Prove di coraggio, orge e messe nere

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Prove di coraggio, orge e messe nere
Capitolo Sei
Prove di coraggio, orge e messe nere
Io e Fabio siamo i più piccoli. Nel ’96 io compio sedici
anni, Fabio quindici. Gli altri, tutti gli altri, ci mettono alla prova, ci stuzzicano, ci provocano. «Dai, Mario
facci vedere se hai le palle.» Siamo al Midnight e magari al tavolo vicino c’è una combriccola di dieci ragazzi.
Io li fisso, mentre Zampollo, Wedra, Ozzy e compagnia mi incitano: «Dai, vediamo se hai il coraggio di
attaccarli da solo». È demenziale, lo so, ma non posso
tirarmi indietro. Io e Fabio, che vive le stesse situazioni,
le chiamiamo prove di coraggio. Coraggio che io e lui
dobbiamo dimostrare davanti agli altri per superare il
gap anagrafico. La nostra giovanissima età.
Così, controvoglia, mi alzo e comincio a rompere le
scatole a quei tizi seduti per i fatti loro a un altro tavolo,
davanti a un boccale di birra. Qualcuno reagisce, inevitabilmente, qualche volta mi menano, o ci provano,
in due o anche in tre. I miei compagni, figurarsi, non
intervengono, non mi difendono, lasciano fare. Sono
solo, anche se i miei amici sono a cinque metri, non
muovono un dito, aspettano la fine come al cinema.
Come chi ha pagato il biglietto e vuol sapere come va
a finire. Incredibile. Mi tocca escogitare soluzioni per
non finire a pezzi: giro sempre con il coltello e il tira6. PROVE DI CORAGGIO, ORGE E MESSE NERE
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pugni in tasca. Quando l’aria si fa brutta, tiro fuori gli
arnesi e mi difendo con quelli. Meglio di niente.
Ma le prove di coraggio non finiscono lì: «Voi due
siete piccoli, fateci vedere cosa sapete fare, altrimenti no, non resterete nel gruppo» è la minaccia corale.
Sono tutti d’accordo: Zampollo, Wedra, Ozzy, Sapone e
perfino Monterosso che è l’ultimo arrivato. Cinque contro due e il nostro orgoglio messo alla prova. Io sono il
medium, ma non importa. E allora le prove diventano
sempre più difficili, più impegnative, più rischiose.
Notte. Piena notte. In bicicletta raggiungiamo la Cava
rossa, fra Cologno e Brugherio, il nostro territorio, dove
ci muoviamo come i gatti. Il gioco è pericoloso, anche
perché si svolge al buio. Buio assoluto. Non si vede
niente. Noi però giriamo in tondo, sull’orlo del buco, a
tutta velocità. Poi, all’improvviso, puntiamo la bici verso
il basso e scendiamo come folli sullo sterrato. Tocchiamo carcasse di auto abbandonate, rifiuti, bottiglie, pezzi di ferro. Scivoliamo, cadiamo, rimbalziamo, sempre
nell’oscurità, i nostri capitomboli sono spaventosi. C’è
da rompersi, letteralmente, l’osso del collo, ma in qualche modo arriviamo, più o meno integri, al fondo. Poi
ci alziamo e torniamo a casa, scorticati, graffiati, insanguinati. Non è che sia una discesa di decine di metri,
però quella corsa delirante mette i brividi. Noi la chiamiamo bicicross.
E accanto al bicicross ci sono anche le bevute. La
gara, questa volta, è a scolarsi una bottiglia di Jack
Daniel. Sempre io e Fabio. Io contro Fabio, Fabio contro di me, io o lui da soli. Stappi il Jack e lo tracanni.
I primi sorsi sono piacevoli, poi ti viene la nausea, una
sensazione di bruciore, di nausea, di vomito. Ma cerchi di resistere. Una volta bevo quasi tutta la bottiglia,
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ne resta poco. Pochissimo. Poi rischio il collasso. Sto
male. Malissimo. E vomito per un’ora nella macchina
di Ozzy, gliela sporco tutta, la riduco a uno schifo.
