Titolo: Spettrometria laser per il controllo dello stato di
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Titolo: Spettrometria laser per il controllo dello stato di
Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Ingegneria Elettronica e Telecomunicazioni CORSO DI DOTTORATO IN “CONTROLLI NON DISTRUTTIVI” XV CICLO IL CONTROLLO DELLO STATO DI CONSERVAZIONE E LA CARATTERIZZAZIONE DEI MATERIALI LAPIDEI NELLE OPERE D’ARTE CON LIDAR A FLUORESCENZA Candidato: Dr. David Lognoli Coordinatore: Prof. Ing. Leonardo Masotti Tutori: Dr. Giovanna Cecchi Prof. Ing. Elena Biagi IN MEMORIA L’applicazione del telerilevamento lidar per la tutela dei beni culturali è stata una delle ultime intuizioni scientifiche di Luca Pantani. Come molte delle idee che Luca ha avuto nella ricerca questa applicazione coinvolge diverse discipline della scienza, ha una concreta applicazione ed al contempo offre molti spunti per la scoperta di “cose” nuove. Ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere Luca nella vita e nel lavoro e di apprezzarne le grandi capacità umane e scientifiche, la gioia per la scoperta, la passione per la ricerca. Ho avuto il piacere di apprezzarne la franchezza e la forza che deriva dalla consapevolezza del proprio lavoro, di come questo possa comunque risultare utile anche quando il risultato si fa attendere. Ho avuto la fortuna di apprezzarne le grandi capacità di sintesi e di giudizio e la dote di saper trarre da ogni persona che lavorava con lui quanto di meglio potesse offrire. Dedicare a lui questa tesi è un semplice modo per dirgli “Grazie”. Firenze, li 31 marzo 2003. 2 RINGRAZIAMENTI Ringrazio l’Istituto di Fisica Applicata “Nello Carrara” del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IFAC-CNR) presso cui ho svolto il lavoro presentato. In particolare ringrazio i collaboratori del Gruppo di Ricerca “Telerilevamento Lidar del Mare e del Territorio” e specificamente il Dr. Iacopo Mochi e la Dr. Valentina Raimondi per i proficui scambi di idee, il Sig. Daniele Tirelli e il Sig. Massimo Trambusti per la preziosa collaborazione negli esperimenti in laboratorio e in campo. Ringrazio il Dipartimento di Fisica Atomica del Lund Insititute of Technology (LTH) ed in particolare il suo direttore, Prof. Sune Svanberg, ed i suoi collaboratori Dr. Hans Edner, Dr. Thomas Johansson e Dr. Petter Weibring per la proficua collaborazione nella realizzazione degli esperimenti comuni e gli utili confronti sull’analisi dei dati. Ringrazio il Dr. Roberto Chiari del Dipartimento di Petrografia dell’Università degli Studi di Parma per le pietre utilizzate nell’esperimento di laboratorio di Lund e per la preziosa collaborazione nell’identificazione dei litotipi del Duomo e del Battistero di Parma e per la realizzazione del relativo esperimento. Ringrazio il Dr. Michele Macchiarola dell’Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici del CNR per la proficua collaborazione relativa alle malte e per il supporto, anche organizzativo e logistico, per la realizzazione dell’esperimento presso la Piazzetta del Battistero degli Ariani di Ravenna. Per la campagna di misura presso il Duomo di Pisa un ringraziamento particolare va al Dr. Francesco Gravina della Regione Toscana ed alla Dr. Clara Baracchini Vice Sovrintendente per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Pisa per la disponibilità offerta per la realizzazione delle misure. 3 Per la campagna di misura presso Piazzetta degli Ariani in Ravenna un particolare ringraziamento va alla Dr. Luisa Tomaselli ed al Dr. Stefano Ventura del Centro di Studio dei Microrganismi Autotrofi del CNR ed alla Sovrintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Ravenna per la disponibilità offerta per la realizzazione delle misure. Per la campagna di misura sul Duomo e sul Battistero di Parma un ringraziamento particolare va alla Fabbriceria del Duomo di Parma che ha reso possibile le misure. I costi del lavoro svolto sono stati in parte coperti dai contributi della Comunità Europea con l’Access to Large Scale Infrastructure Programme (contratto HPRI-CT-199900041) e dal Progetto Finalizzato per i Beni Culturali del CNR. 4 INDICE 1 2 3 4 Introduzione ..............................................................................................................9 1.1 Interazione radiazione materia ..........................................................................9 1.2 Fluorescenza indotta da laser ..........................................................................11 1.3 Litotipi.............................................................................................................12 1.4 Biodeteriogeni .................................................................................................15 1.5 Trattamenti conservativi..................................................................................20 1.6 Croste nere ......................................................................................................22 1.7 Malte ...............................................................................................................23 Telerilevamento LIDAR .........................................................................................26 2.1 Telerilevamento ottico ....................................................................................26 2.2 LIDAR ............................................................................................................26 2.3 Il LIDAR per il controllo dei monumenti lapidei ...........................................28 Strumenti e misure ..................................................................................................30 3.1 FLIDAR3® ......................................................................................................30 3.2 Sensore LIDAR a scansione............................................................................33 3.3 Acquisizione degli spettri................................................................................36 3.4 Acquisizione delle immagini iperspettrali ......................................................37 Analisi dei Dati .......................................................................................................39 4.1 Rapporto tra aree .............................................................................................40 4.2 Analisi delle componenti principali ................................................................41 4.2.1 Procedura ................................................................................................41 4.2.2 Rappresentazione geometrica..................................................................43 4.2.3 Interpretazione delle componenti principali............................................45 4.2.4 Propagazione dell’errore nella PCA .......................................................46 4.3 Mappe tematiche .............................................................................................49 4.4 Software per l’analisi dei dati .........................................................................50 5 5 Errore sperimentale .................................................................................................59 Sorgenti di errore ............................................................................................59 5.2 Errore su ciascun spettro acquisito..................................................................59 6 5.1 Esperimento LIDAR per il riconoscimento dei litotipi...........................................64 Caratterizzazione dei litotipi e delle malte......................................................66 6.2 Mappe tematiche .............................................................................................72 7 6.1 Telerilevamento LIDAR del Duomo di Pisa...........................................................81 7.1 8 Caratterizzazione dei litotipi e del degrado.....................................................82 Telerilevamento LIDAR del muro In Piazzetta degli Ariani presso Ravenna........88 Caratterizzazione del substrato .......................................................................89 8.2 Presenza di biodeteriogeni ..............................................................................93 9 8.1 Telerilevamento LIDAR del Duomo e del Battistero di Parma..............................95 9.1 Controllo puntuale con il FLIDAR .................................................................99 9.2 Controllo puntuale con il sensore LIDAR a scansione .................................106 9.3 Mappe tematiche ...........................................................................................112 10 Conclusioni .......................................................................................................137 11 Bibliografia .......................................................................................................141 6 PREMESSA Il patrimonio artistico permette ad ogni società di tramandare la propria civiltà e rappresenta un concreto strumento per ogni ulteriore progresso. Molte società evolute hanno tra i propri obiettivi la conservazione e la perpetuazione del proprio patrimonio artistico da cui ricavano sia una fonte diretta di reddito sia un retroterra culturale alla base della loro crescita. Nell’ambito della conservazione del patrimonio culturale vi è quello della conservazione dei monumenti lapidei e degli edifici storici. La loro è volta principalmente alla salvaguardia degli aspetti strutturali e dei rivestimenti che rappresentano spesso la gran parte di quanto è direttamente visibile e fruibile. Lo studio scientifico offre un valido ausilio alla conservazione, alla ricostruzione della storia stessa dei monumenti ed alla ricerca delle tecniche artistiche del passato. La soluzione dei molteplici problemi della conservazione e caratterizzazione dei monumenti lapidei e degli edifici storici coinvolge discipline scientifiche differenti e richiede lo sviluppo di tecniche e metodologie sempre più avanzate. Per le opera d’arte le tecniche di indagine devono essere non distruttive. Un controllo non distruttivo permette di preservare l’integrità del monumento ed è ben accolto dai soggetti che devono decidere le modalità e gli interventi di conservazione e restauro. I controlli per i monumenti lapidei e gli edifici storici devono poter essere eseguiti frequentemente per individuare il degrado al suo inizio, interessare ampie superfici del monumento, fornire risultati chiaramente leggibili da una comunità allargata, avere costi contenuti e non richiedere l’impiego di personale scientifico per la loro attuazione. Sarebbe inoltre vantaggiosa la possibilità di realizzare i controlli senza ostacolare l’accesso e la fruizione del monumento. La spettroscopia di fluorescenza indotta da laser permette di acquisire in modo non distruttivo informazioni sulle proprietà chimiche e fisiche del bersaglio e, quindi, di caratterizzarlo. Il telerilevamento permette l’impiego a distanza di questa tecnica non distruttiva su bersagli anche quando non siano direttamente accessibili. Il telerilevamento della fluorescenza indotta da laser può soddisfare le esigenze associate al controllo dello stato di conservazione ed alla caratterizzazione dei materiali lapidei delle opere d’arte. 7 L’applicazione del telerilevamento della fluorescenza indotta da laser ai beni culturali è iniziata alla metà degli anni ’90 presso il gruppo di ricerca “Telerilevamento lidar del mare e del territorio” dell’IROE-CNR “Nello Carrara” (ora IFAC – CNR) e si è sviluppata attraverso collaborazioni nazionali ed internazionali. In particolare sono stati conseguiti risultati per la caratterizzazione dei materiali lapidei, lo studio del degrado dovuto ai biodeterigoeni e l’individuazione di trattamenti conservativi e protettivi. I risultati ottenuti hanno confermato che questo è un nuovo e promettente campo di applicazione del telerilevamento lidar. Il lavoro presentato in questa tesi si inserisce nell’ambito di tale attività dell’IFAC – CNR e ne rappresenta un progresso per rendere la tecnica impiegabile in campo al fine del controllo di monumenti lapidei e di edifici storici. Gli obiettivi proposti sono: • l’acquisizione in condizioni operative e l’analisi di spettri di diversi litotipi, di malte, di pietre con trattamenti superficiali e di pietre con diverse tipologie di degrado (attacco da biodeteriogeni, croste nere); • l’acquisizione di immagini iperspettrali sui monumenti e la loro elaborazione per la produzione di mappe tematiche specifiche; • lo sviluppo di una tecnica operativa per il controllo non distruttivo dei monumenti lapidei e degli edifici storici. Questa tesi è articolata in tre parti principali. La prima parte introduce il problema, con la descrizione dei fenomeni fisici che sono alla base della tecnica utilizzata (Capitolo 1) e con la presentazione dei sensori lidar per il telerilevamento (Capitolo 2). La seconda parte descrive la tecnica di misura e l’analisi dei dati: il Capitolo 3 presenta i sensori impiegati per le misure e la modalità con cui sono condotte le misure; il Capitolo 4 presenta i metodi e gli algoritmi impiegati per l’analisi dei dati; il Capitolo 5 tratta dell’errore associato alle misure. Nella terza ed ultima parte sono presentati e discussi i risultati dei quattro esperimenti realizzati (Capitoli 6, 7, 8 e 9). Nel Capitolo 10 sono, infine, tratte le conclusioni del lavoro svolto e proposti gli sviluppi futuri di questa ricerca. 8 1 1.1 INTRODUZIONE INTERAZIONE RADIAZIONE MATERIA I fenomeni fisici di interazione tra radiazione e materia che causano la retrodiffusione della radiazione che colpisce il bersaglio sono di tipo risonante, elastico e anelastico. Il fenomeno risonante è la diffusione Raman di risonanza, i fenomeni elastici sono lo diffusione di Mie e lo diffusione di Rayleigh, i fenomeni anelastici sono l’effetto Raman e la fluorescenza[1]. La Figura 1-1 riporta schematicamente i processi di interazione radiazione – materia mettendo in rilievo le loro caratteristiche fondamentali. Essi sono riferiti ad una radiazione incidente monocromatica e ad un sistema fisico di cui sono rappresentati, in maniera semplificata, i soli livelli energetici necessari alla descrizione del fenomeno. La diffusione Raman risonante (Figura 1-1 (c)) corrisponde ad una emissione stimolata alla stessa frequenza della radiazione incidente. Esso è un processo a due fotoni in cui l’assorbimento del fotone incidente e l’emissione del fotone sono contemporanee, l’eccitazione e l’emissione sono quindi in fase. Affinché il fenomeno sia possibile è necessario che la radiazione incidente corrisponda ad una transizione ammessa dal sistema perturbato. Nella diffusione elastica di Rayleigh (Figura 1-1 (a)) il livello eccitato è virtuale ed ha, quindi, vita media nulla. La diffusione avviene sempre con un decadimento allo stato fondamentale e diffusione ed emissione sono in fase. La diffusione di Mie, ti tipo elastico, si ha quando la lunghezza d’onda della radiazione incidente è più corta delle dimensioni fisiche del sistema fisico perturbato. L’effetto Raman (Figura 1-1 (b)) è associato ad una transizione da un livello virtuale ad un livello vibrazionale intermedio. L’energia residua è dissipata del sistema fisico per via non radiativa ed il fenomeno è anelastico. La lunghezza d’onda della radiazione diffusa è associata sia alle caratteristiche del sistema fisico sia alla lunghezza d’onda della radiazione incidente, in particolare per lunghezze d’onda minori si ha un effetto Raman più intenso ed una minor distanza tra la lunghezza d’onda di eccitazione e quella di emissione. Al limite la condizione raggiunta è quella della diffusione Raman risonante in cui il livello virtuale coincide con un livello reale del sistema verso il quale si ha una transizione ammessa. 9 a) Livello virtuale Fotone incidente Livello fondamentale b) Fotone diffuso Livello virtuale Fotone incidente Livello vibrazionale Livello fondamentale c) Fotone diffuso Livello eccitato Fotone incidente Livello fondamentale d) Fotone diffuso Livelli vibrazionali Fotone incidente Livello fondamentale Fotone diffuso Figura 1-1: Schema dei processi di interazione radiazione – materia. (a) Diffusione di Rayleigh, (b) effetto Raman, (c) diffusione Raman risonante, (d) fluorescenza. La fluorescenza (Figura 1-1 (d)) è un fenomeno anelastico associato alla presenza di un decadimento non radiativo prima dell’emissione del fotone e conseguentemente 10 assorbimento ed emissione non sono contemporanei. Quale fenomeno anelastico rende quindi possibile l’indagine delle proprietà fisiche associate alla distribuzione dei livelli energetici del sistema. La Tabella 1-I riporta un confronto tra le diverse sezioni d’urto dei processi di interazione radiazione-materia[2]. L’effetto Raman risonante e la fluorescenza sono i fenomeni che presentano una maggior sezione d’urto. Tabella 1-I: Ordine di grandezza delle sezioni d’urto per i principali processi di interazione radiazione materia per la molecola di SO2. Per lo scattering di Mie i valori sono relativi a lunghezze d’onda nel visibili e particelle di diametro compreso tra 0.1 e 1 µm. PROCESSO Effetto Raman risonante Fluorescenza Scattering di Rayleigh Effetto Raman Scattering di Mie 1.2 SEZIONE D’URTO σ (cm2) 10-16 10-16 10-26 10-29 10-26-10-8 FLUORESCENZA INDOTTA DA LASER La fluorescenza è l’emissione di radiazione elettromagnetica associata alla transizione di dipolo elettrico tra livelli di energia secondo regole di selezione che esprimono la conservazione del momento angolare. Nel caso di una molecola il processo di fluorescenza avviene così come schematicamente rappresentato in Figura 1-2. La molecola è inizialmente nel livello vibrazionale più basso dello stato fondamentale elettronico (E0). L’assorbimento di un fotone porta la molecola in uno degli stati rotovibrazionali (E3) del primo livello elettronico eccitato. All’interno di questo livello elettronico la molecola decade, tramite processi non radiativi, nel livello rotovibrazionale più basso la cui vita media (10-9 s) è maggiore di quella dei livelli superiori (10-13 s). La successiva transizione dal livello E2 al livello E1 è associata all’emissione di un fotone. Nelle molecole complesse i livelli elettronici sono articolati in un una banda quasi continua di sottolivelli a causa del gran numero di livelli vibrazionali e dall’allargamento di quelli rotazionali procurato dagli urti con le molecole vicine. La possibilità di disporre di una sorgente monocromatica coerente (come il laser) per l’induzione della fluorescenza è assai utile per l’impiego della fluorescenza come 11 tecnica spettroscopica per l’indagine delle proprietà della materia. Diversamente il segnale di fluorescenza indotto da una sorgente policromatica o a spettro continuo produrrebbe il sovrapporsi della fluorescenza indotta alla riflessione che ha una sezione d’urto più elevata. E3 Live lli vibraziona li E2 Live llo e ccitato hν o u t hν i Live lli v ibrazio na li E1 Liv e llo fo ndame ntale E0 Figura 1-2: Descrizione schematica della fluorescenza. Le frecce tratteggiate indicano i decadimenti non radiativi, quelle continue i decadimenti radiativi. Molti sono i settori in cui trova applicazione la LIF (Laser Induced Fluorescence) sia per la realizzazione di misure in situ, per esempio per l’individuazione di molecole nel controllo dei processi di combustione, sia per lo studio delle molecole organiche in laboratorio per impiego nei campi della biologia e della medicina, sia per misure in campo in regime di telerilevamento applicato per esempio all’atmosfera, al mare, alla vegetazione terreste e ai beni culturali. 1.3 LITOTIPI Le pietre sono isolanti che, alla temperatura ambiente, hanno la banda elettronica di valenza completamente occupata e quella di conduzione vuota. La distanza tra le due 12 bande energetiche è maggiore di 3 eV, a cui corrispondono le transizioni associate all’emissione di fotoni nella parte visibile dello spettro elettromagnetico, ad essa corrispondono transizioni a cui è associata l’emissione di fotoni nella regione ultravioletta. La loro emissione in fluorescenza nella regione visibile dello spettro è causata dalla presenza di impurezze ed anamorfismi del reticolo cristallino. Nel reticolo cristallino impurezze o difetti geometrici svolgono il ruolo di centri di attivazione (attivatori), di attenuazione (attenuatori) o di sensitizzazione (sensitizzatori) della fluorescenza[3]. Gli attivatori sono sia impurezze sia difetti reticolari. Le impurezze corrispondono alla sostituzione di un elemento della matrice cristallina con un elemento di transizione o con una terra rara[4]. Le terre rare hanno gli orbitali più esterni (per esempio 6s) completi mentre quelli interni (per esempio 4f) non sono totalmente occupati. L’emissione di fluorescenza è associata proprio alle transizioni di questi ultimi elettroni ed è quindi poco influenzata sia dalla simmetria di coordinazione della matrice cristallina ospite che dalle reciproche posizioni. Gli ioni dei metalli di transizione hanno gli orbitali esterni 3d parzialmente vuoti. Proprio le transizioni di questi elettroni originano la fluorescenza che viene quindi a risentire della matrice cristallina ospitante. Per i carbonati (CO32-) la coordinazione è generalmente ottaedrica e, nel caso dei metalli di transizione, le posizioni dei livelli energetici delle impurezze coinvolte risente del campo cristallino ospitante. I difetti reticolari corrispondono ad una diversa disposizione geometrica degli ioni che originano il campo elettrico che modifica la disposizione dei livelli. I difetti reticolari più diffusi sono le vacanze. Una vacanza causata dalla mancanza di un anione prende il nome di centro F quando intrappola un elettrone e di centro F1 allorché ne intrappola due. Una vacanza causata dalla mancanza di un catione è invece un centro V. I difetti reticolari sono all’origine di una ampia banda di fluorescenza nella regione blu dello spettro tuttora oggetto di indagine per una interpretazione dettagliata. Nella Tabella 1-II è riportato uno schema delle posizioni delle bande di fluorescenza prodotte dalla presenza degli attivatori più frequenti nei reticoli cristallini. Le posizioni dipendono anche dalle lunghezze d’onda di eccitazione. Alcune impurezze, specialmente quando la loro densità è elevata, possono svolgere il ruolo di attenuatori. Lo ione che assorbe i fotoni che dovrebbero originare il fenomeno della fluorescenza può, piuttosto che fluorescere, trasferire la propria eccitazione ad un altro ione 13 con caratteristiche simili e così via finché l’energia non viene dissipata per via non radiativa. Altre impurezze sono invece causa di un processo opposto e prendono nome di sensitizzatori. L’energia, per risonanza, può essere trasferita verso un attivatore che non assorbe fotoni alla lunghezza d’onda di eccitazione dando luogo a fenomeni molto intensi di fluorescenza. Le medesime impurezze possono svolgere il ruolo di attivatori, di attenuatori o di sensitizzatori. Il complesso delle interazioni possibili è considerevole e proprio questa vastità di combinazioni, che rende difficile l’interpretazione degli spettri di fluorescenza delle pietre, origina per ogni pietra un suo specifico spettro e consente l’applicazione del telerilevamento di fluorescenza per il riconoscimento dei materiali lapidei. Pur non essendo possibile alcuna interpretazione specifica degli spettri ottenuti mediante la LIF sui litotipi è pero possibile applicare questa tecnica per l’identificazione dei litotipi stessi. In particolare è possibile definire una firma spettrale che identifica tra loro tutti i litotipi che hanno il medesimo comportamento spettrale. Oltre che nell’identificazione dei litotipi la conoscenza dei loro spettri trova applicazione anche nello studio delle diverse tipologie di degrado e della presenza di trattamenti protettivi che possono essere indagate attraverso le modifiche agli spettri di fluorescenza delle pietre stesse. Tabella 1-II: Posizione delle bande di fluorescenza prodotte dalla presenza di attivatori. ELEMENTI OTTICAMENTE ATTIVI Mn2+ in calcite naturale Mn2+ in dolomite artificiale Mn2+ in dolomite artificiale Pb2+ in calcite artificiale Eu3+ Eu2+ Tb3+ Dy3+ Difetti reticolari in calcite artificiale Difetti reticolari in dolomite artificiale POSIZIONE DEI MASSIMI DI EMISSIONE BIBLIOGRAFIA [5] 600-630 nm [3] 590-620 nm al posto di Ca+ + [3] 640-680 nm al posto di Mg [6] 330 nm; 450 nm [3] 590 nm; 610 nm; 660 nm [3] 400-500 nm [3] 550 nm [3] 480 nm; 580 nm; 670 nm [5] 420 nm [7] 430 nm Il riconoscimento dei liotipi per mezzo della firma spettrale può avvenire sia attraverso il confronto con un archivio di spettri in cui i medesimi spettri sono già stati identificati sia per mezzo di una identificazione diretta ad esempio realizzata su un campione facilmente accessibile del monumento stesso. La Figura 1-3 mostra la capacità di caratterizzare i materiali lapidei mediante la LIF. 14 4000 dolomitico Carrara 3500 intensità (u.a.) 3000 2500 2000 1500 1000 500 0 300 350 400 450 500 550 600 650 700 750 lunghezza d'onda (nm) Figura 1-3: Spettro di fluorescenza di Marmo dolomitico e di Marmo di Carrara, eccitazione a 308 nm. 1.4 BIODETERIOGENI Gli agenti di origine biologica che causano danni ai beni culturali sono classificati in biodeteriogeni inferiori (alghe, cianobatteri, muffe e licheni) e superiori (vegetazione superiore, animali, etc.). Tra i biodeteriogeni inferiori particolare importanza rivestono le alghe verdi ed i cianobatteri. Sono infatti quelli che per primi attaccano i materiali lapidei e, spesso, sono i precursori di altri agenti di danno[8],[9]. La Tabella 1-III riporta un quadro della diffusione dei biodeteriogeni sui monumenti lapidei. Monumento – località Monumento Khmer Angor Sculture paleolitiche Angels sur l’Anglin Partenone Atene Chiese e castelli varie località Chiese e dimore romane numerose località Cattedrali numerose località Malham