero di riga e di colonna.
Dalla (5.25) consegue:
l =M m=M
∆(PC k )i = ∑ ∑
l =1 m =1
m ≠i
(Cki )lm ⋅ C − Clm ⋅ Cki
C
2
l =M
(Cki )li
l =1
C
⋅ ∆clm + ∑
⋅ ∆λ k
(5.26)
dove le coppie di pedici lm e li della matrice di covarianza indicano il minore
corrispondente (ossia quello ottenuto sopprimendo la l-esima riga e rispettivamente la
m-esima e la i-esima colonna) e dove è stato considerato che l’errore, sulla colonna i cui
elementi sono sempre l’autovalore, è conseguentemente costante ed uguale all’errore
dell’autovalore stesso.
La (5.26) è stata ottenuta separando il contributo della dipendenza diretta dai
coefficienti della matrice di covarianza e quella dagli autovalori che comunque a loro
volta dipendono dalla matrice di covarianza.
Alla matrice delle componenti principali PC è quindi possibile associare una matrice i
cui elementi rappresentano l’errore delle componenti principali:
∆ PC = {(∆ PC k )i } = {∆ PC ki }
(5.27)
dove si ha una corrispondenza tra ciascun elemento della matrice PC e l’elemento
posto nella stessa posizione della matrice ∆PC .
Infine la proiezione della matrice degli spettri nella nuova base e l’errore associato
sono:
N = S ⋅ PC
(5.28)
∆N = S ⋅ ∆PC + ( ∆S ) ⋅ PC
(5.29)
La (5.29) espressa in forma vettoriale per l’i-esimo elemento del j-esimo spettro nella
nuova rappresentazione è:
∆nij = ∆sij ⋅ PCij + sij ⋅ ∆PCij
(5.30)
Al momento non esistono algoritmi che sfruttano questa trattazione formale per il
calcolo dell’errore.
48
4.3
MAPPE TEMATICHE
L'acquisizione di una immagine iperspettrale permette l'elaborazione di mappe
tematiche in cui è rappresentata spazialmente una caratteristica del monumento di
interesse. L'elaborazione delle mappe tematiche prevede quindi l'analisi dello spettro e
l'estrapolazione di un valore che presenta la grandezza che esprime la caratteristica
ricercata. L'estrapolazione della grandezza può risultare agevole nel caso in cui, per
esempio, si cercano le aree in cui sono presenti biodeteriogeni su di una superficie
omogenea. In questo caso il rapporto tra l'area sottesa nella banda di fluorescenza dei
pigmenti fotosintetici e quello di un'area contigua in cui non si ha fluorescenza dei
pigmenti permette di associare a ciascun punto misurato un valore che esprime
relativamente la quantità di biodeteriogeno presente. Più complessa è l'estrapolazione di
un’informazione nel caso in cui, per esempio, il substrato lapideo è assai disomogeneo,
caratteristica di alcuni monumenti specie in presenza di arenarie. Queste sono le
circostanze in cui è indispensabile l'impiego della statistica multivariata.
La Figura 4-3 raffigura un breve schema della ricostruzione di una mappa tematica a
partire dall'acquisizione di un’immagine iperspettrale sul monumento. Ciascuno spettro
della matrice cubica ottenuta dal controllo spaziale del bersaglio viene analizzato e
convertito in un numero. La matrice così ottenuta è poi accoppiata ad una scala in falsi
colori o in toni di grigio e rappresentata. Nel caso delle PCA si realizzano
contemporaneamente più mappe tematiche, una per ogni componente o combinazione
delle componenti trovate che hanno una interpretazione fisica. In questo modo si
possono originare diverse mappe che esprimono diverse caratteristiche di interesse.
La scelta della scala in falsi colori può permettere la rappresentazione della proiezione
degli spettri su più componenti principali, in particolar modo sfruttando la
rappresentazione RGB dei colori è possibile mostrare nella stessa immagine il
contributo di tre componenti, una con il canale rosso, una con il canale verde ed una con
quello blu.
49
Laser spot
MONUMENTO
MAPPA TEMATICA
Intensità
Spettro
400
450
500
550
600
650
700
Lunghezza d'onda (nm)
MATRICE
SPETTRO
Figura 4-3: schema della realizzazione di una mappa tematica
4.4
SOFTWARE PER L’ANALISI DEI DATI
I programmi per l’analisi dei dati sono stati appositamente sviluppati in ambiente
Matlab della MathWorks. La principale problematica affrontata è stata la necessità di
analizzare simultaneamente una grande quantità di spettri al fine di produrre mappe
tematiche. Gli spettri possono avere una notevole varietà tra loro proprio in relazione
alle caratteristiche del bersaglio. In luogo di una osservazione ed analisi puntuale del
bersaglio, che coinvolge un ordine di grandezza di 102 spettri si è passati ad una analisi
che coinvolge dai 103 ai 104 spettri. Un’altra problematica affrontata ha riguardato la
presentazione dei risultati ed in particolare delle mappe tematiche con l’attenzione allo
sviluppo della possibilità di calibrare la scala in falsi colori in relazione alle
50
caratteristiche rappresentate. Questa problematica diviene di grande rilievo quando si
pensi di fornire un dato fruibile non solo dalla comunità scientifica ma più in generale ai
responsabili ed agli operatori del restauro e della conservazione. La necessità di
sviluppare un programma che permettesse una facile interazione e la possibilità di
individuare ed agire immediatamente con le grandezze fisiche di interesse per l’analisi
dei dati ha, inoltre, suggerito la realizzazione di un ambiente grafico finalizzato a
mantenere sotto controllo tutti i parametri di interesse e una rappresentazione dinamica
dei risultati in relazione all’impostazione dei parametri stessi. Questa interfaccia grafica
permette un analisi dei dati in tempo quasi reale ed è costruita nella prospettiva di un
intervento diretto nella misura con il fine quindi di poter realizzare un feedback tra i
risultati e l’impostazione dei parametri che definiscono la misura.
Figura 4-4: Finestra principale del programma di gestione di analisi dei dati.
La Figura 4-4 presenta la finestra principale del programma realizzato per la gestione
dell’analisi dei dati. Sulla sinistra in altro vi sono i comandi relativi alla gestione dei file
degli spettri. Il menu popup permette di selezionare l’insieme dei dati di interesse (nel
caso specifico quelli realizzati mediante l’eccitazione del bersaglio a 300 nm), mentre il
51
tasto LLOAD carica la matrice cubica degli spettri ed alcuni file accessori tra i quali
quelli della calibrazione relativa alla configurazione in cui sono stati raccolti i dati. Altri
comandi permettono l’applicazione di un filtro di tipo polinomiale agli spettri e la
normalizzazione degli spettri stessi. La sezione sottostante è quella che permette di
selezionare due intervalli spettrali e stabilire quali operazioni sono realizzate su di esse.
La sezione mostra uno spettro come esempio dalla matrice cubica degli spettri e, in
maniera dinamica rispetto alle relative slider sottostanti, i confini delle regioni spettrali.
In ciascuna regione spettrale è poi possibile eseguire le seguenti operazioni tra gli
spettri: calcolo dell’area (Area), ricerca del valore massimo (Max), calcolo del valore
medio (Mean). E’ possibile anche l’analisi delle componenti principali (PCA) la cui
modalità sarà descritta in seguito. in questo modo dalla matrice cubica degli spettri è
ricavata una matrice quadrata i cui elementi sono il risultato dell’esecuzione
dell’operazione scelta (Area, Max o Mean) nell’area selezionata (definita dalle slider
che controllano le due linee verticali che ne indicano i confini negli assi in cui è
rappresentato lo spettro). La matrice quadrata è poi rappresentata nella sezione centrale
ed origina la mappa tematica presentata nella sezione centrale della finestra, in alto la
mappa definita dall’intervallo selezionato dalle slider nell’area rossa della sezione di
sinistra, in basso quella riferita alle slider in area celeste. Due slider per ciascuna mappa
permettono il controllo dei livelli di saturazione della scala in falsi colori che è
rappresentata a fianco. La scelta dei livelli di saturazione della scala a falsi colori
permette di scegliere quale intervallo di variabilità rappresentare, non è ovviamente
significativo espandere la rappresentazione di un intervallo in modo che il
campionamento in falsi colori sia più fine dell’errore ad essa associato. Nella sezione di
destra si ha in alto un sistema di assi cartesiani nel quale rappresentare il rapporto tra le
due matrici da cui sono ricavate le due mappe tematiche della sezione centrale, sotto vi
è l’associato sistema di controllo dei livelli di saturazione della scala in falsi colori. E’
questa la mappa tematica che presenta il dato di interesse scientifico: nel caso in
esempio, il rapporto tra gli intervalli sottesi in due distinte aree. In questa sezione il
tasto “Plot Ratio” è quello che genera la mappa tematica del rapporto, il tasto “New
Figure” permette di riprodurla in una finestra autonoma dopo aver selezionato i livelli di
saturazione voluti al fine della stampa, del salvataggio o dell’esportazione. Infine, il
tasto “Select Point” avvia una routine interattiva di selezione grafica di un punto della
52
mappa tematica che, selezionato, genera un’autonoma figura che presenta lo spettro
associato al pixel scelto. La sezione sottostante è nuovamente associata alla PCA.
Figura 4-5: Finestra principale, analisi delle componenti principali.
La Figura 4-5 riporta la finestra principale del programma per il controllo della PCA. In
questo caso nella sezione in basso a sinistra è scelta l’opzione “PCA” e i due sistemi di
assi centrali raffigurano l’andamento delle prime cinque componenti principali
nell’intervallo selezionato. Nel sistema di assi a destra invece la mappa tematica
raffigurata è realizzata attraverso la proiezione su di una della 10 componenti
disponibili, 5 nel primo intervallo e 5 nel secondo intervallo, la proiezione è selezionata
scegliendo dai tasti nelle due aree rossa e celeste. Nel caso in esempio è mostrata la
proiezione su PC2 calcolata nel secondo intervallo. Ai pulsanti è associata una stringa
che appare al passaggio del puntatore e presenta la percentuale di varianza proiettata
sulla componente associata.
Ai tasti “More PCA”, “Five PCA”, “Extended PCA” è associata l’apertura di specifiche
finestre che gestiscono altre sezioni della PCA. Le finestre successive operano a partire
dai parametri impostati nella finestra principale ed in particolare dal sistema di
53
componenti principali e di relative proiezioni calcolato. Il tasto “Close” chiude la
finestra e salva su disco i risultati ed i parametri dell’elaborazione in una specifica
variabile (richiamabile successivamente in Matlab per altre elaborazioni), le
impostazioni correnti e le elaborazioni generate sono comunque salvate dopo ogni
comando.
Figura 4-6: Finestra “More PCA” del programma di gestione dei dati.
La Figura 4-6 presenta la finestra attivata dal tasto “More PCA” della finestra
principale. Le mappe tematiche al centro sono controllate dai tasti alla loro sinistra
attraverso cui viene scelta quale proiezione presentare in ciascuna delle due mappe, la
sezione di destra permette infine di presentare il rapporto tra le due mappe (e quindi tra
le due proiezioni). Sopra la mappa è possibile rappresentare la fotografia del bersaglio
per permettere un rapido confronto dei risultati.
La Figura 4-7 presenta la finestra attivata dal tasto “Extended PCA” della finestra
principale. La parte superiore della finestra presenta separatamente la proiezione su
PC1, PC2 e PC3 degli spettri. La prima componente è associata ad una scala cromatica
rossa, la seconda ad una scala verde, la terza ad una scala cromatica blu. I livelli di
54
saturazione di ciascuna scala cromatica possono essere gestiti autonomamente ed il
risultato RGB composto è presentato nella mappa tematica in basso a destra.
Figura 4-7: Finestra “Extended PCA” del programma di gestione dei dati.
Questa finestra è quella che permette di presentare simultaneamente l’informazione
contenuta in tre componenti principali. In essa non è presente alcuna associazione ad
una scala in falsi colori poiché la scala risultante è un terna di valori ed occorrerebbe
dunque un cubo per rappresentarla. Il controllo indipendente delle scale cromatiche
associate a ciascuna delle tre proiezioni permette di gestire nel modo più duttile
possibile la rappresentazione dei risultati.
La Figura 4-8 presenta la finestra attivata dal tasto “Five PCA” della finestra principale.
Questa sezione del programma è stata sviluppata specificatamente per la realizzazione
di mappe tematiche e l’analisi degli spettri ottenuti sfruttando diverse lunghezze d’onda
di eccitazione sul bersaglio. Per ciascuna lunghezza d’onda di eccitazione è
rappresentato uno spettro e le slider permettono di selezionare l’intervallo spettrale in
cui eseguire la PCA. Per ciascuna lunghezza d’onda di eccitazione si procede poi alla
PCA e alla scelta delle componenti da utilizzare nel proseguo dell’analisi. Il colore
55
rosso nel titolo dei relativi assi mostra che la PCA è stata già applicata per gli spettri
della relativa lunghezza d’onda di eccitazione. L’analisi delle PCA e la selezione delle
componenti di interesse è realizzata mediante le finestre richiamate dai tasti
“Exc. 250 nm”, “Exc. 280 nm”, etc.
La Figura 4-9 presenta una delle subroutine chiamate da “Five PCA” per la scelta delle
componenti principali da utilizzare. La finestra mostra in alto al centro l’andamento
delle prime cinque componenti calcolate nell’intervallo selezionato e poi le cinque
mappe tematiche ottenute dalla proiezione su ciascuna componente. Accanto alla mappa
è presentato anche la percentuale della varianza descritta dalla componente. Sotto
ciascuna mappa è presenta l’opzione da selezionare per includere la componente stessa
nella fasi successive dell’analisi.
La fase successiva dell’analisi consiste nella creazione di una mappa tematica che
rappresenti sinteticamente quanto selezionato per le distinte eccitazioni, in particolare
viene creata una variabile in cui sono sommate in quadratura le proiezioni sulle distinte
componenti selezionate ed i valori sono presentati nella mappa tematica attivata con
“Total PCA Map” ed è presentata in Figura 4-10.
Figura 4-8: Finestra “Five PCA” del programma di gestione dei dati.
56
Figura 4-9: Finestra “Exc. 300 nm” della subroutine “Five PCA”.
Figura 4-10: Finestra “Total PCA Map” della subroutine “Five PCA”.
57
L’ulteriore routine chiamata “Mixed PCA Map” avrà il ruolo di procedere ad una
ulteriore analisi delle componenti principali applicata sul sistema di dati ottenuto
mediante le analisi precedenti (ossia sulle sole componenti selezionate) e non è
utilizzata per i dati presentati in questo lavoro.
58
5
5.1
ERRORE SPERIMENTALE
SORGENTI DI ERRORE
L’errore sperimentale delle misure realizzate con i sensori utilizzati nelle misure
presentate in questo lavoro è originato dal sistema di rivelazione, sia per il processo di
conversione tra fotoni ed elettroni e l’eventuale moltiplicazioni dei fotoni stessi sia per
il procedimento di lettura delle cariche accumulate. La riproducibilità della misura è poi
dipendente anche dalla stabilità dell’energia dell’impulso laser, parametro che diviene
sempre meno significativo all’aumentare del numero degli spari.
Altri fattori che intervengono sono ovviamente relativi alla variazione del cammino
ottico, ossia del percorso della radiazione tra il bersaglio ed il sensore. Fissata la
distanza del sensore dal bersaglio, ogni sessione di misure è realizzata in condizioni
pressoché stazionarie e quindi queste variabilità può essere trascurata ed è comunque
assai inferiore all’incertezza introdotta dal procedimento di misura della radiaizone
retrodiffusa.
La conversione dei fotoni in elettroni e la moltiplicazione degli elettroni sono fenomeni
descritti dalla distribuzione di Poisson. Le variabili che contribuiscono maggiormente a
questo errore sono la temperatura e la durata del tempo di esposizione.
5.2
ERRORE SU CIASCUN SPETTRO ACQUISITO
Per il sensore FLIDAR3 la procedura di acquisizione degli spettri prevede la somma di
coppie di scansioni. Ciascuna coppia di scansione prevede un’acquisizione del segnale
retrodiffuso in conseguenza dell’eccitazione dovuta all’impulso laser ed una scansione
del background. Per un coppia di scansioni si ha quindi un segnale così composto:
C = ( Ci + b ) −
Prima scansione
( B + b)
= Ci − B
(6.1)
Seconda scansione
dove Ci sono i conteggi effettivi dovuti alla fluorescenza del bersaglio;
dove b sono i conteggi introdotti dall’elettronica;
dove B sono i conteggi effettivi del background.
La (6.1) è scritta nell’ipotesi in cui i conteggi introdotti dall’elettronica siano i medesimi
nelle due scansioni. Questa ipotesi è però inesatta ed introduce sul segnale C una
59
incertezza che deve essere considerata nel determinarne l’incertezza associata. Dalla
(6.1) si ha:
∆C = σ C2i + σ B2 + 2σ b2
(6.2)
dove σ indica l’errore associato alle grandezze fisiche.
