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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVII n. 56 (47.490)
Città del Vaticano
giovedì 9 marzo 2017
.
I negoziati ad Astana tra governo e gruppi dell’opposizione
In Ungheria approvata l’istituzione di campi chiusi
La Lega araba
sostiene i colloqui per la Siria
Detenzione
per i richiedenti asilo
DAMASCO, 8. «Il cessate il fuoco che
è stato consolidato in occasione dei
colloqui di Astana è un passo positivo per fermare lo spargimento di
sangue in Siria». Lo ha dichiarato
ieri il segretario generale della Lega
araba, Ahmed Abul Gheit, esprimendo la speranza che la tregua
«venga rispettata».
Nel suo intervento al consiglio
della Lega araba, riunito al Cairo a
livello di ministri degli esteri, Abul
Gheit ha messo in evidenza che «il
raggiungimento di uno stop ai combattimenti non porterà automatica-
y(7HA3J1*QSSKKM( +/!z!%!z!;!
Il premier
iracheno in visita
a Mosul
BAGHDAD, 8. La sconfitta del cosiddetto stato islamico (Is) a Mosul è «inevitabile». Lo ha dichiarato il primo ministro iracheno,
Haider al Abadi, che ieri ha fatto
visita ai reparti militari impegnati
nell’offensiva per liberare la seconda città dell’Iraq dai militanti
dell’organizzazione jihadista.
«Gli iracheni usciranno da questa battaglia a testa alta», ha aggiunto al Abadi citato dai media
locali. Il primo ministro, che secondo quanto riferito dal sito Iraqi news, ha visitato anche l’aeroporto di Mosul, riconquistato dalle forze lealiste il mese scorso, è
atteso nella regione del Kurdistan
iracheno.
Intanto le forze regolari irachene hanno conquistato anche gli
uffici governativi della città di
Mosul e il noto museo archeologico della città, teatro di uno dei
più grandi scempi perpetrati
dall’Is contro il patrimonio culturale mondiale. L’annuncio della
riconquista giunge al terzo giorno
dell’offensiva, durante il quale i
filogovernativi hanno combattuto
casa per casa per riprendere il
controllo dei quartieri occidentali.
Mosul è considerata un centro di
rilevante importanza strategica,
essendo il più grande punto di
forza in Iraq dei jihadisti affiliati
al cosiddetto stato islamico.
I combattimenti sono ancora in
corso e «bambini, donne e anziani sono le vittime maggiori di
questa situazione. Alcuni di loro
vengono anche usati come scudi
umani durante l’offensiva. È
emergenza umanitaria». L’allarme
è stato lanciato da Mustafa Jabbar, operatore italo-curdo della
Federazione degli organismi cristiani servizio internazionale volontario (Focsiv), che attualmente
si trova ad Erbil, a circa 70 chilometri da Mosul.
«L’Onu e le altre organizzazioni presenti sul territorio fanno il
possibile ma non è sufficiente.
Sono 10.000 le persone che ogni
giorno fuggono da Mosul. Tanti
tra loro sono i bambini e gli anziani, i campi sono poco attrezzati, organizzati con le sole tende e
molte persone sono costrette a
camminare scalze nel fango.
Mancano cibo e medicinali ed è
altissimo il rischio di epidemie»,
aggiunge Jabbar sottolineando
che «bisogna intervenire subito»
anche perché «la gente, quando
scappa da casa, non ha il tempo
per portarsi dietro nulla».
Rileggere
il Don Chisciotte
CHRISTIANE RANCÉ
A PAGINA
5
mente alla stabilità in Siria». Di
conseguenza, ha aggiunto, «non vi è
alternativa a una soluzione politica
della guerra in corso che soddisfi le
aspirazioni del popolo e tenga conto
dell’unità della Siria e della sua integrazione regionale».
Il leader della Lega ha poi criticato «la totale assenza araba» nelle varie iniziative «per una soluzione della crisi in Siria, rispetto alla considerevole presenza di forze regionali e
internazionali, alcune delle quali
non hanno a cuore gli interessi arabi». La tragedia siriana «è una ferita
sanguinante nel cuore della comunità araba», ha tenuto a sottolineare
Abul Gheit augurandosi che «i colloqui in corso tra governo e opposizione siriani con il patrocinio delle
Nazioni Unite possano continuare
fino al raggiungimento di una soluzione».
Intanto i capi di stato maggiore di
Turchia, Russia e Stati Uniti, rispettivamente Hulusi Akar, Valery Gerasimov e John Francis Dunford, si sono incontrati nella mattinata di ieri
ad Antalya per una riunione dedicata alla lotta al terrorismo e alla situa-
zione militare in Iraq e in Siria. In
un comunicato ufficiale Hulusi Akar
si è detto soddisfatto dell’incontro
con i pari grado, specificando al
tempo stesso che le parti si sono
scambiate utili informazioni riguardo
le ultime mosse compiute per contrastare le organizzazioni terroristiche nella regione, hanno discusso di
un possibile piano di sicurezza e
hanno rinnovato l’intento comune a
combattere contro tutti i terroristi.
Una tregua valida fino al 20 marzo è stata proclamata nel frattempo
nell’area di Goutha est, un bastione
dei ribelli siriani a poca distanza da
Damasco. Secondo quanto reso noto
dal ministero della difesa russo, il
cessate il fuoco è scattato alla mezzanotte di domenica scorsa e «finora
non si sono registrate violazioni». La
regione è quella in cui si trova il
quartiere generale di Jaish al Islam,
una delle principali fazioni in lotta
contro l’esercito di Bashar Al Assad.
Hamza Bayraqdar, portavoce dell’organizzazione, ha reso noto che Jaish
al Islam non ha ricevuto alcuna notifica ufficiale che riguardi la tregua
nella regione. Al tempo stesso, Ba-
yraqdar ha sottolineato che la sua
organizzazione «non ha intenzione
di rifiutare alcun tipo di accordo che
ponga fine allo spargimento di sangue e alla sofferenza della nostra
gente».
La situazione sul terreno è in continuo sviluppo. In queste ore sminatori russi sono attesi a Palmira per
collaborare con i colleghi siriani nella neutralizzazione degli ordigni
piazzati dai terroristi del cosiddetto
stato islamico (Is). Lo ha reso noto
il capo del Centro russo per la riconciliazione delle parti belligeranti
in Siria (organo del ministero della
Difesa russo) Alexiei Kim. All’inizio
del mese l’esercito siriano ha riconquistato per la seconda volta in un
anno la città di Palmira, città sede di
un sito archeologico dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Nel
maggio del 2015 Palmira era finita
nelle mani dell’Is, che ha distrutto
parte dei reperti archeologici. La città era stata riconquistata nel marzo
del 2016 dalle truppe siriane, ma lo
scorso dicembre era stata nuovamente occupata dai jihadisti.
BUDAPEST, 8. Il parlamento ungherese ha dato
via libera, ieri, alla legge
che prevede la detenzione per i richiedenti asilo,
fino alla decisione sul loro futuro. I migranti saranno, quindi, rinchiusi
in campi di container al
confine con la Serbia e la
Croazia. Il primo ministro, Viktor Orbán, ha
dichiarato che l’attuale
tregua nei flussi è solo
temporanea e che «l’Ungheria è sotto assedio».
Orbán, parlando alla
cerimonia del giuramento
di un gruppo di guardie
di frontiera, ha dichiarato
che «l’Ungheria, per proteggersi, non può contare
sull’Ue, ma solo su se
stessa». Ha inoltre definito l’immigrazione come
«il cavallo di Troia del
terrorismo», aggiungendo che i migranti, in
maggioranza musulmani,
Confine tra Ungheria e Serbia (Ansa)
sono una minaccia per
l’Europa. Il premier ha
poi affermato che «le persone che circolando nella zona di Schengen,
arrivano non vogliono vivere se- per raggiungere le loro mete, la
condo la cultura e gli usi unghere- Germania o la Svezia. Pintér ha
si, ma secondo i loro e con gli sottolineato che «questo fenomeno
standard di vita europei».
rappresenta un rischio per la sicuIl parlamento ungherese ha vota- rezza di tutti».
to, con 138 voti a favore, sei no e
22 astensioni, la legge che istituisce
campi chiusi lungo il confine sud,
con la Serbia e la Croazia, e obbliga i migranti che arrivano nel paese a restare in questi centri sotto la
sorveglianza della polizia, aspettando la chiusura della loro pratica di
asilo. Amnesty international ha
parlato di «legge illegale e disumana». «Mettere tutti i profughi e i
Il Santo Padre ha confermamigranti in container non è una
to Presidente della Conferenpolitica sui profughi, è evitare di
za Episcopale Italiana, fino
averne una», ha scritto in un coalla nomina del nuovo Presimunicato l’associazione.
dente in occasione dell’AsL’anno scorso in Ungheria solo
semblea Generale che si terrà
425 persone hanno ottenuto il didal 22 al 25 maggio 2017, Sua
ritto d’asilo su oltre 30.000 richiedenti; mentre circa 170.000 hanno
Eminenza Reverendissima il
attraversato l’Ungheria verso l’AuSignor Cardinale Angelo Bastria e la Germania senza fermarsi.
gnasco, Arcivescovo di GeIl ministro dell’interno Sándor Pinnova.
tér, motivando la legge contestata
da diverse organizzazioni umanitarie, ha detto che moltissimi
Il Santo Padre ha nominamigranti violano le regole: richieto Membro della Congregadono il diritto di asilo, e non
zione per i Vescovi l’Eccelaspettano la fine della procedura,
lentissimo Monsignore Gia-
NOSTRE
INFORMAZIONI
Un uomo tra le macerie della sua casa in un sobborgo di Damasco (Afp)
cinto Berloco, Arcivescovo titolare di Fidene, Nunzio
Apostolico.
Da Mogadiscio il segretario generale dell’Onu chiede alla comunità internazionale di agire al più presto
Siccità e carestia attanagliano la Somalia
MO GADISCIO, 8. Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, è arrivato ieri in Somalia per
quella che lui stesso ha definito una
«visita di emergenza», focalizzata
sulla crisi scatenata dalla siccità, dalla carestia e dalla grave emergenza
colera che ha colpito il paese del
Corno d’Africa. «La gente sta morendo. Il mondo deve agire adesso
per fermare tutto questo», ha dichiarato il segretario generale dell’O nu.
Recentemente, le Nazioni Unite hanno detto che c’è solo «una finestra di
due mesi per evitare una catastrofe
dovuta alla siccità».
La visita ha lo scopo di richiamare
l’attenzione della comunità internazionale sulla crisi umanitaria, spiega
in una nota l’Unsom, la missione di
assistenza delle Nazioni Unite in Somalia. Tra gli appuntamenti di Guterres, è prevista anche la visita in un
campo sfollati. La Somalia — insieme
a Nigeria, Sud Sudan e Yemen — è
uno dei quattro paesi citati dal segretario generale il mese scorso, quando
ha lanciato un appello per ottenere
aiuti per 4,4 miliardi di dollari, il minimo necessario — indicano gli analisti — a scongiurare catastrofiche conseguenze alla carestia in atto.
La siccità ha colpito 6,2 milioni di
somali. Il governo ha dichiarato lo
stato di calamità naturale in alcune
zone del paese — in particolare nella
regione sudoccidentale di Bay — e le
agenzie umanitarie temono che la situazione degeneri e si determini una
carestia su ampia scala. Mancanza di
cibo e colera hanno già provocato la
morte di centinaia di persone, soprattutto bambini già indeboliti dalla
fame. E le prospettive degli esperti
sono allarmanti. Il Palazzo di Vetro e
diverse organizzazioni umanitarie
prevedono che quasi un milione di
bambini quest’anno soffriranno di
malnutrizione in forma acuta, inclusi
oltre 180.000 minori che saranno
gravemente malnutriti e avranno bisogno di sostegno urgente.
Nei giorni scorsi, migliaia di persone si sono riversate nella capitale,
Mogadiscio, in cerca di cibo. In una
sola giornata, raccontano giornalisti
sul posto, circa 7000 sfollati hanno
cercato aiuto in un centro alimentare,
Donne nel campo profughi di Baidoa (Ap)
che però non è stato in grado di
soddisfare una domanda così alta.
Particolarmente difficile è poi il lavoro degli operatori delle agenzie
umanitarie, che devono raggiungere
le popolazioni più colpite in una situazione di conflitto tra le forze governative e i jihadisti Al Shabaab.
Inoltre, a causa della mancanza di
acqua potabile, è sempre più consistente la minaccia del colera. Il governo somalo ha sottolineato che la
carestia «rende le persone più vulnerabili allo sfruttamento, le sottopone
a un più alto rischio di violazione
dei diritti umani e le getta in balìa di
gruppi criminali e dei terroristi».
«Con l’appoggio della comunità
internazionale, è possibile evitare il
peggio e fare imboccare alla Somalia
la via della pace», ha detto il segretario generale durante un incontro a
Mogadiscio con il nuovo presidente
somalo, Mohamed Abdullahi Mohamed. «Dobbiamo fare quanto più rumore possibile», ha aggiunto Guterres: «Conflitto, siccità, cambiamento
climatico, malattie, colera. La combinazione è un vero incubo». Il numero uno dell’Onu ha quindi auspicato
il sostegno mondiale per fornire cibo
e aiuti umanitari immediati alla Somalia. «Questa fame — ha concluso
— richiede un’enorme risposta».
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo Metropolita
dell’Arcidiocesi di Paraíba
(Brasile)
Sua
Eccellenza
Monsignor Manoel Delson
Pedreira da Cruz, O.F.M.Cap.,
trasferendolo dalla Diocesi di
Campina Grande.
Nomine
di Vescovi Ausiliari
Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare di Washington (Stati Uniti d’America) il Reverendo Roy E.
Campbell, del clero della medesima Arcidiocesi, finora
Parroco della Saint Joseph
Parish a Largo, assegnandogli la Sede titolare vescovile
di Ucres.
Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Belo Horizonte
(Brasile) il Reverendo Padre
Vicente de Paula Ferreira,
C.SS.R., finora Formatore degli studenti di Teologia della
Provincia Redentorista a Belo Horizonte, assegnandogli
la Sede titolare vescovile di
Castra nova.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
giovedì 9 marzo 2017
L’incontro dei leader si aprirà con l’elezione del presidente del consiglio
Al vertice europeo
sfide e prospettive di multivelocità
BRUXELLES, 8. L’elezione del presidente del consiglio europeo, per la
seconda metà del mandato quinquennale, sarà il primo punto
nell’agenda del vertice europeo di
domani a Bruxelles. Lo sottolinea il
presidente del consiglio uscente, Donald Tusk, nella lettera di invito ai
capi di stato e di governo dell’Ue.
Ma sono tante le questioni urgenti
da affrontare, sulle quali ci si aspetterebbe significative prese di posizione: dal controllo alle frontiere al
nuovo regolamento sul diritto di asilo, dalle riforme istituzionali al commercio internazionale.
L’ex primo ministro polacco Tusk
è candidato al rinnovo del mandato,
ma il governo di Varsavia ha fatto
sapere di aver proposto un nome alternativo: l’eurodeputato Jacek Saryusz-Wolski.
Sul futuro dell’Ue, pesa il pronunciamento, di due giorni fa a Versailles, dei leader di Francia, Germania, Italia e Spagna, che hanno
apertamente parlato di necessità di
collaborazioni rafforzate e di Europa
a due velocità. Secondo indiscrezioni di stampa, Tusk considera la prospettiva di un’Europa a velocità
multiple come un avvertimento a
tutti sul rischio che l’Europa si possa
disintegrare, se non viene ribadito il
principio che «i 27 prendono la responsabilità di continuare l’integrazione dopo la Brexit».
Sulla Brexit
l’ultima
parola
al parlamento
LONDRA, 8. Sulla via della Brexit,
arriva un altro pronunciamento
significativo nell’ambito del parlamento britannico. La camera dei
Lord ha dato via libera a un
emendamento, approvato nonostante la contrarietà dell’esecutivo, che chiede un voto vincolante
delle camere su quello che sarà il
risultato dei negoziati con Bruxelles. Ma a decidere sarà in ogni
caso la camera dei comuni.