Tarn House Yorkishire occidentale Castillo de San Marcos St. Augustine Nazione Supporto Biodeteriogeno Cambogia Arenaria Cianobatteri, alghe verdi Francia Calcare Cianobatteri Grecia Marmo Cianobatteri, bacillariofiti Irlanda Pietre Cianobatteri, alghe verdi, bacillariofiti Italia Spagna Pietre e pareti affrescate Granito, marmo, calcare e malte Cianobatteri, alghe verdi Cianobatteri, alghe verdi Regno Unito Arenaria e calcare Cianobatteri, alghe verdi, bacillariofiti USA Gesso e calcare Cianobatteri. bacillariofiti Tabella 1-III: diffusione dei biodeteriogeni sui monumenti[9] 15 Alghe verdi e cianobatteri risultano avvantaggiati rispetto ad altri biodeteriogeni sia perché necessitano per vivere di pochi elementi nutritivi, che recuperano dall'atmosfera e dai materiali lapidei, sia perché hanno una grande resistenza dalle basse alle alte temperature[8]. Sono entrambi organismi di tipo fotoautotrofo e sfruttano la fotosintesi clorofilliana per produrre l'energia necessaria alla vita. I danni prodotti dalle alghe verdi e dai cianobatteri sono sia estetici sia strutturali. Il danno estetico consiste nello sviluppo di una patina verde, quando sono vitali, o giallobruna, quando sono residui di una colonizzazione, che compromette la fruibilità del monumento. Il danno strutturale, con riferimento ai paramenti lapidei, consegue allo sviluppo dei loro apparati radicali che producono pressioni all’interno delle pietre e possono originare reazioni chimiche con gli elementi del substrato. Una volta rimossi lasciano degli spazi vuoti che causano un aumento della porosità della pietra e che sono agevolano l’azione di altri agenti di danno, quali, ad esempio, i cicli di gelo-disgelo o quelli secco-umido. Alghe verdi e cianobatteri sono caratterizzati, come gli altri organismi fotoautrotofi, dalla presenza dei pigmenti fotosintetici. Questi pigmenti nel processo della fotosintesi svolgono il ruolo di assorbire i fotoni, l'energia assorbita è poi trasferita ai centri di reazione dove si ha la fase luminosa della fotosintesi. I pigmenti fotosintetici sono suddivisi in clorofille, caratenoidi e ficobiliproteine; clorofille e ficobiliproteine emettono in fluorescenza nella regione visibile dello spettro se eccitate a lunghezze d’onda inferiori (blu ed ultravioletto). Le clorofille (Chl) sono i pigmenti che conferiscono il caratterisco colore verde alle piante. Esse sono suddivise, in relazione alle loro catarreristiche strutturali, in quattro tipi indicati con le lettere a, b, c e d. La clorofilla a (Chl a) è il pigmento fotosintetico presente in tutti gli organismi fotoautotrofi ed è coinvolto anche nella fase luminosa della fotosintesi come centro di reazione, la Chl b è presente più raramente e caratterizza in peso al massimo il 3% dei pigmenti, essa è però presente in alcune alghe verdi nelle quali si può, talvolta, trovare anche la Chl c. Lo spettro di assorbimento della Chl a (Figura 1-4) presenta un’ampia banda caratterizzata nel blu da due massimi posti a 410 nm e 430 nm ed una banda nel rosso con un picco a 662 nm. Per la Chl b la prima banda è più intensa e viene a trovarsi a lunghezze d’onda maggiori, mentre la seconda, meno intensa, è centrata a 642 nm. Gli 16 spettri di assorbimento dipendono dal solvente in cui la clorofilla è disciolta e la Assorbimento (a.u.) posizione delle bande può spostarsi di alcuni nm per gli spettri rivelati in vivo[10]. Lunghezza d’onda (nm) Figura 1-4: Spettri di assorbimento rivelati in vitro di Chl a e Chl b[11]. Lo stato fondamentale della molecola di clorofilla è uno stato di singoletto (S(π,π)) e la Figura 1-5 riporta lo schema delle bande energetiche, la loro nomenclatura e le transizioni possibili[11]. All’assorbimento di un fotone della regione rossa dello spettro corrisponde una transizione alla banda Sa(π,π*), mentre per l’assorbimento di un fotone della regione blu dello spettro avviene una transizione alla banda Sb(π,π*). Lo stato eccitato di singoletto Sb(π,π*) è instabile e decade in 10-12 s con una transizione non radiativa verso una delle bande rotovibrazionali dello stato di singoletto Sa(π,π*). Al successivo decadimento verso lo stato fondamentale è associata l’emissione di fluorescenza. La transizione verso la banda energetica di tripletto T(π,π*) è 10-5 volte meno probabile dell’altra. I carotenoidi sono pigmenti coinvolti nel processo di assorbimento dei fotoni e trasferiscono poi l’energia assorbita ai centri di reazione della fotosintesi. I carotenoidi sono raggruppati in caroteni (rossi, costituiti da idrogeno e carbonio) e xantofille (gialle, che sono derivati ossidati dei caroteni). In tutti i cianobatteri è presente almeno il βcarotene e ciascun gruppo di cianobatteri sintetizza specifici carotenoidi. La Figura 1-6 riporta gli spettri di assorbimento di alcuni carotenoidi. La risposta in fluorescenza dei carotenoidi osservata in vitro è assai rara ed è stata osservata con deboli intensità[10]. 17 728 nm 666 nm 615 nm Sottolivelli vibrazionali 662 nm Primo stato eccitato a [S (π,π*)] Stato fondamentale [S(π,π)] Assorbimento Fluorescenza Figura 1-5. Diagramma dei livelli energetici della molecola Chl a. Il diagramma presenta i sottolivelli del livello fondamentale e del primo livello eccitato di singoletto, non sono presentati i livelli di tripletto meno coinvolti nella fluorescenza della molecola stessa. La freccia continua rappresenta le transizioni in cui vi è un assorbimento di fotoni, quella tratteggiata rappresenta le transizioni associate all’emissione di fotoni. Figura 1-6: Spettri di assorbimento di alcuni carotenoidi[13]. Le ficobiliproteine sono pigmenti che assorbono la radiazione luminosa e trasferiscono l’energia ai centri di reazione della fotosintesi. Ciascuna ficobiliproteina ha il proprio caratteristico spettro di assorbimento e di fluorescenza. La Figura 1-7 presenta lo spettro di emissione (linea continua) e di fluorescenza (line tratteggiata) delle tre ficobiliproteine più diffuse, gli spettri proposti sono realizzati in vitro. Il processo di 18 trasferimento energetico dalle ficobiliproteine alle clorofille in vivo è molto efficiente[14] e il contributo che le ficobiliproteine offrono in fluorescenza agli spettri degli organismi che le contengono è modesto poiché l’energia assorbita è, appunto, trasferita ai centri di reazione e non è disponibile per originare la fluorescenza. Alghe verdi e cianobatteri hanno una differente composizione di pigmenti, in particolare le alghe verdi sono prive delle ficobiliproteine. La diversa composizione origina un diverso spettro di fluorescenza attraverso il quale è possibile distinguere le alghe verdi dai cianobatteri. La Figura 1-8 presenta il confronto tra due spettri di fluorescenza rivelati in vivo nella regione rossa dello spettro di alghe verdi e di cianobatteri. Le specie scelte sono utilizzate come riferimento nello studio dell’attacco da biodeteriogeni e provengono da alcune statue del Giardino di Boboli (Firenze). Lo spettro di fluorescenza delle alghe verdi presenta il caratteristico andamento conseguente alla presenza della Chl a ed è facilmente distinguibile dallo spettro dei cianobatteri nei quali, in conseguenza della fluorescenza dovuta alle ficobiliproteine, lo spettro è più articolato e presenta un marcato massimo a 660 nm. Figura 1-7: Spettri di assorbanza (linea continua) ed emissione di fluorescenza (linea tratteggiata) di tre ficobiliproteine[17]: (i) ficourobilina, (ii) ficoetrobilna, (iii) ficocianina. 19 Oltre alla semplice possibilità di riconoscere le alghe verdi dai cianobatteri, le differenti caratteristiche di fluorescenza dei pigmenti e la differente composizione di ciascuna specie di alghe verdi e di cianobatteri permettono una più raffinata divisione fino, appunto, alla individuazione della specie stessa attribuendole una propria firma spettrale[12]. Questa applicazione è di particolare interesse nel telerilevamento per il controllo dell’ambiente marino[14]. intensity (a.u.) 1 .8 .6 .4 .2 0 600 700 wavelength (nm) 800 Figura 1-8: Confronto tra uno spettro di fluorescenza (con eccitazione a 355 nm) realizzato su di un campione di alga verde (Specie Coccomyxa) e uno spettro realizzato su un campione di cianobattero (Ordine Pleurocapsales)[15]. 1.5 TRATTAMENTI CONSERVATIVI Gli interventi di restauro realizzati sui monumenti lapidei prevedono in certi casi la stesura di trattamenti di tipo protettivo o consolidante. Sono chiamati protettivi quei trattamenti che hanno quale primario obiettivo quello di preservare la pietra da ulteriori azioni di danno, tra questi possono essere inclusi anche alcuni trattamenti biocidi, utilizzati per rimuovere i biodeteriogeni, che protraggono la loro azione nel tempo; sono chiamati consolidanti quei trattamenti che, laddove il danno ha già disgregato la superficie della pietra, possono rinsaldare i legami e ridurre la porosità della pietra stessa. La pratica di stendere trattamenti conservativi sui materiali lapidei ha origini antiche e talvolta si trovano monumenti trattati in epoca remota dei cui trattamenti non vi è traccia documentata. Anche i moderni trattamenti sono talvolta di origine artigianale. 20 I prodotti di origine industriale possono essere classificati come penetranti e non penetranti. I trattamenti non penetranti formano dei film sottili che ricoprono la superficie trattata e sono caratterizzati dall’essere composti da polimeri o copolimeri, molecole di grosse dimensioni rispetto alle molecole del solvente in cui sono disciolte. I trattamenti penetranti sono composti da molecole di piccole dimensioni sia rispetto alle dimensione dei pori del lapideo sia rispetto alle dimensioni della molecola del solvente in cui sono disciolti. Tra i trattamenti industriali non penetranti disponibili sul mercato vi sono, in particolare, i fluoroelastomeri e le resine acriliche. I fluoroelastomeri sono caratterizzati dalla presenza di fluoro, da un elavato peso molecolare e dalle proprietà elastiche, più modeste sono le proprietà adesive. Essi si dispongono sulla pietra dando luogo ad un reticolo elastico che è in grado di smorzare le tensioni dovute alla dilatazione termica dei materiali lapidei esposti in luoghi aperti. Le resine acriliche hanno un maggior potere adesivo e a temperatura ambiente si presentano come materie rigide e vetrose. La loro elasticità e la loro flessibilità dipendono dal solvente utilizzato. Figura 1-9: Confronto tra spettri di fluorescenza (eccitazione a 355 nm) realizzati su un campione di marmo dolomitico (control, linea tratteggiata) e su campioni dello stesso materiale con trattamenti protettivi[16]. 21 Tra i trattamenti industriali penetranti sono di particolare importanza i perfluoropolieteri e i siliconi. I perfluoropolieteri sono oli composti da monomeri contenenti fluoro ed hanno la caratteristica di rimanere oleosi nel tempo. I siliconi sono alla base di molti prodotti consolidanti e si trasformano in silice contribuendo alla “ricostruzione” della pietra. In letteratura non è presente alcuno studio sulle modalità dell’assorbimento e della fluorescenza di questi trattamenti e, vista la loro varietà, è anche difficilmente proponibile una trattazione sistematica degli stessi. La loro individuazione per mezzo della LIF è quindi possibile attraverso l’osservazione delle modifiche che producono sugli spettri delle pietre non trattate. La Figura 1-9 presenta gli spettri di campioni di marmo dolomitico con trattamenti protettivi (Fomblin e Paraloid B72) e consolidanti (Akeogard CO e Rinforzante OH). Lo spettro di riferimento è ottenuto su di un campione non trattato. 1.6 CROSTE NERE Le aree (o croste) nere sono regioni di degrado che si formano sui monumenti lapidei e che sono in colore nero. Esse sono punti di accumulazione della deposizione atmosferica e delle reazioni chimiche che avvengono sulla superficie delle pietre[22] e possono raggiungere considerevoli spessori fino ad apparire in rilievo rispetto alla superficie del monumento. Le regioni in cui si sviluppano sono quelle esposte agli agenti atmosferici ma protette dal dilavamento prodotto dall’acqua ruscellante. Tra le regioni particolarmente soggette al formarsi delle croste nere vi sono, quindi, le nicchie poco profonde, le zone sottostanti fregi e pieghe, sottosquadri e zone confinanti con le linee di drenaggio delle acque di scorrimento. Le croste nere producono due differenti tipi di danno: • un danno estetico dovuto all’annerimento di alcune parti della superficie del monumento, spesso proprio in corrispondenza di fregi e decori; • un danno strutturale poiché la crescita delle croste coinvolge anche materiale sottratto al substrato che viene così assottigliato[18], il danno è osservabile con la rimozione delle croste stesse durante i lavori di restauro. Le croste nere sono principalmente costituite da gesso (CaSO4⋅2H2O) prodotto della reazione tra i composti dello zolfo presenti nell’inquinamento atmosferico e il carbonato 22 di calcio delle pietre[19]. Il gesso è presente in due distinte strutture cristalline come conseguenza del suo sviluppo: la struttura laminare che indica una crescita veloce; la struttura globulare che indica una crescita lenta e la presenza di processi di dissoluzione e ricristallizzazione. Durante la loro crescita i cristalli di gesso inglobano frammenti tratti dalla disgregazione del substrato[19] ed i prodotti della deposizione atmosferica[20]: particelle residue dai processi di combustione[21],[22],[23] tra cui le particelle carboniose, quelle metalliche e quelle alluminosilicatiche[24],[25],[26]; soil dust; polveri stradali; aerosol marino[27]; particelle d’origine biologica[28]; gas di origine naturale e antropica[29],[30]. Le particelle carboniose e il soil dust sono i principali componenti inglobati nelle croste nere. Per quanto in letteratura non vi sia alcuna informazione relativa alla fluorescenza delle croste nere è ipotizzabile che il loro comportamento in fluorescenza sia riferito ai singoli componenti delle croste stesse. Il gesso, in particolare, fluoresce nella regione X dello spettro elettromagnetico ed un eventuale contributo a lunghezze d’onda superiori può esser causato dalla presenza di impurezze e difetti reticolari in analogia alla teoria della fluorescenza dei materiali lapidei (Paragrafo 1.3). I composti organici possono contribuire alla fluorescenza con il loro spettro caratteristico. Le particelle carboniose sono nere ed assorbono la radiazione in tutto lo spettro visibile causando quindi una diminuzione complessiva della retrodiffusione totale delle croste stesse. La caratterizzazione delle croste nere avviene mediante l’impiego di analisi in microscopia ottica, in microscopia elettronica e in diffrattometria a raggi X [31],[32],[33],[34]. I risultati così ottenuti sono utili sia in relazione agli interventi di restauro dei monumenti esaminati sia allo studio di provvedimenti complessivi sulla conservazione dei monumenti in relazione alle caratteristiche dell’inquinamento atmosferico. 1.7 MALTE Le malte, o calci, sono impiegate nella costruzione dei monumenti lapidei fin dall’antichità e svolgono la funzione di allettamento, per legare gli elementi strutturali del monumento, o la funzione di intonaco, per proteggere i materiali dall’ambiente. Le malte sono realizzate miscelando acqua, legante ed aggregato e sono classificate in relazione ai loro componenti e alle loro proprietà di indurimento. Sono malte aeree 23 quelle che induriscono solo in aria, sono malte idrauliche quelle che induriscono sia in area sia in acqua e, quindi, anche in presenza di ambienti umidi. I leganti aerei sono la calce semplicemente detta ed il gesso. I leganti idraulici sono la calce idraulica, e la calce cementizia (o cemento). Le calci idrauliche sono impiegate solo a partire dalla seconda metà del diciottesimo secolo a causa delle elevate temperature di calcinazione (cottura), intorno ai 1000-1100 °C, e ad un processo di spegnimento (idratazione) complesso. In passato si ottenevano malte con proprietà idrauliche partendo da calce aerea e particolari aggregati costituiti, in misura esclusiva o quasi, da pozzolana (sabbia derivante da un’attività vulcanica di tipo esplosivo, dove i singoli granuli presentano una frazione vetrosa a composizione silicatica e silicoalluminatica fortemente reattiva) o cocciopesto (polvere e frammenti di terracotta, generalmente laterizi. La terracotta presenta una frazione amorfa derivante dalla distruzione in cottura dei minerali argillosi. La cottura di argille carbonatiche determina la distruzione dei minerali argillosi e la decarbonatazione del carbonato di calcio con formazione di CaO; l’ossido di calcio (CaO) molto reattivo si combina con i relitti strutturali dei minerali argillosi dando luogo a silicati e silico-alluminati di calcio. Questi composti di neo formazione presentano struttura micro-cripto cristallina o amorfa). I silicati e silico-alluminati presenti nella pozzolana e i silicati e silicoalluminati di calcio presenti nel cocciopesto in fase di presa possono reagire con la calce (Ca(OH)2) dando luogo a composti idrati (silicati e silico alluminati di calcio idrato) responsabili del comportamento idraulico della malta. Le proprietà idrauliche della pozzolana e della calce idraulica sono date dalla presenza di allumina (Al2O3), l’allumina è contenuta nella pozzolana stessa, o, nel caso della malta idraulica, è ricavata dalla presenza di argilla frantumata (10-15% in peso) che si decompone in silice ed allumina[35]. Il legante idraulico più moderno, diffusosi a partire dal XIX secolo, è il cemento Portland o più precisamente il Cemento Ordinario Portland (OPC). Così come per la calce idraulica, l’OPC viene prodotto per cottura di calcari marnosi (con un contenuto di argilla del 20-30% in peso) fino al raggiungimento della parziale fusione (1450 °C). La caratterizzazione ed il riconoscimento delle malte è di notevole interesse sia per i lavori di restauro, sia per la ricostruzione storica del monumento ed in particolare la conoscenza nel tempo delle tecniche di costruzione, sia per la scelta delle migliori 24 strategie di conservazione. Le tecniche di caratterizzazione prevedono l’impiego di un complesso di analisi di laboratorio realizzate che iniziano con il prelievo di campioni dai monumenti. L’identificazione della tipologia del legante, sia per malte aeree sia per malte idrualiche, prevede l’osservazione dei campioni in campioni in microscopia ottica in epi-illuminazione e tramite luce trasmessa, analisi mineralogiche, granulometriche e microstrutturali, saggi chimici e di pozzolanicità[36]. Nel caso delle malte pozzolanica una sua classificazione coinvolge l’impiego della microscopia ottica per l’osservazione delle sezioni sottili, della diffrattrometria a raggi X (XRD), della microscopia a scansione elettronica e del SEM-EDX (Scanning Electron Microscopy - Energy Dispersive X-ray analyser), separazione dell’aggregato dal legante ed analisi chimica elementale di quest’ultimo utile per determinare l’indice di idraulicità e per ricavare precise informazioni circa le materie prime utilizzate. Nessuno studio delle proprietà ottiche di fluorescenza delle malte è presente in letteratura. L’ipotesi più plausibile è quella di una emissione in fluorescenza analoga a quella delle pietre e più precisamente delle arenarie. 25 2 2.1 TELERILEVAMENTO LIDAR TELERILEVAMENTO OTTICO Il termine telerilevamento descrive le tecniche impiegate per la misura delle caratteristiche fisiche o chimiche di un bersaglio distante nello spazio dall'apparato di misura. Il concetto di telerilevamento include inoltre la possibilità di cambiare facilmente il bersaglio osservato[1]. Nel telerilevamento ottico alcuni parametri fisici e chimici tra quelli che caratterizzano il bersaglio sono misurati da un sensore che riceve la radiazione elettromagnetica retrodiffusa dal bersaglio stesso. La misura comprende un'analisi della radiazione elettromagnetica proveniente dal bersaglio. Il telerilevamento può essere passivo o attivo. E' passivo quando sono misurati i cambiamenti che il bersaglio produce alla radiazione elettromagnetica di fondo, sostanzialmente la radiazione solare. E' attivo quando il sensore invia una radiazione elettromagnetica e raccoglie ed analizza la risposta del bersaglio. I sistemi di telerilevamento ottico sono di grande utilità per le misure dell’atmosfera e della superficie terrestre. I sensori possono essere installati su diversi vettori, quali satelliti che permettono una copertura globale, aerei e navi per una copertura di alcune specifiche regioni, piattaforme statiche infine permettono l'osservazione di una determinata area, per esempio per il monitoraggio di emissioni inquinanti. 2.2 LIDAR Il LIDAR è un sensore per il telerilevamento ottico attivo. Lo schema generale di un sensore LIDAR è riportato in Figura 2-1. La radiazione emessa da un laser impulsato è collimata e diretta verso il bersaglio. La radiazione retrodiffusa è raccolta da un telescopio, quindi analizzata, rivelata ed acquisita. La distanza tra il sensore ed il bersaglio e l'andamento spaziale dei parametri del bersaglio sono studiati per mezzo del coordinamento temporale tra il laser ed il sistema di rivelazione. L'analisi spettrale del segnale retrodiffuso è realizzabile sia per mezzo di un sistema di filtri interferenziali e fotomoltiplicatori sia per mezzo di uno spettrometro accoppiato ad un rivelatore multicanale[3]. L'analisi spaziale del bersaglio è realizzabile mediante il campionamento nel tempo del segnale retrodiffuso. 26 Il LIDAR è stato realizzato grazie allo sviluppo dei laser ad impulsi giganti ed inizialmente è stato applicato per il telerilevamento atmosferico[38],[39]. Le successive applicazioni hanno riguardato il telerilevamento delle acque[40], del suolo[41] e della vegetazione[42]. Più recente è, infine, la prima applicazione al telerilevamento dei beni culturali[43],[44]. E' adesso in corso lo sviluppo di sensori che abbinano l’alta risoluzione spettrale e la risoluzione spaziale[45]. Laser Collimatore Bersaglio Sistema di rivelazione Telescopio Sistema di acquisizione Figura 2-1: principio di funzionamento del LIDAR L'equazione LIDAR[46] esprime l'energia ricevuta dal sensore alla lunghezza d'onda λi per diffusione della radiazione emessa dal laser (alla lunghezza d'onda λ0 ) da parte del bersaglio posto ad una distanza R : R − (α 0 ( r ) +α1 ( r ) ) dr ∫ KE E ( R, λ0 , λi ) = 20 η ( R ) β ( R, λ0 , λi ) e 0 R (3.1) dove E0 è l'energia dell'impulso laser; dove K è una costante; dove η ( R ) è il fattore geometrico di forma; dove β ( R, λ0 , λi ) è un coefficiente proporzionale all'efficienza del processo fisico analizzato e al numero di molecole eccitate dall'impulso laser; dove α0 (r) è il coefficiente di estinzione globale del mezzo alla distanza r per la lunghezza d'onda λ0 ; dove αi (r ) è il coefficiente di estinzione globale del mezzo alla distanza r per la 27 lunghezza d'onda λi . Il LIDAR a fluorescenza, in particolare, è un sensore espressamente dedicato per l'analisi dei processi fisici d'interazione anelastica tra radiazione e materia, esso potenzialmente può indagare sia il fenomeno della fluorescenza sia l'effetto Raman. Le prime applicazioni del LIDAR a fluorescenza sono state per il rilevamento di chiazze di idrocarburi in mare. E' opportuno osservare che, nel caso della fluorescenza, per esempio, il termine β ( R, λ0 , λi ) della (3.1) esprime complessivamente l'efficienza della fluorescenza del complesso delle molecole eccitate, ossia è proporzionale al rapporto tra il numero dei fotoni diffusi dal bersaglio alla lunghezza d'onda λi e il numero dei fotoni assorbiti alla lunghezza d'onda λ0 . Il termine considera quindi anche l’eventuale riassorbimento da parte di altre molecole del bersaglio. 2.3 IL LIDAR PER IL CONTROLLO DEI MONUMENTI LAPIDEI L'impiego del LIDAR a fluorescenza per il controllo dei monumenti lapidei è stato introdotto nella prima metà degli anni '90[47]. Le prime applicazioni hanno riguardato la caratterizzazione dei litotipi che costituiscono i materiali utilizzati nei paramenti[48] e la rivelazione e caratterizzazione di biodeteriogeni [49]. In seguito l'indagine su monumenti storici è stata estesa allo studio degli effetti di trattamenti biocidi[50], alla caratterizzazione di trattamenti protettivi[16], ed è stata ottenuta la prima immagine di fluorescenza di un monumento [51]. L'impiego del LIDAR ha mostrato alcuni vantaggi rispetto alle tecniche tradizionali basate sul prelievo di campioni o sull'osservazione dei monumenti lapidei permettendo di conseguire risultati talvolta migliori. Le misure LIDAR sono non distruttive e non compromettono la fruibilità del monumento. Per le misure realizzate in regioni accessibili direttamente ai visitatori l'unica limitazione è dovuta alle norme di sicurezza per l'impiego di laser, limitazione presente solo durante le misure. Le misure LIDAR sono realizzate senza l'impiego di ponteggi ed impalcature e, infine, possono essere ripetute per verificare nel tempo l’insorgere di forme di degrado e controllare l’efficacia dei lavori di restauro. La caratterizzazione dei materiali lapidei mediante il telerilevamento lidar di 28 fluorescenza ha avuto per oggetto campioni di diverse origini, in particolare sono presenti in letteratura[47] misure su marmi e calcari (Rosso Ammonitico Veronese, Marmo dolomitico, Marmo di Carrara, etc.) e su arenarie (Pietra di Lecce, Pietra di Firenzuola, etc.). In questo caso il vantaggio principale rispetto alle tecniche tradizionali è il fatto che non è necessario prelevare campioni dai monumenti. Lo studio della presenza dei biodeteriogeni e la loro caratterizzazione mediante il telerilevamento della LIF ha coinvolto sia esperimenti in campo, sia esperimenti in laboratorio[50]. In laboratorio, in particolare, è stata determinata la soglia di individuazione dei biodeteriogeni stessi che, al momento, corrisponde a 102 cellule/cm2 per le alghe verdi e 103 cellule/cm2 per i cianobatteri. Il telerilevamento offre quindi la possibilità di individuare lo sviluppo di colonie di biodeteriogeni ben prima che siano visibili ad occhio nudo (almeno 106 cellule/cm2) e quindi siano applicabili le tradizionali tecniche. Anche nel caso dei biodeteriogeni le misure in telerilevamento differiscono da quelle realizzate in laboratorio principalmente per l’assenza di prelievi. Il materiale biologico prelevato dai monumenti e successivamente analizzato in laboratorio può subire delle modifiche quali l’attivazione di alcune spore. La possibilità di controllare l’azione dei trattamenti biocidi offre, inoltre, la possibilità di verificare, in campo, l’azione dei trattamenti biocidi stessi. La possibilità di caratterizzare le malte e di individuare e caratterizzare le croste nere, infine, rappresenterebbe sia un notevole vantaggio rispetto alle complesse tecniche tradizionali sia un ausilio al lavoro di restauro. Lo studio delle croste nere e del degrado delle malte può, inoltre, esser sfruttato per analizzare l’inquinamento urbano e, in questo caso, il telerilevamento della LIF potrebbe permettere di aumentare i dati disponibili. La possibilità di produrre mappe tematiche dell’intera superficie del monumento o di sue ampie porzioni è la condizione preliminare per un impiego estensivo di questa tecnica e per avere un ulteriore elemento di vantaggio rispetto alle tecniche tradizionali il cui costo e i cui tempi di intervento crescono considerevolmente con l’aumento del numero dei campioni e quindi della estensione delle zone interessate. 