Nella (6.2) l’errore associato al numero dei conteggi è di tipo poissoniano, mentre
l’errore introdotto dall’elettronica segue la distribuzione di Gauss ed è determinato per
via sperimentale. Dalla (6.2) si ottiene quindi:
∆C = Ci + B + 2σ b2
(6.3)
Nelle condizioni sperimentali con un temperatura di 20°C e per un tempo d’integrazione
di 20 ms sia ha b=123±5 conteggi.
Dalla (6.3) per un insieme di n coppie di scansioni, tutte tra loro indipendenti, si ottiene:
S = n ⋅ ( Ci + b ) − n ⋅
Prima scansione
( B + b)
= Si − n ⋅ B
(6.4)
Seconda scansione
∆S = n ⋅ Ci + n ⋅ B + 2n ⋅ σ b2 = Si + n ⋅ B + 2n ⋅ σ b2
(6.5)
dove Si è il valore di conteggi effettivi da attribuire al bersaglio ed S sono i conteggi
misurati.
Dalla (6.4) e dalla (6.5) si ricavano il numero dei conteggi da attribuire al bersaglio e
l’errore ad essi associato:
Si = S − n ⋅ B
(6.6)
∆Si = S + n ⋅ B + 2n ⋅ σ b2
(6.7)
S + n ⋅ B + 2n ⋅ σ b2
S − n⋅B
(6.8)
e l’errore relativo:
∆Si
=
Si
La Figura 5-1 riporta l’andamento dell’errore sul numero assoluto dei conteggi
nell’ipotesi in cui lo spettro sia ottenuto dalla somma di 50 coppie di scansioni e dunque
vi siano 50 impulsi laser. Gli altri valori impostati sono 1000 conteggi per il background
e da 1000 a 10000 conteggi ottenuti dal bersaglio eccitato per ciascuna scansione.
L’incertezza sul numero dei conteggi è rappresentata in funzione dei conteggi misurati
dai quali quindi è già stato sottratto il backgruond. L’errore relativo percentuale è
riportato nella Figura 5-2. Le incertezze che si ottengono in queste condizioni
60
caratteristiche di esercizio sono modeste. Nella Figura 5-3 è, invece, riportato
l’andamento percentuale al variare del numero degli impulsi sommati. Quando il
numero dei conteggi effettivi (ossia la differenza tra quelli prodotti dal segnale e quelli
prodotti dal background) di ciascuno impulso è almeno pari al valore del background
stesso l’errore percentuale è già dell’1% anche per un solo impulso.
800
Errore (conteggi)
700
600
500
400
300
200
0
0.5
1
1.5
2
2.5
Conteggi misurati
3
3.5
4
4.5
5
x 10
Figura 5-1: Esempio di andamento dell’errore sugli spettri in funzione dei conteggi.
La Figura 5-4 riporta l’andamento percentuale all’aumentare del numero degli impulsi
quando il segnale prodotto dal bersaglio è al più superiore del 10% di quello del
background. In queste condizioni, che rappresentano le condizioni peggiori di esercizio
del sensore, l’incremento del numero degli impulsi è necessario per migliorare il
rapporto segnale-rumore. Con appena 60 conteggi di differenza tra il bersaglio ed il
background è necessario acquisire il segnale prodotto da almeno 50 impulsi per avere
un errore relativo del 10%.
Nelle condizioni operative il rapporto segnale-rumore è migliorabile aumentando il
numero degli spari, azione che però aumenta il tempo complessivo della misura. Per
l’acquisizione delle immagine multispettrali necessarie per ricostruire le mappe
tematiche un raddoppio del numero degli impulsi porta all’incirca ad un raddoppio della
durata complessiva della misura, in questa circostanza è ancor più importante che il
61
rapporto segnale-rumore di ciascuna acquisizione sia sufficientemente buono e permetta
di ridurre il numero degli impulsi.
3
10
2
Errore relativo (%)
10
1
10
0
10
0
0.5
1
1.5
2
2.5
Conteggi misurati
3
3.5
4
4.5
5
x 10
Figura 5-2: Errore relativo percentuale sugli spettri.
4
10
n=1
n=5
n=1
n=2
n=4
n=5
n=10
3
Errore relativo (%)
10
2
10
1
10
0
10
-1
10
100
200
300
400 500 600 700 800
Conteggi singolo impulso
900
1000
Figura 5-3: Errore relativo percentuale all’aumento del numero degli impulsi
62
4
10
n=1
n=5
n=10
n=20
n=40
n=50
n=100
3
Errore relativo (%)
10
2
10
1
10
0
10
1000
1020
1040
1060
Conteggi singolo sparo
1080
1100
Figura 5-4: Errore relativo percentuale all’aumento del numero degli impulsi
63
6
ESPERIMENTO LIDAR PER IL RICONOSCIMENTO DEI
LITOTIPI
L'esperimento LIDAR per il riconoscimento dei litotipi è stato condotto presso il Lund
Laser Centre ed ha avuto per oggetto misure di fluorescenza su di una tabellone allestito
con diversi campioni lapidei. I campioni scelti per comporre il bersaglio sono sia pietre
(marmi, calcari, arenarie), calci (cemento, malta pozzolanica, malta aerea) ed ematite.
Le misure sono state realizzate con il sensore LIDAR a scansione.
Gli obiettivi dell'esperimento sono stati:
-
il confronto tra diverse lunghezze d'onda di eccitazione;
-
la caratterizzazione dei campioni lapidei ed in particolar modo la possibilità di
realizzare mappe tematiche di un bersaglio composito per evidenziare i diversi
litotipi;
-
la caratterizzazione delle malte ed un contributo allo sviluppo di una metodologia
per il loro riconoscimento.
La Figura 6-1 rappresenta la disposizione dei campioni nel bersaglio, la descrizione dei
campioni è riportata in Tabella 6-I. I campioni sono disposti su di una tavola di legno
coperta con un panno nero.
Figura 6-1: Descrizione del bersaglio.
64
Tabella 6-I: descrizione del bersaglio.
N.
Etichetta
Nome
Descrizione
Colore
1
BOV1
Rosso Veronese, Nembro
Calcare
rosa
2
SIE1
Arenaria Pliocenica Siena
Arenaria
marrone - giallo
3
ROS
Rosso Veronese, Rosa Corallo
Calcare
rosa
4
BOV2
Rosso Veronese, Nembro
Calcare
bianco
5
BOV4
Rosso Veronese, Corso Mezzo Brocato
Calcare
rosso
6
ASIA
Rosso Veronese, Asiago
Calcare
rosa
7
FIR
Arenacea Marnosa Firenze
Arenaria
grigio
8
M2
Malta pozzolanica
Malta
grigio
9
BON1
Rosso Veronese, Brocato
Calcare
rosso
10
BOV5
Rosso Veronese, Corso Grosso
Calcare
rosso
11
ASIC
Rosso Veronese, Rosso Magnaboschi
Calcare
rosso
12
SIE3
Arenaria Pliocenica Siena
Arenaria
marrone - giallo
13
BOV3
Rosso Veronese, Nembro
Calcare
giallo
14
ASIB
Rosso Veronese, Corso Bianco
Calcare
bianco
15
SCA1
Scaglia, Scisto
Calcare
rosso
16
110EMAT
Formazione ferrosa
rosso
17
M1
Ematite
Malta aerea
Malta
grigio
18
MSI1
Marmo della Montagnola Senese
Marmo
bianco rossiccio
19
MOC3
Rosso Veronese, Roan
Calcare
rosa - verde
20
SIE2
Arenaria Pliocenica Siena
Arenaria
marrone - giallo
21
MOC1
Rosso Veronese, Mandorlato
Calcare
verde - giallo
22
MSI2
Marmo della Montagnola Senese
Marmo
bianco - grigio
23
MOC2
Rosso Veronese, Corso Rigato
Calcare
giallo - verde
24
MCA
Marmo di Carrara
Marmo
bianco
25
M3
Cemento Portland
Malta
grigio
I campioni scelti sono così suddivisi:
-
13 campioni di rosso veronese provenienti da più cave e con diverse caratteristiche
litologiche;
-
3 campioni di marmo, uno di Cararra e due della montagnola senese;
-
3 campioni di arenaria, due provenienti dalla regione di Siena e uno da quella di
Firenze;
-
3 campioni di malte diversi tra loro per modalità di realizzaizone;
-
1 campione di scaglia;
-
1 campione di ematite.
65
La distanza dei campioni dal sensore era di circa 50 m e sono state utilizzate cinque
differenti lunghezze d'onda di eccitazione (250 nm, 280 nm, 300 nm, 330 nm, 399 nm)
ottenute mediante il sistema OPO del lidar. Queste lunghezze d'onda permettono di
coprire, compatibilmente con le possibilità dell’OPO/D, l'intero intervallo utile per
l'eccitazione della fluorescenza delle pietre.
Le caratteristiche delle diverse configurazioni di misura sono riportate nella Tabella
6-II.
Tabella 6-II: configurazioni di misura
ECCITAZIONE
lunghezza
d'onda
250 nm
280 nm
300 nm
330 nm
399 nm
energia
4 mJ
4 mJ
5 mJ
5 mJ
3.5 mJ
RIVELAZIONE
filtro
260 nm
260 nm
305 nm
335 nm
420 nm
range
spettrale
245-555 nm
245-555 nm
314-624 nm
335-645 nm
428-739 nm
INFORMAZIONI
COMUNI
Diametro dello spot:
2 cm.
Passo: 3 cm x 3 cm.
Distanza: 50 m.
Numero spari: 6.
La scansione del bersaglio è stata realizzata per righe, a ciascuno spettro è sottratto uno
spettro di background calcolato mediando 200 acquisizioni realizzate prima dell'inizio
della scansione. Le cinque diverse scansioni, una per ciascuna lunghezza d'onda di
eccitazione, sono realizzate riposizionando il primo punto della scansione stessa nella
medesima posizione del bersaglio, compatibilmente con l'incertezza del sistema di
puntamento.
6.1
CARATTERIZZAZIONE DEI LITOTIPI E DELLE MALTE
La Figura 6-2 mostra gli spettri acquisiti sul campione BOV1. I valori misurati sono
normalizzati al massimo per verificare la riproducibilità delle misure stesse. Lo spettro
dei campioni mostra una banda principale di fluorescenza centrata attorno ai 450 nm,
una variazione della pendenza nella regione di salita della banda si osserva nelle figure
(b), (c) e (d) ed indica un contributo di minor intensità attorno ai 400 nm, un ulteriore
contributo è osservabile nella figura (c) ed è posizionato a circa 370 nm. Infine
l'eccitazione a 399 nm permette di osservare un ulteriore contributo tra i 620 nm e i
630 nm. Il picco di fluorescenza a 280 nm della Figura 6-2 (b) è la riflessione del laser
non tagliata dal filtro.
66
(b) Eccitazione: 280 nm
1
1
0.8
0.8
Intensità (a.u.)
Intensità (a.u.)
(a) Eccitazione: 250 nm
0.6
0.4
0.2
0
250
0.6
0.4
0.2
300
350
400
450
500
Lunghezza d'onda (nm)
0
250
550
300
1
1
0.8
0.8
Intensità (a.u.)
Intensità (a.u.)
500
(d) Eccitazione: 330 nm
(c) Eccitazione: 300 nm
0.6
0.4
0.2
0
350
400
450
Lunghezza d'onda (nm)
0.6
0.4
0.2
350
400
450
500
550
Lunghezza d'onda (nm)
0
600
350
400
450
500
550
Lunghezza d'onda (nm)
600
(e) Eccitazione: 399 nm
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 6-2: Spettri del campione BOV1. (a) Eccitazione a 250 nm, (b) Eccitazione a
280 nm, (c) Eccitazione a 300 nm, (d) Eccitazione a 330 nm, (e) Eccitazione a 399 nm.
La Figura 6-2 comprova complessivamente una buona riproducibilità delle misure
realizzate sui campioni e la possibilità di evidenziare per i litotipi un proprio spettro
67
caratteristico. E' opportuno osservare che il campione BOV1 è una calcarenite che ha
quindi, come i marmi, una alta intensità di fluorescenza.
La Figura 6-3 e la Figura 6-4 presentano gli spettri acquisiti su un medesimo punto,
rispettivamente, del campione MCA di Marmo di Carrara e del campione MSI1 di
Marmo della Montagnola Senese. I diversi spettri rappresentati corrispondono alle
cinque lunghezza d'onda di eccitazione del bersaglio. I valori misurati sono stati
normalizzati al massimo valore dell'intervallo 420 - 480 nm.
Pixel 16.40
Eccitazione: 250 nm
Eccitazione: 280 nm
Eccitazione: 300 nm
Eccitazione: 330 nm
Eccitazione: 399 nm
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
300
400
500
600
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 6-3: Spettri del campione MCA (Marmo di Carrara), valori normalizzati.
Gli spettri hanno tre bande di fluorescenza centrate rispettivamente a 370 nm, 440 nm e
470 nm. L'intensità relativa di questi contributi dipende dalla lunghezza d'onda di
eccitazione e dalle caratteristiche del campione. In particolare il contributo attorno a 370
nm, particolarmente evidente con l'eccitazione a 300 nm, è di maggiore intensità per il
marmo di Carrara e può essere utilizzato come uno strumento per identificare questo
tipo di pietra. Similmente per la lunghezza d'onda di eccitazione di 399 nm nel marmo
di Carrara diviene predominante il contributo attorno ai 470 nm rispetto a quello attorno
ai 430 nm.
La Figura 6-5 presenta, per le cinque diverse lunghezza d’onda di eccitazione, il
confronto tra gli spettri raccolti sui 5 campioni di Rosso Ammonitico Veronese
68
provenienti dalla cava Bonaldi Vecchia ed indicati con BOV. Lo spettro dei campioni
presenta un’ampia banda di fluorescenza con il massimo attorno ai 460 nm, nel caso
dell’eccitazione a 399 nm (parte (e) della figura) il massimo risulta spostato a lunghezze
d’onda maggiori. Per le eccitazioni a 250 nm e 280 nm, rispettivamente parte (a) e parte
(b) della figura, non è possibile distinguere in alcun modo i campioni tra loro. Diversa è
la situazione per le eccitazioni a lunghezze d’onda maggiore, parte (c), parte (d) e parte
(e) della figura. Si può infatti osservare, e ciò è più evidente con eccitazione a 330 nm
l’insorgere di una ulteriore banda con una massimo attorno ai 560 nm, il massimo è a
lunghezze d’onda ancora maggiori per l’eccitazione a 399 nm. Questa seconda banda è
accennata nel campione BOV4 e presente con evidenza nel campione BOV5. Tra tutti i
campioni della Figura 6-1 questi sono gli unici due di calcirudite.
Pixel 16.6
Eccitazione: 250 nm
Eccitazione: 280 nm
Eccitazione: 300 nm
Eccitazione: 330 nm
Eccitazione: 399 nm
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
300
400
500
600
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 6-4: Spettri del campione MSI1 (Marmo di Siena), valori normalizzati.
La Figura 6-6 presenta gli spettri ottenuti sui campioni di arenarie per le differenti
lunghezze d’onda di eccitazione. Gli spettri presentano un andamento molto rumoroso
dovuto alla bassa intensità di fluorescenza dei campioni stessi associata proprio alle
caratteristiche delle arenarie, l’intensità è molto bassa per il campione SIE1. Inoltre la
superficie irregolare delle arenarie favorisce il riassorbimento della fluorescenza
emessa.
69
BOV1
BOV2
BOV3
BOV4
BOV5
0.8
0.6
0.4
0.2
0
250
BOV1
BOV2
BOV3
BOV4
BOV5
1
Intensità (a.u.)
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
300
350
400
450
500
lunghezza d'onda (nm)
0
250
550
(a) Eccitazione 250 nm
BOV1
BOV2
BOV3
BOV4
BOV5
500
0.8
BOV1
BOV2
BOV3
BOV4
BOV5
1
Intensità (a.u.)
Intensità (a.u.)
350
400
450
lunghezza d'onda (nm)
(b) Eccitazione 280 nm
1
0.6
0.4
0.2
0
300
0.8
0.6
0.4
0.2
350
400
450
500
550
lunghezza d'onda (nm)
0
600
350
(c) Eccitazione 300 nm
400
600
(d) Eccitazione 330 nm
BOV1
BOV2
BOV3
BOV4
BOV5
1
Intensità (a.u.)
450
500
550
lunghezza d'onda (nm)
0.8
0.6
0.4
0.2
0
450
500
550
600
650
700
lunghezza d'onda (nm)
(e) Eccitazione 399 nm
Figura 6-5: Spettri dei campioni BOV1, BOV2, BOV3, BOV4 e BOV5. I valori sono
normalizzati al massimo.
70
1400
4500
SIE1
SIE2
FIR
1200
3500
Intensità (a.u.)
1000
Intensità (a.u.)
SIE1
SIE2
FIR
4000
800
600
400
3000
2500
2000
1500
1000
200
0
250
500
300
350
400
450
lunghezza d'onda (nm)
500
0
250
550
(a) Eccitazione 250 nm
300
350
400
450
lunghezza d'onda (nm)
500
(b) Eccitazione 280 nm
1400
2500
SIE1
SIE2
FIR
1200
SIE1
SIE2
FIR
2000
Intensità (a.u.)
Intensità (a.u.)
