Consiglio di Stato - Sez. V - Sentenza 15 febbraio 2016
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Consiglio di Stato - Sez. V - Sentenza 15 febbraio 2016
Consiglio di Stato - Sez. V - Sentenza 15 febbraio 2016, n. 628 - Pres. Maruoti, Est. Gaviano Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato torna d occuparsi della questione concernente l’ambito di rilevanza dell’art. 114, co. 6, c.p.a., a tenore del quale “il giudice conosce di tutte le questioni relative alla esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario” In particolare, i giudici di Palazzo Spada hanno chiarito che tra tutti gli atti adottati dal commissario ad acta in sede di ottemperanza occorre distinguere: a) da un lato, quelli espressione in concreto dell’effettivo esercizio di un potere decisionale; b) dall’altro lato, quelli in relazione ai quali il commissario riveste un ruolo meramente istruttorio e preparatorio rispetto alla successiva esecuzione del giudicato, destinata a sostanziarsi nell’adozione di provvedimenti discrezionali delle autorità amministrative competenti. Orbene, mentre i primi sono reclinabili innanzi al giudice dell’ottemperanza ai sensi dell’art. 114, co. 6, c.p.a., i secondi, in ragione della regola di cui all’art. 34, co. 2, c.p.a. (“in nessun caso il giudice può pronunciare su poteri amministrativi non ancora esercitati”), non sono reclinabili, non potendo il ga pronunciarsi con statuizioni che incidano sull’esercizio di poteri istituzionali di cui è titolare l’autorità competente all’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento. Pertanto, solo quest’ultimo è contestabile dalle parti interessate, secondo le regole generali. Dunque, alla luce delle suesposte ragioni, i giudici della quinta sezione del Consiglio di Stato, anche al fine di evitare una inutile duplicazione di attività processuale, concludono per l’inammissibilità del reclamo avverso l’atto endoprocedimentale del commissario ad acta, adottato in sede di ottemperanza. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6835 del 2015, proposto dalla s.r.l. Coprem, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giancarlo Tanzarella e Giovanni Corbyons, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni Corbyons in Roma, Via Cicerone 44; contro la Regione Lombardia, in persona del Presidente pro tempore (Direzione Generale dell'Area ambiente, energia e reti; Unità organizzativa attività estrattive e di bonifica), rappresentata e difesa dall'avvocato Marco Cederle, con domicilio eletto presso il signor Cristiano Bosin in Roma, viale delle Milizie, n. 34; nei confronti di la Provincia di Bergamo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Bortolo Luigi Pasinelli, Giorgio Vavassori, Katia Nava e Alessio Petretti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alessio Petretti in Roma, via degli Scipioni, n. 268/A; le associazioni Wwf Italia Ong - Onlus, Italia Nostra Onluse Legambiente Onlus, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore; la s.r.l. Cretti Industria Marmi Graniti, la s.n.c. Toninelli Pietro & C., la s.n.c. Cossali Rocco, la s.a.s. Isc di Sonzogni Fabio & C., la s.r.l. Enzo Pesenti, la s.p.a. Italcementi, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore; la s.p.a. Impresa F.lli Rota Nodari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Manzi e Claudio Zanetti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Andrea Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5; per la riforma dell'ordinanza del T.A.R. Lombardia – Sezione di Brescia, Sez. II, n. 746/2015, resa tra le parti, concernente un reclamo in relazione alla corretta esecuzione della sentenza n. 1927/2012 dello stesso T.A.R.. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lombardia, della Provincia di Bergamo e della s.p.a. Impresa F.lli Rota Nodari; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella Camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2015 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti l’avvocato Giancarlo Tanzarella, l’avvocato Giovanni Corbyons, l’avvocato Andrea Reggio D'Aci, in dichiarata delega dell'avvocato Andrea Manzi, l’avvocato Alessio Petretti e l’avvocato Cristiano Bosini, in dichiarata delega dell'avvocato Marco Cederle; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 Il T.A.R. per la Lombardia – Sezione di Brescia con la sentenza 10 dicembre 2012, n. 1927, in accoglimento del ricorso proposto dalla WWF Italia Ong – Onlus e di altre associazioni, annullava l’approvazione da parte del Consiglio regionale della Lombardia, nell’anno 2008, del Piano Cave della Provincia di Bergamo, rilevando essenzialmente che – in violazione del decreto legislativo n. 152 del 2006 – non vi era stata la previa approvazione della valutazione ambientale strategica, . 