il ministero del lettore e del salmista

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il ministero del lettore e del salmista
L’ARTE DELLA PAROLA
NOTE DI TECNICA VOCALE
Scrive papa Benedetto nell’esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini (2010) al
n. 58: «La preparazione tecnica deve rendere sempre più idonei all’arte di leggere in
pubblico, sia a voce libera, sia con l’aiuto di moderni strumenti di amplificazione». Se il
leggere in pubblico davanti all’assemblea liturgica è un’arte, il lettore è un artista che,
partendo da una certa inclinazione per il compito che è chiamato a svolgere, si applica per
affinare le sue capacità di utilizzare la voce fino a un livello eccellente.
Diventa così indispensabile una certa «preparazione tecnica» che comporta almeno quattro
ambiti: la buona disposizione complessiva; la conoscenza dello strumento voce; la cura della
dizione; la ricerca dell’espressività. Sono questi i quattro capitoli che affronteremo insieme,
predisponendoci poi a una verifica pratica sulle letture della domenica di Pentecoste.
1. La buona disposizione complessiva
Quando ci si appresta a leggere dall’ambone, prima di focalizzare l’attenzione sull’uso
della voce, è necessario fare attenzione a tutti quanti gli aspetti concreti che circondano
l’atto della proclamazione verbale.
In primo luogo, vanno osservati i movimenti e i gesti che precedono la proclamazione della
parola. Il camminare con calma, il portare il libro e il deporlo con proprietà, l’aprirlo e il
chiuderlo senza scatti e senza rumori molesti, lo stare con i piedi ben appoggiati, tutto
esprime la consapevolezza dell’atto del porgere la parola alla comunità dei fedeli. Anche
quel piccolo momento di attesa perché l’assemblea sia seduta e attenta; lo sguardo buono,
ma fermo, rivolto verso di essa, tutto contribuisce a stabilire un buon rapporto
comunicativo e a creare il giusto clima per l’ascolto.
In secondo luogo, occorre sorvegliare il tratto esteriore, il modo con cui ci presentiamo.
Abiti e capigliature che attirano molto l’attenzione (per la loro eccentricità, per la
mancanza di modestia, per l’eccessiva appariscenza, per la loro sciatteria e il loro
disordine, ecc...) distolgono i fedeli dall’ascolto e possono mettere in imbarazzo lo stesso
lettore. Calzature particolarmente ricercate (e magari anche rumorose), monili vistosi,
colori sgargianti, ecc..., tutto può dare l’impressione più di una passerella di moda che di
un servizio reso alla Parola di Dio.
Allora la prima domanda da porci diventa: complessivamente il mio modo di presentarmi è
di ostacolo o favorisce l’annuncio e l’ascolto della Parola di Dio?
2. La conoscenza dello strumento voce
Poiché il lettore fa un uso specifico della voce, è necessario che egli conosca le
caratteristiche principali di questo straordinario «strumento» sonoro.
La voce è il nostro primo biglietto da visita. Essa nasce dalla vibrazione delle corde vocali
provocata dal flusso d’aria emesso dai polmoni. Grazie alla muscolatura che avvicina o
allontana tra loro le corde vocali e che le mette più o meno in tensione la voce umana ha un
suono più grave o più acuto, una nota più o meno alta (più le corde vocali sono in tensione,
più il suono è acuto e viceversa).
Altra è poi la voce maschile, altra quella femminile; altra è la voce infantile, altra quella
senile. Ogni stagione della vita ha la sua propria voce ed è importante che ciascuno sappia
riconoscere le caratteristiche della propria voce in rapporto al genere (maschile o
femminile) e all’età.
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Ciascuna voce è caratterizzata da un timbro particolare. Solo per esemplificare, senza la
pretesa di fare un elenco esaustivo, la voce umana può essere profonda, sonora, piena,
robusta o debole e fioca; argentina, chiara e squillante o roca, stridula, gutturale, nasale,
velata, ecc... Un lettore deve rendersi conto del proprio timbro di voce per poi lavorare in
modo da rimodularlo, adattandolo alle complesse esigenze della lettura in pubblico.
La voce risuona in tante situazioni diverse: nel parlare intimo e colloquiale e nel parlare
sociale in gruppo; nel sussurro e nel grido; nella recitazione e nel canto; nella lettura
privata e nella lettura pubblica.
All’emissione della voce concorrono il respiro, il movimento della lingua e delle labbra, la
posizione dei denti e il complesso dei muscoli facciali.
Elemento fondamentale per la lettura in pubblico è il respiro. Molti respirano solo con la
parte alta del petto, sollevando le spalle. Con questa respirazione «alta» solo una parte (un
quarto) dei polmoni viene effettivamente riempito e il fiato rimane corto.