1000
800
600
1500
1000
400
500
200
0
350
400
450
500
550
lunghezza d'onda (nm)
0
600
350
400
450
500
550
lunghezza d'onda (nm)
600
(d) Eccitazione 330 nm
(c) Eccitazione 300 nm
7000
SIE1
SIE2
FIR
6000
Intensità (a.u.)
5000
4000
3000
2000
1000
0
450
500
550
600
650
lunghezza d'onda (nm)
700
(e) Eccitazione 399 nm
Figura 6-6: Spettri dei campioni di arenaria SIE1, SIE2 e FIR. I valori sono normalizzati.
71
La Figura 6-7 presenta gli spettri raccolti sui tre distinti campioni di malta ottenuti
eccitando i bersagli a 300 nm, i valori sono normalizzati al massimo. Tutti e tre gli
spettri presentano una ampia banda di fluorescenza con un massimo attorno ai 440 nm. I
tre spettri presentano anche un contributo che modifica il fronte di salita della banda
nella regione compresa tra 350 e 390 nm. Questa modifica può essere interpretata
attraverso un contributo di un’altra banda di fluorescenza centrata attorno ai 370 nm. Il
fronte di discesa dei tre spettri presenta anch’esso interessanti differenze. Lo spettro del
campione M1 ha un piccolo contributo attorno ai 460 nm e poi un cambiamento di
pendenza prima dei 500 nm. Gli altri due campioni presentano invece un contributo più
consistente ed articolato in questa regione spettrale. E’ comunque possibile riconoscere i
tre campioni di malta tra loro.
M1
M2
M3
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
350
400
450
500
550
Lunghezza d'onda (nm)
600
Figura 6-7: confronto tra i valori medi degli spettri ottenuti sui campioni delle malte con
eccitazione a 300 nm.
6.2
MAPPE TEMATICHE
L’insieme dei litotipi che costituiscono il bersaglio è assai vario e contiene arenarie,
marmi, calcari, campioni di malte e campioni di diversa origine. Questa composizione
eterogenea del bersaglio è dunque una condizione ideale per l’impiego dell’analisi delle
componenti principali rispetto all’impiego di un più tradizionale sistema di rapporto tra
bande.
72
Il bersaglio oltre i campioni presenta il fondo costituito da un panno di colore nero.
Nella PCA la presenza di un gran numero di spettri per i quali non vi è alcun interesse
scientifico ha il solo effetto di comprimere le capacità di differenziazione tra gli spettri
delle pietre. Inoltre gli spettri del fondo hanno una bassa intensità e risultano perciò
rumorosi. Gli spettri in questione sono stati quindi rimossi dal complesso di quelli
analizzati e sono sostituiti nella rappresentazione con il valore del fondo scala.
L’individuazione degli spettri da rimuovere è avvenuta analizzando statisticamente il
valor medio degli spettri stessi e la loro deviazione standard, alcuni spettri rimasti sono
poi stati rimossi manualmente. Il criterio utilizzato è stato il più lasco possibile e quindi
gli spettri ottenuti sul confine tra un campione ed il fondo sono stati di norma accettati
quand’anche non fossero appunto attribuibili al solo campione. Tra le cinque diverse
sessioni di misura, infine, vi è un leggero disallineamento dovuto all’errore intrinseco
del sistema di puntamento e all’assenza di un riferimento assoluto sul bersaglio. Questo
modesto disallineamento amplifica i problemi introdotti dalla scelta di non scartare gli
spettri in cui si ha un contributo sia del fondo sia dei campioni. Essi sono comunque in
numero limitato ed il loro peso statistico nelle PCA è trascurabile (non più di 5 spettri
per ciascuna acquisizione su un totale di 386 spettri accettati). La loro presenza
corrisponde quindi all’introduzione di un modesto numero di pixel non rappresentativi
sulle mappe tematiche.
Mediante il rapporto tra bande è comunque possibile ottenere alcuni risultati di interesse
circa l’identificazione ed il riconoscimento dei campioni di marmo. La Figura 6-8
rappresenta il rapporto tra le aree sottese dagli spettri rispettivamente nella regione
spettrale 357–392 nm e nella regione 417–432 nm. Gli spettri sono stati
preventivamente normalizzati al loro valore massimo e sono stati ottenuti con
l’eccitazione a 300 nm. Nella mappa in particolare è possibile separare i campioni di
marmo a cui sono associati valori maggiori di 1.2 dagli altri campioni. Inoltre il
campione di Marmo di Carrara (MCA) presenta valori ancora maggiori (almeno 2.2) a
cui corrispondono le tonalità arancio e rosso della scala cromatica. Le due regioni
spettrali di cui è calcolata l’area sono state scelte in relazione alle caratteristiche degli
spettri del marmo evidenziati nella Figura 6-3 e nella Figura 6-4. La mappa permette di
rappresentare esclusivamente questa caratteristica dei campioni.
La Figura 6-9 presenta il risultato dell’analisi delle componenti principali nella regione
73
spettrale 355-387 nm. La PCA è stata realizzata su spettri normalizzati al loro valore
massimo, gli spettri sono stati ottenuti eccitando il bersaglio a 300 nm. L’attribuzione
dei colori è avvenuta sfruttando la rappresentazione RGB, in particolare il canale R è
associato alla proiezione sulla PC1, il canale G alla proiezione su PC2, il canale B alla
proiezione su PC3. La mappa mette in evidenza non solo, come nel caso precedente, la
distinzione dei marmi dagli altri campioni (in verde i campioni MSI1 e MSI2, in blu il
campione MCA) ma permette anche il riconoscimento dei campioni di arenaria in cui
prevalgono le tonalità rosa e rosse. In una colorazione simile appare anche il campione
di calce aerea.
3
2
4
2.5
6
Pixel
10
1.5
Rapporto
2
8
12
1
14
16
0.5
18
MSI1
MSI2
10
20
30
MCA
40
50
Pixel
Figura 6-8: Mappa tematica realizzata mediante il rapporto tra bande. Eccitazione del
bersaglio a 300 nm.
Il confronto tra la Figura 6-8 e la Figura 6-9 evidenzia i risultati conseguibili con i due
diversi tipi di approccio all’analisi dei dati discussi teoricamente nel Capitolo 4. Il
rapporto tra le bande può essere utilizzato per indagare una caratteristica associata ad
una proprietà fisica degli spettri già nota, la PCA permette di estrarre (anche quando
ridotta allo stesso intervallo spettrale del rapporto tra aree) informazioni più estese che
coinvolgono anche altre caratteristiche del bersaglio. Inoltre il sistema di
74
rappresentazione RGB è assai utile per una presentazione contemporanea dei risultati
trovati.
L’estensione dell’intervallo spettrale in cui è realizzata la PCA permette di distinguere i
campioni nelle loro principali classi di appartenenza con maggiore facilità. La Figura
6-10 presenta la mappa tematica ottenuta mediante l’applicazione della PCA
nell’intervallo spettrale 391-606 nm. Gli spettri, ottenuti con eccitazione a 300 nm, sono
stati normalizzati. La mappa è ottenuta rappresentando nel canale R la proiezione su
PC1, in G quella su PC2 e in B quella su PC3.
In Figura 6-10 è possibile individuare i campioni di marmo (blu), i campioni di arenaria
senese (verde), il campione di arenaria di Firenze (celeste), la calce aerea (verde acqua)
e la malta pozzolanica (viola). E’ possibile individuare anche il campione di scaglia.
Assai più difficile è la separazione tra i campioni di calcare.
La Figura 6-11 presenta una mappa tematica ottenuta mediante la PCA nell’intervallo
385-583 nm per spettri ottenuti eccitando il bersaglio a 330 nm. Gli spettri sono stati
precedentemente normalizzati al loro valore massimo. La scelta della rappresentazione
RGB è stata ottimizzata per mettere in rilevo in particolare la distinzione dei campioni
BOV4 e BOV5 (entrambi in verde) dagli altri. Sono questi gli unici campioni di
calcirudite presenti nel bersaglio. Questo riconoscimento è di particolare interesse,
complessivamente infatti si hanno ben 13 campioni di Rosso Ammonitico Veronese e di
questi 5 provengono dalla cava Bonaldi Vecchia, una cava storica. Il riconoscimento dei
campioni di calcirudite è associato alle loro proprietà spettrali così come mostrate in
Figura 6-5, ossia alla banda di modesta intensità centrata attorno a 560 nm. La PCA
esalta la possibilità di individuare questi campioni permettendone una classificazione
sicura. La mappa permette anche l’identificazione del campione ROS (Rosa Corallo), in
colore verde blu.
Il riconoscimento dei campioni BOV4 e BOV5 trova conferma nella rappresentazione
della mappa tematica in Figura 6-12. La mappa è stata ottenuta mediante la PCA
applicata agli spettri ottenuti eccitando il bersaglio a 330 nm. L’intervallo spettrale
considerato è 382-660 nm, gli spettri sono stati preventivamente normalizzati e le
proiezioni sulle prime tre componenti sono state rappresentate sfruttando il sistema
RGB. In particolare nella figura trova conferma l’identificazione dei campioni di
calcirudite (verde), il riconoscimento del campione di Rosa Corallo (verde blu, quasi
75
confuso con il fondo), il riconoscimento dei campioni di arenaria. Occorre osservare che
questa rappresentazione associa tra loro i campioni di marmo con i campioni malta.
2
4
6
SIE1
Pixel
8
FIR
10
12
SIE3
14
16
18
MSI1
SIE2
10
MSI2
20
30
MCA
40
50
Pixel
Figura 6-9: Mappa tematica realizzata mediante le PCA con bersaglio eccitato a 300 nm.
2
M2
4
6
SIE1
Pixel
8
FIR
10
SCA
12
M1
SIE3
14
16
18
MSI1
SIE2
10
MSI2
20
30
MCA
40
50
Pixel
Figura 6-10: Mappa tematica realizzata mediante le PCA con bersaglio eccitato a
300 nm.
76
2
4
6
ROS
Pixel
8
BOV4
10
12
14
BOV5
16
18
10
20
30
40
50
Pixel
Figura 6-11: Mappa tematica realizzata mediante le PCA con bersaglio eccitato a
300 nm.
2
4
6
ROS
Pixel
8
BOV4
10
12
14
BOV5
16
18
10
20
30
40
50
Pixel
Figura 6-12: Mappa tematica realizzata mediante le PCA con bersaglio eccitato a
300 nm.
77
Alcune mappe tematiche possono, infine, essere ottenute per il riconoscimento delle
malte. La Figura 6-13 mostra la mappa tematica ottenuta mediante l’analisi delle
componenti principali effettuata sugli spettri eccitati a 250 nm nell’intervallo spettrale
355-372 nm. La Figura 6-13 presenta, in particolare, la proiezione sulla PC1. Gli spettri
sono stati precedentemente normalizzati. La figura ottenuta permette di separare tutti i
campioni dal campione M1, la calce aerea. Gli altri due campioni di malta presentano
una residua variabilità da attribuirsi ad alcuni pixel in cui si ha un forte contributo del
fondo.
2
-1.05
4
-1.1
6
Pixel
-1.2
10
-1.25
12
M1
14
16
Intensità (a.u.)
-1.15
8
-1.3
-1.35
18
-1.4
10
20
Pixel
30
40
50
Figura 6-13: Mappa tematica realizzata con la PCA eccitando il bersaglio a 250 nm.
La Figura 6-14 rappresenta in una scala di grigi una mappa tematica ottenuta mediante
la PCA sugli spettri con eccitazione a 250 nm. La mappa è stata calcolata mediante il
rapporto della proiezione sulla PC1 calcolata nell’intervallo 320-550 nm e la proiezione
sulla PC2 nell’intervallo 430-530 nm. La figura evidenzia una distinzione del campione
M2 di malta pozzolanica.
La Figura 6-15 rappresenta una mappa tematica realizzata mediante la PCA. Il valore
convertito in falsi colori è stato ottenuto sfruttando gli spettri normalizzati al loro valore
massimo raccolti con tutte e cinque le eccitazioni ed applicando l’analisi delle
componenti principali. In particolare per l’eccitazione a 250 nm la PCA è stata applicata
78
nell’intervallo 343-553 nm e sono state considerate le proiezioni su PC1, PC2 e PC3;
per l’eccitazione a 280 nm la PCA è stata applicata nell’intervallo 305-539 nm e sono
state considerate le proiezioni su PC1, PC2 e PC3; per l’eccitazione a 300 nm la PCA è
stata applicata nell’intervallo 333-607 nm e sono state considerate le proiezioni su PC1,
PC2 e PC3; per l’eccitazione a 330 nm la PCA è stata applicata nell’intervallo 343-553
nm e sono state considerate le proiezioni su PC1, PC2 e PC3; per l’eccitazione a 399 nm
la PCA è stata applicata nell’intervallo 437-619 nm e sono state considerate le
proiezioni su PC1, PC2. I valori così ottenuti sono stati sommati in quadratura e il
valore ottenuto convertito nella scala a falsi colori.
-0.05
2
-0.0505
4
-0.051
6
-0.052
10
Rapporto
Pixel
-0.0515
M2
8
-0.0525
12
-0.053
14
16
-0.0535
18
-0.054
10
20
30
40
50
Pixel
Figura 6-14: Mappa tematica realizzata con la PCA eccitando il bersaglio a 250 nm.
Nella Figura 6-15 il leggero disallineamento tra le varie sessioni di misura a cui
corrispondono le diverse lunghezze d’onda di eccitazione introduce alcuni errori sui
pixel in cui per alcune misure prevale il contributo del fondo, in particolare per i
campioni M3, MOC2, MOC1. La Figura 6-15 permette di individuare e distinguere le
arenarie che sono però associate al campione 110EMAT, i marmi di Siena, il campione
MCA. Più complessa la distinzione tra gli altri campioni che vengono ad assumere
valori assai vicini a cui corrisponde una difficile distinzione nella scala cromatica.
79
21
2
20
4
19
18
8
17
10
16
12
15
14
14
13
16
12
18
11
10
20
Pixel
30
40
50
Figura 6-15: Mappa tematica realizzata con la PCA.
80
Intensità
Pixel
6
7
TELERILEVAMENTO LIDAR DEL DUOMO DI PISA
La campagna di misura per il telerilevamento LIDAR del Duomo di Pisa è stata
condotta sul lato nord dell’abside del Duomo di Pisa nell’ambito di un test sperimentale
del progetto RIS+ della Regione Toscana.
La costruzione del Duomo di Pisa, iniziata nel 1063 e terminata nel 1150 con la
costruzione della facciata ora presente, è avvenuta in due distinte fasi. Alla prima fase
dei lavori, sotto la direzione dell’architetto Buschetto di Giovanni, è da attribuire il
corpo centrale della costruzione che oggi rimane, mentre del successivo ampliamento,
attribuito dai più recenti studi allo stesso architetto nella fase iniziale ed a Rinaldo per le
decorazioni scultoree delle parti aggiunte, sono l’attuale facciata e l’abside. Un
consistente restauro avvenne nel XVI secolo in conseguenza di un disastroso incendio.
Le misure sono state realizzate con il sensore FLIDAR3 dell’IFAC – CNR. Gli spettri
sono stati acquisiti eccitando il bersaglio con il laser ad eccimeri (308 nm) da una
distanza operativa di circa 20 m. Ciascun spettro è stato ottenuto mediante 50 impulsi
laser. Gli spettri ottenuti sono stati corretti per la funzione di trasferimento.
La Figura 7-1 presenta una fotografia del Duomo di Pisa con l’indicazione dei punti
della facciata oggetto delle misure per l’acquisizione degli spettri. La regione del lato
nord dell’abside oggetto delle misure è realizzata prevalentemente in Marmo di San
Giuliano e presenta diverse situazioni di degrado assai ravvicinate: croste nere, regioni
in cui si ha un attacco di biodeteriogeni, aree bianche ed aree grigie. Oltre al marmo
bianco si hanno anche decorazioni in marmo verde tipiche dello stile romanico pisano.
Il marmo bianco impiegato proviene da diverse cave, ha una differente granulometria e
una differente quantità di dolomite nella propria composizione. Il marmo della parte
inferiore dell’abside è infine caratterizzato dalla presenza di silicati.
Nella Figura 7-1 sono presenti anche le semplici e provvisorie installazioni di sicurezza
necessarie alla esecuzione delle misure al fine d’impedire che incauti curiosi accedano
allo spazio in cui gli impulsi laser potrebbero essere dannosi per la salute. Queste
precauzioni sono indispensabili per sessioni di misura che coinvolgono, come in questo
caso, regioni del monumento facilmente accessibili.
81
Figura 7-1: Duomo di Pisa.