29 3 STRUMENTI E MISURE I sensori LIDAR utilizzati per le misure di questo lavoro sono il sensore FLIDAR3® dell'IFAC-CNR "Nello Carrara" e il sensore LIDAR a scansione del Lund Institute of Technology (Figura 3-1). Entrambi sono strumenti capaci di operare autonomamente in campo e entrambi hanno avuto impieghi per molteplici applicazioni di telerilevamento. Figura 3-1: a destra (in bianco) il sensore FLIDAR3®, in secondo piano (in verde) l’alloggiamento del sensore lidar del LTH a bordo della Nave Oceanografica “Urania” del CNR. 3.1 FLIDAR3® Il sensore LIDAR dell'IFAC-CNR "Nello Carrara" (Flidar3®) è un LIDAR a fluorescenza equipaggiato con due sorgenti di eccitazione, nell'ultravioletto (UV) e nel visibile (VIS). Il sensore trova impiego per misure di telerilevamento del mare, della vegetazione e dei beni culturali. Il sensore è ospitato all'interno di un furgone FIAT Ducato Maxi (Figura 3-2 e Figura 3-4) ed ha un proprio gruppo elettrogeno che fornisce l'energia necessaria per operare in campo. La Figura 3-3 rappresenta lo schema ottico del sensore FLIDAR3. Il modulo ottico è costituito dal sistema di emissione laser e dal sistema di raccolta della radiazione retrodiffusa dal bersaglio. Il sistema di emissione consiste di un laser ad eccimeri e di 30 un laser a colorante, per il telerilevamento lidar dei beni culturali è utilizzato il laser ad eccimeri. Il mezzo otticamente attivo del laser ad eccimeri, sviluppato specificatamente per questo sensore, è una miscela di XeCl pompata mediante una scarica elettrica TEA (Transversal Electrical dicharge at Atmospheric pressure). Il laser emette impulsi ad una lunghezza d'onda di 308 nm, della durata di circa 10 ns, con energia di circa 80 mJ per singolo impulso e con una frequenza massima di ripetizione di circa 10 Hz. Il laser ad eccimeri è alimentato con due batterie da 12 V ciascuna. Il telescopio è di tipo newtoniano con diametro di 250 mm e lunghezza focale di 1000 mm. L’impulso laser è reso coassiale con l’asse ottico del telescopio. Figura 3-2: Alloggiamento del sensore FLIDAR3 all’interno del FIAT Ducato Maxi. Il modulo elettronico comprende lo spettrometro ed il sistema di rivelazione ed acquisizione dei dati. Lo spettrometro ha una configurazione ottica di Czerny-Turner e dispone di una torretta ruotante per l'impiego alternativo di tre reticoli. La lunghezza focale dello spettrometro è di 275 mm e l'apertura è f/3.8, i reticoli sono quadrati con lato di 68 mm. Il sistema di rivelazione è un OMA (Optical Multichannel Analyzer) con un sensore di 512 fotodiodi ciascuno dei quali di 25 x 2700 µm2. L'apertura del rivelatore è variabile tra 100 ns e 10 ms ed è comandata da un trigger ottico attivato da una frazione dalla luce laser raccolta mediante una fibra ottica. E’ possibile impostare un ritardo in funzione della distanza del bersaglio. Per il telerilevamento LIDAR dei 31 beni culturali è utilizzato un reticolo di 150 righe/mm con angolo di blaze di 450 nm ed una risoluzione di 0.6 nm/canale con una fenditura in ingresso allo spettrometro larga 100 µm (lo strumento è configurato senza fenditura in uscita) a cui corrisponde una risoluzione totale di 2.4 nm. Al modulo elettronico è collegato un computer che permette l'impostazione dei parametri operativi del sistema, l'immagazzinamento degli spettri e, quando possibili, i collegamenti in rete ad un ulteriore computer di appoggio per l'analisi dei risultati. Il programma di gestione è realizzato in Visual Basic. MODULO OTTICO UV LA SER VIS LA SER RA DIA ZIONE RETRODIFFUSA BERSAGLIO TELESCOPIO FA SCIO LA SER ALIMENTAZIONE SPETTROMETRO OMA RICEVITORE He Ne Xe HCl OMA FIBRE OTTICHE MODULO ELETTRONICO BOMBOMOLE DI GAS Figura 3-3: Schema ottico del FLIDAR3® Figura 3-4: Fotografia del sensore FLIDAR3 alloggiato all’interno del furgone FIAT Ducato Maxi 32 Il modulo di gas-handling comprende le bombole dei gas necessari al riempimento del laser ad eccimeri, una pompa a vuoto ed un manometro per il controllo della pressione all'interno del tubo laser. Il laser ad eccimeri ha una autonomia di circa 60000 impulsi prima che sia necessario un nuovo riempimento. 3.2 SENSORE LIDAR A SCANSIONE Il sensore LIDAR a scansione del Lund Institute of Technology (LTH) è equipaggiato con diverse lunghezze d'onda di eccitazione che vanno dalla regione spettrale dell'UV a quella del medio infrarosso (MIR). Il sensore trova impiego per misure di telerilevamento atmosferico, oceanografico, della vegetazione e dei beni culturali ed è il risultato dello sviluppo di un precedente sensore[52]. La Figura 3-5 riporta la disposizione dei componenti del sensore disposti all'interno di un camion Volvo F610 dedicato ad ospitare il sensore. Il camion è dotato di un sistema idraulico di stabilizzatori per mantenerlo orizzontale nelle condizioni di esercizio. Per le misure in campo il sensore è equipaggiato con un carrello dove è alloggiato un generatore elettrico di potenza di 45 KW alimentato a gasolio. Il camion ed il carrello costituiscono un laboratorio mobile per le misure in campo. Electronics Air & Water cooling Nd:YAG Power Supply IR mix OPO Calib. Air sys Nd:YAG Power Supply Figura 3-5: Disposizione dei componenti del sensore LIDAR a scansione. La Figura 3-6 riporta il diagramma a blocchi del sensore. Il modulo di emissione è in grado di produrre impulsi laser nell'UV, nel VIS e nel MIR cosicché è possibile realizzare diverse tipologie di misure. Il tempo necessario per cambiare la lunghezza 33 d'onda di emissione è al più di qualche minuto. Il modulo di emissione è composto di quattro parti principali: due laser ND:YAG, un OPO (Optical Parametric Oscillator) combinato ad un duplicatore di frequenza (OPO/D), e un sistema IR-mixing. Per il telerilevamento dei beni culturali sono utilizzati uno dei due laser ND:YAG e l'OPO/D. Il laser ND:YAG utilizzato è triplicato in frequenza ed emette gli impulsi a 355 nm. L'OPO/D è realizzato con una unità commerciale, i fotoni prodotti da un oscillatore primario (cavità di Littman) sono inviati in un oscillatore di potenza (cavità instabile) che produce un segnale in uscita ad alta potenza. Un sistema di cristalli piezoelettrici permette di ottenere le lunghezze d'onda desiderate[53]. Figura 3-6: Schema a blocchi del sensore LIDAR a scansione[53]. La Figura 3-7 riporta lo schema generale del modulo di ricezione. Il modulo di ricezione è composto da un telescopio newtoniano il cui telescopio primario ha un diametro di 40 cm e di lunghezza focale di 1 m. Il telescopio è disposto verticalmente ed è sormontato da un torretta ruotante che ospita uno specchio piano deviatore. Lo specchio della torretta può compiere una rotazione di 360° attorno all'asse del telescopio con un passo di 0.0035° ed un movimento azimutale tra -10° e 55° con un passo di 0.011°. L'oscuramento prodotto dalla presenza dello specchio secondario è sfruttato per il montaggio di un sistema che permette alla radiazione laser di esser coassiale con l'asse ottico del telescopio stesso e per il montaggio di un beam expander; l'allineamento è controllato mediante motori passo passo gestiti dall'unità di controllo. All'uscita del 34 telescopio sono alloggiati un filtro ed un beam splitter. Il beam splitter permette di inviare il segnale in uscita a differenti sistemi di analisi spettrale ed acquisizione. Per l'applicazione al telerilevamento lidar per i beni culturali l'uscita del telescopio è accoppiata con un sistema ottico multicanale (OMA) composto da uno spettrometro ed un rivelatore CCD intensificato. Il sistema è dotato di due videocamere ausiliare, una posta alla sommità della torretta, l'altra è disposta fuori asse nel piano focale. La prima permette di avere una visione panoramica del bersaglio, l'altra di osservare con precisione la porzione del bersaglio misurata. BERSAGLIO DEVIATORE BEAM EXPANDER LASER OMA SECONDARIO PRIMARIO Figura 3-7: Schema ottico dell'apparato ricevente Il sensore ha tre moduli ausiliari per il controllo delle caratteristiche dell'impulso in uscita, per la misura del vento necessaria nel telerilevamento atmosferico e per il controllo della temperatura interna del laboratorio mobile. La temperatura interna condiziona l'allineamento dei componenti della strumentazione e deve essere stabile 35 entro un intervallo di ±2 K. Il modulo permette di controllare anche le temperature dell'acqua dei circuiti di raffreddamento dei laser. Il sensore ha un sistema autonomo di sicurezza che garantisce il rispetto dei vincoli introdotti nel movimento dello specchio deviatore affinché il laser operi in condizioni di sicurezza. Questo sistema è di particolare utilità per il telerilevamento lidar di beni culturali quando il sensore opera in presenza di molte persone che visitano il monumento e in ambiente urbano, per esempio in piazze in cui si affacciano altri edifici. Le telecamere consentono infine una ulteriore sorveglianza diretta da parte dello sperimentatore. La gestione di tutto il sensore è affidata a sei computer. Il primo computer garantisce il controllo generale del sistema e coordina le diverse operazioni, il secondo computer è specificatamente dedicato ad una prima analisi dei dati combinando le informazioni con quelle di altri sensori (caratteristiche del vento, posizione GPS del sensore) quando necessario, il terzo computer imposta e controlla la lunghezza d'onda degli impulsi laser, il quarto computer è dedicato a misurare le caratteristiche del vento, il quinto computer gestisce il sistema dei controlli di sicurezza, il sesto computer, infine, controlla il sistema di acquisizione ed analisi spettrale OMA. Tutti i PC sono connessi in rete locale e attraverso il primo computer vi è la possibilità di connettersi con la rete esterna. Il sistema operativo utilizzato è Windows 98 e i programmi di controllo sono realizzati su LabVIEW della National Instruments. 3.3 ACQUISIZIONE DEGLI SPETTRI Sia il sensore FLIDAR3 sia il sensore LIDAR a scansione acquisiscono gli spettri con un’unità OMA. Gli spettri sono acquisiti integrando la fluorescenza indotta da uno o più impulsi laser, la radiazione di fondo è misurata e sottratta dagli spettri acquisiti. In entrambi i sensori è possibile impostare diverse configurazioni con cui effettuare le misure in relazione alle caratteristiche del bersaglio. La Tabella 3-I riporta i parametri che definiscono le diverse configurazioni di misura. Ogni configurazione in cui variano i parametri dell'ottica di ricezione e la distanza del bersaglio ha una propria funzione di trasferimento e una propria calibrazione in lunghezza d'onda. La calibrazione in lunghezza d'onda è ricavata mediante l’acquisizione di spettri di lampade spettrali. La funzione di trasferimento è determinata 36 per mezzo dell’acquisizione dello spettro di una lampada a filamento la cui emissione sia corrispondente a quella di un corpo nero a temperatura nota, la lampada deve essere posta nelle stesse condizioni in cui è misurato il bersaglio. Entrambi i sensori provvedono anche all’acquisizione dell’andamento del background, ossia del segnale rivelato in assenza di eccitazione del campione, questo valore è poi sottratto per ogni spettro al segnale misurato in conseguenza dell’impulso laser. Tabella 3-I: Parametri che definiscono una configurazione di misura lidar. Distanza del bersaglio Geometria della misura Ritardo tra l'apertura del rivelatore e lo sparo del laser Lunghezza d'onda di emissione Energia per ciascun impulso Parametri del laser Divergenza Numero degli impulsi Frequenza di ripetizione Parametri ricezione dell'ottica di Intervallo spettrale misurato Numero dei canali acquisiti Risoluzione spettrale Filtro Tempo di apertura del rivelatore 3.4 ACQUISIZIONE DELLE IMMAGINI IPERSPETTRALI Il sensore LIDAR a scansione può, mediante il controllo dei movimenti dello specchio deviatore, acquisire una sequenza di spettri in successione offrendo quindi la possibilità di realizzare immagini di bersagli estesi. Il controllo del passo dei motori permette di definire il campionamento dell'area stessa e il campo visto dal telescopio definisce la minima risoluzione spaziale possibile del bersaglio. Il risultato di questa modalità operativa è una matrice di spettri (ciascuno ottenuto nella medesima configurazione del sensore) che ricopre uniformemente un'area del monumento. I parametri che definiscono questa matrice sono il passo orizzontale e quello verticale dei motori che controllano i movimenti dello specchio deviatore. A 37 queste impostazioni, fissata la distanza del bersaglio dal sensore, corrisponde un passo di campionamento sul bersaglio stesso e, dalla posizione del primo punto misurato, è possibile identificare l'area campionata. E' opportuno osservare che il sistema non considera le deformazioni geometriche introdotte dalla relativa posizione tra il sensore e il bersaglio. Inoltre, nel caso delle facciate dei monumenti, molto spesso sono presenti elementi decorativi o strutturali in rilievo rispetto al piano della facciata e anche questa informazione non è acquisita poiché le misure così realizzate considerano il bersaglio piano. 38 4 ANALISI DEI DATI L'analisi degli spettri acquisiti con i sensori LIDAR è finalizzata sia ad un confronto degli spettri e ad una loro classificazione sia alla costruzione di mappe tematiche che mettono in evidenza alcune caratteristiche specifiche dello spettro in relazione alla loro posizione sui monumenti. La possibilità di acquisire molti spettri introduce nuove problematiche nell'analisi dei dati ed anche la necessità di una trattazione rapida dei dati stessi al fine di offrire in tempo quasi reale valutazioni durante le campagne le misure. Le metodologie di analisi dati utilizzate sono quindi quelle classiche utilizzate nel telerilevamento lidar di fluorescenza per i beni culturali ed in più tecniche statistiche multivariate. Ciascuno spettro acquisito con i sensori LIDAR può essere rappresentato come un vettore s = ( s1 s2 … sN ) i cui elementi rappresentano le intensità misurate dai canali. Alla posizione di ciascun elemento è associato un canale e la relativa lunghezza d'onda. Lo spettro misurato deve poi essere corretto per la funzione di trasferimento del sistema: ( ) s = S ⋅ FT D, λ , k ⇒ S = s FT (5.1) dove S è lo spettro emesso dal bersaglio; ( ) dove FT D, λ , k è la funzione di trasferimento del sistema che dipende dalla lunghezza d'onda ( λ ) , dalla distanza tra il bersaglio e il sensore ( D ) e dai parametri che descrivono la configurazione del sensore ( k ) . Lo spettro corretto per la funzione di trasferimento può poi sia essere filtrato sia normalizzato. Il passo del filtro digitale se è pari o inferiore al rapporto tra la risoluzione spettrale complessiva del sensore e l'ampiezza dell'intervallo spettrale a cui corrisponde ciascun canale non compromette la risoluzione dello spettro. La normalizzazione può essere eseguita al valore massimo dello spettro in un intervallo di lunghezze d'onda e permette il confronto tra le differenti forme spettrali. E' possibile anche una normalizzazione dello spettro in modo che l'area sottesa dello spettro stesso sia unitaria. 39 4.1 RAPPORTO TRA AREE Il rapporto tra le aree sottese in due distinte regioni spettrali permette di confrontare tra loro distinti spettri al fine di mettere in evidenza una specifica caratteristica, quale per esempio la presenza di un biodeteriogeno o di un trattamento conservativo. La stessa procedura può anche essere sfruttata per mettere in rilievo differenti litotipi. La Figura 4-1 riporta tre spettri misurati con il sensore FLIDAR3 sul Duomo di Parma come esempio di applicazione del rapporto tra le aree sottese dagli spettri in distinte regioni spetrali. Gli spettri sono stati raccolti su blocchi di marmo in presenza di un trattamento protettivo (S1 e S2) e in assenza del trattamento stesso (S3). E' questo un tipico esempio in cui il rapporto tra aeree permette di identificare le caratteristiche degli spettri. 14000 S1 12000 S2 Intensità (a.u.) 10000 S3 8000 6000 4000 2000 λ i λ 400 f 450 λb λe 500 550 600 Lunghezza d'onda (nm) 650 700 Figura 4-1: esempio di spettri misurati con il sensore FLIDAR3 (marmo in presenza di trattamento protettivo) L'intervallo spettrale evidenziato in blu è quello utilizzato come riferimento e corrisponde ad una regione spettrale in cui è comunque dominante il comportamento del substrato lapideo (marmo in questo caso), mentre la regione evidenziata in verde è 40 quella in cui è dominante il contributo del trattamento lapideo. L'intervallo spettrale di riferimento è scelto in modo da essere quanto più possibile prossimo a quello d'interesse e, contemporaneamente, in una regione in cui il fenomeno indagato non è presente. L’area sottesa da uno spettro in un intervallo di lunghezze d’onda è: Aif = k = f −1 ∑ k =i k = f −1 S k +1 + S k S + Sk ⋅ ( λk +1 − λk ) = ∑ k +1 ⋅ ∆λ 2 2 k =i (5.2) dove i è il numero del primo canale dell’intervallo, f è il numero dell’ultimo canale dell’intervallo e ∆λ = (λ k +1 − λ k ) può essere assunto costante su tutto lo spettro. Mentre per l'intervallo di riferimento gli estremi sono i canali b ed e. Il rapporto tra le due aree è: Rifbe = 4.2 Abe Aif (5.3) ANALISI DELLE COMPONENTI PRINCIPALI I vantaggi introdotti dall'analisi delle componenti principali (PCA) nell'analisi degli spettri acquisiti sono essenzialmente due: - la possibilità di trattare simultaneamente una grande quantità di spettri; - l'evidenziazione delle differenze tra i singoli spettri. Nella rappresentazione degli spettri come vettori la cui base sono i canali, l'analisi delle componenti principali è una proiezione degli spettri su di un sottospazio proprio. Questo sottospazio è costruito sulla base delle componenti principali dove la prima componente principale è costruita in modo da descrivere la maggior parte possibile della covarianza tra i campioni, la seconda per descrivere la maggior parte della covarianza residua e così via per le successive. Nuove componenti sono aggiunte finché la differenza residua è inferiore al rumore. 4.2.1 PROCEDURA OPERATIVA Se ciascuno spettro è rappresentato come un vettore, una serie di M spettri di N valori ciascuno è rappresentata con una matrice in cui ciascuno spettro corrisponde ad una diversa colonna: 41 { S = S = S1 , S2 , , SM } s11 s21 = {si , j } = sN 1 S 1 s1M v1 s2 M v2 = sNM vN SM s12 s22 sN 2 S2 (5.4) dove il generico spettro è: N S j = ∑ sij ⋅ λi (5.5) i =1 dove sij è l'intensità misurata nell'i-esimo canale del j-esimo spettro; dove λi è l’i-esimo canale del rivelatore a cui corrispone la lunghezza d'onda λi. La covarianza tra due vettori riga della matrice S è: cov ( vi , v j ) = (v − i ( vi ) ⋅ v j − v j ) (5.6) e la matrice di covarianza associata alla matrice S è definita come: cov(v1 , v1 ) cov(v2 , v1 ) C = cov(v , v ) M 1 cov(v1 , vM ) cov(vM , vM ) cov(v1 , v2 ) (5.7) La matrice C è quadrata e per la definizione (5.6) simmetrica e dunque ammette autovalori non negativi. Inoltre il numero degli autovalori non nulli di C è pari al minimo tra il numero delle misure M e il numero dei canali N. La scelta della base in cui rappresentare gli spettri S si ottiene mediante la diagonalizzazione della matrice di covarianza: C = PC iΛi PC t (5.8) dove PC è la matrice del cambiamento di base, le cui colonne sono la nuova base delle componenti principali, e Λ è la forma diagonale della matrice di covarianza. Per convenzione la matrice diagonale è costruita ponendo gli autovalori in ordine decrescente cosicché: Λ ii = Λ i > Λ i +1 (5.9) Dalla (5.9) consegue che il sottospazio associato alla prima colonna della matrice PC è quello che rappresenta la maggior parte della covarianza e così via. 42 La matrice degli spettri può ora essere rapprentata nella nuova base: N = PC i S (5.10) dove N sono gli spettri rappresentati nella nuova base. Per il j-esimo spettro si ha: N N j = ∑ N ij ⋅ PCi (5.11) i =1 La sommatoria (5.11) è su tutti gli N elementi del vettore della j-esima componente principale ma è possibile arrestarsi prima, per esempio quando il valore residuo è pari all'errore presente sugli spettri. A ciascun autovalore è associata una grandezza che esprime percentualmente quanta parte di covarianza esso rappresenta; per l'i-esimo autovalore si ha: S Λ i = Si = Λi ⋅100 j=M ∏Λ (5.12) j j =1 dove la produttoria della (5.12) considera solo gli autovalori non nulli. Per la (5.12) Si corrisponde al rapporto, espresso in percentuale, tra il volume dell'autospazio associato all'i-esimo autovalore e il volume complessivo associato allo spazio della covarianza. 4.2.2 RAPPRESENTAZIONE GEOMETRICA Un generico spettro rappresentato in forma vettoriale può essere descritto come un punto in uno spazio N-dimensionale, dove N è il numero dei canali dello spettro. Per un insieme di M spettri si hanno M punti ciascuno individuato da N coordinate. La distanza del j-esimo spettro da una generica direzione nello spazio a N-dimensioni è: i=N d ( S j , Lk ) = Pj ⋅ Lk Lk = ∑P ⋅L i =1 ij i=N (5.13) ∑L i =1 ( ik 2 ik ) dove L j = S j ,1 ; dove Lk rappresenta una generica direzione nello spazio. La somma delle distanze di tutti gli M spettri misurati dalla direzione k-esima dalla (5.13) è: 43 i= N ( ) d S , Lk = j =M ∑ d ( S j , Lk ) = j =1 j=M Pj ⋅ Lk j =1 Lk ∑ = j=M ∑ ∑P ⋅L i =1 j =1 ij i=N ik (5.14) ∑L i =1 2 ik Nella Figura 4-2 è rappresentato un esempio tridimensionale. λ3 Spettri diversi λ2 λ1 Generica direzione Figura 4-2: Esempio tridimensionale. La prima componente principale corrisponde alla direzione rispetto alla quale la distanza di tutti gli spettri è minima, ossia è determinata ricavando i coefficienti della k- ( ) esima direzione che minimizzano d S , Lk , la direzione così determinata è quella corrispondente a PC1. La seconda componente principale è calcolata cercando il minimo rispetto ad una generica direzione scelta però nel sottospazio N-1 dimensionale ortogonale alla prima componente: ( ( )) min d S , L 2 L2 ⋅ PC1 = 0 (5.15) In questo modo vengono individuati i coefficienti che individuano la seconda componente principale PC2. La terza componente è cercata tra le direzioni ortogonali alle prime due e così via, per la generica k-esima componente si ha: 44 ( ( )) min d S , L k Lk ⋅ PC1 = 0 Lk ⋅ PC2 = 0 … Lk ⋅ PCk −1 = 0 (5.16) Determinata l'ultima componente si ha una nuova base ortogonale in cui rappresentare gli spettri. L'origine della nuova base è nel baricentro dei punti che rappresentano gli spettri e le direzioni sono le componenti principali stesse. 4.2.3 INTERPRETAZIONE DELLE COMPONENTI PRINCIPALI La nuova rappresentazione degli spettri è costruita in modo da concentrare su PC1 la maggior varianza possibile tra gli spettri, su PC2 il massimo della varianza residua e così via e produce due risultati utili all’analisi dei dati: diminuisce la quantità di dati che è necessario considerare, permette di distinguere più facilmente gli spettri tra loro attraverso le proiezioni sui primi elementi della nuova base. Il primo risultato è comunque apprezzabile poiché diminuisce la memoria necessaria per conservare ed analizzare i dati anche se con le moderne potenzialità dei PC non è una condizione indispensabile. Il secondo risultato è quello che rende le PCA vantaggiose per l’analisi dei dati anche se i risultati prodotti debbono essere attentamente verificati e valutati. Le componenti principali non hanno di per sé un proprio significato fisico, il loro andamento è infatti determinato dagli spettri e non è riferito ad un campionario di “firme spettrali” note a priori. Inoltre l’analisi statistica della varianza può in una regione spettrale rappresentare una caratteristica di alcuni spettri mentre in un’altra regione spettrale una caratteristica di altri spettri e quindi aggregare comportamenti diversi. Questo impone quindi una attenta verifica delle aree di spettri simili individuate. La selezione dell’intervallo spettrale in cui applicare la PCA condiziona il risultato, ossia la capacità del sistema di componenti principali di separare effettivamente gli spettri. Di contro un intervallo spettrale troppo ristretto, a cui quindi corrispondono pochi canali, riduce il numero dei dati su cui è applicato il metodo statistico e quindi ne limita la significatività. 45 4.2.4 PROPAGAZIONE DELL’ERRORE NELLA PCA La PCA è stata sviluppata, storicamente, per la trasmissione di immagini al fine di comprimere la grande quantità di informazione da trasferire e poca attenzione è stata dedicata alla propagazione dell’errore associato all’algoritmo. Il principio scelto è quello di arrestare lo sviluppo fino ad un numero di componenti tale per cui la differenza tra gli spettri originali e quelli ricostruiti è dell’ordine dell’errore stesso. Per quanto questo principio trovi fondamento non è però vero che tutta l’incertezza vada a concentrarsi sulle componenti trascurate e quelle considerate siano invece prive di errore; quindi arrestarsi ad un determinata componente comporta sia la perdita di una parte dell’informazione utile sia la conservazione di una parte dell’errore nelle componenti considerate. Al fine di svolgere una trattazione formale dell’errore la procedura operativa per la PCA può essere suddivisa in tre fasi: • calcolo della matrice di covarianza; • determinazione degli autovalori e degli autovettori della matrice di covarianza; • proiezione della matrice S nella nuova base. Dalla definizione della covarianza tra due vettori (5.6) si ottiene: ( ∆ cov(vi , v j ) = (∆vi ) ⋅ v j − v j ) + (∆v )⋅ (v − v ) j i (5.17) i dove ∆v esprime l’incertezza relativa a v . Alla matrice di covarianza può quindi essere associata la matrice che esprime l’errore sulle singole covarianze. Questa matrice è costruita con la medesima convenzione della matrice di covarianza ed è indicata con ∆C . La determinazione degli autovalori, che coincide con la ricerca delle radici di un polinomio (il polinomio caratteristico) di grado uguale al numero dei canali su cui sono individuate le componenti principali, non è possibile in forma analitica. Per determinare la propagazione dell’errore è necessario derivare l’espressione implicita dell’equazione : det(C − λ ⋅ I ) = 0 ⇒ ∑1 f j ⋅ λ j = 0 M (5.18) dove λ sono gli autovalori, I la matrice identica di ordine M e f j corrisponde alla somma di tutti i minori principali di ordine M − j presi con il segno (− 1) M−j Dalla (5.18) si ha: 46 . ∑ df ⋅ dλ = 0 ⇒ dλ = − ∑ j⋅ f M ∑ M 1 df j ⋅ λ + ∑1 j ⋅ f j ⋅ λ M j j −1 1 M 1 j ⋅λj j −1 j ⋅λ (5.19) che può esser scritta nella forma: − λj M dλ = ∑ 1 ∑ M j ⋅ f j ⋅ λ j −1 1 ⋅ df j (5.20) e passando dalla forma differenziale alle differenze finite: − λj M ∆λ = ∑ 1 ∑ M j ⋅ f j ⋅ λ j −1 1 ⋅ ∆f j (5.21) dove ∆λ è l’errore associato all’autovalore λ e ∆f j quello associato a f j . La (5.21) può essere utilmente riscritta come: ∆λ = ∑ 1 ∑ M 1 j ⋅ f j ⋅λ ∑ λ ⋅ ∆f = ∑ j ⋅ f ⋅λ M λj M j −1 ⋅ ∆f j j 1 M 1 j j −1 (5.22) j La (5.22) vale per tutti gli autovalori e pertanto per il k-esimo degli M autovalori si ha: ∑ λ = ∑ j⋅ f M ∆λk 1 j k M 1 j ⋅ ∆f j ⋅ λk j −1 (5.23) dove l’errore sui coefficienti del polinomio caratteristico ∆f j rimane invariato perché dipende dall’errore associato ai valori della matrice di covarianza. L’errore sui coefficienti del polinomio caratteristico, ∆f j , dipende dalle matrici C e ∆C ed è una combinazione dei coefficienti. Nell’equazione agli autovettori, la i-esima componente del k-esimo autovettore è: (PCk )i = C ki C (5.24) dove C ki rappresenta una matrice costruita con la sostituzione della i-esima colonna della matrice C con un vettore colonna i cui elementi sono tutti uguali all’autovalore λk e dove PC rappresenta la matrice degli autovettori che corrisponde alla matrice delle componenti principali. Il k-esimo autovettore corrisponde quindi alla k-esima componente principale e rispetto alla matrice PC vale la notazione (PC k )i = PC ki . Dalla (5.24) si ottiene: 47 C ki ∂ ⋅ ∆(cki )lm ∂ (cki )lm C l =M m=M ∆(PC k )i = ∑ ∑ l =1 m =1 (5.25) dove anteponendo la ∆ è stata indicata l’incertezza della grandezza corrispondente e dove rispettivamente i pedici l ed m rappresentano il numero di riga e di colonna. Dalla (5.25) consegue: l =M m=M ∆(PC k )i = ∑ ∑ l =1 m =1 m ≠i (Cki )lm ⋅ C − Clm ⋅ Cki C 2 l =M (Cki )li l =1 C ⋅ ∆clm + ∑ ⋅ ∆λ k (5.26) dove le coppie di pedici lm e li della matrice di covarianza indicano il minore corrispondente (ossia quello ottenuto sopprimendo la l-esima riga e rispettivamente la m-esima e la i-esima colonna) e dove è stato considerato che l’errore, sulla colonna i cui elementi sono sempre l’autovalore, è conseguentemente costante ed uguale all’errore dell’autovalore stesso. La (5.26) è stata ottenuta separando il contributo della dipendenza diretta dai coefficienti della matrice di covarianza e quella dagli autovalori che comunque a loro volta dipendono dalla matrice di covarianza. Alla matrice delle componenti principali PC è quindi possibile associare una matrice i cui elementi rappresentano l’errore delle componenti principali: ∆ PC = {(∆ PC k )i } = {∆ PC ki } (5.27) dove si ha una corrispondenza tra ciascun elemento della matrice PC e l’elemento posto nella stessa posizione della matrice ∆PC . Infine la proiezione della matrice degli spettri nella nuova base e l’errore associato sono: N = S ⋅ PC (5.28) ∆N = S ⋅ ∆PC + ( ∆S ) ⋅ PC (5.29) La (5.29) espressa in forma vettoriale per l’i-esimo elemento del j-esimo spettro nella nuova rappresentazione è: ∆nij = ∆sij ⋅ PCij + sij ⋅ ∆PCij (5.30) Al momento non esistono algoritmi che sfruttano questa trattazione formale per il calcolo dell’errore. 48 4.3 MAPPE TEMATICHE L'acquisizione di una immagine iperspettrale permette l'elaborazione di mappe tematiche in cui è rappresentata spazialmente una caratteristica del monumento di interesse. L'elaborazione delle mappe tematiche prevede quindi l'analisi dello spettro e l'estrapolazione di un valore che presenta la grandezza che esprime la caratteristica ricercata. L'estrapolazione della grandezza può risultare agevole nel caso in cui, per esempio, si cercano le aree in cui sono presenti biodeteriogeni su di una superficie omogenea. In questo caso il rapporto tra l'area sottesa nella banda di fluorescenza dei pigmenti fotosintetici e quello di un'area contigua in cui non si ha fluorescenza dei pigmenti permette di associare a ciascun punto misurato un valore che esprime relativamente la quantità di biodeteriogeno presente. Più complessa è l'estrapolazione di un’informazione nel caso in cui, per esempio, il substrato lapideo è assai disomogeneo, caratteristica di alcuni monumenti specie in presenza di arenarie. Queste sono le circostanze in cui è indispensabile l'impiego della statistica multivariata. La Figura 4-3 raffigura un breve schema della ricostruzione di una mappa tematica a partire dall'acquisizione di un’immagine iperspettrale sul monumento. Ciascuno spettro della matrice cubica ottenuta dal controllo spaziale del bersaglio viene analizzato e convertito in un numero. La matrice così ottenuta è poi accoppiata ad una scala in falsi colori o in toni di grigio e rappresentata. Nel caso delle PCA si realizzano contemporaneamente più mappe tematiche, una per ogni componente o combinazione delle componenti trovate che hanno una interpretazione fisica. In questo modo si possono originare diverse mappe che esprimono diverse caratteristiche di interesse. La scelta della scala in falsi colori può permettere la rappresentazione della proiezione degli spettri su più componenti principali, in particolar modo sfruttando la rappresentazione RGB dei colori è possibile mostrare nella stessa immagine il contributo di tre componenti, una con il canale rosso, una con il canale verde ed una con quello blu. 49 Laser spot MONUMENTO MAPPA TEMATICA Intensità Spettro 400 450 500 550 600 650 700 Lunghezza d'onda (nm) MATRICE SPETTRO Figura 4-3: schema della realizzazione di una mappa tematica 4.4 SOFTWARE PER L’ANALISI DEI DATI I programmi per l’analisi dei dati sono stati appositamente sviluppati in ambiente Matlab della MathWorks. La principale problematica affrontata è stata la necessità di analizzare simultaneamente una grande quantità di spettri al fine di produrre mappe tematiche. Gli spettri possono avere una notevole varietà tra loro proprio in relazione alle caratteristiche del bersaglio. In luogo di una osservazione ed analisi puntuale del bersaglio, che coinvolge un ordine di grandezza di 102 spettri si è passati ad una analisi che coinvolge dai 103 ai 104 spettri. Un’altra problematica affrontata ha riguardato la presentazione dei risultati ed in particolare delle mappe tematiche con l’attenzione allo sviluppo della possibilità di calibrare la scala in falsi colori in relazione alle 50 caratteristiche rappresentate. Questa problematica diviene di grande rilievo quando si pensi di fornire un dato fruibile non solo dalla comunità scientifica ma più in generale ai responsabili ed agli operatori del restauro e della conservazione. La necessità di sviluppare un programma che permettesse una facile interazione e la possibilità di individuare ed agire immediatamente con le grandezze fisiche di interesse per l’analisi dei dati ha, inoltre, suggerito la realizzazione di un ambiente grafico finalizzato a mantenere sotto controllo tutti i parametri di interesse e una rappresentazione dinamica dei risultati in relazione all’impostazione dei parametri stessi. Questa interfaccia grafica permette un analisi dei dati in tempo quasi reale ed è costruita nella prospettiva di un intervento diretto nella misura con il fine quindi di poter realizzare un feedback tra i risultati e l’impostazione dei parametri che definiscono la misura. Figura 4-4: Finestra principale del programma di gestione di analisi dei dati. La Figura 4-4 presenta la finestra principale del programma realizzato per la gestione dell’analisi dei dati. Sulla sinistra in altro vi sono i comandi relativi alla gestione dei file degli spettri. Il menu popup permette di selezionare l’insieme dei dati di interesse (nel caso specifico quelli realizzati mediante l’eccitazione del bersaglio a 300 nm), mentre il 51 tasto LLOAD carica la matrice cubica degli spettri ed alcuni file accessori tra i quali quelli della calibrazione relativa alla configurazione in cui sono stati raccolti i dati. Altri comandi permettono l’applicazione di un filtro di tipo polinomiale agli spettri e la normalizzazione degli spettri stessi. La sezione sottostante è quella che permette di selezionare due intervalli spettrali e stabilire quali operazioni sono realizzate su di esse. La sezione mostra uno spettro come esempio dalla matrice cubica degli spettri e, in maniera dinamica rispetto alle relative slider sottostanti, i confini delle regioni spettrali. In ciascuna regione spettrale è poi possibile eseguire le seguenti operazioni tra gli spettri: calcolo dell’area (Area), ricerca del valore massimo (Max), calcolo del valore medio (Mean). E’ possibile anche l’analisi delle componenti principali (PCA) la cui modalità sarà descritta in seguito. in questo modo dalla matrice cubica degli spettri è ricavata una matrice quadrata i cui elementi sono il risultato dell’esecuzione dell’operazione scelta (Area, Max o Mean) nell’area selezionata (definita dalle slider che controllano le due linee verticali che ne indicano i confini negli assi in cui è rappresentato lo spettro). La matrice quadrata è poi rappresentata nella sezione centrale ed origina la mappa tematica presentata nella sezione centrale della finestra, in alto la mappa definita dall’intervallo selezionato dalle slider nell’area rossa della sezione di sinistra, in basso quella riferita alle slider in area celeste. Due slider per ciascuna mappa permettono il controllo dei livelli di saturazione della scala in falsi colori che è rappresentata a fianco. La scelta dei livelli di saturazione della scala a falsi colori permette di scegliere quale intervallo di variabilità rappresentare, non è ovviamente significativo espandere la rappresentazione di un intervallo in modo che il campionamento in falsi colori sia più fine dell’errore ad essa associato. Nella sezione di destra si ha in alto un sistema di assi cartesiani nel quale rappresentare il rapporto tra le due matrici da cui sono ricavate le due mappe tematiche della sezione centrale, sotto vi è l’associato sistema di controllo dei livelli di saturazione della scala in falsi colori. E’ questa la mappa tematica che presenta il dato di interesse scientifico: nel caso in esempio, il rapporto tra gli intervalli sottesi in due distinte aree. In questa sezione il tasto “Plot Ratio” è quello che genera la mappa tematica del rapporto, il tasto “New Figure” permette di riprodurla in una finestra autonoma dopo aver selezionato i livelli di saturazione voluti al fine della stampa, del salvataggio o dell’esportazione. Infine, il tasto “Select Point” avvia una routine interattiva di selezione grafica di un punto della 52 mappa tematica che, selezionato, genera un’autonoma figura che presenta lo spettro associato al pixel scelto. La sezione sottostante è nuovamente associata alla PCA. Figura 4-5: Finestra principale, analisi delle componenti principali. La Figura 4-5 riporta la finestra principale del programma per il controllo della PCA. In questo caso nella sezione in basso a sinistra è scelta l’opzione “PCA” e i due sistemi di assi centrali raffigurano l’andamento delle prime cinque componenti principali nell’intervallo selezionato. Nel sistema di assi a destra invece la mappa tematica raffigurata è realizzata attraverso la proiezione su di una della 10 componenti disponibili, 5 nel primo intervallo e 5 nel secondo intervallo, la proiezione è selezionata scegliendo dai tasti nelle due aree rossa e celeste. Nel caso in esempio è mostrata la proiezione su PC2 calcolata nel secondo intervallo. Ai pulsanti è associata una stringa che appare al passaggio del puntatore e presenta la percentuale di varianza proiettata sulla componente associata. Ai tasti “More PCA”, “Five PCA”, “Extended PCA” è associata l’apertura di specifiche finestre che gestiscono altre sezioni della PCA. Le finestre successive operano a partire dai parametri impostati nella finestra principale ed in particolare dal sistema di 53 componenti principali e di relative proiezioni calcolato. Il tasto “Close” chiude la finestra e salva su disco i risultati ed i parametri dell’elaborazione in una specifica variabile (richiamabile successivamente in Matlab per altre elaborazioni), le impostazioni correnti e le elaborazioni generate sono comunque salvate dopo ogni comando. Figura 4-6: Finestra “More PCA” del programma di gestione dei dati. La Figura 4-6 presenta la finestra attivata dal tasto “More PCA” della finestra principale. Le mappe tematiche al centro sono controllate dai tasti alla loro sinistra attraverso cui viene scelta quale proiezione presentare in ciascuna delle due mappe, la sezione di destra permette infine di presentare il rapporto tra le due mappe (e quindi tra le due proiezioni). Sopra la mappa è possibile rappresentare la fotografia del bersaglio per permettere un rapido confronto dei risultati. La Figura 4-7 presenta la finestra attivata dal tasto “Extended PCA” della finestra principale. La parte superiore della finestra presenta separatamente la proiezione su PC1, PC2 e PC3 degli spettri. La prima componente è associata ad una scala cromatica rossa, la seconda ad una scala verde, la terza ad una scala cromatica blu. I livelli di 54 saturazione di ciascuna scala cromatica possono essere gestiti autonomamente ed il risultato RGB composto è presentato nella mappa tematica in basso a destra. Figura 4-7: Finestra “Extended PCA” del programma di gestione dei dati. Questa finestra è quella che permette di presentare simultaneamente l’informazione contenuta in tre componenti principali. In essa non è presente alcuna associazione ad una scala in falsi colori poiché la scala risultante è un terna di valori ed occorrerebbe dunque un cubo per rappresentarla. Il controllo indipendente delle scale cromatiche associate a ciascuna delle tre proiezioni permette di gestire nel modo più duttile possibile la rappresentazione dei risultati. La Figura 4-8 presenta la finestra attivata dal tasto “Five PCA” della finestra principale. Questa sezione del programma è stata sviluppata specificatamente per la realizzazione di mappe tematiche e l’analisi degli spettri ottenuti sfruttando diverse lunghezze d’onda di eccitazione sul bersaglio. Per ciascuna lunghezza d’onda di eccitazione è rappresentato uno spettro e le slider permettono di selezionare l’intervallo spettrale in cui eseguire la PCA. Per ciascuna lunghezza d’onda di eccitazione si procede poi alla PCA e alla scelta delle componenti da utilizzare nel proseguo dell’analisi. Il colore 55 rosso nel titolo dei relativi assi mostra che la PCA è stata già applicata per gli spettri della relativa lunghezza d’onda di eccitazione. L’analisi delle PCA e la selezione delle componenti di interesse è realizzata mediante le finestre richiamate dai tasti “Exc. 250 nm”, “Exc. 280 nm”, etc. La Figura 4-9 presenta una delle subroutine chiamate da “Five PCA” per la scelta delle componenti principali da utilizzare. La finestra mostra in alto al centro l’andamento delle prime cinque componenti calcolate nell’intervallo selezionato e poi le cinque mappe tematiche ottenute dalla proiezione su ciascuna componente. Accanto alla mappa è presentato anche la percentuale della varianza descritta dalla componente. Sotto ciascuna mappa è presenta l’opzione da selezionare per includere la componente stessa nella fasi successive dell’analisi. La fase successiva dell’analisi consiste nella creazione di una mappa tematica che rappresenti sinteticamente quanto selezionato per le distinte eccitazioni, in particolare viene creata una variabile in cui sono sommate in quadratura le proiezioni sulle distinte componenti selezionate ed i valori sono presentati nella mappa tematica attivata con “Total PCA Map” ed è presentata in Figura 4-10. Figura 4-8: Finestra “Five PCA” del programma di gestione dei dati. 56 Figura 4-9: Finestra “Exc. 300 nm” della subroutine “Five PCA”. Figura 4-10: Finestra “Total PCA Map” della subroutine “Five PCA”. 57 L’ulteriore routine chiamata “Mixed PCA Map” avrà il ruolo di procedere ad una ulteriore analisi delle componenti principali applicata sul sistema di dati ottenuto mediante le analisi precedenti (ossia sulle sole componenti selezionate) e non è utilizzata per i dati presentati in questo lavoro. 58 5 5.1 ERRORE SPERIMENTALE SORGENTI DI ERRORE L’errore sperimentale delle misure realizzate con i sensori utilizzati nelle misure presentate in questo lavoro è originato dal sistema di rivelazione, sia per il processo di conversione tra fotoni ed elettroni e l’eventuale moltiplicazioni dei fotoni stessi sia per il procedimento di lettura delle cariche accumulate. La riproducibilità della misura è poi dipendente anche dalla stabilità dell’energia dell’impulso laser, parametro che diviene sempre meno significativo all’aumentare del numero degli spari. Altri fattori che intervengono sono ovviamente relativi alla variazione del cammino ottico, ossia del percorso della radiazione tra il bersaglio ed il sensore. Fissata la distanza del sensore dal bersaglio, ogni sessione di misure è realizzata in condizioni pressoché stazionarie e quindi queste variabilità può essere trascurata ed è comunque assai inferiore all’incertezza introdotta dal procedimento di misura della radiaizone retrodiffusa. La conversione dei fotoni in elettroni e la moltiplicazione degli elettroni sono fenomeni descritti dalla distribuzione di Poisson. Le variabili che contribuiscono maggiormente a questo errore sono la temperatura e la durata del tempo di esposizione. 5.2 ERRORE SU CIASCUN SPETTRO ACQUISITO Per il sensore FLIDAR3 la procedura di acquisizione degli spettri prevede la somma di coppie di scansioni. Ciascuna coppia di scansione prevede un’acquisizione del segnale retrodiffuso in conseguenza dell’eccitazione dovuta all’impulso laser ed una scansione del background. Per un coppia di scansioni si ha quindi un segnale così composto: C = ( Ci + b ) − Prima scansione ( B + b) = Ci − B (6.1) Seconda scansione dove Ci sono i conteggi effettivi dovuti alla fluorescenza del bersaglio; dove b sono i conteggi introdotti dall’elettronica; dove B sono i conteggi effettivi del background. La (6.1) è scritta nell’ipotesi in cui i conteggi introdotti dall’elettronica siano i medesimi nelle due scansioni. Questa ipotesi è però inesatta ed introduce sul segnale C una 59 incertezza che deve essere considerata nel determinarne l’incertezza associata. Dalla (6.1) si ha: ∆C = σ C2i + σ B2 + 2σ b2 (6.2) dove σ indica l’errore associato alle grandezze fisiche. Nella (6.2) l’errore associato al numero dei conteggi è di tipo poissoniano, mentre l’errore introdotto dall’elettronica segue la distribuzione di Gauss ed è determinato per via sperimentale. Dalla (6.2) si ottiene quindi: ∆C = Ci + B + 2σ b2 (6.3) Nelle condizioni sperimentali con un temperatura di 20°C e per un tempo d’integrazione di 20 ms sia ha b=123±5 conteggi. Dalla (6.3) per un insieme di n coppie di scansioni, tutte tra loro indipendenti, si ottiene: S = n ⋅ ( Ci + b ) − n ⋅ Prima scansione ( B + b) = Si − n ⋅ B (6.4) Seconda scansione ∆S = n ⋅ Ci + n ⋅ B + 2n ⋅ σ b2 = Si + n ⋅ B + 2n ⋅ σ b2 (6.5) dove Si è il valore di conteggi effettivi da attribuire al bersaglio ed S sono i conteggi misurati. Dalla (6.4) e dalla (6.5) si ricavano il numero dei conteggi da attribuire al bersaglio e l’errore ad essi associato: Si = S − n ⋅ B (6.6) ∆Si = S + n ⋅ B + 2n ⋅ σ b2 (6.7) S + n ⋅ B + 2n ⋅ σ b2 S − n⋅B (6.8) e l’errore relativo: ∆Si = Si La Figura 5-1 riporta l’andamento dell’errore sul numero assoluto dei conteggi nell’ipotesi in cui lo spettro sia ottenuto dalla somma di 50 coppie di scansioni e dunque vi siano 50 impulsi laser. Gli altri valori impostati sono 1000 conteggi per il background e da 1000 a 10000 conteggi ottenuti dal bersaglio eccitato per ciascuna scansione. L’incertezza sul numero dei conteggi è rappresentata in funzione dei conteggi misurati dai quali quindi è già stato sottratto il backgruond. L’errore relativo percentuale è riportato nella Figura 5-2. Le incertezze che si ottengono in queste condizioni 60 caratteristiche di esercizio sono modeste. Nella Figura 5-3 è, invece, riportato l’andamento percentuale al variare del numero degli impulsi sommati. Quando il numero dei conteggi effettivi (ossia la differenza tra quelli prodotti dal segnale e quelli prodotti dal background) di ciascuno impulso è almeno pari al valore del background stesso l’errore percentuale è già dell’1% anche per un solo impulso. 800 Errore (conteggi) 700 600 500 400 300 200 0 0.5 1 1.5 2 2.5 Conteggi misurati 3 3.5 4 4.5 5 x 10 Figura 5-1: Esempio di andamento dell’errore sugli spettri in funzione dei conteggi. La Figura 5-4 riporta l’andamento percentuale all’aumentare del numero degli impulsi quando il segnale prodotto dal bersaglio è al più superiore del 10% di quello del background. In queste condizioni, che rappresentano le condizioni peggiori di esercizio del sensore, l’incremento del numero degli impulsi è necessario per migliorare il rapporto segnale-rumore. Con appena 60 conteggi di differenza tra il bersaglio ed il background è necessario acquisire il segnale prodotto da almeno 50 impulsi per avere un errore relativo del 10%. Nelle condizioni operative il rapporto segnale-rumore è migliorabile aumentando il numero degli spari, azione che però aumenta il tempo complessivo della misura. Per l’acquisizione delle immagine multispettrali necessarie per ricostruire le mappe tematiche un raddoppio del numero degli impulsi porta all’incirca ad un raddoppio della durata complessiva della misura, in questa circostanza è ancor più importante che il 61 rapporto segnale-rumore di ciascuna acquisizione sia sufficientemente buono e permetta di ridurre il numero degli impulsi. 3 10 2 Errore relativo (%) 10 1 10 0 10 0 0.5 1 1.5 2 2.5 Conteggi misurati 3 3.5 4 4.5 5 x 10 Figura 5-2: Errore relativo percentuale sugli spettri. 4 10 n=1 n=5 n=1 n=2 n=4 n=5 n=10 3 Errore relativo (%) 10 2 10 1 10 0 10 -1 10 100 200 300 400 500 600 700 800 Conteggi singolo impulso 900 1000 Figura 5-3: Errore relativo percentuale all’aumento del numero degli impulsi 62 4 10 n=1 n=5 n=10 n=20 n=40 n=50 n=100 3 Errore relativo (%) 10 2 10 1 10 0 10 1000 1020 1040 1060 Conteggi singolo sparo 1080 1100 Figura 5-4: Errore relativo percentuale all’aumento del numero degli impulsi 63 6 ESPERIMENTO LIDAR PER IL RICONOSCIMENTO DEI LITOTIPI L'esperimento LIDAR per il riconoscimento dei litotipi è stato condotto presso il Lund Laser Centre ed ha avuto per oggetto misure di fluorescenza su di una tabellone allestito con diversi campioni lapidei. I campioni scelti per comporre il bersaglio sono sia pietre (marmi, calcari, arenarie), calci (cemento, malta pozzolanica, malta aerea) ed ematite. Le misure sono state realizzate con il sensore LIDAR a scansione. Gli obiettivi dell'esperimento sono stati: - il confronto tra diverse lunghezze d'onda di eccitazione; - la caratterizzazione dei campioni lapidei ed in particolar modo la possibilità di realizzare mappe tematiche di un bersaglio composito per evidenziare i diversi litotipi; - la caratterizzazione delle malte ed un contributo allo sviluppo di una metodologia per il loro riconoscimento. La Figura 6-1 rappresenta la disposizione dei campioni nel bersaglio, la descrizione dei campioni è riportata in Tabella 6-I. I campioni sono disposti su di una tavola di legno coperta con un panno nero. Figura 6-1: Descrizione del bersaglio. 64 Tabella 6-I: descrizione del bersaglio. N. Etichetta Nome Descrizione Colore 1 BOV1 Rosso Veronese, Nembro Calcare rosa 2 SIE1 Arenaria Pliocenica Siena Arenaria marrone - giallo 3 ROS Rosso Veronese, Rosa Corallo Calcare rosa 4 BOV2 Rosso Veronese, Nembro Calcare bianco 5 BOV4 Rosso Veronese, Corso Mezzo Brocato Calcare rosso 6 ASIA Rosso Veronese, Asiago Calcare rosa 7 FIR Arenacea Marnosa Firenze Arenaria grigio 8 M2 Malta pozzolanica Malta grigio 9 BON1 Rosso Veronese, Brocato Calcare rosso 10 BOV5 Rosso Veronese, Corso Grosso Calcare rosso 11 ASIC Rosso Veronese, Rosso Magnaboschi Calcare rosso 12 SIE3 Arenaria Pliocenica Siena Arenaria marrone - giallo 13 BOV3 Rosso Veronese, Nembro Calcare giallo 14 ASIB Rosso Veronese, Corso Bianco Calcare bianco 15 SCA1 Scaglia, Scisto Calcare rosso 16 110EMAT Formazione ferrosa rosso 17 M1 Ematite Malta aerea Malta grigio 18 MSI1 Marmo della Montagnola Senese Marmo bianco rossiccio 19 MOC3 Rosso Veronese, Roan Calcare rosa - verde 20 SIE2 Arenaria Pliocenica Siena Arenaria marrone - giallo 21 MOC1 Rosso Veronese, Mandorlato Calcare verde - giallo 22 MSI2 Marmo della Montagnola Senese Marmo bianco - grigio 23 MOC2 Rosso Veronese, Corso Rigato Calcare giallo - verde 24 MCA Marmo di Carrara Marmo bianco 25 M3 Cemento Portland Malta grigio I campioni scelti sono così suddivisi: - 13 campioni di rosso veronese provenienti da più cave e con diverse caratteristiche litologiche; - 3 campioni di marmo, uno di Cararra e due della montagnola senese; - 3 campioni di arenaria, due provenienti dalla regione di Siena e uno da quella di Firenze; - 3 campioni di malte diversi tra loro per modalità di realizzaizone; - 1 campione di scaglia; - 1 campione di ematite. 