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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVII n. 56 (47.490) Città del Vaticano giovedì 9 marzo 2017 . I negoziati ad Astana tra governo e gruppi dell’opposizione In Ungheria approvata l’istituzione di campi chiusi La Lega araba sostiene i colloqui per la Siria Detenzione per i richiedenti asilo DAMASCO, 8. «Il cessate il fuoco che è stato consolidato in occasione dei colloqui di Astana è un passo positivo per fermare lo spargimento di sangue in Siria». Lo ha dichiarato ieri il segretario generale della Lega araba, Ahmed Abul Gheit, esprimendo la speranza che la tregua «venga rispettata». Nel suo intervento al consiglio della Lega araba, riunito al Cairo a livello di ministri degli esteri, Abul Gheit ha messo in evidenza che «il raggiungimento di uno stop ai combattimenti non porterà automatica- y(7HA3J1*QSSKKM( +/!z!%!z!;! Il premier iracheno in visita a Mosul BAGHDAD, 8. La sconfitta del cosiddetto stato islamico (Is) a Mosul è «inevitabile». Lo ha dichiarato il primo ministro iracheno, Haider al Abadi, che ieri ha fatto visita ai reparti militari impegnati nell’offensiva per liberare la seconda città dell’Iraq dai militanti dell’organizzazione jihadista. «Gli iracheni usciranno da questa battaglia a testa alta», ha aggiunto al Abadi citato dai media locali. Il primo ministro, che secondo quanto riferito dal sito Iraqi news, ha visitato anche l’aeroporto di Mosul, riconquistato dalle forze lealiste il mese scorso, è atteso nella regione del Kurdistan iracheno. Intanto le forze regolari irachene hanno conquistato anche gli uffici governativi della città di Mosul e il noto museo archeologico della città, teatro di uno dei più grandi scempi perpetrati dall’Is contro il patrimonio culturale mondiale. L’annuncio della riconquista giunge al terzo giorno dell’offensiva, durante il quale i filogovernativi hanno combattuto casa per casa per riprendere il controllo dei quartieri occidentali. Mosul è considerata un centro di rilevante importanza strategica, essendo il più grande punto di forza in Iraq dei jihadisti affiliati al cosiddetto stato islamico. I combattimenti sono ancora in corso e «bambini, donne e anziani sono le vittime maggiori di questa situazione. Alcuni di loro vengono anche usati come scudi umani durante l’offensiva. È emergenza umanitaria». L’allarme è stato lanciato da Mustafa Jabbar, operatore italo-curdo della Federazione degli organismi cristiani servizio internazionale volontario (Focsiv), che attualmente si trova ad Erbil, a circa 70 chilometri da Mosul. «L’Onu e le altre organizzazioni presenti sul territorio fanno il possibile ma non è sufficiente. Sono 10.000 le persone che ogni giorno fuggono da Mosul. Tanti tra loro sono i bambini e gli anziani, i campi sono poco attrezzati, organizzati con le sole tende e molte persone sono costrette a camminare scalze nel fango. Mancano cibo e medicinali ed è altissimo il rischio di epidemie», aggiunge Jabbar sottolineando che «bisogna intervenire subito» anche perché «la gente, quando scappa da casa, non ha il tempo per portarsi dietro nulla». Rileggere il Don Chisciotte CHRISTIANE RANCÉ A PAGINA 5 mente alla stabilità in Siria». Di conseguenza, ha aggiunto, «non vi è alternativa a una soluzione politica della guerra in corso che soddisfi le aspirazioni del popolo e tenga conto dell’unità della Siria e della sua integrazione regionale». Il leader della Lega ha poi criticato «la totale assenza araba» nelle varie iniziative «per una soluzione della crisi in Siria, rispetto alla considerevole presenza di forze regionali e internazionali, alcune delle quali non hanno a cuore gli interessi arabi». La tragedia siriana «è una ferita sanguinante nel cuore della comunità araba», ha tenuto a sottolineare Abul Gheit augurandosi che «i colloqui in corso tra governo e opposizione siriani con il patrocinio delle Nazioni Unite possano continuare fino al raggiungimento di una soluzione». Intanto i capi di stato maggiore di Turchia, Russia e Stati Uniti, rispettivamente Hulusi Akar, Valery Gerasimov e John Francis Dunford, si sono incontrati nella mattinata di ieri ad Antalya per una riunione dedicata alla lotta al terrorismo e alla situa- zione militare in Iraq e in Siria. In un comunicato ufficiale Hulusi Akar si è detto soddisfatto dell’incontro con i pari grado, specificando al tempo stesso che le parti si sono scambiate utili informazioni riguardo le ultime mosse compiute per contrastare le organizzazioni terroristiche nella regione, hanno discusso di un possibile piano di sicurezza e hanno rinnovato l’intento comune a combattere contro tutti i terroristi. Una tregua valida fino al 20 marzo è stata proclamata nel frattempo nell’area di Goutha est, un bastione dei ribelli siriani a poca distanza da Damasco. Secondo quanto reso noto dal ministero della difesa russo, il cessate il fuoco è scattato alla mezzanotte di domenica scorsa e «finora non si sono registrate violazioni». La regione è quella in cui si trova il quartiere generale di Jaish al Islam, una delle principali fazioni in lotta contro l’esercito di Bashar Al Assad. Hamza Bayraqdar, portavoce dell’organizzazione, ha reso noto che Jaish al Islam non ha ricevuto alcuna notifica ufficiale che riguardi la tregua nella regione. Al tempo stesso, Ba- yraqdar ha sottolineato che la sua organizzazione «non ha intenzione di rifiutare alcun tipo di accordo che ponga fine allo spargimento di sangue e alla sofferenza della nostra gente». La situazione sul terreno è in continuo sviluppo. In queste ore sminatori russi sono attesi a Palmira per collaborare con i colleghi siriani nella neutralizzazione degli ordigni piazzati dai terroristi del cosiddetto stato islamico (Is). Lo ha reso noto il capo del Centro russo per la riconciliazione delle parti belligeranti in Siria (organo del ministero della Difesa russo) Alexiei Kim. All’inizio del mese l’esercito siriano ha riconquistato per la seconda volta in un anno la città di Palmira, città sede di un sito archeologico dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Nel maggio del 2015 Palmira era finita nelle mani dell’Is, che ha distrutto parte dei reperti archeologici. La città era stata riconquistata nel marzo del 2016 dalle truppe siriane, ma lo scorso dicembre era stata nuovamente occupata dai jihadisti. BUDAPEST, 8. Il parlamento ungherese ha dato via libera, ieri, alla legge che prevede la detenzione per i richiedenti asilo, fino alla decisione sul loro futuro. I migranti saranno, quindi, rinchiusi in campi di container al confine con la Serbia e la Croazia. Il primo ministro, Viktor Orbán, ha dichiarato che l’attuale tregua nei flussi è solo temporanea e che «l’Ungheria è sotto assedio». Orbán, parlando alla cerimonia del giuramento di un gruppo di guardie di frontiera, ha dichiarato che «l’Ungheria, per proteggersi, non può contare sull’Ue, ma solo su se stessa». Ha inoltre definito l’immigrazione come «il cavallo di Troia del terrorismo», aggiungendo che i migranti, in maggioranza musulmani, Confine tra Ungheria e Serbia (Ansa) sono una minaccia per l’Europa. Il premier ha poi affermato che «le persone che circolando nella zona di Schengen, arrivano non vogliono vivere se- per raggiungere le loro mete, la condo la cultura e gli usi unghere- Germania o la Svezia. Pintér ha si, ma secondo i loro e con gli sottolineato che «questo fenomeno standard di vita europei». rappresenta un rischio per la sicuIl parlamento ungherese ha vota- rezza di tutti». to, con 138 voti a favore, sei no e 22 astensioni, la legge che istituisce campi chiusi lungo il confine sud, con la Serbia e la Croazia, e obbliga i migranti che arrivano nel paese a restare in questi centri sotto la sorveglianza della polizia, aspettando la chiusura della loro pratica di asilo. Amnesty international ha parlato di «legge illegale e disumana». «Mettere tutti i profughi e i Il Santo Padre ha confermamigranti in container non è una to Presidente della Conferenpolitica sui profughi, è evitare di za Episcopale Italiana, fino averne una», ha scritto in un coalla nomina del nuovo Presimunicato l’associazione. dente in occasione dell’AsL’anno scorso in Ungheria solo semblea Generale che si terrà 425 persone hanno ottenuto il didal 22 al 25 maggio 2017, Sua ritto d’asilo su oltre 30.000 richiedenti; mentre circa 170.000 hanno Eminenza Reverendissima il attraversato l’Ungheria verso l’AuSignor Cardinale Angelo Bastria e la Germania senza fermarsi. gnasco, Arcivescovo di GeIl ministro dell’interno Sándor Pinnova. tér, motivando la legge contestata da diverse organizzazioni umanitarie, ha detto che moltissimi Il Santo Padre ha nominamigranti violano le regole: richieto Membro della Congregadono il diritto di asilo, e non zione per i Vescovi l’Eccelaspettano la fine della procedura, lentissimo Monsignore Gia- NOSTRE INFORMAZIONI Un uomo tra le macerie della sua casa in un sobborgo di Damasco (Afp) cinto Berloco, Arcivescovo titolare di Fidene, Nunzio Apostolico. Da Mogadiscio il segretario generale dell’Onu chiede alla comunità internazionale di agire al più presto Siccità e carestia attanagliano la Somalia MO GADISCIO, 8. Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, è arrivato ieri in Somalia per quella che lui stesso ha definito una «visita di emergenza», focalizzata sulla crisi scatenata dalla siccità, dalla carestia e dalla grave emergenza colera che ha colpito il paese del Corno d’Africa. «La gente sta morendo. Il mondo deve agire adesso per fermare tutto questo», ha dichiarato il segretario generale dell’O nu. Recentemente, le Nazioni Unite hanno detto che c’è solo «una finestra di due mesi per evitare una catastrofe dovuta alla siccità». La visita ha lo scopo di richiamare l’attenzione della comunità internazionale sulla crisi umanitaria, spiega in una nota l’Unsom, la missione di assistenza delle Nazioni Unite in Somalia. Tra gli appuntamenti di Guterres, è prevista anche la visita in un campo sfollati. La Somalia — insieme a Nigeria, Sud Sudan e Yemen — è uno dei quattro paesi citati dal segretario generale il mese scorso, quando ha lanciato un appello per ottenere aiuti per 4,4 miliardi di dollari, il minimo necessario — indicano gli analisti — a scongiurare catastrofiche conseguenze alla carestia in atto. La siccità ha colpito 6,2 milioni di somali. Il governo ha dichiarato lo stato di calamità naturale in alcune zone del paese — in particolare nella regione sudoccidentale di Bay — e le agenzie umanitarie temono che la situazione degeneri e si determini una carestia su ampia scala. Mancanza di cibo e colera hanno già provocato la morte di centinaia di persone, soprattutto bambini già indeboliti dalla fame. E le prospettive degli esperti sono allarmanti. Il Palazzo di Vetro e diverse organizzazioni umanitarie prevedono che quasi un milione di bambini quest’anno soffriranno di malnutrizione in forma acuta, inclusi oltre 180.000 minori che saranno gravemente malnutriti e avranno bisogno di sostegno urgente. Nei giorni scorsi, migliaia di persone si sono riversate nella capitale, Mogadiscio, in cerca di cibo. In una sola giornata, raccontano giornalisti sul posto, circa 7000 sfollati hanno cercato aiuto in un centro alimentare, Donne nel campo profughi di Baidoa (Ap) che però non è stato in grado di soddisfare una domanda così alta. Particolarmente difficile è poi il lavoro degli operatori delle agenzie umanitarie, che devono raggiungere le popolazioni più colpite in una situazione di conflitto tra le forze governative e i jihadisti Al Shabaab. Inoltre, a causa della mancanza di acqua potabile, è sempre più consistente la minaccia del colera. Il governo somalo ha sottolineato che la carestia «rende le persone più vulnerabili allo sfruttamento, le sottopone a un più alto rischio di violazione dei diritti umani e le getta in balìa di gruppi criminali e dei terroristi». «Con l’appoggio della comunità internazionale, è possibile evitare il peggio e fare imboccare alla Somalia la via della pace», ha detto il segretario generale durante un incontro a Mogadiscio con il nuovo presidente somalo, Mohamed Abdullahi Mohamed. «Dobbiamo fare quanto più rumore possibile», ha aggiunto Guterres: «Conflitto, siccità, cambiamento climatico, malattie, colera. La combinazione è un vero incubo». Il numero uno dell’Onu ha quindi auspicato il sostegno mondiale per fornire cibo e aiuti umanitari immediati alla Somalia. «Questa fame — ha concluso — richiede un’enorme risposta». Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo Metropolita dell’Arcidiocesi di Paraíba (Brasile) Sua Eccellenza Monsignor Manoel Delson Pedreira da Cruz, O.F.M.Cap., trasferendolo dalla Diocesi di Campina Grande. Nomine di Vescovi Ausiliari Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare di Washington (Stati Uniti d’America) il Reverendo Roy E. Campbell, del clero della medesima Arcidiocesi, finora Parroco della Saint Joseph Parish a Largo, assegnandogli la Sede titolare vescovile di Ucres. Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Belo Horizonte (Brasile) il Reverendo Padre Vicente de Paula Ferreira, C.SS.R., finora Formatore degli studenti di Teologia della Provincia Redentorista a Belo Horizonte, assegnandogli la Sede titolare vescovile di Castra nova. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 giovedì 9 marzo 2017 L’incontro dei leader si aprirà con l’elezione del presidente del consiglio Al vertice europeo sfide e prospettive di multivelocità BRUXELLES, 8. L’elezione del presidente del consiglio europeo, per la seconda metà del mandato quinquennale, sarà il primo punto nell’agenda del vertice europeo di domani a Bruxelles. Lo sottolinea il presidente del consiglio uscente, Donald Tusk, nella lettera di invito ai capi di stato e di governo dell’Ue. Ma sono tante le questioni urgenti da affrontare, sulle quali ci si aspetterebbe significative prese di posizione: dal controllo alle frontiere al nuovo regolamento sul diritto di asilo, dalle riforme istituzionali al commercio internazionale. L’ex primo ministro polacco Tusk è candidato al rinnovo del mandato, ma il governo di Varsavia ha fatto sapere di aver proposto un nome alternativo: l’eurodeputato Jacek Saryusz-Wolski. Sul futuro dell’Ue, pesa il pronunciamento, di due giorni fa a Versailles, dei leader di Francia, Germania, Italia e Spagna, che hanno apertamente parlato di necessità di collaborazioni rafforzate e di Europa a due velocità. Secondo indiscrezioni di stampa, Tusk considera la prospettiva di un’Europa a velocità multiple come un avvertimento a tutti sul rischio che l’Europa si possa disintegrare, se non viene ribadito il principio che «i 27 prendono la responsabilità di continuare l’integrazione dopo la Brexit». Sulla Brexit l’ultima parola al parlamento LONDRA, 8. Sulla via della Brexit, arriva un altro pronunciamento significativo nell’ambito del parlamento britannico. La camera dei Lord ha dato via libera a un emendamento, approvato nonostante la contrarietà dell’esecutivo, che chiede un voto vincolante delle camere su quello che sarà il risultato dei negoziati con Bruxelles. Ma a decidere sarà in ogni caso la camera dei comuni. Di fatto, i Lord hanno previsto un potere di veto alla fine del percorso di negoziato. In sostanza, se l’accordo che raggiungerà il premier Theresa May non dovesse piacere ai parlamentari, il governo dovrà tornare al tavolo dei negoziati. La camera alta di Westminster si è pronunciata in questo senso con 366 voti a favore e 268 contro. La settimana scorsa i Lord hanno accolto un emendamento che cerca di garantire gli stessi diritti riconosciuti in questi anni ai 3,3 milioni di cittadini dell’Unione europea già residenti nel Regno Unito senza aspettare di imporre il “principio di reciprocità” per i cittadini britannici denominati “expat” che il premier May considera imprescindibile. Ma la partita resta aperta. Entrambi gli emendamenti devono tornare alla camera dei comuni, cui spetterà l’ultima parola, con il voto previsto il 13 marzo. Si potrebbe anche tornare all’originario testo di legge presentato dal governo Tory, che lasciava al premier e ai ministri interessati più libertà di azione nei negoziati per il divorzio da Bruxelles. In ogni caso, May continua a ribadire l’importanza di rispettare la fine di marzo come scadenza per l’attivazione dell’articolo 50 che, secondo il trattato di Lisbona, dà il via a tutto il processo. E a Westminster si discute proprio la legge destinata a consentire a May di innescare il percorso formale di uscita del Regno Unito dall’Unione europea. GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va Il presidente uscente del consiglio europeo Donald Tusk (Ansa) Per i procuratori delle Hawaii è incostituzionale Troppe donne vittime di violenza Ricorso contro il Muslim Ban GINEVRA, 8. Il 35 per cento delle donne nel mondo ha subito violenza sessuale o domestica nel corso della propria vita. E nel 30 per cento dei casi le violenze sono state perpetrate da uomini con cui c’era o c’era stata una relazione. È quanto emerge dalle stime dell’O rganizzazione mondiale della sanità, che sottolinea che le vittime risentono di gravi conseguenze sulla salute fi- WASHINGTON, 8. Arriva dalle Hawaii la prima offensiva legale contro il nuovo bando della Casa Bianca che sospende l’erogazione di visti per i cittadini di sei paesi a maggioranza musulmana. I procuratori dello stato hanno spiegato che intendono chiedere al giudice federale un provvedimento temporaneo per bloccare l’attuazione del nuovo ordine esecutivo. Anche il secondo bando, ha detto alla Cnn Neal Katyal, uno dei procuratori, «sconta ancora gli stessi difetti costituzionali e regolamentari» di quello precedente. Il dipartimento di giustizia, da parte sua, ha sottolineato che il nuovo Muslim Ban ricade al di fuori delle ingiunzioni che avevano bloccato il primo. Le parti hanno chiesto al giudice di fissare un calendario di udienze a breve, prima dell’entrata in vigore del provvedimento, fissata per il 16 marzo. L’amministrazione statunitense, intanto, prosegue nell’attuazione del suo programma, annunciato in campagna elettorale. I repubblicani hanno presentato al Congresso la loro proposta per abolire e sostituire la riforma sanitaria voluta dall’ex presidente Barack Obama. «Il nostro splendido nuovo disegno di legge sulla sanità adesso è stato diffuso per essere esaminato e negoziato. Obamacare è un disastro completo e totale: sta implodendo velocemente!», si legge in un tweet del presidente Donald Trump. sica, mentale, sessuale e riproduttiva a breve e a lungo termine. Nella giornata internazionale della donna, si ricorda anche che cresce la disuguaglianza economica, salariale, di accesso al mercato del lavoro e ai fattori produttivi tra uomini e donne: l’Oxfam denuncia che «ancora oggi il salario di una donna è in media il 23 per cento in meno di quello di un uomo». In Georgia una delle tante manifestazioni nella giornata della donna (Reuters) Verso lo sciopero generale in Argentina tre 45 miliardi di reais (oltre 13 miliardi di euro), sia possibile riaccendere i motori dell’economia. Secondo Temer, inoltre, l’iniziativa dovrebbe generare «200.000 nuovi posti di lavoro, diretti e indiretti». L’istituto brasiliano di geografia e statistica ha confermato che il pil del Brasile è crollato lo scorso anno del 3,6 per cento, facendo registrare la recessione più lunga della storia per la maggiore economia dell’America Latina. Nel 2015, il prodotto interno lordo era calato del 3,8 per cento. L’OSSERVATORE ROMANO ganizzazioni non governative di oltre 20 stati — da Oxfam a Save the Children, da Care a International rescue committee (Irc) — in una lettera aperta indirizzata ai leader dell’Unione europea, chiedono di «formulare la risposta alle migrazioni secondo i valori e non la paura». In primo piano c’è sempre l’aspetto economico. In realtà si tratta del vertice di marzo tradizionalmente dedicato alle questioni dell’economia. Al summit infatti si ascolterà la relazione del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. La situazione sembra migliorare: Eurostat ha appena certificato che per la prima volta in 10 anni tutti i 28 attuali membri dell’Ue segnano una crescita e che la disoccupazione cala. Il tema sarà quello di individuare la via per consolidare la crescita. E ci sono poi scelte politiche importanti da fare anche in materia prettamente economica: sembra emergere la volontà di ribadire che l’Unione europea resta paladina del libero commercio con passi avanti nelle misure di difesa commerciale. Nel mondo crescono abusi e ingiustizie Dal Governo brasiliano misure antirecessione BRASÍLIA, 8. Il governo brasiliano risponde con un pacchetto di misure anticrisi ai dati ufficiali del prodotto interno lordo del 2016 divulgati ieri, che hanno confermato il perdurare di una grave recessione nel paese sudamericano. Il presidente, Michel Temer, ha infatti annunciato l’avvio di aste o il rinnovo di concessioni riguardanti 55 progetti infrastrutturali, tra autostrade, ferrovie, scali portuali e linee di trasmissione di energia. La previsione dell’esecutivo è che, attraverso l’investimento nel programma di ol- Qualcuno ribadisce che per iniziare un rilancio dell’Ue, dopo il simbolico passo della creazione del primo comando militare unificato deciso due giorni fa, si può cercare di continuare a crescere nell’Unione per la difesa e la sicurezza. Certamente ancora non c’è accordo in vista sulla revisione del sistema di asilo e del regolamento di Dublino. Né ci sono aperture in vista sulla ricollocazione dei rifugiati. Quindi, sembra più probabile che i leader cercheranno di trovare un terreno comune nella “dimensione esterna” dei problemi dell’immigrazione, con i “migration compact” e gli accordi di riammissione che l’Ue dovrebbe poter negoziare con i paesi terzi. Inoltre, ieri è stato varato il regolamento per stringere i controlli alla frontiera esterna, che riguarderanno tutti — compresi i cittadini europei — sia in entrata che in uscita, mentre chi arriva da paesi senza obbligo di visto dovrà compilare una dichiarazione particolare. A proposito della questione migrazione, va detto che più di 162 or- GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio BUENOS AIRES, 8. La seconda giornata di protesta contro la politica economica del governo argentino di Mauricio Macri si è chiusa ieri con alcuni episodi di violenza, dopo una dimostrazione di piazza che ha nuovamente bloccato il centro di Buenos Aires. È stata la Cgt, storica sigla del sindacalismo peronista, a convocare la manifestazione, all’indomani di quella promossa dagli insegnanti in sciopero, che ha visto sfilare decine di migliaia di persone nella capitale. Carlos Acuna, co-segretario della Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va Cgt, ha confermato la convocazione di uno sciopero generale, senza però fissarne la data, limitandosi a indicare che dovrebbe essere a fine marzo o inizio aprile. È questa indecisione che ha scatenato la rabbia di alcuni militanti sindacali, che hanno tentato di aggredire i dirigenti quando si ritiravano dal palco del comizio finale. Il messaggio a Macri comunque è passato: i sindacati «non intendono permettere che il governo imponga tetti nella trattativa salariale». Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Nel provvedimento sono conservati alcuni capisaldi della riforma di Obama, come la possibilità per i giovani di restare nell’assicurazione medica dei genitori sino a 26 anni e il divieto di negare una copertura a chi ha preesistenti problemi medici. Il sistema di sussidi federali dell’Obamacare è invece sostituito da crediti fiscali rimborsabili legati all’età e al reddito, per aiutare gli statunitensi ad acquistare l’assicurazione se il datore di lavoro non la concede. Ma questa modifica appare ad alcuni repubblicani come una sorta di welfare di stato. Cambia comunque la filosofia di fondo: gli obiettivi sono ridurre l’impegno dello stato federale, liberalizzare il mercato, creare polizze più snelle e meno onerose, cancellare l’obbligo individuale di assicurarsi a pena di una multa e cancellare una serie di tasse create dall’Obamacare. Resta l’incognita dei costi per questa riforma, che i repubblicani non hanno ancora dettagliato. Nuove rivelazioni di WikiLeaks WASHINGTON, 8. La Cia spierebbe telefoni cellulari e televisioni utilizzati anche come microfoni. Grazie a diversi programmi di hackeraggio l’agenzia statunitense sarebbe in grado di controllare gli smartphone di qualsiasi marca e alcuni tipi di smart tv, riuscendo a penetrare anche i sistemi criptati dei più popolari servizi di messaggistica. Lo scenario emerge dalle ultime rilevazioni di WikiLeaks, secondo le quali l’agenzia americana avrebbe nel consolato degli Stati Uniti a Francoforte la base sotto copertura del suo servizio di hacker che si occupa del cyberspionaggio in Europa, in Medio oriente e in Africa. L’organizzazione fondata e guidata da Julian Assange ha pubblicato oltre 8000 file sottratti alla Cia, che rischiano di scatenare una bufera attorno alla più popolare agenzia di spionaggio degli Stati Uniti. Per WikiLeaks le nuove informazioni riversate online potrebbero essere solo la punta dell’iceberg. Secondo l’allarme lanciato da Assange, la Cia avrebbe infatti perso il controllo di gran parte del suo cyber-arsenale, con il rischio di una proliferazione incontrollata di programmi che possono finire in mano a stati rivali, cyber-mafie e hacker di ogni tipo. «Una volta che una singola cyber-arma viene persa — emerge dalle rivelazioni di Wiki- Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Leaks — può diffondersi in tutto il mondo in pochi secondi». A colpire di più tra le migliaia di documenti postati sono quelli che riguardano il programma Weeping Angel, «in grado di infestare le smart tv trasformandole in microfoni», spiega l’organizzazione di Assange. In particolare, gli apparecchi attaccati vengono messi in una modalità tale che il proprietario pensa siano spenti. In realtà — sostiene WikiLeaks — le televisioni registrerebbero le conversazioni che si svolgono nella stanza e le invierebbero al server della Cia. Inoltre il controllo su smartphone, chat e social media, sostiene l’organizzazione di Assange, ha messo in pericolo grandi manager dell’industria internazionale, membri del congresso statunitense, il governo e persino l’account Twitter del presidente Donald Trump. Per di più dai file emergerebbe che nell’ottobre 2014 la Cia avrebbe anche valutato l’ipotesi di infestare con i suoi cyber-weapons i sofisticati sistemi di controllo usati sulle automobili e sui veicoli pesanti di ultima generazione. La stampa britannica, da parte sua, sta sottolineando la presunta complicità dell’MI5, i servizi segreti interni del Regno Unito, nel nuovo scandalo. In particolare si sottolinea il ruolo attribuito agli 007 di Londra nel rendere vulnerabili e nell’infiltrarsi nelle smart tv. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO giovedì 9 marzo 2017 pagina 3 Forze di sicurezza a Kabul nei pressi dell’ospedale assaltato dai terroristi (Ansa) Tra Pyongyang e Seoul Mediazione cinese Almeno trenta vittime nell’assalto rivendicato dall’Is Attaccato a Kabul un ospedale militare KABUL, 8. È di almeno trenta morti e decine di feriti il bilancio ancora provvisorio dell’attacco sferrato questa mattina da un commando armato contro l’ospedale militare Sardar Mohammad Daud Khan di Kabul, in Afghanistan. Lo ha reso noto il portavoce del ministero della difesa afghano, generale Daud Waiziri, che ha specificato: «la gran parte delle vittime sono medici e infermieri». Secondo quanto riferito dall’emittente locale Tolo, un gruppo di assalitori mascherati da medici ha fatto irruzione stamane alle nove all’interno del nosocomio. L’attacco è iniziato con un attentatore suicida che si è fatto esplodere all’ingresso dell’ospedale. Stando all’emittente, almeno quattro uomini sono entrati nell’edificio. «Ho visto uno degli attentatori che indossava un camice da medico e ha aperto il fuoco contro di me ma sono riuscito a fuggire», ha dichiarato un medico a Tolo Tv. Dopo la morte del primo attentatore suicida anche gli altri quattro assalitori — che si erano travestiti da componenti del personale sanitario del nosocomio — sono stati uccisi dalle forze di sicurezza in almeno sei ore di battaglia. Appena scoppiato l’attacco buona parte dei pazienti dell’ospedale sono stati evacuati attraverso le uscite di emergenza. Il cosiddetto stato islamico (Is) ha rivendicato l’assalto contro il principale ospedale militare nella capitale afghana. In precedenza i talebani avevano negato qualsiasi loro responsabilità nell’attacco all’ospedale che si trova nel quartiere di Wazir Akbar Khan. In un tweet il portavoce del movimento, Zabihullah Mujahid, aveva scritto: «Chiarimento: l’attacco odierno contro un ospedale a Kabul non ha nulla a che vedere con i mujaheddin». E, nel frattempo, una delegazione dell’ufficio politico dei talebani afghani basato nel Qatar, guidata da Sher Abbas Stanikzai, si è recata a Pechino, su invito del governo cinese, per una visita legata al possibile avvio di un processo di pace in Afghanistan. Lo riferisce il portale di notizie Khaama Press. Della delegazione, si è appreso dalle agenzie internazionali, fanno parte anche alcuni autorevoli responsabili, come il Maulvi Shahabuddin Dilawar, Jan Muhammad Madani, Salam Hanafi e il dottor Saleh. Fonti talebane hanno confermato che responsabili dei talebani afghani stanno sostenendo incontri che riguardano la pace e il reperimento di una via per mettere fine al conflitto attraverso i negoziati. Si tratta della seconda visita di una delegazione talebana a Pechino negli ultimi due mesi e mezzo. mettendo a dura prova i rapporti tra Pechino e la Corea del Sud. Il Thaad è «una scelta sbagliata», ha dichiarato Wang, e la Cina si oppone allo spiegamento dello scudo antimissile, considerato da Pechino una minaccia alla sua sicurezza strategica. «Non è il modo in cui si comportano due paesi vicini e può rendere anche la Corea del Sud meno sicura», ha sottolineato il capo della diplomazia cinese. E, intanto, le relazioni tra Cina e Stati Uniti si stanno sviluppando in una «giusta direzione» dopo il colloquio telefonico di circa un mese fa avvenuto tra il presidente cinese, Xi Jinping, e quello statunitense, Donald Trump, ha detto ancora il ministro degli esteri Wang. Rex Til- lerson si recherà in visita in Cina il prossimo 18 marzo, al termine di un tour che vedrà il segretario di stato americano impegnato in Giappone il 15 e 16 marzo e in Corea del Sud il 17 marzo. La conferma del primo viaggio asiatico di Tillerson in qualità di capo della diplomazia statunitense è stata rilanciata dai media cinesi. Lancio simultaneo di missili nordcoreani (Reuters) Ma Tobruk congela i contatti con Tripoli La denuncia in un rapporto delle Nazioni Unite Kobler rilancia il dialogo sulla crisi libica Sud Sudan ridotto allo stremo TRIPOLI, 8. «Solamente il dialogo politico può risolvere la crisi libica». Lo ha affermato ieri l’inviato speciale dell’Onu in Libia, Martin Kobler, in una nota nella quale ha condannato l’escalation militare nella Mezzaluna petrolifera, che mette a repentaglio il processo politico e rischia di innescare un conflitto di proporzioni più ampie. «La priorità immediata è alleviare le tensioni, prevenire ulteriori perdite di vite umane e garantire che le infrastrutture nazionali e le risorse naturali siano sotto il controllo delle autorità legittime. Questa violenza inaccettabile nella zona della Mezzaluna petrolifera — ha aggiunto Kobler — dimostra ancora una volta la necessità che tutte le parti si impegnino seriamente nel processo politico nel quadro dell’accordo politico libico. «Le Nazioni Unite — ha concluso l’ambasciatore Kobler — sono pronte a ospitare qualsiasi meccanismo inclusivo che riunisca i rappresentanti libici in grado di risolvere i problemi che bloccano l’attuazione dell’accordo. Solo una soluzione politica negoziata e inclusiva può portare alla pace, alla sicurezza e alla stabilità in Libia». Ma, intanto, la camera dei rappresentanti libica, il parlamento di Tobruk, ha deciso ieri durante una riunione la sospensione del dialogo Sei anni fa il disastro di Fukushima TOKYO, 8. A sei anni dalla catastrofe della centrale nucleare di Fukushima, proseguono senza sosta gli sforzi del governo giapponese per il piano di ricostruzione. Ma i costi, indicano gli esperti, sono raddoppiati e resta lontana la demolizione della struttura, disastrata dal terremoto e dal successivo tsunami dell’11 marzo del 2011. Riguardo alla bonifica, il livello di radioattività attorno ai reattori 1, 2 e 3 della centrale è ancora elevato, fino a 300 microsievert all’ora, e la parete di ghiaccio progettata per isolare le falde acquifere dal liquido contaminato non funziona ancora a pieno regime. Dopo avere continuato a raffreddare la centrale, iniettando centinaia di tonnellate di acqua nelle vasche di contenimento, la società di gestione dell’impianto, la Tokyo Electric Power (Tepco), ha riconosciuto che il lavoro più delicato inizia adesso: l’estrazione del magma ra- PECHINO, 8. La Cina ha chiesto la sospensione delle attività nucleari e missilistiche della Corea del Nord e la sospensione delle esercitazioni militari tra Stati Uniti e Corea del Sud per evitare uno «scontro frontale» nella penisola. La «doppia sospensione» — come l’ha definita il ministro degli esteri cinese, Wang Yi, durante la conferenza stampa annuale a margine dei lavori dell’assemblea nazionale del popolo, il parlamento cinese — è la via da seguire per «denuclearizzare la penisola e stabilire un meccanismo che porti alla pace». La situazione nella penisola coreana, ha spiegato Wang, è come quella di «due treni che accelerano l’uno in direzione dell’altro, con nessuno dei due che intende dare la precedenza». Le due parti, chiede Wang, «sono pronte per uno scontro frontale?». La priorità per la Cina è quella «accendere la luce rossa e frenare entrambi i treni». Wang ha poi commentato lo sviluppo del sistema di difesa antimissilistico statunitense Thaad (Terminal High-Altitude Area Defense System) che le autorità di Seoul stanno dislocando per contenere la minaccia nordcoreana, e che sta dioattivo, ossia il prodotto della fusione del nocciolo del reattore. I lavori di demolizione della centrale, secondo i programmi, non finiranno prima del decennio 2041-2051. La revisione al rialzo delle spese prodotte dalla catastrofe hanno costretto il governo di Tokyo a estendere il controllo della Tepco per un periodo più lungo del previsto. Le stime per smantellare la centrale, le operazioni di bonifica e gli indennizzi alla popolazione colpita dal disastro, sono quasi raddoppiati, superando la cifra di 188 miliardi di dollari. Dopo sei anni dal terrificante disastro, l’ordine di sgombero all’interno della prefettura di Fukushima — la terza più grande del Giappone — riguarda ancora il cinque per cento del territorio, hanno indicato in una nota fonti del ministero nipponico della ricostruzione, un’estensione di 726 chilometri quadrati. intra-libico e il congelamento dell’accordo politico nazionale, firmato il 17 dicembre 2015 a Skhirat (in Marocco), dal quale è scaturito il consiglio presidenziale guidato dal premier Fayez Al Sarraj. I deputati presenti alla riunione collegano la decisione agli scontri degli ultimi giorni nella Mezzaluna petrolifera. La camera dei rappre- sentanti accusa le «brigate di difesa di Bengasi e i loro alleati» per quanto avvenuto e annuncia — stando a quanto riportato dal sito di notizie libico Alwasat — la sospensione del dialogo e il congelamento dell’accordo politico in attesa di «un comunicato chiaro degli interlocutori riguardo l’attacco alla Mezzaluna petrolifera». JUBA, 8. Il Sud Sudan è sull’orlo del genocidio dopo i ripetuti episodi di violenze etniche. Lo denunciano le Nazioni Unite in un nuovo rapporto basato su un’inchiesta condotta per sette mesi nel paese africano (il più giovane del continente). Il documento fornisce nuovi dettagli sui bombardamenti di civili e Oltre 450 delegati a Nairobi Conferenza sulla salute in Africa NAIROBI, 8. Si è aperta ieri a Nairobi, capitale del Kenya, la conferenza internazionale sull’agenda della salute in Africa (Ahaic). Un appuntamento importante perché, come sottolineano gli analisti, «parlare di salute dell’Africa significa parlare della salute del mondo». Oggi la salute è considerata un aspetto chiave dello sviluppo umano ed economico. Questa visione è stata sostenuta dalle Nazioni Unite, dopo che nel 2015 gli Stati membri hanno approvato i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, come progetto dell’agenda di sviluppo globale per il 2030. Secondo le Nazioni Unite, l’Africa detiene solo il tre per cento del personale sanitario mondia- le, nonostante abbia gran parte del carico delle malattie del mondo. Inoltre, le malattie prevenibili sono ancora diffuse in Africa, al contrario della situazione vigente in Europa, Nord America e in altre parti sviluppate del mondo. Alla conferenza di Nairobi prendono parte oltre 450 delegati provenienti dal continente, e non solo, per sviluppare strategie di sanità modellate su misura per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile in Africa. Secondo l’Oms, l’equità nell’accesso, la qualità dei servizi sanitari e la protezione dai rischi finanziari sono pilastri fondamentali per la realizzazione di una copertura sanitaria universale. L’accesso all’assistenza sanitaria non dovrebbe essere limitato alle capacità di pagamento, ma guidato dalla necessità. Allo stesso modo, la qualità dell’assistenza sanitaria dovrebbe garantire una vita migliore a coloro che ricevono i servizi sanitari e il costo della sanità non dovrebbe esporre le persone al rischio di difficoltà finanziarie. Anche se questi pilastri sono saldi in aree come l’Europa e il Nord America, sono tipicamente deboli nei paesi in via di sviluppo in Africa, incluso il Kenya. L’Oms rileva che in Kenya una percentuale enorme di famiglie povere non può permettersi l’assistenza sanitaria, senza avere battute d’arresto finanziarie gravi. Quattro kenyani su cinque non hanno accesso all’assicurazione medica, quindi una gran parte della popolazione è esclusa da servizi sanitari di qualità. Questo scenario viene replicato in tutto il resto dell’Africa sub-sahariana, con la notevole eccezione del Rwanda, che ha il 90 per cento della copertura assicurativa sanitaria, superando anche gli Stati Uniti. su casi di persone che sarebbero state «affamate volontariamente». L’Onu ha denunciato anche alcuni casi di incitamento all’odio da parte di alti ufficiali ed esponenti governativi. «Le violazioni sono state compiute soprattutto da soldati governativi, personale del servizio di sicurezza nazionale, ufficiali di polizia e milizie legate alle forze governative», continua il rapporto. Nel 2013, il Sud Sudan è piombato in una sanguinosa guerra civile interetnica, appena due anni dopo aver ottenuto l’indipendenza dal Sudan. Il conflitto, che al momento sembra insuperabile, tra gli uomini che sostengono il presidente, Salva Kiir (di etnia dinka), e quelli dell’ex vicepresidente, Riek Machar (di etnia nuer), ha già provocato decine di migliaia di morti e spinto milioni di persone ad abbandonare le loro case. Solo a gennaio, confermano fonti del palazzo di vetro, più di 52.000 sudsudanesi sono scappati a sud, verso l’Uganda. A peggiorare la già precaria situazione anche la carestia che — secondo l’Onu e lo stesso governo sudsudanese — ha colpito nell’ultimo mese almeno 100.000 persone in solo due contee. Più di un milione di bambini sotto i cinque anni soffrono di malnutrizione grave. Al via la campagna elettorale in Angola LUANDA, 8. Ha preso il via in Angola la campagna elettorale in vista delle elezioni presidenziali in programma ad agosto prossimo. Si tratta del terzo appuntamento con le urne da quando, nel 2002, è terminata la guerra civile, iniziata all’indomani dell’indipendenza ottenuta dal Portogallo (1975). In un comizio a Cazenga, municipalità alla periferia della capitale Luanda, il ministro della difesa e candidato del partito di maggioranza Movimento popolare di liberazione dell’Angola (Mpla), João Lourenço, ha indicato come obiettivo quello di ridurre il costo delle opere pubbliche. Dopo la Nigeria, l’Angola è il maggior produttore di petrolio dell’Africa. A causa del crollo dei prezzi, il paese sta attraversando una crisi economica. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 Restauri ecumenici per il Santo Sepolcro di GIULIO ALBANESE economia africana sta dando non poco filo da torcere agli analisti internazionali. Infatti, stando ai dati forniti dal Fondo monetario internazionale, fino al 2015 vantava la percentuale di crescita economica continentale più alta del pianeta. Il Ghana, ad esempio, nel 2012 era cresciuto del 13,5 per cento, il Niger del 12,5 per cento, l’Angola del 10,5 per cento. Mediamente, la crescita del pil, a livello continentale, quell’anno era stata intorno al 6 per cento. Oggi, invece, l’Africa è tornata a essere vulnerabile, in un contesto, peraltro, dove l’esclusione sociale è sempre stata una costante. Sta di fatto che la stima di crescita per l’anno che si è appena concluso, il 2016, è dell’1,3 per cento, il livello più basso degli ultimi trent’anni. La posta in gioco è alta se si considera che il fenomeno della mobilità umana dalla sponda africana — che tanto preoccupa le cancellerie europee — coinvolge un numero rilevante di migranti economici. Per comprendere le ragioni di questo rallentamento del pil a livello continentale, occorre subito dire che l’Africa, nel suo complesso, non è affatto estranea agli effetti devastanti della finanza speculativa. Nel passato si è sempre pensato che i mali del continente (in particolare dell’Africa subsahariana) fossero L’ Vita e pensiero Anticipiamo un articolo da «Vita e pensiero», bimestrale dell’Università cattolica del Sacro Cuore. causati dalla debolezza dei processi produttivi, dei consumi e dei movimenti in rapporto alla domanda e all’offerta sul mercato delle commodity (fonti energetiche, minerali e prodotti agricoli). Questo è certamente vero, anche oggi, perché dai prezzi delle materie prime dipende il destino dei governi e dei popoli. Basti pensare che il valore delle esportazioni africane ha subito nel 2016 una contrazione di 12.000 milioni di dollari a causa della caduta delle quotazioni delle materie prime. A questo proposito, ha sortito un effetto positivo la decisione dell’O pec, adottata a Vienna lo scorso 30 novembre, di tagliare dal primo gennaio 2017 la produzione di 1,2 milioni di barili al giorno rispetto ai valori di ottobre (portandola quindi a 32,5 milioni circa). Ciò non toglie che il cammino di ripresa sarà lungo perché l’alto indebitamento delle imprese nel settore delle commodity (africane e straniere), del petrolio in particolare, ha fatto sì che queste aziende attingessero largamente le loro risorse finanziarie sia dal settore bancario sia sul mercato obbligazionario. Sta di fatto che essendo i titoli azionari e obbligazionari delle imprese petrolifere collegati al prezzo dell’oro nero, i loro valori di mercato ne hanno risentito fortemente (particolarmente nel corso del 2016). Come se non bastasse, per rispondere alla mancanza di liquidità queste aziende dell’oro nero hanno aumentato, nel recente passato, la produzione con l’intento di mantenere un flusso di cassa attivo, ma in alcuni casi sono state costrette a una riduzione degli investimenti o addirittura alla dismissione di una parte del patrimonio aziendale. Ciò ha determinato un calo degli introiti da parte dei governi locali, nella fattispecie quelli africani. Dulcis in fundo, in fase di caduta del prezzo, la speculazione ha giocato al ribasso. Questo, in sostanza, ha significato che si vendevano sulla carta prodotti finanziari legati al petrolio, i future, a 100 per ricomprarli il giorno dopo a 90. Il contrario di quanto succedeva nei periodi di crescita del prezzo quando si compravano i future a 100 per venderli a 110 alla scadenza, partecipando così all’esplosione dei prezzi. giovedì 9 marzo 2017 La complessità dell’economia africana Circolo vizioso Naturalmente, il ragionamento potrebbe essere esteso ad altri ambiti del mercato africano, come quello agricolo, ostaggio delle compagnie di agrobusiness. Infatti, nel passato, prima della crisi, gli speculatori finanziari contavano per il 12 per cento di tutti i contratti stipulati sui mercati delle commodity, in primis quello di Chicago Mercantile Exchange, mentre il resto era trattato dagli operatori di mercato ancora legati allo scambio fisico delle merci. Oggi, invece, il rapporto si è completamente rovesciato. Gli speculatori contano per il 70 per cento, mentre il resto è trattato da operatori veri. Questi processi, com’è comprensibile, hanno un impatto negativo sulle economie africane. Ma il dato più inquietante riguarda la crescita del cosiddetto debito aggregato africano, vale a dire quello dei governi, delle imprese e delle famiglie, stimato attorno ai 150 miliardi di dollari. L’Africa — è bene rammentarlo — ha già vissuto una devastante crisi debitoria, che si è protratta nel tempo, dagli anni ottanta fino a quando, nello scorso decennio, grazie al progetto Highly Indebted Poor Countries (Hipc), a opera dell’Fmi e della Banca mondiale, una trentina di paesi a basso reddito dell’Africa subsahariana poterono ottenere una riduzione del debito (circa cento miliardi di dollari). A questo programma se ne aggiunse un altro, la cosiddetta Multilateral Debt Relief Initiative (Mdri). Queste iniziative suscitarono grande euforia perché consentirono a molti governi africani di riprendere fiato, accedendo a prestiti insperati. Altra questione cruciale è quella del debito africano. Non solo è tornato a salire, ma il rischio è che molti governi non siano in grado di onorare i propri impegni. Quello, per così dire, che “strozza” di più sono gli interes- si (il cosiddetto «servizio del debito»). Si tratta di una vera e propria spada di Damocle che potrebbe pregiudicare seriamente la crescita del pil, quantomeno sul medio e lungo periodo. Nel 2007 il Ghana fu il primo paese beneficiario ad affacciarsi sui mercati internazionali, emettendo obbligazioni pari a 750 milioni di dollari. Seguirono altri quattro destinatari del condono: Senegal, Nigeria, Zambia e Rwanda. L’accesso ai fondi d’investimento, messi a disposizione dall’alta finanza, soprattutto nella City londinese, ma anche in altre piazze, sono stati utilizzati in parte per sostenere attività imprenditoriali straniere in Africa, ma anche per foraggiare le oligarchie autoctone, secondo le tradizionali dinamiche della corruzione più sfrenata e corrosiva. Sono nate, così, società partecipate che, comunque, nonostante la crescita della produttività, non sono state in grado di compensare la nuova crisi debitoria. I nuovi programmi d’investimento, infatti, non sono stati associati a organici piani di sviluppo nazionali, col risultato che sono state costruite opere infrastrutturali — vere e proprie cattedrali nel deserto — slegate le une dalle altre, o iniziative imprenditoriali a sé stanti e dunque esposte all’azione predatoria di potentati internazionali, soprattutto sul versante delle materie prime e fonti energetiche. Nel frattempo, si è innescata sulle piazze finanziarie una speculazione sfrenata sull’eccessivo indebitamento dei paesi africani che ha determinato la svalutazione delle monete locali. Uno dei casi emblematici è proprio quello del Ghana, considerato per certi versi, sul piano formale, l’emblema del boom africano. Non a caso il primo presidente Usa di origini afro, Barack Obama, nel corso del suo primo viaggio nel continente africano (2009), scelse di fare tappa proprio ad Accra. L’aumento del pil e del debito ghanese è indicativo di una crisi sistemica che ha peraltro pregiudicato qualsiasi iniziativa protesa all’affermazione di un welfare locale in grado di contrastare l’esclusione sociale. D’altronde, se si pensa che il pil aveva toccato quota 15 per cento nel 2011 (8,8 e 7,6 nei due anni successivi) e che oggi il deficit non accenna a diminuire e il debito (32 per cento del pil nel 2008) è già arrivato al 50 per cento, non c’è proprio da stare allegri. Qualche lettore potrebbe obiettare affermando che in alcuni paesi industrializzati come Italia e Stati Uniti il debito è percentualmente superiore al pil. Verissimo, ma in Ghana — come d’altronde nella stragrande maggioranza dei paesi africani — il valore del pil, in cifre assolute, è ancora molto basso (quello ghanese è di circa 50 miliardi di dollari) e dunque non rappresenta una garanzia per i creditori internazionali (basti pensare che quello della regione Lombardia è di circa 350 miliardi di dollari). Gli analisti sono scettici perché, secondo l’Fmi, la crescita nel 2016 sarebbe stata “solo” del 3,6 per Nonostante la crescita registrata negli ultimi anni il continente è di nuovo vulnerabile In un contesto dove l’esclusione sociale è una costante cento. Ma il dato più inquietante sta nel fatto che per ripagare il debito, oggi, il governo di Accra è costretto a svendere i propri asset strategici (acqua, petrolio, elettricità, telefonia, cacao, diamanti, ecc.). Qui le responsabilità ricadono sia sulla classe dirigente locale, ma anche sulle stesse istituzioni finanziarie internazionali le quali pretendono che le concessioni per lo sfruttamento delle materie prime, unitamente alle privatizzazioni (soprattutto il land grabbing, vale a dire l’accaparramento dei terreni da parte delle aziende straniere), vengano attuate “senza se e senza ma”. Una cosa è certa: nel corso degli ultimi dieci anni si è passati, un po’ in tutta l’Africa, dai cosiddetti creditori ufficiali (come i governi, l’Fmi, la Banca mondiale e la Banca africana per lo sviluppo) alle fonti private di credito (banche, fondi di investimento, fondi di private equity) e al libero mercato. Si tratta, in sostanza, come abbiamo visto, di una finanziarizzazione del debito che ha segnato il passaggio dai tradizionali prestiti e da altre forme sperimentate di assistenza finanziaria alle obbligazioni, sia pubbliche sia private, da piazzare sui mercati aperti. Si tenga presente che le suddette obbligazioni sono in valuta estera, quasi sempre in dollari, e quindi sottoposte ai movimenti sui cambi monetari, sempre a discapito delle monete nazionali africane. Ciò sta generando un circolo vizioso che potrebbe compromettere seriamente lo sviluppo futuro dell’Africa. Sono durati meno di un anno i restauri del Santo Sepolcro nella basilica costantiniana a Gerusalemme, e la conclusione del delicato intervento sarà solennizzata il 22 marzo da una cerimonia d’inaugurazione a carattere ecumenico. A renderlo noto è il patriarcato latino, in un comunicato che sottolinea come anche i lavori si siano svolti «sotto il segno dell’unità» tra le diverse denominazioni cristiane che hanno in custodia l’edificio, consacrato originariamente negli ultimi anni del regno dell’imperatore Costantino (306-337). La fase finale del restauro, avviato nel maggio del 2016, riguarda in questi giorni la parte non visibile della tomba di Cristo, ed è rivolta a consolidare l’edicola di epoca medievale in modo da preservarla da eventuali terremoti, come quello che nel 1927 la danneggiò rendendola particolarmente fragile. Gli ultimi lavori di consolidamento risalgono al 1947, ma in quell’occasione a intervenire furono i britannici alla fine del loro mandato in Palestina, mancando l’accordo tra le comunità greco-ortodossa, armena e francescana che curano gelosamente la basilica. L’intesa questa volta è stata invece raggiunta e il vicario della Custodia di Terra Santa, padre Dobromir Jasztal, lo ha definito «un momento storico per la basilica del Santo Sepolcro» e per la presenza dei francescani nei luoghi santi, parlando esplicitamente di una cooperazione benevola e fraterna tra le tre confessioni cristiane, foriera di ulteriori positivi sviluppi. Montini a Madrid Saranno l’arcivescovo di Madrid, il cardinale Carlos Osoro, il direttore della Fundación Pablo VI, José Tomás Raga, l’editore Juan Kindelán, e il curatore del libro a presentare nel tardo pomeriggio del 9 marzo, nella Librería Neblí della capitale, l’edizione spagnola (Un hombre como vosotros, Madrid, Ediciones Cristiandad, 2016, pagine 264, euro 17,90) della raccolta di scritti di Giovanni Battista Montini curata da Giovanni Maria Vian (Un uomo come voi. Testi scelti, 1914-1978, Genova, Marietti, 2016, pagine 198, euro 16). Il libro — da cui è tratto il disegno per la copertina opera di Macarena Kindelán — ricostruisce un ritratto di Montini e di Paolo VI attraverso una scelta di scritti personali, in buona parte anteriori all’elezione in conclave e non di rado sconosciuti. Per mostrare l’umanità di un cristiano del Novecento. Per ascoltare Liszt il perfezionista Aveva cominciato l’opera nel 1849 ma poi la lasciò incompiuta: il compositore ungherese Franz Liszt era un perfezionista e se non era soddisfatto di quanto veniva realizzando, sullo spartito rimanevano solo frammenti. C’è voluta allora tutta la tenacia, insieme alla competenza, di un accademico di Cambridge, David Trippett, per collegare tra loro i segmenti del libretto, basato sulla tragedia di Byron Sardanapalo, scoperto in un archivio di Weimar, in Germania, più di dieci anni fa. Dopo mesi e mesi di incessante lavoro, l’accademico è riuscito a ricostituire il manoscritto di 111 pagine, scritte in gran parte in italiano per piano e voci — di cui erano a conoscenza pochi esperti che lo avevano definito «illegibile e indecifrabile» — e a ristabilire l’ordine delle note prefigurato dal compositore. La musica che ne deriva rappresenta una sintesi originale tra «lirismo di scuola italiana e armonica innovazione» sottolinea lo studioso. Una composizione, come ha rilevato Trippett, che presenta una delle principali caratteristiche della musica di Liszt, ovvero un tono melato e seducente. Brevi passaggi dell’opera possono ora essere ascoltati sul sito dell’università (www.cam.ac.uk/research/news), mentre il 15 maggio sarà trasmesso un documentario, curato dallo storico ateneo inglese, sulle vicende di questa composizione, «prima dimenticata e poi fatta risuscitare». A giugno è poi prevista un’eccezionale anteprima dell’esecuzione dell’opera nel popolarissimo programma «Singer of the World» curato dalla sede di Cardiff della Bbc. (gabriele nicolò) L’OSSERVATORE ROMANO giovedì 9 marzo 2017 Rileggere il Don Chisciotte di CHRISTIANE RANCÉ oiché riguarda il mondo moderno e l’accoglienza riservata alla santità nella nostra società, conservo sul mio comodino El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha di Miguel de Cervantes. Attraverso questo primo grande romanzo della letteratura universale, capolavoro di crudeltà sotto la farsa, Cervantes ha delineato il personaggio di un santo, pervaso da un alto ideale di amore, che il mondo disprezza, e noi con lui perché ne ridiamo. Del Don Chisciotte amo anche il duplice moto, che è quello di ogni vita, di ogni destino: don Chisciotte coniuga l’incanto della ricerca — un mondo ideale illuminato dalla conquista cavalleresca dell’amore assoluto — e il disincanto dell’esperienza P Proprio là dove ridiamo di più complici dei perfidi il personaggio di Cervantes è sublime Figura di santo impotente che lotta per la giustizia su questa terra del quotidiano, del contatto con l’insopportabile realtà. Don Chisciotte costruisce il suo rapporto con il mondo a partire dai libri di cavalleria che ha letto, e a partire dai vangeli che li strutturano. Ebbene, ogni volta che agisce secondo i loro comandamenti, il mondo lo pone di fronte a una magistrale smentita. Tale smentita non è la prova che il mondo si sbaglia o che l’ingegnoso hildalgo è pazzo. È il segno di un disaccordo che, alle soglie del XVII secolo, continua a inasprirsi fino al divorzio. La vita interiore, la carità, la preghiera — presentate da Teresa d’Ávila come i rimedi contro il materialismo che irrompe nell’occidente cristiano e trionfa sul mondo antico — entrano ora in aperto conflitto con una società votata de- liberatamente all’assurdo. È questo conflitto, tra essere e avere, tra amare e possedere, che incarna le gesta del Cavalier dalla Triste Figura, accompagnato da Sancho Panza, suo fedele scudiero. L’errare di questo cavaliere dipende dal fatto che non trova mai quel Male che vuole fare a pezzi, perché in questo nuovo mondo che il XVI secolo ha aperto, il male è ormai ovunque. L’oro e la febbre dell’oro hanno contaminato tutti gli animi e tutti gli strati della società. Non ci sono più individui completamente buoni. Don Chisciotte è ormai incapace di rimediare a quel Male. La malvagità anima i più umili che lui sogna di difendere e che non pensano ad altro che a derubarlo, e soprattutto anima il duca e la duchessa, che organizzano tutta una messa in scena per confonderlo, al fine di ridere della sua umiliazione. La crudeltà di ognuno è proporzionata all’innocenza del vecchio hidalgo, ma in realtà nessuno è veramente antipatico. C’è in tutti una punta di candore, di ingenuità e di credulità che impedisce a noi lettori di definirli malvagi, tanto più perché ci mettiamo dalla loro parte, quella di quanti se la ridono felici di aver fatto i furbi. Ecco quindi don Chisciotte costretto a inventare dei nemici nei mulini a vento o nel gregge di pecore. Ed è proprio là dove ridiamo di più, complici dei perfidi, che don Chisciotte è sublime, in quella figura di santo impotente che tuttavia si accanisce perché ci sia giustizia su questa terra. Don Chisciotte contiene inoltre ciò che più mi attrae nelle opere che preferisco — L’Iliade e L’Odissea, La Divina Commedia, Moby Dick o Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie —, ossia un viaggio potente, tra la realtà e l’illusione, al di là delle apparenze. È un viaggio iniziatico, che ogni essere umano è portato a intraprendere nella propria vita, dai suoi sogni di giovinezza alla sua realizzazione personale. È un pellegrinaggio interiore, l’odissea di un uomo partito per fare il bene, per rendere giustizia e per consolare gli infelici, un uomo che fa il giuramento di essere nobile, povero e buono, come gli ha insegnato il modello della cavalleria cristiana, ma che si scontra con la dura realtà. La forza di don Chisciotte, al di là del riso e del ridicolo, è la sua resistenza ai colpi e al reale, la sua cieca ostinazione. Solo al termine del suo viaggio rinuncia al suo ideale, e quella rinuncia conferisce al personaggio tutta la sua umanità. Don Chisciotte è un indimenticabile cavaliere della disfatta. C’è inoltre il dialogo tra i due eroi della storia, tra don Chisciotte e Sancho Panza. Al tempo stesso opposti, antagonisti, eppure complici. In realtà queste due voci ne formano una sola, come un dialogo interiore. Da un lato c’è un uomo che sogna di spogliarsi e di trasformare il mondo man mano che compie la sua ascesi e, dall’altro, un uomo mosso dalla bramosia, prosaico e pauroso, a cui interessa solo la ricompensa promessa dal suo hidalgo: una proprietà e i vantaggi che ne derivano. C’è qualcosa di cristico in questo confronto tra il maestro che evoca il Regno e il discepolo che ne aspetta le prebende. È il dialogo tra la grazia e la pesantezza, tra l’antico e il moderno, e la lotta tra il potere della mente e la violenza del reale. È l’irruzione nel romanzo della coscienza personale, del me ipsum, del mondo interiore che il Rinascimento ha rivelato. Esiste parabola più geniale sul potere della soggettività e sui suoi limiti? Ma soprattutto, da quel dialogo, da quelle lunghe conversazioni tra il Cavaliere dalla Triste Figura e il suo scudiero, nasce un modello di amicizia, un affetto pieno di tenerezza e di candore. Tra di loro, lungi dalle buffonerie, si ascoltano conversazioni profonde in cui l’eccentrica intelligenza di don Chisciotte stride con la saggezza popolare di Sancho; si ascoltano pagina 5 ridicolo, patetico e asociale quel signorotto che vuole ancora credere alla virtù della povertà e all’ideale dell’amore, e stupido e zoticone quel contadino che lo segue. Ecco perché questo libro è un capolavoro di crudeltà sotto la farsa, sotto la risata e la comicità, ed ecco perché è anche così doloroso; nella figura di don Chisciotte è del santo, dell’eroe e dell’anziano che ci si fa gioco. Ed è questa la forza dell’opera: in quel che evidenzia del nostro disincanto, della nostra prontezza al sarcasmo, della nostra sterile attrazione per l’oro e la giovinezza. Nulla si salva agli occhi del lettore, che non è altro che l’uomo moderno, neanche la ricerca dell’ideale amoroso. Dulcinea del Toboso, che nondimeno incarna tutte le virtù della Dama — non la bellezza fisica, precisa bene don Chisciotte, ma la bellezza dell’anima, imperitura — è una mescolanza di ridicolo e d’irreale. La Dama dei pensieri si dissolve in due amici che si confessano, con fiducia, una terribile ironia. Come la giustizia che reclama don Chisciotte, come la Verità che la loro visione del mondo. Don Chisciotte è anche — con Bouvard et si aspetta di trovare nelle sue gesta eroiPécuchet e Jacques le fataliste — uno dei li- che, l’amore così come lo incarna Dulcibri più belli che siano mai stati scritti nea ci sembra un miraggio. Un’immagine. Un’impossibilità. La sublimazione all’orisull’amicizia. Del Don Chisciotte si è detto che era un gine dell’amore cortese vede qui la sua filibro contro i romanzi di cavalleria, che ne. E da questa constatazione nasce anche avevano avuto un successo febbrile in la malinconia. La nostra, cronica, che è Spagna. Quel che ha mostrato Cervantes quella di don Chisciotte nei suoi ultimi è anzitutto il crollo dell’ordine antico in giorni. Infine, amo il capovolgimento finale del Don Chisciotte. Sancho diventa goNell’opera dialogano l’antico e il moderno vernatore dell’isola di Barataria, mentre don Chisciotte e si assiste a una lotta abdica. Il vecchio cavaliere tra il potere della mente torna a casa per morire. Chisciotte è diventato Cervantes e la violenza del reale e l’autore il suo personagE vi è anche l’irruzione nel romanzo gio. L’eroe della disfatta ha preso coscienza di quel che della coscienza personale è andato perduto per sempre del mondo che voleva deridere, ma anche — in cui si distinguevano veramente i Bayard e quell’incendio — di quella parte di sé a cui altri cavalieri senza paura e senza macchia, l’uomo ha rinunciato: la Gioia, e il dovere e poi il passaggio a un altro tempo in cui evangelico di santità. Miguel de Unamuognuno si mette a sognare fiumi d’oro e no, uno dei più grandi ammiratori di don ricchezze personali, sotto un cielo che le Chisciotte, lo definiva così: «La saggezza scoperte di Copernico, Keplero e Galileo più alta e difficile, quella di volersi hanno svuotato di Dio. E quel tempo è superare, pur sapendo di essere povero e l’era moderna. È l’era in cui ormai appare vinto». Laudato si’ per frate lupo di FORTUNATO FREZZA ra i diversi esiti che si raggiungono scrivendo o leggendo un libro, uno dei più stimolanti è la provocazione lanciata o subita più o meno attivamente, più o meno consapevolmente. La storia umana, in ogni campo dello scibile, è densa di casi di letture che hanno determinato reazioni anche clamorose. È da dire che non sempre «galeotto fu il libro e chi lo scrisse», poiché si registrano casi variamente disomogenei: dai libri letti dai giurati di un premio letterario ai testi scolastici degli studenti, dai libri dei correttori di bozze a quelli dei fotocompositori tipografici, o anche dal vangelo declamato in una liturgia solenne al libro delle ore di un monastero di clausura, e, se vogliamo, dal rotolo letto da Gesù nella sinagoga di Nazaret (Luca, 4, 17) al libro divorato di Ezechiele (3, 1) e dell’Apocalisse (10, 9-10), dal vangelo ascoltato da Antonio abate al tolle et lege di Agostino o alle agiografie di Ignazio di Loyola. L’enciclica di Papa Francesco Laudato si’ ha provocato una vasta reazione di pensiero e di confronto, di consenso e di impulso per le aspirazioni di custodia del creato e di cura della casa comune, oggi diffuse e vissute in modo talvolta preoccupato e drammatico. Di questi aneliti che vibrano nell’animo dell’uomo moderno pioniere e alfiere è considerato Francesco d’Assisi, che l’enciclica al numero 10 accredita autorevolmente come «l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, T Leonardo da Vinci, «La Vergine delle rocce» (1483–1485) vissuta con autenticità e gioia. [...] Era un mistico e un pellegrino che viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso». I suoi Fioretti lo raccontano proprio in questo modo, nei vari momenti e nelle relazioni con le varie specie della natura, come in un nuovo paradiso terrestre: cosmo, persone, animali, piante, terra e acque. Francesco tesse con le creature una relazione personale così da far pensare che la sua ecologia sia una vera e propria relazione antropomorfa, che eleva al grado massimo la dignità di ogni cosa creata inanimata. Limitando l’osservazione agli animali nei Fioretti, vi troviamo uccelli e rondini, tortore e pesci, e poi il «lupo d’Agobbio, grandissimo, terribile e feroce», che diventa Frate Lupo capace di stare in conversazione: «Frate Lupo, io ti comando dalla parte di Cristo che tu non facci male né a me né a persona. [...] Tu fai molti danni uccidendo le creature di Dio. Ma io voglio far la pace fra te e costoro». La risposta attesa è manifestata «con atti mansueti di corpo e di coda e d’orecchi» per sancire la pace. Papa Francesco ricorda che questo non è «un romanticismo irrazionale» [n. 11]. Piuttosto indica dove si trovi la segreta via della pace. In san Francesco «si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore» [n. 10]. Come i Fioretti, l’enciclica Laudato si’ non evita il discorso sugli animali e la loro vita con le proprie qualità, cadenze ed esigenze, che chiedono all’uomo custodia, rispetto e capacità di godimento non possessivo, come Francesco che si abbandona al canto e all’incantamento di fronte alle creature. Il Papa difende le specie animali come partecipi dell’ecosistema, al quale è vincolata obbligatoriamente una ecologia integrale. Il cane disegnato da Leonardo da Vinci Non è questo il caso di uno speciale “bestiario del Papa”, che ha tutt’altro senso, come ha dimostrato recentemente il libro di Agostino Paravicini Bagliani (Il Bestiario del Papa, Torino, Einaudi, 2016, pagine 400, euro 32) recensito sull’O sservatore Romano del 18 gennaio 2017. A margine, vi leggiamo che Pio II ave- va tra le sue bestie un lupo, per il quale si dovette acquistare una catena il 13 agosto 1460. San Francesco era morto 234 anni prima, ma avrà sorriso. Del resto in quel tempo il papa non abitava a Gubbio! Il libro, comunque, di Paravicini Bagliani rappresenta anch’esso una provocazione a leggere la storia come il sito di quella speciale ecologia umanistica, che rende ragione, in lunga durata, delle mutazioni delle generazioni, anch’esse bisognose di reciproca pacificazione. Il “bestiario del papa”, oltre l’insegnamento dell’enciclica, oggi potrebbe stimolare un riferimento alla editoria, che nella casa del papa si occupa degli animali. La Libreria Editrice Vaticana, infatti, pubblicò nell’anno 2000 un Bestiario Biblico, opera di Paolo Cultrera, a cura di Crispino Valenziano, stampata per la prima volta a Palermo nel 1880. Più recentemente, nel 2016, presso la stessa Editrice è apparso il volume di Elisa Palagi Beato Zoo! Storie di animali e di santi, la cui narrazione va da san Francesco di Paola con l’amica trota Antonella a san Giovanni Bosco e il suo miracoloso cane Grigio. Non è avulsa da questo discorso la notizia di questi giorni, 2 marzo 2017, relativa all’immagine di un cane criptata da Leonardo da Vinci tra gli scogli del suo capolavoro La Vergine delle rocce. Noi ne prendiamo occasione per ricordare Maria, pittoricamente inserita in una scena cosmica, come genitrice di una nuova opera di ecologia salvifica su disegno del Figlio. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 giovedì 9 marzo 2017 Preoccupazione dei vescovi tedeschi A rischio la coesione sociale In Puglia le prime famiglie di profughi siriani accolte nell’ambito del piano della Cei Invece dei muri ROMA, 8. Sono arrivati ieri a Bari i primi due nuclei familiari, provenienti dai campi profughi della Giordania, facenti parte dell’operazione di reinsediamento voluta e finanziata dalla Conferenza episcopale italiana (Cei) con i fondi dell’Otto X mille, e a cui prende parte Caritas italiana, nell’ambito del programma di resettlement gestito dal ministero dell’interno. In virtù di un accordo firmato nelle settimane scorse, arriveranno complessivamente in Italia quarantuno persone, tra le quali molte con gravi problemi di salute. Si tratta di sette famiglie di cittadini siriani, il cui trasferimento è stato reso possibile dall’ambasciata italiana in Giordania e dalla nunziatura apostolica, che hanno lavorato in stretta sinergia con la Caritas, l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’O rganizzazione internazionale per le migrazioni. Grazie a tale canale umanitario verrà garantito ai profughi un accesso sicuro e protetto. La destinazione è San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia; qui i malati troveranno il supporto specialistico della Fondazione centri di riabilitazione di Padre Pio e dell’ospedale Casa del sollievo della sofferenza. L’accoglienza è garantita, oltre che dai frati cappuccini, dalla Caritas diocesana di Manfredonia nell’ambito del progetto «Protetto. Rifugiato a casa mia»; i siriani saranno accompagnati nel percorso di integrazione da famiglie della comunità cristiana. A gran parte dei pellegrini che visitano la triplice basilica papale di San Francesco ad Assisi sfugge un particolare che si trova, invece, in tutte le altre chiese: la mancanza dei tradizionali quadri della via crucis. I frati minori conventuali, che di quegli edifici sono custodi, giustificano la mancanza dicendo che, senza considerare la struttura archi- La situazione dei profughi siriani in Giordania rimane drammatica. A centinaia di migliaia sono bloccati nei campi allestiti dal governo o in altre sistemazioni precarie in attesa di trovare una soluzione al proprio futuro. La stessa condizione è vissuta anche da migliaia di yemeniti e di iracheni, fra cui molti cristiani. Anche per questo motivo nel paese è stato avviato il più ampio programma di reinsediamento a livello globale degli ultimi due anni che ha permesso a oltre cinquantaseimila persone di raggiungere nazioni come gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia e l’Italia. In coincidenza con l’arrivo in Puglia dei primi due nuclei familiari (provenienti da Zaatari) si è svolto a Roma un incontro tra il segretario generale della Cei, Nunzio Galantino, il direttore nazionale della Caritas italiana, don Francesco Antonio Soddu, e una delegazione della Chiesa evangelica della regione tedesca della Vestfalia. Di quest’ultima, accompagnata da Paolo Naso, della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, facevano parte tra gli altri il vescovo Annette Kurschus e il pastore Ulrich Moeller. Scopo del tavolo condividere le esperienze di accoglienza, con particolare attenzione ai corridoi umanitari, e ribadire la necessità del dialogo ecumenico per sostenere questo tipo di emergenze. Monsignor Galantino ha sottolineato il valore di affrontare insieme «un dramma in cui, dando concretezza all’invito di Gesù ad ac- cogliere, ci impegniamo nella creazione di corridoi umanitari che ci consentono di dare una possibilità a questi nostri fratelli. Una risposta comune in un mondo che sembra invece privilegiare i muri». In Italia — ha aggiunto — «viviamo una condizione tale che ci costringe a lavorare soprattutto sull’emergenza e in emergenza. A chi arriva, noi, come uomini e come donne prima ancora che come credenti, dobbiamo dare anzitutto aiuto e accoglienza. Questo nonostante un certo malumore che si respira in alcune frange della politica e della società che non vorrebbero assolutamente sentir parlare di immigrazione e speculano su questo dramma sottolineandone solo gli aspetti problematici». Per il segretario generale della Cei, vanno contrastati gli stereotipi, come «il fatto che alcuni immigrati siano coinvolti in episodi di criminalità. Episodi che risultano del tutto minoritari. Oppure, l’associare i migranti ai terroristi, quando sappiamo bene che i terroristi non arrivano sui barconi». In Germania, ha aggiunto dal canto suo Annette Kurschus, «viviamo la medesima emergenza e sentiamo la necessità di condividere la nostra esperienza con la Chiesa italiana. Siamo venuti qui per imparare da voi e collaborare». Don Soddu, invece, parlando dei primi arrivi in Italia, ha espresso la gioia di «iniziare questo percorso insieme ai nostri fratelli siriani che tanto stanno soffrendo nel loro paese martoriato dalla guerra». BENSBERG, 8. La fiducia nelle istituzioni tedesche è in calo, non solo tra i giovani: è quanto è emerso nel corso dei lavori dell’assemblea plenaria della Conferenza episcopale tedesca (Dbk) che si concluderà, domani, giovedì, a Bensberg. Secondo i presuli, questa diminuzione di fiducia riguarda non solo lo stato e le istituzioni della politica, ma anche le grandi organizzazioni sociali e quindi anche le Chiese. «La coesione scompare — ha detto il vescovo di Essen, monsignor Franz-Josef Overbeck, presidente della commissione episcopale per la società e gli affari sociali — quando si ha la percezione che la ripresa sia solo per i ricchi e l’insoddisfazione per la società cresce quando una società sempre è più diseguale e il progresso e le opportunità di partecipazione sono sempre di meno». Per il vescovo di Essen «in molti temono che la nostra società produca troppi perdenti e pochi vincitori. Collegato a questo c’è la preoccupazione della classe media di vedersi affondare verso il basso». Monsignor Overbeck ha considerato che «le persone che vivono in condizioni professionali e sociali consolidate contribuiscono al successo, per esempio, di formazioni come Pegida e Afd (Alternativa per la Germania). Per combattere il populismo in maniera concreta si deve affrontare la questione della disuguaglianza sociale in modo serio perché senza fiducia nel welfare e nello stato di diritto — ha aggiunto — la coesione sociale nel nostro paese è più fragile». Tra gli argomenti trattati — riferisce il Sir — particolare attenzione è stata data al lavoro, all’attuale situazione del processo di accoglienza per i migranti e alle celebrazioni per il cinquecentenario della Riforma luterana. I vescovi, inoltre, affronteranno il tema del fine vita e delle forme di assistenza alla morte, alla luce di una sentenza del tribunale amministrativo federale di Lipsia, sulla possibilità eccezionale che un giudice dello stato autorizzi l’uso di farmaci particolari per l’aiuto al suicidio indolore di malati terminali: ciò anche alla luce del contrasto che si verrebbe a creare con la legge fondamentale dello stato tedesco che vieta formalmente che l’autorità pubblica prenda determinate decisioni. La corte costituzionale federale sarà chiamata nel 2017 a dirimere la controversia. All’assemblea plenaria, oltre i 66 membri della Dbk presieduti dall’arcivescovo di Monaco e Frisinga, cardinale Reinhard Marx, prendono parte il nunzio apostolico in Germania, arcivescovo Nikola Eterović, il cardinale Nakellentuba Philippe Ouédraogo, arcivescovo di Ouagadougou e il cardinale Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotá e presidente del Celam. Corso sul cattolicesimo alla facoltà protestante di Ginevra Importante passo ecumenico GINEVRA, 8. Come già avviene per l’ortodossia, l’islam e l’ebraismo, da alcuni giorni è attivo il corso di teologia cattolica alla Facoltà di teologia protestante dell’Università di Ginevra, destinato agli studenti del secondo e terzo anno della laurea triennale, frutto della collaborazione con la Chiesa cattolica romana (Eglise Catholique Romaine, Ecr) di Ginevra. «È una prima volta storica per Ginevra», ha dichiarato dal sito riforma.it, Geoffroy de Clavière, responsabile della comunicazione e dello sviluppo della Ecr, uno degli artefici del progetto insieme al decano della facoltà, Jean-Daniel Macchi. Quest’ultimo condivide lo stesso entusiasmo, parlando degli argomenti che saranno affrontati: teologia mariana, ecclesiologia cattolica e un insegnamento sulla grazia. Questi temi, che tradizionalmente dividono cattolici e protestanti, sono stati scelti apposta. «Sarà una bella occasio- ne per i nostri studenti — ha detto Macchi — di confrontarsi con la teologia cattolica». I corsi saranno aperti agli studenti di altri corsi e ai liberi uditori. I tre temi di studio saranno analizzati da docenti dell’Università cattolica di Lione, e si svilupperanno in 24-28 ore di lezione. Un bell’esempio di “ecumenismo universitario”: secondo Macchi, infatti, sarebbe limitativo studiare la teologia protestante senza avere anche delle buone conoscenze sulla teologia cattolica, «in una società come la nostra in cui le religioni vivono fianco a fianco, questo porterebbe a una formazione vacillante». Il decano ritiene che dopo il concilio Vaticano II l’ecumenismo si sia decisamente sviluppato: «Protestanti e cattolici si sono molto avvicinati e si capiscono sempre meglio. Dobbiamo continuare su questa via, e la messa in opera di questo percorso è un passo ecumenico importante». L’antica celebrazione quaresimale dei Corda pia ad Assisi Lettera pastorale dell’arcivescovo di Lussemburgo Con cuore devoto Per il rinnovamento tettonica della basilica a croce latina (comune alla maggioranza delle altre chiese), la gran parte degli affreschi che abbelliscono le pareti rappresentano già in realtà il mistero della passione e della morte in croce del figlio di Dio. La stessa vita di Francesco è spesso confrontata, sempre nei cicli pittorici, con episodi della passione di Cristo. La più antica raffigurazione della passio Christi confrontata con la compassio Francisci è stata realizzata circa vent’anni dopo la morte del santo e si trova nella basilica inferiore. È opera di un anonimo pittore, detto “maestro di san Francesco”, che la dipinse tra il 1250 e il 1260. Inoltre, la via crucis è sostituita dall’antichissimo rito dei Corda pia, espressione latina che significa “i cuori devoti, pii”, tratta dalle prime due parole dell’inno di apertura: «Corda pia inflammatur, dum Francisci celebrantur, stigmatum insignia». Il rito si svolge tutti i venerdì di quaresima e consiste in una prolungata meditazione che frati e fedeli sono invitati a fare sul mistero della passione e morte di Cristo in croce, abbinato al mistero della passione vissuta da san Francesco nella sua vita attraverso l’impressione delle stimmate, avvenuta sul monte de La Verna (Arezzo) due anni prima della sua morte. La celebrazione ha origini antichissime. Probabilmente è nata nel clima della devotio moderna del XIV secolo, al tempo in cui il capitolo generale dell’ordine, tenuto a Cahors nel 1337, istituì la festa liturgica delle stimmate di san Francesco. È infatti presente nel cerimoniale dell’ordine dei frati minori conventuali del 1631, con un testo redatto in conformità alle costituzioni urbane del 1628. In esso è stabilito che la cerimonia fosse celebrata in tutti i venerdì dell’anno, accompagnata da canti, letture, salmi, preghiere che invitano a riflettere, a contemplare e a unirsi alle sofferenze patite da Cristo nella passione. Si tratta, indubbiamente, di una delle più antiche devozioni a Cristo crocifisso conosciute nell’ordine francescano e il cui fondamento teologico e spirituale che la legittima è da ricercare nella scrittura, in particolare nelle parole di san Pietro: «Dalle sue piaghe voi siete stati guariti» (1 Pietro, 2, 24). Certamente riformabile in alcuni suoi punti secondo la sensibilità dei tempi — dicono i religiosi — il pio esercizio dei Corda pia è proposto tuttora a frati e fedeli come «particolare momento contemplativo quaresimale». (egidio picucci) LUSSEMBURGO, 8. «Digiunate e pregate per il rinnovamento della nostra Chiesa in Lussemburgo»: è quanto scrive monsignor Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo, nella lettera pastorale per la quaresima 2017, anno considerato «importante» dalla Chiesa nel Granducato perché giungerà a conclusione il cammino avviato nel 2014 per il «rimodellamento parrocchiale» e che porterà alla nascita, a maggio prossimo, di trentatré parrocchie suddivise in sei decanati al posto delle cinquantasette comunità pastorali esistenti. «L’erosione nella Chiesa è continuata e oggi non ci sono abbastanza ministri ordinati e collaboratori pastorali per servire tutti. La riduzione numerica — ha spiegato nella lettera pastorale diffusa dal Sir monsignor Hollerich — non significa che la Chiesa si ritira, né che si allontana dalle persone, al contrario le nuove parrocchie sono una possibilità di accogliere le sfide del tempo con un nuovo slancio missionario e nuove idee. Poiché più grande delle nostre paure — prosegue il testo — è la nostra fede nel Dio trinitario, non è il momento di lamentarsi, di guardare indietro e diventare schiavi della nostra storia, ma di lasciarsi guidare dal Signore nella sua visione del futuro». La Chiesa in Lussemburgo non usufruisce, come in passato, di consistenti finanziamenti pubblici, per cui l’arcivescovo denuncia il «bisogno del sostegno economico e di molti volontari che s’impegnino nei diversi incarichi» per far fronte alle sfide delle nuove parrocchie e della catechesi. «Più i cristiani sono personalmente legati a Dio — conclude — più la nostra Chiesa nel suo insieme potrà testimoniare la fede». Dopo la firma, avvenuta nel gennaio 2015, di tre convenzioni tra l’arcidiocesi e lo stato, prosegue il processo di ridefinizione della Chiesa relativo all’insegnamento della religione cattolica, sostituita dal corso di “vita e società”, alla gestione degli immobili di proprietà ecclesiastica e ai finanziamenti statali destinati alle comunità di culto. L’OSSERVATORE ROMANO giovedì 9 marzo 2017 pagina 7 Icona della «Panaghia glykophilousa» conservata sul Monte Athos Nomine episcopali La chiesa come madre Ti ho perso ma ti cerco di MARIA MOURZÀ Ben lo sapevano le nostre nonne. Sapevano di appartenere anzitutto alla chiesa, e poi a se stesse. Anzitutto alla chiesa, e poi alla loro casa. Per questo partecipavano di tutto cuore alle sue necessità. Alla costruzione del tempio, alla sua sistemazione, alle collette, ai digiuni, ai vespri, ai sacramenti, alla liturgia. La gente di un tempo sapeva che non vi è altra strada, perché l’altra strada Sguardo ortodosso Del libro «Non temere!». Brezze pasquali per i perdenti (Milano, Servitium editrice, 2017, pagine 235, euro 15), scritto da un’ortodossa, legata spiritualmente al Monte Athos, pubblichiamo ampi stralci del primo capitolo. porta a un altro capolinea. Sapevano che la salvezza è solo dentro la nave di Cristo. La chiesa — attestano i padri — è un grande ospedale in servizio ventiquattro ore su ventiquattro, da duemila anni. Un ospedale in servizio per tutti. Per chi ha un’assicurazione e per chi non ce l’ha. Per i ricchi e per i nullatenenti. Per gente famosa e per gente sconosciuta e marginale. Un grande ospedale in cui si affronta ogni malattia, per quanto avanzata, infettiva e mortale possa essere. Un grande ospedale in cui entri malato e da cui esci sano, come l’emorroissa. Entri persecutore ed esci apostolo, come Paolo. Entri peccatore ed esci santo, come santa Maria Egiziaca. Entri lupo ed esci agnello, come san Mosè l’Etiope. Entri cadavere in decomposizione e, morto da quattro giorni, risorgi, come Lazzaro. Perché nella chiesa non vi è morte. Non vi sono morti. La chiesa è la terra dei viventi, ove c’è vita e sovrabbondanza di vita, cioè Cristo. La chiesa, da secoli, offre gli stessi farmaci, in grado di salvare il mondo; da secoli, essa ha anche gli stessi mirabili risultati: genera santi. In nessun luogo, altrove, nascono santi, se non nella chiesa. Anche altrove troveremo persone buone, santi no. Perché i santi, uomini come noi, che con noi condividono infermità e malattie, sono entrati nella chiesa e si sono consegnati senza riserve alle direttive del medico. E Cristo, che non è solo medico ma anche padre, si consegna a quanti a lui si consegnano. Si china su di loro amorevolmente, totalmente, come solo egli sa; conforta, assiste, cura, santifica e glorifica. Il Cristo misericordioso si fa tutto a tutti per salvare l’uomo. La chiesa, persino se la rinneghiamo, resta una madre che agogna a raccogliere i suoi figli. Lutto nell’episcopato Monsignor Tadeusz Rybak, vescovo emerito di Legnica, in Polonia, è morto dopo una lunga malattia martedì 7 marzo. Il compianto presule era nato il 7 novembre 1929 a Milanówek, arcidiocesi di Warszawa, ed era stato ordinato sacerdote il 2 agosto 1953. Eletto alla sede titolare di Benepota e nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Wrocław il 28 aprile 1977, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 24 giugno. Dal 1983 aveva presieduto la Commissione episcopale per la pastorale liturgica che si occupò della preparazione di quasi tutti i sussidi vengono usati in Polonia. Il 25 marzo 1992, con l’erezione della nuova diocesi di Legnica, ne era stato nominato primo vescovo. Il 19 marzo 2005 aveva rinunciato al governo pastorale. I funerali saranno celebrati sabato prossimo, 11 marzo, alle ore 11, nella cattedrale di Legnica. Agogna e attende, nella speranza che noi, sia pure dopo anni, torniamo da lei. Ma il nostro ritornare alla chiesa presuppone una consapevolezza: essa non è vuota. Vi è un Padre che ci ama fedelmente, in maniera inalterabile, per sempre. Qualunque sia lo stato in cui ci presentiamo, qualunque sia il luogo da cui proveniamo, per quanto dissoluti possiamo essere stati, c’è un Padre che è uscito in strada e ci aspetta. Se riuscissimo a dire alla gente quest’unica potente e consolante verità: che nella chiesa dai lacrime e ricevi remissione; che Cristo non si occupa dei nostri peccati ma del nostro pentimento. Se riuscissimo a dire ai giovani di non esitare, qualunque sia il modo in cui hanno vissuto, a far ritorno alla chiesa. Perché la chiesa è madre e, quando a essa torniamo, non indaga per sapere ciò che abbiamo fatto, ma ci guarda negli occhi per vedere ciò che abbiamo sofferto, in quanti frantumi ci siamo ridotti. La vita della chiesa e il suo amore per noi non dipendono né dalla nostra miseria né dalla nostra santità, ma da Cristo. Se riuscissimo a dire ai nostri figli che il sacerdote, chiunque egli sia, è in grado di fare ciò che nemmeno gli angeli sono in grado di fare: la divina liturgia. E cioè? Cioè: egli fa scendere Dio sulla terra. Fa scendere la Madre di Dio. Fa scendere migliaia di angeli che si accalcano lì, nel tempio, ma che noi non abbiamo occhi per vedere. Questa è la divina liturgia. Uomini e angeli e santi insieme. Vivi e defunti, nonni e bisnonni, i credenti di tutti i secoli. Tutti membri di Cristo. Corpo di Cristo. Ossa di Cristo. Con te che amo e con te che trascuro. Con i familiari e con i nemici. Tutti un corpo solo. Questo succede in ogni liturgia. Questo succede nella chiesa. Per noi. Questa è la chiesa. Madre di una forza illimitata, di una portata illimitata. Basta che ci fidiamo di lei. I santi, di cui andiamo in cerca bramosi, non piovono dal cielo. Nascono in famiglie. Dietro di loro si nascondono madri e padri e nonne e sorelle la cui vita non era diversa dalla vita della chiesa. Se vogliamo vedere progressi, la nostra vita deve identificarsi con la vita della chiesa. Viviamo in tempi estremi. Il fiume sembra non avere ritorno. Il peccato si è moltiplicato a dismisura, e di ciò siamo tutti colpevoli. Ci sentiamo innocenti, ma non lo siamo. Tutti abbiamo una quota di responsabilità, anche se non vogliamo riconoscerlo. Per questo piange la chiesa. Se non ci pentiremo, mai ameremo come ama chi ha ottenuto misericordia, né mai capiremo Le nomine di oggi riguardano la Chiesa in America. Manoel Delson Pedreira da Cruz arcivescovo di Paraíba (Brasile) come ama la chiesa. Si narra di una madre vedova che perse sua figlia adolescente. Se n’era andata nella capitale e viveva in maniera assai libera, in case di piacere. Era impossibile trovarla. In preda alla disperazione, la madre prese una propria fotografia, la ristampò più volte e vi scrisse sotto: «Figlia mia, ti ho persa, ma non dimenticata. Figlia mia, ti ho persa, ma ti cerco». La madre andò a incollarla alle porte delle case di malaffare. Un giorno, dopo anni, la ragazza, entrando in una di queste case, si trovò di fronte alla foto di sua madre. E per la prima volta, dopo anni, nel suo cuore desertificato si aprì una crepa, e cominciarono a sgorgare lacrime. Per la prima volta, dopo anni, gli occhi della figlia scoppiarono a piangere. Per la prima volta, dopo anni, si ricordò della sua origine, della mamma che l’aveva generata, e fece ritorno, per non andarsene mai più. È quello che anche la chiesa ha fatto per noi. Ha messo ovunque la sua fotografia: le icone, le campane, le ufficiature, il Vangelo, il confessore, la stola santa. Ha messo ovunque la sua fotografia e dice anche a noi le medesime parole: «Figlio mio, ti ho perso, ma non dimenticato. Figlio mio, ti ho perso, ma ti cerco». Nella speranza che si incrini anche il nostro cuore di pietra. Nella speranza che i nostri occhi, inariditi per la “sclerocardia”, effondano lacrime. Nella speranza che ci ricordiamo della nostra origine divina. Nella speranza che facciamo ritorno, dalla madre vera. Dalla madre che salva, compatisce e benedice il mondo. Questa è la chiesa degli apostoli. Questa è la chiesa dei padri. Questa è la chiesa dei santi. È questa chiesa che ha sostenuto l’universo. Nell’umiltà della quaresima Chi lavora per toglierti il senso di responsabilità in realtà ti lascia solo e indifeso contro le spinte più distruttive del tuo inconscio, convincendoti che non c’è niente da fare, che alla fine dei conti sei di FABIO BARTOLI irrimediabilmente cattivo, anche Per fortuna che c’è la quaresima. se non è colpa tua. Il pentimento dunque comincia Per fortuna, o per grazia, c’è un tempo in cui siamo invitati a ri- da qui, da questa assunzione di tornare in noi stessi e pentirci. È responsabilità: io ho fatto il male, il tempo delle ceneri, il tempo in non un altro; io sono responsabile cui ricordare che siamo polvere, di me stesso. Così recita, per in cui prendere coscienza che il esempio, il salmo 50, il manifesto male abita in noi. Hai voglia a biblico del pentimento: «Contro cercare di illuderti o ingannarti, te solo ho peccato, quello che è hai voglia a dare la colpa al mon- male ai tuoi occhi io l’ho fatto». do che è cattivo, alla famiglia che È quello che Gesù chiama «rienti ha educato, alle cattive compa- trare in se stessi»: mentre il male ci porta fuori di noi e tende a inibire l’autocoscienza e la riflessione su di sé, il pentimento ci riporta a noi stessi, ci fa riflettere su chi siamo e sul nostro posto nel mondo. La cultura precristiana non conosce l’umiltà come valore, non nel senso che i cristiani danno a questa parola. Per i filosofi stoici, Seneca e gli altri, il grande valore è la metriotes, la misura, la conoscenza del proprio limite, e quindi il non avere pretese troppo alte, l’accontentarsi di ciò che si è, scegliendo l’aurea Lello Scorselli, «Zaccheo» (1965) mediocritas; in questo lo stoicismo assomiglia gnie, a Saturno in trigono o a molto a certe filosofie moderne, quel che ti pare; alla fine, se sei come il buddismo promosso dalla onesto con te stesso, non puoi Soka Gakkai. Per questo era scritche ammetterlo: io, io ho sbaglia- to sul frontone del tempio di Delto, non un altro al posto mio. Io fi: «Conosci te stesso» (anche se avrei potuto fare diversamente, io poi Platone ha dato a questa frase un altro valore). ho provocato dolore. Ma per il cristiano non c’è auLa realtà, che è quella cosa che non sparisce se chiudiamo gli oc- tentica conoscenza di sé senza chi, ci ricorda continuamente que- partire dall’altissima vocazione a sta inseparabile commistione di cui siamo chiamati dall’amore di virtù e peccato che siamo. È la Dio; l’umiltà cristiana quindi non parola del profeta Natan a Davi- sarà mai una mediocritas, per de: «Tu sei quell’uomo!» (cfr. 2 quanto aurea. Mentre per i filosoSamuele, 12, 1-7). Può sembrare fi stoici la pace e l’equilibrio inteuna parola dura, ma in realtà è il riore consistono nel non avere alpresupposto della salvezza, per- cun desiderio, per il cristiano al ché se io sono responsabile signi- contrario consisteranno nell’andafica che posso cambiare, non so- re fino in fondo a ogni desiderio, no un burattino in balia di forze per scoprire che alla fin fine è un più grandi di me. Non è strano? desiderio di Dio. Conoscere se Anticipiamo un brano dal libro «Per fortuna c’è la quaresima!» (Milano, Àncora Editrice, 2017, pagine 94, euro 10). stesso per il cristiano significa prendere coscienza di due cose a un tempo: da una parte, dell’infinito amore con cui siamo amati e dell’altissimo orizzonte a cui questo amore ci destina; dall’altra, della nostra attuale distanza da questo orizzonte e della nostra incapacità di raggiungerlo con le nostre sole forze. Non conoscendo Cristo, il mondo pagano non poteva concepire né l’immensa grandezza a cui l’uomo è destinato, né l’enorme bassezza di cui è capace, perché anche il male si rivela in tutta la sua portata solo quando è apparsa la pienezza del bene. Quando la scoperta di questa contraddizione, anziché gettarci nella disperazione, ci riempie di gioia per l’enormità della grazia ricevuta, questa è l’umiltà. L’umiltà consiste nell’accettazione gioiosa di un paradosso: io e te siamo nani destinati a diventare giganti, animali chiamati a essere Dio. Per questo la Chiesa dedica al pentimento tanta attenzione: quaranta giorni, una stagione intera. E c’è sapienza in questo; annunciare un tempo di pentimento, infatti, significa annunciare una speranza: il male non vincerà, tu sei più grande del tuo peccato. Se sei ancora capace di pentirti, vuol dire che la tua volontà è ancora libera, vuol dire che non sei stato definitivamente preso nella rete che il nemico del genere umano ha disteso intorno a te. Per quanto sia grande il tuo peccato, dice Bernardo di Chiaravalle, più grande ancora è la misericordia di Dio. E la quaresima sta lì proprio a dirti che non c’è male irreversibile, non c’è catena infrangibile, non c’è colpa imperdonabile. Il Papa a Milano Inizia con l’incontro con la gente delle “Case bianche” di via Salomone nel quartiere Forlanini, alla periferia sud-est di Milano, la visita di Papa Francesco alla città ambrosiana. Sabato 25 marzo, il Pontefice comincia la giornata recandosi in una zona caratterizzata da un forte disagio sociale, dove si intrecciano vecchie e nuove povertà. Da una parte droga, solitudine, indigenza e adolescenti con mille problemi, dall’altra le nuove sfide che pone l’arrivo di molti immigrati negli ultimi anni. Per questo il Papa compie un gesto significativo: incontra due famiglie nei loro appartamenti e poi nel piazzale antistante la gente del quartiere, in cui vivono anche rom, islamici e immigrati. Quindi, secondo il programma predisposto dalla Prefettura della Casa Pontificia, Francesco si trasferisce in duomo, per parlare ai sacerdoti e ai consacrati. Dopo l’adorazione del Santissimo Sacramento nello Scurolo di San Carlo, uno dei luoghi simbolo della Chiesa ambrosiana, il Pontefice risponde ad alcune domande dei presenti. Al termine del colloquio, esce sul sagrato della cattedrale per la recita dell’Angelus e la benedizione ai fedeli. La tappa successiva è nella casa circondariale di San Vittore, dove il Pontefice saluta i detenuti, alcuni dei quali direttamente nelle loro celle. E nel terzo raggio pranza con una rappresentanza di cento carcerati. Nel pomeriggio si dirige prima al parco di Monza per la celebrazione dell’Eucaristia poi alla stadio Meazza - San Siro per dialogare con i ragazzi cresimati. Al termine, raggiunge l’aeroporto di Linate per il rientro in Vaticano. Il logo scelto per la visita rappresenta due mani che si tendono verso il Papa. Mani che possono sembrare anche due ali delle colombe della pace, ma che nel profilo vogliono ricordare il duomo di Milano. Nella parte superiore del logo è rappresentato l’abbraccio del Pontefice che diventa anche un sorriso. Nato il 10 luglio 1954 a Biritinga, arcidiocesi di Feira de Santana, nello stato di Bahia, ha emesso la professione nei frati minori cappuccini il 17 gennaio 1978 ed è stato ordinato sacerdote il 5 luglio 1980. Ha compiuto gli studi filosofici a Nova Veneza (São Paulo) e quelli teologici all’Istituto di teologia dell’università di São Salvador da Bahia. Ha conseguito la laurea in lettere classiche all’università cattolica di São Salvador da Bahia e la licenza in scienze delle comunicazioni sociali alla Pontificia università salesiana di Roma. Nel proprio ordine religioso è stato formatore, ministro provinciale (più volte) e definitore generale per l’America latina. Il 5 luglio 2006 è stato nominato vescovo di Caicó e ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 24 settembre successivo. L’8 agosto 2012 è stato trasferito alla diocesi di Campina Grande. Attualmente è vice-presidente della Conferenza episcopale regionale Nordeste 2, che comprende gli stati di Alagoas, Paraíba, Pernambuco e Rio Grande do Norte. Roy Edward Campbell ausiliare di Washington (Stati Uniti d’America) Nato il 19 novembre 1947 a Pomonkey, Maryland, nell’arcidiocesi di Washington, dopo aver frequentato la Archbishop Carroll High School nella capitale (19611965), ha conseguito il baccalaureato in zoologia, antropologia e chimica alla Howard University di Washington (1965-1969) e il diploma in banking management all’University of Virginia di Arlington (1990-1992). Per vari anni ha lavorato nel settore bancario, divenendo vice-presidente e project manager della Bank of America. Entrato in seminario, ha svolto gli studi ecclesiastici al Blessed John XXIII National Seminary a Weston nel Massachusetts (2003-2007). Ordinato sacerdote per il clero di Washington il 26 maggio 2007, è stato vicario parrocchiale di Saint Augustine e amministratore pro tempore della parrocchia Immaculate Conception a Washington (2007-2008); parroco di Our Lady of Assumption a Washington (2008-2010) e di Saint Joseph a Largo (dal 2010). Era inoltre membro dell’archdiocesan synod implementation committee, dell’archdiocesan formation board (2010-2014), del clergy personnel board (2010), vicario foraneo del Middle Prince George’s County (2015) e dell’executive committee of the priest council (dal 2016). Vicente de Paula Ferreira ausiliare di Belo Horizonte (Brasile) Nato il 27 ottobre 1970 ad Araraí, distretto di Alegre, diocesi di Cachoeiro de Itapemirim, nello stato di Espírito Santo, ha compiuto gli studi di filosofia presso l’università federale di Juiz de Fora (1986-1990), dove più tardi ha conseguito la licenza (2009-2011) e la laurea (2011-2013) in scienza della religione. Ha studiato teologia alla facoltà gesuita di filosofia e teologia a Belo Horizonte (19931996) e si è specializzato in psicologia a Juiz de Fora (2003-2006). Emessa la professione come religioso redentorista il 12 dicembre 1992, è stato ordinato sacerdote il 16 novembre 1996. Nella sua congregazione è stato promotore vocazionale (1997); formatore del pre-noviziato (1998-2002) e dell’aspirantato (2003-2005); presidente dell’Unione dei redentoristi del Brasile (2005-2011); superiore della provincia di Rio de Janeiro Minas Gerais - Espírito Santo per tre mandati (2005-2014); membro dell’Accademia Alfonsiana di Roma (dal 2012). Al presente era formatore degli studenti redentoristi di teologia (Provincia di Rio) a Belo Horizonte. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 giovedì 9 marzo 2017 Quarta e quinta meditazione degli esercizi spirituali Il vangelo secondo Giuda Dal suicidio di Giuda — «un fatto storico scomodo e imbarazzante con cui la Chiesa non ha paura di fare i conti» — è nata «un’opera di misericordia»: con quei trenta denari, che ha inutilmente tentato di restituire ai sacerdoti, «finisce infatti per essere costruito un cimitero per la sepoltura degli stranieri» a Gerusalemme. È proprio sulla «delicata questione» del suicidio di Giuda e sulla sua «perdita della fede nel Signore», che padre Giulio Michelini ha parlato di fronte al Papa e ai suoi collaboratori della Curia romana mercoledì mattina, 8 marzo, nella quinta meditazione degli esercizi spirituali, in corso nella Casa Divin Maestro ad Ariccia. E per il predicatore — che ha ricevuto una mail di testimonianza da un confratello francescano, parroco ad Aleppo, in cui si descrive il calvario della popolazione — è significativo che quel sangue, contrariamente alle accuse anti-giudaiche di deicidio, mosse soprattutto dal quinto secolo, non ricade «sul capo di Israele» ma nel campo comprato al prezzo del sangue di Cristo e divenuto, dunque, «opera di misericordia». Le cronache dei nostri giorni, ha fatto presente il francescano, sono piene di «casi di suicidi e suicidi assistiti», riferendosi espressamente alla vicenda del «ragazzo di sedici anni che si è tolto la vita dopo che la sua stessa mamma aveva chiesto l’intervento della guardia di finanza», perché utilizzatore di stupefacenti. Ma «il suicidio di Giuda ci interpella tutti direttamente» ha affermato padre Michelini facendo riferimento al passo di Matteo (27, 1-10). E se «il Vangelo non ci dà elementi sicuri» per comprendere le ragioni del suo comportamento, «l’ipotesi è che a un certo punto abbia perduto la fede nel Signore». A sostegno di questa affermazione, il religioso ha proposto una testimonianza dello scrittore francese Emmanuel Carrère che, nel romanzo in parte autobiografico Le Royaume (2014), non nasconde affatto la propria esperienza di delusione: «In un certo periodo della mia vita sono stato cristiano. Lo sono stato per tre anni. Non lo sono più». Aggiungendo: «Ti abbandono Signore. Tu, non abbandonarmi». In sostanza Carrère, ha commentato padre Michelini, «dice di aver abbandonato la fede in Cristo dopo averlo amato pur senza averlo visto». Giuda, invece, «è stato molto vicino a Gesù, lo ha conosciuto in carne e ossa». Di più: «Giuda ha seguito con entusiasmo Gesù che l’aveva chiamato, ha ascoltato le sue parole e ha visto i segni compiuti». Per dirla con Romano Guardini, «Giuda era realmente disposto alla sequela del maestro». Però, ha proseguito padre Michelini, «a un certo punto deve essere subentrato qualcosa che lo ha portato a perdere la fede in Gesù, a non fidarsi più». Ma «le ragioni non ci sono date nei Vangeli»: per Benedetto XVI «ciò che è accaduto a Giuda non è più psicologicamente spiegabile». Da parte sua, il predicatore ha avanzato «l’ipotesi che Giuda abbia pensato di consegnare Gesù alle autorità religiose affinché si mostrasse come il messia di Israele». Insomma, «Giuda avrebbe proiettato sul volto di Gesù l’immagine del suo messia ideale: liberatore, combattente, politico». Tanto che nel vangelo di Matteo tutti i discepoli chiamano Gesù «Kyrie (Signore)»: solo Giuda lo chiama, per due volte, «Rabbì» perché in Lui «vede solo un maestro e mediante la consegna vuole forzarlo a fare quello che desidererebbe». Ma «come è potuto accadere che un uomo scelto personalmente da Gesù sia arrivato a perdere la fede fino a non riconoscerlo più?»: è una domanda che non ci può lasciare indifferenti. «Guardini pensa a un processo a più fasi, con tanto di attaccamento al denaro» ha spiegato padre Michelini. «Meno articolata, ma altrettanto suggestiva, la finissima analisi dello scrittore israeliano Amos Oz, che vede nella crocifissione il momento della perdita della fiducia da parte di Giuda». E il predicatore non ha mancato di mettere in guardia dal non ritenersi «superiori a Giuda, perché tutti noi abbandoniamo Gesù, anche Pietro lo ha rinnegato». Ecco, allora, l’invito a chiedersi «se non vi sono nella nostra vita molti giorni in cui non abbiamo abbandonato Cristo, il nostro sapere migliore, il nostro sentimento più santo, il nostro dovere, il nostro amore per una vanità, una sensualità, un guadagno, una sicurezza, un odio, una vendetta?». E così, per dirla con Guardini, «abbiamo ben poche giustificazioni di parlare ancora con indignazione sul “traditore”, perché Giuda svela noi stessi». Tornando sul fatto del suicidio di Giuda — «uno dei cinque di cui si parla nella Bibbia senza menzionare gli impulsi suicidi che toccano tante donne e tanti uomini» — il predicatore ha puntato sulla questione della motivazione. Più che «disperazione», quel gesto tragico esprime «ri- morso, pentimento, consapevolezza e confessione del peccato commesso». Ma c’è un altro punto focale che ci interpella senza sconti, ha affermato padre Michelini facendo ricorso a I promessi sposi, il cui autore Alessandro Manzoni — ha detto — «andrebbe persino beatificato, magari non in senso canonico, per quanto dice sulla nostra esperienza di vita». Dal Vangelo «non sappiamo chi è andato a cercare Giuda» dopo che i sacerdoti lo avevano cacciato in malo modo «dimenticando di essere pastori». Ma proprio «l’esperienza dell’Innominato», al capitolo 21 del romanzo di Manzoni, racconta di «un uomo che fa i conti con i propri gravi peccati». Fino all’incontro con il cardinale Federigo Borromeo che gli chiede perdono per non essere andato prima a incontrarlo. «La Chiesa, come ci insegna Papa Francesco, deve andare sempre incontro al peccatore» ha rilanciato padre Michelini. E così Giuda, in quelle ore terribili, «ha certamente incontrato la parte peggiore di sé, il suo errore e l’avversario, il nemico, tanto che si è tolto la vita». Proprio in questa prospettiva, ha aggiunto, «è importante che la Chiesa scenda in strada per andare incontro a chi è nel peccato, sia presente nelle carceri e nei luoghi dove c’è quello che non si vorrebbe vedere», pub e discoteche comprese dove, ha confidato, alcuni confratelli vanno a ballare per evangelizzare «e io, da professore, simpaticamente li prendo in giro». Dal vangelo di Matteo, è l’indicazione del religioso, viene anche il suggerimento di saper «fare i conti con i propri problemi e scandali, senza nascondere nulla». Tanto che l’evangelista non evita di mettere per iscritto che tra gli antenati di Gesù c’è una prostituta. Nel pomeriggio di martedì 7 il predicatore, nella quarta meditazione, aveva proposto una riflessione «sulla preghiera di Gesù e il suo arresto al Getsemani» (Matteo 26, 36-56). E ha suggerito di andare con il proprio cuore proprio al Getsèmani per assistere alla «tristezza» e all’«angoscia» di Gesù, chiedendosi come porsi davanti all’«angoscia del nostro prossimo», se si è in grado di tenere «gli occhi aperti» e pregare oppure se si cede alla tentazione del sonno. Un’altra questione da porre, poi, è anche «se posso comprendere la volontà buona di Dio come vera per me e per il mondo oppure se ho un’idea imperfetta di questa sua volontà, come quella di un “capriccio”, tipica degli atteggiamenti dei pagani». Ed è importante verificare pure, ha insistito il predicatore, «se mi rendo conto di quanto sia importante quella che potremmo chiamare la versatilità del Padre di Gesù Cristo: la sua volontà di salvezza è certo ferma — come diceva Guardini — ma la forma in cui essa di realizza, questa è condizionata». E così «l’onnipotenza di Dio si ferma davanti alla libertà della sua creatura e poi se Dio può cambiare idea, addirittura, stando al libro di Giona (3, 10), può pentirsi, proprio come si convertiranno gli abitanti di Ninive, se anche Dio si converte, come può la sua Chiesa non cambiare, come possiamo noi stare fissi nelle nostre rigidità?». Per la sua meditazione padre Michelini è partito da un confronto tra la preghiera di Gesù sul monte degli Ulivi e quella sul Tabor. Le due situazioni, ha spiegato, hanno somiglianze impressionanti e «la situazione esistenziale» di Gesù è provata: nel primo caso, perché Pietro e gli altri non hanno compreso il senso del suo pri- di ANGELO AMATO Non è anacronistico parlare di martiri ai nostri giorni. Gli eventi drammatici del secolo scorso e di questo inizio secolo confermano il significato profondo di martirio, che è professione di fede, che accompagna sempre la Chiesa di Cristo nella storia. Afferma a ragione monsignor Virgil Bercea, vescovo della diocesi greco-cattolica di Oradea: «Come in ogni persecuzione fatta da un gruppo di uomini contro i propri simili, il male e la sofferenza provati — a prescindere alla loro motivazione ideologica — sono grotteschi, incomprensibili e contro i valori umani». È la cosiddetta banalità del male. È infatti senza alcuna giustificazione razionale la ferocia diabolica dei persecutori. Il sacerdote polacco Jerzy Popiełuszko È questa l’impressione che si ricava dalla lettura di questo secondo volume, della trilogia curata da Jan Mikrut, e dedicata alla Chiesa cattolica e il comunismo. In particolare questo secondo libro è dedicato alle figure di cristiani, per lo più sconosciuti, che si sono opposti ai sistemi totalitari europei del secolo scorso. Sono cristiani dalla fede profonda e dai gesti coraggiosi, prodigiosa riproposizione del comportamento dei primi martiri del cristianesimo. La Chiesa non dimentica questi suoi figli coraggiosi e molti di essi sono stati elevati agli onori degli altari. Mi soffermo solo su quei martiri beatificati nel periodo 2008-2017 che appartengono a quei paesi europei che soffrirono la dittatura nazista e José Ferraz de Almeida Júnior, «Il rimorso di Giuda» (1880) mo annuncio di dover morire a Gerusalemme; nel secondo perché ha appena annunciato che qualcuno l’avrebbe consegnato. Ma in tutte e due i momenti, ha fatto presente il predicatore, i discepoli non capiscono quanto sta accadendo. Una discriminante, però, separa le due scene: sul Tabor c’è la voce del Padre che consola il Figlio; al Getsemani, invece — tranne che per la versione di Luca per cui Gesù è rafforzato nella lotta da un angelo — non si sente nessuna voce. È Gesù invece, ha spiegato padre Michelini, che si rivolge al Padre, «accogliendo che sia fatta la sua santa volontà di bene». Questa volontà originaria non vuole la morte del Figlio, ma la sua salvezza, come ebbe a scrivere sempre Guardini ne Il Signore: «Gesù era venuto per redimere il suo popolo e, in esso, il mondo. Ciò doveva compiersi attraverso la dedizione della fede e dell’amore; ma essa venne meno. Tuttavia, rimase il mandato del Padre, ma esso mutò di forma». E anche la parabola dei vignaioli omicidi, ha spiegato il predicatore, ci presenta «un padre che invia il figlio», sicuro che verrà rispettato. Ma l’annuncio e la persona di Gesù non vengono accolti e il regno passerà dunque in un altro modo: quello che Gesù, al Getsèmani, è chiamato ad accettare. In proposito, il predicatore ha parlato della «teologica del piano B»: «Anche di fronte al rifiuto del suo popolo, che Gesù non poteva mettere in conto fin dall’inizio, egli non si ferma e accetta l’ “altro piano”, accettando il suo sacrificio». E Gesù, ha messo in evidenza il religioso, esorta ancora i suoi discepoli — come ha fatto egli stesso nel Getsèmani, mettendo in pratica lo Shemà, la preghiera di Israele — ad amare «Dio con tutto il cuore, le forze e fino a dare la vita». E questa non è certo teoria, ma realtà da vivere giorno per giorno. Martiri di oggi comunista. Non si prendono in considerazione i martiri di altri paesi europei — ad esempio le migliaia di martiri spagnoli — o extraeuropei, numerosissimi anch’essi. Li elenchiamo secondo la data di celebrazione della loro beatificazione: Francesco Giovanni Bonifacio, trentaquattrenne sacerdote della diocesi di Trieste — nato nell’odierna Slovenia — martirizzato nel 1946. Torturato e gettato nelle foibe, è stato beatificato a Trieste il 4 ottobre 2008. Nel volume che stiamo presentando viene chiamato «Il primo martire delle foibe». Zoltán Lajos Meszlényi, vescovo ausiliare di Esztergom in Ungheria, martire, morto in campo di concentramento nel 1951. Beatificato il 31 ottobre 2009 a Esztergom. Jerzy Popiełuszko, sacerdote della diocesi di Warszawa, martire, assassinato dal regime comunista nel 1984. Torturato brutalmente e incaprettato, fu abbandonato nella Vistola, forse ancora vivo. Beatificato a Varsavia il 6 giugno 2010 alla presenza dell’anziana mamma. Il museo a lui dedicato mostra la ferocia inaudita dei suoi carnefici, non uomini ma infernali incarnazioni del male. Il giovane diciannovenne sloveno Lojze Grozde, martire, torturato e ucciso solo perché cattolico. Beatificato a Celje in Slovenia il 13 giugno 2010. Le sue uniche armi erano la corona del rosario e il vangelo. Gerhard Hirschfelder, sacerdote appartenente al primo gruppo del movimento di Schönstatt, morto martire nel campo di concentramento di Dachau a 35 anni. È stato beatificato il 19 settembre 2010 a Münster, in Germania. Szilárd Ignác Bogdánffy, vescovo ausiliare e martire. Arrestato nel 1949, fu prima destinato ai lavori forzati in una miniera di piombo, quindi in un campo di sterminio presso il Mar Nero, dove morì il 2 ottobre 1953. È stato beatificato il 30 ottobre 2010 a Oradea Mare, in Romania. Il tributo dei romeni alla testimonianza del vangelo è stato straordinario. Georg Hafner, sacerdote della diocesi di Würzburg, martire, morto nel campo di concentramento di Dachau. Beatificato il 15 maggio 2011 a Würzburg. Alois Andritzki, sacerdote della diocesi di Dresda, martire. Morto a 29 anni nel campo di concentramento di Dachau. È stato beatificato il 13 giugno 2011 a Dresda. Johannes Prassek, Eduard Müller e Hermann Lange, chiamati i “martiri di Lübeck”, decapitati dai nazisti nel 1943. Insieme a loro fu ucciso anche il pastore protestante Karl Friedrich Stellbrink. La beatificazione di questi tre cappellani cristiani ha avuto luogo a Lübeck il 25 giugno 2011. Alla fine della celebrazione il vescovo luterano di Amburgo, invitato al rito con molti Anton Durcovic, vescovo di Iaşi in Romania, martire, ucciso nel 1951 nel famigerato carcere di Sighet (Bucarest) e beatificato a Iaşi il 17 maggio 2014. Engelmar Unzeitig, sacerdote tedesco dei missionari di Mariannhill, morto martire a Dachau nel 1945 e beatificato a Würzburg il 24 settempre 2016. Vincenzo Prennushi, arcivescovo di Durazzo e 37 compagni martiri, uccisi in odio alla fede all’epoca dello spietato regime comunista albanese. In questo gruppo ci so- suoi fedeli, tessé il panegirico del cappellano Stellbrink. Si può dire che sia stata una beatificazione ecumenica. Janos Scheffler, romeno, vescovo di Satu Mare, martire, morto nel famigerato carcere sotterraneo di Jilava il 6 dicembre 1952. Beatificato a Satu Mare il 3 luglio 2011. Maria Giulia Ivaniševic e quattro consorelle, suore professe dell’Istituto delle figlie della divina Carità, martirizzate nel 1941 in Bosnia Erzegovina e beatificate a Sarajevo il 24 settembre 2011. In un paese a stragrande maggioranza musulmana, la beatificazione vide un’affluenza straordinaria di gente commossa ed edificata. Carl Lampert, sacerdote Nel pomeriggio di mercoledì 8 marzo, alla diocesano austriaco, martire, Pontificia università Gregoriana, si svolge un decapitato dai nazisti nel incontro dedicato al libro Testimoni della fede 1944. Beatificato a Dornbirn, (Gabrielli editori), presentato sull’O sservatore Austria, il 13 novembre 2011. Romano del 6-7 marzo. Alla conversazione, Odoardo Focherini, italiaguidata dal decano della facoltà di Storia e beni no, laico, padre di famiglia culturali della Chiesa, Marek Inglot, martirizzato nel 1944 nel partecipano, oltre al curatore del volume, il campo di concentramento di rettore dell’università, Nuno da Silva Hersbruck. È stato beatificaGonçalves, il vescovo Tomo Vukšić, ordinario to il 15 giugno 2013 a Carpi militare per la Bosnia ed Erzegovina, e il in Italia. Il beato Focherini cardinale prefetto della Congregazione delle fu assistito fino all’ultimo cause dei santi, del cui intervento anticipiamo dal venerabile Teresio Oliampi stralci. velli, morto anch’egli a Her- Alla Gregoriana sbruck il 17 gennaio 1945, in seguito alle percosse letali ricevute da un kapò. Il suo delitto? Aver cercato di fare scudo con il proprio corpo a un giovane prigioniero ucraino che veniva brutalmente pestato. Vladimir Ghika, sacerdote diocesano romeno, martire (1946), beatificato a Bucarest il 31 agosto 2013. Apparteneva a una famiglia nobile ed era diplomatico. E come tale avrebbe potuto salvarsi espatriando. Non lo fece, perché voleva aiutare i suoi compatrioti a resistere saldi nella fede. Miroslav Bulešič, giovane sacerdote diocesano croato, martirizzato nel 1947 e beatificato a Pola il 28 settembre 2013. Fu diligente studente di filosofia e teologia in questa università. Il quattordicenne seminarista italiano Rolando Rivi, ucciso in odio alla fede nel 1945 da partigiani comunisti e beatificato a Modena il 5 ottobre 2013. Venne ucciso perché non volle svestirsi della tonaca sacerdotale, a quel tempo indossata anche dai piccoli seminaristi. Stefan Sàndor, salesiano ungherese, martirizzato nel 1953 e beatificato a Budapest il 19 ottobre 2013. Giuseppe Girotti, domenicano italiano, morto martire a Dachau nel 1945 e beatificato ad Alba (Italia) il 26 aprile 2014. no 21 sacerdoti diocesani, 7 francescani, 3 gesuiti, un seminarista e 4 laici, tra i quali una aspirante alla vita consacrata. Sono stati beatificati il 5 novembre 2016 a Scutari. La descrizione delle loro sofferenze e torture è uno spaventoso e diabolico lessico di malvagità, creato dal principe del male. Aggiungiamo che in questi ultimi mesi sono stati autorizzati da Papa Francesco i decreti sul martirio dei seguenti servi di D io: Joseph Mayr Nusser, italiano altoatesino, laico, martirizzato nel 1945, perché si rifiutò di fare il giuramento di fedeltà al Führer. Sarà beatificato il 18 marzo prossimo a Bolzano. È noto il suo “No” aperto e sincero al nazismo. Teofilo Matulionis, arcivescovo-vescovo di Kaisiadoris in Lituania, ucciso in odio alla fede il 20 agosto 1962. Sarà beatificato il 25 giugno prossimo a Vilnius, in Lituania. Tito Zeman, sacerdote salesiano slovacco, ucciso in odio alla fede l’8 gennaio 1969, la cui beatificazione è prevista per il 30 settembre prossimo a Bratislava.