7.1
CARATTERIZZAZIONE DEI LITOTIPI E DEL DEGRADO
La Figura 7-2 presenta quattro spettri acquisiti a differenti altezze lungo la colonna
centrale dell’area oggetto delle misure. Gli spettri corrispondono a quattro distinte pietre
del rivestimento della colonna stessa ed offrono una buona caratterizzazione di tutta
l’area indagata. I valori presentati sono normalizzati al valore massimo assunto
nell’intervallo 460-480 nm. Gli spettri presentano una ampia banda di fluorescenza
estesa su tutto l’intervallo spettrale acquisito. Questa banda di fluorescenza è articolata
in un contributo con un picco a circa 385 nm, un secondo contributo con un massimo
nell’intervallo 450-465 nm, un terzo contributo con un massimo tra 500 e 510 nm ed
82
infine un ulteriore contributo presente sia nello spettro 2, sia nello spettro 3 che
modifica il fronte di discesa e che può essere posizionato attorno a 530 nm. Dal
complessivo esame degli spettri si può individuare un comune andamento del fronte di
salita caratterizzato dalla intensità del primo picco che produce una spalla negli spettri 2
e 4 e che diviene evidente nello spettro 3 e dominante nello spettro 5. Il fronte di discesa
presenta invece due comportamenti distinti: uno comune agli spettri 4 e 5 ed uno agli
spettri 2 e 3. Per lo spettro 2 si ha inoltre che il massimo assoluto viene raggiunto tra i
500 e i 510 nm. Il sistema dei tre massimi principali, seppur a lunghezze spostate verso
valori più alti è corrispondente a quello individuato anche per i marmi analizzati
nell’esperimento realizzato a Lund sul bersaglio composto (Figura 6-3 e Figura 6-4). Gli
spostamenti osservati sono, del resto, pienamente compatibili con quanto emerge dalla
Tabella 1-II.
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
Spettro 2
Spettro 3
Spettro 4
Spettro 5
0.4
0.2
0
400
500
600
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 7-2: Spettri acquisiti su diverse pietre lungo la colonna centrale dell’area
misurata.
La Figura 7-3 presenta il confronto tra due spettri raccolti nel punto 1 della Figura 7-1.
Il punto corrisponde al capitello della colonna centrale e presenta, nel medesimo blocco
di marmo, sia regioni soggette a dilavamento, aree bianche, sia regioni protette
dall’azione dell’acqua ruscellante in cui si sono formate delle croste nere. Lo spettro
corrispondente all’area bianca mostra un andamento conforme a quello degli spettri
83
precedenti con un contributo iniziale del primo picco molto modesto. Lo spettro relativo
all’area nera ha invece un andamento molto diverso in cui il massimo viene a spostarsi
attorno ai 520 nm e ogni informazione relativa all’articolazione dei picchi è del tutto
assente. Rimane comunque il contributo iniziale che provoca un cambiamento di
pendenza nel fronte di salita. Lo spettro presenta infine nella regione rossa un contributo
che indica la presenza di biodeteriogeni ed è posizionato proprio tra 680 e 690 nm.
L’intensità del contributo è modesta. Nelle aree nere del capitello si hanno due distinte
forme di degrado: la crosta nera e la colonizzazione da parte dei biodeteriogeni.
Lo spettro è inoltre complessivamente meno intenso, la minor intensità è associata
anche al colore nero delle crosta misurata.
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
Spettro 1: area bianca
Spettro 1: crosta nera
400
500
600
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 7-3: Spettri misurati sul capitello della colonna centrale.
L’andamento osservato negli spettri della colonna (Figura 7-2) trova conferma anche
nella sequenza orizzontale di tre misure realizzata nella regione destra della porzione di
abside considerata (Figura 7-4). Gli spettri relativi ai punti 21 e 23 mostrano
l’andamento caratteristico del litotipo impiegato nel rivestimento dell’abside con una
diversa importanza delle bande in cui è articolato lo spettro e le posizioni dei relativi
massimi si accordano con le altre misure. Il punto 22 corrisponde ad una misura
realizzata nell’angolo in una tipica posizione in cui si ha deposizione in assenza di
dilavamento e mostra un andamento analogo a quello del punto 1 in corrispondenza
84
della crosta nera. Il massimo va a posizionarsi attorno a 510 nm, la banda di
fluorescenza è più stretta, i fronti di salita e di discesa sono meno articolati, rimane un
contributo della banda di fluorescenza con massimo tra 380 e 390 nm che causa una
variazione nella pendenza del fronte di salita stesso.
intensità (u.a.)
1
0.8
0.6
0.4
Spettro 21
Spettro 22
Spettro 23
0.2
0
400
500
600
lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 7-4: Alcuni spettri in corrispondenza delle pietre nella regione destra della
porzione di monumento oggetto delle misure.
La Figura 7-5 presenta gli spettri ottenuti nello sguancio della nicchia (spettro 37), nel
fondo della nicchia (spettro 15) e nella regione lavorata con scanalature a destra della
nicchia stessa (spettro 14). Gli spettri mostrano un fronte di salita assai simile con un
diverso contributo del primo massimo, minore per lo spettro 14, intermedio per lo
spettro 37, maggiore per lo spettro 15. A partire da circa 520 nm gli spettri si
differenziano ed in particolare lo spettro 14 ha il fronte di discesa già riscontrato nelle
altre due aree nere mentre gli spettri 15 e 37 hanno il fronte di discesa caratteristico
della pietra del rivestimento con il massimo assoluto spostato a lunghezze d’onda
maggiori. Anche il punto 14 è riferito ad una situazione tipica dello sviluppo delle
croste nere quale l’incavo delle scanalature che caratterizzano il decoro a fianco della
nicchia.
Il confronto tra i tre spettri raccolti sulle croste nere è riportato nella Figura 7-6. Tutti e
tre gli spettri sono caratterizzati dalla posizione coincidente del massimo a circa 520 nm
85
e da una modesta articolazione dei fronti di salita e di discesa. Nel fronte di salita, più
articolato per gli spettri 22 e 14, si ha comunque sempre un cambio di pendenza in
corrispondenza della banda di fluorescenza con massimo tra 380 e 390 nm della pietra
non deteriorata. La perdita di ogni articolazione del fronte di discesa è, invece, comune
a tutti e tre gli spettri, lo spettro 1 presenta nella regione caratteristica della fluorescenza
della clorofilla un contributo che indica la presenza dei biodeteriogeni.
Nella Figura 7-7 è presentato l’andamento dello spettro nella regione 660-740 nm
relativo al punto 17 corrispondente al capitello del pilastro. Lo spettro presenta un
massimo attorno a 685 nm ed una spalla attorno a 725 nm e mostra la presenza di
biodeteriogeni sul capitello. L’andamento dei biodeteriogeni è quello caratteristico delle
alghe verdi (Figura 1-8) poiché non appaiono altri contributi oltre a quello della
clorofilla.
Entrambi gli spettri da cui è stata individuata la presenza dei biodeteriogeni sono relativi
ai capitelli, nessuna presenza di biodeteriogeni è invece emersa dalle altre regioni in cui
vi sono croste nere.
intensità (u.a.)
1
0.8
0.6
0.4
Spettro 37
Spettro 14
Spettro 15
0.2
0
400
500
600
lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 7-5: Spettri misurati nella regione della nicchia.
86
Intensità (u.a.)
1
0.8
0.6
0.4
Spettro 22
Spettro 14
Spettro 1
0.2
0
400
500
600
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 7-6: Confronto tra gli spettri raccolti su croste nere.
Spettro 17
Intensità (u.a.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
660
680
700
720
Lunghezza d'onda (nm)
740
Figura 7-7: Particolare dello spettro misurato sul capitello del pilastro in cui è
evidenziata la presenza di biodeteriogeni (alghe verdi).
87
8
TELERILEVAMENTO LIDAR DEL MURO IN PIAZZETTA DEGLI
ARIANI PRESSO RAVENNA
Il test sperimentale dimostrativo nell’ambito dello Workshop 2001 Cyanofix
(Cyanobacterial Nitrogen Fixation) presso Bertinoro (RA) ha avuto per oggetto la
dimostrazione delle capacità del telerilevamento lidar della LIF nell’individuazione dei
biodeteriogeni sui monumenti lapidei. Il bersaglio utilizzato è il muro di collegamento
tra la Basilica di Santo Spirito (già Basilica degli Ariani) e il Battistero degli Ariani a
Ravenna (Figura 8-1). Il muro è realizzato in mattoni e presenta una diffusa
colonizzazione di biodeteriogeni.
Figura 8-1: Muro presso piazzetta degli Ariani in Ravenna.
Le misure sono state realizzate con il sensore FLIDAR3 dell’IFAC – CNR, posizionato
a circa 15 m dal bersaglio (Figura 8-2), impiegando il laser ad eccimeri con lunghezza
d’onda di eccitazione a 308 nm. Ciascuno spettro è stato ottenuto mediante
l’integrazione di 15 impulsi, per ciascun impulso è stato sottratto il background, gli
spettri sono stati infine corretti per la funzione di trasferimento.
Gli obiettivi scientifici di questo test sperimentale sono stati la caratterizzazione dei
mattoni del bersaglio, l’individuazione di una o più firme spettrali ad essi associati ed
una concreta verifica in campo della possibilità del telerilevamento della LIF per
l’individuazione e la relativa quantificazione dei biodeteriogeni.
Le misure, tutte relative ad un monitoraggio puntuale, non sono state referenziate
88
rispetto al bersaglio poiché non vi è nessun specifico interessa al suo restauro,
complessivamente sono stati raccolti oltre 40 spettri.
Figura 8-2: Il FLIDAR 3 e un mezzo di appoggio posizionati nella Piazzetta degli Ariani
a Ravenna.
8.1
CARATTERIZZAZIONE DEL SUBSTRATO
La Figura 8-3 presenta alcuni degli spettri raccolti sui mattoni in presenza dei
biodeteriogeni. Gli spettri mostrano due bande principali di fluorescenza, la prima nella
regione blu associata alla fluorescenza dei mattoni, la seconda, nel rosso, che mostra la
caratteristica fluorescenza della clorofilla. La prima banda di fluorescenza presenta un
rapido fronte di salita con un massimo posizionato a circa 440 nm ed un fronte di
discesa meno ripido che ha un cambio di pendenza dopo i 500 nm. La seconda banda di
fluorescenza ha un massimo posizionato tra 680 e 690 nm e una spalla posizionata tra
730 e 740 nm, questo andamento spettrale identifica la presenza della Chl a e quindi dei
biodeteriogeni stessi. Gli spettri non mostrano il contributo di altri pigmenti e quindi i
biodeteriogeni individuati sono delle alghe verdi.
Il confronto tra i valori normalizzati degli spettri è presentato nella Figura 8-4, il
confronto permette di definire una firma spettrale per questa tipologia di mattoni
individuata e presenta una alta riproducibilità della misura degli spettri dei mattoni che
89
mostrano una variazione intrinseca inferiore all’errore presente negli spettri medesimi.
La presenza dei biodeteriogeni modifica in maniera significativa il fronte di discesa
degli spettri per la presenza della fluorescenza della clorofilla.
Spettro 22
Spettro 10
Spettro 12
Spettro 33
Spettro 39
700
Intensità (a.u.)
600
500
400
300
200
100
0
400
500
600
700
Lunghezza d'onda (nm)
800
Figura 8-3: Caratterizzazione dei mattoni in presenza di biodeteriogeni.
1
Intensità (a.u.)
0.8
0.6
0.4
0.2
0
Spettro 22
Spettro 10
Spettro 12
Spettro 33
Spettro 39
400
500
600
700
Lunghezza d'onda (nm)
800
Figura 8-4: Caratterizzazione dei mattoni in presenza di biodeteriogeni (spettri
normalizzati).
90
I due spettri mostrati nella Figura 8-5 mostrano un’ampia banda di fluorescenza con un
massimo tra 520 e 530 nm. L’andamento degli spettri non mostra particolari
articolazioni. Il confronto tra i valori normalizzati è mostrato in Figura 8-6.
250
Spettro 34
Spettro 47
Intensità (a.u.)
200
150
100
50
0
400
500
600
700
Lunghezza d'onda (nm)
800
Figura 8-5: Caratterizzazione dei litotipi.
Spettro 34
Spettro 47
1
Intensità (a.u.)
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
500
600
700
Lunghezza d'onda (nm)
800
Figura 8-6: Caratterizzazione dei litotipi (valori normalizzati).
91
250
Spettro 21
Intensità (a.u.)
200
150
100
50
0
400
500
600
700
Lunghezza d'onda (nm)
800
Figura 8-7: Caratterizzaizone dei litotipi.
Spettro 12
Spettro 47
Spettro 21
1
Intensità (a.u.)
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
500
600
700
Lunghezza d'onda (nm)
800
Figura 8-8: Caratterizzazione dei litotipi: confronto tra i tre andamenti spettrali
individuati.
Una terza tipologia di spettri sul bersaglio è individuata nella Figura 8-7. La banda di
fluorescenza ha il massimo attorno ai 550 nm e presenta fronti di salita e di discesa dalla
92
pendenza assai simile. Il confronto tra le tre tipologie di firme spettrali individuate è
riportato nella Figura 8-8. I tre andamenti permettono la classificazione di tutti gli
spettri acquisiti sul bersaglio.
8.2
PRESENZA DI BIODETERIOGENI
La maggior parte degli spettri acquisiti sul bersaglio ha un contributo che mostra la
presenza dei biodeteriogeni. La Figura 8-10 presenta alcuni spettri ottenuti in diverse
posizioni del bersaglio che mostrano la presenza dei biodeteriogeni.
1000
Intensità (a.u.)
800
600
400
200
0
400
500
600
700
Lunghezza d'onda (nm)
800
Figura 8-9: Alcuni spettri che mostrano la presenza di biodeteriogeni.
Un’indicazione quantitativa circa la presenza dei biodeteriogeni è possibile mediante il
rapporto tra l’area sottesa nella regione in cui si ha un contributo dei biodeteriogeni
(640-780 nm) e quella sottesa nella regione immediatamente precedente (630-640 nm). I
valori delle aeree sono poi divisi per l’ampiezza degli intervalli in cui sono calcolati. La
grandezza così ottenuta è un buon indicatore della presenza dei biodeteriogeni ed è
riportata, con il relativo errore, nella Figura 8-10. Nella figura è riportato con una linea
tratteggiata anche il livello sopra il quale si può affermare che vi sono biodeteriogeni. Il
valore è inferiore ad 1 poiché l’andamento degli spettri in assenza dei biodeteriogeni è
decrescente.
93
7
6
Rapporto
5
4
3
2
1
0
Spettri
Figura 8-10: Presenza di biodeteriogeni
94
9
TELERILEVAMENTO LIDAR DEL DUOMO E DEL BATTISTERO
DI PARMA
La campagna di misura LIMPAM (LIdar Monitoring of PArma Monuments) è stata
condotta a Parma. I monumenti misurati sono il Duomo ed il Battistero di Parma e sono
stati utilizzati sia il sensore FLIDAR3 sia il sensore LIDAR a scansione (Figura 9-1).
Figura 9-1: Il sensore FLIDAR3 e il sensore LIDAR a scansione nella piazza del
Duomo di Parma in condizioni operative.
Il Duomo, in Figura 9-2, è un edificio composito di stile romanico. La sua costruzione
iniziò prima del 1046 e, dopo il terremoto del 1117, fu parzialmente restaurato. La
ricostruzione terminò nel 1294 con la realizzazione del campanile. La facciata è rivestita
con differenti pietre di colore giallastro o biancastro, in prevalenza differenti tipi di
arenarie (Ostia, Sporno, Pietraforte, etc.), di calcareniti (Rosso Veronese) e di marmi
(Bardiglio). Nella parte bassa della facciata vi sono tre portali. Quello centrale è
sormontato da un protiro di marmo decorato con bassorilievi. La parte superiore è
decorata con tre ordini di logge di piccola apertura. Alcune regioni della facciata,
particolarmente quelle del lato destro presentano colonie di biodeteriogeni e croste nere.
Questa regione della facciata è parzialmente protetta dall’azione di dilavamento per la
presenza del campanile.
95
Figura 9-2: Duomo.
Il Battistero, in Figura 9-5, è considerato uno dei monumenti più belli ed interessanti del
periodo di transizione tra il romanico ed il gotico. La sua costruzione iniziò nel 1196 e
terminò nel 1259. In particolare la costruzione del monumento fu realizzata in circa 20
anni e il tempo successivo fu dedicato ai rivestimenti, alle decorazioni e alla
realizzazione dei bassorilievi. La decorazione delle parte superiore terminò nel 1307. Il
Battistero è a forma di torre con una pianta ottagonale e presenta quattro ordini di logge
con colonnine incassate in pilastri angolari e un quinto ordine di archetti chiusi. Il
rivestimento è interamente realizzato con lastre di Rosso Veronese, un calcare
ampiamente impiegato come materiale decorativo per il suo colore e la tipica venatura.
La parte bassa del Battistero ha tre portali scolpiti. Il Battistero è stato recentemente
restaurato in particolare sono stati ripuliti i paramenti lapidei ed è stato sottoposto ad un
trattamento conservativo. Entrambi i monumenti sono stati oggetto della prima
campagna di misura lidar sui beni culturali nel 1994[48].
Il sensore FLIDAR3 è stato utilizzato per l’acquisizione di spettri puntuali sul Duomo e
sul Battistero. Gli spettri sono stati acquisiti eccitando il bersaglio con il laser ad
eccimeri (308 nm) da una distanza operativa di circa 20 m. Ciascun spettro è stato
96
ottenuto mediante 50 impulsi laser. Gli spettri ottenuti sono stati corretti per la funzione
di trasferimento. La Figura 9-3 e Figura 9-4 riportano in colore rosso la posizione degli
spettri acquisiti rispettivamente per il portale centrale e per il portale laterale destro.