2 In seguito l’Amministrazione Provinciale di Bergamo proponeva ricorso allo stesso Tribunale amministrativo per ottenere l’esecuzione di tale sentenza, in pendenza dell’appello regionale proposto contro di essa. Il Tribunale amministrativo, con la sentenza 25 giugno 2013, n. 611, accoglieva il ricorso d’ottemperanza, nominando dirigenti regionali quali commissari ad acta. Questi ultimi - nel corso dell’espletamento del loro mandato - chiedevano indi chiarimenti, che il Tribunale rendeva con l’ordinanza n. 953 del 2014. 3 I comissari ad acta in data 23 dicembre 2014 formulavano al Consiglio Regionale una proposta avente per oggetto il contenuto di un nuovo Piano Cave provinciale. Avverso tale proposta, la s.p.a. Impresa F.lli Rota Nodari e la s.r.l. Coprem proponevano al T.A.R. un reclamoex art. 114 comma 6 del codice del processo amministrativo. In sintesi, le reclamanti deducevano la violazione da parte dei commissari delle statuizioni del T.A.R., sotto il profilo che la sentenza n. 1927/2012 avrebbe richiesto solo un vaglio di compatibilità dello stesso Piano annullato (previa la rimozione dei vizi rilevati) con gli interessi ambientali coinvolti, mentre invece i commissariad acta avrebbero elaborato ‘in difetto assoluto di potere’ un Piano Cave del tutto nuovo, ingerendosi indebitamente nella valutazione del fabbisogno del materiale di scavo, e più ampiamente in scelte riservate agli organi titolari della potestà pianificatoria, laddove nemmeno l’attivazione della VAS avrebbe consentito l’esercizio ulteriore di poteri discrezionali, con modifica di scelte già compiute nella fase iniziale di adozione del Piano. In altre parole, i commissari ad acta avrebbero dovuto reputare ‘cristallizzati’ i quantitativi consentiti di scavi già determinati dalla proposta provinciale, di cui non era stato a suo tempo disposto l’annullamento in sede giurisdizionale, e dalla seguente deliberazione del Consiglio regionale del 14 maggio 2008, salva la loro sola sottoposizione alla valutazione ambientale. 4 I reclami delle due società venivano respinti con l’ordinanza del Tribunale 25 maggio 2015, n. 746, la quale affermava che ai commissari ad acta non fosse precluso di adeguare le precedenti previsioni di fabbisogno di materiale alla realtà attuale. 5 Avverso tale ordinanza la soc. Coprem esperiva l’appello all’esame della Sezione, riproponendo le proprie doglianze e sottoponendo a critica gli argomenti con i quali queste erano state disattese dal primo Giudice. Resistevano all’appello la Provincia di Bergamo e la Regione Lombardia, che ne eccepivano l’inammissibilità sotto più profili e comunque l’infondatezza. L’appellante con successiva memoria replicava alle eccezioni delle due Amministrazioni, insistendo per l’accoglimento del proprio gravame. Si costituiva adesivamente all’appello la s.p.a. Impresa F.lli Rota Nodari, che parimenti concludeva per il suo accoglimento. 6 Nelle more, questa Sezione con la sentenza 28 luglio 2015, n. 3726, dichiarava improcedibile l’appello proposto dalla Regione Lombardia contro la sentenza del T.A.R. n. 1927 del 2012. 7 Infine, il Consiglio regionale - con la deliberazione del 29 settembre 2015 (pubblicata nel B.U.R. del successivo 16 ottobre 2015) - approvava il nuovo Piano Cave, così come proposto dai commissari ad acta. Alla camera di consiglio del 10 dicembre 2015, dopo la discussione l’appello è stato trattenuto in decisione. 8 Valutate le eccezioni formulate nel presente grado del giudizio, osserva il Collegio che il reclamo proposto avverso l’operato commissariale risulta inammissibile, con le conseguenze logiche che ne derivano sul presente appello. Non sussistono preclusioni processuali in ordine ad una tale statuizione di inammissibilità. Si versa qui in presenza di una fase processuale attivata in primo grado con le forme di un ‘reclamo’ concernente la legittimità o meno dell’attività svolta dai commissari ad acta, nominati in sede di esecuzione della sentenza n. 1927 del 2012, sulle cui statuizioni medio tempore si è formato il giudicato. Il Collegio è titolare dunque dei poteri tipici della giurisdizione di merito, e ben può decidere in ordine al reclamo formulato in primo grado applicando le regole processuali conseguenti alla determinazione della natura dell’atto contestato col medesimo reclamo. 