Per un respiro più profondo, più adatto alla lettura pubblica, è necessario imparare la
respirazione diaframmatica, che si ottiene gonfiando prima l’addome e poi il torace. Essa
permette un afflusso maggiore di aria a beneficio del fiato e, nella fase dell’espirazione, per
un migliore controllo del volume della voce. La respirazione diaframmatica permette
inoltre di tenere meglio sotto controllo le tensioni emotive (paura, ansia, spavento,
agitazione, ecc...) che spesso vanno a interferire pesantemente con la lettura in pubblico.
Alla respirazione diaframmatica consegue un migliore controllo del flusso dell’aria per una
corretta emissione del suono. Tale controllo si avvale di due procedimenti complementari
quali l’appoggio e il sostegno della voce. L’appoggio fa sì che la voce non ci scappi di
mano risultando più forte, più alta, più stridula, più sgradevole di quanto vogliamo; il
sostegno permette alla voce di non risultare più debole, fragile e incerta di quello che deve
essere. L’appoggio e il sostegno sono collegati tra loro e la loro combinazione favorisce
l’uso anche prolungato della voce evitando un eccessivo affaticamento.
Solo se prendiamo coscienza di come respiriamo quando leggiamo in pubblico, diventiamo
capaci di valutare i difetti della nostra emissione della voce e di provvedere a eventuali
interventi correttivi.
Perché si dia lettura pubblica, l’atto di respirare si compone, senza soluzione di continuità,
con i movimenti della lingua e della bocca, con l’apertura e la chiusura della dentatura, con
la risonanza nel cavo orale e nei cavi nasali e, più in generale, con l’attivazione di tutta
quanta la «maschera facciale» composta da una quarantina di muscoli diversi. Alcune
difficoltà di pronuncia dipendono dal modo con cui muoviamo la lingua, da come apriamo
o meno la bocca e i denti, da come facciamo risuonare l’aria nel cavo orale e nei cavi
nasali e da come valorizziamo o meno la molteplicità dei muscoli facciali. Nell’esercizio
concreto del suo ministero un buon lettore tiene conto di questo complesso di elementi,
senza sottovalutare l’importanza di ciascuno.
Ecco allora qualche suggerimento pratico: dedicare qualche minuto ogni giorno ad
apprendere o incrementare la respirazione diaframmatica; esercitarsi a leggere aprendo
bene la bocca e articolando bene i muscoli facciali; scandire bene le sette vocali (a, i u ò ó
è é), le consonanti LABIALI (P B M quando si muovono le labbra – es. piede, bue, mano),
DENTALI (D T quando la lingua preme contro i denti – es. dado, tempo), DENTALI
SIBILANTI (S Z quando si accostano i denti – es. sordo, zucchero), LABIO-DENTALI (F
V quando si usano labbra e denti – es. fiore, vaso), LINGUALI (L R quando si muove la
lingua – es. luna, rosa), GUTTURALI (C G Q suono duro quando la lingua ritrae verso la
gola – es. cane, gatto, quadro), PALATALI (C G suono dolce quando la lingua preme sul
palato – es. ciliegio, gioiello), NASALI (M N quando l’emissione del suono avviene
attraverso il naso – es. mamma, nonno).
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3. La cura della dizione
Usiamo il termine «dizione» in senso molto ampio. Non solo la buona pronuncia e la
chiarezza delle parole, ma l’insieme della buona comunicazione di un testo proclamato in
pubblico (chiarezza e verità della comunicazione). Nella buona dizione rientrano così: la
corretta respirazione, la giusta accentazione, l’esatta impostazione della voce, la corretta
articolazione delle sillabe, l’esatta velocità e il giusto ritmo della lettura, il buon fraseggio.
- La corretta respirazione. Già abbiamo parlato della respirazione. Qui completiamo
dicendo che, per dire bene in pubblico, occorre padroneggiare il proprio respiro: solo una
buona respirazione garantisce una buona dizione. Chi è impaurito o ansioso, chi è appena
arrivato e non dispone appieno del suo respiro difficilmente può compiere una buona
comunicazione verbale. Se si resta senza fiato a metà frase o si respira in un momento
improprio, si crea disturbo nell’ascoltatore e si compromette l’intellegibilità del testo
proclamato. Corretta respirazione è garantire fiato all’intera frase da leggere e garantirsi la
possibilità di imprimere alla frase l’intensità espressiva necessaria (volume, intonazione,
intensità).