Il sensore LIDAR a scansione è stato utilizzato per l’acquisizione sia di spettri puntuali
sia di immagini iperspettrali per la elaborazione di mappe tematiche. Le misure sono
state condotte sia sul Duomo sia sul Battistero. Gli spettri sono stati acquisiti utilizzando
il laser ND:YAG triplicato in frequenza che eccitava i bersagli alla lunghezza d’onda di
355 nm. Ciascun spettro è stato ottenuto mediante 50 impulsi laser. La distanza
operativa è stata di circa 80 m. La Figura 9-3 e Figura 9-4 riportano in colore blu la
posizione degli spettri acquisiti rispettivamente per il portale centrale e per il portale
laterale destro. La referenziazione dei punti sui disegni è stata realizzata
dall’osservazione degli sperimentatori e fa riferimento alla sola identificazione della
pietra quale bersaglio.
Figura 9-3: Posizione di acquisizione degli spettri puntuali sul Duomo (portale centrale).
I numeri rossi rappresentano la posizione degli spettri acquisiti con il sensore
FLIDAR3, le lettere ed i numeri blu quelli acquisiti con il sensore LIDAR a scansione.
97
Figura 9-4: Posizione di acquisizione degli spettri puntuali sul Duomo (portale laterale
destro). I numeri rossi rappresentano la posizione degli spettri acquisiti con il sensore
FLIDAR3, le lettere ed i numeri blu quelli acquisiti con il sensore LIDAR a scansione.
Tabella 9-I: Descrizione delle immagini iperspettrali
AREA
Area A
Area B
Area C
Area L
AREA
Area D
Area E
Area F
Area G
Area H
Area I
Area J
Area K
Numero dei pixel
orizzontale
verticale
67
72
60
60
75
75
50
71
Numero dei pixel
orizzontale
verticale
75
74
68
68
70
70
70
70
70
70
60
60
70
70
70
10
BATTISTERO
Diametro
Totale dello spot
4824
6 cm
3600
6 cm
5625
6 cm
3550
6 cm
DUOMO
Diametro
dello spot
Totale
5550
6 cm
4624
6 cm
4900
6 cm
4900
6 cm
4900
6 cm
3600
6 cm
4900
6 cm
700
6 cm
Passo
orizzontale
verticale
12 cm
12 cm
12 cm
12 cm
6 cm
6 cm
12 cm
12 cm
Area
totale
69.5 m2
51.8 m2
20.2 m2
51.1 m2
Passo
orizzontale
verticale
12 cm
12 cm
12 cm
12 cm
12 cm
12 cm
9 cm
9 cm
12 cm
12 cm
12 cm
12 cm
12 cm
12 cm
12 cm
12 cm
Area
totale
79.9 m2
66.6 m2
70.6 m2
39.7 m2
70.6 m2
51.8 m2
70.6 m2
10.1 m2
La Tabella 9-I descrive le aree in cui sono stati acquisite le immagini iperspettrali e le
caratteristiche delle immagini stesse con riferimento alla Figura 9-2 e alla Figura 9-5.
98
Figura 9-5: Battistero.
9.1
CONTROLLO PUNTUALE CON IL FLIDAR
Il monitoraggio puntuale del Duomo di Parma ha avuto per oggetto la caratterizzazione
dei litotipi, ha permesso l’individuazione della presenza di un trattamento conservativo
ed infine ha permesso l’individuazione di una colonia di biodeteriogeni. La
numerazione riportata negli spettri puntuali fa riferimento alla Figura 9-3 e alla Figura
9-4. La facciata del Duomo presenta una vastissima varietà di diversi paramenti lapidei
sia nell’ambito delle arenarie sia nell’ambito dei marmi e dei calcari. Anche nelle
ristrette aree in cui sono state realizzate misure puntuali si hanno quindi una gran
quantità di spettri riferibili a litotipi diversi.
La Figura 9-6 riporta i valori normalizzati di tre spettri di Bianco di Verona, un calcare
presente in vari parti del Duomo. Il Bianco di Verona è caratterizzato da un’ampia
banda di fluorescenza che può essere scomposta in due contributi principali il primo
centrato attorno a 460 nm, il secondo attorno ai 500 nm.
99
Punto 34
Punto 36
Punto 38
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
500
600
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-6: Spettri di fluorescenza di Bianco Verona.
Punto 33
Punto 58
Punto 61
Punto 24
Punto 26
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
500
600
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-7: Spettri di fluorescenza di Rosso Veronese.
La Figura 9-7 presenta gli spettri normalizzati di alcune pietre di Rosso Ammonitico
Veronese della facciata del Duomo. Gli spettri mostrano una prima banda di
fluorescenza attorno ai 460 nm, una ulteriore banda attorno ai 495 nm ed infine
un’ultima banda attorno ai 560 nm. Le prime due bande sono presenti anche nel Bianco
100
di Verona ma con l’intensità relativa dei massimi invertita. La terza banda di
fluorescenza, infine, può essere messa in relazione con il comportamento mostrato dai
campioni BOV4 e BOV5 in Figura 6-5, parti (c) e (d). Si può quindi concludere che i
litotipi oggetto delle misure, sicuramente nei punti 33, 58 e 61, sono di calcirudite.
1.2
Punto 35
Punto 34
Punto 39
Punto 40
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
500
600
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-8: Spettri di fluorescenza Rosa Corallo.
La Figura 9-8 riporta gli spettri normalizzati di alcune pietre di Rosa Corallo, anch’esso
un Rosso Ammonitico Veronese. La banda di fluorescenza presenta un massimo
principale attorno ai 460 nm, un’ulteriore banda centrata attorno ai 500 nm
(particolarmente evidente nei punti 40 e 35), e una banda centrata attorno ai 560 nm
(anch’essa più evidente negli spettri dei punti 40 e 35). Gli spettri dei punti 34 e 39
mostrano anche una piccola spalla iniziale attorno a 385 nm. Il sistema dei picchi è lo
stesso degli altri punti misurati sul Rosso Veronese e lo specifico riconoscimento del
Rosa Corallo è possibile poiché il contributo in fluorescenza del primo picco è il più
intenso.
La Figura 9-9 mostra due spettri misurati sul campanile del Duomo. Il substrato lapideo
è realizzato in mattoni e la posizione dei due spettri non è mostrata in Figura 9-4.
L’andamento degli spettri è più rumoroso di quelli del Rosso Veronese in conseguenza
della minor intensità degli spettri stessi. Lo spettro in linea punteggiata è quello del
substrato e presenta una ampia banda di fluorescenza con un massimo quasi piatto tra
101
450 nm e 550 nm. Lo spettro in linea continua presenta, invece, una evidente presenza
di biodeteriogeni con un massimo a 685 nm e la spalla a 730 nm.
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
500
600
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-9: Spettri di fluorescenza di mattoni.
1.2
Punto 22
Punto 22
Punto 42
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
500
600
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-10: Spettri di fluorescenza del capitello del protiro.
La Figura 9-10 riporta gli spettri misurati sul capitello del protiro del Duomo. I tre
spettri proposti presentano una ampia banda di fluorescenza che può essere descritta
102
attraverso il contributo di due sistemi, il primo con un massimo a circa 440 nm, il
secondo con massimo a circa 510 nm. Alle due bande si aggiunge un contributo a
380 nm. Il contributo, non riferibile al substrato lapideo, è associato alla presenza di un
trattamento conservativo, come trova ampiamente conferma dalla
Figura 9-11. In
questa figura sono, infatti, riportati numerosi spettri misurati in diversi punti a cui
corrisponde un substrato di marmo Bardiglio. Tutti gli spettri risultano dominati da un
contributo di fluorescenza molto intenso centrato a 380 nm. Il contributo del trattamento
non permette però di ricavare altre informazioni dalla diretta osservazione dagli spettri
medesimi.
Punto 25
Punto 27
Punto 28
Punto 50
Punto 41
6
Intensità (a.u.)
5
4
3
2
1
0
400
500
600
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-11: Spettri di fluorescenza del Bardiglio.
Nel corso della precedente campagna di misura realizzata nel 1994 nessun spettro aveva
messo in rilievo la presenza del trattamento in oggetto[48] che può quindi essere
attribuito all’intervento di restauro effettuato proprio nel periodo intercorso tra le due
campagne di misura.
La Figura 9-12 presenta gli spettri di fluorescenza misurati sul leone a sinistra del
protiro. L’ampia banda di fluorescenza presenta i due contributi che caratterizzano
anche gli spettri acquisiti su pietre di Bardiglio nel capitello delle colonne del protiro e
quindi un primo massimo centrato attorno a 400 nm e un successivo massimo stavolta
103
collocato attorno ai 500 nm. Lo spettro mostra anche la tipica spalla presente nelle
misure dei marmi attorno a 390 nm.
1.2
Punto 47
Punto 46
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
500
600
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-12: Spettri di fluorescenza del Leone.
La Figura 9-13 presenta gli spettri riferiti a tre misure realizzate sulla pietra d’Istria.
Questi spettri sono caratterizzati da una banda di fluorescenza principale centrata
attorno a 550 nm e da un contributo che origina una spalla a circa 460 nm.
La Figura 9-14 riporta, infine, due spettri acquisiti sulla pietraforte. Questi spettri
presentano un andamento molto rumoroso in conseguenza del basso numero di conteggi
associato alla fluorescenza della pietraforte dovuto sia alle intrinseche proprietà di
fluorescenza di questo litotipo sia al riassorbimento della fluorescenza emessa in
conseguenza del colore molto scuro della pietra stessa. L’andamento dei due spettri è
comunque congruente e, per quanto sia difficile da queste misure definire specifiche
proprietà degli spettri diversi da un’ampia banda di fluorescenza, è opportuno osservare
il rapido fronte di salita della banda tra 400 e 450 nm, la regione stazionaria dello
spettro fino a 550 nm e poi il lento fronte di discesa. Sono questi, tra gli spettri ottenuti
nel corso di questa campagna di misura con riferimento al sensore FLIDAR3 quelli
maggiormente rumorosi e dunque possono essere considerati l’estremo inferiore di
applicazione di questa tecnica di indagine in esperimenti in campo sfruttando
l’eccitazione a 308 nm.
104
Punto 13
Punto 14
Punto 15
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
500
600
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-13: Spettri di fluorescenza della Pietra d’Istria.
Punto 31
Punto 32
1.2
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
400
500
600
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-14: Spettri di fluorescenza della Pietraforte.
105
9.2
CONTROLLO PUNTUALE CON IL SENSORE LIDAR A SCANSIONE
Le misure puntuali eseguite con il sensore LIDAR a scansione del Duomo di Parma
hanno permesso di raccogliere molti spettri di differenti litotipi. Per gli spettri seguenti
la nomenclatura dei punti fa riferimento alla Figura 9-3 e alla Figura 9-4, i pedici
indicano successive misure realizzate sullo stesso blocco di pietra e permettono di avere
informazioni sulla omogeneità dei litotipi stessi.
La Figura 9-15, la Figura 9-16 e la Figura 9-17 riportano rispettivamente alcuni spettri
acquisiti su pietre di Rosa Corallo, di Bianco di Verona e di Rosso Veronese. I valori
sono normalizzati al massimo. Il sistema dei tre contributi centrati rispettivamente
attorno a 460 nm, 500 nm e 560 nm già evidenziati per le misure del FLIDAR3 risulta
traslato di circa 10 nm verso le lunghezze d’onda maggiori in conseguenza della diversa
lunghezza d’onda di eccitazione. Gli spettri hanno inoltre un miglior rapporto segnale
rumore in conseguenza della maggior intensità della fluorescenza emessa.
h11
h12
h13
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
450
500
550
600
650
Lunghezza d’onda (nm)
700
Figura 9-15: Spettri di fluorescenza del Rosa Corallo.
Il sistema dei tre picchi rende possibile l’identificazione dei litotipi. In particolare nel
Rosa Corallo il massimo risulta prossimo ai 500 nm mentre il Bianco di Verona ed il
Rosso Veronese, che hanno il massimo principale attorno al primo picco (460 nm),
possono essere tra loro distinti grazie al diverso andamento nel profilo di discesa della
106
banda di fluorescenza, dovuto al maggior contributo del sistema centrato attorno ai 560
nm presente nel Rosso Veronese (Figura 9-17). Gli spettri di Rosa Corallo (Figura 9-15)
e di Bianco di Verona (Figura 9-16) presentano comunque un piccolo contributo
centrato attorno ai 560 nm che può essere osservato come variazione della pendenza del
fronte di discesa, questo contributo è, specie per il Bianco di Verona, assai più
accentuato che negli spettri ottenuti eccitando il bersaglio a 308 nm (Figura 9-6). Il
contributo è relativamente più intenso anche in conseguenza della eccitazione ad una
lunghezza d’onda maggiore.
f1 1
f1 2
f2 1
f2 2
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
450
500
550
600
650
Lunghezza d’onda (nm)
700
Figura 9-16: Spettri di fluorescenza del Bianco Verona.
Gli spettri del Rosso Veronese (Figura 9-17) presentano una maggior variabilità rispetto
agli spettri del Bianco di Verona e del Rosa Corallo. Questa maggior variabilità
spettrale è dovuta alle intrinseche caratteristiche del litotipo; del resto alla variabilità del
litotipo corrisponde, talvolta, un differente aspetto cromatico.
Un complessivo confronto tra gli spettri delle pietre di Rosso Veronese, di Rosa Corallo
e di Bianco di Verona ottenuti con i due diversi sensori permette di osservare che
l’eccitazione a 355 nm offre spettri più intensi ma di minor variabilità spettrale, ossia
con l’eccitazione a 308 nm le caratteristiche che permettono la distinzione tra i diversi
litotipi sono maggiormente esaltate. L’eccitazione a 355 nm offre un vantaggio
107
esclusivamente per il contributo centrato attorno a 560 nm, comunque evidente nel
Rosso Veronese anche con l’eccitazione a 308 nm. Con entrambi i sensori è comunque
possibile identificare i diversi litotipi e, nei campioni di Rosso Veronese, valutare se
siano classificabili come calcareniti o come calciruditi.
a101
a102
a111
a112
a121
a122
a123
a21
a22
a51
a52
a61
a62
a71
a72
a81
a82
a83
1
Intensità (a.u.)
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
450
500
550
600
650
700
Lunghezza d’onda (nm)
Figura 9-17: Spettri di fluorescenza del Rosso Veronese.
La Figura 9-18 presenta l’andamento di alcuni spettri acquisiti su un’arenaria di tipo
Sporno. Il massimo dell’ampia banda di fluorescenza è posizionato attorno ai 480 nm, e
la differenza di pendenza tra il fronte di salita e quello di discesa della banda
suggeriscono la presenza di un contributo a lunghezze d’onda maggiori. In particolare si
può osservare una regione stazionaria attorno a 530 nm. Infine il fronte di discesa
presenta un cambiamento di pendenza a circa 650 nm. Il rapporto segnale-rumore degli
spettri mette in rilievo la minor risposta di fluorescenza delle arenarie rispetto ai calcari
ed ai marmi.
La Figura 9-19 presenta alcuni spettri acquisiti su un’arenaria di tipo pietraforte. La
banda di fluorescenza presenta un massimo attorno ai 500 nm. L’ampia banda di
fluorescenza non mostra particolari articolazioni, il fronte di discesa dello spettro è,
come di norma, meno ripido di quello di salita. Il rapporto segnale rumore è comunque
108
soddisfacente nonostante la bassa emissione di fluorescenza che caratterizza la
pietraforte.
c11
c12
c13
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-18: Spettri di fluorescenza dell’arenaria Sporno.
g11
g12
g13
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-19: Spettri di fluorescenza dell’arenaria Pietraforte.
109
La Figura 9-20 presenta gli spettri misurati su alcune pietre di Bardiglio, gli spettri sono
stati normalizzati al valore massimo nella regione compresa tra 450 e 550 nm. I tre
spettri misurati sulla pietra indicata con e1 mostrano la presenza del trattamento
protettivo già individuato e discusso nella Figura 9-11. In particolare è possibile
osservare una diversa intensità relativa dei valori massimi a cui associare una differente
quantità di trattamento presente. In questo caso il contributo del trattamento produce un
picco che ha il massimo a 400 nm, spostato di circa 20 nm rispetto a quanto osservato
con l’eccitazione a 308 nm. Lo spostamento della posizione del massimo è dovuto alla
maggior lunghezza d’onda di eccitazione, non è escluso comunque che il fronte di salita
del picco possa esser modificato dalla presenza del filtro in ingresso allo spettrometro
del sensore. Gli spettri privi di trattamento permettono di avere una caratterizzazione del
Bardiglio la cui banda di fluorescenza mostra un massimo a circa 470 nm e il cui fronte
di discesa può essere interpretato attraverso un contributo centrato attorno ai 510 nm.
e11
e12
e21
e22
e23
e24
e31
e32
1.2
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
450
500
550
600
Lunghezza d’onda(nm)
650
700
Figura 9-20: Spettri di fluorescenza del Bardiglio, lato destro del portale principale
In Figura 9-21 sono riportati altri quattro spettri ottenuti con il sensore lidar LTH su
pietre di Bardiglio in presenza di trattamento protettivo. Gli spettri sono stati estratti da
quelli misurati per l’elaborazione delle mappe tematiche e si riferiscono a regioni
dell’area D (Figura 9-2), precisamente alcuni punti a sinistra del portale principale. In
questo caso la fluorescenza del trattamento è dominante su quella dovuta alla pietra. La
110
normalizzazione al massimo è stata possibile esclusivamente rispetto al massimo
assoluto poiché non vi sono regioni dello spettro la cui fluorescenza sia con certezza
attribuibile al Bardiglio. Inoltre il picco si trova spostato proprio sul primo canale di
acquisizione, ossia a circa 396 nm.