65 La distanza dei campioni dal sensore era di circa 50 m e sono state utilizzate cinque differenti lunghezze d'onda di eccitazione (250 nm, 280 nm, 300 nm, 330 nm, 399 nm) ottenute mediante il sistema OPO del lidar. Queste lunghezze d'onda permettono di coprire, compatibilmente con le possibilità dell’OPO/D, l'intero intervallo utile per l'eccitazione della fluorescenza delle pietre. Le caratteristiche delle diverse configurazioni di misura sono riportate nella Tabella 6-II. Tabella 6-II: configurazioni di misura ECCITAZIONE lunghezza d'onda 250 nm 280 nm 300 nm 330 nm 399 nm energia 4 mJ 4 mJ 5 mJ 5 mJ 3.5 mJ RIVELAZIONE filtro 260 nm 260 nm 305 nm 335 nm 420 nm range spettrale 245-555 nm 245-555 nm 314-624 nm 335-645 nm 428-739 nm INFORMAZIONI COMUNI Diametro dello spot: 2 cm. Passo: 3 cm x 3 cm. Distanza: 50 m. Numero spari: 6. La scansione del bersaglio è stata realizzata per righe, a ciascuno spettro è sottratto uno spettro di background calcolato mediando 200 acquisizioni realizzate prima dell'inizio della scansione. Le cinque diverse scansioni, una per ciascuna lunghezza d'onda di eccitazione, sono realizzate riposizionando il primo punto della scansione stessa nella medesima posizione del bersaglio, compatibilmente con l'incertezza del sistema di puntamento. 6.1 CARATTERIZZAZIONE DEI LITOTIPI E DELLE MALTE La Figura 6-2 mostra gli spettri acquisiti sul campione BOV1. I valori misurati sono normalizzati al massimo per verificare la riproducibilità delle misure stesse. Lo spettro dei campioni mostra una banda principale di fluorescenza centrata attorno ai 450 nm, una variazione della pendenza nella regione di salita della banda si osserva nelle figure (b), (c) e (d) ed indica un contributo di minor intensità attorno ai 400 nm, un ulteriore contributo è osservabile nella figura (c) ed è posizionato a circa 370 nm. Infine l'eccitazione a 399 nm permette di osservare un ulteriore contributo tra i 620 nm e i 630 nm. Il picco di fluorescenza a 280 nm della Figura 6-2 (b) è la riflessione del laser non tagliata dal filtro. 66 (b) Eccitazione: 280 nm 1 1 0.8 0.8 Intensità (a.u.) Intensità (a.u.) (a) Eccitazione: 250 nm 0.6 0.4 0.2 0 250 0.6 0.4 0.2 300 350 400 450 500 Lunghezza d'onda (nm) 0 250 550 300 1 1 0.8 0.8 Intensità (a.u.) Intensità (a.u.) 500 (d) Eccitazione: 330 nm (c) Eccitazione: 300 nm 0.6 0.4 0.2 0 350 400 450 Lunghezza d'onda (nm) 0.6 0.4 0.2 350 400 450 500 550 Lunghezza d'onda (nm) 0 600 350 400 450 500 550 Lunghezza d'onda (nm) 600 (e) Eccitazione: 399 nm Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 6-2: Spettri del campione BOV1. (a) Eccitazione a 250 nm, (b) Eccitazione a 280 nm, (c) Eccitazione a 300 nm, (d) Eccitazione a 330 nm, (e) Eccitazione a 399 nm. La Figura 6-2 comprova complessivamente una buona riproducibilità delle misure realizzate sui campioni e la possibilità di evidenziare per i litotipi un proprio spettro 67 caratteristico. E' opportuno osservare che il campione BOV1 è una calcarenite che ha quindi, come i marmi, una alta intensità di fluorescenza. La Figura 6-3 e la Figura 6-4 presentano gli spettri acquisiti su un medesimo punto, rispettivamente, del campione MCA di Marmo di Carrara e del campione MSI1 di Marmo della Montagnola Senese. I diversi spettri rappresentati corrispondono alle cinque lunghezza d'onda di eccitazione del bersaglio. I valori misurati sono stati normalizzati al massimo valore dell'intervallo 420 - 480 nm. Pixel 16.40 Eccitazione: 250 nm Eccitazione: 280 nm Eccitazione: 300 nm Eccitazione: 330 nm Eccitazione: 399 nm Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 300 400 500 600 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 6-3: Spettri del campione MCA (Marmo di Carrara), valori normalizzati. Gli spettri hanno tre bande di fluorescenza centrate rispettivamente a 370 nm, 440 nm e 470 nm. L'intensità relativa di questi contributi dipende dalla lunghezza d'onda di eccitazione e dalle caratteristiche del campione. In particolare il contributo attorno a 370 nm, particolarmente evidente con l'eccitazione a 300 nm, è di maggiore intensità per il marmo di Carrara e può essere utilizzato come uno strumento per identificare questo tipo di pietra. Similmente per la lunghezza d'onda di eccitazione di 399 nm nel marmo di Carrara diviene predominante il contributo attorno ai 470 nm rispetto a quello attorno ai 430 nm. La Figura 6-5 presenta, per le cinque diverse lunghezza d’onda di eccitazione, il confronto tra gli spettri raccolti sui 5 campioni di Rosso Ammonitico Veronese 68 provenienti dalla cava Bonaldi Vecchia ed indicati con BOV. Lo spettro dei campioni presenta un’ampia banda di fluorescenza con il massimo attorno ai 460 nm, nel caso dell’eccitazione a 399 nm (parte (e) della figura) il massimo risulta spostato a lunghezze d’onda maggiori. Per le eccitazioni a 250 nm e 280 nm, rispettivamente parte (a) e parte (b) della figura, non è possibile distinguere in alcun modo i campioni tra loro. Diversa è la situazione per le eccitazioni a lunghezze d’onda maggiore, parte (c), parte (d) e parte (e) della figura. Si può infatti osservare, e ciò è più evidente con eccitazione a 330 nm l’insorgere di una ulteriore banda con una massimo attorno ai 560 nm, il massimo è a lunghezze d’onda ancora maggiori per l’eccitazione a 399 nm. Questa seconda banda è accennata nel campione BOV4 e presente con evidenza nel campione BOV5. Tra tutti i campioni della Figura 6-1 questi sono gli unici due di calcirudite. Pixel 16.6 Eccitazione: 250 nm Eccitazione: 280 nm Eccitazione: 300 nm Eccitazione: 330 nm Eccitazione: 399 nm Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 300 400 500 600 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 6-4: Spettri del campione MSI1 (Marmo di Siena), valori normalizzati. La Figura 6-6 presenta gli spettri ottenuti sui campioni di arenarie per le differenti lunghezze d’onda di eccitazione. Gli spettri presentano un andamento molto rumoroso dovuto alla bassa intensità di fluorescenza dei campioni stessi associata proprio alle caratteristiche delle arenarie, l’intensità è molto bassa per il campione SIE1. Inoltre la superficie irregolare delle arenarie favorisce il riassorbimento della fluorescenza emessa. 69 BOV1 BOV2 BOV3 BOV4 BOV5 0.8 0.6 0.4 0.2 0 250 BOV1 BOV2 BOV3 BOV4 BOV5 1 Intensità (a.u.) Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 300 350 400 450 500 lunghezza d'onda (nm) 0 250 550 (a) Eccitazione 250 nm BOV1 BOV2 BOV3 BOV4 BOV5 500 0.8 BOV1 BOV2 BOV3 BOV4 BOV5 1 Intensità (a.u.) Intensità (a.u.) 350 400 450 lunghezza d'onda (nm) (b) Eccitazione 280 nm 1 0.6 0.4 0.2 0 300 0.8 0.6 0.4 0.2 350 400 450 500 550 lunghezza d'onda (nm) 0 600 350 (c) Eccitazione 300 nm 400 600 (d) Eccitazione 330 nm BOV1 BOV2 BOV3 BOV4 BOV5 1 Intensità (a.u.) 450 500 550 lunghezza d'onda (nm) 0.8 0.6 0.4 0.2 0 450 500 550 600 650 700 lunghezza d'onda (nm) (e) Eccitazione 399 nm Figura 6-5: Spettri dei campioni BOV1, BOV2, BOV3, BOV4 e BOV5. I valori sono normalizzati al massimo. 70 1400 4500 SIE1 SIE2 FIR 1200 3500 Intensità (a.u.) 1000 Intensità (a.u.) SIE1 SIE2 FIR 4000 800 600 400 3000 2500 2000 1500 1000 200 0 250 500 300 350 400 450 lunghezza d'onda (nm) 500 0 250 550 (a) Eccitazione 250 nm 300 350 400 450 lunghezza d'onda (nm) 500 (b) Eccitazione 280 nm 1400 2500 SIE1 SIE2 FIR 1200 SIE1 SIE2 FIR 2000 Intensità (a.u.) Intensità (a.u.) 1000 800 600 1500 1000 400 500 200 0 350 400 450 500 550 lunghezza d'onda (nm) 0 600 350 400 450 500 550 lunghezza d'onda (nm) 600 (d) Eccitazione 330 nm (c) Eccitazione 300 nm 7000 SIE1 SIE2 FIR 6000 Intensità (a.u.) 5000 4000 3000 2000 1000 0 450 500 550 600 650 lunghezza d'onda (nm) 700 (e) Eccitazione 399 nm Figura 6-6: Spettri dei campioni di arenaria SIE1, SIE2 e FIR. I valori sono normalizzati. 71 La Figura 6-7 presenta gli spettri raccolti sui tre distinti campioni di malta ottenuti eccitando i bersagli a 300 nm, i valori sono normalizzati al massimo. Tutti e tre gli spettri presentano una ampia banda di fluorescenza con un massimo attorno ai 440 nm. I tre spettri presentano anche un contributo che modifica il fronte di salita della banda nella regione compresa tra 350 e 390 nm. Questa modifica può essere interpretata attraverso un contributo di un’altra banda di fluorescenza centrata attorno ai 370 nm. Il fronte di discesa dei tre spettri presenta anch’esso interessanti differenze. Lo spettro del campione M1 ha un piccolo contributo attorno ai 460 nm e poi un cambiamento di pendenza prima dei 500 nm. Gli altri due campioni presentano invece un contributo più consistente ed articolato in questa regione spettrale. E’ comunque possibile riconoscere i tre campioni di malta tra loro. M1 M2 M3 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 350 400 450 500 550 Lunghezza d'onda (nm) 600 Figura 6-7: confronto tra i valori medi degli spettri ottenuti sui campioni delle malte con eccitazione a 300 nm. 6.2 MAPPE TEMATICHE L’insieme dei litotipi che costituiscono il bersaglio è assai vario e contiene arenarie, marmi, calcari, campioni di malte e campioni di diversa origine. Questa composizione eterogenea del bersaglio è dunque una condizione ideale per l’impiego dell’analisi delle componenti principali rispetto all’impiego di un più tradizionale sistema di rapporto tra bande. 72 Il bersaglio oltre i campioni presenta il fondo costituito da un panno di colore nero. Nella PCA la presenza di un gran numero di spettri per i quali non vi è alcun interesse scientifico ha il solo effetto di comprimere le capacità di differenziazione tra gli spettri delle pietre. Inoltre gli spettri del fondo hanno una bassa intensità e risultano perciò rumorosi. Gli spettri in questione sono stati quindi rimossi dal complesso di quelli analizzati e sono sostituiti nella rappresentazione con il valore del fondo scala. L’individuazione degli spettri da rimuovere è avvenuta analizzando statisticamente il valor medio degli spettri stessi e la loro deviazione standard, alcuni spettri rimasti sono poi stati rimossi manualmente. Il criterio utilizzato è stato il più lasco possibile e quindi gli spettri ottenuti sul confine tra un campione ed il fondo sono stati di norma accettati quand’anche non fossero appunto attribuibili al solo campione. Tra le cinque diverse sessioni di misura, infine, vi è un leggero disallineamento dovuto all’errore intrinseco del sistema di puntamento e all’assenza di un riferimento assoluto sul bersaglio. Questo modesto disallineamento amplifica i problemi introdotti dalla scelta di non scartare gli spettri in cui si ha un contributo sia del fondo sia dei campioni. Essi sono comunque in numero limitato ed il loro peso statistico nelle PCA è trascurabile (non più di 5 spettri per ciascuna acquisizione su un totale di 386 spettri accettati). La loro presenza corrisponde quindi all’introduzione di un modesto numero di pixel non rappresentativi sulle mappe tematiche. Mediante il rapporto tra bande è comunque possibile ottenere alcuni risultati di interesse circa l’identificazione ed il riconoscimento dei campioni di marmo. La Figura 6-8 rappresenta il rapporto tra le aree sottese dagli spettri rispettivamente nella regione spettrale 357–392 nm e nella regione 417–432 nm. Gli spettri sono stati preventivamente normalizzati al loro valore massimo e sono stati ottenuti con l’eccitazione a 300 nm. Nella mappa in particolare è possibile separare i campioni di marmo a cui sono associati valori maggiori di 1.2 dagli altri campioni. Inoltre il campione di Marmo di Carrara (MCA) presenta valori ancora maggiori (almeno 2.2) a cui corrispondono le tonalità arancio e rosso della scala cromatica. Le due regioni spettrali di cui è calcolata l’area sono state scelte in relazione alle caratteristiche degli spettri del marmo evidenziati nella Figura 6-3 e nella Figura 6-4. La mappa permette di rappresentare esclusivamente questa caratteristica dei campioni. La Figura 6-9 presenta il risultato dell’analisi delle componenti principali nella regione 73 spettrale 355-387 nm. La PCA è stata realizzata su spettri normalizzati al loro valore massimo, gli spettri sono stati ottenuti eccitando il bersaglio a 300 nm. L’attribuzione dei colori è avvenuta sfruttando la rappresentazione RGB, in particolare il canale R è associato alla proiezione sulla PC1, il canale G alla proiezione su PC2, il canale B alla proiezione su PC3. La mappa mette in evidenza non solo, come nel caso precedente, la distinzione dei marmi dagli altri campioni (in verde i campioni MSI1 e MSI2, in blu il campione MCA) ma permette anche il riconoscimento dei campioni di arenaria in cui prevalgono le tonalità rosa e rosse. In una colorazione simile appare anche il campione di calce aerea. 3 2 4 2.5 6 Pixel 10 1.5 Rapporto 2 8 12 1 14 16 0.5 18 MSI1 MSI2 10 20 30 MCA 40 50 Pixel Figura 6-8: Mappa tematica realizzata mediante il rapporto tra bande. Eccitazione del bersaglio a 300 nm. Il confronto tra la Figura 6-8 e la Figura 6-9 evidenzia i risultati conseguibili con i due diversi tipi di approccio all’analisi dei dati discussi teoricamente nel Capitolo 4. Il rapporto tra le bande può essere utilizzato per indagare una caratteristica associata ad una proprietà fisica degli spettri già nota, la PCA permette di estrarre (anche quando ridotta allo stesso intervallo spettrale del rapporto tra aree) informazioni più estese che coinvolgono anche altre caratteristiche del bersaglio. Inoltre il sistema di 74 rappresentazione RGB è assai utile per una presentazione contemporanea dei risultati trovati. L’estensione dell’intervallo spettrale in cui è realizzata la PCA permette di distinguere i campioni nelle loro principali classi di appartenenza con maggiore facilità. La Figura 6-10 presenta la mappa tematica ottenuta mediante l’applicazione della PCA nell’intervallo spettrale 391-606 nm. Gli spettri, ottenuti con eccitazione a 300 nm, sono stati normalizzati. La mappa è ottenuta rappresentando nel canale R la proiezione su PC1, in G quella su PC2 e in B quella su PC3. In Figura 6-10 è possibile individuare i campioni di marmo (blu), i campioni di arenaria senese (verde), il campione di arenaria di Firenze (celeste), la calce aerea (verde acqua) e la malta pozzolanica (viola). E’ possibile individuare anche il campione di scaglia. Assai più difficile è la separazione tra i campioni di calcare. La Figura 6-11 presenta una mappa tematica ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 385-583 nm per spettri ottenuti eccitando il bersaglio a 330 nm. Gli spettri sono stati precedentemente normalizzati al loro valore massimo. La scelta della rappresentazione RGB è stata ottimizzata per mettere in rilevo in particolare la distinzione dei campioni BOV4 e BOV5 (entrambi in verde) dagli altri. Sono questi gli unici campioni di calcirudite presenti nel bersaglio. Questo riconoscimento è di particolare interesse, complessivamente infatti si hanno ben 13 campioni di Rosso Ammonitico Veronese e di questi 5 provengono dalla cava Bonaldi Vecchia, una cava storica. Il riconoscimento dei campioni di calcirudite è associato alle loro proprietà spettrali così come mostrate in Figura 6-5, ossia alla banda di modesta intensità centrata attorno a 560 nm. La PCA esalta la possibilità di individuare questi campioni permettendone una classificazione sicura. La mappa permette anche l’identificazione del campione ROS (Rosa Corallo), in colore verde blu. Il riconoscimento dei campioni BOV4 e BOV5 trova conferma nella rappresentazione della mappa tematica in Figura 6-12. La mappa è stata ottenuta mediante la PCA applicata agli spettri ottenuti eccitando il bersaglio a 330 nm. L’intervallo spettrale considerato è 382-660 nm, gli spettri sono stati preventivamente normalizzati e le proiezioni sulle prime tre componenti sono state rappresentate sfruttando il sistema RGB. In particolare nella figura trova conferma l’identificazione dei campioni di calcirudite (verde), il riconoscimento del campione di Rosa Corallo (verde blu, quasi 75 confuso con il fondo), il riconoscimento dei campioni di arenaria. Occorre osservare che questa rappresentazione associa tra loro i campioni di marmo con i campioni malta. 2 4 6 SIE1 Pixel 8 FIR 10 12 SIE3 14 16 18 MSI1 SIE2 10 MSI2 20 30 MCA 40 50 Pixel Figura 6-9: Mappa tematica realizzata mediante le PCA con bersaglio eccitato a 300 nm. 2 M2 4 6 SIE1 Pixel 8 FIR 10 SCA 12 M1 SIE3 14 16 18 MSI1 SIE2 10 MSI2 20 30 MCA 40 50 Pixel Figura 6-10: Mappa tematica realizzata mediante le PCA con bersaglio eccitato a 300 nm. 76 2 4 6 ROS Pixel 8 BOV4 10 12 14 BOV5 16 18 10 20 30 40 50 Pixel Figura 6-11: Mappa tematica realizzata mediante le PCA con bersaglio eccitato a 300 nm. 2 4 6 ROS Pixel 8 BOV4 10 12 14 BOV5 16 18 10 20 30 40 50 Pixel Figura 6-12: Mappa tematica realizzata mediante le PCA con bersaglio eccitato a 300 nm. 77 Alcune mappe tematiche possono, infine, essere ottenute per il riconoscimento delle malte. La Figura 6-13 mostra la mappa tematica ottenuta mediante l’analisi delle componenti principali effettuata sugli spettri eccitati a 250 nm nell’intervallo spettrale 355-372 nm. La Figura 6-13 presenta, in particolare, la proiezione sulla PC1. Gli spettri sono stati precedentemente normalizzati. La figura ottenuta permette di separare tutti i campioni dal campione M1, la calce aerea. Gli altri due campioni di malta presentano una residua variabilità da attribuirsi ad alcuni pixel in cui si ha un forte contributo del fondo. 2 -1.05 4 -1.1 6 Pixel -1.2 10 -1.25 12 M1 14 16 Intensità (a.u.) -1.15 8 -1.3 -1.35 18 -1.4 10 20 Pixel 30 40 50 Figura 6-13: Mappa tematica realizzata con la PCA eccitando il bersaglio a 250 nm. La Figura 6-14 rappresenta in una scala di grigi una mappa tematica ottenuta mediante la PCA sugli spettri con eccitazione a 250 nm. La mappa è stata calcolata mediante il rapporto della proiezione sulla PC1 calcolata nell’intervallo 320-550 nm e la proiezione sulla PC2 nell’intervallo 430-530 nm. La figura evidenzia una distinzione del campione M2 di malta pozzolanica. La Figura 6-15 rappresenta una mappa tematica realizzata mediante la PCA. Il valore convertito in falsi colori è stato ottenuto sfruttando gli spettri normalizzati al loro valore massimo raccolti con tutte e cinque le eccitazioni ed applicando l’analisi delle componenti principali. In particolare per l’eccitazione a 250 nm la PCA è stata applicata 78 nell’intervallo 343-553 nm e sono state considerate le proiezioni su PC1, PC2 e PC3; per l’eccitazione a 280 nm la PCA è stata applicata nell’intervallo 305-539 nm e sono state considerate le proiezioni su PC1, PC2 e PC3; per l’eccitazione a 300 nm la PCA è stata applicata nell’intervallo 333-607 nm e sono state considerate le proiezioni su PC1, PC2 e PC3; per l’eccitazione a 330 nm la PCA è stata applicata nell’intervallo 343-553 nm e sono state considerate le proiezioni su PC1, PC2 e PC3; per l’eccitazione a 399 nm la PCA è stata applicata nell’intervallo 437-619 nm e sono state considerate le proiezioni su PC1, PC2. I valori così ottenuti sono stati sommati in quadratura e il valore ottenuto convertito nella scala a falsi colori. -0.05 2 -0.0505 4 -0.051 6 -0.052 10 Rapporto Pixel -0.0515 M2 8 -0.0525 12 -0.053 14 16 -0.0535 18 -0.054 10 20 30 40 50 Pixel Figura 6-14: Mappa tematica realizzata con la PCA eccitando il bersaglio a 250 nm. Nella Figura 6-15 il leggero disallineamento tra le varie sessioni di misura a cui corrispondono le diverse lunghezze d’onda di eccitazione introduce alcuni errori sui pixel in cui per alcune misure prevale il contributo del fondo, in particolare per i campioni M3, MOC2, MOC1. La Figura 6-15 permette di individuare e distinguere le arenarie che sono però associate al campione 110EMAT, i marmi di Siena, il campione MCA. Più complessa la distinzione tra gli altri campioni che vengono ad assumere valori assai vicini a cui corrisponde una difficile distinzione nella scala cromatica. 79 21 2 20 4 19 18 8 17 10 16 12 15 14 14 13 16 12 18 11 10 20 Pixel 30 40 50 Figura 6-15: Mappa tematica realizzata con la PCA. 80 Intensità Pixel 6 7 TELERILEVAMENTO LIDAR DEL DUOMO DI PISA La campagna di misura per il telerilevamento LIDAR del Duomo di Pisa è stata condotta sul lato nord dell’abside del Duomo di Pisa nell’ambito di un test sperimentale del progetto RIS+ della Regione Toscana. La costruzione del Duomo di Pisa, iniziata nel 1063 e terminata nel 1150 con la costruzione della facciata ora presente, è avvenuta in due distinte fasi. Alla prima fase dei lavori, sotto la direzione dell’architetto Buschetto di Giovanni, è da attribuire il corpo centrale della costruzione che oggi rimane, mentre del successivo ampliamento, attribuito dai più recenti studi allo stesso architetto nella fase iniziale ed a Rinaldo per le decorazioni scultoree delle parti aggiunte, sono l’attuale facciata e l’abside. Un consistente restauro avvenne nel XVI secolo in conseguenza di un disastroso incendio. Le misure sono state realizzate con il sensore FLIDAR3 dell’IFAC – CNR. Gli spettri sono stati acquisiti eccitando il bersaglio con il laser ad eccimeri (308 nm) da una distanza operativa di circa 20 m. Ciascun spettro è stato ottenuto mediante 50 impulsi laser. Gli spettri ottenuti sono stati corretti per la funzione di trasferimento. La Figura 7-1 presenta una fotografia del Duomo di Pisa con l’indicazione dei punti della facciata oggetto delle misure per l’acquisizione degli spettri. La regione del lato nord dell’abside oggetto delle misure è realizzata prevalentemente in Marmo di San Giuliano e presenta diverse situazioni di degrado assai ravvicinate: croste nere, regioni in cui si ha un attacco di biodeteriogeni, aree bianche ed aree grigie. Oltre al marmo bianco si hanno anche decorazioni in marmo verde tipiche dello stile romanico pisano. Il marmo bianco impiegato proviene da diverse cave, ha una differente granulometria e una differente quantità di dolomite nella propria composizione. Il marmo della parte inferiore dell’abside è infine caratterizzato dalla presenza di silicati. Nella Figura 7-1 sono presenti anche le semplici e provvisorie installazioni di sicurezza necessarie alla esecuzione delle misure al fine d’impedire che incauti curiosi accedano allo spazio in cui gli impulsi laser potrebbero essere dannosi per la salute. Queste precauzioni sono indispensabili per sessioni di misura che coinvolgono, come in questo caso, regioni del monumento facilmente accessibili. 81 Figura 7-1: Duomo di Pisa. 7.1 CARATTERIZZAZIONE DEI LITOTIPI E DEL DEGRADO La Figura 7-2 presenta quattro spettri acquisiti a differenti altezze lungo la colonna centrale dell’area oggetto delle misure. Gli spettri corrispondono a quattro distinte pietre del rivestimento della colonna stessa ed offrono una buona caratterizzazione di tutta l’area indagata. I valori presentati sono normalizzati al valore massimo assunto nell’intervallo 460-480 nm. Gli spettri presentano una ampia banda di fluorescenza estesa su tutto l’intervallo spettrale acquisito. Questa banda di fluorescenza è articolata in un contributo con un picco a circa 385 nm, un secondo contributo con un massimo nell’intervallo 450-465 nm, un terzo contributo con un massimo tra 500 e 510 nm ed 82 infine un ulteriore contributo presente sia nello spettro 2, sia nello spettro 3 che modifica il fronte di discesa e che può essere posizionato attorno a 530 nm. Dal complessivo esame degli spettri si può individuare un comune andamento del fronte di salita caratterizzato dalla intensità del primo picco che produce una spalla negli spettri 2 e 4 e che diviene evidente nello spettro 3 e dominante nello spettro 5. Il fronte di discesa presenta invece due comportamenti distinti: uno comune agli spettri 4 e 5 ed uno agli spettri 2 e 3. Per lo spettro 2 si ha inoltre che il massimo assoluto viene raggiunto tra i 500 e i 510 nm. Il sistema dei tre massimi principali, seppur a lunghezze spostate verso valori più alti è corrispondente a quello individuato anche per i marmi analizzati nell’esperimento realizzato a Lund sul bersaglio composto (Figura 6-3 e Figura 6-4). Gli spostamenti osservati sono, del resto, pienamente compatibili con quanto emerge dalla Tabella 1-II. Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 Spettro 2 Spettro 3 Spettro 4 Spettro 5 0.4 0.2 0 400 500 600 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 7-2: Spettri acquisiti su diverse pietre lungo la colonna centrale dell’area misurata. La Figura 7-3 presenta il confronto tra due spettri raccolti nel punto 1 della Figura 7-1. Il punto corrisponde al capitello della colonna centrale e presenta, nel medesimo blocco di marmo, sia regioni soggette a dilavamento, aree bianche, sia regioni protette dall’azione dell’acqua ruscellante in cui si sono formate delle croste nere. Lo spettro corrispondente all’area bianca mostra un andamento conforme a quello degli spettri 83 precedenti con un contributo iniziale del primo picco molto modesto. Lo spettro relativo all’area nera ha invece un andamento molto diverso in cui il massimo viene a spostarsi attorno ai 520 nm e ogni informazione relativa all’articolazione dei picchi è del tutto assente. Rimane comunque il contributo iniziale che provoca un cambiamento di pendenza nel fronte di salita. Lo spettro presenta infine nella regione rossa un contributo che indica la presenza di biodeteriogeni ed è posizionato proprio tra 680 e 690 nm. L’intensità del contributo è modesta. Nelle aree nere del capitello si hanno due distinte forme di degrado: la crosta nera e la colonizzazione da parte dei biodeteriogeni. Lo spettro è inoltre complessivamente meno intenso, la minor intensità è associata anche al colore nero delle crosta misurata. Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 Spettro 1: area bianca Spettro 1: crosta nera 400 500 600 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 7-3: Spettri misurati sul capitello della colonna centrale. L’andamento osservato negli spettri della colonna (Figura 7-2) trova conferma anche nella sequenza orizzontale di tre misure realizzata nella regione destra della porzione di abside considerata (Figura 7-4). Gli spettri relativi ai punti 21 e 23 mostrano l’andamento caratteristico del litotipo impiegato nel rivestimento dell’abside con una diversa importanza delle bande in cui è articolato lo spettro e le posizioni dei relativi massimi si accordano con le altre misure. Il punto 22 corrisponde ad una misura realizzata nell’angolo in una tipica posizione in cui si ha deposizione in assenza di dilavamento e mostra un andamento analogo a quello del punto 1 in corrispondenza 84 della crosta nera. Il massimo va a posizionarsi attorno a 510 nm, la banda di fluorescenza è più stretta, i fronti di salita e di discesa sono meno articolati, rimane un contributo della banda di fluorescenza con massimo tra 380 e 390 nm che causa una variazione nella pendenza del fronte di salita stesso. intensità (u.a.) 1 0.8 0.6 0.4 Spettro 21 Spettro 22 Spettro 23 0.2 0 400 500 600 lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 7-4: Alcuni spettri in corrispondenza delle pietre nella regione destra della porzione di monumento oggetto delle misure. La Figura 7-5 presenta gli spettri ottenuti nello sguancio della nicchia (spettro 37), nel fondo della nicchia (spettro 15) e nella regione lavorata con scanalature a destra della nicchia stessa (spettro 14). Gli spettri mostrano un fronte di salita assai simile con un diverso contributo del primo massimo, minore per lo spettro 14, intermedio per lo spettro 37, maggiore per lo spettro 15. A partire da circa 520 nm gli spettri si differenziano ed in particolare lo spettro 14 ha il fronte di discesa già riscontrato nelle altre due aree nere mentre gli spettri 15 e 37 hanno il fronte di discesa caratteristico della pietra del rivestimento con il massimo assoluto spostato a lunghezze d’onda maggiori. Anche il punto 14 è riferito ad una situazione tipica dello sviluppo delle croste nere quale l’incavo delle scanalature che caratterizzano il decoro a fianco della nicchia. Il confronto tra i tre spettri raccolti sulle croste nere è riportato nella Figura 7-6. Tutti e tre gli spettri sono caratterizzati dalla posizione coincidente del massimo a circa 520 nm 85 e da una modesta articolazione dei fronti di salita e di discesa. Nel fronte di salita, più articolato per gli spettri 22 e 14, si ha comunque sempre un cambio di pendenza in corrispondenza della banda di fluorescenza con massimo tra 380 e 390 nm della pietra non deteriorata. La perdita di ogni articolazione del fronte di discesa è, invece, comune a tutti e tre gli spettri, lo spettro 1 presenta nella regione caratteristica della fluorescenza della clorofilla un contributo che indica la presenza dei biodeteriogeni. Nella Figura 7-7 è presentato l’andamento dello spettro nella regione 660-740 nm relativo al punto 17 corrispondente al capitello del pilastro. Lo spettro presenta un massimo attorno a 685 nm ed una spalla attorno a 725 nm e mostra la presenza di biodeteriogeni sul capitello. L’andamento dei biodeteriogeni è quello caratteristico delle alghe verdi (Figura 1-8) poiché non appaiono altri contributi oltre a quello della clorofilla. Entrambi gli spettri da cui è stata individuata la presenza dei biodeteriogeni sono relativi ai capitelli, nessuna presenza di biodeteriogeni è invece emersa dalle altre regioni in cui vi sono croste nere. intensità (u.a.) 1 0.8 0.6 0.4 Spettro 37 Spettro 14 Spettro 15 0.2 0 400 500 600 lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 7-5: Spettri misurati nella regione della nicchia. 86 Intensità (u.a.) 1 0.8 0.6 0.4 Spettro 22 Spettro 14 Spettro 1 0.2 0 400 500 600 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 7-6: Confronto tra gli spettri raccolti su croste nere. Spettro 17 Intensità (u.a.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 660 680 700 720 Lunghezza d'onda (nm) 740 Figura 7-7: Particolare dello spettro misurato sul capitello del pilastro in cui è evidenziata la presenza di biodeteriogeni (alghe verdi). 87 8 TELERILEVAMENTO LIDAR DEL MURO IN PIAZZETTA DEGLI ARIANI PRESSO RAVENNA Il test sperimentale dimostrativo nell’ambito dello Workshop 2001 Cyanofix (Cyanobacterial Nitrogen Fixation) presso Bertinoro (RA) ha avuto per oggetto la dimostrazione delle capacità del telerilevamento lidar della LIF nell’individuazione dei biodeteriogeni sui monumenti lapidei. Il bersaglio utilizzato è il muro di collegamento tra la Basilica di Santo Spirito (già Basilica degli Ariani) e il Battistero degli Ariani a Ravenna (Figura 8-1). Il muro è realizzato in mattoni e presenta una diffusa colonizzazione di biodeteriogeni. Figura 8-1: Muro presso piazzetta degli Ariani in Ravenna. Le misure sono state realizzate con il sensore FLIDAR3 dell’IFAC – CNR, posizionato a circa 15 m dal bersaglio (Figura 8-2), impiegando il laser ad eccimeri con lunghezza d’onda di eccitazione a 308 nm. Ciascuno spettro è stato ottenuto mediante l’integrazione di 15 impulsi, per ciascun impulso è stato sottratto il background, gli spettri sono stati infine corretti per la funzione di trasferimento. Gli obiettivi scientifici di questo test sperimentale sono stati la caratterizzazione dei mattoni del bersaglio, l’individuazione di una o più firme spettrali ad essi associati ed una concreta verifica in campo della possibilità del telerilevamento della LIF per l’individuazione e la relativa quantificazione dei biodeteriogeni. Le misure, tutte relative ad un monitoraggio puntuale, non sono state referenziate 88 rispetto al bersaglio poiché non vi è nessun specifico interessa al suo restauro, complessivamente sono stati raccolti oltre 40 spettri. Figura 8-2: Il FLIDAR 3 e un mezzo di appoggio posizionati nella Piazzetta degli Ariani a Ravenna. 8.1 CARATTERIZZAZIONE DEL SUBSTRATO La Figura 8-3 presenta alcuni degli spettri raccolti sui mattoni in presenza dei biodeteriogeni. Gli spettri mostrano due bande principali di fluorescenza, la prima nella regione blu associata alla fluorescenza dei mattoni, la seconda, nel rosso, che mostra la caratteristica fluorescenza della clorofilla. La prima banda di fluorescenza presenta un rapido fronte di salita con un massimo posizionato a circa 440 nm ed un fronte di discesa meno ripido che ha un cambio di pendenza dopo i 500 nm. La seconda banda di fluorescenza ha un massimo posizionato tra 680 e 690 nm e una spalla posizionata tra 730 e 740 nm, questo andamento spettrale identifica la presenza della Chl a e quindi dei biodeteriogeni stessi. Gli spettri non mostrano il contributo di altri pigmenti e quindi i biodeteriogeni individuati sono delle alghe verdi. Il confronto tra i valori normalizzati degli spettri è presentato nella Figura 8-4, il confronto permette di definire una firma spettrale per questa tipologia di mattoni individuata e presenta una alta riproducibilità della misura degli spettri dei mattoni che 89 mostrano una variazione intrinseca inferiore all’errore presente negli spettri medesimi. La presenza dei biodeteriogeni modifica in maniera significativa il fronte di discesa degli spettri per la presenza della fluorescenza della clorofilla. Spettro 22 Spettro 10 Spettro 12 Spettro 33 Spettro 39 700 Intensità (a.u.) 600 500 400 300 200 100 0 400 500 600 700 Lunghezza d'onda (nm) 800 Figura 8-3: Caratterizzazione dei mattoni in presenza di biodeteriogeni. 1 Intensità (a.u.) 0.8 0.6 0.4 0.2 0 Spettro 22 Spettro 10 Spettro 12 Spettro 33 Spettro 39 400 500 600 700 Lunghezza d'onda (nm) 800 Figura 8-4: Caratterizzazione dei mattoni in presenza di biodeteriogeni (spettri normalizzati). 90 I due spettri mostrati nella Figura 8-5 mostrano un’ampia banda di fluorescenza con un massimo tra 520 e 530 nm. L’andamento degli spettri non mostra particolari articolazioni. Il confronto tra i valori normalizzati è mostrato in Figura 8-6. 250 Spettro 34 Spettro 47 Intensità (a.u.) 200 150 100 50 0 400 500 600 700 Lunghezza d'onda (nm) 800 Figura 8-5: Caratterizzazione dei litotipi. Spettro 34 Spettro 47 1 Intensità (a.u.) 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 500 600 700 Lunghezza d'onda (nm) 800 Figura 8-6: Caratterizzazione dei litotipi (valori normalizzati). 91 250 Spettro 21 Intensità (a.u.) 200 150 100 50 0 400 500 600 700 Lunghezza d'onda (nm) 800 Figura 8-7: Caratterizzaizone dei litotipi. Spettro 12 Spettro 47 Spettro 21 1 Intensità (a.u.) 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 500 600 700 Lunghezza d'onda (nm) 800 Figura 8-8: Caratterizzazione dei litotipi: confronto tra i tre andamenti spettrali individuati. Una terza tipologia di spettri sul bersaglio è individuata nella Figura 8-7. La banda di fluorescenza ha il massimo attorno ai 550 nm e presenta fronti di salita e di discesa dalla 92 pendenza assai simile. Il confronto tra le tre tipologie di firme spettrali individuate è riportato nella Figura 8-8. I tre andamenti permettono la classificazione di tutti gli spettri acquisiti sul bersaglio. 8.2 PRESENZA DI BIODETERIOGENI La maggior parte degli spettri acquisiti sul bersaglio ha un contributo che mostra la presenza dei biodeteriogeni. La Figura 8-10 presenta alcuni spettri ottenuti in diverse posizioni del bersaglio che mostrano la presenza dei biodeteriogeni. 1000 Intensità (a.u.) 800 600 400 200 0 400 500 600 700 Lunghezza d'onda (nm) 800 Figura 8-9: Alcuni spettri che mostrano la presenza di biodeteriogeni. Un’indicazione quantitativa circa la presenza dei biodeteriogeni è possibile mediante il rapporto tra l’area sottesa nella regione in cui si ha un contributo dei biodeteriogeni (640-780 nm) e quella sottesa nella regione immediatamente precedente (630-640 nm). I valori delle aeree sono poi divisi per l’ampiezza degli intervalli in cui sono calcolati. La grandezza così ottenuta è un buon indicatore della presenza dei biodeteriogeni ed è riportata, con il relativo errore, nella Figura 8-10. Nella figura è riportato con una linea tratteggiata anche il livello sopra il quale si può affermare che vi sono biodeteriogeni. Il valore è inferiore ad 1 poiché l’andamento degli spettri in assenza dei biodeteriogeni è decrescente. 93 7 6 Rapporto 5 4 3 2 1 0 Spettri Figura 8-10: Presenza di biodeteriogeni 94 9 TELERILEVAMENTO LIDAR DEL DUOMO E DEL BATTISTERO DI PARMA La campagna di misura LIMPAM (LIdar Monitoring of PArma Monuments) è stata condotta a Parma. I monumenti misurati sono il Duomo ed il Battistero di Parma e sono stati utilizzati sia il sensore FLIDAR3 sia il sensore LIDAR a scansione (Figura 9-1). Figura 9-1: Il sensore FLIDAR3 e il sensore LIDAR a scansione nella piazza del Duomo di Parma in condizioni operative. Il Duomo, in Figura 9-2, è un edificio composito di stile romanico. La sua costruzione iniziò prima del 1046 e, dopo il terremoto del 1117, fu parzialmente restaurato. La ricostruzione terminò nel 1294 con la realizzazione del campanile. La facciata è rivestita con differenti pietre di colore giallastro o biancastro, in prevalenza differenti tipi di arenarie (Ostia, Sporno, Pietraforte, etc.), di calcareniti (Rosso Veronese) e di marmi (Bardiglio). Nella parte bassa della facciata vi sono tre portali. Quello centrale è sormontato da un protiro di marmo decorato con bassorilievi. La parte superiore è decorata con tre ordini di logge di piccola apertura. Alcune regioni della facciata, particolarmente quelle del lato destro presentano colonie di biodeteriogeni e croste nere. Questa regione della facciata è parzialmente protetta dall’azione di dilavamento per la presenza del campanile. 95 Figura 9-2: Duomo. Il Battistero, in Figura 9-5, è considerato uno dei monumenti più belli ed interessanti del periodo di transizione tra il romanico ed il gotico. La sua costruzione iniziò nel 1196 e terminò nel 1259. In particolare la costruzione del monumento fu realizzata in circa 20 anni e il tempo successivo fu dedicato ai rivestimenti, alle decorazioni e alla realizzazione dei bassorilievi. La decorazione delle parte superiore terminò nel 1307. Il Battistero è a forma di torre con una pianta ottagonale e presenta quattro ordini di logge con colonnine incassate in pilastri angolari e un quinto ordine di archetti chiusi. Il rivestimento è interamente realizzato con lastre di Rosso Veronese, un calcare ampiamente impiegato come materiale decorativo per il suo colore e la tipica venatura. La parte bassa del Battistero ha tre portali scolpiti. Il Battistero è stato recentemente restaurato in particolare sono stati ripuliti i paramenti lapidei ed è stato sottoposto ad un trattamento conservativo. Entrambi i monumenti sono stati oggetto della prima campagna di misura lidar sui beni culturali nel 1994[48]. Il sensore FLIDAR3 è stato utilizzato per l’acquisizione di spettri puntuali sul Duomo e sul Battistero. Gli spettri sono stati acquisiti eccitando il bersaglio con il laser ad eccimeri (308 nm) da una distanza operativa di circa 20 m. Ciascun spettro è stato 96 ottenuto mediante 50 impulsi laser. Gli spettri ottenuti sono stati corretti per la funzione di trasferimento. La Figura 9-3 e Figura 9-4 riportano in colore rosso la posizione degli spettri acquisiti rispettivamente per il portale centrale e per il portale laterale destro. Il sensore LIDAR a scansione è stato utilizzato per l’acquisizione sia di spettri puntuali sia di immagini iperspettrali per la elaborazione di mappe tematiche. Le misure sono state condotte sia sul Duomo sia sul Battistero. Gli spettri sono stati acquisiti utilizzando il laser ND:YAG triplicato in frequenza che eccitava i bersagli alla lunghezza d’onda di 355 nm. Ciascun spettro è stato ottenuto mediante 50 impulsi laser. La distanza operativa è stata di circa 80 m. La Figura 9-3 e Figura 9-4 riportano in colore blu la posizione degli spettri acquisiti rispettivamente per il portale centrale e per il portale laterale destro. La referenziazione dei punti sui disegni è stata realizzata dall’osservazione degli sperimentatori e fa riferimento alla sola identificazione della pietra quale bersaglio. Figura 9-3: Posizione di acquisizione degli spettri puntuali sul Duomo (portale centrale). I numeri rossi rappresentano la posizione degli spettri acquisiti con il sensore FLIDAR3, le lettere ed i numeri blu quelli acquisiti con il sensore LIDAR a scansione. 97 Figura 9-4: Posizione di acquisizione degli spettri puntuali sul Duomo (portale laterale destro). I numeri rossi rappresentano la posizione degli spettri acquisiti con il sensore FLIDAR3, le lettere ed i numeri blu quelli acquisiti con il sensore LIDAR a scansione. Tabella 9-I: Descrizione delle immagini iperspettrali AREA Area A Area B Area C Area L AREA Area D Area E Area F Area G Area H Area I Area J Area K Numero dei pixel orizzontale verticale 67 72 60 60 75 75 50 71 Numero dei pixel orizzontale verticale 75 74 68 68 70 70 70 70 70 70 60 60 70 70 70 10 BATTISTERO Diametro Totale dello spot 4824 6 cm 3600 6 cm 5625 6 cm 3550 6 cm DUOMO Diametro dello spot Totale 5550 6 cm 4624 6 cm 4900 6 cm 4900 6 cm 4900 6 cm 3600 6 cm 4900 6 cm 700 6 cm Passo orizzontale verticale 12 cm 12 cm 12 cm 12 cm 6 cm 6 cm 12 cm 12 cm Area totale 69.5 m2 51.8 m2 20.2 m2 51.1 m2 Passo orizzontale verticale 12 cm 12 cm 12 cm 12 cm 12 cm 12 cm 9 cm 9 cm 12 cm 12 cm 12 cm 12 cm 12 cm 12 cm 12 cm 12 cm Area totale 79.9 m2 66.6 m2 70.6 m2 39.7 m2 70.6 m2 51.8 m2 70.6 m2 10.1 m2 La Tabella 9-I descrive le aree in cui sono stati acquisite le immagini iperspettrali e le caratteristiche delle immagini stesse con riferimento alla Figura 9-2 e alla Figura 9-5. 98 Figura 9-5: Battistero. 9.1 CONTROLLO PUNTUALE CON IL FLIDAR Il monitoraggio puntuale del Duomo di Parma ha avuto per oggetto la caratterizzazione dei litotipi, ha permesso l’individuazione della presenza di un trattamento conservativo ed infine ha permesso l’individuazione di una colonia di biodeteriogeni. La numerazione riportata negli spettri puntuali fa riferimento alla Figura 9-3 e alla Figura 9-4. La facciata del Duomo presenta una vastissima varietà di diversi paramenti lapidei sia nell’ambito delle arenarie sia nell’ambito dei marmi e dei calcari. Anche nelle ristrette aree in cui sono state realizzate misure puntuali si hanno quindi una gran quantità di spettri riferibili a litotipi diversi. La Figura 9-6 riporta i valori normalizzati di tre spettri di Bianco di Verona, un calcare presente in vari parti del Duomo. Il Bianco di Verona è caratterizzato da un’ampia banda di fluorescenza che può essere scomposta in due contributi principali il primo centrato attorno a 460 nm, il secondo attorno ai 500 nm. 99 Punto 34 Punto 36 Punto 38 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 500 600 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-6: Spettri di fluorescenza di Bianco Verona. Punto 33 Punto 58 Punto 61 Punto 24 Punto 26 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 500 600 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-7: Spettri di fluorescenza di Rosso Veronese. La Figura 9-7 presenta gli spettri normalizzati di alcune pietre di Rosso Ammonitico Veronese della facciata del Duomo. Gli spettri mostrano una prima banda di fluorescenza attorno ai 460 nm, una ulteriore banda attorno ai 495 nm ed infine un’ultima banda attorno ai 560 nm. Le prime due bande sono presenti anche nel Bianco 100 di Verona ma con l’intensità relativa dei massimi invertita. La terza banda di fluorescenza, infine, può essere messa in relazione con il comportamento mostrato dai campioni BOV4 e BOV5 in Figura 6-5, parti (c) e (d). Si può quindi concludere che i litotipi oggetto delle misure, sicuramente nei punti 33, 58 e 61, sono di calcirudite. 1.2 Punto 35 Punto 34 Punto 39 Punto 40 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 500 600 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-8: Spettri di fluorescenza Rosa Corallo. La Figura 9-8 riporta gli spettri normalizzati di alcune pietre di Rosa Corallo, anch’esso un Rosso Ammonitico Veronese. La banda di fluorescenza presenta un massimo principale attorno ai 460 nm, un’ulteriore banda centrata attorno ai 500 nm (particolarmente evidente nei punti 40 e 35), e una banda centrata attorno ai 560 nm (anch’essa più evidente negli spettri dei punti 40 e 35). Gli spettri dei punti 34 e 39 mostrano anche una piccola spalla iniziale attorno a 385 nm. Il sistema dei picchi è lo stesso degli altri punti misurati sul Rosso Veronese e lo specifico riconoscimento del Rosa Corallo è possibile poiché il contributo in fluorescenza del primo picco è il più intenso. La Figura 9-9 mostra due spettri misurati sul campanile del Duomo. Il substrato lapideo è realizzato in mattoni e la posizione dei due spettri non è mostrata in Figura 9-4. L’andamento degli spettri è più rumoroso di quelli del Rosso Veronese in conseguenza della minor intensità degli spettri stessi. Lo spettro in linea punteggiata è quello del substrato e presenta una ampia banda di fluorescenza con un massimo quasi piatto tra 101 450 nm e 550 nm. Lo spettro in linea continua presenta, invece, una evidente presenza di biodeteriogeni con un massimo a 685 nm e la spalla a 730 nm. Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 500 600 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-9: Spettri di fluorescenza di mattoni. 1.2 Punto 22 Punto 22 Punto 42 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 500 600 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-10: Spettri di fluorescenza del capitello del protiro. La Figura 9-10 riporta gli spettri misurati sul capitello del protiro del Duomo. I tre spettri proposti presentano una ampia banda di fluorescenza che può essere descritta 102 attraverso il contributo di due sistemi, il primo con un massimo a circa 440 nm, il secondo con massimo a circa 510 nm. Alle due bande si aggiunge un contributo a 380 nm. Il contributo, non riferibile al substrato lapideo, è associato alla presenza di un trattamento conservativo, come trova ampiamente conferma dalla Figura 9-11. In questa figura sono, infatti, riportati numerosi spettri misurati in diversi punti a cui corrisponde un substrato di marmo Bardiglio. Tutti gli spettri risultano dominati da un contributo di fluorescenza molto intenso centrato a 380 nm. Il contributo del trattamento non permette però di ricavare altre informazioni dalla diretta osservazione dagli spettri medesimi. Punto 25 Punto 27 Punto 28 Punto 50 Punto 41 6 Intensità (a.u.) 5 4 3 2 1 0 400 500 600 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-11: Spettri di fluorescenza del Bardiglio. Nel corso della precedente campagna di misura realizzata nel 1994 nessun spettro aveva messo in rilievo la presenza del trattamento in oggetto[48] che può quindi essere attribuito all’intervento di restauro effettuato proprio nel periodo intercorso tra le due campagne di misura. La Figura 9-12 presenta gli spettri di fluorescenza misurati sul leone a sinistra del protiro. L’ampia banda di fluorescenza presenta i due contributi che caratterizzano anche gli spettri acquisiti su pietre di Bardiglio nel capitello delle colonne del protiro e quindi un primo massimo centrato attorno a 400 nm e un successivo massimo stavolta 103 collocato attorno ai 500 nm. Lo spettro mostra anche la tipica spalla presente nelle misure dei marmi attorno a 390 nm. 1.2 Punto 47 Punto 46 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 500 600 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-12: Spettri di fluorescenza del Leone. La Figura 9-13 presenta gli spettri riferiti a tre misure realizzate sulla pietra d’Istria. Questi spettri sono caratterizzati da una banda di fluorescenza principale centrata attorno a 550 nm e da un contributo che origina una spalla a circa 460 nm. La Figura 9-14 riporta, infine, due spettri acquisiti sulla pietraforte. Questi spettri presentano un andamento molto rumoroso in conseguenza del basso numero di conteggi associato alla fluorescenza della pietraforte dovuto sia alle intrinseche proprietà di fluorescenza di questo litotipo sia al riassorbimento della fluorescenza emessa in conseguenza del colore molto scuro della pietra stessa. L’andamento dei due spettri è comunque congruente e, per quanto sia difficile da queste misure definire specifiche proprietà degli spettri diversi da un’ampia banda di fluorescenza, è opportuno osservare il rapido fronte di salita della banda tra 400 e 450 nm, la regione stazionaria dello spettro fino a 550 nm e poi il lento fronte di discesa. Sono questi, tra gli spettri ottenuti nel corso di questa campagna di misura con riferimento al sensore FLIDAR3 quelli maggiormente rumorosi e dunque possono essere considerati l’estremo inferiore di applicazione di questa tecnica di indagine in esperimenti in campo sfruttando l’eccitazione a 308 nm. 104 Punto 13 Punto 14 Punto 15 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 500 600 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-13: Spettri di fluorescenza della Pietra d’Istria. Punto 31 Punto 32 1.2 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 400 500 600 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-14: Spettri di fluorescenza della Pietraforte. 105 9.2 CONTROLLO PUNTUALE CON IL SENSORE LIDAR A SCANSIONE Le misure puntuali eseguite con il sensore LIDAR a scansione del Duomo di Parma hanno permesso di raccogliere molti spettri di differenti litotipi. Per gli spettri seguenti la nomenclatura dei punti fa riferimento alla Figura 9-3 e alla Figura 9-4, i pedici indicano successive misure realizzate sullo stesso blocco di pietra e permettono di avere informazioni sulla omogeneità dei litotipi stessi. La Figura 9-15, la Figura 9-16 e la Figura 9-17 riportano rispettivamente alcuni spettri acquisiti su pietre di Rosa Corallo, di Bianco di Verona e di Rosso Veronese. I valori sono normalizzati al massimo. Il sistema dei tre contributi centrati rispettivamente attorno a 460 nm, 500 nm e 560 nm già evidenziati per le misure del FLIDAR3 risulta traslato di circa 10 nm verso le lunghezze d’onda maggiori in conseguenza della diversa lunghezza d’onda di eccitazione. Gli spettri hanno inoltre un miglior rapporto segnale rumore in conseguenza della maggior intensità della fluorescenza emessa. h11 h12 h13 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 450 500 550 600 650 Lunghezza d’onda (nm) 700 Figura 9-15: Spettri di fluorescenza del Rosa Corallo. Il sistema dei tre picchi rende possibile l’identificazione dei litotipi. In particolare nel Rosa Corallo il massimo risulta prossimo ai 500 nm mentre il Bianco di Verona ed il Rosso Veronese, che hanno il massimo principale attorno al primo picco (460 nm), possono essere tra loro distinti grazie al diverso andamento nel profilo di discesa della 106 banda di fluorescenza, dovuto al maggior contributo del sistema centrato attorno ai 560 nm presente nel Rosso Veronese (Figura 9-17). Gli spettri di Rosa Corallo (Figura 9-15) e di Bianco di Verona (Figura 9-16) presentano comunque un piccolo contributo centrato attorno ai 560 nm che può essere osservato come variazione della pendenza del fronte di discesa, questo contributo è, specie per il Bianco di Verona, assai più accentuato che negli spettri ottenuti eccitando il bersaglio a 308 nm (Figura 9-6). Il contributo è relativamente più intenso anche in conseguenza della eccitazione ad una lunghezza d’onda maggiore. f1 1 f1 2 f2 1 f2 2 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 450 500 550 600 650 Lunghezza d’onda (nm) 700 Figura 9-16: Spettri di fluorescenza del Bianco Verona. Gli spettri del Rosso Veronese (Figura 9-17) presentano una maggior variabilità rispetto agli spettri del Bianco di Verona e del Rosa Corallo. Questa maggior variabilità spettrale è dovuta alle intrinseche caratteristiche del litotipo; del resto alla variabilità del litotipo corrisponde, talvolta, un differente aspetto cromatico. Un complessivo confronto tra gli spettri delle pietre di Rosso Veronese, di Rosa Corallo e di Bianco di Verona ottenuti con i due diversi sensori permette di osservare che l’eccitazione a 355 nm offre spettri più intensi ma di minor variabilità spettrale, ossia con l’eccitazione a 308 nm le caratteristiche che permettono la distinzione tra i diversi litotipi sono maggiormente esaltate. L’eccitazione a 355 nm offre un vantaggio 107 esclusivamente per il contributo centrato attorno a 560 nm, comunque evidente nel Rosso Veronese anche con l’eccitazione a 308 nm. Con entrambi i sensori è comunque possibile identificare i diversi litotipi e, nei campioni di Rosso Veronese, valutare se siano classificabili come calcareniti o come calciruditi. a101 a102 a111 a112 a121 a122 a123 a21 a22 a51 a52 a61 a62 a71 a72 a81 a82 a83 1 Intensità (a.u.) 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 450 500 550 600 650 700 Lunghezza d’onda (nm) Figura 9-17: Spettri di fluorescenza del Rosso Veronese. La Figura 9-18 presenta l’andamento di alcuni spettri acquisiti su un’arenaria di tipo Sporno. Il massimo dell’ampia banda di fluorescenza è posizionato attorno ai 480 nm, e la differenza di pendenza tra il fronte di salita e quello di discesa della banda suggeriscono la presenza di un contributo a lunghezze d’onda maggiori. In particolare si può osservare una regione stazionaria attorno a 530 nm. Infine il fronte di discesa presenta un cambiamento di pendenza a circa 650 nm. Il rapporto segnale-rumore degli spettri mette in rilievo la minor risposta di fluorescenza delle arenarie rispetto ai calcari ed ai marmi. La Figura 9-19 presenta alcuni spettri acquisiti su un’arenaria di tipo pietraforte. La banda di fluorescenza presenta un massimo attorno ai 500 nm. L’ampia banda di fluorescenza non mostra particolari articolazioni, il fronte di discesa dello spettro è, come di norma, meno ripido di quello di salita. Il rapporto segnale rumore è comunque 108 soddisfacente nonostante la bassa emissione di fluorescenza che caratterizza la pietraforte. c11 c12 c13 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-18: Spettri di fluorescenza dell’arenaria Sporno. g11 g12 g13 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-19: Spettri di fluorescenza dell’arenaria Pietraforte. 109 La Figura 9-20 presenta gli spettri misurati su alcune pietre di Bardiglio, gli spettri sono stati normalizzati al valore massimo nella regione compresa tra 450 e 550 nm. I tre spettri misurati sulla pietra indicata con e1 mostrano la presenza del trattamento protettivo già individuato e discusso nella Figura 9-11. In particolare è possibile osservare una diversa intensità relativa dei valori massimi a cui associare una differente quantità di trattamento presente. In questo caso il contributo del trattamento produce un picco che ha il massimo a 400 nm, spostato di circa 20 nm rispetto a quanto osservato con l’eccitazione a 308 nm. Lo spostamento della posizione del massimo è dovuto alla maggior lunghezza d’onda di eccitazione, non è escluso comunque che il fronte di salita del picco possa esser modificato dalla presenza del filtro in ingresso allo spettrometro del sensore. Gli spettri privi di trattamento permettono di avere una caratterizzazione del Bardiglio la cui banda di fluorescenza mostra un massimo a circa 470 nm e il cui fronte di discesa può essere interpretato attraverso un contributo centrato attorno ai 510 nm. e11 e12 e21 e22 e23 e24 e31 e32 1.2 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 450 500 550 600 Lunghezza d’onda(nm) 650 700 Figura 9-20: Spettri di fluorescenza del Bardiglio, lato destro del portale principale In Figura 9-21 sono riportati altri quattro spettri ottenuti con il sensore lidar LTH su pietre di Bardiglio in presenza di trattamento protettivo. Gli spettri sono stati estratti da quelli misurati per l’elaborazione delle mappe tematiche e si riferiscono a regioni dell’area D (Figura 9-2), precisamente alcuni punti a sinistra del portale principale. In questo caso la fluorescenza del trattamento è dominante su quella dovuta alla pietra. La 110 normalizzazione al massimo è stata possibile esclusivamente rispetto al massimo assoluto poiché non vi sono regioni dello spettro la cui fluorescenza sia con certezza attribuibile al Bardiglio. Inoltre il picco si trova spostato proprio sul primo canale di acquisizione, ossia a circa 396 nm. 1 Intensità (a.u.) 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-21: Spettri di fluorescenza del Bardiglio, lato sinistro del portale principale. i11 i12 i13 i14 i15 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-22: Spettri di fluorescenza della marna Sporno 111 La Figura 9-22 presenta alcuni spettri misurati su un campione di marna Sporno. La banda di fluorescenza presenta un massimo compreso tra 480 e 490 nm senza particolari articolazioni. Il lento fronte di discesa è attribuibile ad un contributo a lunghezze d’onda maggiori. Rispetto alla arenaria Sporno vi è una differente posizione del massimo ed una minor articolazione del fronte di discesa, il comportamento spettrale della marna è comunque simile a quello delle arenarie. 9.3 MAPPE TEMATICHE Le misure realizzate con il sensore LIDAR a scansione per il controllo di ampie porzioni del Duomo e del Battistero hanno permesso l’elaborazione di una gran quantità di mappe tematiche che mettono in rilievo sia la potenzialità di questa metodologia di indagine e diagnostica per i beni culturali sia interessanti risultati sui due monumenti. La distanza operativa tra il sensore ed il bersaglio è di circa 80 m. Le aree misurate situate nelle regioni superiori dei monumenti hanno una distanza maggiore dal sensore e quindi il loro segnale di fluorescenza risulterà inferiore, a parità delle altre caratteristiche del bersaglio. Gli spettri sono stati raccolti sommando la fluorescenza prodotta da 6 impulsi laser e sottraendo il contributo del background. Gli spettri presentati in questo paragrafo sono indicati con la nomenclatura “X-n.m” dove X indica l’area (Tabella 9-I), n il numero di riga e m quello della colonna e corrispondono allo spettro associato al pixel di coordinate (m,n) delle mappe tematiche. La Figura 9-23 presenta alcuni risultati riferiti all’Area D del Duomo così come indicata nella Figura 9-2. La parte (a) riporta l’immagine dell’area in questione. Questa, come le altre fotografie, è stata acquisita in maniera indipendente dal sensore e presenta quindi una geometria diversa da quella delle mappe tematiche sia a causa della diversa posizione sia a causa delle differenze del sistema ottico che ha acquisito l’immagine con il sensore lidar. Le immagini sono state comunque acquisite cercando di riprodurre quanto più fedelmente possibile il campo visto dal sensore. La parte (b) presenta una mappa tematica ottenuta mediante il rapporto dell’area sottesa dagli spettri nell’intervallo 442-448 nm e quella sottesa nell’intervallo 398-406 nm. La mappa permette di mettere in rilievo in colore blu gli spettri a cui corrispondono misure del Bardiglio in presenza del trattamento superficiale già individuato in Figura 9-11. In questo modo è possibile individuare tutte le porzioni del monumento che sono state 112 trattate. Con riferimento alla scala in falsi colori scelta è possibile fissare a circa 1.7 il criterio per distinguere tra le regioni trattate (valore inferiore a 1.7) e quelle non trattate. Minori sono i valori del rapporto, maggiore è la fluorescenza del trattamento. La striscia dei pixel gialli nella regione in basso a sinistra della mappa corrisponde alla colonna del protiro che copre il retrostante fregio in bardiglio del portale. La mappa tematica presenta in colore blu anche alcuni pixel del vetro soprastante il portale e della barra in ferro che attraversa l’arco. L’attribuzione di questi pixel ad una causa diversa dal trattamento è comunque agevole. La parte (c) presenta una mappa tematica ottenuta con la PCA nell’intervallo 400700 nm. Il sistema delle componenti principali individuato è riportato nella Figura 9-24. La mappa tematica è stata ottenuta rappresentando autonomamente la proiezione su PC1 nel canale R, quella su PC2 nel canale G e quella su PC3 nel canale B. La somma complessiva offre quindi la mappa tematica. Nella mappa in particolare si riescono a distinguere con chiarezza diversi conci lapidei i cui spettri normalizzati sono riportati nella parte (d) e nella parte (e) della figura stessa. Nella parte (d) in particolare sono riportati due spettri corrispondenti al viola acceso del legno dello stemma al centro del vetro (D-36.29) ed al viola del portone (D-65.23) e due spettri in presenza rispettivamante del rosso nella colonna (D-70.6) e del rosso cupo del decoro sopra il portale (D-20.52). Si tratta in entrambi i casi di due pietre calcaree di Rosso Veronese e per lo spettro D-70.6 è possibile osservare la banda a circa 560 nm che fa supporre che in analogia ai campioni BOV 4 e BOV 5 della Figura 6-5 si tratta di una calcirudite. La parte (e) confronta invece gli spettri di due arenaria che appaiono in giallo nella mappa tematica. La parte (f) della Figura 9-23 è dedicata al confronto di quattro spettri in presenza dei trattamenti che appaiono di colore verde nella mappa tematica. In particolare sono stati scelti spettri in cui il colore che caratterizza la presenza del trattamento ha una diversa intensità. Lo spettro D-73.9 corrisponde agli spettri in cui la fluorescenza del trattamento è più intensa, lo spettro D-67.2 corrisponde ad una alta intensità, lo spettro D-69.47 ad una intensità media ed infine lo spettro D-63.5 ad una delle minor intensità individuate nella regione a destra del portale. In particolare i pixel corrispondenti mostrano sempre la stessa colorazione verde ma una minor luminosità. 113 Pixel 10 4 20 3.5 30 3 40 2.5 2 50 Rapporto (b) (a) 1.5 60 1 70 0.5 10 20 (c) 30 40 Pixel 60 70 (d) D-36.29 D-65.23 D-70.6 D-20.52 10 1 Intensità (a.u.) 20 30 Pixel 50 40 50 0.8 0.6 0.4 60 0.2 70 10 20 30 40 Pixel 50 60 0 400 70 450 (e) 18000 D-67.2 D-73.9 D-69.47 D-63.56 16000 14000 0.8 Intensità (a.u.) Intensità (a.u.) 700 (f) D-3.32 D-55.62 1 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 12000 10000 0.6 0.4 8000 6000 4000 0.2 2000 0 400 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 700 400 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-23: Area D – Duomo. (a) Immagine del portale centrale. (b) Mappa tematica ottenuta mediante il rapporto tra l’area nell’intervallo 422-448 nm e quella nell’intervallo 398-406 nm. (c) Mappa tematica realizzata mediante la PCA nell’intervallo 400-700 nm. (d) Spettri del Rosso Veronese e del legno. (e) Spettri di arenaria. (f) Spettri di regioni con presenza di trattamento. 114 0.15 0.1 Intensità (nm) 0.05 0 -0.05 -0.1 PC1 PC2 PC3 -0.15 -0.2 -0.25 400 450 500 550 600 Lunghezza d'onda (nm) 650 Figura 9-24: Sistema delle componenti principali utilizzate per la mappa tematica della Figura 9-23 parte (c). La Figura 9-25 presenta l’Area E del Duomo. La parte (a) della figura presenta l’immagine dell’area E a cui corrisponde un’area che comprende parte del protiro e parte della facciata a sinistra del portale principale. La parte (b) della figura presenta la mappa tematica in falsi colori ottenuta mediante la composizione delle tre mappe tematiche rappresentate nella parte (d), nella parte (e) e nella parte (f) della figura. La scala in falsi colori è stata ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 406-696 nm, il sistema delle componenti così ottenuto è rappresentato nella parte (c) della Figura 9-25. La parte (d) della figura presenta la proiezione su PC1, la parte (e) su PC2, la parte (f) su PC3. La mappa tematica presentata nella Figura 9-25 (b) è ottenuta mediante la composizione delle tre singole proiezioni e la scala cromatica è determinata dalla composizione RGB delle tre proiezioni. La mappa permette l’identificazione di una regione blu, a cui corrisponde il trattamento protettivo già individuato nell’area D e della cui presenza e localizzazione vi è quindi conferma, di una regione rossa a cui corrisponde la colonna del protiro e la decorazione sopra il portale, di alcuni pixel gialli ed infine di una zona arancione. 115 (b) (a) 10 20 Pixel 30 40 50 60 70 10 20 30 40 Pixel (c) 50 60 (d) 0.15 60 10 0.1 50 Pixel 0 -0.05 40 40 30 50 PC1 PC2 PC3 -0.1 30 Intensità (a.u.) Intensità (a.u.) 20 0.05 20 60 10 70 450 500 550 600 Lunghezza d'onda (nm) 650 10 20 30 (e) Pixel 40 50 60 (f) 60 60 10 10 50 40 30 50 20 60 Pixel 40 30 40 40 30 50 20 60 10 70 Intensità (a.u.) 30 50 20 Intensità (a.u.) Pixel 20 10 70 10 20 30 Pixel 40 50 60 10 20 30 Pixel 40 50 60 Figura 9-25: (a) Immagine dell’Area E del Duomo. (b) Mappa tematica ottenuta mediante le PCA nell’intervallo 406-696 nm. (c) Sistema delle componenti principali. (d) Mappa tematica ottenuta con la proiezione sulla PC1. (e) Mappa tematica ottenuta con la proiezione sulla PC2. (f) Mappa tematica ottenuta con la proiezione sulla PC3. La Figura 9-26 riporta alcuni spettri a cui corrispondono diverse colorazioni nella mappa tematica della Figura 9-25 (b). Lo spettro E-54.43 corrisponde al colore rosso dei 116 pixel della colonna del protiro, gli spettri E-36.23 al colore rosso cupo e lo spettro E- 42.25 al colore rosa, si tratta in tutti i casi di Rosso Veronese. Due arenarie sono invece riferite agli spettri E-46.16 ed E-29.8, rispettivamente di colore giallo e giallo vivo nella mappa tematica. Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 E-54.43 E-36.23 E-46.16 E-29.8 E-42.25 0.2 0 400 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-26: Area E – Duomo. Spettri in corrispondenza di alcuni pixel a cui corrispondono diverse colorazioni nella Figura 9-25. La Figura 9-27 presenta gli spettri ottenuti in corrispondenza dei pixel blu della mappa tematica della Figura 9-25 (b). I pixel corrispondono a spettri in presenza del trattamento protettivo con diverse intensità del trattamento stesso. Lo spettro E-47.35 mostra un’alta intensità della fluorescenza dovuta al trattamento; per tutti gli spettri è comunque compromessa ogni possibilità di avere informazioni sul substrato lapideo. La Figura 9-28 presenta nella parte (a) la fotografia della parte superiore del protiro e cinque distinte mappe tematiche che mettono in rilievo alcune caratteristiche individuate. La mappa tematica presentata nella parte (b) della figura è ottenuta mediante l’applicazione della PCA nell’intervallo 488-628 nm, per la PCA sono stati considerati gli spettri non normalizzati. La mappa presenta nel sistema RGB rispettivamente la proiezione su PC1, PC2 e PC3. Dalla mappa in particolare emerge un’ampia regione viola a cui corrisponde la fluorescenza dei mattoni interni al protiro e 117 agli ordini di archi che lo fiancheggiano. In colore verde vengono ad evidenziarsi i marmi dei capitelli delle colonne e del profilo della copertura del protiro. Il colore blu caratterizza l’arco interno al protiro, il colore celeste la base della parte superiore del protiro e, infine, in colore arancione le parti di Rosso Ammonitico Veronese. Le parti (c) e (d) della figura presentano la proiezione sulla PC2 ottenuta mediante l’applicazione della PCA nell’intervallo 394-714 nm. Le due mappe sono ottenute scegliendo diversi livelli di saturazione del massimo e del minimo della scala cromatica. Nella mappa in parte (c) della figura risaltano i soli pixel i cui spettri mostrano una intensa fluorescenza del trattamento (in colore blu i più intensi e in colore giallo e rosso i meno intensi), nella scala cromatica scelta invece per la parte (d) della figura si riescono a cogliere altri elementi della struttura, per esempio i capitelli delle colonne. x 10 4 E-54.36 E-20.44 E-62.46 E-47.35 5 Intensità (a.u.) 4 3 2 1 0 400 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-27: Area E – Duomo. Spettri in corrispondenza di alcuni pixel nella Figura 9-25. La Figura 9-28 parte (e) presenta una mappa tematica ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 394-714 nm componendo un’immagine RGB attraverso la rappresentazione in R della proiezione su PC1, in G di quella su PC2 e in B di quella su PC3. La mappa permette di individuare sia i punti in presenza del trattamento che si presentano in colore scuro sia la struttura dell’arco, le colonne, il profilo del tetto. Con il 118 giallo sono invece descritti sia i mattoni sia le colonne e altri particolari. Questa mappa differisce da quella presentata nella parte (b) della figura proprio per il diverso intervallo spettrale scelto per la PCA. Nel caso della mappa (b) l’intervallo più ristretto (488-628 nm) esclude i punti in presenza di trattamento che sono presentati separatamente nelle mappe (c) e (d), in questo caso l’intervallo è più ampio (394714 nm) e comprende anche la regione in cui il contributo del trattamento è dominante; in questo modo è compromessa la capacità di distinguere tra i litotipi, in particolare tra i mattoni che costituiscono il fondo e le colonne. Nella mappa (e) il peso dei pixel che corrispondono alla presenza del trattamento domina l’analisi statistica e comprimere le informazioni estraibili dalla stessa. La mappa tematica nella Figura 9-28 (f) è stata ottenuta mediante il rapporto tra l’area sottesa nell’intervallo 668-701 nm e quella sottesa nell’intervallo 661-667 nm al fine di individuare eventuali aree in cui fosse in corso un attacco da parte dei biodeteriogeni. Nella mappa solo il pixel H-57.65 può indicare la presenza di biodeteriogeni. Lo spettro relativo mostra, infatti, una modesta banda di fluorescenza centrata proprio a 680 nm (Figura 9-29 parte (e)). Lo spettro non può comunque essere risolutivo per indicare la presenza dei biodeteriogeni stessi poiché l’intensità della banda di fluorescenza è di poco superiore al rumore presente, inoltre non è consueto che i biodeteriogeni si sviluppino in una regione così ristretta del monumento a meno di non essere in presenza o di un inizio di nuova colonizzazione o di un residuo di un trattamento biocida precedente. Uno spettro puntuale realizzato migliorando il rapporto segnale-rumore sarebbe risolutivo. Complessivamente si può affermare che nell’area H non si ha un attacco da parte di biodeteriogeni. La Figura 9-29 (a) presenta tre spettri a cui corrisponde il colore viola della mappa tematica di Figura 9-28 (b), gli spettri dei mattoni hanno un andamento ben riproducibile nonostante che la bassa intensità di fluorescenza comporti un rapporto segnale-rumore non particolarmente buono. Nella parte (b) sono invece riportati gli spettri in presenza del trattamento già individuato nella Area D e nella Area E. In questa area le pietre del monumento trattate sono poche ma la fluorescenza risulta molto intensa. Gli spettri in colore verde nella Figura 9-28 (b) corrispondono agli spettri riportati in Figura 9-29 (c). Gli spettri possono essere identificati nel Rosso Veronese, alcuni spettri H-42.21 e H-43.32 mostrano anche un contributo modesto tra 550 e 119 650 nm, mentre gli spettri che tendono al blu (H-9.40 e, soprattutto, H-19.36) hanno un contributo minore in questa regione spettrale. La Figura 9-29 (d) confronta gli spettri acquisiti in corrispondenza della colorazione arancio delle colonne e degli altri particolari. La Figura 9-29 (f) presenta invece l’esempio di uno spettro durante la cui acquisizione il sensore ha presentato dei problemi, nel caso specifico uno spike su di un canale. Lo spettro si nota facilmente in colore rosso cupo nella mappa tematica (b) della Figura 9-28 e viene ritrovato anche nelle altre mappe tematiche, non appare però nella mappa (f) poiché realizzata senza coinvolgere l’intervallo spettrale in cui l’acquisizione ha avuto questo problema. Il numero di spettri acquisiti che presentano queste anomalie è particolarmente modesto e una buona soluzione pratica è quella di individuarli nelle mappe tematiche. La Figura 9-30 riporta l’immagine, nella parte (a), ed alcune mappe tematiche dell’Area J misurata attorno al portale destro del Duomo. La mappa (b) è ottenuta mediante il rapporto tra l’area sottesa nell’intervallo 661-710 nm e quella sottesa nell’intervallo 653-660 nm e mostra molti pixel in cui si ha la presenza di biodeteriogeni. La mappa (c) e la mappa (d) sono state ottenute mediante la PCA nell’intervallo 402-710 nm. La mappa (c) presenta la proiezione sulla PC1 dove in rosso si evidenziano alcune arenarie. La mappa (d), infine, è stata ottenuta attraverso la composizione RGB delle proiezioni rispettivamente su PC1, PC2 e PC3 e permette l’identificazione delle aree con biodeteriogeni in viola intenso e di distinti conci lapidei in rosa chiaro, in rosso, in viola intenso, in rosa violaceo. I pixel in colore verde rappresentano spettri per i quali il sensore ha mostrato problemi di acquisizione ed il segnale di fluorescenza misurato risulta poco intenso e uniforme su tutto lo spettro. La Figura 9-31 presenta gli spettri acquisiti nell’Area J che mostrano la presenza dei biodeteriogeni, in particolare gli spettri J-56.15 e J-31.27 mostrano gli spettri dei pixel che appaiono di colore rosso cupo nella mappa (b) della Figura 9-30 ed a cui corrisponde una intensità di fluorescenza dei biodeteriogeni maggiore. La Figura 9-32 riporta l’andamento degli spettri di arenaria messi in evidenza in rosso nella mappa (c) della Figura 9-30. 120 (b) (a) 10 Pixel 20 30 40 50 60 10 20 30 40 50 60 Pixel (c) (d) 5 4 x 10 5 -0.6 10 0 -1 20 20 -5 -1.2 30 30 Pixel Intensità (a.u.) Pixel 10 -0.8 -1.4 40 -10 40 -1.6 50 -1.8 50 60 -2 60 Intensità (a.u.) x 10 -15 -20 -2.2 10 20 30 40 50 60 10 20 30 Pixel 40 50 60 Pixel (e) (f) 0.45 10 20 0.35 30 30 0.3 40 0.25 40 50 50 60 60 Intensità (a.u.) 0.4 20 Pixel Pixel 10 0.2 0.15 0.1 10 20 30 40 50 60 10 20 30 40 50 60 Pixel Pixel Figura 9-28: (a) Area H – Duomo. (b) Mappa tematica ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 488-628 nm. (c) Mappa tematica ottenuta nell’intervallo 394-714 nm mediante la proiezione su PC2. (d) Mappa tematica ottenuta nell’intervallo 394-714 nm mediante la proiezione su PC2 con una diversa scala cromatica. (e) Mappa tematica ottenuta mediante le PCA nell’intervallo 394-714 nm. (f) Mappa tematica ottenuta mediante il rapporto tra l’area dell’intervallo 668-701 nm e l’area nell’intervallo 661-667 nm. 121 (a) (b) 8 H-45.15 H-39.30 H-50.61 1 H-20.58 H-15.18 7 6 Intensità (a.u.) 0.8 Intensità (a.u.) x 10 4 0.6 0.4 5 4 3 2 0.2 0 400 1 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 0 400 700 450 (c) 0.6 0.4 0.2 0 400 H-50.10 H-48.32 H-22.48 1 Intensità (a.u.) Intensità (a.u.) 0.8 0.8 0.6 0.4 0.2 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 0 400 700 450 (e) 1200 12000 H-57.65 800 8000 Intensità (a.u.) 10000 Intensità (a.u.) 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 700 (f) 1000 600 400 200 0 400 700 (d) H-42.21 H-43.32 H-9.40 H-19.36 1 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) H-60.67 6000 4000 2000 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 0 400 700 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-29: Spettri Area H – Duomo. (a) Spettri di mattoni. (b) Spettri in presenza di trattamento. (c) Spettri dei capitelli e di altri marmi. (d) Spettri delle colonne e di altre regioni di Rosso Ammonitico Veronese. (e) Spettro con sospetta presenza di biodeteriogeni. (f) Esempio di spettro con errore di acquisizione. La Figura 9-33 mostra alcuni spettri che caratterizzano le diverse colorazioni della 122 mappa (d) della Figura 9-30. Gli spettri J-59.5 e J-61.5 corrispondono in particolare all’area in colore rosa alla sinistra del portale, questi spettri corrispondono alla presenza di una malta cementizia. Si hanno poi alcuni spettri delle colorazioni dal rosso al viola intenso che caratterizza l’arco, essi sono J-32.6 e J-24.66 a cui corrisponde il colore rosso (arenaria), J-47.46 a cui corrisponde il colore viola intenso (arenaria), J-12.62 e J24.13 a cui corrisponde il colore tra viola e rosso (calcarenite). Il colore viola scuro corrisponde agli spettri di esempio J-30.27 e J-30.46 relativi alle aree con presenza di biodeteriogeni che sormontano il portale e danno origine ad uno stato di degrado avanzato. (a) (b) 200 10 180 160 20 120 30 100 40 Rapporto Pixel 140 80 60 50 40 20 60 10 20 30 40 50 60 Pixel (d) 10 10 20 20 Pixel Pixel (c) 30 30 40 40 50 50 60 60 10 20 30 Pixel 40 50 10 60 20 30 Pixel 40 50 60 Figura 9-30: Area J – Duomo. (a) Fotografia del portale laterale destro. (b) Mappa tematica ottenuta mediante il rapporto delle aree sottese negli intervalli 661-710 nm e 653-660 nm. (c) Mappa tematica raffigurante la proiezione della PC1 nell’intervallo 402-710 nm. (d) Mappa tematica ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 402-710 nm. 123 J-31.27 J-56.15 J-29.38 J-29.34 J-30.24 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-31: Area J – Duomo. Spettri di alcune pietre in presenza di biodeteriogeni evidenziati in Figura 9-30 parte (a). J-57.65 J-36.15 J-57.5 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-32: Area J – Duomo. Spettri di alcune pietre di arenaria corrispondenti ai pixel rossi nella Figura 9-30 parte (c). 124 J-59.5 J-61.5 J-32.6 J-24.66 J-47.46 J-12.62 J-24.13 J-30.27 J-30.46 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-33: Area J – Duomo. Spettri corrispondenti alle diverse caratteristiche mostrate nella Figura 9-30 parte (d). La Figura 9-35 (a) presenta l’immagine dell’area G nella parte superiore della facciata del Duomo e nella parte (b) la mappa tematica ottenuta mediante l’analisi delle componenti principali nell’intervallo 400-701 nm. La mappa è stata ottenuta componendo nel sistema RGB le proiezioni su PC1, su PC2 e su PC3. Nella parte (b) della figura sono rappresentati tre degli spettri che appaiono in colore giallo nella mappa tematica ed il cui andamento corrisponde a quello individuato in Figura 9-33 per gli spettri J-59.5 e J-61.5. Nella parte (c) sono presentati invece spettri di calcari che appaiono di colore viola nella mappa tematica (b) gli spettri G-16.14 e G-18.50 hanno un andamento caratteristico del Rosso Veronese con il contributo di fluorescenza della banda collocata tra 550 nm e 600 nm. Gli spettri in colore bianco della mappa tematica sono presentati nella parte (e) della figura. Infine la parte (f) della figura presenta due spettri (G-8.18 e G-11.13) riferibili al colore blu scuro del profilo del tetto e tre spettri (G-50.22, G-41.65 e G-11.13) dei paramenti che rivestono l’interno dell’ordine degli archi. Sono queste aree del monumento particolarmente favorevoli allo sviluppo di croste nere in cui si presentano quindi spettri (G-50.22) attribuibili ai mattoni, spettri (G-11.13) poco articolati ed una bassa intensità di fluorescenza che produce un 125 mediocre rapporto segnale-rumore indicando complessivamente la presenza di una patina scura di deterioramento e, infine, situazioni intermedie (G-41.65). (a) (b) 10 20 Pixel 30 40 50 60 70 10 20 30 40 50 60 Pixel (c) 1.4 (d) G-26.21 G-26.31 G-34.46 1.2 1 Intensità (a.u.) Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.8 0.6 0.4 0.2 0.2 0 400 G-16.14 G-18.50 G-58.27 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 0 400 700 450 (e) 1 Intensità (a.u.) Intensità (a.u.) G-50.22 G-41.65 G-11.13 G-8.18 G-12.1 1.2 0.8 0.6 0.4 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 700 (f) G-17.19 G-16.22 1 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 0.2 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 0 400 700 450 500 550 600 Lunghezza d'onda (nm) 650 700 Figura 9-34: Area G – Duomo. (a) Immagine della parte superiore del Duomo. (b) Mappa tematica ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 400-701 nm. (c) Spettri relativi ai punti in giallo della mappa tematica. (d) Spettri relativi alle tonalità rosa e violacee. (e) Spettri relativi ai pixel bianchi. (f) Spettri a cui corrispondono le tonalità blu. 126 La Figura 9-35 riporta nella parte (a) l’immagine dell’Area G, in (b) una mappa tematica ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 440-660 nm realizzata con il sistema RGB, in (c) una mappa tematica ottenuta mediante la proiezione su PC3 degli spettri, con il sistema delle componenti principali calcolato nell’intervallo 440-660 nm e in (d) una mappa tematica ottenuta applicando la PCA nell’intervallo 668-701 nm realizzata con il sistema RGB. La mappa (c) permette di individuare in colore rosso l’interno dell’ordine degli archi, in celeste le parti calcaree e in giallo le arenarie. Anche i pixel del cielo sono qui rappresentati con il colore giallo. La mappa (d) rappresenta in colore violetto alcune aree in cui sono presenti biodeteriogeni, uno spettro corrispondente è presentato nella Figura 9-37 nell’intervallo 650-700 nm. (a) (b) 10 20 Pixel 30 40 50 60 70 10 20 30 40 50 60 Pixel (c) (d) 10 10 0 20 Pixel 40 -1 30 Pixel -0.5 30 Intensità (a.u.) 20 40 50 50 60 -1.5 60 70 70 10 20 30 40 50 10 60 20 30 40 50 60 Pixel Pixel Figura 9-35: Area G – Duomo. (a) Immagine della parte superiore del Duomo. (b) Mappa tematica realizzata mendiante la PCA nell’intervallo 440-660 nm. (c) Mappa tematica realizzata mediante la proiezione sulla PC3 ottenuta nell’intervallo 440660 nm. (d) Mappa tematica ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 668-701 nm. 127 La mappa (b) è stata ottenuta in un intervallo spettrale più ristretto rispetto alla mappa (b) della Figura 9-35 e permette di riconoscere i comportamenti spettrali presentati nella Figura 9-36. G-49.21 G-39.20 G-27.22 G-48.26 G-11.45 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 450 500 550 600 Lunghezza d'onda (nm) 650 700 Figura 9-36: Area G – Duomo. Alcuni spettri di differenti litotipi. 175 G-50.17 170 Intensità (a.u.) 165 160 155 150 145 140 650 660 670 680 690 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-37: Area G – Duomo. Esempio di spettro con presenza di biodeteriogeni. 128 (b) (a) 10 Pixel 20 30 40 50 60 10 20 (c) 30 Pixel 40 50 40 50 (d) 350 10 10 300 20 30 200 150 40 100 Pixel Pixel 250 Intensità (a.u.) 20 30 40 50 50 50 60 60 10 20 30 Pixel 40 50 10 20 30 Pixel Figura 9-38: Area I – Duomo. (a) Immagine degli ordini superiori degli archi del Duomo. (b) Mappa ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 451-625 nm. (c) Mappa tematica ottenuta mediante la proiezione su PC3 calcolata nell’intervallo 670-710 nm. Mappa tematica ottenuta con la PCA nell’intervallo 670-710 nm. La Figura 9-38 descrive l’area I del Duomo a cui corrisponde una porzione della parte alta della facciata in cui appaiono i due ordini di archi. La parte (a) della figura presenta l’immagine dell’area stessa, la mappa (b) è stata ottenuta con la PCA e la rappresentazione RGB nell’intervallo 451-625 nm, le mappe (c) è (d) sono state ottenute con la PCA nell’intervallo 670-710 nm. La mappa (c) presenta la proiezione su PC3, la mappa (d) la rappresentazione RGB. Nelle mappe (c) e (d) in particolare sono evidenziate le aree in presenza di biodeteriogeni già individuabili in colore rosso cupo nella mappa (b). Gli spettri di queste regioni sono presentati nella Figura 9-39 (d) ed in particolare vi sono quelli che mostrano una minor fluorescenza di biodeteriogeni (I31.17) corrispondenti ai pixel in colore celeste nella mappa (c) e quelli che mostrano 129 una maggior fluorescenza (I-56.59) corrispondenti ai pixel in colore rosso, le situazioni intermedie corrispondono ai pixel in giallo ed arancio. (a) I-19.3 I-20.9 I-30.41 I-28.42 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 I-37.16 I-38.21 I-21.26 I-15.5 1 Intensità (a.u.) Intensità (a.u.) (b) 0.8 0.6 0.4 0.2 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 0 400 700 450 (c) Intensità (a.u.) Intensità (a.u.) I-31.17 I-28.16 I-40.36 I-56.59 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 700 (d) I-16.20 I-11.10 I-30.21 I-31.24 1 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 0.8 0.6 0.4 0.2 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 0 400 700 450 500 550 600 Lunghezza d'onda (nm) 650 700 Figura 9-39: Area I – Duomo. (a) Spettri in corrispondenza delle regioni verdi della mappa tematica della Figura 9-38 (b). (b) Spettri in corrispondenza delle colonne della sottostante regione. (c) Spettri in corrispondenza della colorazione rossa e della clorazione blu (relativa all’interno degli archi nella Figura 9-38-(b)). (d) Spettri in corrispondenza a diversi punti in cui la mappa tematica della Figura 9-38 (d) mostra la presenza di biodeteriogeni. La Figura 9-39 (a) presenta alcuni esempi di spettri a cui corrisponde il colore verde nella mappa tematica (b) della Figura 9-38. Gli spettri, corrispondenti a calcari, hanno un sistema articolato in due bande e alla crescita dell’importanza del picco a maggior lunghezza d’onda corrispondono i toni più vivaci del verde. Gli spettri della parte (b) sono riferiti alle colonne ed all’area sottostante ad esse mentre quelli della parte (c) sono associati (I-16.20 e I-11.10) ai mattoni interni all’ordine degli archi e (I-30.21 e I-31.24) alle regioni rosse della mappa tematica (b) della Figura 9-38. In questi ultimi spettri è presente anche un contributo dovuto ai biodeteriogeni. La parte destra della mappa 130 tematica è comunque abbastanza rumorosa. In corrispondenza vi è infatti una ampia regione in cui sono presenti aree nere e quindi si ha un modesto segnale di fluorescenza. Il Battistero presenta una minor varietà di litotipi e, visto il recente intervento di restauro, poche aree in cui si hanno attacchi di biodeteriogeni. La Figura 9-40 presenta l’immagine dell’Area A del Battistero corrispondente alla regione superiore del portale. La parte (a) della figura mostra una foto dell’area esaminata. La mappa tematica (b) è stata ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 403670 nm componendo nel sistema RGB la proiezione su PC1, su PC2 e su PC3 e mette in rilievo in colore rosso le pietre di Rosso Veronese in cui si ha un contributo della banda di fluorescenza nella regione spettrale compresa tra 550 e 600 nm. In blu appare il vetro a cui è associato un proprio spettro di fluorescenza. Un risultato analogo anche se più rumoroso è mostrato nella mappa (d) stavolta ottenuto mediante il rapporto tra l’area sottesa nell’intervallo 533-538 nm e quella sottesa nell’intervallo 538-564 nm. La mappa (c) è stata ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 508-602 nm componendo nel sistema RGB la proiezione su PC1, su PC2 e su PC3 ed il colore verde individua tutte le regioni di Rosso Veronese sia in presenza sia in assenza del contributo tra 550 e 600 nm. La Figura 9-41 presenta l’Area C del Battistero il cui esame è avvenuto con un’alta risoluzione spaziale utile a indagare i particolari della lunetta e dei bassorilievi. Nella parte (a) della figura è presentata la fotografia del particolare, nelle altre parti sono presentate mappe tematiche. Le mappe tematiche (b), (c) e (d) sono state ottenute mediante la rappresentazione RGB delle proiezioni su PC1, PC2 e PC3 degli spettri, la PCA è stata applicata rispettivamente negli intervalli 407-659 nm, 527-562 nm e 400700 nm. La mappa (e) è stata ottenuta mediante la proiezione su PC2 e la mappa (f) con quella su PC1 ottenute sempre nell’intervallo 400-700 nm. La complessiva analisi delle mappe tematiche permette di ricostruire in dettaglio le caratteristiche litologiche delle pietre. E’ possibile identificare i conci di Rosso Ammonitico Veronese e quelli di Bianco di Verona, che litologicamente ha le stesse proprietà ed origine del Rosso ma è privo della colorazione. Di particolare interesse è la possibilità di analizzare l’unico blocco di pietra che costituisce l’architrave del portale, ricostruendo attraverso gli spettri di fluorescenza quali regioni del blocco sono analoghe al Rosso Veronese e quali al Bianco di Verona. E’ possibile individuare le caratteristiche litologiche, così come 131 emerge nelle mappe (c) ed (e), dei due blocchi di pietra affianco dell’architrave. Nella mappa (f) è, infine, possibile identificare le diverse lavorazioni del bassorilievo scolpito nel blocco posizionato sopra l’architrave. (a) (b) 10 Pixel 20 30 40 50 60 10 20 (c) 30 Pixel 40 50 (d) 0.245 10 10 20 20 30 30 40 40 50 50 0.235 0.23 0.225 Rapporto Pixel Pixel 0.24 0.22 0.215 60 60 10 20 30 Pixel 40 0.21 10 50 20 30 Pixel 40 50 Figura 9-40: Area A – Battistero. (a) Immagine del portale principale del Battistero. (b) Mappa tematica realizzata mediante la PCA nell’intervallo 403-670 nm. (c) Mappa tematica ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 508-602 nm. (d) Mappa tematica ottenuta mediante il rapporto dell’area sottesa nell’intervallo 533-538 nm e quella sottesa nell’intervallo 538-564 nm. La Figura 9-42 riporta alcuni degli spettri individuati nelle mappe tematiche della Figura 9-41. Si possono osservare spettri di Bianco di Verona e di Rosso Veronese. Gli spettri dei blocchi a fianco dell’architrave individuati nelle mappe tematiche (c) ed (f) sono quelli che in analogia con C-71.60 offrono un maggior contributo nella regione spettrale 550-600 nm. Vi sono poi tre spettri corrispondenti al Bianco di Verona, C69.55 dall’architrave, C-62.43 e C-58.41 dal bassorilievo soprastante. I due spettri con comportamento intermedio C-71.45 e C-14.11 sono di Rosso Veronese. 132 (b) (a) 10 20 Pixel 30 40 50 60 70 10 20 30 50 60 70 (d) 10 10 20 20 30 30 Pixel Pixel (c) 40 Pixel 40 40 50 50 60 60 70 70 10 20 30 40 Pixel 50 60 70 10 20 (e) 30 40 Pixel 50 60 70 (f) 5 x 10 0.2 -0.2 10 0 10 20 -0.2 20 -0.4 -0.6 -0.8 50 -1 -1.2 40 -1.4 50 -1.6 -1 60 -1.8 60 -2 -1.2 70 -2.2 70 10 20 30 40 Pixel 50 60 70 Intensità (a.u.) 40 30 Pixel Pixel -0.6 Intensità (a.u) -0.8 -0.4 30 -1.4 10 20 30 40 Pixel 50 60 70 Figura 9-41: Area C – Battistero. (a) Immagine dell’Area C. (b) Mappa tematica ottenuta mediante le PCA nell’intervallo 407-659 nm. (c) Mappa tematica ottenuta mediante le PCA nell’intervallo 527-562 nm. (d) Mappa tematica ottenuta mediante le PCA nell’intervallo 400-700 nm. (e) Mappa tematica ottenuta mediante le PCA nell’intervallo 400-700 nm, proiezione su PC2. (f) Mappa tematica ottenuta mediante le PCA nell’intervallo 400-700 nm, proiezione su PC1. 133 C-69.55 C-71.45 C-71.60 C-14.11 C-62.43 C-58.41 Intensità (a.u.) 1 0.8 0.6 0.4 0.2 0 400 450 500 550 600 650 Lunghezza d'onda (nm) 700 Figura 9-42: Area C – Battistero. Spettri di Rosso Ammonitico Veronese. 10 7 20 20 6 30 30 40 5 4 40 50 50 60 60 3 Rapporto 10 Pixel Pixel x 10-2 8 2 1 70 0 -1 70 10 20 30 40 Pixel 50 60 10 70 (a) 20 30 40 Pixel 50 60 70 (b) 0.1 Intensità (a.u.) 0.05 0 -0.05 PC 1 PC 2 PC 3 PC 4 -0.1 -0.15 450 (c) 500 550 600 Lunghezza d’onda (nm) 650 Figura 9-43: Area C – Battistero. (a) Fotografia della Lunetta del portale principale (b) Mappa tematica ottenuta nell’intervallo 400 – 700 nm mediante il rapporto tra la proiezione su PC4 e PC1 (c) Sistema delle PCA 134 La Figura 9-43 presenta l’immagine della lunetta nella parte (a) ed, in (b) una mappa tematica ottenuta mediante il rapporto tra la proiezione su PC1 e PC4 calcolate nell’intervallo spettrale 400-700 nm; l’andamento delle componenti è poi riportato nella parte (c) della figura stessa. Nella Figura 9-41 sia nella mappa (b) in verde brillante sia nella mappa (e) in rosso cupo è possibile individuare all’interno della lunetta delle aree a cui corrispondono le decorazioni azzurre in fotografia. Nella mappa (b) della Figura 9-43 solo alcune parti di queste decorazioni appaiono colorate di blu e/o celeste. Si tratta in particolare delle colorazioni accanto alla figura centrale (una Madonna) realizzate in lapislazzulo, pietra più pregiata dell’azzurrite utilizzata per le decorazioni degli angeli. (b) (a) 110 5 100 10 90 80 20 70 25 60 30 50 Rapporto Pixel 15 40 35 30 40 20 45 10 50 10 20 30 40 50 60 70 Pixel (c) (d) 5 1 10 Intensità (a.u.) 15 Pixel 20 25 30 35 0.8 0.6 0.4 L-21.68 L-30.46 L-43.35 L-15.25 40 0.2 45 50 10 20 30 40 Pixel 50 60 0 400 70 450 500 550 600 Lunghezza d'onda (nm) 650 700 Figura 9-44: Area L – Battistero. (a) Immagine della balaustra (b) Mappa tematica raffigurante in falsi colori il rapporto tra l’area nell’intervallo 663-700 nm e l’area nell’intervallo 650-662 nm (c) Mappa tematica ottenuta mediante la PCA nell’intervallo 400-600 nm. (d) Alcuni spettri dell’area L corrispondenti ad una diversa colorazione nelle mappe tematiche. 135 La Figura 9-44 mostra l’Area L del Battistero corrispondente alla parte superiore della facciata in cui è visibile anche la balaustra. Nella parte (a) vi è la fotografia del particolare. Nella parte (b) una mappa tematica ottenuta mediante il rapporto tra l’area sottesa dagli spettri nell’intervallo 663-700 nm e quella sottesa nell’intervallo 650662 nm. Sotto la balaustra si evidenzia una serie di pixel di diversa colorazione che indicano la presenza dei biodeteriogeni a cui corrisponde lo spettro L-15.25, ove si mostra una alta intensità di fluorescenza dovuta ai biodeteriogeni. La mappa (c) è ottenuta mediante la rappresentazione RGB delle PCA calcolate nell’intervallo 400600 nm. Oltre alla regione in viola scuro immediatamente sotto la balaustra che indica la presenza dei biodeteriogeni, si individuano una regione verde a cui corrispondono spettri del tipo L-21.66, alcuni pixel celesti corrispondenti a spettri del tipo L-43.35 ed infine una regione con spettri di colore verde scuro (L-30.46). 136 10 CONCLUSIONI Il lavoro svolto evidenzia come il telerilevamento lidar per i beni culturali abbia mostrato notevoli vantaggi operativi rispetto alle tecniche tradizionali per il controllo di monumenti con risultati analoghi e spesso migliori. Gli esperimenti hanno permesso di verificare il telerilevamento lidar nelle condizioni effettive di esercizio e la possibilità di acquisire spettri su diverse tipologie di materiali lapidei con varie tipologie di degrado. Sono stati inoltre sviluppati gli algoritmi per l’analisi dei dati ed un software specifico per la presentazione dei risultati con un’interfaccia user-friendly. In questo contesto è stata affrontata la problematica legata all’analisi e gestione di grandi quantità di spettri necessari per la realizzazione di mappe tematiche a partire da immagini iperspettrali. Riguardo agli obiettivi posti nell’ambito di questo lavoro, sono stati raggiunti i seguenti risultati: • la raccolta di un archivio di spettri di diversi litotipi, di malte, di laterizi, di pietre dure, di pietre con trattamenti superficiali, di pietre attaccate da biodeteriogeni e di croste nere; • la realizzazione di mappe tematiche che presentano la descrizione dei paramenti lapidei e del degrado a partire dalle immagini iperspettrali acquisite sui monumenti; • lo sviluppo del telerilevamento lidar quale tecnica operativa per il controllo non distruttivo di monumenti lapidei e di edifici storici. La caratterizzazione dei materiali lapidei ed, in particolar modo, l’individuazione di tutte le aree del monumento che presentano il medesimo comportamento spettrale a cui sono associate determinate caratteristiche litologiche è possibile sia su bersagli compositi (esperimento realizzato presso l’LTH e il Duomo di Parma) sia su bersagli uniformi (Duomo di Pisa, Battistero di Parma). La firma spettrale è infatti definibile per ogni diverso litotipo e può essere sfruttata per identificarlo. Lo sviluppo di una tecnica operativa richiede, rispetto al problema della identificazione dei litotipi, la realizzazione di un archivio di spettri. Di particolare interesse è lo sviluppo di una teoria fenomenologica di interpretazione degli spettri stessi basata sulla scomposizione dello spettro in contributi, molto probabilmente gaussiani, e la ricerca di una eventuale variazione dei parametri delle curve tra spettri di pietre diverse. 137 Nel corso del lavoro è stata verificata, per la prima volta, la presenza di un trattamento conservativo in campo. Il trattamento individuato presso il protiro del Duomo di Parma ha uno spettro di fluorescenza caratteristico che si sovrappone alla firma spettrale dei litotipi, costituenti il substrato. L’esperienza in campo ha permesso anche la produzione di mappe tematiche associabili alla quantità di trattamento presente. Un archivio di firme spettrali dei trattamenti, almeno per quelli di origine industriale, è necessario per applicare il telerilevamento lidar come tecnica operativa per il riconoscimento e l’individuazione di trattamenti. Il telerilevamento lidar ha mostrato la propria utilità anche per l’individuazione delle malte (esperimento realizzato presso l’LTH) con la possibilità di una loro classificazione in malte aeree, pozzolaniche e cementizie. Il vantaggio rispetto alle tecniche tradizionali potrebbe risultare significativo per la difficoltà di queste tecniche a produrre una classificazione anche considerando il necessario impiego composito di più tecniche di analisi. Quella presentata in questo lavoro è una prima dimostrazione della possibilità di applicare il telerilevamento lidar alla classificazione delle malte, applicazione per la quale sono comunque necessarie ulteriori verifiche sperimentali. L’esperimento realizzato presso Ravenna ha mostrato la possibilità di caratterizzare anche i laterizi e di studiarne la colonizzazione da parte dei biodeteriogeni. In presenza di uno specifico interesse per la loro caratterizzazione sarebbe comunque necessario realizzare un esperimento volto ad individuare anche le possibili variazioni rispetto a laterizi di diversa origine e composizione. La campagna di misura LiMPaM ha mostrato la possibilità di estendere l’applicazione del telerilevamento lidar al riconoscimento ed alla caratterizzazione delle pietre dure utilizzate nelle decorazioni. L’individuazione in campo di alghe verdi e cianobatteri è un risultato consolidato del telerilevamento lidar ed è possibile anche su substrati lapidei disomogenei o in cui sono presenti altre forme di degrado quali le croste nere. Il test sperimentale di Ravenna ed alcune delle mappe tematiche di Parma hanno mostrato la possibilità di avere misure quantitative dell’attacco da biodeteriogeni. Il riconoscimento tra le alghe verdi ed i cianobatteri è possibile in base alla firma spettrale. Il test sperimentale sul Duomo di Pisa ha, infine, mostrato la possibilità di individuare e riconoscere le croste nere. Uno specifico studio delle croste nere mediante il 138 telerilevamento lidar richiederebbe la progettazione di specifici esperimenti di confronto con le tecniche tradizionali e potrebbe risultare utile anche per un impiego esteso nello studio dell’ambiente urbano mediante la caratterizzazione dei depositi atmosferici di cui sono composte le croste nere. Considerazioni specifiche possono essere tratte dal confronto tra le diverse lunghezze d’onda di eccitazione impiegate nei diversi esperimenti. Complessivamente, seppur su bersagli diversi, il lavoro ha visto l’impiego di varie lunghezze d’onda di eccitazione. L’insieme delle lunghezze d’onda compreso tra 300 nm e 355 nm è quello che ha mostrato i maggiori vantaggi, ossia di fornire una miglior caratterizzazione dei litotipi presenti nei bersagli. Le diverse lunghezze d’onda di eccitazione sono associate anche a energie laser diverse; considerando entrambi i parametri è così possibile individuare nei valori attorno ai 300 nm la lunghezza d’onda ideale per l’eccitazione dei bersagli ma osservare, contemporaneamente, che la maggior energia dei laser a Nd:YAG triplicati permette di ottenere comunque risultati accettabili nella caratterizzazione dei bersagli. Gli algoritmi approntati per l’analisi dei dati ed il software sviluppato per la presentazione dei risultati hanno permesso di risolvere il problema che sorge al momento della realizzazione di mappe tematiche in conseguenza all’acquisizione di una gran quantità di spettri. L’impiego della PCA mostra, specie nella direzione di realizzare un sistema automatico di interpretazione dei dati stessi, molti vantaggi e permette di realizzare mappe tematiche in cui alle regioni di diverso colore corrispondono diverse proprietà spettrali e quindi diverse caratteristiche intrinseche del bersaglio. L’identificazione successiva è possibile attraverso il confronto con un archivio di spettri o mediante il contributo delle tecniche tradizionali di indagine applicate, però, ad un ridotto numero di punti scelti facilmente accessibili. L’algoritmo di “separazione” dei diversi comportamenti spettrali può essere ulteriormente affinato sia nella direzione di una standardizzazione dell’analisi del raggruppamento degli spettri stessi proiettati nella base delle componenti principali (analisi dei cluster), sia, in combinazione con la metodologia precedente, realizzando un sistema di applicazione a catena che permetta una iniziale separazione ed una più raffinata separazione all’interno di ciascun gruppo. L’utilizzo del rapporto tra le aree sottese dagli spettri in due intervalli spettrali è vantaggioso rispetto alla PCA 139 esclusivamente per la ricerca di comportamenti spettrali già noti e indipendenti dal substrato lapideo come la presenza dei biodeteriogeni. La possibilità di utilizzare diverse lunghezze d’onda di eccitazione, nel caso in cui sia disponibile un sensore con un laser accordabile in frequenza, offre la possibilità di disporre di più immagini iperspettrali che possono mediante la PCA essere combinate tra loro. Questa possibilità, da indagare ulteriormente, è comunque utile solo nella direzione dello sviluppo della ricerca e non presenta, al momento, utili vantaggi per lo sviluppo di un sensore e di una metodologia operativa. La presentazione dei risultati nelle mappe tematiche è il sistema più efficiente sia perché permette una localizzazione delle caratteristiche di interesse sia perché permette un raffronto tra le diverse aree del monumento. Il sistema di rappresentazione RGB proposto in questo lavoro è quello che permette la presentazione della maggior informazione possibile nella medesima mappa tematica. Le mappe tematiche con la relativa associazione tra colori e la caratteristica mostrata sono un utile strumento che può essere reso disponibile. Nella realizzazione delle mappe tematiche molto utile potrà risultare uno sviluppo della tecnica di referenziazione dei singoli spettri acquisiti al fine di considerare la geometria della misura con le relative distorsioni prodotte dalla mutua posizione del sensore e del bersaglio. In questo ambito sarebbe utile poter conoscere anche la distanza tra il sensore e ciascun punto a cui corrispondono i pixel della mappa tematica al fine, eventualmente, di correggere gli spettri per l’effettiva distanza tra bersaglio e sensore. Il problema è comunque riscontrato solo nelle situazioni limite, ossia quando l’angolo tra l’asse ottico del sensore e la direzione osservata è considerevole. Il lavoro svolto ha contribuito significativamente all’applicazione del telerilevamento lidar ai beni culturali con risultati che aprono la strada per ulteriori indagini scientifiche e direttamente sfruttabili per la realizzazione di un sensore lidar dedicato. 140 11 BIBLIOGRAFIA [1] E. D. Hinkley, “Laser Monitoring of the atmosphere”, Spirngler-Verlag, Berlin (1976). [2] S. Svamberg, "Atomic and Molecular Spectroscopy", Spinger, Berlino (2001). [3] H. G. Machel, R. A. Mason, A. N. Mariano, A. Mucci, C”auses and emisison of luminescence in calcite and dolomite”, in Luminescence Microscopy: Quantitative and Qualitative Aspects (C.E. Barker and O.C. Kopp editors), 9-25, (1991). [4] A.S. Marfunin, "Methods and instrumentations“, Springer Verlag, Berlin, (1995). [5] D. Habermann, R.D. Neuser, D.K. Richter, “REE activated catodoluminescence of calcite and dolomite: high-resolution spectrometric analysis of CL emission (HRS-CL)” in Sedimentary Geology, 101, 1-7, Elsevier, Paris (1996). 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