Si va avanti così. Il gruppo ha le sue regole, i suoi
rituali, le sue manie, i suoi segreti. Non ha ancora trovato quel nome, le Bestie di Satana anzi all’inglese the
Beasts of Satan, ma ormai è strutturato. Ha una sua
fisionomia, una sua composizione. E le prove di coraggio fanno parte del paesaggio, come le orge. Ricordo
benissimo la prima orgia: per il compleanno di qualcuno a Milano, in una casa in zona Cairoli. Arriviamo, siamo tutti satanisti o simpatizzanti. Ci saranno una trentina di persone, neanche il tempo di entrare e l’orgia
ha inizio. Le donne si spogliano, gli uomini scelgono le
donne e viceversa. Gli accoppiamenti sono dappertutto, in tutte le stanze: per terra, sui tappeti, sui divani,
in camera, in cucina, in sala, addossati alle pareti, gli
uni gomito a gomito con gli altri. Urla, gemiti, carezze.
Camicette, reggiseni, slip qua e là. E qualche volta il
cambio del partner avviene quasi al volo, in corsa, in
tempo reale. Come la sostituzione delle gomme ai box
della Formula 1. Mi giro intorno, osservo e mi adeguo
rapidamente a quel clima libertino. L’imbarazzo, se c’è,
inizia a evaporare al primo cenno d’intesa e svanisce al
primo amplesso. In un pomeriggio ho chissà quanti rapporti, nessuno protetto, in una promiscuità incredibile.
Si scopa a oltranza, non c’è alcuna titubanza, almeno
all’apparenza, nessuna vergogna, nessun problema. E
poi musica metal, sullo sfondo, e la droga, droga su
droga per sbloccare – ma non ce n’è bisogno – chi è
indeciso.
Delle tante cose che ho fatto, devo dire che le orge
mi hanno lasciato addosso sensazioni positive. L’or6. PROVE DI CORAGGIO, ORGE E MESSE NERE
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gia è bellissima. Sesso sfrenato. Sensazione di libertà.
Ebbrezza. Forse, ripeto, ho sentito un briciolo di incertezza, di esitazione all’inizio, ma poi tutto è diventato
facile. Sono passato da una donna all’altra. Come in
una giostra. Però alla fine della giornata c’è una ragazza
che mi resta nel cuore, mi ha colpito più delle altre, mi
è piaciuta particolarmente. Succede.
Ozzy, che dobbiamo tenere continuamente a freno,
ha un canale tutto suo per comunicare con gli altri satanisti. Lui celebra le messe nere e le messe nere attirano
i satanisti che poi, bene o male, sono gli stessi che partecipano alle orge. Il pubblico è quello. Così la messa
nera, che mi sembra una vera buffonata, è l’esca per
trovare ragazze disponibili che poi ci scambiamo in
quelle feste. Io mi informo: se la messa nera è collegata a un’orgia, bene. Altrimenti, niente. Resto a casa. E
comunque sto sempre attento a non immischiare le mie
ragazze in quelle storie. Va bene andare a letto con le
sconosciute, ma non far andare a letto la mia donna con
altri uomini. No, quello no. La mia vita privata resta
separata da quest’altra.
Comunque, per una ragione o per l’altra partecipo
svogliatamente a qualche messa nera. Per esempio, in
qualche chiesa sconsacrata del Parco del Ticino. Ozzy si
mette un cappuccio, un cappuccio rosso o nero a punta,
con i fori per gli occhi, tipo boia, e celebra il rito. Legge
dei passi della Bibbia, al contrario. Forse, i salmi. Biascica parole incomprensibili. Sapone, che lo aiuta, sta un
passo indietro. Il suo look è davvero surreale: anche lui
sfoggia quel cappuccio da boia e in mano ha un coltellaccio. Ma a osservarlo bene c’è da rimanere interdetti:
sopra i jeans il petto è nudo. Anche d’inverno, anche
quando fa freddo, anche se la temperatura è polare.