1
Intensità (a.u.)
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-21: Spettri di fluorescenza del Bardiglio, lato sinistro del portale principale.
i11
i12
i13
i14
i15
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-22: Spettri di fluorescenza della marna Sporno
111
La Figura 9-22 presenta alcuni spettri misurati su un campione di marna Sporno. La
banda di fluorescenza presenta un massimo compreso tra 480 e 490 nm senza particolari
articolazioni. Il lento fronte di discesa è attribuibile ad un contributo a lunghezze d’onda
maggiori. Rispetto alla arenaria Sporno vi è una differente posizione del massimo ed
una minor articolazione del fronte di discesa, il comportamento spettrale della marna è
comunque simile a quello delle arenarie.
9.3
MAPPE TEMATICHE
Le misure realizzate con il sensore LIDAR a scansione per il controllo di ampie
porzioni del Duomo e del Battistero hanno permesso l’elaborazione di una gran quantità
di mappe tematiche che mettono in rilievo sia la potenzialità di questa metodologia di
indagine e diagnostica per i beni culturali sia interessanti risultati sui due monumenti.
La distanza operativa tra il sensore ed il bersaglio è di circa 80 m. Le aree misurate
situate nelle regioni superiori dei monumenti hanno una distanza maggiore dal sensore e
quindi il loro segnale di fluorescenza risulterà inferiore, a parità delle altre
caratteristiche del bersaglio. Gli spettri sono stati raccolti sommando la fluorescenza
prodotta da 6 impulsi laser e sottraendo il contributo del background.
Gli spettri presentati in questo paragrafo sono indicati con la nomenclatura “X-n.m”
dove X indica l’area (Tabella 9-I), n il numero di riga e m quello della colonna e
corrispondono allo spettro associato al pixel di coordinate (m,n) delle mappe tematiche.
La Figura 9-23 presenta alcuni risultati riferiti all’Area D del Duomo così come indicata
nella Figura 9-2. La parte (a) riporta l’immagine dell’area in questione. Questa, come le
altre fotografie, è stata acquisita in maniera indipendente dal sensore e presenta quindi
una geometria diversa da quella delle mappe tematiche sia a causa della diversa
posizione sia a causa delle differenze del sistema ottico che ha acquisito l’immagine con
il sensore lidar. Le immagini sono state comunque acquisite cercando di riprodurre
quanto più fedelmente possibile il campo visto dal sensore.
La parte (b) presenta una mappa tematica ottenuta mediante il rapporto dell’area sottesa
dagli spettri nell’intervallo 442-448 nm e quella sottesa nell’intervallo 398-406 nm. La
mappa permette di mettere in rilievo in colore blu gli spettri a cui corrispondono misure
del Bardiglio in presenza del trattamento superficiale già individuato in Figura 9-11. In
questo modo è possibile individuare tutte le porzioni del monumento che sono state
112
trattate. Con riferimento alla scala in falsi colori scelta è possibile fissare a circa 1.7 il
criterio per distinguere tra le regioni trattate (valore inferiore a 1.7) e quelle non trattate.
Minori sono i valori del rapporto, maggiore è la fluorescenza del trattamento. La striscia
dei pixel gialli nella regione in basso a sinistra della mappa corrisponde alla colonna del
protiro che copre il retrostante fregio in bardiglio del portale. La mappa tematica
presenta in colore blu anche alcuni pixel del vetro soprastante il portale e della barra in
ferro che attraversa l’arco. L’attribuzione di questi pixel ad una causa diversa dal
trattamento è comunque agevole.
La parte (c) presenta una mappa tematica ottenuta con la PCA nell’intervallo 400700 nm. Il sistema delle componenti principali individuato è riportato nella Figura 9-24.
La mappa tematica è stata ottenuta rappresentando autonomamente la proiezione su PC1
nel canale R, quella su PC2 nel canale G e quella su PC3 nel canale B. La somma
complessiva offre quindi la mappa tematica. Nella mappa in particolare si riescono a
distinguere con chiarezza diversi conci lapidei i cui spettri normalizzati sono riportati
nella parte (d) e nella parte (e) della figura stessa. Nella parte (d) in particolare sono
riportati due spettri corrispondenti al viola acceso del legno dello stemma al centro del
vetro (D-36.29) ed al viola del portone (D-65.23) e due spettri in presenza
rispettivamante del rosso nella colonna (D-70.6) e del rosso cupo del decoro sopra il
portale (D-20.52). Si tratta in entrambi i casi di due pietre calcaree di Rosso Veronese e
per lo spettro D-70.6 è possibile osservare la banda a circa 560 nm che fa supporre che
in analogia ai campioni BOV 4 e BOV 5 della Figura 6-5 si tratta di una calcirudite. La
parte (e) confronta invece gli spettri di due arenaria che appaiono in giallo nella mappa
tematica.
La parte (f) della Figura 9-23 è dedicata al confronto di quattro spettri in presenza dei
trattamenti che appaiono di colore verde nella mappa tematica. In particolare sono stati
scelti spettri in cui il colore che caratterizza la presenza del trattamento ha una diversa
intensità. Lo spettro D-73.9 corrisponde agli spettri in cui la fluorescenza del
trattamento è più intensa, lo spettro D-67.2 corrisponde ad una alta intensità, lo spettro
D-69.47 ad una intensità media ed infine lo spettro D-63.5 ad una delle minor intensità
individuate nella regione a destra del portale. In particolare i pixel corrispondenti
mostrano sempre la stessa colorazione verde ma una minor luminosità.
113
Pixel
10
4
20
3.5
30
3
40
2.5
2
50
Rapporto
(b)
(a)
1.5
60
1
70
0.5
10
20
(c)
30
40
Pixel
60
70
(d)
D-36.29
D-65.23
D-70.6
D-20.52
10
1
Intensità (a.u.)
20
30
Pixel
50
40
50
0.8
0.6
0.4
60
0.2
70
10
20
30
40
Pixel
50
60
0
400
70
450
(e)
18000
D-67.2
D-73.9
D-69.47
D-63.56
16000
14000
0.8
Intensità (a.u.)
Intensità (a.u.)
700
(f)
D-3.32
D-55.62
1
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
12000
10000
0.6
0.4
8000
6000
4000
0.2
2000
0
400
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
700
400
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-23: Area D – Duomo. (a) Immagine del portale centrale. (b) Mappa tematica
ottenuta mediante il rapporto tra l’area nell’intervallo 422-448 nm e quella nell’intervallo
398-406 nm. (c) Mappa tematica realizzata mediante la PCA nell’intervallo 400-700
nm. (d) Spettri del Rosso Veronese e del legno. (e) Spettri di arenaria. (f) Spettri di
regioni con presenza di trattamento.
114
0.15
0.1
Intensità (nm)
0.05
0
-0.05
-0.1
PC1
PC2
PC3
-0.15
-0.2
-0.25
400
450
500
550
600
Lunghezza d'onda (nm)
650
Figura 9-24: Sistema delle componenti principali utilizzate per la mappa tematica della
Figura 9-23 parte (c).
La Figura 9-25 presenta l’Area E del Duomo. La parte (a) della figura
presenta
l’immagine dell’area E a cui corrisponde un’area che comprende parte del protiro e
parte della facciata a sinistra del portale principale. La parte (b) della figura presenta la
mappa tematica in falsi colori ottenuta mediante la composizione delle tre mappe
tematiche rappresentate nella parte (d), nella parte (e) e nella parte (f) della figura. La
scala in falsi colori è stata ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 406-696 nm, il
sistema delle componenti così ottenuto è rappresentato nella parte (c) della Figura 9-25.
La parte (d) della figura presenta la proiezione su PC1, la parte (e) su PC2, la parte (f)
su PC3.
La mappa tematica presentata nella Figura 9-25 (b) è ottenuta mediante la composizione
delle tre singole proiezioni e la scala cromatica è determinata dalla composizione RGB
delle tre proiezioni. La mappa permette l’identificazione di una regione blu, a cui
corrisponde il trattamento protettivo già individuato nell’area D e della cui presenza e
localizzazione vi è quindi conferma, di una regione rossa a cui corrisponde la colonna
del protiro e la decorazione sopra il portale, di alcuni pixel gialli ed infine di una zona
arancione.
115
(b)
(a)
10
20
Pixel
30
40
50
60
70
10
20
30
40
Pixel
(c)
50
60
(d)
0.15
60
10
0.1
50
Pixel
0
-0.05
40
40
30
50
PC1
PC2
PC3
-0.1
30
Intensità (a.u.)
Intensità (a.u.)
20
0.05
20
60
10
70
450
500
550
600
Lunghezza d'onda (nm)
650
10
20
30
(e)
Pixel
40
50
60
(f)
60
60
10
10
50
40
30
50
20
60
Pixel
40
30
40
40
30
50
20
60
10
70
Intensità (a.u.)
30
50
20
Intensità (a.u.)
Pixel
20
10
70
10
20
30
Pixel
40
50
60
10
20
30
Pixel
40
50
60
Figura 9-25: (a) Immagine dell’Area E del Duomo. (b) Mappa tematica ottenuta
mediante le PCA nell’intervallo 406-696 nm. (c) Sistema delle componenti principali. (d)
Mappa tematica ottenuta con la proiezione sulla PC1. (e) Mappa tematica ottenuta con
la proiezione sulla PC2. (f) Mappa tematica ottenuta con la proiezione sulla PC3.
La Figura 9-26 riporta alcuni spettri a cui corrispondono diverse colorazioni nella
mappa tematica della Figura 9-25 (b). Lo spettro E-54.43 corrisponde al colore rosso dei
116
pixel della colonna del protiro, gli spettri E-36.23 al colore rosso cupo e lo spettro E-
42.25 al colore rosa, si tratta in tutti i casi di Rosso Veronese. Due arenarie sono invece
riferite agli spettri E-46.16 ed E-29.8, rispettivamente di colore giallo e giallo vivo nella
mappa tematica.
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
E-54.43
E-36.23
E-46.16
E-29.8
E-42.25
0.2
0
400
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-26: Area E – Duomo. Spettri in corrispondenza di alcuni pixel a cui
corrispondono diverse colorazioni nella Figura 9-25.
La Figura 9-27 presenta gli spettri ottenuti in corrispondenza dei pixel blu della mappa
tematica della Figura 9-25 (b). I pixel corrispondono a spettri in presenza del
trattamento protettivo con diverse intensità del trattamento stesso. Lo spettro E-47.35
mostra un’alta intensità della fluorescenza dovuta al trattamento; per tutti gli spettri è
comunque compromessa ogni possibilità di avere informazioni sul substrato lapideo.
La Figura 9-28 presenta nella parte (a) la fotografia della parte superiore del protiro e
cinque distinte mappe tematiche che mettono in rilievo alcune caratteristiche
individuate. La mappa tematica presentata nella parte (b) della figura è ottenuta
mediante l’applicazione della PCA nell’intervallo 488-628 nm, per la PCA sono stati
considerati gli spettri non normalizzati. La mappa presenta nel sistema RGB
rispettivamente la proiezione su PC1, PC2 e PC3. Dalla mappa in particolare emerge
un’ampia regione viola a cui corrisponde la fluorescenza dei mattoni interni al protiro e
117
agli ordini di archi che lo fiancheggiano. In colore verde vengono ad evidenziarsi i
marmi dei capitelli delle colonne e del profilo della copertura del protiro. Il colore blu
caratterizza l’arco interno al protiro, il colore celeste la base della parte superiore del
protiro e, infine, in colore arancione le parti di Rosso Ammonitico Veronese. Le parti
(c) e (d) della figura presentano la proiezione sulla PC2 ottenuta mediante
l’applicazione della PCA nell’intervallo 394-714 nm. Le due mappe sono ottenute
scegliendo diversi livelli di saturazione del massimo e del minimo della scala cromatica.
Nella mappa in parte (c) della figura risaltano i soli pixel i cui spettri mostrano una
intensa fluorescenza del trattamento (in colore blu i più intensi e in colore giallo e rosso
i meno intensi), nella scala cromatica scelta invece per la parte (d) della figura si
riescono a cogliere altri elementi della struttura, per esempio i capitelli delle colonne.
x 10
4
E-54.36
E-20.44
E-62.46
E-47.35
5
Intensità (a.u.)
4
3
2
1
0
400
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-27: Area E – Duomo. Spettri in corrispondenza di alcuni pixel nella Figura
9-25.
La Figura 9-28 parte (e) presenta una mappa tematica ottenuta mediante la PCA
nell’intervallo
394-714 nm
componendo
un’immagine
RGB
attraverso
la
rappresentazione in R della proiezione su PC1, in G di quella su PC2 e in B di quella su
PC3. La mappa permette di individuare sia i punti in presenza del trattamento che si
presentano in colore scuro sia la struttura dell’arco, le colonne, il profilo del tetto. Con il
118
giallo sono invece descritti sia i mattoni sia le colonne e altri particolari. Questa mappa
differisce da quella presentata nella parte (b) della figura proprio per il diverso
intervallo spettrale scelto per la PCA. Nel caso della mappa (b) l’intervallo più ristretto
(488-628 nm) esclude i punti in presenza di trattamento che sono presentati
separatamente nelle mappe (c) e (d), in questo caso l’intervallo è più ampio (394714 nm) e comprende anche la regione in cui il contributo del trattamento è dominante;
in questo modo è compromessa la capacità di distinguere tra i litotipi, in particolare tra i
mattoni che costituiscono il fondo e le colonne. Nella mappa (e) il peso dei pixel che
corrispondono alla presenza del trattamento domina l’analisi statistica e comprimere le
informazioni estraibili dalla stessa.
La mappa tematica nella Figura 9-28 (f) è stata ottenuta mediante il rapporto tra l’area
sottesa nell’intervallo 668-701 nm e quella sottesa nell’intervallo 661-667 nm al fine di
individuare eventuali aree in cui fosse in corso un attacco da parte dei biodeteriogeni.
Nella mappa solo il pixel H-57.65 può indicare la presenza di biodeteriogeni. Lo spettro
relativo mostra, infatti, una modesta banda di fluorescenza centrata proprio a 680 nm
(Figura 9-29 parte (e)). Lo spettro non può comunque essere risolutivo per indicare la
presenza dei biodeteriogeni stessi poiché l’intensità della banda di fluorescenza è di
poco superiore al rumore presente, inoltre non è consueto che i biodeteriogeni si
sviluppino in una regione così ristretta del monumento a meno di non essere in presenza
o di un inizio di nuova colonizzazione o di un residuo di un trattamento biocida
precedente. Uno spettro puntuale realizzato migliorando il rapporto segnale-rumore
sarebbe risolutivo. Complessivamente si può affermare che nell’area H non si ha un
attacco da parte di biodeteriogeni.
La Figura 9-29 (a) presenta tre spettri a cui corrisponde il colore viola della mappa
tematica di Figura 9-28 (b), gli spettri dei mattoni hanno un andamento ben
riproducibile nonostante che la bassa intensità di fluorescenza comporti un rapporto
segnale-rumore non particolarmente buono. Nella parte (b) sono invece riportati gli
spettri in presenza del trattamento già individuato nella Area D e nella Area E. In questa
area le pietre del monumento trattate sono poche ma la fluorescenza risulta molto
intensa. Gli spettri in colore verde nella Figura 9-28 (b) corrispondono agli spettri
riportati in Figura 9-29 (c). Gli spettri possono essere identificati nel Rosso Veronese,
alcuni spettri H-42.21 e H-43.32 mostrano anche un contributo modesto tra 550 e
119
650 nm, mentre gli spettri che tendono al blu (H-9.40 e, soprattutto, H-19.36) hanno un
contributo minore in questa regione spettrale. La Figura 9-29 (d) confronta gli spettri
acquisiti in corrispondenza della colorazione arancio delle colonne e degli altri
particolari. La Figura 9-29 (f) presenta invece l’esempio di uno spettro durante la cui
acquisizione il sensore ha presentato dei problemi, nel caso specifico uno spike su di un
canale. Lo spettro si nota facilmente in colore rosso cupo nella mappa tematica (b) della
Figura 9-28 e viene ritrovato anche nelle altre mappe tematiche, non appare però nella
mappa (f) poiché realizzata senza coinvolgere l’intervallo spettrale in cui l’acquisizione
ha avuto questo problema. Il numero di spettri acquisiti che presentano queste anomalie
è particolarmente modesto e una buona soluzione pratica è quella di individuarli nelle
mappe tematiche.