- La precisa accentazione. Senza accento non c’è parola. La lingua italiana presenta due
tipi di accentazione: tonica e fonica. L’accento tonico indica l’appoggiatura della voce su
una determinata vocale all’interno della parola che si pronuncia (ad es. Gàlati e non Galàti;
persuadère e non persuàdere, Sennàcherib e non Sennachèrib, prosèliti e non proselìti);
l’accento fonico indica se una vocale è aperta o chiusa, e riguarda specificamente la E e la
O, che possono essere aperte (è ò – es. vècchio, fòrte) o chiuse (é ó – es. vélo, rósso). Se
non sempre sappiamo bene qual è l’accento tonica di una parola (nel Lezionario abbiamo
abbondato nel mettere l’accento tonico anche dove in italiano non ci va per aiutare il
lettore) ancora più difficile è l’uso dell’accento fonico, perché nelle parlate regionali o
provinciali tutto si confonde. Noi lombardi diciamo perchè (e aperta) anche se si scrive (e
si dovrebbe leggere) perché (e chiusa) oppure dòccia, mentre giusto sarebbe dóccia.
Quando abbiamo il dubbio su dove porre l’accento (accento tonico) o su come pronunciare
le vocali (accento fonico) dobbiamo ricorrere al Dizionario che, come dice la parola stessa,
ci insegna anche la giusta dizione.
- L’esatta impostazione della voce (o fonazione). Per una buona lettura in pubblico
occorre una voce robusta, calda, sicura, non troppo acuta o stridula. Impostare la voce
significa superare l’istintività della parola per trovare la misura giusta, adatta a quel
contesto e a quella platea di persone: altro è leggero in Duomo davanti a mille persone,
altro è leggere in una piccola chiesa di campagna davanti a 50 persone; altro è leggere a
voce scoperta, altro è utilizzare il microfono; altro è leggere una lettura di pochi versetti,
altro è leggere una lunga lettura. Il microfono può aiutare a completare l’impostare della
voce, attenuando alcune carenze (minore robustezza di voce, scarsa forza comunicativa),
ma va usato con criterio, perché potrebbe, al contrario, amplificare alcuni difetti (una certa
cantilena, una cadenza dialettale, una lettura monocorde, ecc...). Bisogna pensare alla
propria voce come a un vero e proprio strumento musicale, che va sempre accordato prima
dell’uso. Questo significa che è necessario imparare ad ascoltarsi, annotando i pregi e i
limiti della propria voce e poi, da soli o con l’aiuto di altri, provare a introdurre dei
correttivi che aiutino a impostare meglio la propria voce. La voce si educa e si modula con
la pazienza e con l’esercizio.
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- La corretta articolazione delle sillabe. Una buona lettura in pubblico esige che le parole
siano dette distintamente, pronunciando con chiarezza ogni sillaba, senza lasciar cadere le
sillabe finali. Ciò viene facilitato da una lettura non stanca o cadente o trascinata, ma
vigorosa e motivata. Può capitare di avere qualche particolare difficoltà nell’articolazione
di un certo gruppo di sillabe (interpetrare, invece di interpretare; conservare, invece di
conversare; Tessalocinesi, invece di Tessalonicesi, ecc…) o di avere un difetto di
pronuncia (una cadenza fastidiosa, un marcato accento dialettale, una balbuzie, ecc…). È
buona cosa, di fronte a parole impegnative (es. Deuteronomio, eunuco, giustificazione,
circoncisione, ecc...) fare prima un esercizio di sillabazione (De-u-te-ro-no-mi-o; eu-nu-co;
giu-sti-fi-ca-zi-o-ne; cir-con-ci-si-o-ne, ecc...). Parlare bene in pubblico significa
«masticare» ogni parola, evitando di scivolare sulle consonanti e usando per ogni suono la
giusta energia. Lavorare sull’articolazione delle sillabe significa acquisire la capacità di
gestire in modo corretto il flusso d’aria vibrante (la voce) con la cavità orale, la lingua, le
labbra, i denti e le fosse nasali per ottenere la migliore pronuncia delle parole della lingua
italiana. Con pazienza e con tenacia si possono correggere i difetti più gravi e migliorare
complessivamente la fluidità delle parole.
- l’esatta velocità e il giusto ritmo della lettura. Le due cose sono correlate. La velocità
della lettura è data dalla quantità di testo letto in un dato tempo; il ritmo è dato dal modo
con cui le parole si susseguono una con l’altra. Nella lettura in pubblico occorre trovare
una velocità media, che permetta un buon ascolto, senza creare difficoltà di comprensione
nelle parole e nelle frasi, ma anche senza dare adito alla noia e al fastidio. La maggior parte
dei lettori legge troppo in fretta. Bisogna sempre ricordare che chi ascolta ha bisogno di
tempo per poter organizzare i suoni che sente in una frase dotata di senso. Inoltre la
velocità deve variare secondo il genere letterario del testo: la poesia del salmo, in genere, si
legge più lentamente, della narrazione di un avvenimento (ad es. il passaggio del Mar
Rosso). Attenzione anche a evitare una lettura a strappi. Il ritmo della lettura deve essere
equilibrato, non precipitoso (rischiando di mangiare le sillabe e di incespicare o dando
l’impressione di non dare peso alle parole), ma anche non eccessivamente rallentato (al
punto da produrre un senso di fastidio o di tedio nell’uditore). Per rendere bene il ritmo di
una frase, è necessario lavorare con le pause, ma sempre in modo che la frase sia
scorrevole e uniforme. Il ritmo può e deve variare in alcuni punti della lettura per
esprimere al meglio l’intensità, la rapidità o la sospensione del testo.
- Il buon fraseggio. Le singole parole si compongono all’interno di frasi che hanno un
movimento di crescita e di decrescita. Se una frase è secondaria – spiegazione con una
subordinata o con un’apposizione di una frase principale – deve essere letta con tono
leggermente più basso, che la stacchi dalla principale. Una frase interrogativa è tutta in
crescendo, e fin dall’inizio bisogna far sentire il punto di domanda. Una frase esclamativa
deve esprimersi con un’enfasi adeguata. Per un fraseggio corretto si deve tener conto della
punteggiatura, con l’avvertenza che la punteggiatura orale non è perfettamente coincidente
con quella scritta. La lettura pubblica consente infatti di sottolineare vocalmente le parti
più significative di un discorso, evidenziandole nel contesto della frase. Il fraseggio ha
bisogno delle pause. La pausa nella lettura è altrettanto importante della parola. Il testo
liturgico dà indicazioni di pause nella ripartizione del testo. Altre pause si possono inserire
a servizio del senso del discorso. La pausa serve anzitutto per riprendere fiato, ma è
decisiva per il colore complessivo della lettura. La pausa nella lettura non è mai
prolungata. È sempre un breve stacco, che va a ripartire il testo. Per un buon fraseggio,
punteggiato di pause è perciò necessario leggere e rileggere un testo da proclamare,
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possibilmente ad alta voce e, quando serve, segnando a matita le pause orali e gli accenti
espressivi.
4. La ricerca dell’espressività
Il lettore non è un attore, uno speaker televisivo o un fabulatore. Il lettore è un buon
annunciatore che porge la parola di un Altro ai suoi fratelli credenti affinché questa parola,
attraverso l’apparato acustico, penetri nella mente, smuova gli affetti e promuova uno stile di
vita rinnovato. Questo significa che la sua lettura deve essere inespressiva? No, anzi è vero il
contrario. Solo una comunicazione espressiva trasmette un testo che diventa comprensibile.
Anzi, quando la comunicazione non è espressiva, si può quasi scommettere che il lettore non
sta capendo lui per primo quello che proclama.
Il primo elemento da valorizzare per una lettura espressiva è dato dal tono della voce. Il tono
definisce l’intenzione del lettore, che sale e scende di intensità a secondo dei passaggi del
testo: se il testo vuole trasmettere allegria o tristezza, timore o fiducia, minaccia o
incoraggiamento lo si capirà dal tono di voce usato, dall’enfasi o meno attribuita a un
passaggio, dall’appoggio dato a una parola piuttosto che a un’altra. Proviamo a leggere questa
semplice frase: Perché non vai alla riunione? Diverso è se io pongo l’accento sul perché (la
causa del tuo non andare), sul vai (il verbo) o sulla riunione (il termine). Il secondo è dato dal
volume della voce. In genere, nella lettura in pubblico si dovrebbe parlare con un volume più
alto di quello che si usa nella comune conversazione. Inoltre bisognerebbe parlare spingendo
la voce «in avanti», non trattenendo il suono della voce in fondo alla gola, ma proiettandolo
lontano come quando si chiama qualcuno che è distante. All’interno di questo criterio
generale, sta poi la modulazione del volume. Un passaggio più intimo e raccolto, smorzerà il
volume, mentre la descrizione incalzante lo eleverà progressivamente. La forza del volume va
quindi utilizzata e dosata in funzione dell’espressività e non come un valore in sé. Volume
alto non significa per ciò stesso «alta qualità». Il terzo e ultimo elemento da valorizzare è il
silenzio delle pause, degli stacchi espressivi, delle sospensioni. La parola vive in un corpo a
corpo con il silenzio. Il silenzio rafforza la parola e la parola riposa nel silenzio. Il dinamismo
parola silenzio rende espressiva la lettura, ma solo chi sa gestire la punteggiatura avrà lo
strumento adatto per gestire al meglio il dinamismo parola silenzio. Una nota particolare
merita la differenza tra il punto (e il punto e virgola) e la virgola. Mentre il primo ferma e
interrompe il flusso del discorso, creando una vera e propria pausa, la virgola ha il compito di
rilanciarlo, pur evidenziando una brevissima sospensione.
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