Di fatto, i Lord hanno previsto
un potere di veto alla fine del
percorso di negoziato. In sostanza, se l’accordo che raggiungerà il
premier Theresa May non dovesse piacere ai parlamentari, il governo dovrà tornare al tavolo dei
negoziati. La camera alta di Westminster si è pronunciata in questo
senso con 366 voti a favore e 268
contro.
La settimana scorsa i Lord hanno accolto un emendamento che
cerca di garantire gli stessi diritti
riconosciuti in questi anni ai 3,3
milioni di cittadini dell’Unione
europea già residenti nel Regno
Unito senza aspettare di imporre
il “principio di reciprocità” per i
cittadini britannici denominati
“expat” che il premier May considera imprescindibile.
Ma la partita resta aperta. Entrambi gli emendamenti devono
tornare alla camera dei comuni,
cui spetterà l’ultima parola, con il
voto previsto il 13 marzo. Si potrebbe anche tornare all’originario
testo di legge presentato dal governo Tory, che lasciava al premier e ai ministri interessati più
libertà di azione nei negoziati per
il divorzio da Bruxelles.
In ogni caso, May continua a
ribadire l’importanza di rispettare
la fine di marzo come scadenza
per l’attivazione dell’articolo 50
che, secondo il trattato di Lisbona, dà il via a tutto il processo. E
a Westminster si discute proprio
la legge destinata a consentire a
May di innescare il percorso formale di uscita del Regno Unito
dall’Unione europea.
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Il presidente uscente del consiglio europeo Donald Tusk (Ansa)
Per i procuratori delle Hawaii è incostituzionale
Troppe donne
vittime di violenza
Ricorso contro il Muslim Ban
GINEVRA, 8. Il 35 per cento delle
donne nel mondo ha subito violenza sessuale o domestica nel corso
della propria vita. E nel 30 per
cento dei casi le violenze sono state
perpetrate da uomini con cui c’era
o c’era stata una relazione. È quanto emerge dalle stime dell’O rganizzazione mondiale della sanità, che
sottolinea che le vittime risentono
di gravi conseguenze sulla salute fi-
WASHINGTON, 8. Arriva dalle Hawaii la prima offensiva legale contro
il nuovo bando della Casa Bianca
che sospende l’erogazione di visti
per i cittadini di sei paesi a maggioranza musulmana. I procuratori dello stato hanno spiegato che intendono chiedere al giudice federale un
provvedimento
temporaneo
per
bloccare l’attuazione del nuovo ordine esecutivo. Anche il secondo bando, ha detto alla Cnn Neal Katyal,
uno dei procuratori, «sconta ancora
gli stessi difetti costituzionali e regolamentari» di quello precedente.
Il dipartimento di giustizia, da
parte sua, ha sottolineato che il nuovo Muslim Ban ricade al di fuori
delle ingiunzioni che avevano bloccato il primo. Le parti hanno chiesto
al giudice di fissare un calendario di
udienze a breve, prima dell’entrata
in vigore del provvedimento, fissata
per il 16 marzo.
L’amministrazione
statunitense,
intanto, prosegue nell’attuazione del
suo programma, annunciato in campagna elettorale. I repubblicani hanno presentato al Congresso la loro
proposta per abolire e sostituire la
riforma sanitaria voluta dall’ex presidente Barack Obama. «Il nostro
splendido nuovo disegno di legge
sulla sanità adesso è stato diffuso
per essere esaminato e negoziato.
Obamacare è un disastro completo e
totale: sta implodendo velocemente!», si legge in un tweet del presidente Donald Trump.
sica, mentale, sessuale e riproduttiva a breve e a lungo termine.
Nella giornata internazionale
della donna, si ricorda anche che
cresce la disuguaglianza economica, salariale, di accesso al mercato
del lavoro e ai fattori produttivi tra
uomini e donne: l’Oxfam denuncia
che «ancora oggi il salario di una
donna è in media il 23 per cento in
meno di quello di un uomo».
In Georgia una delle tante manifestazioni nella giornata della donna (Reuters)
Verso lo sciopero generale
in Argentina
tre 45 miliardi di reais (oltre 13 miliardi di euro), sia possibile riaccendere i motori dell’economia.
Secondo Temer, inoltre, l’iniziativa dovrebbe generare «200.000
nuovi posti di lavoro, diretti e indiretti». L’istituto brasiliano di geografia e statistica ha confermato che
il pil del Brasile è crollato lo scorso
anno del 3,6 per cento, facendo registrare la recessione più lunga della
storia per la maggiore economia
dell’America Latina. Nel 2015, il
prodotto interno lordo era calato
del 3,8 per cento.
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ganizzazioni non governative di oltre 20 stati — da Oxfam a Save the
Children, da Care a International rescue committee (Irc) — in una lettera
aperta
indirizzata
ai
leader
dell’Unione europea, chiedono di
«formulare la risposta alle migrazioni secondo i valori e non la paura».
In primo piano c’è sempre l’aspetto economico. In realtà si tratta del
vertice di marzo tradizionalmente
dedicato alle questioni dell’economia. Al summit infatti si ascolterà la
relazione del presidente della Banca
centrale europea, Mario Draghi. La
situazione sembra migliorare: Eurostat ha appena certificato che per la
prima volta in 10 anni tutti i 28 attuali membri dell’Ue segnano una
crescita e che la disoccupazione cala.
Il tema sarà quello di individuare la
via per consolidare la crescita.
E ci sono poi scelte politiche importanti da fare anche in materia
prettamente
economica:
sembra
emergere la volontà di ribadire che
l’Unione europea resta paladina del
libero commercio con passi avanti
nelle misure di difesa commerciale.
Nel mondo crescono abusi e ingiustizie
Dal Governo brasiliano
misure antirecessione
BRASÍLIA, 8. Il governo brasiliano
risponde con un pacchetto di misure anticrisi ai dati ufficiali del prodotto interno lordo del 2016 divulgati ieri, che hanno confermato il
perdurare di una grave recessione
nel paese sudamericano.
Il presidente, Michel Temer, ha
infatti annunciato l’avvio di aste o il
rinnovo di concessioni riguardanti
55 progetti infrastrutturali, tra autostrade, ferrovie, scali portuali e linee
di trasmissione di energia. La previsione dell’esecutivo è che, attraverso
l’investimento nel programma di ol-
Qualcuno ribadisce che per iniziare un rilancio dell’Ue, dopo il simbolico passo della creazione del primo comando militare unificato deciso due giorni fa, si può cercare di
continuare a crescere nell’Unione
per la difesa e la sicurezza.
Certamente ancora non c’è accordo in vista sulla revisione del sistema
di asilo e del regolamento di Dublino. Né ci sono aperture in vista sulla
ricollocazione dei rifugiati. Quindi,
sembra più probabile che i leader
cercheranno di trovare un terreno
comune nella “dimensione esterna”
dei problemi dell’immigrazione, con
i “migration compact” e gli accordi
di riammissione che l’Ue dovrebbe
poter negoziare con i paesi terzi.
Inoltre, ieri è stato varato il regolamento per stringere i controlli alla
frontiera esterna, che riguarderanno
tutti — compresi i cittadini europei —
sia in entrata che in uscita, mentre
chi arriva da paesi senza obbligo di
visto dovrà compilare una dichiarazione particolare.
A proposito della questione migrazione, va detto che più di 162 or-
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
BUENOS AIRES, 8. La seconda giornata di protesta contro la politica
economica del governo argentino di
Mauricio Macri si è chiusa ieri con
alcuni episodi di violenza, dopo
una dimostrazione di piazza che ha
nuovamente bloccato il centro di
Buenos Aires.
È stata la Cgt, storica sigla del
sindacalismo peronista, a convocare
la manifestazione, all’indomani di
quella promossa dagli insegnanti in
sciopero, che ha visto sfilare decine
di migliaia di persone nella capitale.
Carlos Acuna, co-segretario della
Servizio vaticano: [email protected]
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Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
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Cgt, ha confermato la convocazione
di uno sciopero generale, senza però fissarne la data, limitandosi a indicare che dovrebbe essere a fine
marzo o inizio aprile.
È questa indecisione che ha scatenato la rabbia di alcuni militanti
sindacali, che hanno tentato di aggredire i dirigenti quando si ritiravano dal palco del comizio finale. Il
messaggio a Macri comunque è passato: i sindacati «non intendono
permettere che il governo imponga
tetti nella trattativa salariale».
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
Nel provvedimento sono conservati alcuni capisaldi della riforma di
Obama, come la possibilità per i
giovani di restare nell’assicurazione
medica dei genitori sino a 26 anni e
il divieto di negare una copertura a
chi ha preesistenti problemi medici.
Il sistema di sussidi federali
dell’Obamacare è invece sostituito
da crediti fiscali rimborsabili legati
all’età e al reddito, per aiutare gli
statunitensi ad acquistare l’assicurazione se il datore di lavoro non la
concede. Ma questa modifica appare
ad alcuni repubblicani come una
sorta di welfare di stato.
Cambia comunque la filosofia di
fondo: gli obiettivi sono ridurre l’impegno dello stato federale, liberalizzare il mercato, creare polizze più
snelle e meno onerose, cancellare
l’obbligo individuale di assicurarsi a
pena di una multa e cancellare una
serie di tasse create dall’Obamacare.
Resta l’incognita dei costi per questa
riforma, che i repubblicani non hanno ancora dettagliato.
Nuove rivelazioni
di WikiLeaks
WASHINGTON, 8. La Cia spierebbe
telefoni cellulari e televisioni utilizzati anche come microfoni. Grazie
a diversi programmi di hackeraggio
l’agenzia statunitense sarebbe in
grado di controllare gli smartphone
di qualsiasi marca e alcuni tipi di
smart tv, riuscendo a penetrare anche i sistemi criptati dei più popolari servizi di messaggistica.
Lo scenario emerge dalle ultime
rilevazioni di WikiLeaks, secondo
le quali l’agenzia americana avrebbe nel consolato degli Stati Uniti a
Francoforte la base sotto copertura
del suo servizio di hacker che si
occupa del cyberspionaggio in Europa, in Medio oriente e in Africa.
L’organizzazione fondata e guidata da Julian Assange ha pubblicato oltre 8000 file sottratti alla
Cia, che rischiano di scatenare una
bufera attorno alla più popolare
agenzia di spionaggio degli Stati
Uniti.
Per WikiLeaks le nuove informazioni riversate online potrebbero
essere solo la punta dell’iceberg.
Secondo l’allarme lanciato da Assange, la Cia avrebbe infatti perso
il controllo di gran parte del suo
cyber-arsenale, con il rischio di una
proliferazione incontrollata di programmi che possono finire in mano
a stati rivali, cyber-mafie e hacker
di ogni tipo. «Una volta che una
singola cyber-arma viene persa —
emerge dalle rivelazioni di Wiki-
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
Leaks — può diffondersi in tutto il
mondo in pochi secondi».
A colpire di più tra le migliaia di
documenti postati sono quelli che
riguardano il programma Weeping
Angel, «in grado di infestare le
smart tv trasformandole in microfoni», spiega l’organizzazione di Assange. In particolare, gli apparecchi attaccati vengono messi in una
modalità tale che il proprietario
pensa siano spenti. In realtà — sostiene WikiLeaks — le televisioni
registrerebbero le conversazioni che
si svolgono nella stanza e le invierebbero al server della Cia.
Inoltre il controllo su smartphone, chat e social media, sostiene
l’organizzazione di Assange, ha
messo in pericolo grandi manager
dell’industria internazionale, membri del congresso statunitense, il
governo e persino l’account Twitter
del presidente Donald Trump. Per
di più dai file emergerebbe che
nell’ottobre 2014 la Cia avrebbe anche valutato l’ipotesi di infestare
con i suoi cyber-weapons i sofisticati sistemi di controllo usati sulle
automobili e sui veicoli pesanti di
ultima generazione.
La stampa britannica, da parte
sua, sta sottolineando la presunta
complicità dell’MI5, i servizi segreti
interni del Regno Unito, nel nuovo
scandalo. In particolare si sottolinea il ruolo attribuito agli 007 di
Londra nel rendere vulnerabili e
nell’infiltrarsi nelle smart tv.
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
Ivan Ranza, direttore generale
Sede legale
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Credito Valtellinese
L’OSSERVATORE ROMANO
giovedì 9 marzo 2017
pagina 3
Forze di sicurezza a Kabul nei pressi
dell’ospedale assaltato dai terroristi (Ansa)
Tra Pyongyang e Seoul
Mediazione cinese
Almeno trenta vittime nell’assalto rivendicato dall’Is
Attaccato a Kabul
un ospedale militare
KABUL, 8. È di almeno trenta morti
e decine di feriti il bilancio ancora
provvisorio dell’attacco sferrato questa mattina da un commando armato
contro l’ospedale militare Sardar
Mohammad Daud Khan di Kabul,
in Afghanistan. Lo ha reso noto il
portavoce del ministero della difesa
afghano, generale Daud Waiziri, che
ha specificato: «la gran parte delle
vittime sono medici e infermieri».
Secondo quanto riferito dall’emittente locale Tolo, un gruppo di assalitori mascherati da medici ha fatto
irruzione stamane alle nove all’interno del nosocomio. L’attacco è iniziato con un attentatore suicida che si è
fatto esplodere all’ingresso dell’ospedale. Stando all’emittente, almeno
quattro uomini sono entrati nell’edificio. «Ho visto uno degli attentatori
che indossava un camice da medico
e ha aperto il fuoco contro di me ma
sono riuscito a fuggire», ha dichiarato un medico a Tolo Tv.
Dopo la morte del primo attentatore suicida anche gli altri quattro
assalitori — che si erano travestiti da
componenti del personale sanitario
del nosocomio — sono stati uccisi
dalle forze di sicurezza in almeno sei
ore di battaglia. Appena scoppiato
l’attacco buona parte dei pazienti
dell’ospedale sono stati evacuati attraverso le uscite di emergenza.
Il cosiddetto stato islamico (Is) ha
rivendicato l’assalto contro il principale ospedale militare nella capitale
afghana. In precedenza i talebani
avevano negato qualsiasi loro responsabilità nell’attacco all’ospedale
che si trova nel quartiere di Wazir
Akbar Khan. In un tweet il portavoce del movimento, Zabihullah Mujahid, aveva scritto: «Chiarimento:
l’attacco odierno contro un ospedale
a Kabul non ha nulla a che vedere
con i mujaheddin».
E, nel frattempo, una delegazione
dell’ufficio politico dei talebani afghani basato nel Qatar, guidata da
Sher Abbas Stanikzai, si è recata a
Pechino, su invito del governo cinese, per una visita legata al possibile
avvio di un processo di pace in Afghanistan. Lo riferisce il portale di
notizie Khaama Press.
Della delegazione, si è appreso
dalle agenzie internazionali, fanno
parte anche alcuni autorevoli responsabili, come il Maulvi Shahabuddin Dilawar, Jan Muhammad
Madani, Salam Hanafi e il dottor
Saleh.
Fonti talebane hanno confermato
che responsabili dei talebani afghani
stanno sostenendo incontri che riguardano la pace e il reperimento di
una via per mettere fine al conflitto
attraverso i negoziati. Si tratta della
seconda visita di una delegazione talebana a Pechino negli ultimi due
mesi e mezzo.
mettendo a dura prova i rapporti
tra Pechino e la Corea del Sud.
Il Thaad è «una scelta sbagliata»,
ha dichiarato Wang, e la Cina si
oppone allo spiegamento dello scudo antimissile, considerato da Pechino una minaccia alla sua sicurezza strategica. «Non è il modo in cui
si comportano due paesi vicini e
può rendere anche la Corea del Sud
meno sicura», ha sottolineato il capo della diplomazia cinese.
E, intanto, le relazioni tra Cina e
Stati Uniti si stanno sviluppando in
una «giusta direzione» dopo il colloquio telefonico di circa un mese
fa avvenuto tra il presidente cinese,
Xi Jinping, e quello statunitense,
Donald Trump, ha detto ancora il
ministro degli esteri Wang. Rex Til-
lerson si recherà in visita in Cina il
prossimo 18 marzo, al termine di un
tour che vedrà il segretario di stato
americano impegnato in Giappone
il 15 e 16 marzo e in Corea del Sud
il 17 marzo. La conferma del primo
viaggio asiatico di Tillerson in qualità di capo della diplomazia statunitense è stata rilanciata dai media
cinesi.
Lancio simultaneo di missili nordcoreani (Reuters)
Ma Tobruk congela i contatti con Tripoli
La denuncia in un rapporto delle Nazioni Unite
Kobler rilancia il dialogo
sulla crisi libica
Sud Sudan
ridotto allo stremo
TRIPOLI, 8. «Solamente il dialogo
politico può risolvere la crisi libica». Lo ha affermato ieri l’inviato
speciale dell’Onu in Libia, Martin
Kobler, in una nota nella quale ha
condannato l’escalation militare
nella Mezzaluna petrolifera, che
mette a repentaglio il processo politico e rischia di innescare un conflitto di proporzioni più ampie.
«La priorità immediata è alleviare le tensioni, prevenire ulteriori
perdite di vite umane e garantire
che le infrastrutture nazionali e le
risorse naturali siano sotto il controllo delle autorità legittime. Questa violenza inaccettabile nella zona
della Mezzaluna petrolifera — ha
aggiunto Kobler — dimostra ancora
una volta la necessità che tutte le
parti si impegnino seriamente nel
processo politico nel quadro
dell’accordo politico libico.
«Le Nazioni Unite — ha concluso l’ambasciatore Kobler — sono
pronte a ospitare qualsiasi meccanismo inclusivo che riunisca i rappresentanti libici in grado di risolvere i
problemi che bloccano l’attuazione
dell’accordo. Solo una soluzione
politica negoziata e inclusiva può
portare alla pace, alla sicurezza e
alla stabilità in Libia».
Ma, intanto, la camera dei rappresentanti libica, il parlamento di
Tobruk, ha deciso ieri durante una
riunione la sospensione del dialogo
Sei anni fa
il disastro di Fukushima
TOKYO, 8. A sei anni dalla catastrofe
della centrale nucleare di Fukushima,
proseguono senza sosta gli sforzi del
governo giapponese per il piano di
ricostruzione. Ma i costi, indicano gli
esperti, sono raddoppiati e resta lontana la demolizione della struttura,
disastrata dal terremoto e dal successivo tsunami dell’11 marzo del 2011.
Riguardo alla bonifica, il livello di
radioattività attorno ai reattori 1, 2 e
3 della centrale è ancora elevato, fino
a 300 microsievert all’ora, e la parete
di ghiaccio progettata per isolare le
falde acquifere dal liquido contaminato non funziona ancora a pieno regime. Dopo avere continuato a raffreddare la centrale, iniettando centinaia di tonnellate di acqua nelle vasche di contenimento, la società di
gestione dell’impianto, la Tokyo
Electric Power (Tepco), ha riconosciuto che il lavoro più delicato inizia
adesso: l’estrazione del magma ra-
PECHINO, 8. La Cina ha chiesto la
sospensione delle attività nucleari e
missilistiche della Corea del Nord e
la sospensione delle esercitazioni
militari tra Stati Uniti e Corea del
Sud per evitare uno «scontro frontale» nella penisola.
La «doppia sospensione» — come
l’ha definita il ministro degli esteri
cinese, Wang Yi, durante la conferenza stampa annuale a margine dei
lavori dell’assemblea nazionale del
popolo, il parlamento cinese — è la
via da seguire per «denuclearizzare
la penisola e stabilire un meccanismo che porti alla pace».
La situazione nella penisola coreana, ha spiegato Wang, è come
quella di «due treni che accelerano
l’uno in direzione dell’altro, con
nessuno dei due che intende dare la
precedenza». Le due parti, chiede
Wang, «sono pronte per uno scontro frontale?». La priorità per la Cina è quella «accendere la luce rossa
e frenare entrambi i treni».
Wang ha poi commentato lo sviluppo del sistema di difesa antimissilistico statunitense Thaad (Terminal High-Altitude Area Defense
System) che le autorità di Seoul
stanno dislocando per contenere la
minaccia nordcoreana, e che sta
dioattivo, ossia il prodotto della fusione del nocciolo del reattore. I lavori di demolizione della centrale, secondo i programmi, non finiranno
prima del decennio 2041-2051.
La revisione al rialzo delle spese
prodotte dalla catastrofe hanno costretto il governo di Tokyo a estendere il controllo della Tepco per un periodo più lungo del previsto.
Le stime per smantellare la centrale, le operazioni di bonifica e gli indennizzi alla popolazione colpita dal
disastro, sono quasi raddoppiati, superando la cifra di 188 miliardi di
dollari. Dopo sei anni dal terrificante
disastro, l’ordine di sgombero all’interno della prefettura di Fukushima
— la terza più grande del Giappone
— riguarda ancora il cinque per cento
del territorio, hanno indicato in una
nota fonti del ministero nipponico
della ricostruzione, un’estensione di
726 chilometri quadrati.
intra-libico e il congelamento
dell’accordo politico nazionale, firmato il 17 dicembre 2015 a Skhirat
(in Marocco), dal quale è scaturito
il consiglio presidenziale guidato
dal premier Fayez Al Sarraj.
I deputati presenti alla riunione
collegano la decisione agli scontri
degli ultimi giorni nella Mezzaluna
petrolifera. La camera dei rappre-
sentanti accusa le «brigate di difesa
di Bengasi e i loro alleati» per
quanto avvenuto e annuncia —
stando a quanto riportato dal sito
di notizie libico Alwasat — la sospensione del dialogo e il congelamento dell’accordo politico in attesa di «un comunicato chiaro degli
interlocutori riguardo l’attacco alla
Mezzaluna petrolifera».
JUBA, 8. Il Sud Sudan è sull’orlo
del genocidio dopo i ripetuti episodi di violenze etniche. Lo denunciano le Nazioni Unite in un nuovo
rapporto basato su un’inchiesta
condotta per sette mesi nel paese
africano (il più giovane del continente).
Il documento fornisce nuovi dettagli sui bombardamenti di civili e
Oltre 450 delegati a Nairobi
Conferenza sulla salute in Africa
NAIROBI, 8. Si è aperta ieri a Nairobi, capitale del Kenya, la conferenza internazionale sull’agenda
della salute in Africa (Ahaic). Un
appuntamento importante perché,
come sottolineano gli analisti,
«parlare di salute dell’Africa significa parlare della salute del mondo». Oggi la salute è considerata
un aspetto chiave dello sviluppo
umano ed economico. Questa visione è stata sostenuta dalle Nazioni Unite, dopo che nel 2015 gli
Stati membri hanno approvato i 17
obiettivi di sviluppo sostenibile,
come progetto dell’agenda di sviluppo globale per il 2030.
Secondo le Nazioni Unite,
l’Africa detiene solo il tre per cento del personale sanitario mondia-
le, nonostante abbia gran parte del
carico delle malattie del mondo.
Inoltre, le malattie prevenibili sono ancora diffuse in Africa, al contrario della situazione vigente in
Europa, Nord America e in altre
parti sviluppate del mondo.
Alla conferenza di Nairobi prendono parte oltre 450 delegati provenienti dal continente, e non solo, per sviluppare strategie di sanità modellate su misura per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile in Africa.
Secondo l’Oms, l’equità nell’accesso, la qualità dei servizi sanitari
e la protezione dai rischi finanziari
sono pilastri fondamentali per la
realizzazione di una copertura sanitaria universale. L’accesso all’assistenza sanitaria non dovrebbe essere limitato alle capacità di pagamento, ma guidato dalla necessità.
Allo stesso modo, la qualità
dell’assistenza sanitaria dovrebbe
garantire una vita migliore a coloro che ricevono i servizi sanitari e
il costo della sanità non dovrebbe
esporre le persone al rischio di difficoltà finanziarie. Anche se questi
pilastri sono saldi in aree come
l’Europa e il Nord America, sono
tipicamente deboli nei paesi in via
di sviluppo in Africa, incluso il
Kenya. L’Oms rileva che in Kenya
una percentuale enorme di famiglie povere non può permettersi
l’assistenza sanitaria, senza avere
battute d’arresto finanziarie gravi.
Quattro kenyani su cinque non
hanno accesso all’assicurazione
medica, quindi una gran parte della popolazione è esclusa da servizi
sanitari di qualità. Questo scenario
viene replicato in tutto il resto
dell’Africa sub-sahariana, con la
notevole eccezione del Rwanda,
che ha il 90 per cento della copertura assicurativa sanitaria, superando anche gli Stati Uniti.
su casi di persone che sarebbero
state «affamate volontariamente».
L’Onu ha denunciato anche alcuni casi di incitamento all’odio da
parte di alti ufficiali ed esponenti
governativi. «Le violazioni sono
state compiute soprattutto da soldati governativi, personale del servizio
di sicurezza nazionale, ufficiali di
polizia e milizie legate alle forze
governative», continua il rapporto.
Nel 2013, il Sud Sudan è piombato in una sanguinosa guerra civile interetnica, appena due anni dopo aver ottenuto l’indipendenza dal
Sudan. Il conflitto, che al momento
sembra insuperabile, tra gli uomini
che sostengono il presidente, Salva
Kiir (di etnia dinka), e quelli
dell’ex vicepresidente, Riek Machar
(di etnia nuer), ha già provocato
decine di migliaia di morti e spinto
milioni di persone ad abbandonare
le loro case.
Solo a gennaio, confermano fonti
del palazzo di vetro, più di 52.000
sudsudanesi sono scappati a sud,
verso l’Uganda. A peggiorare la già
precaria situazione anche la carestia
che — secondo l’Onu e lo stesso governo sudsudanese — ha colpito
nell’ultimo mese almeno 100.000
persone in solo due contee. Più di
un milione di bambini sotto i cinque anni soffrono di malnutrizione
grave.
Al via la campagna
elettorale
in Angola
LUANDA, 8. Ha preso il via in Angola la campagna elettorale in vista
delle elezioni presidenziali in programma ad agosto prossimo. Si
tratta del terzo appuntamento con
le urne da quando, nel 2002, è terminata la guerra civile, iniziata
all’indomani dell’indipendenza ottenuta dal Portogallo (1975).
In un comizio a Cazenga, municipalità alla periferia della capitale
Luanda, il ministro della difesa e
candidato del partito di maggioranza Movimento popolare di liberazione dell’Angola (Mpla), João
Lourenço, ha indicato come obiettivo quello di ridurre il costo delle
opere pubbliche. Dopo la Nigeria,
l’Angola è il maggior produttore di
petrolio dell’Africa. A causa del
crollo dei prezzi, il paese sta attraversando una crisi economica.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
Restauri ecumenici
per il Santo Sepolcro
di GIULIO ALBANESE
economia africana sta
dando non poco filo
da torcere agli analisti
internazionali. Infatti,
stando ai dati forniti
dal Fondo monetario internazionale,
fino al 2015 vantava la percentuale di
crescita economica continentale più
alta del pianeta. Il Ghana, ad esempio, nel 2012 era cresciuto del 13,5
per cento, il Niger del 12,5 per cento, l’Angola del 10,5 per cento. Mediamente, la crescita del pil, a livello
continentale, quell’anno era stata intorno al 6 per cento. Oggi, invece,
l’Africa è tornata a essere vulnerabile, in un contesto, peraltro, dove
l’esclusione sociale è sempre stata
una costante. Sta di fatto che la stima di crescita per l’anno che si è appena concluso, il 2016, è dell’1,3 per
cento, il livello più basso degli ultimi trent’anni. La posta in gioco è alta se si considera che il fenomeno
della mobilità umana dalla sponda
africana — che tanto preoccupa le
cancellerie europee — coinvolge un
numero rilevante di migranti economici.
Per comprendere le ragioni di
questo rallentamento del pil a livello
continentale, occorre subito dire che
l’Africa, nel suo complesso, non è affatto estranea agli effetti devastanti
della finanza speculativa.
Nel passato si è sempre pensato
che i mali del continente (in particolare dell’Africa subsahariana) fossero
L’
Vita e pensiero
Anticipiamo un articolo da
«Vita e pensiero»,
bimestrale dell’Università
cattolica del Sacro Cuore.
causati dalla debolezza dei processi
produttivi, dei consumi e dei
movimenti in rapporto alla domanda
e all’offerta sul mercato delle commodity (fonti energetiche, minerali e
prodotti agricoli). Questo è certamente vero, anche oggi, perché dai
prezzi delle materie prime dipende il
destino dei governi e dei popoli. Basti pensare che il valore delle esportazioni africane ha subito nel 2016
una contrazione di 12.000 milioni di
dollari a causa della caduta delle
quotazioni delle materie prime. A
questo proposito, ha sortito un effetto positivo la decisione dell’O pec,
adottata a Vienna lo scorso 30 novembre, di tagliare dal primo gennaio 2017 la produzione di 1,2 milioni di barili al giorno rispetto ai valori di ottobre (portandola quindi a
32,5 milioni circa). Ciò non toglie
che il cammino di ripresa sarà lungo
perché l’alto indebitamento delle imprese nel settore delle commodity
(africane e straniere), del petrolio in
particolare, ha fatto sì che queste
aziende attingessero largamente le
loro risorse finanziarie sia dal settore
bancario sia sul mercato obbligazionario. Sta di fatto che essendo i titoli azionari e obbligazionari delle imprese petrolifere collegati al prezzo
dell’oro nero, i loro valori di mercato
ne hanno risentito fortemente (particolarmente nel corso del 2016). Come se non bastasse, per rispondere
alla mancanza di liquidità queste
aziende dell’oro nero hanno aumentato, nel recente passato, la produzione con l’intento di mantenere un
flusso di cassa attivo, ma in alcuni
casi sono state costrette a una riduzione degli investimenti o addirittura
alla dismissione di una parte del patrimonio aziendale. Ciò ha determinato un calo degli introiti da parte
dei governi locali, nella fattispecie
quelli africani. Dulcis in fundo, in fase di caduta del prezzo, la speculazione ha giocato al ribasso. Questo,
in sostanza, ha significato che si
vendevano sulla carta prodotti finanziari legati al petrolio, i future, a 100
per ricomprarli il giorno dopo a 90.
Il contrario di quanto succedeva nei
periodi di crescita del prezzo quando si compravano i future a 100 per
venderli a 110 alla scadenza, partecipando così all’esplosione dei prezzi.
giovedì 9 marzo 2017
La complessità dell’economia africana
Circolo vizioso
Naturalmente, il ragionamento
potrebbe essere esteso ad altri ambiti
del mercato africano, come quello
agricolo, ostaggio delle compagnie
di agrobusiness. Infatti, nel passato,
prima della crisi, gli speculatori finanziari contavano per il 12 per cento di tutti i contratti stipulati sui
mercati delle commodity, in primis
quello
di
Chicago
Mercantile
Exchange, mentre il resto era trattato dagli operatori di mercato ancora
legati allo scambio fisico delle merci.
Oggi, invece, il rapporto si è completamente rovesciato. Gli speculatori contano per il 70 per cento, mentre il resto è trattato da operatori veri. Questi processi, com’è comprensibile, hanno un impatto negativo sulle economie africane.
Ma il dato più inquietante riguarda la crescita del cosiddetto debito
aggregato africano, vale a dire quello
dei governi, delle imprese e delle famiglie, stimato attorno ai 150 miliardi di dollari. L’Africa — è bene rammentarlo — ha già vissuto una devastante crisi debitoria, che si è protratta nel tempo, dagli anni ottanta
fino a quando, nello scorso decennio, grazie al progetto Highly Indebted Poor Countries (Hipc), a
opera dell’Fmi e della Banca mondiale, una trentina di paesi a basso
reddito dell’Africa subsahariana poterono ottenere una riduzione del
debito (circa cento miliardi di dollari). A questo programma se ne aggiunse un altro, la cosiddetta Multilateral Debt Relief Initiative (Mdri).
Queste iniziative suscitarono grande
euforia perché consentirono a molti
governi africani di riprendere fiato,
accedendo a prestiti insperati. Altra
questione cruciale è quella del debito africano. Non solo è tornato a salire, ma il rischio è che molti governi
non siano in grado di onorare i propri impegni. Quello, per così dire,
che “strozza” di più sono gli interes-
si (il cosiddetto «servizio del debito»). Si tratta di una vera e propria
spada di Damocle che potrebbe pregiudicare seriamente la crescita del
pil, quantomeno sul medio e lungo
periodo.
Nel 2007 il Ghana fu il primo
paese beneficiario ad affacciarsi sui
mercati internazionali, emettendo
obbligazioni pari a 750 milioni di
dollari. Seguirono altri quattro destinatari del condono: Senegal, Nigeria, Zambia e Rwanda. L’accesso ai
fondi d’investimento, messi a disposizione dall’alta finanza, soprattutto
nella City londinese, ma anche in altre piazze, sono stati utilizzati in
parte per sostenere attività imprenditoriali straniere in Africa, ma anche
per foraggiare le oligarchie autoctone, secondo le tradizionali dinamiche della corruzione più sfrenata e
corrosiva.
Sono nate, così, società partecipate che, comunque, nonostante la crescita della produttività, non sono
state in grado di compensare la nuova crisi debitoria. I nuovi programmi
d’investimento, infatti, non sono stati associati a organici piani di sviluppo nazionali, col risultato che sono
state costruite opere infrastrutturali
— vere e proprie cattedrali nel deserto — slegate le une dalle altre, o iniziative imprenditoriali a sé stanti e
dunque esposte all’azione predatoria
di potentati internazionali, soprattutto sul versante delle materie prime e
fonti energetiche. Nel frattempo, si è
innescata sulle piazze finanziarie una
speculazione sfrenata sull’eccessivo
indebitamento dei paesi africani che
ha determinato la svalutazione delle
monete locali. Uno dei casi emblematici è proprio quello del Ghana,
considerato per certi versi, sul piano
formale, l’emblema del boom africano. Non a caso il primo presidente
Usa di origini afro, Barack Obama,
nel corso del suo primo viaggio nel
continente africano (2009), scelse di
fare tappa proprio ad Accra. L’aumento del pil e del debito ghanese è
indicativo di una crisi sistemica che
ha peraltro pregiudicato qualsiasi
iniziativa protesa all’affermazione di
un welfare locale in grado di contrastare l’esclusione sociale. D’altronde,
se si pensa che il pil aveva toccato
quota 15 per cento nel 2011 (8,8 e 7,6
nei due anni successivi) e che oggi il
deficit non accenna a diminuire e il
debito (32 per cento del pil nel
2008) è già arrivato al 50 per cento,
non c’è proprio da stare allegri.
Qualche lettore potrebbe obiettare
affermando che in alcuni paesi industrializzati come Italia e Stati Uniti
il debito è percentualmente superiore al pil. Verissimo, ma in Ghana —
come d’altronde nella stragrande
maggioranza dei paesi africani — il
valore del pil, in cifre assolute, è ancora molto basso (quello ghanese è
di circa 50 miliardi di dollari) e dunque non rappresenta una garanzia
per i creditori internazionali (basti
pensare che quello della regione
Lombardia è di circa 350 miliardi di
dollari). Gli analisti sono scettici
perché, secondo l’Fmi, la crescita nel
2016 sarebbe stata “solo” del 3,6 per
Nonostante la crescita registrata
negli ultimi anni
il continente è di nuovo vulnerabile
In un contesto dove
l’esclusione sociale è una costante
cento. Ma il dato più inquietante sta
nel fatto che per ripagare il debito,
oggi, il governo di Accra è costretto
a svendere i propri asset strategici
(acqua, petrolio, elettricità, telefonia,
cacao, diamanti, ecc.). Qui le responsabilità ricadono sia sulla classe
dirigente locale, ma anche sulle stesse istituzioni finanziarie internazionali le quali pretendono che le concessioni per lo sfruttamento delle
materie prime, unitamente alle privatizzazioni (soprattutto il land grabbing, vale a dire l’accaparramento dei
terreni da parte delle aziende straniere), vengano attuate “senza se e
senza ma”. Una cosa è certa: nel
corso degli ultimi dieci anni si è passati, un po’ in tutta l’Africa, dai cosiddetti creditori ufficiali (come i governi, l’Fmi, la Banca mondiale e la
Banca africana per lo sviluppo) alle
fonti private di credito (banche, fondi di investimento, fondi di private
equity) e al libero mercato. Si tratta,
in sostanza, come abbiamo visto, di
una finanziarizzazione del debito
che ha segnato il passaggio dai tradizionali prestiti e da altre forme
sperimentate di assistenza finanziaria
alle obbligazioni, sia pubbliche sia
private, da piazzare sui mercati aperti. Si tenga presente che le suddette
obbligazioni sono in valuta estera,
quasi sempre in dollari, e quindi sottoposte ai movimenti sui cambi monetari, sempre a discapito delle monete nazionali africane. Ciò sta generando un circolo vizioso che potrebbe compromettere seriamente lo sviluppo futuro dell’Africa.
Sono durati meno di un anno i restauri del Santo
Sepolcro nella basilica costantiniana a Gerusalemme,
e la conclusione del delicato intervento sarà
solennizzata il 22 marzo da una cerimonia
d’inaugurazione a carattere ecumenico. A renderlo
noto è il patriarcato latino, in un comunicato che
sottolinea come anche i lavori si siano svolti «sotto il
segno dell’unità» tra le diverse denominazioni
cristiane che hanno in custodia l’edificio, consacrato
originariamente negli ultimi anni del regno
dell’imperatore Costantino (306-337). La fase finale
del restauro, avviato nel maggio del 2016, riguarda in
questi giorni la parte non visibile della tomba di
Cristo, ed è rivolta a consolidare l’edicola di epoca
medievale in modo da preservarla da eventuali
terremoti, come quello che nel 1927 la danneggiò
rendendola particolarmente fragile. Gli ultimi lavori
di consolidamento risalgono al 1947, ma in
quell’occasione a intervenire furono i britannici alla
fine del loro mandato in Palestina, mancando
l’accordo tra le comunità greco-ortodossa, armena e
francescana che curano gelosamente la basilica.
L’intesa questa volta è stata invece raggiunta e il
vicario della Custodia di Terra Santa, padre
Dobromir Jasztal, lo ha definito «un momento
storico per la basilica del Santo Sepolcro» e per la
presenza dei francescani nei luoghi santi, parlando
esplicitamente di una cooperazione benevola e
fraterna tra le tre confessioni cristiane, foriera di
ulteriori positivi sviluppi.
Montini a Madrid
Saranno l’arcivescovo di Madrid, il cardinale Carlos Osoro,
il direttore della Fundación Pablo VI, José Tomás Raga, l’editore Juan Kindelán, e il curatore del libro a presentare nel
tardo pomeriggio del 9
marzo, nella Librería Neblí
della capitale, l’edizione spagnola (Un hombre como vosotros, Madrid, Ediciones Cristiandad, 2016, pagine 264, euro 17,90) della raccolta di scritti di Giovanni Battista Montini
curata da Giovanni Maria Vian
(Un uomo come voi. Testi
scelti, 1914-1978, Genova, Marietti, 2016, pagine 198, euro 16). Il
libro — da cui è tratto il disegno per la
copertina opera di
Macarena Kindelán — ricostruisce
un ritratto di
Montini e di Paolo VI attraverso
una scelta di scritti
personali, in buona
parte anteriori all’elezione in conclave e non di rado sconosciuti. Per mostrare
l’umanità di un cristiano
del Novecento.
Per ascoltare
Liszt il perfezionista
Aveva cominciato l’opera nel 1849 ma poi la lasciò
incompiuta: il compositore ungherese Franz Liszt era
un perfezionista e se non era soddisfatto di quanto
veniva realizzando, sullo spartito rimanevano solo
frammenti. C’è voluta allora tutta la tenacia, insieme
alla competenza, di un accademico di Cambridge,
David Trippett, per collegare tra loro i segmenti del
libretto, basato sulla tragedia di Byron Sardanapalo,
scoperto in un archivio di Weimar, in Germania, più
di dieci anni fa. Dopo mesi e mesi di incessante
lavoro, l’accademico è riuscito a ricostituire il
manoscritto di 111 pagine, scritte in gran parte in
italiano per piano e voci — di cui erano a conoscenza
pochi esperti che lo avevano definito «illegibile e
indecifrabile» — e a ristabilire l’ordine delle note
prefigurato dal compositore. La musica che ne deriva
rappresenta una sintesi originale tra «lirismo di
scuola italiana e armonica innovazione» sottolinea lo
studioso. Una composizione, come ha rilevato
Trippett, che presenta una delle principali
caratteristiche della musica di Liszt, ovvero un tono
melato e seducente. Brevi passaggi dell’opera
possono ora essere ascoltati sul sito dell’università
(www.cam.ac.uk/research/news), mentre il 15 maggio
sarà trasmesso un documentario, curato dallo storico
ateneo inglese, sulle vicende di questa composizione,
«prima dimenticata e poi fatta risuscitare». A giugno
è poi prevista un’eccezionale anteprima
dell’esecuzione dell’opera nel popolarissimo
programma «Singer of the World» curato dalla sede
di Cardiff della Bbc. (gabriele nicolò)
L’OSSERVATORE ROMANO
giovedì 9 marzo 2017
Rileggere
il Don Chisciotte
di CHRISTIANE RANCÉ
oiché riguarda il mondo moderno e l’accoglienza riservata alla
santità nella nostra società, conservo sul mio comodino El ingenioso hidalgo don Quijote de la
Mancha di Miguel de Cervantes. Attraverso questo primo grande romanzo della letteratura universale, capolavoro di crudeltà
sotto la farsa, Cervantes ha delineato il
personaggio di un santo, pervaso da un
alto ideale di amore, che il mondo disprezza, e noi con lui perché ne ridiamo.
Del Don Chisciotte amo anche il duplice
moto, che è quello di ogni vita, di ogni
destino: don Chisciotte coniuga l’incanto
della ricerca — un mondo ideale illuminato dalla conquista cavalleresca dell’amore
assoluto — e il disincanto dell’esperienza
P
Proprio là dove ridiamo di più
complici dei perfidi
il personaggio di Cervantes è sublime
Figura di santo impotente
che lotta per la giustizia su questa terra
del quotidiano, del contatto con l’insopportabile realtà.
Don Chisciotte costruisce il suo rapporto con il mondo a partire dai libri di cavalleria che ha letto, e a partire dai vangeli
che li strutturano. Ebbene, ogni volta che
agisce secondo i loro comandamenti, il
mondo lo pone di fronte a una magistrale
smentita. Tale smentita non è la prova che
il mondo si sbaglia o che l’ingegnoso hildalgo è pazzo.
È il segno di un disaccordo che, alle soglie del XVII secolo, continua a inasprirsi
fino al divorzio. La vita interiore, la carità,
la preghiera — presentate da Teresa d’Ávila come i rimedi contro il materialismo
che irrompe nell’occidente cristiano e
trionfa sul mondo antico — entrano ora in
aperto conflitto con una società votata de-
liberatamente all’assurdo. È questo conflitto, tra essere e avere, tra amare e possedere,
che incarna le gesta del Cavalier dalla Triste Figura, accompagnato da Sancho Panza, suo fedele scudiero.
L’errare di questo cavaliere dipende dal
fatto che non trova mai quel Male che
vuole fare a pezzi, perché in questo nuovo
mondo che il XVI secolo ha aperto, il male
è ormai ovunque. L’oro e la febbre
dell’oro hanno contaminato tutti gli animi
e tutti gli strati della società. Non ci sono
più individui completamente buoni. Don
Chisciotte è ormai incapace di rimediare a
quel Male.
La malvagità anima i più umili che lui
sogna di difendere e che non pensano ad
altro che a derubarlo, e soprattutto anima
il duca e la duchessa, che organizzano tutta una messa in scena per confonderlo, al
fine di ridere della sua umiliazione. La
crudeltà di ognuno è proporzionata all’innocenza del vecchio hidalgo, ma in realtà
nessuno è veramente antipatico. C’è in
tutti una punta di candore, di ingenuità e
di credulità che impedisce a noi lettori di
definirli malvagi, tanto più perché ci mettiamo dalla loro parte, quella di quanti se
la ridono felici di aver fatto i furbi.
Ecco quindi don Chisciotte costretto a
inventare dei nemici nei mulini a vento o
nel gregge di pecore. Ed è proprio là dove
ridiamo di più, complici dei perfidi, che
don Chisciotte è sublime, in quella figura
di santo impotente che tuttavia si accanisce perché ci sia giustizia su questa terra.
Don Chisciotte contiene inoltre ciò che
più mi attrae nelle opere che preferisco —
L’Iliade e L’Odissea, La Divina Commedia,
Moby Dick o Le avventure di Alice nel Paese
delle Meraviglie —, ossia un viaggio potente, tra la realtà e l’illusione, al di là delle
apparenze. È un viaggio iniziatico, che
ogni essere umano è portato a intraprendere nella propria vita, dai suoi sogni di
giovinezza alla sua realizzazione personale.
È un pellegrinaggio interiore, l’odissea
di un uomo partito per fare il bene, per
rendere giustizia e per consolare gli infelici, un uomo che fa il giuramento di essere
nobile, povero e buono,
come gli ha insegnato il
modello della cavalleria
cristiana, ma che si scontra
con la dura realtà. La forza
di don Chisciotte, al di là
del riso e del ridicolo, è la
sua resistenza ai colpi e
al reale, la sua cieca
ostinazione. Solo al
termine del suo viaggio
rinuncia al suo ideale,
e quella rinuncia conferisce al personaggio tutta la sua umanità. Don
Chisciotte è un indimenticabile cavaliere della disfatta.
C’è inoltre il dialogo tra i due eroi
della storia, tra don Chisciotte e Sancho
Panza. Al tempo stesso opposti, antagonisti, eppure complici. In realtà queste due
voci ne formano una sola, come un dialogo interiore.
Da un lato c’è un uomo che sogna di
spogliarsi e di trasformare il mondo man
mano che compie la sua ascesi e, dall’altro, un uomo mosso dalla bramosia, prosaico e pauroso, a cui interessa solo la ricompensa promessa dal suo hidalgo: una
proprietà e i vantaggi che ne derivano. C’è
qualcosa di cristico in questo confronto
tra il maestro che evoca il Regno e il discepolo che ne aspetta le prebende. È il
dialogo tra la grazia e la pesantezza, tra
l’antico e il moderno, e la lotta tra il potere della mente e la violenza del reale. È
l’irruzione nel romanzo della coscienza
personale, del me ipsum, del mondo interiore che il Rinascimento ha rivelato. Esiste parabola più geniale sul potere della
soggettività e sui suoi limiti?
Ma soprattutto, da quel dialogo, da
quelle lunghe conversazioni tra il Cavaliere dalla Triste Figura e il suo scudiero, nasce un modello di amicizia, un affetto pieno di tenerezza e di candore. Tra di loro,
lungi dalle buffonerie, si ascoltano conversazioni profonde in cui l’eccentrica intelligenza di don Chisciotte stride con la saggezza popolare di Sancho; si ascoltano
pagina 5
ridicolo, patetico e asociale quel
signorotto che vuole ancora credere alla virtù della povertà e
all’ideale dell’amore, e stupido e
zoticone quel contadino che lo
segue. Ecco perché questo libro è
un capolavoro di crudeltà sotto la
farsa, sotto la risata e la comicità, ed
ecco perché è anche così doloroso;
nella figura di don Chisciotte è del
santo, dell’eroe e dell’anziano che ci si
fa gioco. Ed è questa la forza dell’opera: in quel che evidenzia del nostro disincanto, della nostra prontezza al
sarcasmo, della nostra sterile attrazione per l’oro e la giovinezza.