La Figura 9-30 riporta l’immagine, nella parte (a), ed alcune mappe tematiche
dell’Area J misurata attorno al portale destro del Duomo. La mappa (b) è ottenuta
mediante il rapporto tra l’area sottesa nell’intervallo 661-710 nm e quella sottesa
nell’intervallo 653-660 nm e mostra molti pixel in cui si ha la presenza di
biodeteriogeni. La mappa (c) e la mappa (d) sono state ottenute mediante la PCA
nell’intervallo 402-710 nm. La mappa (c) presenta la proiezione sulla PC1 dove in
rosso si evidenziano alcune arenarie. La mappa (d), infine, è stata ottenuta attraverso la
composizione RGB delle proiezioni rispettivamente su PC1, PC2 e PC3 e permette
l’identificazione delle aree con biodeteriogeni in viola intenso e di distinti conci lapidei
in rosa chiaro, in rosso, in viola intenso, in rosa violaceo. I pixel in colore verde
rappresentano spettri per i quali il sensore ha mostrato problemi di acquisizione ed il
segnale di fluorescenza misurato risulta poco intenso e uniforme su tutto lo spettro.
La Figura 9-31 presenta gli spettri acquisiti nell’Area J che mostrano la presenza dei
biodeteriogeni, in particolare gli spettri J-56.15 e J-31.27 mostrano gli spettri dei pixel
che appaiono di colore rosso cupo nella mappa (b) della Figura 9-30 ed a cui
corrisponde una intensità di fluorescenza dei biodeteriogeni maggiore.
La Figura 9-32 riporta l’andamento degli spettri di arenaria messi in evidenza in rosso
nella mappa (c) della Figura 9-30.
120
(b)
(a)
10
Pixel
20
30
40
50
60
10
20
30
40
50
60
Pixel
(c)
(d)
5
4
x 10
5
-0.6
10
0
-1
20
20
-5
-1.2
30
30
Pixel
Intensità (a.u.)
Pixel
10
-0.8
-1.4
40
-10
40
-1.6
50
-1.8
50
60
-2
60
Intensità (a.u.)
x 10
-15
-20
-2.2
10
20
30
40
50
60
10
20
30
Pixel
40
50
60
Pixel
(e)
(f)
0.45
10
20
0.35
30
30
0.3
40
0.25
40
50
50
60
60
Intensità (a.u.)
0.4
20
Pixel
Pixel
10
0.2
0.15
0.1
10
20
30
40
50
60
10
20
30
40
50
60
Pixel
Pixel
Figura 9-28: (a) Area H – Duomo. (b) Mappa tematica ottenuta mediante la PCA
nell’intervallo 488-628 nm. (c) Mappa tematica ottenuta nell’intervallo 394-714 nm
mediante la proiezione su PC2. (d) Mappa tematica ottenuta nell’intervallo 394-714 nm
mediante la proiezione su PC2 con una diversa scala cromatica. (e) Mappa tematica
ottenuta mediante le PCA nell’intervallo 394-714 nm. (f) Mappa tematica ottenuta
mediante il rapporto tra l’area dell’intervallo 668-701 nm e l’area nell’intervallo 661-667
nm.
121
(a)
(b)
8
H-45.15
H-39.30
H-50.61
1
H-20.58
H-15.18
7
6
Intensità (a.u.)
0.8
Intensità (a.u.)
x 10
4
0.6
0.4
5
4
3
2
0.2
0
400
1
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
0
400
700
450
(c)
0.6
0.4
0.2
0
400
H-50.10
H-48.32
H-22.48
1
Intensità (a.u.)
Intensità (a.u.)
0.8
0.8
0.6
0.4
0.2
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
0
400
700
450
(e)
1200
12000
H-57.65
800
8000
Intensità (a.u.)
10000
Intensità (a.u.)
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
700
(f)
1000
600
400
200
0
400
700
(d)
H-42.21
H-43.32
H-9.40
H-19.36
1
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
H-60.67
6000
4000
2000
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
0
400
700
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-29: Spettri Area H – Duomo. (a) Spettri di mattoni. (b) Spettri in presenza di
trattamento. (c) Spettri dei capitelli e di altri marmi. (d) Spettri delle colonne e di altre
regioni di Rosso Ammonitico Veronese. (e) Spettro con sospetta presenza di
biodeteriogeni. (f) Esempio di spettro con errore di acquisizione.
La Figura 9-33 mostra alcuni spettri che caratterizzano le diverse colorazioni della
122
mappa (d) della Figura 9-30. Gli spettri J-59.5 e J-61.5 corrispondono in particolare
all’area in colore rosa alla sinistra del portale, questi spettri corrispondono alla presenza
di una malta cementizia. Si hanno poi alcuni spettri delle colorazioni dal rosso al viola
intenso che caratterizza l’arco, essi sono J-32.6 e J-24.66 a cui corrisponde il colore
rosso (arenaria), J-47.46 a cui corrisponde il colore viola intenso (arenaria), J-12.62 e J24.13 a cui corrisponde il colore tra viola e rosso (calcarenite). Il colore viola scuro
corrisponde agli spettri di esempio J-30.27 e J-30.46 relativi alle aree con presenza di
biodeteriogeni che sormontano il portale e danno origine ad uno stato di degrado
avanzato.
(a)
(b)
200
10
180
160
20
120
30
100
40
Rapporto
Pixel
140
80
60
50
40
20
60
10
20
30
40
50
60
Pixel
(d)
10
10
20
20
Pixel
Pixel
(c)
30
30
40
40
50
50
60
60
10
20
30
Pixel
40
50
10
60
20
30
Pixel
40
50
60
Figura 9-30: Area J – Duomo. (a) Fotografia del portale laterale destro. (b) Mappa
tematica ottenuta mediante il rapporto delle aree sottese negli intervalli 661-710 nm e
653-660 nm. (c) Mappa tematica raffigurante la proiezione della PC1 nell’intervallo
402-710 nm. (d) Mappa tematica ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 402-710 nm.
123
J-31.27
J-56.15
J-29.38
J-29.34
J-30.24
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-31: Area J – Duomo. Spettri di alcune pietre in presenza di biodeteriogeni
evidenziati in Figura 9-30 parte (a).
J-57.65
J-36.15
J-57.5
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-32: Area J – Duomo. Spettri di alcune pietre di arenaria corrispondenti ai pixel
rossi nella Figura 9-30 parte (c).
124
J-59.5
J-61.5
J-32.6
J-24.66
J-47.46
J-12.62
J-24.13
J-30.27
J-30.46
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-33: Area J – Duomo. Spettri corrispondenti alle diverse caratteristiche
mostrate nella Figura 9-30 parte (d).
La Figura 9-35 (a) presenta l’immagine dell’area G nella parte superiore della facciata
del Duomo e nella parte (b) la mappa tematica ottenuta mediante l’analisi delle
componenti principali nell’intervallo 400-701 nm. La mappa è stata ottenuta
componendo nel sistema RGB le proiezioni su PC1, su PC2 e su PC3. Nella parte (b)
della figura sono rappresentati tre degli spettri che appaiono in colore giallo nella mappa
tematica ed il cui andamento corrisponde a quello individuato in Figura 9-33 per gli
spettri J-59.5 e J-61.5. Nella parte (c) sono presentati invece spettri di calcari che
appaiono di colore viola nella mappa tematica (b) gli spettri G-16.14 e G-18.50 hanno
un andamento caratteristico del Rosso Veronese con il contributo di fluorescenza della
banda collocata tra 550 nm e 600 nm. Gli spettri in colore bianco della mappa tematica
sono presentati nella parte (e) della figura. Infine la parte (f) della figura presenta due
spettri (G-8.18 e G-11.13) riferibili al colore blu scuro del profilo del tetto e tre spettri
(G-50.22, G-41.65 e G-11.13) dei paramenti che rivestono l’interno dell’ordine degli
archi. Sono queste aree del monumento particolarmente favorevoli allo sviluppo di
croste nere in cui si presentano quindi spettri (G-50.22) attribuibili ai mattoni, spettri
(G-11.13) poco articolati ed una bassa intensità di fluorescenza che produce un
125
mediocre rapporto segnale-rumore indicando complessivamente la presenza di una
patina scura di deterioramento e, infine, situazioni intermedie (G-41.65).
(a)
(b)
10
20
Pixel
30
40
50
60
70
10
20
30
40
50
60
Pixel
(c)
1.4
(d)
G-26.21
G-26.31
G-34.46
1.2
1
Intensità (a.u.)
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.8
0.6
0.4
0.2
0.2
0
400
G-16.14
G-18.50
G-58.27
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
0
400
700
450
(e)
1
Intensità (a.u.)
Intensità (a.u.)
G-50.22
G-41.65
G-11.13
G-8.18
G-12.1
1.2
0.8
0.6
0.4
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
700
(f)
G-17.19
G-16.22
1
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
0.2
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
0
400
700
450
500
550
600
Lunghezza d'onda (nm)
650
700
Figura 9-34: Area G – Duomo. (a) Immagine della parte superiore del Duomo. (b)
Mappa tematica ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 400-701 nm. (c) Spettri relativi
ai punti in giallo della mappa tematica. (d) Spettri relativi alle tonalità rosa e violacee.
(e) Spettri relativi ai pixel bianchi. (f) Spettri a cui corrispondono le tonalità blu.
126
La Figura 9-35 riporta nella parte (a) l’immagine dell’Area G, in (b) una mappa
tematica ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 440-660 nm realizzata con il sistema
RGB, in (c) una mappa tematica ottenuta mediante la proiezione su PC3 degli spettri,
con il sistema delle componenti principali calcolato nell’intervallo 440-660 nm e in (d)
una mappa tematica ottenuta applicando la PCA nell’intervallo 668-701 nm realizzata
con il sistema RGB. La mappa (c) permette di individuare in colore rosso l’interno
dell’ordine degli archi, in celeste le parti calcaree e in giallo le arenarie. Anche i pixel
del cielo sono qui rappresentati con il colore giallo. La mappa (d) rappresenta in colore
violetto alcune aree in cui sono presenti biodeteriogeni, uno spettro corrispondente è
presentato nella Figura 9-37 nell’intervallo 650-700 nm.
(a)
(b)
10
20
Pixel
30
40
50
60
70
10
20
30
40
50
60
Pixel
(c)
(d)
10
10
0
20
Pixel
40
-1
30
Pixel
-0.5
30
Intensità (a.u.)
20
40
50
50
60
-1.5
60
70
70
10
20
30
40
50
10
60
20
30
40
50
60
Pixel
Pixel
Figura 9-35: Area G – Duomo. (a) Immagine della parte superiore del Duomo. (b)
Mappa tematica realizzata mendiante la PCA nell’intervallo 440-660 nm. (c) Mappa
tematica realizzata mediante la proiezione sulla PC3 ottenuta nell’intervallo 440660 nm. (d) Mappa tematica ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 668-701 nm.
127
La mappa (b) è stata ottenuta in un intervallo spettrale più ristretto rispetto alla mappa
(b) della Figura 9-35 e permette di riconoscere i comportamenti spettrali presentati nella
Figura 9-36.
G-49.21
G-39.20
G-27.22
G-48.26
G-11.45
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
450
500
550
600
Lunghezza d'onda (nm)
650
700
Figura 9-36: Area G – Duomo. Alcuni spettri di differenti litotipi.
175
G-50.17
170
Intensità (a.u.)
165
160
155
150
145
140
650
660
670
680
690
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-37: Area G – Duomo. Esempio di spettro con presenza di biodeteriogeni.
128
(b)
(a)
10
Pixel
20
30
40
50
60
10
20
(c)
30
Pixel
40
50
40
50
(d)
350
10
10
300
20
30
200
150
40
100
Pixel
Pixel
250
Intensità (a.u.)
20
30
40
50
50
50
60
60
10
20
30
Pixel
40
50
10
20
30
Pixel
Figura 9-38: Area I – Duomo. (a) Immagine degli ordini superiori degli archi del Duomo.
(b) Mappa ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 451-625 nm. (c) Mappa tematica
ottenuta mediante la proiezione su PC3 calcolata nell’intervallo 670-710 nm. Mappa
tematica ottenuta con la PCA nell’intervallo 670-710 nm.
La Figura 9-38 descrive l’area I del Duomo a cui corrisponde una porzione della parte
alta della facciata in cui appaiono i due ordini di archi. La parte (a) della figura presenta
l’immagine dell’area stessa, la mappa (b) è stata ottenuta con la PCA e la
rappresentazione RGB nell’intervallo 451-625 nm, le mappe (c) è (d) sono state ottenute
con la PCA nell’intervallo 670-710 nm. La mappa (c) presenta la proiezione su PC3, la
mappa (d) la rappresentazione RGB. Nelle mappe (c) e (d) in particolare sono
evidenziate le aree in presenza di biodeteriogeni già individuabili in colore rosso cupo
nella mappa (b). Gli spettri di queste regioni sono presentati nella Figura 9-39 (d) ed in
particolare vi sono quelli che mostrano una minor fluorescenza di biodeteriogeni (I31.17) corrispondenti ai pixel in colore celeste nella mappa (c) e quelli che mostrano
129
una maggior fluorescenza (I-56.59) corrispondenti ai pixel in colore rosso, le situazioni
intermedie corrispondono ai pixel in giallo ed arancio.
(a)
I-19.3
I-20.9
I-30.41
I-28.42
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
I-37.16
I-38.21
I-21.26
I-15.5
1
Intensità (a.u.)
Intensità (a.u.)
(b)
0.8
0.6
0.4
0.2
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
0
400
700
450
(c)
Intensità (a.u.)
Intensità (a.u.)
I-31.17
I-28.16
I-40.36
I-56.59
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
700
(d)
I-16.20
I-11.10
I-30.21
I-31.24
1
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
0.8
0.6
0.4
0.2
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
0
400
700
450
500
550
600
Lunghezza d'onda (nm)
650
700
Figura 9-39: Area I – Duomo. (a) Spettri in corrispondenza delle regioni verdi della
mappa tematica della Figura 9-38 (b). (b) Spettri in corrispondenza delle colonne della
sottostante regione. (c) Spettri in corrispondenza della colorazione rossa e della
clorazione blu (relativa all’interno degli archi nella Figura 9-38-(b)). (d) Spettri in
corrispondenza a diversi punti in cui la mappa tematica della Figura 9-38 (d) mostra la
presenza di biodeteriogeni.
La Figura 9-39 (a) presenta alcuni esempi di spettri a cui corrisponde il colore verde
nella mappa tematica (b) della Figura 9-38. Gli spettri, corrispondenti a calcari, hanno
un sistema articolato in due bande e alla crescita dell’importanza del picco a maggior
lunghezza d’onda corrispondono i toni più vivaci del verde. Gli spettri della parte (b)
sono riferiti alle colonne ed all’area sottostante ad esse mentre quelli della parte (c) sono
associati (I-16.20 e I-11.10) ai mattoni interni all’ordine degli archi e (I-30.21 e I-31.24)
alle regioni rosse della mappa tematica (b) della Figura 9-38. In questi ultimi spettri è
presente anche un contributo dovuto ai biodeteriogeni. La parte destra della mappa
130
tematica è comunque abbastanza rumorosa. In corrispondenza vi è infatti una ampia
regione in cui sono presenti aree nere e quindi si ha un modesto segnale di fluorescenza.
Il Battistero presenta una minor varietà di litotipi e, visto il recente intervento di
restauro, poche aree in cui si hanno attacchi di biodeteriogeni.
La Figura 9-40 presenta l’immagine dell’Area A del Battistero corrispondente alla
regione superiore del portale. La parte (a) della figura mostra una foto dell’area
esaminata. La mappa tematica (b) è stata ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 403670 nm componendo nel sistema RGB la proiezione su PC1, su PC2 e su PC3 e mette in
rilievo in colore rosso le pietre di Rosso Veronese in cui si ha un contributo della banda
di fluorescenza nella regione spettrale compresa tra 550 e 600 nm. In blu appare il vetro
a cui è associato un proprio spettro di fluorescenza. Un risultato analogo anche se più
rumoroso è mostrato nella mappa (d) stavolta ottenuto mediante il rapporto tra l’area
sottesa nell’intervallo 533-538 nm e quella sottesa nell’intervallo 538-564 nm. La
mappa (c) è stata ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 508-602 nm componendo nel
sistema RGB la proiezione su PC1, su PC2 e su PC3 ed il colore verde individua tutte le
regioni di Rosso Veronese sia in presenza sia in assenza del contributo tra 550 e
600 nm.