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Sapone è un’icona sinistra e insieme farsesca. A un certo punto, Ozzy distribuisce la comunione. Le ostie ce le
procuriamo rubandole oppure le facciamo da noi con la
farina. Il rito blasfemo scimmiotta quello sacro, quindi
s’intinge l’ostia nel sangue che riempie il calice, un bicchiere di bronzo con un demone istoriato, più tardi un
calice di finto argento. Il rito prevede che i presenti si
taglino e facciano colare il sangue nel bicchiere. Poi ci si
mette in fila per la comunione, come a messa, e si arriva
davanti a Ozzy che inventa formule deliranti.
Le messe nere non hanno né capo né coda. Io credo che anche per Ozzy siano l’occasione per mettersi in
mostra. Per farsi notare dall’altro sesso. Per trovare nuovi adepti alle orge. Io credo che il satanismo in buona
parte esista per via del sesso. Questa è la mia impressione.
Però è anche vero che un’attività tira le altre. Ormai,
abbiamo superato tutti i limiti. Orge, messe nere, prove
di coraggio. E furti nei cimiteri, come nei film gotici.
Con alcuni raid notturni portiamo via di tutto: statue,
crocifissi, immagini della Madonna. Entriamo nei cimiteri dei paesi dell’hinterland di Milano, poi razziamo
dalle parti del Parco del Ticino e anche altrove. Lo scopo è duplice. Le croci e tutto il resto ci servono per le
messe nere, ma anche per i concerti che ho in mente di
dare. La coreografia per noi metallari è fondamentale.
Vuoi mettere un fondale suggestivo di statue e croci
per le nostre esibizioni canore? Però faccio fatica a
ricostruire con esattezza quei blitz nella quiete dei piccoli cimiteri: le profanazioni avvengono sempre al buio
e poi siamo fatti. Strafatti. Io più di tutti. Faccio fatica a
essere presente. Ci sono giorni, giorni che si allungano
a settimane, in cui sono spento. Immerso in un black
out. Fuori uso. Vivo, agisco, faccio, ma non ricordo,
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non seguo un filo, non distinguo il reale dall’immaginario.
Ricordo le profanazioni a flash. Ricordo il raid a Pessano con Bornago. E a Crespi d’Adda. Crespi d’Adda
ha un cimitero famoso, famosissimo, utilizzato anche
dai registi horror. C’è un lungo viale alberato, la nebbiolina, una piramide atzeca, tombe del Settecento. Un
luogo mitico. Noi entriamo in piena notte, rompiamo,
sfasciamo, portiamo via quel che ci serve. Le tombe però
no, quelle non le apriamo, non le abbiamo mai aperte.
Ricordo. Ma sono coriandoli. Bagliori nella notte. Lampi
nel buio.
La droga è il mio metronomo. La droga e la musica
e tutto il resto. Le catene. Le allucinazioni e Noctumonium. Il gruppo è consolidato e ora si è avvicinato a
noi un altro ragazzo: è Massimino Magni. Io ho messo
un’inserzione su «Metal shock», una rivista. Da quando Francesco se n’è andato e devo rimpiazzarlo. Fabio
ha preso il suo posto al basso, mi manca il batterista e
finalmente Magni riempie quel buco. I Ferocity sono
di nuovo a ranghi completi. Magni suona e suona bene,
ma rimarrà sempre estraneo all’avventura satanista. Lui
sarà sempre un passo indietro.
Con gli altri, invece, è un susseguirsi di catene. Di sogni
guidati. Di visioni. Di giochi di ruolo. Noctumonium
parla ancora una volta attraverso di me: «Chiamateci
pure demoni o come più vi piace, ricordate solo che
non potete scappare da questa realtà. Dovete sempre
mantenere il segreto. Niente è per caso. Dovete seguire
le istruzioni ed essere liberi allo stesso tempo».
Il messaggio è di difficile interpretazione. Non è chiaro
nemmeno se Noctumonium sia un demone, uno spirito
o un’altra entità. C’è sempre una certa ambiguità nelle
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sue parole: «Chiamateci pure demoni», ma allora Noctumonium lo è o no? Dare una definizione tranchante
è sempre un azzardo. Di sicuro Noctumonium parla di
cose dell’altro mondo. Quale sia quest’altro mondo è un
problema. Noctumonium ci dà questa informazione e la
affida a me. Poi, in una chiesetta sconsacrata del Parco
del Ticino, ripete le stesse parole dalla bocca di Marco.
E questo turbinio di visioni e sogni e catene ci fa
conoscere altre entità. Ora i demoni, o spiriti, sono cinque. C’è Noctumonium, signore del ghiaccio, del freddo e del silenzio; poi c’è Mortiferium feroce, signore del
fuoco; Mortifugo che è il signore della morte; Sataemonium delirium, imperiale, e Gelimero che è il signore
della follia. Gelimero è l’unico che sono riuscito a trovare nella realtà perché era il capo dei Vandali.
Noi ci stiamo costruendo una nostra realtà. Parallela.
Riceviamo informazioni dall’altro mondo. Ci arrivano
messaggi mirati. Dobbiamo eseguire dei compiti. Organizziamo catene su catene, nei soliti parchetti o nelle
solite fabbriche abbandonate. Io cado in trance e faccio
il nome di un demone che non si è mai sentito. Mortiferium feroce, Mortifugo, Sataemonium delirium... Poi
in un sogno collettivo ecco la conferma. Il mondo delle
ombre non ci vuole più lasciare.
E la banda satanica, ormai con un nocciolo duro ben
definito, si allarga. Si allarga ancora. Al Parco Sempione, il solito ritrovo degli sfaccendati come noi, Ozzy
intercetta due streghe, due stregonesse che dicono di
praticare la magia. La wicca. Giulia e Stefania. Parlano
di candele, di un’entità con cui vorrebbero entrare in
contatto, Enea, di altre diavolerie. Io e Marco le portiamo a una seduta, una delle tante, credo a Cologno.
E quando appare Noctumonium, o Mortiferium fero6. PROVE DI CORAGGIO, ORGE E MESSE NERE
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ce, chi se lo ricorda, scappano. Spaventatissime. Giulia
non si farà più vedere, Stefania invece supera lo shock
e torna a frequentarci. È affascinata da noi. E lega con
Ozzy. Diventa la sua fidanzata. E, come spesso capita quando in un ambiente maschile compaiono delle
donne, rompe gli equilibri. Diventa oggetto di contese,
di gelosie, di rancori. Di conflitti sempre più esplosivi,
incontrollabili, infine mortali.
Succede che Ozzy la porti a un’orgia. In una villa,
forse a casa di un amico di Stefania. Ozzy e Stefania
fanno l’amore. Davanti a tutti. Anche davanti a Fabio.
E a Fabio Stefania piace. Piace molto. La vede nuda,
la vorrebbe per sé, va fuori di testa, ci prova. Ma Stefania non fa in tempo a dire di sì o di no, Ozzy interviene quasi subito e lo blocca. I due litigano. È un brutto
momento. E non finisce lì. Quella sera ci troviamo per
una seduta a Villa Fiorita, a Brugherio. E prima del
meeting Ozzy, sibillino, dice a Fabio: «Per te ci saranno
delle sorprese». Quali?
La seduta inizia. Poi, all’improvviso, tutti si accendono
una sigaretta. Tutti tranne Fabio e il sottoscritto. Strano.
Ozzy si rivolge a Fabio: «Fabio, alza la maglietta». Lui
obbedisce. Ma che succede, la solita prova di coraggio?
Ozzy si alza e va a spegnere la sua sigaretta sul braccio
di Fabio. Gli altri, come obbedendo a una regia prestabilita, ripetono lo stesso gesto. Marco si alza e spegne
la cicca nel braccio di Fabio. Eros fa lo stesso. E così
Nicola. E gli altri. Io li guardo allibiti e balbetto: «Ma
che fate? Ma che state facendo?». Sono esterrefatto,
c’è qualcosa di cattivo in quel gesto. «Ma che c... state
facendo?» Adesso grido. «Ma come lo rimandiamo a
casa?» C’è per la prima volta un’esplosione di violenza
fra di noi, dentro la banda, fra i suoi componenti.
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Fabio resiste, anche se dev’essere doloroso, dolorosissimo, lui dev’essere convinto che si tratti dell’ennesima prova di coraggio e non fa una piega. Non piange.
Non si lamenta. Nulla di nulla. Anzi no, a un certo punto
urla per il dolore. Poi si riprende. E tace. Tace anche
quando Ozzy, il vampiro, lo morsica ferocemente sul
collo aprendogli uno squarcio. Fabio non si lascia sfuggire un lamento, però è perplesso. Molto perplesso. E
io più di lui. Questa non è una prova di coraggio. Ma
che cosa è? Sono impietrito, ma che sta succedendo?
Ora è Stefania che si alza, va verso Fabio come per
dirgli qualcosa: «Così impari a non provarci più un’altra volta». Ah, adesso ho capito: Ozzy non poteva più
tollerare quella sfida sfrontata, frontale, quasi esibita
nella sua fragilità da Fabio. Che oltretutto è piccolo.
Il più piccolo. Quasi la mascotte del gruppo. Così ha
deciso di punirlo. Alla sua maniera. Deve aver consultato gli altri, io però non ne sapevo nulla.
Ora però so che quel giorno è stata innescata la miccia dell’odio, dell’odio bestiale, che porterà Fabio alla
morte. Quel giorno Fabio comincia a morire. Fabio
pagherà per la sua audacia con le donne. Prima con Stefania, poi con Chiara. Al processo si diranno tante belle
cose, si costruiranno teorie complesse e complicate, si
inseguiranno ragionamenti indimostrabili, ma la verità
è molto più semplice. Terra terra. Banale. Fabio è morto anzitutto per una questione di donne. Di gelosia. Di
rispetto mancato verso capi e capetti di un gruppo che
pure non avrà mai un leader vero. E riconosciuto.
Io la penso così e so che come me la pensano anche
altri come Simone. Chi è Simone? Simone è del giro
di Ozzy. È lui a presentarcelo. A spiegarci che appartiene alla sua setta. In effetti, questa setta, a ripensarci,
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non dev’essere composta solo da Ozzy e Nicola, no, c’è
anche questo Simone. Che abita a Busto Garolfo, entra
nel gruppo e quella sera assiste al mezzo linciaggio di
Fabio. Simone racconterà poi di aver collegato quegli
episodi di violenza con la morte di Fabio. C’è un nesso,
un nesso forte ma subdolo e viscido, fra quegli screzi di
fidanzati e amanti delusi, e le morti terrificanti di Fabio
e Chiara. Fabio è morto perché ha cercato di mettere
le mani sulle donne di Ozzy. Nessuno mi può levare
questa idea dalla testa. Ci arriverò. Ci tornerò sopra.
Certo, Fabio, dopo quella terribile giornata, non si
ferma. Non si allontana dalle Bestie come Chiara, come
Francesco, come Luca. Non fa un passo indietro; no,
si esalta sempre più, forse per via dell’età. È troppo
giovane. Solo quindici anni. Troppo impulsivo. Troppo
sopra le righe. Nessuno lo consiglia per il suo bene. È
sempre più un satanista convinto, fa discorsi di morte,
dice di voler far fuori i suoi. I suoi che in realtà gli sono
sempre vicini, lo marcano stretti, non lo mollano mai.
Il papà di Fabio, Michele, che io conosco bene perché vado spesso a casa loro, è un tipo tosto. Uno che
non le beve. E insieme alla moglie tempesta Fabio di
domande. Le domande che qualsiasi genitore porrebbe
al figlio: «Ma che hai fatto? Cosa sono quelle cicatrici?
Quei segni? Quelle bruciature?». Fabio s’arrampica
sugli specchi, s’inventa una rissa, lo scontro con una
banda di Cologno. O di Brugherio, non ha importanza.
In qualche modo li svia, li tampona, ma i genitori di
Fabio stanno all’erta. Devono aver capito che qualcosa
non quadra. Non funziona. Non gira.
Solo che Fabio è tutto proteso nel nostro delirio, non
sente altro. Si fa di acidi. Come me. Insieme a me. Più di
me. E s’intrippa per Glen Benton, il bassista e cantante
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dei Deicide, gruppo death metal fra i più estremi. Glen
si è marchiato a fuoco sulla fronte una croce rovesciata e
sostiene che a trentatré anni, quando raggiungerà l’età di
Cristo, si suiciderà. Sparate. Cazzate giovanili. Da shekerare con gli altri ingredienti della nostra vita: l’Lsd, la
cocaina, le micropunte di acido lisergico. Le nostre note
rabbiose, il nostro abbaiare gutturale, il nostro brutal
death metal che è più estremo di quello già estremo di
Glen. Le nostre catene. Gli ordini di Noctumonium. Le
orge in cui la libertà più sfrenata convive con sentimenti
oscuri: è in quelle ammucchiate che impariamo a odiarci.
E a coltivare l’arte dell’odio e della vendetta.
Ma per il momento teniamo. E cresciamo ancora.
In quell’interminabile ’96, Ozzy, dopo averci portato
Sapone e Simone, ci presenta anche Chiara. Chiara è la
sua vicina di casa, a Corsico, dall’altra parte dell’hinterland. E Chiara entra subito nel giro delle sedute, delle orge e di tutto il resto. Del resto Ozzy è stato chiaro: «Lei è una satanista fatta e finita». Probabilmente
appartiene alla solita setta di Ozzy, quella di Nicola e di
Simone. Ora siamo in dieci: io e Fabio, Marco, Wedra,
Eros, Ozzy, Nicola, Simone, Stefania e Chiara. Poi c’è
Massimino che deve aver capito ma che resta fuori.
Suoniamo insieme. E stop. Io vado a scuola al «Don
Calabria», lui al «Maxwell», sempre a Cimiano, a due
passi dal mio istituto. Ed è proprio al «Maxwell» che
i Ferocity si esibiscono per la prima volta. È il nostro
debutto: io, Fabio e Massimino. Un trionfo. Un sacco di gente. Applausi. Sia chiaro, il nostro repertorio
si limita al solito poker: Final fire, Needles incarnated,
Chiese al rogo, Massacre of blood. Brutal death metal
che di più non si può. Sembriamo serial killer e forse lo siamo. Di sicuro, lo stiamo diventando. I ragazzi
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che assistono alla performance si esaltano, tanto nessuno capisce il nostro inglese che cola morte, crocifissi,
Madonne calpestate, preti sodomizzati e massacrati. Se
qualcuno avesse la percezione di quello che stiamo gridando, rabbrividirebbe. Ma non è così. L’incoscienza,
l’inconsapevolezza, la più satanica anestesia mentale ci
avvolgono e ci accompagnano.
Insieme ai tatuaggi. Guerrieri è un tatuatore e comincia a tatuarci. Sulla spalla destra porto ancora un enorme
tatuaggio: è un demone. Ci vogliono quattro sedute per
realizzarlo. Un mese. Da lontano non si distingue bene,
è fatto apposta così, bisogna avvicinarsi per capire, per
cogliere le linee, le forme, quel viluppo sinuoso e scuro
di zampe, braccia, testa. Quel mostro in azione, come un
polipo gigante. Pronto a divorare la preda. Quel demone
sale su, sopra la spalla, e scende verso il braccio, appollaiato sui miei muscoli ben scolpiti. Non andrà più via,
perché se provassi a cancellarlo rimarrebbe la cicatrice.
Grossa. Solo la croce, la croce rovesciata, è bianca, chissà
perché, l’ho lasciata così e potrebbe essere eliminata. In
qualsiasi istante. Ma quel demone è il mio passato. Non
posso e non voglio eliminarlo. A sinistra, invece, Wedra,
mi tatua la parola Ferocity. Ferocity, come il mio gruppo e la mia esistenza. F-e-r-o-c-i-t-y- con i suoi caratteri,
vocali e consonanti, particolari, unici, originali. Mai visti
prima. Come l’alfabeto che i demoni ci insegnano giorno per giorno, visione per visione, sogno per sogno. Un
alfabeto completo, con le sue lettere, i suoi numeri, le
sue pronunce.
Sono passati tanti anni, ma anche il logo dei Ferocity
è rimasto lì. Al suo posto.
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