Nulla si salva agli occhi del
lettore, che non è altro che
l’uomo moderno, neanche la
ricerca dell’ideale amoroso.
Dulcinea del Toboso, che nondimeno incarna tutte le virtù
della Dama — non la bellezza fisica, precisa bene don Chisciotte,
ma la bellezza dell’anima, imperitura
— è una mescolanza di ridicolo e d’irreale. La Dama dei pensieri si dissolve in
due amici che si confessano, con fiducia, una terribile ironia. Come la giustizia che
reclama don Chisciotte, come la Verità che
la loro visione del mondo.
Don Chisciotte è anche — con Bouvard et si aspetta di trovare nelle sue gesta eroiPécuchet e Jacques le fataliste — uno dei li- che, l’amore così come lo incarna Dulcibri più belli che siano mai stati scritti nea ci sembra un miraggio. Un’immagine.
Un’impossibilità. La sublimazione all’orisull’amicizia.
Del Don Chisciotte si è detto che era un gine dell’amore cortese vede qui la sua filibro contro i romanzi di cavalleria, che ne. E da questa constatazione nasce anche
avevano avuto un successo febbrile in la malinconia. La nostra, cronica, che è
Spagna. Quel che ha mostrato Cervantes quella di don Chisciotte nei suoi ultimi
è anzitutto il crollo dell’ordine antico in giorni.
Infine, amo il capovolgimento finale del Don Chisciotte. Sancho diventa goNell’opera dialogano l’antico e il moderno
vernatore dell’isola di Barataria, mentre don Chisciotte
e si assiste a una lotta
abdica. Il vecchio cavaliere
tra il potere della mente
torna a casa per morire. Chisciotte è diventato Cervantes
e la violenza del reale
e l’autore il suo personagE vi è anche l’irruzione nel romanzo
gio. L’eroe della disfatta ha
preso coscienza di quel che
della coscienza personale
è andato perduto per sempre
del mondo che voleva deridere, ma anche — in
cui si distinguevano veramente i Bayard e quell’incendio — di quella parte di sé a cui
altri cavalieri senza paura e senza macchia, l’uomo ha rinunciato: la Gioia, e il dovere
e poi il passaggio a un altro tempo in cui evangelico di santità. Miguel de Unamuognuno si mette a sognare fiumi d’oro e no, uno dei più grandi ammiratori di don
ricchezze personali, sotto un cielo che le Chisciotte, lo definiva così: «La saggezza
scoperte di Copernico, Keplero e Galileo più alta e difficile, quella di volersi
hanno svuotato di Dio. E quel tempo è superare, pur sapendo di essere povero e
l’era moderna. È l’era in cui ormai appare vinto».
Laudato si’ per frate lupo
di FORTUNATO FREZZA
ra i diversi esiti che si
raggiungono scrivendo o
leggendo un libro, uno
dei più stimolanti è la
provocazione lanciata o
subita più o meno attivamente, più
o meno consapevolmente. La storia
umana, in ogni campo dello scibile,
è densa di casi di letture che hanno
determinato reazioni anche clamorose. È da dire che non sempre «galeotto fu il libro e chi lo scrisse»,
poiché si registrano casi variamente
disomogenei: dai libri letti dai giurati di un premio letterario ai testi
scolastici degli studenti, dai libri dei
correttori di bozze a quelli dei fotocompositori tipografici, o anche dal
vangelo declamato in una liturgia
solenne al libro delle ore di un monastero di clausura, e, se vogliamo,
dal rotolo letto da Gesù nella sinagoga di Nazaret (Luca, 4, 17) al libro divorato di Ezechiele (3, 1) e
dell’Apocalisse (10, 9-10), dal vangelo
ascoltato da Antonio abate al tolle et
lege di Agostino o alle agiografie di
Ignazio di Loyola.
L’enciclica di Papa Francesco
Laudato si’ ha provocato una vasta
reazione di pensiero e di confronto,
di consenso e di impulso per le
aspirazioni di custodia del creato e
di cura della casa comune, oggi diffuse e vissute in modo talvolta
preoccupato e drammatico. Di questi aneliti che vibrano nell’animo
dell’uomo moderno pioniere e alfiere è considerato Francesco d’Assisi,
che l’enciclica al numero 10 accredita autorevolmente come «l’esempio
per eccellenza della cura per ciò che
è debole e di una ecologia integrale,
T
Leonardo da Vinci, «La Vergine delle rocce» (1483–1485)
vissuta con autenticità e gioia. [...]
Era un mistico e un pellegrino che
viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli
altri, con la natura e con se stesso».
I suoi Fioretti lo raccontano proprio in questo modo, nei vari momenti e nelle relazioni con le varie
specie della natura, come in un
nuovo paradiso terrestre: cosmo,
persone, animali, piante, terra e acque. Francesco tesse con le creature
una relazione personale così da far
pensare che la sua ecologia sia una
vera e propria relazione antropomorfa, che eleva al grado massimo
la dignità di ogni cosa creata inanimata.
Limitando l’osservazione agli animali nei Fioretti, vi troviamo uccelli
e rondini, tortore e pesci, e poi il
«lupo d’Agobbio, grandissimo, terribile e feroce», che diventa Frate
Lupo capace di stare in conversazione: «Frate Lupo, io ti comando
dalla parte di Cristo che tu non facci male né a me né a persona. [...]
Tu fai molti danni uccidendo le
creature di Dio. Ma io voglio far la
pace fra te e costoro». La risposta
attesa è manifestata «con atti mansueti di corpo e di coda e d’orecchi» per sancire la pace. Papa Francesco ricorda che questo non è «un
romanticismo
irrazionale»
[n. 11]. Piuttosto indica dove si trovi
la segreta via della pace. In san
Francesco «si riscontra fino a che
punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia
verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore» [n. 10].
Come i Fioretti, l’enciclica Laudato si’ non evita il discorso sugli animali e la loro vita con le proprie
qualità, cadenze ed esigenze, che
chiedono all’uomo custodia, rispetto e capacità di godimento non
possessivo, come Francesco che si
abbandona al canto e all’incantamento di fronte alle creature. Il Papa difende le specie animali come
partecipi dell’ecosistema, al quale è
vincolata obbligatoriamente una
ecologia integrale.
Il cane disegnato da Leonardo da Vinci
Non è questo il caso di uno speciale “bestiario del Papa”, che ha
tutt’altro senso, come ha dimostrato
recentemente il libro di Agostino
Paravicini Bagliani (Il Bestiario del
Papa, Torino, Einaudi, 2016, pagine
400, euro 32) recensito sull’O sservatore Romano del 18 gennaio 2017. A
margine, vi leggiamo che Pio II ave-
va tra le sue bestie un lupo, per il
quale si dovette acquistare una catena il 13 agosto 1460. San Francesco
era morto 234 anni prima, ma avrà
sorriso. Del resto in quel tempo il
papa non abitava a Gubbio! Il libro, comunque, di Paravicini Bagliani rappresenta anch’esso una
provocazione a leggere la storia come il sito di quella speciale ecologia
umanistica, che rende ragione, in
lunga durata, delle mutazioni delle
generazioni, anch’esse bisognose di
reciproca pacificazione.
Il “bestiario del papa”, oltre l’insegnamento dell’enciclica, oggi potrebbe stimolare un riferimento alla
editoria, che nella casa del papa si
occupa degli animali. La Libreria
Editrice Vaticana, infatti, pubblicò
nell’anno 2000 un Bestiario Biblico,
opera di Paolo Cultrera, a cura di
Crispino Valenziano, stampata per
la prima volta a Palermo nel 1880.
Più recentemente, nel 2016, presso
la stessa Editrice è apparso il volume di Elisa Palagi Beato Zoo! Storie
di animali e di santi, la cui narrazione va da san Francesco di Paola con
l’amica trota Antonella a san Giovanni Bosco e il suo miracoloso cane Grigio.
Non è avulsa da questo discorso
la notizia di questi giorni, 2 marzo
2017, relativa all’immagine di un cane criptata da Leonardo da Vinci
tra gli scogli del suo capolavoro La
Vergine delle rocce. Noi ne prendiamo
occasione per ricordare Maria, pittoricamente inserita in una scena
cosmica, come genitrice di una nuova opera di ecologia salvifica su disegno del Figlio.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
giovedì 9 marzo 2017
Preoccupazione dei vescovi tedeschi
A rischio
la coesione sociale
In Puglia le prime famiglie di profughi siriani accolte nell’ambito del piano della Cei
Invece dei muri
ROMA, 8. Sono arrivati ieri a
Bari i primi due nuclei familiari,
provenienti dai campi profughi
della Giordania, facenti parte
dell’operazione di reinsediamento voluta e finanziata dalla Conferenza episcopale italiana (Cei)
con i fondi dell’Otto X mille, e a
cui prende parte Caritas italiana,
nell’ambito del programma di
resettlement gestito dal ministero
dell’interno. In virtù di un accordo firmato nelle settimane
scorse, arriveranno complessivamente in Italia quarantuno persone, tra le quali molte con gravi problemi di salute. Si tratta di
sette famiglie di cittadini siriani,
il cui trasferimento è stato reso
possibile dall’ambasciata italiana
in Giordania e dalla nunziatura
apostolica, che hanno lavorato
in stretta sinergia con la Caritas,
l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’O rganizzazione internazionale per le
migrazioni.
Grazie a tale canale umanitario verrà garantito ai profughi
un accesso sicuro e protetto. La
destinazione è San Giovanni
Rotondo, in provincia di Foggia; qui i malati troveranno il
supporto specialistico della Fondazione centri di riabilitazione
di Padre Pio e dell’ospedale Casa del sollievo della sofferenza.
L’accoglienza è garantita, oltre
che dai frati cappuccini, dalla
Caritas diocesana di Manfredonia nell’ambito del progetto
«Protetto. Rifugiato a casa
mia»; i siriani saranno accompagnati nel percorso di integrazione da famiglie della comunità
cristiana.
A gran parte dei pellegrini che visitano la triplice basilica papale di
San Francesco ad Assisi sfugge un
particolare che si trova, invece, in
tutte le altre chiese: la mancanza
dei tradizionali quadri della via crucis. I frati minori conventuali, che
di quegli edifici sono custodi, giustificano la mancanza dicendo che,
senza considerare la struttura archi-
La situazione dei profughi siriani in Giordania rimane drammatica. A centinaia di migliaia
sono bloccati nei campi allestiti
dal governo o in altre sistemazioni precarie in attesa di trovare una soluzione al proprio futuro. La stessa condizione è vissuta anche da migliaia di yemeniti
e di iracheni, fra cui molti cristiani. Anche per questo motivo
nel paese è stato avviato il più
ampio programma di reinsediamento a livello globale degli ultimi due anni che ha permesso a
oltre cinquantaseimila persone
di raggiungere nazioni come gli
Stati Uniti, il Canada, l’Australia e l’Italia.
In coincidenza con l’arrivo in
Puglia dei primi due nuclei familiari (provenienti da Zaatari)
si è svolto a Roma un incontro
tra il segretario generale della
Cei, Nunzio Galantino, il direttore nazionale della Caritas italiana, don Francesco Antonio
Soddu, e una delegazione della
Chiesa evangelica della regione
tedesca della Vestfalia. Di quest’ultima, accompagnata da Paolo Naso, della Federazione delle
Chiese evangeliche in Italia, facevano parte tra gli altri il vescovo Annette Kurschus e il pastore Ulrich Moeller. Scopo del
tavolo condividere le esperienze
di accoglienza, con particolare
attenzione ai corridoi umanitari,
e ribadire la necessità del dialogo ecumenico per sostenere questo tipo di emergenze. Monsignor Galantino ha sottolineato
il valore di affrontare insieme
«un dramma in cui, dando concretezza all’invito di Gesù ad ac-
cogliere, ci impegniamo nella
creazione di corridoi umanitari
che ci consentono di dare una
possibilità a questi nostri fratelli.
Una risposta comune in un
mondo che sembra invece privilegiare i muri». In Italia — ha
aggiunto — «viviamo una condizione tale che ci costringe a lavorare soprattutto sull’emergenza e in emergenza. A chi arriva,
noi, come uomini e come donne
prima ancora che come credenti,
dobbiamo dare anzitutto aiuto e
accoglienza. Questo nonostante
un certo malumore che si respira
in alcune frange della politica e
della società che non vorrebbero
assolutamente sentir parlare di
immigrazione e speculano su
questo dramma sottolineandone
solo gli aspetti problematici».
Per il segretario generale della
Cei, vanno contrastati gli stereotipi, come «il fatto che alcuni
immigrati siano coinvolti in episodi di criminalità. Episodi che
risultano del tutto minoritari.
Oppure, l’associare i migranti ai
terroristi, quando sappiamo bene che i terroristi non arrivano
sui barconi».
In Germania, ha aggiunto dal
canto suo Annette Kurschus,
«viviamo la medesima emergenza e sentiamo la necessità di
condividere la nostra esperienza
con la Chiesa italiana. Siamo venuti qui per imparare da voi e
collaborare». Don Soddu, invece, parlando dei primi arrivi in
Italia, ha espresso la gioia di
«iniziare questo percorso insieme ai nostri fratelli siriani che
tanto stanno soffrendo nel loro
paese martoriato dalla guerra».
BENSBERG, 8. La fiducia nelle
istituzioni tedesche è in calo,
non solo tra i giovani: è quanto
è emerso nel corso dei lavori
dell’assemblea plenaria della
Conferenza episcopale tedesca
(Dbk) che si concluderà, domani, giovedì, a Bensberg. Secondo i presuli, questa diminuzione
di fiducia riguarda non solo lo
stato e le istituzioni della politica, ma anche le grandi organizzazioni sociali e quindi anche le
Chiese.
«La coesione scompare — ha
detto il vescovo di Essen, monsignor Franz-Josef Overbeck,
presidente della commissione
episcopale per la società e gli affari sociali — quando si ha la
percezione che la ripresa sia solo
per i ricchi e l’insoddisfazione
per la società cresce quando una
società sempre è più diseguale e
il progresso e le opportunità di
partecipazione sono sempre di
meno». Per il vescovo di Essen
«in molti temono che la nostra
società produca troppi perdenti
e pochi vincitori. Collegato a
questo c’è la preoccupazione
della classe media di vedersi affondare verso il basso». Monsignor Overbeck ha considerato
che «le persone che vivono in
condizioni professionali e sociali
consolidate contribuiscono al
successo, per esempio, di formazioni come Pegida e Afd (Alternativa per la Germania). Per
combattere il populismo in maniera concreta si deve affrontare
la questione della disuguaglianza sociale in modo serio perché
senza fiducia nel welfare e nello
stato di diritto — ha aggiunto —
la coesione sociale nel nostro
paese è più fragile».
Tra gli argomenti trattati — riferisce il Sir — particolare attenzione è stata data al lavoro,
all’attuale situazione del processo di accoglienza per i migranti
e alle celebrazioni per il cinquecentenario della Riforma luterana. I vescovi, inoltre, affronteranno il tema del fine vita e delle forme di assistenza alla morte,
alla luce di una sentenza del tribunale amministrativo federale
di Lipsia, sulla possibilità eccezionale che un giudice dello stato autorizzi l’uso di farmaci particolari per l’aiuto al suicidio indolore di malati terminali: ciò
anche alla luce del contrasto che
si verrebbe a creare con la legge
fondamentale dello stato tedesco
che vieta formalmente che l’autorità pubblica prenda determinate decisioni. La corte costituzionale federale sarà chiamata
nel 2017 a dirimere la controversia.
All’assemblea plenaria, oltre i
66 membri della Dbk presieduti
dall’arcivescovo di Monaco e
Frisinga, cardinale Reinhard
Marx, prendono parte il nunzio
apostolico in Germania, arcivescovo Nikola Eterović, il cardinale
Nakellentuba
Philippe
Ouédraogo, arcivescovo di Ouagadougou e il cardinale Rubén
Salazar Gómez, arcivescovo di
Bogotá e presidente del Celam.
Corso sul cattolicesimo alla facoltà protestante di Ginevra
Importante
passo ecumenico
GINEVRA, 8. Come già avviene per
l’ortodossia, l’islam e l’ebraismo, da
alcuni giorni è attivo il corso di teologia cattolica alla Facoltà di teologia protestante dell’Università di Ginevra, destinato agli studenti del secondo e terzo anno della laurea
triennale, frutto della collaborazione
con la Chiesa cattolica romana
(Eglise Catholique Romaine, Ecr) di
Ginevra.
«È una prima volta storica per
Ginevra», ha dichiarato dal sito
riforma.it, Geoffroy de Clavière, responsabile della comunicazione e
dello sviluppo della Ecr, uno degli
artefici del progetto insieme al decano della facoltà, Jean-Daniel Macchi. Quest’ultimo condivide lo stesso
entusiasmo, parlando degli argomenti che saranno affrontati: teologia
mariana, ecclesiologia cattolica e un
insegnamento sulla grazia. Questi temi, che tradizionalmente dividono
cattolici e protestanti, sono stati scelti apposta. «Sarà una bella occasio-
ne per i nostri studenti — ha detto
Macchi — di confrontarsi con la teologia cattolica». I corsi saranno
aperti agli studenti di altri corsi e ai
liberi uditori. I tre temi di studio saranno analizzati da docenti dell’Università cattolica di Lione, e si svilupperanno in 24-28 ore di lezione.
Un bell’esempio di “ecumenismo
universitario”: secondo Macchi, infatti, sarebbe limitativo studiare la
teologia protestante senza avere anche delle buone conoscenze sulla
teologia cattolica, «in una società
come la nostra in cui le religioni vivono fianco a fianco, questo porterebbe a una formazione vacillante».
Il decano ritiene che dopo il concilio
Vaticano II l’ecumenismo si sia decisamente sviluppato: «Protestanti e
cattolici si sono molto avvicinati e si
capiscono sempre meglio. Dobbiamo
continuare su questa via, e la messa
in opera di questo percorso è un
passo ecumenico importante».
L’antica celebrazione quaresimale dei Corda pia ad Assisi
Lettera pastorale dell’arcivescovo di Lussemburgo
Con cuore devoto
Per il rinnovamento
tettonica della basilica a croce latina
(comune alla maggioranza delle altre chiese), la gran parte degli affreschi che abbelliscono le pareti rappresentano già in realtà il mistero
della passione e della morte in croce del figlio di Dio.
La stessa vita di Francesco è
spesso confrontata, sempre nei cicli
pittorici, con episodi della passione
di Cristo. La più antica raffigurazione della passio Christi confrontata
con la compassio Francisci è stata realizzata circa vent’anni dopo la morte del santo e si trova nella basilica
inferiore. È opera di un anonimo
pittore, detto “maestro di san Francesco”, che la dipinse tra il 1250 e il
1260.
Inoltre, la via crucis è sostituita
dall’antichissimo rito dei
Corda pia, espressione
latina che significa “i
cuori devoti, pii”, tratta
dalle prime due parole
dell’inno di apertura:
«Corda pia inflammatur,
dum Francisci celebrantur,
stigmatum
insignia».
Il rito si svolge tutti i
venerdì di quaresima e
consiste in una prolungata meditazione che
frati e fedeli sono invitati a fare sul mistero della
passione e morte di Cristo in croce, abbinato al
mistero della passione
vissuta da san Francesco
nella sua vita attraverso
l’impressione delle stimmate, avvenuta sul monte de La Verna (Arezzo)
due anni prima della sua
morte.
La celebrazione ha origini antichissime. Probabilmente è nata nel
clima della devotio moderna del XIV
secolo, al tempo in cui il capitolo
generale dell’ordine, tenuto a
Cahors nel 1337, istituì la festa liturgica delle stimmate di san Francesco.
È infatti presente nel cerimoniale
dell’ordine dei frati minori conventuali del 1631, con un testo redatto
in conformità alle costituzioni urbane del 1628. In esso è stabilito che
la cerimonia fosse celebrata in tutti
i venerdì dell’anno, accompagnata
da canti, letture, salmi, preghiere
che invitano a riflettere, a contemplare e a unirsi alle sofferenze patite
da Cristo nella passione.
Si tratta, indubbiamente, di una
delle più antiche devozioni a Cristo
crocifisso conosciute nell’ordine
francescano e il cui fondamento
teologico e spirituale che la legittima è da ricercare nella scrittura, in
particolare nelle parole di san Pietro: «Dalle sue piaghe voi siete stati
guariti» (1 Pietro, 2, 24).
Certamente riformabile in alcuni
suoi punti secondo la sensibilità dei
tempi — dicono i religiosi — il pio
esercizio dei Corda pia è proposto
tuttora a frati e fedeli come «particolare momento contemplativo quaresimale». (egidio picucci)
LUSSEMBURGO, 8. «Digiunate e pregate per il rinnovamento della nostra
Chiesa in Lussemburgo»: è quanto
scrive monsignor Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo,
nella lettera pastorale per la quaresima 2017, anno considerato «importante» dalla Chiesa nel Granducato
perché giungerà a conclusione il
cammino avviato nel 2014 per il «rimodellamento parrocchiale» e che
porterà alla nascita, a maggio prossimo, di trentatré parrocchie suddivise
in sei decanati al posto delle cinquantasette comunità pastorali esistenti.
«L’erosione nella Chiesa è continuata e oggi non ci sono abbastanza
ministri ordinati e collaboratori pastorali per servire tutti. La riduzione
numerica — ha spiegato nella lettera
pastorale diffusa dal Sir monsignor
Hollerich — non significa che la
Chiesa si ritira, né che si allontana
dalle persone, al contrario le nuove
parrocchie sono una possibilità di
accogliere le sfide del tempo con un
nuovo slancio missionario e nuove
idee. Poiché più grande delle nostre
paure — prosegue il testo — è la nostra fede nel Dio trinitario, non è il
momento di lamentarsi, di guardare
indietro e diventare schiavi della nostra storia, ma di lasciarsi guidare
dal Signore nella sua visione del futuro».
La Chiesa in Lussemburgo non
usufruisce, come in passato, di consistenti finanziamenti pubblici, per
cui l’arcivescovo denuncia il «bisogno del sostegno economico e di
molti volontari che s’impegnino nei
diversi incarichi» per far fronte alle
sfide delle nuove parrocchie e della
catechesi. «Più i cristiani sono personalmente legati a Dio — conclude
— più la nostra Chiesa nel suo insieme potrà testimoniare la fede».
Dopo la firma, avvenuta nel gennaio 2015, di tre convenzioni tra l’arcidiocesi e lo stato, prosegue il processo di ridefinizione della Chiesa
relativo all’insegnamento della religione cattolica, sostituita dal corso
di “vita e società”, alla gestione degli
immobili di proprietà ecclesiastica e
ai finanziamenti statali destinati alle
comunità di culto.
L’OSSERVATORE ROMANO
giovedì 9 marzo 2017
pagina 7
Icona della «Panaghia glykophilousa»
conservata sul Monte Athos
Nomine episcopali
La chiesa come madre
Ti ho perso
ma ti cerco
di MARIA MOURZÀ
Ben lo sapevano le nostre nonne.
Sapevano di appartenere anzitutto alla chiesa, e poi a se stesse.
Anzitutto alla chiesa, e poi alla
loro casa. Per questo partecipavano di tutto cuore alle sue necessità. Alla costruzione del tempio,
alla sua sistemazione, alle collette, ai digiuni, ai vespri, ai sacramenti, alla liturgia. La gente di
un tempo sapeva che non vi è altra strada, perché l’altra strada
Sguardo ortodosso
Del libro «Non temere!». Brezze pasquali
per i perdenti (Milano, Servitium editrice,
2017, pagine 235, euro 15), scritto da
un’ortodossa, legata spiritualmente al
Monte Athos, pubblichiamo ampi stralci
del primo capitolo.
porta a un altro capolinea. Sapevano che la salvezza è solo dentro la nave di Cristo.
La chiesa — attestano i padri —
è un grande ospedale in servizio
ventiquattro ore su ventiquattro,
da duemila anni. Un ospedale in
servizio per tutti. Per chi ha
un’assicurazione e per chi non ce
l’ha. Per i ricchi e per i nullatenenti. Per gente famosa e per
gente sconosciuta e marginale.
Un grande ospedale in cui si affronta ogni malattia, per quanto
avanzata, infettiva e mortale possa essere. Un grande ospedale in
cui entri malato e da cui esci sano, come l’emorroissa. Entri persecutore ed esci apostolo, come
Paolo. Entri peccatore ed esci
santo, come santa Maria Egiziaca. Entri lupo ed esci agnello,
come san Mosè l’Etiope. Entri
cadavere in decomposizione e,
morto da quattro giorni, risorgi,
come Lazzaro. Perché nella chiesa non vi è morte. Non vi sono
morti. La chiesa è la terra dei viventi, ove c’è vita e sovrabbondanza di vita, cioè Cristo. La
chiesa, da secoli, offre gli stessi
farmaci, in grado di salvare il
mondo; da secoli, essa ha anche
gli stessi mirabili risultati: genera
santi. In nessun luogo, altrove,
nascono santi, se non nella chiesa. Anche altrove troveremo persone buone, santi no. Perché i
santi, uomini come noi, che con
noi condividono infermità e malattie, sono entrati nella chiesa e
si sono consegnati senza riserve
alle direttive del medico. E Cristo, che non è solo medico ma
anche padre, si consegna a quanti a lui si consegnano. Si china
su di loro amorevolmente, totalmente, come solo egli sa; conforta, assiste, cura, santifica e glorifica. Il Cristo misericordioso si fa
tutto a tutti per salvare l’uomo.
La chiesa, persino se la rinneghiamo, resta una madre che
agogna a raccogliere i suoi figli.
Lutto nell’episcopato
Monsignor Tadeusz Rybak, vescovo emerito
di Legnica, in Polonia, è morto dopo una
lunga malattia martedì 7 marzo.
Il compianto presule era nato il 7 novembre 1929 a Milanówek, arcidiocesi di Warszawa, ed era stato ordinato sacerdote il 2
agosto 1953. Eletto alla sede titolare di Benepota e nominato ausiliare dell’arcidiocesi di
Wrocław il 28 aprile 1977, aveva ricevuto
l’ordinazione episcopale il successivo 24 giugno. Dal 1983 aveva presieduto la Commissione episcopale per la pastorale liturgica
che si occupò della preparazione di quasi
tutti i sussidi vengono usati in Polonia. Il 25
marzo 1992, con l’erezione della nuova diocesi di Legnica, ne era stato nominato primo
vescovo. Il 19 marzo 2005 aveva rinunciato
al governo pastorale. I funerali saranno celebrati sabato prossimo, 11 marzo, alle ore 11,
nella cattedrale di Legnica.
Agogna e attende, nella speranza
che noi, sia pure dopo anni, torniamo da lei. Ma il nostro ritornare alla chiesa presuppone una
consapevolezza: essa non è vuota. Vi è un Padre che ci ama fedelmente, in maniera inalterabile,
per sempre. Qualunque sia lo
stato in cui ci presentiamo, qualunque sia il luogo da cui proveniamo, per quanto dissoluti possiamo essere stati, c’è un Padre
che è uscito in strada e ci aspetta.
Se riuscissimo a dire alla gente
quest’unica potente e consolante
verità: che nella chiesa dai lacrime e ricevi remissione; che Cristo
non si occupa dei nostri peccati
ma del nostro pentimento. Se
riuscissimo a dire ai giovani di
non esitare, qualunque sia il modo in cui hanno vissuto, a far ritorno alla chiesa. Perché la chiesa
è madre e, quando a essa torniamo, non indaga per sapere ciò
che abbiamo fatto, ma ci guarda
negli occhi per vedere ciò che
abbiamo sofferto, in quanti frantumi ci siamo ridotti. La vita della chiesa e il suo amore per noi
non dipendono né dalla nostra
miseria né dalla nostra santità,
ma da Cristo.
Se riuscissimo a dire ai nostri
figli che il sacerdote, chiunque
egli sia, è in grado di fare ciò che
nemmeno gli angeli sono in grado di fare: la divina liturgia. E
cioè? Cioè: egli fa scendere Dio
sulla terra. Fa scendere la Madre
di Dio. Fa scendere migliaia di
angeli che si accalcano lì, nel
tempio, ma che noi non abbiamo
occhi per vedere. Questa è la divina liturgia. Uomini e angeli e
santi insieme. Vivi e defunti,
nonni e bisnonni, i credenti di
tutti i secoli. Tutti membri di
Cristo. Corpo di Cristo. Ossa di
Cristo. Con te che amo e con te
che trascuro. Con i familiari e
con i nemici. Tutti un corpo solo. Questo succede in ogni liturgia. Questo succede nella chiesa.
Per noi. Questa è la chiesa. Madre di una forza illimitata, di una
portata illimitata. Basta che ci fidiamo di lei.
I santi, di cui andiamo in cerca bramosi, non piovono dal cielo. Nascono in famiglie. Dietro
di loro si nascondono madri e
padri e nonne e sorelle la cui vita
non era diversa dalla vita della
chiesa. Se vogliamo vedere progressi, la nostra vita deve identificarsi con la vita della chiesa.
Viviamo in tempi estremi. Il
fiume sembra non avere ritorno.
Il peccato si è moltiplicato a dismisura, e di ciò siamo tutti colpevoli. Ci sentiamo innocenti,
ma non lo siamo. Tutti abbiamo
una quota di responsabilità, anche se non vogliamo riconoscerlo. Per questo piange la chiesa.
Se non ci pentiremo, mai ameremo come ama chi ha ottenuto
misericordia, né mai capiremo
Le nomine di oggi riguardano la
Chiesa in America.
Manoel Delson
Pedreira da Cruz
arcivescovo di Paraíba
(Brasile)
come ama la chiesa. Si narra di
una madre vedova che perse sua
figlia adolescente. Se n’era andata nella capitale e viveva in maniera assai libera, in case di piacere. Era impossibile trovarla. In
preda alla disperazione, la madre
prese una propria fotografia, la
ristampò più volte e vi scrisse
sotto: «Figlia mia, ti ho persa,
ma non dimenticata. Figlia mia,
ti ho persa, ma ti cerco». La madre andò a incollarla alle porte
delle case di malaffare. Un giorno, dopo anni, la ragazza, entrando in una di queste case, si
trovò di fronte alla foto di sua
madre. E per la prima volta, dopo anni, nel suo cuore desertificato si aprì una crepa, e cominciarono a sgorgare lacrime. Per la
prima volta, dopo anni, gli occhi
della figlia scoppiarono a piangere. Per la prima volta, dopo anni,
si ricordò della sua origine, della
mamma che l’aveva generata, e
fece ritorno, per non andarsene
mai più.
È quello che anche la chiesa
ha fatto per noi. Ha messo ovunque la sua fotografia: le icone, le
campane, le ufficiature, il Vangelo, il confessore, la stola santa.
Ha messo ovunque la sua fotografia e dice anche a noi le medesime parole: «Figlio mio, ti ho
perso, ma non dimenticato. Figlio mio, ti ho perso, ma ti cerco». Nella speranza che si incrini
anche il nostro cuore di pietra.
Nella speranza che i nostri occhi,
inariditi per la “sclerocardia”, effondano lacrime. Nella speranza
che ci ricordiamo della nostra
origine divina. Nella speranza
che facciamo ritorno, dalla madre vera. Dalla madre che salva,
compatisce e benedice il mondo.
Questa è la chiesa degli apostoli.
Questa è la chiesa dei padri.
Questa è la chiesa dei santi. È
questa chiesa che ha sostenuto
l’universo.
Nell’umiltà della quaresima
Chi lavora per toglierti il senso di
responsabilità in realtà ti lascia
solo e indifeso contro le spinte
più distruttive del tuo inconscio,
convincendoti che non c’è niente
da fare, che alla fine dei conti sei
di FABIO BARTOLI
irrimediabilmente cattivo, anche
Per fortuna che c’è la quaresima. se non è colpa tua.
Il pentimento dunque comincia
Per fortuna, o per grazia, c’è un
tempo in cui siamo invitati a ri- da qui, da questa assunzione di
tornare in noi stessi e pentirci. È responsabilità: io ho fatto il male,
il tempo delle ceneri, il tempo in non un altro; io sono responsabile
cui ricordare che siamo polvere, di me stesso. Così recita, per
in cui prendere coscienza che il esempio, il salmo 50, il manifesto
male abita in noi. Hai voglia a biblico del pentimento: «Contro
cercare di illuderti o ingannarti, te solo ho peccato, quello che è
hai voglia a dare la colpa al mon- male ai tuoi occhi io l’ho fatto».
do che è cattivo, alla famiglia che È quello che Gesù chiama «rienti ha educato, alle cattive compa- trare in se stessi»: mentre il male
ci porta fuori di noi e
tende a inibire l’autocoscienza e la riflessione
su di sé, il pentimento
ci riporta a noi stessi, ci
fa riflettere su chi siamo
e sul nostro posto nel
mondo.
La cultura precristiana non conosce l’umiltà
come valore, non nel
senso che i cristiani
danno a questa parola.
Per i filosofi stoici, Seneca e gli altri, il grande valore è la metriotes,
la misura, la conoscenza del proprio limite, e
quindi il non avere pretese troppo alte, l’accontentarsi di ciò che si
è, scegliendo l’aurea
Lello Scorselli, «Zaccheo» (1965)
mediocritas; in questo lo
stoicismo
assomiglia
gnie, a Saturno in trigono o a molto a certe filosofie moderne,
quel che ti pare; alla fine, se sei come il buddismo promosso dalla
onesto con te stesso, non puoi Soka Gakkai. Per questo era scritche ammetterlo: io, io ho sbaglia- to sul frontone del tempio di Delto, non un altro al posto mio. Io fi: «Conosci te stesso» (anche se
avrei potuto fare diversamente, io poi Platone ha dato a questa frase
un altro valore).
ho provocato dolore.
Ma per il cristiano non c’è auLa realtà, che è quella cosa che
non sparisce se chiudiamo gli oc- tentica conoscenza di sé senza
chi, ci ricorda continuamente que- partire dall’altissima vocazione a
sta inseparabile commistione di cui siamo chiamati dall’amore di
virtù e peccato che siamo. È la Dio; l’umiltà cristiana quindi non
parola del profeta Natan a Davi- sarà mai una mediocritas, per
de: «Tu sei quell’uomo!» (cfr. 2 quanto aurea. Mentre per i filosoSamuele, 12, 1-7). Può sembrare fi stoici la pace e l’equilibrio inteuna parola dura, ma in realtà è il riore consistono nel non avere alpresupposto della salvezza, per- cun desiderio, per il cristiano al
ché se io sono responsabile signi- contrario consisteranno nell’andafica che posso cambiare, non so- re fino in fondo a ogni desiderio,
no un burattino in balia di forze per scoprire che alla fin fine è un
più grandi di me. Non è strano? desiderio di Dio. Conoscere se
Anticipiamo un brano dal libro «Per
fortuna c’è la quaresima!» (Milano,
Àncora Editrice, 2017, pagine 94,
euro 10).
stesso per il cristiano significa
prendere coscienza di due cose a
un tempo: da una parte, dell’infinito amore con cui siamo amati e
dell’altissimo orizzonte a cui questo amore ci destina; dall’altra,
della nostra attuale distanza da
questo orizzonte e della nostra incapacità di raggiungerlo con le
nostre sole forze.
Non conoscendo Cristo, il
mondo pagano non poteva concepire né l’immensa grandezza a cui
l’uomo è destinato, né l’enorme
bassezza di cui è capace, perché
anche il male si rivela in tutta la
sua portata solo quando è apparsa la pienezza del bene. Quando
la scoperta di questa contraddizione, anziché gettarci nella disperazione, ci riempie di gioia per
l’enormità della grazia ricevuta,
questa è l’umiltà. L’umiltà consiste nell’accettazione gioiosa di un
paradosso: io e te siamo nani destinati a diventare giganti, animali
chiamati a essere Dio.
Per questo la Chiesa dedica al
pentimento tanta attenzione: quaranta giorni, una stagione intera.
E c’è sapienza in questo; annunciare un tempo di pentimento, infatti, significa annunciare una
speranza: il male non vincerà, tu
sei più grande del tuo peccato. Se
sei ancora capace di pentirti, vuol
dire che la tua volontà è ancora
libera, vuol dire che non sei stato
definitivamente preso nella rete
che il nemico del genere umano
ha disteso intorno a te. Per quanto sia grande il tuo peccato, dice
Bernardo di Chiaravalle, più
grande ancora è la misericordia di
Dio. E la quaresima sta lì proprio
a dirti che non c’è male irreversibile, non c’è catena infrangibile,
non c’è colpa imperdonabile.
Il Papa a Milano
Inizia con l’incontro con la gente delle “Case bianche” di via
Salomone nel quartiere Forlanini, alla periferia sud-est di Milano, la visita di Papa Francesco
alla città ambrosiana. Sabato 25
marzo, il Pontefice comincia la
giornata recandosi in una zona
caratterizzata da un forte disagio sociale, dove si intrecciano
vecchie e nuove povertà.
Da una parte droga, solitudine, indigenza e adolescenti con
mille problemi, dall’altra le nuove sfide che pone l’arrivo di
molti immigrati negli ultimi anni. Per questo il Papa compie un
gesto significativo: incontra due
famiglie nei loro appartamenti e
poi nel piazzale antistante la
gente del quartiere, in cui vivono anche rom, islamici e immigrati.
Quindi, secondo il programma predisposto dalla Prefettura
della Casa Pontificia, Francesco
si trasferisce in duomo, per parlare ai sacerdoti e ai consacrati.
Dopo l’adorazione del Santissimo Sacramento nello Scurolo di
San Carlo, uno dei luoghi simbolo della Chiesa ambrosiana, il
Pontefice risponde ad alcune
domande dei presenti.
Al termine del colloquio, esce
sul sagrato della cattedrale per
la recita dell’Angelus e la benedizione ai fedeli.
La tappa successiva è nella casa circondariale di San Vittore,
dove il Pontefice saluta i detenuti, alcuni dei quali direttamente nelle loro celle. E nel terzo raggio pranza con una rappresentanza di cento carcerati.
Nel pomeriggio si dirige prima
al parco di Monza per la celebrazione dell’Eucaristia poi alla
stadio Meazza - San Siro per
dialogare con i ragazzi cresimati.
Al termine, raggiunge l’aeroporto di Linate per il rientro in
Vaticano.
Il logo scelto per la visita rappresenta due mani che si tendono verso il Papa. Mani che possono sembrare anche due ali
delle colombe della pace, ma
che nel profilo vogliono ricordare il duomo di Milano. Nella
parte superiore del logo è rappresentato l’abbraccio del Pontefice che diventa anche un sorriso.
Nato il 10 luglio 1954 a Biritinga, arcidiocesi di Feira de Santana, nello stato di Bahia, ha emesso la professione nei frati minori
cappuccini il 17 gennaio 1978 ed è
stato ordinato sacerdote il 5 luglio
1980. Ha compiuto gli studi filosofici a Nova Veneza (São Paulo)
e quelli teologici all’Istituto di
teologia dell’università di São Salvador da Bahia. Ha conseguito la
laurea in lettere classiche all’università cattolica di São Salvador
da Bahia e la licenza in scienze
delle comunicazioni sociali alla
Pontificia università salesiana di
Roma. Nel proprio ordine religioso è stato formatore, ministro provinciale (più volte) e definitore
generale per l’America latina. Il 5
luglio 2006 è stato nominato vescovo di Caicó e ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 24 settembre successivo. L’8 agosto 2012 è
stato trasferito alla diocesi di
Campina Grande. Attualmente è
vice-presidente della Conferenza
episcopale regionale Nordeste 2,
che comprende gli stati di Alagoas, Paraíba, Pernambuco e Rio
Grande do Norte.
Roy Edward Campbell
ausiliare di Washington
(Stati Uniti d’America)
Nato il 19 novembre 1947 a Pomonkey, Maryland, nell’arcidiocesi
di Washington, dopo aver frequentato la Archbishop Carroll
High School nella capitale (19611965), ha conseguito il baccalaureato in zoologia, antropologia e
chimica alla Howard University di
Washington (1965-1969) e il diploma in banking management
all’University of Virginia di Arlington (1990-1992). Per vari anni ha
lavorato nel settore bancario, divenendo vice-presidente e project
manager della Bank of America.
Entrato in seminario, ha svolto gli
studi ecclesiastici al Blessed John
XXIII National Seminary a Weston
nel Massachusetts (2003-2007).
Ordinato sacerdote per il clero di
Washington il 26 maggio 2007, è
stato vicario parrocchiale di Saint
Augustine e amministratore pro
tempore della parrocchia Immaculate Conception a Washington
(2007-2008); parroco di Our Lady
of Assumption a Washington
(2008-2010) e di Saint Joseph a
Largo (dal 2010). Era inoltre
membro dell’archdiocesan synod
implementation committee, dell’archdiocesan formation board
(2010-2014), del clergy personnel
board (2010), vicario foraneo del
Middle Prince George’s County
(2015) e dell’executive committee
of the priest council (dal 2016).
Vicente de Paula Ferreira
ausiliare
di Belo Horizonte
(Brasile)
Nato il 27 ottobre 1970 ad Araraí, distretto di Alegre, diocesi di
Cachoeiro de Itapemirim, nello
stato di Espírito Santo, ha compiuto gli studi di filosofia presso
l’università federale di Juiz de Fora (1986-1990), dove più tardi ha
conseguito la licenza (2009-2011) e
la laurea (2011-2013) in scienza
della religione. Ha studiato teologia alla facoltà gesuita di filosofia
e teologia a Belo Horizonte (19931996) e si è specializzato in psicologia a Juiz de Fora (2003-2006).
Emessa la professione come religioso redentorista il 12 dicembre
1992, è stato ordinato sacerdote il
16 novembre 1996. Nella sua congregazione è stato promotore vocazionale (1997); formatore del
pre-noviziato (1998-2002) e dell’aspirantato (2003-2005); presidente dell’Unione dei redentoristi
del Brasile (2005-2011); superiore
della provincia di Rio de Janeiro Minas Gerais - Espírito Santo per
tre mandati (2005-2014); membro
dell’Accademia Alfonsiana di Roma (dal 2012). Al presente era formatore degli studenti redentoristi
di teologia (Provincia di Rio) a
Belo Horizonte.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
giovedì 9 marzo 2017
Quarta e quinta meditazione degli esercizi spirituali
Il vangelo secondo Giuda
Dal suicidio di Giuda — «un fatto storico
scomodo e imbarazzante con cui la Chiesa
non ha paura di fare i conti» — è nata
«un’opera di misericordia»: con quei trenta denari, che ha inutilmente tentato di restituire ai sacerdoti, «finisce infatti per essere costruito un cimitero per la sepoltura
degli stranieri» a Gerusalemme. È proprio
sulla «delicata questione» del suicidio di
Giuda e sulla sua «perdita della fede nel
Signore», che padre Giulio Michelini ha
parlato di fronte al Papa e ai suoi collaboratori della Curia romana mercoledì mattina, 8 marzo, nella quinta meditazione degli esercizi spirituali, in corso nella Casa
Divin Maestro ad Ariccia. E per il predicatore — che ha ricevuto una mail di testimonianza da un confratello francescano,
parroco ad Aleppo, in cui si descrive il
calvario della popolazione — è significativo che quel sangue, contrariamente alle
accuse anti-giudaiche di deicidio, mosse
soprattutto dal quinto secolo, non ricade
«sul capo di Israele» ma nel campo comprato al prezzo del sangue di Cristo e divenuto, dunque, «opera di misericordia».
Le cronache dei nostri giorni, ha fatto
presente il francescano, sono piene di «casi di suicidi e suicidi assistiti», riferendosi
espressamente alla vicenda del «ragazzo di
sedici anni che si è tolto la vita dopo che
la sua stessa mamma aveva chiesto l’intervento della guardia di finanza», perché
utilizzatore di stupefacenti. Ma «il suicidio di Giuda ci interpella tutti direttamente» ha affermato padre Michelini facendo
riferimento al passo di Matteo (27, 1-10). E
se «il Vangelo non ci dà elementi sicuri»
per comprendere le ragioni del suo comportamento, «l’ipotesi è che a un certo
punto abbia perduto la fede nel Signore».
A sostegno di questa affermazione, il religioso ha proposto una testimonianza dello
scrittore francese Emmanuel Carrère che,
nel romanzo in parte autobiografico Le
Royaume (2014), non nasconde affatto la
propria esperienza di delusione: «In un
certo periodo della mia vita sono stato cristiano. Lo sono stato per tre anni. Non lo
sono più». Aggiungendo: «Ti abbandono
Signore. Tu, non abbandonarmi».
In sostanza Carrère, ha commentato padre Michelini, «dice di aver abbandonato
la fede in Cristo dopo averlo amato pur
senza averlo visto». Giuda, invece, «è stato molto vicino a Gesù, lo ha conosciuto
in carne e ossa». Di più: «Giuda ha seguito con entusiasmo Gesù che l’aveva chiamato, ha ascoltato le sue parole e ha visto
i segni compiuti». Per dirla con Romano
Guardini, «Giuda era realmente disposto
alla sequela del maestro». Però, ha proseguito padre Michelini, «a un certo punto
deve essere subentrato qualcosa che lo ha
portato a perdere la fede in Gesù, a non
fidarsi più». Ma «le ragioni non ci sono
date nei Vangeli»: per Benedetto XVI «ciò
che è accaduto a Giuda non è più psicologicamente spiegabile».
Da parte sua, il predicatore ha avanzato
«l’ipotesi che Giuda abbia pensato di consegnare Gesù alle autorità religiose affinché si mostrasse come il messia di Israele». Insomma, «Giuda avrebbe proiettato
sul volto di Gesù l’immagine del suo messia ideale: liberatore, combattente, politico». Tanto che nel vangelo di Matteo tutti
i discepoli chiamano Gesù «Kyrie (Signore)»: solo Giuda lo chiama, per due volte,
«Rabbì» perché in Lui «vede solo un maestro e mediante la consegna vuole forzarlo
a fare quello che desidererebbe».
Ma «come è potuto accadere che un
uomo scelto personalmente da Gesù sia
arrivato a perdere la fede fino a non riconoscerlo più?»: è una domanda che non ci
può lasciare indifferenti. «Guardini pensa
a un processo a più fasi, con tanto di attaccamento al denaro» ha spiegato padre
Michelini. «Meno articolata, ma altrettanto suggestiva, la finissima analisi dello
scrittore israeliano Amos Oz, che vede
nella crocifissione il momento della perdita della fiducia da parte di Giuda». E il
predicatore non ha mancato di mettere in
guardia dal non ritenersi «superiori a Giuda, perché tutti noi abbandoniamo Gesù,
anche Pietro lo ha rinnegato». Ecco, allora, l’invito a chiedersi «se non vi sono nella nostra vita molti giorni in cui non abbiamo abbandonato Cristo, il nostro sapere migliore, il nostro sentimento più santo,
il nostro dovere, il nostro amore per una
vanità, una sensualità, un guadagno, una
sicurezza, un odio, una vendetta?». E così, per dirla con Guardini, «abbiamo ben
poche giustificazioni di parlare ancora con
indignazione sul “traditore”, perché Giuda
svela noi stessi».
Tornando sul fatto del suicidio di Giuda — «uno dei cinque di cui si parla nella
Bibbia senza menzionare gli impulsi suicidi che toccano tante donne e tanti uomini» — il predicatore ha puntato sulla questione della motivazione. Più che «disperazione», quel gesto tragico esprime «ri-
morso, pentimento, consapevolezza e confessione del peccato commesso».
Ma c’è un altro punto focale che ci interpella senza sconti, ha affermato padre
Michelini facendo ricorso a I promessi sposi, il cui autore Alessandro Manzoni — ha
detto — «andrebbe persino beatificato,
magari non in senso canonico, per quanto
dice sulla nostra esperienza di vita». Dal
Vangelo «non sappiamo chi è andato a
cercare Giuda» dopo che i sacerdoti lo
avevano cacciato in malo modo «dimenticando di essere pastori». Ma proprio
«l’esperienza dell’Innominato», al capitolo
21 del romanzo di Manzoni, racconta di
«un uomo che fa i conti con i propri gravi
peccati». Fino all’incontro con il cardinale
Federigo Borromeo che gli chiede perdono per non essere andato prima a incontrarlo. «La Chiesa, come ci insegna Papa
Francesco, deve andare sempre incontro al
peccatore» ha rilanciato padre Michelini.
E così Giuda, in quelle ore terribili, «ha
certamente incontrato la parte peggiore di
sé, il suo errore e l’avversario, il nemico,
tanto che si è tolto la vita».
Proprio in questa prospettiva, ha aggiunto, «è importante che la Chiesa scenda in strada per andare incontro a chi è
nel peccato, sia presente nelle carceri e nei
luoghi dove c’è quello che non si vorrebbe
vedere», pub e discoteche comprese dove,
ha confidato, alcuni confratelli vanno a
ballare per evangelizzare «e io, da professore, simpaticamente li prendo in giro».
Dal vangelo di Matteo, è l’indicazione del
religioso, viene anche il suggerimento di
saper «fare i conti con i propri problemi e
scandali, senza nascondere nulla». Tanto
che l’evangelista non evita di mettere per
iscritto che tra gli antenati di Gesù c’è
una prostituta.
Nel pomeriggio di martedì 7 il predicatore, nella quarta meditazione, aveva proposto una riflessione «sulla preghiera di
Gesù e il suo arresto al Getsemani» (Matteo 26, 36-56). E ha suggerito di andare
con il proprio cuore proprio al Getsèmani
per assistere alla «tristezza» e all’«angoscia» di Gesù, chiedendosi come porsi davanti all’«angoscia del nostro prossimo»,
se si è in grado di tenere «gli occhi aperti» e pregare oppure se si cede alla tentazione del sonno. Un’altra questione da
porre, poi, è anche «se posso comprendere la volontà buona di Dio come vera per
me e per il mondo oppure se ho un’idea
imperfetta di questa sua volontà, come
quella di un “capriccio”, tipica degli atteggiamenti dei pagani».
Ed è importante verificare pure, ha insistito il predicatore, «se mi rendo conto di
quanto sia importante quella che potremmo chiamare la versatilità del Padre di
Gesù Cristo: la sua volontà di salvezza è
certo ferma — come diceva Guardini — ma
la forma in cui essa di realizza, questa è
condizionata». E così «l’onnipotenza di
Dio si ferma davanti alla libertà della sua
creatura e poi se Dio può cambiare idea,
addirittura, stando al libro di Giona (3,
10), può pentirsi, proprio come si convertiranno gli abitanti di Ninive, se anche
Dio si converte, come può la sua Chiesa
non cambiare, come possiamo noi stare
fissi nelle nostre rigidità?».
Per la sua meditazione padre Michelini
è partito da un confronto tra la preghiera
di Gesù sul monte degli Ulivi e quella sul
Tabor. Le due situazioni, ha spiegato,
hanno somiglianze impressionanti e «la situazione esistenziale» di Gesù è provata:
nel primo caso, perché Pietro e gli altri
non hanno compreso il senso del suo pri-
di ANGELO AMATO
Non è anacronistico parlare di martiri ai
nostri giorni. Gli eventi drammatici del secolo scorso e di questo inizio secolo confermano il significato profondo di martirio,
che è professione di fede, che accompagna
sempre la Chiesa di Cristo nella storia. Afferma a ragione monsignor Virgil Bercea,
vescovo della diocesi greco-cattolica di
Oradea: «Come in ogni persecuzione fatta
da un gruppo di uomini contro i propri simili, il male e la sofferenza provati — a
prescindere alla loro motivazione ideologica — sono grotteschi, incomprensibili e
contro i valori umani». È la cosiddetta banalità del male. È infatti senza alcuna giustificazione razionale la ferocia diabolica
dei persecutori.
Il sacerdote polacco Jerzy Popiełuszko
È questa l’impressione che si ricava dalla
lettura di questo secondo volume, della trilogia curata da Jan Mikrut, e dedicata alla
Chiesa cattolica e il comunismo. In particolare questo secondo libro è dedicato alle
figure di cristiani, per lo più sconosciuti,
che si sono opposti ai sistemi totalitari europei del secolo scorso. Sono cristiani dalla
fede profonda e dai gesti coraggiosi, prodigiosa riproposizione del comportamento
dei primi martiri del cristianesimo.
La Chiesa non dimentica questi suoi figli coraggiosi e molti di essi sono stati elevati agli onori degli altari. Mi soffermo solo su quei martiri beatificati nel periodo
2008-2017 che appartengono a quei paesi
europei che soffrirono la dittatura nazista e
José Ferraz de Almeida Júnior, «Il rimorso di Giuda» (1880)
mo annuncio di dover morire a Gerusalemme; nel secondo perché ha appena annunciato che qualcuno l’avrebbe consegnato. Ma in tutte e due i momenti, ha
fatto presente il predicatore, i discepoli
non capiscono quanto sta accadendo.
Una discriminante, però, separa le due
scene: sul Tabor c’è la voce del Padre che
consola il Figlio; al Getsemani, invece —
tranne che per la versione di Luca per cui
Gesù è rafforzato nella lotta da un angelo
— non si sente nessuna voce. È Gesù invece, ha spiegato padre Michelini, che si rivolge al Padre, «accogliendo che sia fatta
la sua santa volontà di bene». Questa volontà originaria non vuole la morte del Figlio, ma la sua salvezza, come ebbe a scrivere sempre Guardini ne Il Signore: «Gesù
era venuto per redimere il suo popolo e,
in esso, il mondo. Ciò doveva compiersi
attraverso la dedizione della fede e
dell’amore; ma essa venne meno. Tuttavia,
rimase il mandato del Padre, ma esso mutò di forma». E anche la parabola dei vignaioli omicidi, ha spiegato il predicatore,
ci presenta «un padre che invia il figlio»,
sicuro che verrà rispettato. Ma l’annuncio
e la persona di Gesù non vengono accolti
e il regno passerà dunque in un altro modo: quello che Gesù, al Getsèmani, è chiamato ad accettare. In proposito, il predicatore ha parlato della «teologica del piano B»: «Anche di fronte al rifiuto del suo
popolo, che Gesù non poteva mettere in
conto fin dall’inizio, egli non si ferma e
accetta l’ “altro piano”, accettando il suo
sacrificio». E Gesù, ha messo in evidenza
il religioso, esorta ancora i suoi discepoli
— come ha fatto egli stesso nel Getsèmani,
mettendo in pratica lo Shemà, la preghiera
di Israele — ad amare «Dio con tutto il
cuore, le forze e fino a dare la vita». E
questa non è certo teoria, ma realtà da vivere giorno per giorno.
Martiri di oggi
comunista. Non si prendono in considerazione i martiri di altri paesi europei — ad
esempio le migliaia di martiri spagnoli — o
extraeuropei, numerosissimi anch’essi.
Li elenchiamo secondo la data di celebrazione della loro beatificazione:
Francesco Giovanni Bonifacio, trentaquattrenne sacerdote della diocesi di Trieste — nato nell’odierna Slovenia — martirizzato nel 1946. Torturato e gettato nelle foibe, è stato beatificato a Trieste il 4 ottobre
2008. Nel volume che stiamo presentando
viene chiamato «Il primo martire delle foibe».
Zoltán Lajos Meszlényi, vescovo ausiliare di Esztergom in Ungheria, martire, morto in campo di concentramento nel 1951.
Beatificato il 31 ottobre 2009 a Esztergom.
Jerzy Popiełuszko, sacerdote della diocesi di Warszawa, martire, assassinato dal regime comunista nel 1984. Torturato brutalmente e incaprettato, fu abbandonato nella
Vistola, forse ancora vivo. Beatificato a
Varsavia il 6 giugno 2010 alla presenza
dell’anziana mamma. Il museo a lui dedicato mostra la ferocia inaudita dei suoi carnefici, non uomini ma infernali incarnazioni del male.
Il giovane diciannovenne sloveno Lojze
Grozde, martire, torturato e ucciso solo
perché cattolico. Beatificato a Celje in Slovenia il 13 giugno 2010. Le sue uniche armi
erano la corona del rosario e il vangelo.
Gerhard Hirschfelder, sacerdote appartenente al primo gruppo del movimento di
Schönstatt, morto martire nel campo di
concentramento di Dachau a 35 anni. È
stato beatificato il 19 settembre 2010 a
Münster, in Germania.
Szilárd Ignác Bogdánffy, vescovo ausiliare e martire. Arrestato nel 1949, fu prima
destinato ai lavori forzati in una miniera di
piombo, quindi in un campo di sterminio
presso il Mar Nero, dove morì il 2 ottobre
1953. È stato beatificato il 30 ottobre 2010 a
Oradea Mare, in Romania. Il tributo dei
romeni alla testimonianza del vangelo è
stato straordinario.
Georg Hafner, sacerdote della diocesi di
Würzburg, martire, morto nel campo di
concentramento di Dachau. Beatificato il
15 maggio 2011 a Würzburg.
Alois Andritzki, sacerdote della diocesi
di Dresda, martire. Morto a 29 anni nel
campo di concentramento di Dachau. È
stato beatificato il 13 giugno 2011 a Dresda.
Johannes Prassek, Eduard Müller e Hermann Lange, chiamati i “martiri di Lübeck”, decapitati dai nazisti nel 1943. Insieme a loro fu ucciso anche il pastore protestante Karl Friedrich Stellbrink. La beatificazione di questi tre cappellani cristiani ha
avuto luogo a Lübeck il 25 giugno 2011.
Alla fine della celebrazione il vescovo luterano di Amburgo, invitato al rito con molti
Anton Durcovic, vescovo di Iaşi in Romania, martire, ucciso nel 1951 nel famigerato carcere di Sighet (Bucarest) e beatificato a Iaşi il 17 maggio 2014.
Engelmar Unzeitig, sacerdote tedesco
dei missionari di Mariannhill, morto martire a Dachau nel 1945 e beatificato a Würzburg il 24 settempre 2016.
Vincenzo Prennushi, arcivescovo di Durazzo e 37 compagni martiri, uccisi in odio
alla fede all’epoca dello spietato regime comunista albanese. In questo gruppo ci so-
suoi fedeli, tessé il panegirico del cappellano Stellbrink. Si può dire che sia stata una
beatificazione ecumenica.
Janos Scheffler, romeno, vescovo di Satu
Mare, martire, morto nel famigerato carcere sotterraneo di Jilava il 6 dicembre 1952.
Beatificato a Satu Mare il 3 luglio 2011.
Maria Giulia Ivaniševic e quattro consorelle, suore professe dell’Istituto delle figlie
della divina Carità, martirizzate nel 1941 in
Bosnia Erzegovina e beatificate a Sarajevo il 24 settembre 2011. In un paese a stragrande maggioranza musulmana, la beatificazione vide
un’affluenza straordinaria di
gente commossa ed edificata.
Carl Lampert, sacerdote
Nel pomeriggio di mercoledì 8 marzo, alla
diocesano austriaco, martire,
Pontificia università Gregoriana, si svolge un
decapitato dai nazisti nel
incontro dedicato al libro Testimoni della fede
1944. Beatificato a Dornbirn,
(Gabrielli editori), presentato sull’O sservatore
Austria, il 13 novembre 2011.
Romano del 6-7 marzo. Alla conversazione,
Odoardo Focherini, italiaguidata dal decano della facoltà di Storia e beni
no, laico, padre di famiglia
culturali della Chiesa, Marek Inglot,
martirizzato nel 1944 nel
partecipano, oltre al curatore del volume, il
campo di concentramento di
rettore dell’università, Nuno da Silva
Hersbruck. È stato beatificaGonçalves, il vescovo Tomo Vukšić, ordinario
to il 15 giugno 2013 a Carpi
militare per la Bosnia ed Erzegovina, e il
in Italia. Il beato Focherini
cardinale prefetto della Congregazione delle
fu assistito fino all’ultimo
cause dei santi, del cui intervento anticipiamo
dal venerabile Teresio Oliampi stralci.
velli, morto anch’egli a Her-
Alla Gregoriana
sbruck il 17 gennaio 1945, in
seguito alle percosse letali ricevute da un kapò. Il suo
delitto? Aver cercato di fare
scudo con il proprio corpo a un giovane
prigioniero ucraino che veniva brutalmente
pestato.
Vladimir Ghika, sacerdote diocesano romeno, martire (1946), beatificato a Bucarest il 31 agosto 2013. Apparteneva a una
famiglia nobile ed era diplomatico. E come
tale avrebbe potuto salvarsi espatriando.
Non lo fece, perché voleva aiutare i suoi
compatrioti a resistere saldi nella fede.
Miroslav Bulešič, giovane sacerdote diocesano croato, martirizzato nel 1947 e beatificato a Pola il 28 settembre 2013. Fu diligente studente di filosofia e teologia in
questa università.
Il quattordicenne seminarista italiano
Rolando Rivi, ucciso in odio alla fede nel
1945 da partigiani comunisti e beatificato a
Modena il 5 ottobre 2013. Venne ucciso
perché non volle svestirsi della tonaca sacerdotale, a quel tempo indossata anche
dai piccoli seminaristi.
Stefan Sàndor, salesiano ungherese, martirizzato nel 1953 e beatificato a Budapest
il 19 ottobre 2013.
Giuseppe Girotti, domenicano italiano,
morto martire a Dachau nel 1945 e beatificato ad Alba (Italia) il 26 aprile 2014.
no 21 sacerdoti diocesani, 7 francescani, 3
gesuiti, un seminarista e 4 laici, tra i quali
una aspirante alla vita consacrata. Sono
stati beatificati il 5 novembre 2016 a Scutari. La descrizione delle loro sofferenze e
torture è uno spaventoso e diabolico lessico di malvagità, creato dal principe del
male.
Aggiungiamo che in questi ultimi mesi
sono stati autorizzati da Papa Francesco i
decreti sul martirio dei seguenti servi di
D io:
Joseph Mayr Nusser, italiano altoatesino, laico, martirizzato nel 1945, perché si
rifiutò di fare il giuramento di fedeltà al
Führer. Sarà beatificato il 18 marzo prossimo a Bolzano. È noto il suo “No” aperto e
sincero al nazismo.
Teofilo Matulionis, arcivescovo-vescovo
di Kaisiadoris in Lituania, ucciso in odio
alla fede il 20 agosto 1962. Sarà beatificato
il 25 giugno prossimo a Vilnius, in Lituania.
Tito Zeman, sacerdote salesiano slovacco, ucciso in odio alla fede l’8 gennaio
1969, la cui beatificazione è prevista per il
30 settembre prossimo a Bratislava.