La Figura 9-41 presenta l’Area C del Battistero il cui esame è avvenuto con un’alta
risoluzione spaziale utile a indagare i particolari della lunetta e dei bassorilievi. Nella
parte (a) della figura è presentata la fotografia del particolare, nelle altre parti sono
presentate mappe tematiche. Le mappe tematiche (b), (c) e (d) sono state ottenute
mediante la rappresentazione RGB delle proiezioni su PC1, PC2 e PC3 degli spettri, la
PCA è stata applicata rispettivamente negli intervalli 407-659 nm, 527-562 nm e 400700 nm. La mappa (e) è stata ottenuta mediante la proiezione su PC2 e la mappa (f) con
quella su PC1 ottenute sempre nell’intervallo 400-700 nm. La complessiva analisi delle
mappe tematiche permette di ricostruire in dettaglio le caratteristiche litologiche delle
pietre. E’ possibile identificare i conci di Rosso Ammonitico Veronese e quelli di
Bianco di Verona, che litologicamente ha le stesse proprietà ed origine del Rosso ma è
privo della colorazione. Di particolare interesse è la possibilità di analizzare l’unico
blocco di pietra che costituisce l’architrave del portale, ricostruendo attraverso gli spettri
di fluorescenza quali regioni del blocco sono analoghe al Rosso Veronese e quali al
Bianco di Verona. E’ possibile individuare le caratteristiche litologiche, così come
131
emerge nelle mappe (c) ed (e), dei due blocchi di pietra affianco dell’architrave. Nella
mappa (f) è, infine, possibile identificare le diverse lavorazioni del bassorilievo scolpito
nel blocco posizionato sopra l’architrave.
(a)
(b)
10
Pixel
20
30
40
50
60
10
20
(c)
30
Pixel
40
50
(d)
0.245
10
10
20
20
30
30
40
40
50
50
0.235
0.23
0.225
Rapporto
Pixel
Pixel
0.24
0.22
0.215
60
60
10
20
30
Pixel
40
0.21
10
50
20
30
Pixel
40
50
Figura 9-40: Area A – Battistero. (a) Immagine del portale principale del Battistero. (b)
Mappa tematica realizzata mediante la PCA nell’intervallo 403-670 nm. (c) Mappa
tematica ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 508-602 nm. (d) Mappa tematica
ottenuta mediante il rapporto dell’area sottesa nell’intervallo 533-538 nm e quella
sottesa nell’intervallo 538-564 nm.
La Figura 9-42 riporta alcuni degli spettri individuati nelle mappe tematiche della
Figura 9-41. Si possono osservare spettri di Bianco di Verona e di Rosso Veronese. Gli
spettri dei blocchi a fianco dell’architrave individuati nelle mappe tematiche (c) ed (f)
sono quelli che in analogia con C-71.60 offrono un maggior contributo nella regione
spettrale 550-600 nm. Vi sono poi tre spettri corrispondenti al Bianco di Verona, C69.55 dall’architrave, C-62.43 e C-58.41 dal bassorilievo soprastante. I due spettri con
comportamento intermedio C-71.45 e C-14.11 sono di Rosso Veronese.
132
(b)
(a)
10
20
Pixel
30
40
50
60
70
10
20
30
50
60
70
(d)
10
10
20
20
30
30
Pixel
Pixel
(c)
40
Pixel
40
40
50
50
60
60
70
70
10
20
30
40
Pixel
50
60
70
10
20
(e)
30
40
Pixel
50
60
70
(f)
5
x 10
0.2
-0.2
10
0
10
20
-0.2
20
-0.4
-0.6
-0.8
50
-1
-1.2
40
-1.4
50
-1.6
-1
60
-1.8
60
-2
-1.2
70
-2.2
70
10
20
30
40
Pixel
50
60
70
Intensità (a.u.)
40
30
Pixel
Pixel
-0.6
Intensità (a.u)
-0.8
-0.4
30
-1.4
10
20
30
40
Pixel
50
60
70
Figura 9-41: Area C – Battistero. (a) Immagine dell’Area C. (b) Mappa tematica
ottenuta mediante le PCA nell’intervallo 407-659 nm. (c) Mappa tematica ottenuta
mediante le PCA nell’intervallo 527-562 nm. (d) Mappa tematica ottenuta mediante le
PCA nell’intervallo 400-700 nm. (e) Mappa tematica ottenuta mediante le PCA
nell’intervallo 400-700 nm, proiezione su PC2. (f) Mappa tematica ottenuta mediante le
PCA nell’intervallo 400-700 nm, proiezione su PC1.
133
C-69.55
C-71.45
C-71.60
C-14.11
C-62.43
C-58.41
Intensità (a.u.)
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
400
450
500
550
600
650
Lunghezza d'onda (nm)
700
Figura 9-42: Area C – Battistero. Spettri di Rosso Ammonitico Veronese.
10
7
20
20
6
30
30
40
5
4
40
50
50
60
60
3
Rapporto
10
Pixel
Pixel
x 10-2
8
2
1
70
0
-1
70
10
20
30
40
Pixel
50
60
10
70
(a)
20
30
40
Pixel
50
60
70
(b)
0.1
Intensità (a.u.)
0.05
0
-0.05
PC 1
PC 2
PC 3
PC 4
-0.1
-0.15
450
(c)
500
550
600
Lunghezza d’onda (nm)
650
Figura 9-43: Area C – Battistero. (a) Fotografia della Lunetta del portale principale (b)
Mappa tematica ottenuta nell’intervallo 400 – 700 nm mediante il rapporto tra la
proiezione su PC4 e PC1 (c) Sistema delle PCA
134
La Figura 9-43 presenta l’immagine della lunetta nella parte (a) ed, in (b) una mappa
tematica ottenuta mediante il rapporto tra la proiezione su PC1 e PC4 calcolate
nell’intervallo spettrale 400-700 nm; l’andamento delle componenti è poi riportato nella
parte (c) della figura stessa. Nella Figura 9-41 sia nella mappa (b) in verde brillante sia
nella mappa (e) in rosso cupo è possibile individuare all’interno della lunetta delle aree
a cui corrispondono le decorazioni azzurre in fotografia. Nella mappa (b) della Figura
9-43 solo alcune parti di queste decorazioni appaiono colorate di blu e/o celeste. Si
tratta in particolare delle colorazioni accanto alla figura centrale (una Madonna)
realizzate in lapislazzulo, pietra più pregiata dell’azzurrite utilizzata per le decorazioni
degli angeli.
(b)
(a)
110
5
100
10
90
80
20
70
25
60
30
50
Rapporto
Pixel
15
40
35
30
40
20
45
10
50
10
20
30
40
50
60
70
Pixel
(c)
(d)
5
1
10
Intensità (a.u.)
15
Pixel
20
25
30
35
0.8
0.6
0.4
L-21.68
L-30.46
L-43.35
L-15.25
40
0.2
45
50
10
20
30
40
Pixel
50
60
0
400
70
450
500
550
600
Lunghezza d'onda (nm)
650
700
Figura 9-44: Area L – Battistero. (a) Immagine della balaustra (b) Mappa tematica
raffigurante in falsi colori il rapporto tra l’area nell’intervallo 663-700 nm e l’area
nell’intervallo 650-662 nm (c) Mappa tematica ottenuta mediante la PCA nell’intervallo
400-600 nm. (d) Alcuni spettri dell’area L corrispondenti ad una diversa colorazione
nelle mappe tematiche.
135
La Figura 9-44 mostra l’Area L del Battistero corrispondente alla parte superiore della
facciata in cui è visibile anche la balaustra. Nella parte (a) vi è la fotografia del
particolare. Nella parte (b) una mappa tematica ottenuta mediante il rapporto tra l’area
sottesa dagli spettri nell’intervallo 663-700 nm e quella sottesa nell’intervallo 650662 nm. Sotto la balaustra si evidenzia una serie di pixel di diversa colorazione che
indicano la presenza dei biodeteriogeni a cui corrisponde lo spettro L-15.25, ove si
mostra una alta intensità di fluorescenza dovuta ai biodeteriogeni. La mappa (c) è
ottenuta mediante la rappresentazione RGB delle PCA calcolate nell’intervallo 400600 nm. Oltre alla regione in viola scuro immediatamente sotto la balaustra che indica
la presenza dei biodeteriogeni, si individuano una regione verde a cui corrispondono
spettri del tipo L-21.66, alcuni pixel celesti corrispondenti a spettri del tipo L-43.35 ed
infine una regione con spettri di colore verde scuro (L-30.46).
136
10 CONCLUSIONI
Il lavoro svolto evidenzia come il telerilevamento lidar per i beni culturali abbia
mostrato notevoli vantaggi operativi rispetto alle tecniche tradizionali per il controllo di
monumenti con risultati analoghi e spesso migliori. Gli esperimenti hanno permesso di
verificare il telerilevamento lidar nelle condizioni effettive di esercizio e la possibilità di
acquisire spettri su diverse tipologie di materiali lapidei con varie tipologie di degrado.
Sono stati inoltre sviluppati gli algoritmi per l’analisi dei dati ed un software specifico
per la presentazione dei risultati con un’interfaccia user-friendly. In questo contesto è
stata affrontata la problematica legata all’analisi e gestione di grandi quantità di spettri
necessari per la realizzazione di mappe tematiche a partire da immagini iperspettrali.
Riguardo agli obiettivi posti nell’ambito di questo lavoro, sono stati raggiunti i seguenti
risultati:
•
la raccolta di un archivio di spettri di diversi litotipi, di malte, di laterizi, di
pietre dure, di pietre con trattamenti superficiali, di pietre attaccate da
biodeteriogeni e di croste nere;
•
la realizzazione di mappe tematiche che presentano la descrizione dei paramenti
lapidei e del degrado a partire dalle immagini iperspettrali acquisite sui
monumenti;
•
lo sviluppo del telerilevamento lidar quale tecnica operativa per il controllo non
distruttivo di monumenti lapidei e di edifici storici.
La caratterizzazione dei materiali lapidei ed, in particolar modo, l’individuazione di
tutte le aree del monumento che presentano il medesimo comportamento spettrale a cui
sono associate determinate caratteristiche litologiche è possibile sia su bersagli
compositi (esperimento realizzato presso l’LTH e il Duomo di Parma) sia su bersagli
uniformi (Duomo di Pisa, Battistero di Parma). La firma spettrale è infatti definibile per
ogni diverso litotipo e può essere sfruttata per identificarlo. Lo sviluppo di una tecnica
operativa richiede, rispetto al problema della identificazione dei litotipi, la realizzazione
di un archivio di spettri. Di particolare interesse è lo sviluppo di una teoria
fenomenologica di interpretazione degli spettri stessi basata sulla scomposizione dello
spettro in contributi, molto probabilmente gaussiani, e la ricerca di una eventuale
variazione dei parametri delle curve tra spettri di pietre diverse.
137
Nel corso del lavoro è stata verificata, per la prima volta, la presenza di un trattamento
conservativo in campo. Il trattamento individuato presso il protiro del Duomo di Parma
ha uno spettro di fluorescenza caratteristico che si sovrappone alla firma spettrale dei
litotipi, costituenti il substrato. L’esperienza in campo ha permesso anche la produzione
di mappe tematiche associabili alla quantità di trattamento presente. Un archivio di
firme spettrali dei trattamenti, almeno per quelli di origine industriale, è necessario per
applicare il telerilevamento lidar come tecnica operativa per il riconoscimento e
l’individuazione di trattamenti.
Il telerilevamento lidar ha mostrato la propria utilità anche per l’individuazione delle
malte (esperimento realizzato presso l’LTH) con la possibilità di una loro
classificazione in malte aeree, pozzolaniche e cementizie. Il vantaggio rispetto alle
tecniche tradizionali potrebbe risultare significativo per la difficoltà di queste tecniche a
produrre una classificazione anche considerando il necessario impiego composito di più
tecniche di analisi. Quella presentata in questo lavoro è una prima dimostrazione della
possibilità di applicare il telerilevamento lidar alla classificazione delle malte,
applicazione per la quale sono comunque necessarie ulteriori verifiche sperimentali.
L’esperimento realizzato presso Ravenna ha mostrato la possibilità di caratterizzare
anche i laterizi e di studiarne la colonizzazione da parte dei biodeteriogeni. In presenza
di uno specifico interesse per la loro caratterizzazione sarebbe comunque necessario
realizzare un esperimento volto ad individuare anche le possibili variazioni rispetto a
laterizi di diversa origine e composizione.
La campagna di misura LiMPaM ha mostrato la possibilità di estendere l’applicazione
del telerilevamento lidar al riconoscimento ed alla caratterizzazione delle pietre dure
utilizzate nelle decorazioni.
L’individuazione in campo di alghe verdi e cianobatteri è un risultato consolidato del
telerilevamento lidar ed è possibile anche su substrati lapidei disomogenei o in cui sono
presenti altre forme di degrado quali le croste nere. Il test sperimentale di Ravenna ed
alcune delle mappe tematiche di Parma hanno mostrato la possibilità di avere misure
quantitative dell’attacco da biodeteriogeni. Il riconoscimento tra le alghe verdi ed i
cianobatteri è possibile in base alla firma spettrale.
Il test sperimentale sul Duomo di Pisa ha, infine, mostrato la possibilità di individuare e
riconoscere le croste nere. Uno specifico studio delle croste nere mediante il
138
telerilevamento lidar richiederebbe la progettazione di specifici esperimenti di confronto
con le tecniche tradizionali e potrebbe risultare utile anche per un impiego esteso nello
studio dell’ambiente urbano mediante la caratterizzazione dei depositi atmosferici di cui
sono composte le croste nere.
Considerazioni specifiche possono essere tratte dal confronto tra le diverse lunghezze
d’onda di eccitazione impiegate nei diversi esperimenti. Complessivamente, seppur su
bersagli diversi, il lavoro ha visto l’impiego di varie lunghezze d’onda di eccitazione.
L’insieme delle lunghezze d’onda compreso tra 300 nm e 355 nm è quello che ha
mostrato i maggiori vantaggi, ossia di fornire una miglior caratterizzazione dei litotipi
presenti nei bersagli. Le diverse lunghezze d’onda di eccitazione sono associate anche a
energie laser diverse; considerando entrambi i parametri è così possibile individuare nei
valori attorno ai 300 nm la lunghezza d’onda ideale per l’eccitazione dei bersagli ma
osservare, contemporaneamente, che la maggior energia dei laser a Nd:YAG triplicati
permette di ottenere comunque risultati accettabili nella caratterizzazione dei bersagli.
Gli algoritmi approntati per l’analisi dei dati ed il software sviluppato per la
presentazione dei risultati hanno permesso di risolvere il problema che sorge al
momento della realizzazione di mappe tematiche in conseguenza all’acquisizione di una
gran quantità di spettri.
L’impiego della PCA mostra, specie nella direzione di realizzare un sistema automatico
di interpretazione dei dati stessi, molti vantaggi e permette di realizzare mappe
tematiche in cui alle regioni di diverso colore corrispondono diverse proprietà spettrali e
quindi diverse caratteristiche intrinseche del bersaglio. L’identificazione successiva è
possibile attraverso il confronto con un archivio di spettri o mediante il contributo delle
tecniche tradizionali di indagine applicate, però, ad un ridotto numero di punti scelti
facilmente accessibili. L’algoritmo di “separazione” dei diversi comportamenti spettrali
può essere ulteriormente affinato sia nella direzione di una standardizzazione
dell’analisi del raggruppamento degli spettri stessi proiettati nella base delle componenti
principali (analisi dei cluster), sia, in combinazione con la metodologia precedente,
realizzando un sistema di applicazione a catena che permetta una iniziale separazione ed
una più raffinata separazione all’interno di ciascun gruppo. L’utilizzo del rapporto tra le
aree sottese dagli spettri in due intervalli spettrali è vantaggioso rispetto alla PCA
139
esclusivamente per la ricerca di comportamenti spettrali già noti e indipendenti dal
substrato lapideo come la presenza dei biodeteriogeni.
La possibilità di utilizzare diverse lunghezze d’onda di eccitazione, nel caso in cui sia
disponibile un sensore con un laser accordabile in frequenza, offre la possibilità di
disporre di più immagini iperspettrali che possono mediante la PCA essere combinate
tra loro. Questa possibilità, da indagare ulteriormente, è comunque utile solo nella
direzione dello sviluppo della ricerca e non presenta, al momento, utili vantaggi per lo
sviluppo di un sensore e di una metodologia operativa.
La presentazione dei risultati nelle mappe tematiche è il sistema più efficiente sia perché
permette una localizzazione delle caratteristiche di interesse sia perché permette un
raffronto tra le diverse aree del monumento. Il sistema di rappresentazione RGB
proposto in questo lavoro è quello che permette la presentazione della maggior
informazione possibile nella medesima mappa tematica. Le mappe tematiche con la
relativa associazione tra colori e la caratteristica mostrata sono un utile strumento che
può essere reso disponibile.
Nella realizzazione delle mappe tematiche molto utile potrà risultare uno sviluppo della
tecnica di referenziazione dei singoli spettri acquisiti al fine di considerare la geometria
della misura con le relative distorsioni prodotte dalla mutua posizione del sensore e del
bersaglio. In questo ambito sarebbe utile poter conoscere anche la distanza tra il sensore
e ciascun punto a cui corrispondono i pixel della mappa tematica al fine, eventualmente,
di correggere gli spettri per l’effettiva distanza tra bersaglio e sensore. Il problema è
comunque riscontrato solo nelle situazioni limite, ossia quando l’angolo tra l’asse ottico
del sensore e la direzione osservata è considerevole.
Il lavoro svolto ha contribuito significativamente all’applicazione del telerilevamento
lidar ai beni culturali con risultati che aprono la strada per ulteriori indagini scientifiche
e direttamente sfruttabili per la realizzazione di un sensore lidar dedicato.
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