8a Tanto premesso, il Collegio deve rilevare che l’attività dei commissari ad acta - che ha formato oggetto di reclamo -costituiva essenzialmente un’attività preparatoria e servente rispetto all’approvazione regionale del nuovo Piano Cave, che è poi stata disposta con la delibera del consiglio regionale del 29 settembre 2015, sopra richiamata. In particolare, la proposta del 23 dicembre 2014 – avente per oggetto il contenuto del nuovo Piano Cave provinciale - per sua natura intrinseca costituiva un atto privo di effetti giuridici e materiali suoi propri, come tali suscettibili ex se di arrecare lesione, avendo esso valenza meramente propulsiva ed endoprocedimentale rispetto all’attività amministrativa successiva, intesa a dare compiuto seguito al giudicato. 8b Tanto premesso, il Collegio ritiene che il reclamo disciplinato dall’art. 114, comma 6, del c.p.a. possa essere giudicato esperibile quando il commissario ad acta debba esercitare in concreto un effettivo potere decisionale. Quando invece il commissario ad acta, come è avvenuto nella specie, abbia esercitato un ruolo solo istruttorio e preparatorio rispetto a un’esecuzione del giudicato destinata a sostanziarsi in successivi provvedimenti discrezionali di competenza delle autorità amministrative, le contestazioni delle parti interessate devono in tal caso essere proposte, secondo le regole generali, in sede di impugnazione dell’atto conclusivo del procedimento (nella specie, del provvedimento di approvazione del Piano Cave nel frattempo emanato dalla Regione Lombardia). 8c In primo luogo, infatti, in sede di decisione del reclamo proposto contro l’atto infraprocedimentale, oggetto della proposta del commissario ad acta, il giudice amministrativo non potrebbe emettere statuizioni che incidano sull’esercizio dei poteri istituzionali di cui è titolare l’autorità competente all’emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento. Sotto tale aspetto, oltre ai principi desumibili dallo stesso art. 114 del c,p.a., rileva il principio di carattere generale previsto dall’art. 34, comma 2, del c.p.a., (per il quale «in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati»), principio che trova deroga alloquando si tratta di dare esecuzione a giudicati che precludano l’esercizio di poteri discrezionali, ma non anche quando proprio il giudicato – come nella specie – abbia fatto salvo l’ulteriore esercizio dei poteri discrezionali non esercitati dalla Regione Lombardia. 8d In secondo luogo, una volta emesso il provvedimento conclusivo del procedimento, adottato su proposta del commissario ad acta, si deve ritenere sussistente un onere di impugnazione del medesimo provvedimento in capo a chi ne sia stato leso: tale onere non è stato escluso dall’art. 114, comma 6, del c.p.a. 8e Le questioni concernenti la legittimità dell’atto conclusivo del procedimento - nella specie, la delibera del consiglio della Regione Lombardia del 29 settembre 2015 – potranno allora essere vagliate nelle sedi appropriate (cfr. C.d.S., Ad.Pl, n. 2 del 2013) in ogni loro aspetto, senza limitazione di mezzi esperibili, e perciò anche scrutinando doglianze relative agli aspetti contenutistici della delibera finale concernenti il recepimento delle proposte dei commissari ad acta. E questo senza ricevere condizionamento dall’esito di reclami proposti contro gli atti endoprocedimentali emanati dal commissario ad acta, che – così come il giudicato cui si deve dare attuazione - di per sé non hanno delimitato la pienezza dei poteri discrezionali devoluti all’autorità competente ad emanare il medesimo atto conclusivo del procedimento. In questo quadro, pertanto, il parallelo svolgimento di un distinto contenzioso – sorto col reclamo incentrato specificamente sullo scrutinio dell’attività commissariale – risulta conclusivamente qualificabile come una duplicazione processuale, priva di autonoma utilità. 9 Per le ragioni esposte s’impone, quindi, la conseguente declaratoria d’inammissibilità del reclamo formulato in primo grado, con l’annullamento dell’ordinanza impugnata. Le spese processuali del doppio grado di giudizio possono senz’altro essere compensate tra tutte le parti in causa. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe n. 6835 del 2015 e in riforma della ordinanza impugnata, dichiara inammissibile il reclamo proposto in primo grado. Compensa tra le parti in causa le spese processuali del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2015 con l'intervento dei magistrati: Luigi Maruotti, Presidente Vito Poli, Consigliere Carlo Saltelli, Consigliere Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore