nata donna
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1 INDICE 2 Introduzione p.3 CAPITOLO I La donna nel periodo precedente al regime p.6 1.1 L’assistenza medica della madre e del bambino nelle campagne p.12 1.2 L’assistenza medica della madre e del bambino nei centri urbani p.14 CAPITOLO II La donna nella società durante la dittatura p.18 2.1 Lavoro e Istruzione p.20 2.2 La Famiglia p.27 2.3 La Sessualità p.29 CAPITOLO III Essere madre di almeno quattro figli p.33 3.1 Il Divorzio p.36 3.2 L’Aborto terapeutico p.38 3.3 Provvedimenti penali rivolti agli operatori sanitari p.39 3.4 Politiche stimolative e restrittive p.41 3.5 Il ruolo della propaganda p.47 3.6 La distorsione della realtà p.50 CAPITOLO IV Le conseguenze di una politicizzazione della procreazione p.55 4.1 Conseguenze sociali della politica limitativa p.57 4.2 La mortalità materna p.61 4.3 Il fenomeno dell’abbandono minorile p.65 4.4 La mortalità infantile p.69 CAPITOLO V 3 La maternità: croce e delizia del genere femminile p.71 CONCLUSIONI p.75 TABELLE E GRAFICI p.76 Bibliografia p.99 4 INTRODUZIONE In questo lavoro si è cercato di delineare, quanto meglio possibile, la condizione delle donne nel periodo che va dal 1967 al 1989 in Romania, ossia sotto la dittatura di Nicolae Ceaucescu, mettendo a fuoco, in particolare, gli effetti di una politica pro-natalista, tanto aggressiva quanto inutile, che, col senno di poi e con i dati alla mano, andò a colpire quasi tutti gli aspetti della vita quotidiana femminile rendendola decisamente difficile da affrontare. Il primo capitolo offre uno spaccato della società romena degli anni precedenti alla seconda guerra mondiale e di poco successivi, così da offrire un raffronto, in base a statistiche e documenti pervenutici, tra la situazione sulla quale si impianta il nuovo regime e ciò che successivamente avvenne. Nei seguenti capitoli invece vi sono approfondimenti sulla vita della donna nei vari ambiti della vita sociale durante la dittatura di Ceaucescu. Le donne romene hanno vissuto per ventitré anni in una situazione molto particolare a causa di scelte governative rigidamente applicate in materia di controllo e pianificazione della natalità. Esempi possono essere il divieto di importazione di contraccettivi, la legge 770 del 1966 con la quale l’aborto divenne illegale o la tassazione di coppie senza figli. In questo lavoro si analizzano le politiche comuniste volte a tenere sotto stretto controllo il corpo femminile e, dunque, ogni cosa che ne deriva, dal 5 momento che perdere o essere privati di tale controllo significava contribuire alla distruzione della società comunista. Una delle prime iniziative intraprese dal regime di Ceaucescu era di garantire che il corpo femminile fosse di proprietà dello stato e che nessuno – nemmeno coloro ai quali questo corpo apparteneva di diritto – potesse privarlo di tale controllo. Simona Popescu, poetessa e docente della facoltà di lettere dell’università di Bucarest, nel racconto intitolato “HoRor! Cool!”, che fa parte del libro “Compagne di viaggio”, descrive il corpo femminile in questo modo: “Sì, esiste una cosa chiamata il corpo comunista! E’ schiavo. Le sue labbra pronunciano spesso la parola ‘Grazie’ o ‘Scusi’. E’ indecentemente indecente. Si vergogna di parlare. Di distinguerci dagli altri. Di ballare come vuole. Tiene lo sguardo basso. E’ titubante se ridere o no. Odia i propri vestiti. E la propria nudità. Non sa cosa fare della sua giovinezza”1. Due sono gli scopi del corpo femminile all’interno della società comunista romena: la procreazione e il lavoro. La riproduzione era un obbligo morale ed un servizio dovuto allo stato. Il corpo era soltanto un mezzo per giungere ad uno scopo e l’esito di quello scopo era ciò che realmente interessava allo stato. 1 S. Popescu, HoRor! Cool! (Compagne di viaggio), Sandro Teti Editore, 2011, p.196. 6 7 PRIMO CAPITOLO LA DONNA NEL PERIODO PRECEDENTE AL REGIME All’inizio del ventesimo secolo, la Romania era considerata uno dei Paesi meno sviluppati in Europa. A quel tempo circa l’80% della popolazione viveva in aree rurali: ricordiamo che da fine Ottocento i contadini gestivano circa i due terzi delle proprietà terriere, ma di solito si trattava dei terreni più poveri e troppo piccoli per poter soddisfare le necessità familiari2. In questo paese la situazione delle donne, delle madri e dei bambini fu particolarmente dura, sopratutto nell’ambito lavoratativo, oppresse tra gli opressi, venivano sfruttate e sottopagate rispetto ai colleghi uomini ( un po’ come nel resto del mondo). Nel 1929 fu concesso alle donne il diritto di eleggere i membri degli enti locali e nel 1946, contemporaneamente a quanto accadde in Serbia, Montenegro e Macedonia, le donne ottennero il pieno diritto di voto; tuttavia questo diritto restò in parte inapplicato, dal momento che era obbligatorio per le votanti possedere un livello minimo di istruzione e la maggioranza di esse era completamente analfabeta3 (anche se la differenza culturale fra uomini e donne non era poi così marcata). Dai dati in nostro possesso, nel 1938 – 1939, 2 W. E. Moore , Economic Demography of Eastern and Southern Europe, New York Times Company, New York, 1972, p. 239. 3 La Mère et l’Enfant dans la Republique Populaire Roumaine, a cura del Consiglio nazionale delle donne della Repubblica popolare romena, Fondazione Basso, 1958, p.5. 8 le donne risultano costituire il 41,2% del totale degli studenti di istituti secondari, ed il 25,9% del totale degli studenti universitari4. Prima del 1944, in Romania vigeva un sistema discriminatorio in cui le donne ed i bambini erano, ancor più rispetto agli uomini, oggetto di sfruttamento. Prova ne è il fatto che le lavoratrici percepivano un salario del 40–50% inferiore rispetto a quello dei colleghi uomini5. Inoltre, i risultati ufficiali del censimento del 1930 dimostrano che i salari delle donne rappresentavano non più del 20–40% del totale. Il lavoro notturno delle donne e dei bambini non fu mai limitato da alcuna legge, come invece accadde in seguito sotto la pressione dell’opinione pubblica, così come non vi fu mai nessun tipo di tutela nella regolamentazione degli orari di lavoro diurni: tutto dipendeva dalle esigenze produttive dei dirigenti. Le norme promulgate nel 1891 in materia di limiti di orario lavorativo stabilivano il divieto per i bambini di meno di 9 anni di lavorare oltre le 14 ore al giorno, anche se di fatto, esistono molti documenti riguardanti il lavoro infantile che testimoniano come spesso bambini dai 10 ai 12 anni lavorassero fino a sedici ore al giorno per una paga misera. 4 G. Kligman, The Politics of Duplicity controlling Reproduction in Ceaucescu’s Roman, University of California Press, Berkeley 94720, 1998, p.26. 5 La mere… cit., p.5. 9 In un rapporto redatto dal ministero della Sanità nel 1930 si legge che “le attività dei lavoratori iniziano alle 5 del mattino e terminano alle 15, nelle fabbriche sono ammessi anche i bambini dai 9 anni in su ”6. Nelle imprese tessili, ma anche nel settore metallurgico e in quello di produzione di beni primari, le donne lavoravano tanto di notte quanto di giorno e, nonostante il surplus di ore lavorative, da come emerge da un altro report ufficiale del 1940 “il lavoro notturno, frequente per le donne, non è retribuito maggiormente rispetto al lavoro di giorno” . In nessuna di queste aziende vi erano spazi adibiti alla cura dei figli, sale nido, culle che avrebbero potuto permettere alle madri, già sovracaricate da ore di lavoro estenuanti anche di occuparsi dei figli più piccoli. In quegli anni bui c’erano pochissimi asili nido in tutto il Paese. Queste condizioni causarono a molte lavoratrici vere e proprie tragedie familiari una volta finito il turno di lavoro e rientrate a casa. Infatti, i figli lasciati incustoditi spesso venivano ritrovati feriti o addirittura morti, vittime di incidenti casalinghi; tragedie giornaliere e silenziose riempivano il già pesante fardello delle donne lavoratrici. In questa situazione di inferiorità e di privazione di diritti la donna non poteva esercitare i propri diritti e doveri di madre neanche dopo la morte del pater familias7. 6 7 La mère…cit., p.6. Ivi, p.7. 10 Sul fronte della tutela della salute della madre e del bambino la situazione non era migliore e a tal proposito disponiamo di molte testimonianze date da figure molto rappresentative della medicina rumena, testimonianze che risultano impressionanti per la loro precisione. Per esempio Marinescu, un famoso neurologo rumeno, nel discorso tenuto presso l’Accademia di medicina nel 1906 disse: “Non è doloroso pensare che l’allevamento di pollame o di altri animali domestici è gestito in modo più razionale che la cura dei figli? La mortalità dei nostri figli è del 3%, quella dei suinetti e vitellini sale al 4%. Senza essere un visionario né un utopico credo fermamente che verrà un giorno in cui la morte spazzerà via migliaia di altri bambini, vittime della nostra ignoranza e dell’attuale organizzazione sociale”8. Nel 1907 il grande studioso rumeno Victor Babeş ha scritto: “ Il fatto che nel nostro Paese, e specialmente nelle campagne, i nostri bambini stanno morendo a centinaia di migliaia durante il loro primo anno di vita è dovuto solo alla nostra ignoranza e alla indegna mancanza di cura. E’ inutile che il tasso di natalità sia alto tra i nostri contadini, dal momento che la metà dei bambini muoiono durante i primi mesi e mi sorprende che l’altra metà sopravviva”9. 8 9 Ivi, p.9. Ivi, p.8. 11 Infatti un numero molto esiguo di neonati poteva essere allattato al seno per il tempo necessario e da madri indebolite, malate, denutrite e sfinite dal pesante lavoro. Molte di loro non avevano abbastanza latte per nutrire i propri figli. Spesso, a causa di tali mancanze, si sopperiva nell’alimentazione dei neonati con latte di scarsa qualità, polenta, cavoli e altri cibi poveri a livello nutritivo10 . Ricordiamo che il numero di istituzioni per la tutela della salute della madre e dei bambini erano ben lungi dal soddisfare le esigenze dei più. In un rapporto elaborato per la direzione del ministero della Salute, relativo alle condizioni di benessere degli anni ’20 e ’21 in Romania, il direttore del Ministero della Salute degli Interni Slatineanu, iniziò un capitolo intitolato “il benessere del bambino” con queste parole: “Sarò breve in questo capitolo, dato che nulla è stato fatto in questa direzione”11 . Nel 1938, la Romania aveva 15 ospedali con reparto maternità per un totale di 2100 posti letto e 91 posti letto per neonati. A queste cifre vanno aggiunte 4 case di cura per bambini e 8 orfanotrofi, con rispettivamente 205 e 920 posti letto. Rispetto alla popolazione totale del Paese a quel tempo, vediamo che c’era un posto letto di ostetricia e ginecologia ogni 8000 abitanti, un posto letto di pediatria ogni 17000 abitanti e una culla ogni 700000 abitanti. Conseguenze di questa situazione furono i risultati dei bollettini statistici del 10 11 Ibidem. Ibidem. 12 tempo: Il numero delle nascite senza assistenza qualificata raggiungeva il 75% e per questo motivo morivano di parto 8000 donne ogni anno e quasi 100000 bambini alla nascita o nei primi anni della loro vita12. Per molto tempo la malaria, la tubercolosi e la sifilide falcidiarono intere masse di popolazione, per non parlare di dissenteria e tifo che infuriavano continuamente. Centinaia di migliaia di donne lavoravano senza sosta fino alla loro morte. Il parto era nella stragrande maggioranza delle volte casalingo e le gestanti spesso venivano assistite da ostetriche improvvisate che non conoscevano nemmeno le più elementari nozioni di igiene. In campagna addirittura molte donne mettevano al mondo i loro bambini lontano da qualsiasi assistenza. La mortalità infantile copriva un terzo del totale complessivo dei decessi. Quasi ogni famiglia di contadini lamentava la perdita di due, tre o più figli. L’occupazione sovietica che seguì la Seconda Guerra Mondiale sfociò nella costituzione di una Repubblica Popolare Comunista nel 1947 e nella abdicazione di Re Michele, che venne mandato in esilio. Negli anni che seguirono la liberazione della Romania, il regime democratico popolare si impegnò molto per quanto riguarda la tutela dei diritti della madre e del bambino. Nel 1948 fu attivata una grande offensiva progettata per combattere le malattie e la mortalità femminile e infantile. Furono create 12 Ivi, p.10. 13 unità sanitarie rurali, aumentarono i numeri di posti letto nei reparti di maternità e di pediatria, furono riorganizzate le “Case del bambino” e si misero in funzione centinaia di asili nido. Affinché si disponesse di un personale medico il più possibile preparato si svilupparono, all’interno dell’università, molti corsi di specializzazione di ginecologia e pediatria. Nacque l’Istituto per la protezione della madre e del bambino, centro scientifico dedicato allo studio dei problemi più importanti legati alla fisiologia dell’infanzia. Risultato di queste misure fu che la mortalità di donne e bambini diminuì vertiginosamente rispetto ai livelli raggiunti e registrati prima della guerra, vale a dire che si passò da un 17,9% nel 1938 ad un 6,9% nel 195813. 1.1 L’ASSISTENZA MEDICA DELLA MADRE E DEL BAMBINO NELLE CAMPAGNE Le cliniche rurali generalmente erano gestite da un medico di medicina generale affiancato da infermieri e ostetriche, solitamente erano divise in quattro sezioni: medicina generale, chirurgia, ostetricia e pediatria. Inoltre vi erano delle succursali sanitarie collettive che permettevano di coprire ulteriormente il territorio. Esami frequenti, visite mensili e settimanali durante 13 Ivi, p.25. 14 le diverse fasi della gravidanza permettevano, qualora ci fossero complicazioni di vario genere, di agire tempestivamente. Negli ultimi mesi inoltre i controlli diventavano molto più frequenti. Alle madri veniva offerto un ciclo di venti o trenta lezioni prima del parto, accompagnate da dimostrazioni pratiche e materiale didattico per prepararle il più possibile ad affrontare le possibili complicanze. Le donne erano quindi affiancate da un’assistenza qualificata. Una volta partorito, le madri avevano l’obbligo di rimanere in clinica per un periodo di tempo che variava dagli otto ai dieci giorni affinché potessero imparare il più possibile sulla nutrizione e la cura dei figli. Tutti i neonati erano obbligatoriamente vaccinati contro la tubercolosi. Le madri che lavoravano nell’ambito dell’agricoltura socialista all’interno delle fattorie collettive potevano usufruire di asili nido o scuole materne gestite da personale sanitario ed educatori, ma anche da volontari locali, organizzazioni femminili e Croce Rossa. Tutti i trattamenti medici e i farmaci erano completamente gratuiti. Se il distretto rurale non era in grado di stabilire una diagnosi o di provvedere ad 15 una emergenza indirizzava i propri pazienti all’ospedale del capoluogo o anche in cliniche accademiche. Il trasporto dei pazienti, di donne incinte, di bambini che vivevano in villaggi sperduti era comunque garantito da un efficiente servizio di ambulanze14. 1.2 L’ASSISTENZA MEDICA DELLA MADRE E DEL BAMBINO NEI CENTRI URBANI Per quanto riguarda il sistema di tutela della salute della madre e del bambino nelle città era ancor meglio organizzato: infatti nacquero i cosiddetti “Ospedali unificati”, ossia i policlinici. Il policlinico, oltre a garantire l’assistenza medica alla popolazione urbana, aveva il compito di dirigere le attività dei centri sanitari rurali. Si trattava di moderne strutture con interni puliti e spaziosi, adeguate sale operatorie, sale adibite alle trasfusioni di sangue e diversi laboratori. Tutti i bambini appartenenti al distretto erano registrati presso il policlinico, ma l’assistenza si allargava anche ai nido e alle scuole, dove era presente personale sanitario in grado di occuparsi di primi interventi, in questo modo fu anche possibile controllare periodicamente la salute dei bambini15. 14 15 Ivi, p.23. Ivi, p. 24 16 Nel dopoguerra il tasso di mortalità infantile scese dal 175,5 ogni 1000 nascite nel 1930 all’81,5 nel 1956. Tuttavia anche il tasso di natalità in questi anni scese rapidamente, raggiungendo livelli minimi16. Ricordiamo che il 25 settembre 1957, col decreto n. 463, l’aborto divenne lecito se effettuato entro il primo trimestre di gravidanza. L’obbiettivo era dare alle donne il diritto di decidere se e quando avere figli e oltretutto scoraggiare il ricorso a operatori non qualificati. Centri per aborti terapeutici furono istituiti in ospedali medi e grandi. Se realizzato al di fuori di queste strutture l’aborto era un reato punibile. Ciò induce a pensare che l’introduzione della legislazione liberale nel 1957 fosse giustificata dalla volontà anche di limitare gli aborti clandestini o in strutture non adeguate. Inoltre nome, età, professione e numero di nascite o aborti precedenti furono registrati approssimativamente controllati, cercando di garantire la privacy delle persone. Molti aborti furono eseguiti in ambulatorio con un tempo di recupero per la paziente di circa due ore. La cifra richiesta per effettuare un aborto era di 30 lei (meno di 2 dollari nel 1957), di cui il medico riceveva la metà. Mediamente in questi centri si effettuavano dieci interruzioni di gravidanza ogni giorno17. Non esistono statistiche ufficiali sugli aborti effettuati in questi anni, però sono disponibili pubblicazioni rumene riassunte da Mehlan; Il tasso di 16 H. P. David e R. J. Mclntyre, Reproductive Behavior Central and Eastern European Experience, Springer Publishing Company, New York, 198, p.178. 17 H. P. David, Family Planning and abortion in the socialist Countries of central and eastern Europe, The population council New York ,New York, 1970, p. 128. 17 aborti indotti per 1000 abitanti è stato del 6,5 nel 1958 e 12,0 nel 1959, collocando la Romania in seconda posizione tra i paesi al mondo, dopo l’Ungheria, per quantità di interruzioni di gravidanza. Il numero di aborti è aumentato notevolmente nel 1960 – 1962, superando addirittura il tasso ungherese, tra l’altro solo l’1% degli aborti furono indotti per ragioni mediche. Tietze ipotizza che il tasso annuo salì a circa 60 per 1000 abitanti nel 1966. Se corretta questa statistica, il tasso stimato per la Romania sarebbe più di tre volte superiore a quello riportato per l’Ungheria. Mehlan ha stimato 401 aborti legali ogni 100 nati vivi nel 1965. Ciò significa che c’erano quattro aborti per ogni nascita, cifre altissime mai registrate in nessun paese18. Durante il decennio successivo alla normativa del 1956 l’interruzione di gravidanza fu ampiamente disponibile a basso costo e garantendo la privacy della donna, con il risultato che divenne un metodo socialmente accettabile per controllare le nascite. Nel frattempo il tasso di natalità diminuì vertiginosamente: si passò da un 24,2 per 1000 abitanti nel 1956 ( anno prima della liberalizzazione ) ad un 14,3 nel 1966. Bisogna ricordare che il modello di vita della popolazione rumena era cambiato notevolmente nel corso del dopoguerra, moltissime persone si trasferirono dalle campagne ai centri urbani, i ritmi di lavoro crebbero sempre di più, e gran parte della popolazione che prima coltivava la terra, andò a 18 H. P.. David e R. J. Mclntyre, Reproductive Behavior…cit., p.179. 18 lavorare in fabbrica. Queste trasformazioni non incisero solo sul numero inferiore delle nascite, incisero anche sull’aumento del numero dei divorzi, soprattutto tra le giovani coppie. Nel 1965 il tasso dei divorzi per 1000 abitanti era del 22% su quello dei matrimoni dello stesso anno19. Poco dopo, nell’ottobre 1966, il Consiglio di Stato presieduto da Ceaucescu, avrebbe bruscamente invertito la politica sull’aborto col decreto n. 770, ma di questo ci occuperemo più avanti. 19 H. P. David e R. J. Mclntyre, Reproductive Behavior…cit., p.181. 19 SECONDO CAPITOLO LA DONNA NELLA SOCIETA’ DURANTE LA DITTATURA. “Le donne rappresentano più del 50% della popolazione del paese; esse godono di piena parità in tutti i campi dell’attività economico – sociale. In tutto ciò che è stato realizzato si rispecchia il lavoro delle donne, così come i problemi che dovremo risolvere in futuro riguardano in eguale misura le donne. Perciò, desidero riferirmi soltanto alla necessità di accordare maggior attenzione a certi problemi riguardanti le condizioni di lavoro per le donne e soprattutto alla loro promozione in varie attività produttive, di partito e di Stato”20. Con queste parole il dittatore rumeno Nicolae Ceaucescu, durante la Conferenza nazionale del partito comunista, volse lo sguardo sulle donne e sulle problematiche da risolvere nella società dell’epoca, uno sguardo che costò molto caro alle destinatarie di questo discorso. Il comunismo romeno – un modello importato, rigido ed immobile – portò alla stagnazione del naturale processo di modernizzazione della società. 20 N. Ceaucescu, Sviluppo economico e democrazia socialista in Romania, Editori Riuniti, Roma, 1977, p.50. 20 Nonostante i diritti formalmente stabiliti per legge (uguaglianza dei diritti delle donne e degli uomini, diritto al voto, diritto all’istruzione), tanto la vita pubblica della Romania comunista, quanto quella privata, anzi soprattutto quest’ultima, mantennero in gran parte i rapporti tradizionali fra i sessi. La promozione delle donne a posizioni di comando veniva fatta in modo strettamente programmatico, a scala ridotta ed in maniera controllata. Non venivano considerati i meriti o il valore reale degli individui, veniva piuttosto premiata l’obbedienza. La presenza delle donne in posizioni di responsabilità, così come quella di cittadini appartenenti a minoranze nazionali, veniva imposta per via gerarchica e non influenzava in modo reale la società. Si trattava di una politica volontaristica e demagogica che, invece di uno specifico ruolo nella democratizzazione della società, aveva più che altro innumerevoli effetti perversi. Le privazioni e le difficoltà dell’epoca ledevano soprattutto le donne. La penuria di alimenti, la mancanza dei più banali articoli d’igiene o di cosmesi e dei più comuni articoli d’abbigliamento di qualità penalizzavano maggiormente la popolazione femminile del paese. In Romania il semplice diritto di scelta , relativamente alla propria femminilità, era negato. L’uguaglianza si confondeva nell’uniformità. La scelta di imporre il divieto all’aborto pregiudicò in modo deciso e diretto la vita di milioni di donne. Il decreto n. 770 del 1966 vietava l’aborto in 21 Romania, a eccezione dell’aborto terapeutico, permesso nei primi tre mesi di gravidanza. Il decreto n. 441 del 1985 inasprì ulteriormente le condizioni in cui l’aborto era consentito. Il controllo era molto stretto e l’ossessione per la crescita demografica ebbe come risultato una vera paranoia le cui vittime erano le donne incinte o ipotizzate tali. “Controllate, arrestate, condannate alla prigione o morte a causa di aborti clandestini, queste donne divennero cavie di un esperimento demografico e soggetto di terribili umiliazioni”21. Ma di questo tema specifico mi occuperò nel quarto capitolo. 2.1 LAVORO E ISTRUZIONE L’ideologia socialista del lavoro impose che tutti i cittadini contribuissero alla costruzione del socialismo secondo le loro capacità. Questo assioma servì come base di legittimazione per la mobilitazione della forza lavoro ed ebbe immediate conseguenze pratiche. Tutti i cittadini furono formalmente classificati come membri produttivi o improduttivi della società. Così, i corpi fisici dei cittadini furono strumentalizzati ai fini dell’economia politica di stato. 21 Compagne di viaggio, Racconti di donne ai tempi del comunismo, a cura di A. P. Gheo e D. Lungu, Sandro Teti Editore, 2011, p. 13. 22 Le persone dovevano essere pubblicamente riconosciute per le performance lavorative, non per fattori che segnavano le loro identità peculiari. Per i fisicamente o mentalmente disabili vi era l’etichetta di membri non produttivi della società. Essi erano condannati all’isolamento e all’abbandono in quei centri descritti come “inferni istituzionalizzati”. In sostanza coloro che non potevano realizzare il sogno socialista iniziarono ad essere considerati come dei parassiti. Le donne costituivano delle risorse lavorative potenzialmente produttive e rappresentavano poco più della metà della popolazione nazionale. Esse, così come gli esponenti delle minoranze, erano presenti anche in posizioni autorevoli, ma la loro presenza era in larga misura simbolica. Infatti i regimi socialisti tendono a livello di impostazione ideologica a professare l’uguaglianza dei ruoli22, la quale tuttavia non sempre viene realizzata. La legiferazione in materia di emancipazione femminile contribuì alla trasformazione delle relazioni pubbliche, ma non di quelle familiari, infatti era ancora la donna all’interno della famiglia a dover svolgere sia le incombenze domestiche che quelle lavorative. L’eredità delle relazioni patriarcali non fu modificata in modo significativo e si può sostenere che la situazione fu ulteriormente aggravata dalla struttura paternalistica dello stato socialista. 22 G. Kligman, op. cit., p.25. 23 Durante la “costruzione del socialismo”, un numero senza precedenti di donne fu istruito. Ad esempio le ragazze che costituivano il 41,2% del numero totale di studenti nelle scuole superiori negli anni 1938–1939 , nel 1971 erano il 51,5% ; per quanto riguarda l’università, la quota di iscrizione delle donne crebbe dal 25,9% negli anni 1938–1939 al 43,3% nel 1971 e al 48,3% nel 1989. Tuttavia le donne non furono impiegate in occupazioni adatte ai loro livelli di istruzione, surclassate dai colleghi maschi. Nonostante la retorica ufficiale circa l’uguaglianza, la divisione del lavoro fu decisamente basata sul genere. I settori fondamentali dello stato socialista, a partire dalla burocrazia, dall’apparato di sicurezza dello stato, dall’industria pesante, furono prevalentemente popolati da uomini, soprattutto la dirigenza. Le donne lavoravano a livelli inferiori che riguardavano più che altro lavori meccanici o di segreteria. Nella retorica giornaliera “l’emancipazione” femminile mimetizzò una continua stratificazione della divisione del lavoro sia sul posto lavorativo che in famiglia. Nella ricerca da me fatta sul tema femminile in Romania negli anni della dittatura di Ceaucescu ho avuto la possibilità di intervistare una signora romena trasferitasi da qualche anno nel mio paese, la cui intervista è riportata in appendice a questo lavoro, dalla quale sono venuta a conoscenza di aspetti della vita quotidiana che raramente sono presentati negli studi accademici. Le 24 testimonianze orali offrono infatti una percezione più autentica e diretta della realtà. Gabriela, una donna di 45 anni, nata e vissuta in un villaggio non lontano da Bucarest, che per molti anni ha lavorato come segretaria di una miniera di carbone situata nei pressi del suo paese racconta: “Durante gli anni ’80 il cambiamento è stato drastico, tutte le mie amiche e le mie cugine hanno frequentato l’università, io no perché dopo il diploma ho trovato un buon posto nella miniera dove già lavorava mio padre come operaio. Molte donne si laureavano in ingegneria, chimica, fisica o comunque indirizzi di studi molto tecnici, ma non solo, molte donne vennero impiegate anche nell’industria pesante, una mia amica diventò elettricista e non era difficile trovare qualche ragazzina che sapeva tirar su una casa da sola! Sul posto di lavoro le donne, comunque, spesso venivamo discriminate, e prese in giro da uomini abituati ancora allo stereotipo della donna casalinga che dipende in tutto e per tutto dal padre o dal marito. In Romania l’idea di fondo del governo comunista era di completa uguaglianza fra uomini e donne, ma così non era, io tornata a casa dovevo occuparmi di mio figlio, di mio marito e di mio padre. ‘Non c’è niente che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali’, frase di Don Lorenzo Milani che ho letto recentemente, rende alla perfezione l’idea di quello che accadeva in Romania”23. Quindi 23 Intervista a Gabriela Badea, realizzata il 14/03/2012, Da Antonia Berlinghieri. 25 l’uguaglianza consisteva nel trattare le donne come gli uomini, la differenza stava però nel fatto che le donne avrebbero dovuto portare un triplice fardello: lavoro produttivo, lavoro riproduttivo e lavoro domestico. Le condizioni sociali imposte legittimarono una dipendenza dagli uomini, nonostante l’esaltazione di egualitarismo economico. La donna come lavoratrice, in prima linea nelle competizioni socialiste, madre eroina, efficiente casalinga e membro attiva negli affari della comunità, rappresentava le varie sfaccettature del “nuovo individuo socialista multilateralmente sviluppato”. Nel 1966 quasi l’80% delle donne tra i 20 ed i 57 anni erano economicamente attive, una percentuale pari al 45% della forza lavoro totale, questa situazione spinse il regime a considerare le donne, non solo come fattori fondamentali della produzione, ma anche fonti per la moltiplicazione del lavoro, infatti la necessità di rinnovamento della forza lavoro legittimò, nei successivi 23 anni, una “forte” politica pro-natalista. Il diritto al lavoro fu trasformato in un obbligo e le persone che non aderirono a tale politica furono spesso processate o comunque considerate parassiti della comunità. Ricordiamo che la percentuale di donne che ricoprivano cariche politiche e Posti in parlamento aumentò sostanzialmente durante gli anni tra il 1970 ed il 1980, ma il prezzo pagato per tali promozioni fu considerevole; dovevano essere politicamente e socialmente accettabili, sposate con figli e asessuate. Fu considerato poco consono anche il vestirsi 26 elegantemente e il truccarsi. Le donne dovevano dimostrare di subordinare i loro interessi particolari ai bisogni della società nel suo complesso ossia del partito comunista. In realtà le donne promosse in ambito politico sotto Ceaucescu avevano molta meno importanza dei loro colleghi maschi, a prescindere dai titoli formali, inoltre il Consiglio nazionale delle donne né le rappresentava né le tutelava ma seguiva le direttive e le politiche appena descritte24. Come notato da Fischer e Harsanyi, l’ideologia comunista rafforzò, per le donne, il valore del lavoro fuori dalle mura domestiche senza però offrire strutture pubbliche di assistenza o elettrodomestici per facilitare e minimizzare i tempi e la fatica del lavoro in casa. Grande fu il divario tra la teoria e la pratica per quanto riguardava l’emancipazione femminile. Lo slogan “uguaglianza tra uomini e donne” non fu propagandato a favore di un reale sviluppo personale, ma più che altro per affrontare un nuovo contesto socio–economico in cui il reddito del marito non poteva più assicurare il supporto alla famiglia e vi era un estremo bisogno di un’entrata supplementare. Apparentemente, lo stato socialista, per ridurre il conflitto tra la donna ed i suoi ruoli (lavoratrice, moglie e madre) creò strutture sociali e legislative, ma come altre misure che furono prese, risultarono espresse solo teoricamente 24 A. Baban, Romania, franco Angeli Editore, 2008, p.215. 27 e ideologicamente. Gli asili nido erano troppo pochi, mal distribuiti e con un servizio offerto di bassissima qualità, mancavano i più comuni elettrodomestici (lavatrici, frigoriferi ecc.) per il lavoro domestico, ma più di tutto scarseggiava il cibo quasi quotidianamente. Le leggi non tenevano conto delle necessità della vita reale, per esempio era inutile la norma che permetteva alla madre di allevare il figlio fino all’età di sei anni senza la perdita di anzianità sul posto di lavoro, se poi la famiglia non poteva rinunciare al suo reddito per un periodo di tempo così lungo. In più spesso i lavoratori e le lavoratrici erano convocati anche la domenica per il lavoro patriottico, affinché si realizzasse il “grande piano quinquennale” e tutto ciò riduceva i tempi dedicati alla famiglia a pochissime ore al giorno25. L’uguaglianza fu semplicemente proclamata politicamente, e trasformò radicalmente quell’istituzione che lo stato stesso avrebbe voluto proteggere: la famiglia26. Infatti Ceaucescu si arrogò il titolo di arbitro e protettore della famiglia, del matrimonio e della maternità, usurpò l’autorità familiare patriarcale alterando i rapporti tra la sfera domestica e la sfera pubblica della società, rendendo i confini fra le due praticamente inesistenti, trasparenti, in modo da permettere un totale controllo mascherato da un’apparente benevola protezione. 25 26 A. Baban, op. cit., p.216. G. Kligman, op. cit.,p.28. 28 Il governo paternalista socialista si basava sulla convinzione che ciò che reputava giusto per lo stato lo era anche per i cittadini; fu sottolineato spesso e volentieri che il ruolo sociale della famiglia stava alla base dello sviluppo della “nuova persona socialista”. Sotto Ceaucescu alla famiglia fu concessa legittimità istituzionale e fu utilizzata come metafora archetipica dell’ordine sociale, ma allo stesso tempo si crearono tensioni generate dalle aspettative dello stato e dalla sua intrusione nella vita quotidiana della popolazione e non è sorprendente il fatto che “la famiglia” fu ufficialmente considerata come un importante nucleo per la trasformazione e la manipolazione delle relazioni personali. 2.2 LA FAMIGLIA Nel periodo precedente la Seconda Guerra Mondiale, la Romania era un paese prevalentemente rurale con una forte cultura contadina, in seguito la società romena fu caratterizzata da profonde divisioni sociali tra le popolazioni urbane e rurali, tra gruppi etnici, tra istruiti e non e tra proprietari e operai (o contadini), ma, tendenzialmente, la stragrande maggioranza era contadina.27 Ciò significava che i valori tradizionali patriarcali definivano rigorosamente i ruoli, infatti la famiglia patriarcale rurale aveva promosso l’ideale di un subordinato e sottomesso ruolo della donna. Questa concezione, 27 A. Baban, op. cit., p. 210. 29 nonostante lo sviluppo della società sia in campo industriale che politico, rimase inalterata e condivisa e provocò come effetto collaterale anche la soppressione della sessualità femminile. A metà degli anni ’60 lo stato ed il Partito avevano adottato l’atteggiamento, la cultura e la retorica del contadino per quanto riguarda il modello familiare e la sessualità fu eliminata da ogni discorso pubblico28. Questo cambiamento fu causato dal desiderio di Ceaucescu di trasferire i valori patriarcali familiari su di sé e sul suo governo, all’interno del quale lui avrebbe rappresentato il pater familias ed i cittadini, di conseguenza, sarebbero stati considerati come figli, subordinando il ruolo della donna a quello dell’uomo29. I decreti divennero di anno in anno sempre più duri, soprattutto per quanto riguarda le leggi inerenti tematiche femminili. Le ragazze venivano educate a temere gli uomini, ad evitare il piacere e a vedere il sesso come un male necessario, accettato solo al fine di costituire una famiglia. L’educazione comunista fu costruita su tradizioni patriarcali istillando alle giovani donne l’idea che la sessualità al di fuori della famiglia e senza fini di procreazione, non solo era immorale, ma avrebbe portato alla follia30. Quello che accadde fu la cancellazione dell’individualità femminile e il sacrificio personale della donna per il bene della comunità. Il comportamento convenzionale era l’obbedienza al padre, al marito e allo stato; una donna 28 G. Kligman, op. cit., p. 29. Ivi, p.30. 30 A. Baban, op. cit., p. 215. 29 30 divorziata, per esempio, una donna sposata ma senza figli o una bella donna non sposata erano incompatibili con l’ideale della donna comunista; al contrario, una madre asessuata e compagna di lavoro e di vita dell’uomo rappresentavano lo standard da raggiungere. 2.3 LA SESSUALITA’ Attinente al tema della famiglia (perché riguardava la sfera privata ed il rapporto uomo–donna) è l’ideologia pseudo-puritana e di ipocrita moralità che l’ideologia comunista portò all’interno della coppia riguardo la sessualità, sottoposta nel 1966 a normative molto rigide. L’educazione sessuale fu ritenuta “volgare libertinismo importato dall’Ovest, da una società marcia”, la mancanza di contraccettivi, la paura di gravidanze indesiderate e le ansie associate ad un aborto illegale posero un onere molto pesante sulla vita sessuale delle coppie. Il silenzio vigente sulla sessualità portò a sensi di colpa, imbarazzo e distorte percezioni nelle relazioni con il partner31. Inoltre diverse furono le donne che dovettero far fronte in vario modo agli oneri imposti da un regime sempre più autocratico e patriarcale. Dato che durante quegli anni era impossibile compiere una ricerca su come le donne affrontavano realmente le loro diverse situazioni, nel 1993 31 A. Baban, op. cit., p.217. 31 furono intervistate in 50, di diverse età, diverso stato socio–economico e diverso livello di istruzione32, circa la loro conoscenza della sessualità, il dialogo con i genitori riguardo quest’argomento e le esperienze con i compagni (sia che fossero , sia che non fossero sposate). Analizzando tali interviste cinque furono i principali temi identificati ricorrenti in tutti i discorsi. Innanzitutto una completa mancanza di educazione sessuale accompagnata da una percezione della sessualità come tabù ed una sopravvalutazione della verginità femminile, quindi una visione del sesso prematrimoniale come peccaminoso e sporco, fonte di stress e di timori per gravidanze indesiderate, ingigantite dalla completa mancanza di accesso ai contraccettivi moderni, portando alla considerazione che il matrimonio fosse una condizione socialmente desiderabile che soprattutto forniva un’identità di base per il conseguimento di una maternità socialmente accettata. Tra l’altro le ripetute, involontarie e indesiderate gravidanze erano nella vita di ogni donna eventi catastrofici e traumatici e generavano ulteriormente un senso di impotenza e di indifesa dipendenza dai loro compagni, perdendo ogni dignità e ognuna la propria femminilità. L’ansia della decisione ed il trovare qualcuno disposto clandestinamente a provocare l’aborto costituirono la più grande fonte di 32 Baban e David, 1994,1996, The impact of body politic on woman body 32 stress per le donne, oltre, ovviamente alla consapevolezza dei rischi fisici e psicologici; l’aborto è stato percepito come l’ultimo disperato mezzo per affermare il controllo sulla propria fertilità e per tutelare il “benessere” della famiglia. Infine, ma non meno importante, l’erosione delle relazioni con i compagni causata dalle dure condizioni economiche quotidianamente vissute, infatti le narrazioni dipingono un quadro poverissimo di comunicazioni interpersonali per quanto riguarda l’ambito affettivo, professionale e sessuale33. Il sistema totalitario si instaurò in una Romania in pieno processo di modernizzazione, con un’organizzazione di stampo tradizionale a livello della famiglia e delle piccole comunità rurali, ma anche con oasi di forte modernità nei principali centri urbani. Si impose un modello artificiale di parificazione delle donne con gli uomini che non tenne in conto le consuetudini preesistenti. Anzi, furono incorporate tacitamente, sovrapponendo i nuovi codici a quelli vecchi; ne fu risultato un modello ibrido, che pregiudicò soprattutto la vita quotidiana delle donne, obbligate nella maggioranza dei casi a essere al contempo spose tradizionali, lavoratrici e compagne di lotta e di vita. Uguali agli uomini dal punto di vista giuridico, le donne potevano – erano obbligate, anzi – a manifestarsi sul piano della vita pubblica. 33 A. Baban, op. cit., p.218. 33 Esistevano, ovviamente, negoziazioni e compromessi sia nell’ambito della famiglia, sia nell’ambito sociale ampliato, ma il modello di base rimaneva quello qui descritto: un modello che oberava le donne, visto che non veniva modificato il loro stato fondamentale, attraverso una riorganizzazione completa e armoniosa dello spazio pubblico e di quello privato. 34 TERZO CAPITOLO ESSERE MADRE DI ALMENO QUATTRO FIGLI La Romania presenta un esempio estremo di intrusione dello stato nella vita e nei corpi dei suoi cittadini. Rappresenta anche il più sorprendente fallimento di una politica pubblica coercitiva progettata per influenzare il comportamento riproduttivo. La Russia comunista, nel 1920, fu il primo Paese nel mondo che legiferò a favore del diritto all’aborto, visto che era in corso una politica pro-natalista basata sull’emancipazione femminile e sul progresso della società; di riflesso, negli anni che seguirono la seconda guerra mondiale, i Paesi dell’Europa orientale , imitarono l’esempio sovietico34. Purtroppo però in Russia il tanto sperato sviluppo non avvenne e, durante il regime stalinista, furono poste limitazioni alla possibilità di abortire. In seguito, nel 1955, la Russia post-stalinista introdusse nuove regolamentazioni a favore del diritto all’interruzione di gravidanza35. I paesi satelliti dell’Unione Sovietica adottarono simili legiferazioni, una decina di anni prima degli stati dell’Europa Occidentale. In Romania fu il 34 E. Costantini, I Figli del Regime. La Politica Demografica del Regime Ceaucescu e le sue conseguenze,(articolo in corso di pubblicazione, per concessione dell’autrice), p.2. 35 Ibidem. 35 Regime comunista di Gheorghe Georghiu–Dej ad avviare dapprima l’opportunità di ricorrere all’interruzione di gravidanza in presenza di rischi per la vita delle madri o per la presenza di patologie ereditarie, col decreto n. 465 del 1955, poi la libertà di scelta della donna, col decreto n. 553 del 195736. Ceaucescu, durante i ventiquattro anni di regime (dal 1965 al 1989) applicò invece una delle politiche pro–nataliste più repressive al mondo, il fulcro normativo di queste politiche era la rigorosa legge anti–aborto che fu originariamente approvata nel 196637. Venne colpita la vita di ogni uomo e, soprattutto, di ogni donna adulta, indipendentemente dallo status sociale. L’incremento della fertilità era un problema cruciale attorno al quale i conflitti d’interesse tra lo stato ed i suoi cittadini divennero insostenibili. Infatti le economie socialiste erano dipendenti dalla disponibilità di lavoro e quindi di capitale umano e la “riproduzione della forza lavoro” diventò un mantra virtuale di retorica politica. A tal fine la riproduzione fu volutamente politicizzata perchè forniva i mezzi con cui gli individui e la collettività assicuravano la continuità. Ricordiamo che, benchè la Romania avesse il più alto livello di fertilità dell’Europa centrale nel 1955, il tasso di natalità scese rapidamente nel corso del decennio successivo, raggiungendo il 14,3% nel 1966, a quel tempo il più basso 36 37 Ibidem. G. Kligman, op. cit., p.3. 36 d’Europa e l’aborto fu ritenuto la principale causa del calo delle nascite. Come si è visto in precedenza, l’aborto era stato legalizzato in Romania nel 1957; poco dopo l’ottobre 1966 il Consiglio di stato invertì bruscamente la politica sull’aborto , col decreto n. 77038. Come afferma Kligman, vietare l’aborto non ha mai sradicato la sua pratica, né in paesi in cui vigevano regimi totalitari (Romania appunto o Unione Sovietica) né in paesi in cui la Chiesa Cattolica regnava sovrana (come l’Italia, il Brasile, l’Irlanda o la Polonia). L’intensificazione delle misure per limitare l’aborto si verificarono nonostante la chiara tendenza popolare a ridurre il numero dei figli. Gli stratagemmi difensivi della popolazione contro i tentativi dello stato di controllare la loro vita sessuale e riproduttiva ha drammaticamente sottolineato le intrusioni del regime nell’intimità della vita quotidiana. Il regime si prefiggeva come obiettivo da raggiungere quello di stimolare la natalità e raggiungere 18–19 nascite ogni 1000 abitanti, una percentuale corrispondente al progresso economico della popolazione; la Romania doveva raggiungere i 25 milioni di abitanti entro il 199039. 38 39 H. P. David e R. J. Mclntyre, Reproductive Behavior…cit.,p. 181. A. Baban, op. cit., p.198. 37 Questo l’esplicito scopo del decreto del 1966, così da attuare una nuova politica demografica ed eliminare l’aborto come metodo per il controllo delle nascite. 3.1 IL DIVORZIO Allo stesso tempo fu reso molto più difficile il divorzio che durante i primi anni sessanta aveva visto un forte aumento, soprattutto fra le coppie più giovani. Dal 1965 il tasso dei divorzi per 1000 abitanti era del 22 %; col decreto n. 779 dell’8 ottobre 1966 per ottenere un divorzio fu necessaria una tassa di deposito consistente, dai 3000 ai 5000 lei ( in base al reddito) ed una tassa obbligatoria ogni sei mesi fino al raggiungimento dei 16 anni dei figli, in più fu previsto un periodo di prova finalizzato alla riconciliazione40. Così il numero di divorzi scese da 37.000 nel 1965 a 26.000 nel 1966. Affinché si portasse avanti l’ideale della “nuova famiglia socialista”, dato che costituiva un attacco ad essa, il divorzio doveva assolutamente essere scoraggiato. L’intrusione dello stato nella sfera privata delle relazioni familiari crebbe nel corso degli anni. Nel 1972 il ruolo fondamentale della famiglia all’interno della struttura socialista fu dichiarato ufficialmente: 40 Ibidem. 38 “Bisogna capire che si hanno delle responsabilità nei confronti della società, soprattutto quella di lasciare progenie. Questo non è un problema davanti al quale possiamo chiudere gli occhi. I figli devono essere allevati in un ambiente sano spiritualmente affinché possano capire le proprie responsabilità verso la società e verso la famiglia. Solo allora potremo creare una vera società socialista……..non possiamo essere indifferenti a ciò che accade alla famiglia, se i giovani si sposano o no, o credere che ciò riguardi solo la loro vita personale. Il divorzio è un’opzione solo quando la relazione tra il marito e la moglie è ritenuta irrimediabilmente danneggiata. La corte è stata incaricata di valutare con cura le circostanze, compresa la durata del matrimonio e la tutela dei figli che ne subirebbero le conseguenze”41. Le restrizioni legali per vincolare l’aborto e il divorzio ebbero l’effetto desiderato solo inizialmente, i risultati furono effimeri. Infatti, per quanto riguarda il divorzio, ad esempio, dopo il 1968, il numero crebbe costantemente. Dieci anni dopo l’emissione del decreto n. 779 del 1966 il numero dei divorzi era salito ai livelli precedenti42. Lo stato aveva legiferato ma non era riuscito ad imporre la sua volontà. Mantenere la famiglia unita fu considerato fondamentale per il raggiungimento degli obbiettivi politico–demografici del regime, ma ancor più importante fu assicurarsi che tali famiglie procreassero. 41 42 G. Kligman, op. cit., p.51. Ibidem. 39 3.2 L’ABORTO TERAPEUTICO A tal proposito ritorno a disquisire sul decreto n. 770 del 29 settembre 1966 che disciplinò l’interruzione di gravidanza, o meglio la vietò e con essa finirono di esistere anche i centri per l’aborto su richiesta. L’interruzione di gravidanza fu autorizzata solo in casi eccezionali: - Se la gravidanza metteva in pericolo la vita della donna, non essendoci altro modo per eliminare questo pericolo. - Se uno dei genitori soffriva di una grave malattia ereditaria che avrebbe potuto causare malformazioni congenite. - Se la donna incinta soffriva di un grave disturbo fisico, mentale o di disordini sensoriali. - Se la donna aveva più di 45 anni di età. - Se la donna aveva avuto già quattro figli, che vivevano sotto le sue cure. - Se la gravidanza era conseguenza di stupro o incesto43. L’interruzione di gravidanza costituì un’operazione terapeutica indicata solo ed esclusivamente nel caso di un numero di malattie che mettevano in pericolo la vita della madre o nel caso avrebbero potuto avere un grave effetto sulla salute del “prodotto” del concepimento. 43 H. P. David, Family Planning and Abortion…cit., p.144. 40 Va sottolineato che la presenza di una malattia non costituiva e non rappresentava un’indicazione precisa, infatti alcuni membri del Consiglio dei medici dovevano esaminare ogni singolo caso separatamente, con senso di responsabilità. Dovevano essere consapevoli del fatto che non era la malattia ad essere importante nel decidere un’eventuale interruzione, ma la fase di sviluppo della stessa. Tenendo conto di ciò, doveva esser fatto un tentativo per determinare la presenza di fattori favorevoli o sfavorevoli44. Più di 100 indicazioni mediche furono definite in modo abbastanza restrittivo e furono incluse nelle Disposizioni 819 dell’ottobre 1966, con parecchia attenzione al campo psichiatrico. Un aborto legalmente autorizzato doveva essere eseguito da un ginecologo in ospedale entro il primo trimestre di gravidanza. 3.3 PROVVEDIMENTI PENALI RIVOLTI AGLI OPERATORI SANITARI Fu rivisto il codice penale e le sanzioni si irrigidirono sia per gli operatori che per i richiedenti di aborti illegali, col decreto n. 771 l’articolo 428 fu modificato e successivamente diventò l’articolo 188 (legge n. 15 del 44 Ivi, p.147. 41 21 aprile 1968) che prevedeva una serie di sanzioni per gli aborti effettuati in condizioni diverse da quelle legalmente stabilite. I medici rischiavano la perdita della licenza e pene detentive fino a 12 anni, invece l’articolo 186, ulteriormente modificato dalla legge n. 6 del 1973, stabiliva che per l’aborto autoindotto ci fosse o la reclusione da sei mesi ad un anno oppure il pagamento di una multa. Il codice penale non fece differenza tra donne sposate o non sposate; tra l’altro l’articolo 187 prevedeva sanzioni anche per il possesso non autorizzato di strumenti atti ad indurre l’aborto45. I medici che non riuscivano a comunicare immediatamente alle autorità competenti di aver effettuato un aborto in condizioni di emergenza erano puniti con la reclusione da uno a tre mesi. Il decreto del 1966 aveva inoltre ordinato che ogni donna, giunta in ospedale dopo un “aborto spontaneo” doveva essere segnalata all’avvocato distrettuale, il medico era tenuto a presentare una relazione scritta indicando eventuali segni di aborto indotto46. 45 46 A. Baban, op. cit., p.198. H. P. David e R. J. Mclntyre, Reproductive Behavior…cit., p. 182. 42 3.4 POLITICHE STIMOLATIVE E RESTRITTIVE La legge antiaborto fu accompagnata da limitati incentivi pro-natalisti, inclusi pagamenti per certificati medici di gravidanza, l’assistenza sociale per le madri con più di tre figli al di sotto dei 18 anni, un incremento delle detrazioni fiscali da 100 a 131 lei per ogni bambino fino a 16 anni, contributi di maternità di all’incirca 1000 lei (equivalenti di 85 dollari) per ogni nascita (prima era un contributo riservato solo alle madri con più di 10 figli), il congedo di maternità fu stabilito di 16 settimane (comunque il più breve, paragonato a tutti i paesi CEE). Le cifre degli assegni familiari, tra il 1972 ed il 1979, furono aumentate di poco, mentre il congedo di maternità retribuito fu fornito, in caso di malattia del bambino, fino a tre anni. Le famiglie con solo un bambino a carico furono punite attraverso l’esclusione dall’acquisto di tre o quadrilocali, al contrario, le donne che avevano partorito dieci o più figli avevano diritto ad un assegno mensile di 100 lei (ossia 1 dollaro) a figlio e ad una medaglia che le proclamava “Madri Eroine”47. Nel febbraio 1973 l’età per poter effettuare un aborto legale, su richiesta, fu innalzata; infatti, col decreto n. 53 si passò da 40 a 45 anni. Un’analisi dei dati raccolti tra il 1966 (anno della legge antiaborto) ed il 1972 ha suggerito 47 A. Baban, op. cit., p.199. 43 che la percentuale dei nati vivi da donne ultraquarantenni era praticamente insignificante. Nel 1983 venne vietata la sterilizzazione, eccetto nei casi in cui una commissione medica l’avesse ritenuta necessaria alla salute della donna . Nel 1985 avere quattro figli non era più un motivo sufficiente per effettuare un aborto su richiesta, infatti adesso era necessario che una donna avesse almeno cinque figli viventi e al di sotto dei diciotto anni. Ceaucescu annunciò che “il feto era proprietà socialista e di tutta la comunità, il parto doveva essere un dovere patriottico e coloro che si rifiutavano ad avere figli avrebbero dovuto, da quel momento in poi, esser considerati disertori perché non obbedivano alla legge della continuità naturale”48. Lo stato tentò di controllare la vita riproduttiva di ogni donna romena, fu creata una macchina politica e giuridica atta ad imporre le proprie politiche demografiche nonché ad effettuare distorsioni graduali dei sistemi di segnalazione statistica. Ad esempio, le donne, di età compresa tra i 16 ed i 45 anni e che lavoravano presso strutture statali, furono costrette a subire esami medici annuali per verificare che la loro salute “riproduttiva” fosse pienamente soddisfacente, le 48 Ibidem. 44 donne che avessero rifiutato di sottoporsi a tali esami periodici, avrebbero perso il loro diritto alle cure mediche e dentistiche, alla pensione e, in generale, alla loro sicurezza sociale. Furono minacce implicite che sottomisero al sistema l’intera popolazione femminile49. Come testimoniano due racconti, lo stato comunista invadeva in vari modi l’intimità del corpo femminile: Ginecologii mei di Doina Rusti è un’ulteriore dimostrazione di come il regime cercasse di abolire a tutti i costi il diritto di proprietà che le donne avevano sul proprio corpo anche con visite ginecologiche organizzate a campione, le giovani donne erano oggetto non solo di indesiderate ingerenze mediche, ma anche di abusi emotivi da parte del personale sanitario, che smascherava chi fosse vergine e chi no. Questo era un metodo grazie al quale il partito poteva calcolare approssimativamente l’intensità o la frequenza dei rapporti sessuali avuti al di fuori del contesto matrimoniale. Anche “A – ha” di Otilia Vieru – Baraboi racconta di questi controlli regolari, mettendo in risalto la presunzione di colpevolezza e adulterio che dominava questi stessi controlli, trasformando il rapporto che veniva ad istaurarsi tra medico e paziente in quello fra vittima e carnefice. C’è poco da meravigliarsi se queste pratiche finivano poi con l’alienare le donne dal proprio corpo e quello che rammentano per 49 A. Baban, op. cit., p.199. 45 associazione, in modo frammentario e discontinuo, sono episodi che riguardano la loro sessualità. Questo conferma la tesi di Kligman, secondo cui sotto il regime comunista le donne erano solite considerare il proprio corpo come un “nemico interiore”50. Otilia Vieru–Baraboi parla apertamente del ribrezzo che aveva provato nei confronti della femminilità stessa, un sentimento di repulsione, a suo parere, coltivato clandestinamente dalla propaganda comunista allo scopo di resistere alla tentazione di sfuggire ad un erotismo sano ed ugualitario51, che dopotutto era l’idea di fondo che sosteneva il comunismo. Affinché fosse adempito il dovere verso il regime, ogni medico avrebbe dovuto eseguire dai 50 ai 60 esami ginecologici al giorno, in modo tale da controllare, in un determinato periodo di tempo, tutte le lavoratrici all’interno di ogni singola fabbrica52. Tra l’altro il personale sanitario che operava all’interno dei cantieri avrebbero ricevuto il proprio stipendio mensile solo se i dipendenti di tale fabbrica avessero raggiunto un certo numero di nascite, numero stabilito mensilmente. Per monitorare l’attuazione delle politiche pronataliste e per verificarne gli effetti sulla situazione economica e sullo sviluppo sociale, il comitato centrale del Partito Comunista propose di istituire una Commissione Nazionale 50 G. Kligman, op. cit.,p.179. O. Vieru-Baraboi, A-ha, Sandro Teti Editore, 2011, p.295. 52 A. Baban, op. cit.,p.190. 51 46 Demografica in seno al Consiglio di stato. Il 18 marzo 1971 l’Assemblea Nazionale approvò l’istituzione di questa Commissione e i risultati di questi studi avrebbero dovuto esser pubblicati in bollettini ufficiali53. Nonostante ciò, molto spesso, quando non vi fu coesione tra gli esiti e l’ideologia comunista, i documenti non vennero pubblicati e marchiati “top secret”54. La Commissione ebbe 12 anni di vita dopo di che fu consegnata all’oblio, pubblicamente eclissata dal Consiglio superiore di Sanità. In seguito, due istituzioni gestirono la raccolta e le analisi sulla demografia e sulla popolazione ossia: il Consiglio Centrale di Statistica ed il Centro di Calcolo e Statistica presso il Ministero della Salute. Il Centro analizzava i risultati demografici, con particolare riguardo alla natalità, alla mortalità, all’aborto, alla mortalità infantile ed alla mortalità materna, dopodiché inviava le sue relazioni al Consiglio Centrale di Statistica. Ma a partire dal 1982, il numero degli aborti registrati presso il Ministero della Salute, fu costantemente falsato. Infatti furono registrati dati nettamente inferiori a quelli ricevuti e mai contestati; addirittura a metà anni ottanta, gli 53 54 Ibidem. Ivi, p.202. 47 annuari statistici prodotti annualmente erano diventati libretti molto sottili (nel 1986 la sezione sulla popolazione era composta da quattro pagine)55. Un pesante vincolo sulla registrazione degli aborti era costituito dal fatto che lo stipendio del personale medico dipendeva dal numero degli aborti segnalati, più ne erano registrati e più si riduceva il profitto. Quindi si può supporre che le statistiche romene, soprattutto a partire dal 1980 furono spesso inaffidabili e devono essere studiate e analizzate con molta cautela. Come già accennato, la proclamazione del decreto n. 770 prese di sorpresa la popolazione, infatti essa non fu preceduta da alcuna forma di pubblica discussione durante le fasi di pianificazione. La “trappola” antiaborto fu fissata all’inizio del regime di Ceaucescu e venne mantenuta e addirittura inasprita durante tutta la dittatura56. L’annuncio dell’imminente decreto fu prefigurato in una relazione presentata dal Presidente del Movimento femminile, Suzana Gadea, in occasione della riunione del Consiglio Nazionale delle Donne nel giugno del 1966: “Riteniamo che sia il momento giusto per sollevare altri importanti problemi sociali e, in particolare, l’aumento del numero di ripetute interruzioni di gravidanza, che hanno effetti nocivi per la salute di molte donne e 55 56 Ivi,p.203. G. Kligman, op. cit., p.122. 48 ripercussioni negative sulla crescita della popolazione normale. Questa situazione è sicuramente incoraggiata dall’attuale legislazione, che deve essere modificata. In questa stessa ottica, riteniamo necessario proporre nuove misure educative socio – economiche , che contribuiranno alla crescita della popolazione ed a migliorare l’offerta di assistenza a madri e figli”57. In questa dichiarazione non si avverte nulla di allarmante, la Gadea richiamò solamente l’attenzione sul fatto che, le ripetute interruzioni di gravidanza avevano effetti nocivi sulla salute delle donne. Osservò inoltre che era doveroso da parte del Consiglio delle donne proporre misure che avrebbero migliorato la vita e la salute di donne e bambini. In realtà fu solamente un assecondare il volere del dittatore ed un tentativo di far scivolare, sotto mentite spoglie, una politica demografica che andava ad intaccare la libertà e la dignità di milioni di donne. 3.5 IL RUOLO DELLA PROPAGANDA Nell’estate del 1966 il “supremo dovere” conferito alle donne – madri dal Partito Comunista fu il dover educare patriotticamente i loro figli; la maternità acquistò importanza a tal punto da essere considerata una risorsa indispensabile e disponibile per la costituzione di uno stato socialista, e 57 Ivi,p.121. 49 immagini di madri, famiglie e bambini cominciarono a imperversare nei manifesti di propaganda, in giornali e tv. La propaganda pro-natalista del regime di Ceaucescu può essere esplorata attraverso un’analisi cronologica degli anni che vanno dal 1966 al 1989, i mezzi di comunicazione furono utilizzati infatti come armi per diffondere le politiche statali. Non sorprende che l’articolo1 della legge che regolamentava la stampa sostenesse: “nella Repubblica Socialista di Romania la stampa svolge un’alta missione socio – politica”58. Subito dopo la dichiarazione del decreto n. 770 il primo ottobre del 1966, un alto funzionario dello stato sottolineò che la procedura legislativa in atto era la prova della profonda cura e della responsabilità verso le risorse del Paese attuata dal Partito Comunista; un famoso luminare del campo medico dichiarò che il decreto avrebbe finalmente posto fine al “massacro uterino” che ormai era diventato “il perfido nemico del futuro biologico del popolo romeno”59. Anche un famoso economista del Centro di Statistica espresse la sua gratitudine verso il novello decreto, sostenendo che l’interdizione dell’interruzione di gravidanza avrebbe potuto risolvere gravi problemi che altrimenti sarebbero stati una minaccia costante al progresso socialista e comunista; egli osservò che le ripercussioni del calo di natalità, derivante 58 Ivi, p.119. Ibidem. 59 50 dalla liberalizzazione dell’aborto nel corso degli anni cinquanta, si sarebbero fatte sentire in futuro con una grave carenza di forza lavoro60. Se questa tendenza fosse stata ancora permessa, ne sarebbero risultati pericolosi squilibri tra la popolazione attiva e produttiva e quella passiva e improduttiva (anziani e bambini). L’aumento della produzione di beni materiali era dipendente da una popolazione tendenzialmente in aumento. Di conseguenza, la diminuzione del numero di “braccia disponibili” per il lavoro doveva assolutamente esser bloccata ed il partito comunista, “saggiamente”, stava attivamente cavalcando questo progetto. La proibizione dell’aborto avrebbe portato ad una potenziale trasformazione biologica della composizione etnica della popolazione romena61. La natalità in diminuzione fu considerata sinonimo di declino nazionale, concetto intollerabile per l’ideologia del Socialismo nazionale di Ceaucescu. Egli proclamò: “E’ necessario combattere retrograde convinzioni, il lassismo nei confronti della famiglia, i divorzi, la negligenza nell’educazione dei figli nel prepararli alle loro vite future”. La propaganda esaltava le virtù della nuova morale socialista incentrata sui valori della famiglia. Maternità, bambini e famiglie dominavano la retorica 60 61 Ivi,p.120. Ivi, p.121. 51 ufficiale. L’interrelazione tra le condizioni economiche e gli indicatori demografici furono il cavallo di battaglia preferito della propaganda socialista; i dati demografici furono distorti a favore di aspetti comportamentali riproduttivi compatibili con la politica ufficiale; slogan politici sostituirono l’analisi critica62. Le giovani donne dovevano esser consapevoli del loro importante ruolo nel mantenere il vigore e la giovinezza della loro nazione e quelle che avevano partorito molti figli venivano invitate a condividere “le loro storie di vita con le altre” poiché erano considerate le migliori insegnanti nell’istillare la voglia di realizzarsi attraverso la cura dei figli e della famiglia. Eppure tali incontri per la sensibilizzazione inevitabilmente risultavano inefficaci, questo perché la propaganda verbale e simbolica andò a cozzare con l’esperienza pratica e non riuscì a nascondere la dura realtà imposta dalla crescente scarsità di beni primari e secondari63. 3.6 LA DISTORSIONE DELLA REALTA’ Un chiaro esempio di distorsione della realtà è quello sulla disponibilità di prodotti alimentari; un semplice confronto tra le razioni garantite mensilmente per ogni cittadino, teoricamente consigliate da un elenco 62 63 Ivi, p.139. Ivi, p.141. 52 scientificamente elaborato dal regime, e ciò che invece era la realtà, rende chiara la distanza tra quello che veniva propagandato e la triste verità dei fatti. Ad una donna incinta era consigliato una dieta equilibrata composta da tre pasti e due spuntini al giorno; i nutrizionisti raccomandavano pane, formaggio, pomodori, latte e caffè per la prima colazione, uno spuntino a metà mattina a base di pane imburrato, prosciutto fresco e tanta frutta. A pranzo era consigliata una zuppa di pollo con tagliatelle fatte in casa, salsa e polenta, per finire con la frutta. Nel tardo pomeriggio la merenda, composta da yogurt, pane e burro, formaggio, peperoni verdi e frutta. Per completare il quadro giornaliero, la cena, a base di pesce cotto in carta pergamena accompagnata da verdure, una pasta fritta ripiena di formaggio bianco e panna dolce e frutta64. Tali raccomandazioni nutrizionali furono concepite oltre che per donne in dolce attesa, anche per bambini piccoli e donne in allattamento (che in più dovevano bere un litro di latte al giorno). In realtà, se una donna avesse dovuto mangiare i cibi consigliati dai nutrizionisti statali, lei o qualcuno della sua famiglia avrebbe dovuto passare intere giornate in fila per lunghe code e in diversi posti della città ;nel migliore dei casi il procurarsi solo alcuni degli alimenti della lista avrebbe richiesto ottime risorse, tanta pazienza e fortuna nei collegamenti65. 64 65 Ivi,p.141. Ibidem. 53 Adriana Bittel in Servus, Reghina, Sandra Cordos in Dall’ombra di un radioso futuro, narrano delle lotte quotidiane per soddisfare uno dei bisogni primari: lavarsi; l’acqua calda era uno dei beni più rari negli anni Ottanta, tutte le scrittrici raccontano di quanta fatica potesse comportare il semplice lavare i piatti, gli indumenti o i capelli. Servus, Reghina indica un’altra epitome della vita nel comunismo degli anni Ottanta: le file. La scarsità di cibo era parallela a quella di elettricità, gas e acqua. Il diario di Adriana Bittel ci informa di code interminabili per beni primari come il pane o le uova. Questa scarsità di beni che caratterizzavano la vita quotidiana di gran parte della popolazione romena portavano alla proliferazione del mercato nero, sia di informazioni che di beni materiali. Servus, Reghina sottolinea quanto fosse importante avere amici o conoscenti che lavorassero come camerieri, cuochi, marinai, operai di industrie di medicinali, scarpe e carne66. Altrettanto significativa è la storia di una giovane madre, durante il comunismo, raccontata da Sandra Cordos: qualsiasi cosa servisse al suo bambino doveva procurarsela attraverso una complessa rete di scambi, perché non era possibile acquistarla da nessuna parte67. Adriana Bebeti è l’unica scrittrice che attribuisce una dimensione cosmica a questa situazione. Il suo racconto Sarsanela (traducibile come “la saga delle buste della spesa”) si riferisce ad un epiteto familiare a tutte le 66 67 A. Bittel, Servus, Reghina, Sandro Teti Editore, 2011 p.101. S. Cordos, Din umbra vitorului luminos ,Sandro Teti Editore, p.129. 54 donne romene che hanno vissuto sotto il comunismo. Con acutezza ed umorismo la Bebeti ritrae l’immagine di se stessa mentre si muove avanti e indietro con buste piene di libri, cibo e persino legna in nome della vecchia tradizione delle donne di famiglia68. Anche solo da queste testimonianze, è possibile desumere che le norme scientifiche sull’alimentazione non erano attuabili e non potevano essere rispettate. Dal 1980 la denutrizione fu una condizione cronica per quasi tutta la popolazione in Romania; l’assenza di un adeguato nutrimento per le mamme in gravidanza, sicuramente ha contribuito ad un gran numero di nascite premature, che nel 1989 costituivano il 7,3 %. La distrofia, caratterizzata da un’alimentazione inadeguata, è stata tra le principali cause di mortalità infantile (33,1% morti per 1000 nati vivi)69. Nonostante questi problemi, le statistiche e la propaganda del regime continuavano a mistificare il parto, i figli, la famiglia: “Le statistiche dimostrano che le donne con più figli, nonostante le crescenti richieste per la loro cura ed educazione, son più vigorose e le loro aspettative di vita sono molto più lunghe delle donne sterili. Il parto altera la fisiologia della donna ed i suoi ormoni, a favore della salute femminile. Solo dopo il parto la donna 68 69 A. Bebeti, Sarsanela,Sandro Teti Editore,2011, p.17. G. Kligman, op. cit.,p.142. 55 sboccia nella piena bellezza, inoltre l’allevamento e la cura dei figli portano alla vera soddisfazione della psiche femminile”70. Moduli retorici della propaganda pro-natalista furono utilizzati per mobilitare la popolazione intorno a questioni relative al tasso di natalità, alla crescita della popolazione, al ruolo essenziale delle donne, all’importanza dei bambini e delle famiglie per la costruzione del socialismo e per il futuro della Nazione. La sfera pubblica fu satura di disinformazione, vi fu un grandissimo dislivello tra ciò che veniva sbandierato dalla propaganda, una sorta di paradiso sociale in terra, e ciò che realmente stava accadendo, ossia il progressivo impoverimento della popolazione e della nazione che avrebbe portato, più tardi, al crollo del regime. 70 Ivi,p.145. 56 QUARTO CAPITOLO. LE CONSEGUENZE DI UNA POLITICIZZAZIONE DELLA PROCREAZIONE. I regimi comunisti non hanno operato per cercare soluzioni ai bisogni della società, ma attuando il modello proveniente dall’ideologia marxista, hanno cercato di trasformarla dall’interno col fine di intervenire su di essa71. Questa manipolazione si ritrova nel modus operandi di Nicolae Ceaucescu, una volta salito al potere in Romania. “La politica demografica pro-natalista fu uno dei primi segnali della precisa volontà dello Stato di costruire un socialismo nazionale che unisse la tradizione marxista con quella nazionalista e puntasse a far della Romania un grande Paese, con posizioni autonome anche rispetto all’Unione Sovietica”72. Nel 1965 la Romania deteneva il primato per il più basso tasso di natalità in Europa, il 14,6%, seconda solo all’Ungheria; ciò giustificò l’intervento del nuovo capo del governo al Consiglio Nazionale delle Donne, dove espresse la sua preoccupazione a proposito di tale problematica, sostenendo di voler intraprendere una politica demografica volta a promuovere un incremento delle nascite. 71 72 E. Costantini, op. cit., p.3. Ibidem. 57 Il passo successivo fu quello di istituire una commissione coordinata dal Ministero della salute il cui compito era quello di focalizzare le cause scatenanti di queste circostanze. I risultati di questa ricerca documentarono che il basso tasso di natalità poteva essere causato da un insieme di cambiamenti socio-culturali, in primo luogo l’emancipazione femminile con la conseguente partecipazione delle donne al processo produttivo (condizioni a cui, tra l’altro, il comunismo aveva ampiamente contribuito); di conseguenza vi fu un forte aumento dei divorzi, un calo dei matrimoni e sempre più donne ricorsero all’interruzione di gravidanza73. La commissione avanzò proposte stimolative, alla fine prevalse, tuttavia, l’interpretazione più restrittiva: col decreto n. 770 del 1966 fu vietato il ricorso all’interruzione di gravidanza. Gli effetti ottenuti sul tasso di natalità, tuttavia, non furono quelli desiderati e ciò determinò un’azione governativa ancora più intrusiva nella vita dei cittadini, con lo scopo di controllarne ogni movimento. 73 Ibidem. 58 4.1 CONSEGUENZE SOCIALI DELLA POLITICA LIMITATIVA Diverse furono le conseguenze derivanti dalle nuove normative di tipo limitativo riguardanti il diritto all’interruzione di gravidanza; conseguenze che si riscontrarono sia in ambito sociale che privato ed ancora più aggravate dalla crisi economica che ormai da tempo imperversava in Romania74. “Due milioni di bambini romeni nati a comando nel giro di soli tre anni, ma abbandonati poi a migliaia da famiglie incapaci di allevarli, diecimila donne morte in aborti clandestini, sono tra le conseguenze del decreto n. 770 del 1966 per l’incremento demografico con il quale Ceaucescu vietò alle donne il diritto all’aborto, senza però prevedere per esse qualsiasi forma di educazione sessuale o contraccezione”75. A lungo nascosti dalla propaganda comunista, i drammatici effetti della politica demografica del Regime sono stati rivelati molto recentemente, quasi quarant’anni dopo, in un documentario intitolato: Nati a comando. I figli del Decreto del regista romeno Florin Iepan trasmesso nel 2005. Si tratta di uno dei pochi documentari che si occupa di questa tematica, spesso rimasta ai margini degli interessi degli studiosi. 74 75 Ibidem. A. Iatagan, Ceaucescu voleva tanti figli e vietò l’aborto, Ansa, Bucarest, 18/05/2005. 59 Le donne furono spinte ad avere più figli possibili, il carcere divenne la punizione per quelle che si sottraevano ai doveri patriottici. Esse venivano sorvegliate sul posto di lavoro, la milizia comunista controllava la maternità per trovare le donne che avevano fatto aborti e trovare le persone che le avevano aiutate. Con i controlli sempre più severi, gli aborti vennero eseguiti in posti sempre meno igienici e con metodi rudimentali. Inoltre, “nove su dieci degli arrestati per aver praticato aborti illegali, non erano medici e neanche infermieri; una rinomata designer romena ha raccontato di aver fatto un aborto sul tavolo da cucina, dottori ricordano donne bestemmiare la propria sorte nel dare vita a bambini sgraditi”76. Infermiere parlano di come hanno protetto le donne con gravi complicazioni ostetriche dovute agli aborti clandestini dagli interrogatori della milizia che sorvegliava gli ospedali. Queste sono alcune delle testimonianze riprese dal documentario. Il ricorso da parte di migliaia di donne all’aborto clandestino come unico metodo di controllo del proprio corpo e della propria sessualità, oltre ad esser drammaticamente aggravato dal decreto n. 770 del 1966,si può ricondurre al 1957, allorquando, con la liberalizzazione dell’aborto non fu 76 Ibidem. 60 associata nessuna forma di educazione sessuale né alcun metodo contraccettivo77. Negli anni precedenti al 1966 diversi dibattiti e discussioni si erano svolti in seno alle istituzioni per cercare di ovviare questo problema, ma dopo l’emanazione del decreto sulla limitazione al diritto d’interruzione di gravidanza ogni proposta risolutiva venne messa in disparte e la conclusione fu una totale mancanza di circolazione di pillole anticoncezionali nel paese, unico caso in tutta l’Europa orientale78. Non vi erano leggi in merito, semplicemente vennero vietate le importazioni. Così, anche successivamente al 1966 la possibilità di ricorrere a questo tipo di contraccezione fu limitata79. Gabriela racconta che “spesso le donne si recavano in un paesino ai confini con l’Ungheria che si chiama Carei. Là, con la scusa dei bagni termali, molte si procuravano pillole anticoncezionali provenienti dall’Occidente tramite altre donne, un mercato nero in cui il prezzo di ogni pillola era quasi inaccessibile alla maggior parte di noi”80. Una volta innescato il meccanismo del ricorso da parte di alcune donne all’aborto clandestino, il prezzo di tale procedura arrivò a costare circa 5.000 lei (vale a dire il doppio dello stipendio medio di un medico), ciò fece sì che le donne 77 E. Costantini, op. cit.,p.6. ibidem 79 Ibidem 80 Intervista a Gabriela Badea…cit. 78 61 meno abbienti e con una gravidanza indesiderata, non potendosi permettere di sottoporsi a tale intervento, spesso furono costrette a provocarsi aborti spontanei con metodi tanto pericolosi quanto brutali, senza rispettare alcun tipo di norma igienico - sanitaria.81. Anche gli aborti clandestini erano eseguiti in pessime condizioni igienicosanitarie, ragion per cui in molti casi si andava incontro a gravi complicanze che spesso causavano la morte delle donne; inoltre poteva capitare che, all’insorgere delle complicazioni, molte donne, per paura di ciò che avrebbe comportato la scoperta da parte delle autorità competenti della pratica d’aborto clandestino (ossia l’arresto), non sempre andavano in ospedale per le cure; anche questo meccanismo spesso risultava deleterio e si concludeva spesso col decesso della donna82. Questa situazione è stata recentemente denunciata anche dal film 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni del regista romeno Cristian Mungiu, vincitore nel 2007 del Festival di Cannes. Si racconta la storia di due studentesse universitarie che alloggiano nel dormitorio di una città romena. Gli anni sono quelli che precedono la caduta del Regime Comunista di Ceaucescu, una delle due amiche, rimasta incinta, ha deciso di abortire ed il film si snoda attorno alla sofferenza, non solo per la decisione presa, ma fisica e mentale delle due ragazze, nell’affrontare questa triste esperienza in un 81 82 E. Costantini, op. cit.,p. 6 Ibidem 62 clima di terrore puro, affidatesi tra l’altro ad un medico che si approfitta di loro e che riduce quasi in fin di vita una delle due protagoniste, lasciandola al suo destino in una camera d’albergo. Un film crudo, che però dà una visione chiara di quella che era la realtà vissuta da migliaia di donne in quegli anni in Romania. 4.2 LA MORTALITA’ MATERNA “Tra il 1966 ed il 1989 circa 10.000 donne morirono per complicazioni post–parto”83, ma la cifra molto probabilmente sottovaluta il fenomeno, dal momento che non furono registrati i decessi per aborti clandestini. “Il tasso di mortalità tra le donne è stato di 170/ 10.000 nascite, di cui il 70% per interruzioni di gravidanza, solo nel 1989”84. Come asserisce Kligman, le donne che si sottoponevano a questo tipo di intervento erano soprattutto quelle che appartenevano alla fascia d’età compresa fra i 15 ed i 24 anni (nubili e che volevano evitare una gravidanza indesiderata) e quelle che, già madri di uno o due bambini, non ne avrebbero potuto mantenere altri; in particolar modo quest’ultima categoria di donne fece spesso ricorso a parecchi aborti illegali nel corso della propria vita (Otilia Vieru-Baraboi, nel racconto A-Ha narra, ad esempio, dei 20 aborti di 83 84 Ibidem Ibidem 63 sua madre che avevano portato la donna ad una paralisi permanente85), le complicanze portavano spesso a gravi rischi per la propria salute, nei casi più sfortunati alla morte e di conseguenza a molti orfani86. Nel 1989, in una delle cliniche più grandi di Bucarest, 3.129 donne furono ricoverate per complicanze associate ad aborti effettuati illegalmente87. Dalla lettura di una sezione di file presso il Ministero della Salute, è dolorosamente evidente che molte delle donne morte a causa di aborti clandestini, lasciarono orfani tre o quattro figli; alcune di esse avevano già subito fino a dieci aborti prima della tragica fine88. Secondo Mezei, 1.193 bambini rimasero senza madre solo nel 1989 a causa di aborti illegali ed è ormai accertato che le donne, con già più di un figlio a carico, erano più inclini a cercare soluzioni per interrompere la gravidanza, di donne che invece ancora non avevano partorito. In un recente studio congiunto condotto da diverse istituzioni è stato stabilito che il numero di morti materne a causa di aborto, generalmente aumenta in relazione diretta con il numero di bambini partoriti89. Prendendo in considerazione le donne che in precedenza avevano dato alla luce uno o due bambini ci furono 18 decessi materni per 100.000 nati vivi. 85 O. Vieru-Baraboi, op. cit., p.201. E. Costantini, op. cit., p.7. 87 G. Kligman, op. cit., p.212. 88 Ibidem. 89 Ivi, p.213. 86 64 Invece, se consideriamo le madri con più di tre o quattro figli il numero delle morti si alza: 48 decessi per 100.000 nati vivi; il tasso di morte per le donne con più di quattro figli era ancora più elevato: 67 decessi per 100.000 nati vivi90. Blayo, un famoso demografo francese, stimò che nel 1988 ci fossero stati 204 decessi ogni 100.000 aborti dichiarati in Romania. Nello stesso anno, in Russia se ne registrarono 10 ogni 100.000; in Francia i dati mostravano una variazione tra lo 0,5 e 1 decesso per 100.000 aborti dichiarati nello stesso anno91; in Romania l’aborto fu la causa primaria delle morti materne. La pratica dell’aborto funzionò da importante metodo di controllo della fertilità e, a quanto pare, da caratteristica naturale della riproduttività delle donne. Un comune denominatore dei racconti che narrano della pratica dell’aborto illegale è il fatto che ogni scrittrice ne parla quasi sempre di sfuggita, nessun racconto si focalizza in modo specifico sul ricordo del dramma di una donna . Per esempio Chiar aşa?92 (Davvero?), un’opera di Rodica Binder, parla di due amiche che erano morte dopo un aborto praticato male, entrambe erano sposate e una aveva dei figli. La scrittrice narra anche della segretezza che 90 Ibidem. Ibidem. 92 R. Binder, Chiar aşa?, Sandro Teti Editore, 2011,pp.75-88. 91 65 aveva circondato la morte di almeno una di queste donne e sottolinea un aspetto importante che accompagna sia le due storie che tutte le ricerche compiute sul tema: che queste tragedie derivavano da un “disastro collettivo”93. Il disastro iniziale (la visione del regime e il divieto contro l’aborto) si ripercuoteva su un disastro ancora più grande, ossia la morte di molte donne e la nascita di sempre meno bambini. In X şi Y (X e Y), di Iulia Popovici, si descrivono i numerosi aborti a cui sua zia si era sottoposta e che le avevano completamente danneggiato i reni, a tal punto da non permetterle più di portare a compimento una gravidanza. La scrittrice sottolinea anche che gli aborti di sua zia costituivano il grande segreto di famiglia94. In un’ altra opera: HoRor! Cool! Simona Popescu cita molti aneddoti: “Adela, la ragazza più bella della classe” presumibilmente era morta a causa di un aborto illegale; un’altra compagna era rimasta incinta e in qualche modo era riuscita a rimettere in sesto la sua vita. E’ importante sottolineare l’atteggiamento assunto involontariamente dalla scrittrice nei riguardi del racconto, che potrebbe essere considerato sintomatico per la distruzione dei rapporti umani all’interno della società comunista: “Non so affatto come l’abbiano affrontato. Non l’ho mai chiesto”.95 In un’atmosfera di paura che suscitava sospetti e falsità, la gente tendeva sempre di più a rimanere 93 Ivi, p.75. I. Popovici, X şiY,Sandro Teti Editore, 2011,p.219. 95 S. Popescu, op. cit., p.212. 94 66 impigliata in una rete di menzogne e inganni96. Così, per non essere ritenuta responsabile da uno stato dispotico, la maggior parte della gente faceva ogni possibile sforzo per non sapere e ancora di più per mascherare ciò che sapeva. Nel racconto di Doina Ruşti intitolato Ginecologii mei la scrittrice ci riferisce di come un’emorragia aveva fatto nascere sospetti di aborto, dando al ginecologo non solo il diritto di ordinarle un controllo, ma anche di farla sottoporre ad un raschiamento conclusivo sotto stretta sorveglianza di “ un uomo vestito di nero facente parte della Procura”97. Lo stato era onnipresente nella vita delle donne romene e proprio come quell’uomo vestito di nero, tale presenza suscitava paura. Che la loro vita, come d’altronde la morte, fosse una proprietà dello stato e ogni sorta di trasgressione fosse severamente punita, era una verità riconosciuta ormai da chiunque. 4.3 IL FENOMENO DELL’ ABBANDONO MINORILE “Migliaia di bambini abbandonati dalle famiglie troppo povere per crescere quattro o cinque figli, come desiderava il regime comunista, sono un’altra conseguenza dolorosa del decreto n. 770, contro il quale le autorità romene devono ancora lottare. I bambini abbandonati all’epoca Ceaucescu 96 97 G. Kligman, op. cit., p.242. D. Rusti, Ginecologii mei, Sandro Teti Editore, 2011,p.256 67 spesso furono dimenticati in orfanotrofi insalubri, senza cure mediche e cibo sufficiente, solo per non morire”98. Con una parte importante della popolazione che tutt’oggi vive sotto la soglia della povertà, con metodi contraccettivi molto cari e mancanza di educazione sessuale, specialmente nei piccoli villaggi del paese, i rapporti delle organizzazioni non governative indicano che migliaia di bambini sono tuttora abbandonati ogni anno in Romania; un recente rapporto Unicef indica in circa 4000 i neonati romeni abbandonati nel 2004 subito dopo la nascita; la cifra rappresenta l’1,8% di tutte le nascite del 2004 in Romania, dove la situazione dei neonati abbandonati è rimasta altrettanto grave come trent’anni fa, afferma lo studio99. Dall’1 gennaio 2005, la Romania dispone per la prima volta di una legge sulla protezione e i diritti dei bambini in accordo con le norme internazionali, che hanno posto fine alla pratica delle adozioni internazionali di gran moda nell’ultimo ventennio. Gail Kligman sostiene che “molti di questi bambini non voluti dalle loro famiglie, furono abbandonati alla famiglia dello stato che li aveva chiesti”100. 98 A. Iatagan, op. cit. Ibidem. 100 G. Kligman, op. cit., p.225. 99 68 Anche se non esistono statistiche ufficiali, alcune stime sulle istituzionalizzazioni dei bambini nel 1990 offrono numeri compresi tra le 100.000 e le 150.000 unità101. Le speranze del regime riguardo all’aumento del tasso di natalità, che avrebbe dovuto esserci dopo l’azione legislativa compiuta tra la metà degli anni Sessanta e la metà degli Ottanta, furono disilluse; infatti solo nei due anni successivi all’emanazione del decreto n. 770 vi fu un aumento delle nascite, ragion per cui il fenomeno dell’abbandono dei bambini romeni è solo in parte addebitabile all’incremento demografico. Sembra più veritiero credere che tutto ciò fu dovuto ad un tracollo della politica sociale ed in particolare al fallimento degli incentivi alla natalità messi in atto dal regime, infatti la maggior parte delle famiglie che usufruivano delle agevolazioni governative erano le meno abbienti e le basse cifre degli assegni mensili portarono queste ad abbandonare i figli che non avevano la possibilità di mantenere102. Il regime tentò di porre rimedio all’emergenza dei bambini abbandonati con la creazione di strutture adibite ad essi; sotto la direzione del Ministero della Salute furono organizzati i cosiddetti orfelinate (orfanotrofi). In questi centri venivano custoditi i bambini più piccoli (da uno a tre anni); poi, dai tre anni in su, i minori erano trasferiti in altre strutture, divisi per età e per condizioni psico-fisiche; uno tra i tanti traumi subiti dai bambini era il fatto 101 102 E. Costantini, op. cit.,p.7. Ibidem. 69 che non veniva presa in nessuna considerazione la presenza di legami familiari nelle stesse condizioni103. “I bambini senza problemi di ordine fisico o psicologico dai quattro ai diciotto anni erano portati nelle: case dei bambini, gestite dal Ministero del Lavoro per poi essere trasformati in cittadini produttivi”104. Tutto ciò portò a gravi conseguenze psicologiche causate da questo brusco processo di sradicamento dall’ambiente in cui i bambini erano nati, dallo strappo dai legami familiari, da abusi di cui spesso erano vittime e anche dal progressivo deterioramento del numero e della professionalità del personale di queste strutture105; negli anni Ottanta il numero di abbandoni crebbe talmente velocemente che il numero dei letti negli orfanotrofi era inferiore a quello dei bambini che dovevano ospitare106. Un aspetto che fu accuratamente nascosto fu la diffusione dell’AIDS tra i bambini romeni abbandonati, aspetto che fu divulgato, dopo il 1989, da organi di informazione occidentali. Dai risultati di diversi studi compiuti nei primi anni Novanta risulta che le principali cause di questa situazione furono l’uso di materiale medico non sterile e le trasfusioni di sangue non analizzato107. 103 Ibidem. G. Kligman, op. cit., p.216. 105 E. Costantini, op. cit., p.7. 106 G. Kligman, op. cit., p.215. 107 Ivi,p.224. 104 70 4.4 LA MORTALITA’ INFANTILE Analizzando un altro aspetto riguardante le conseguenze della politica pro–natalistica di Ceaucescu, la mortalità infantile, si può sostenere che, nel corso degli anni del governo comunista in Romania, diminuì notevolmente: nel 1948, ad esempio, ci furono 142,7 morti per ogni 1.000 nati vivi, nel 1989 tale numero scese a 26,9 morti per ogni 1.000 nati vivi. Confrontando i dati romeni con quelli di altri paesi europei, comunque la Romania risulta essere il paese con il più alto tasso di morti infantili: nel 1989 , in Ungheria, il tasso di mortalità infantile fu di 15, 7 morti per 1.000 nati vivi, in Bulgaria fu di 13,6 morti ogni 1.000 nati vivi108. E’ difficile attribuire la causalità diretta di questi dati, soprattutto in un contesto di peggioramento delle condizioni socio – economiche. Durante i mesi invernali, la mancanza di riscaldamento costituì una minaccia alla sopravvivenza dei neonati; i pediatri spesso avvertivano la popolazione dei rischi che le rigide temperature avrebbero potuto apportare alla salute dei figli. Tuttavia, tra le cause principali delle morti infantili in Romania si annoverano: la malnutrizione, disturbi respiratori e malattie congenite; in particolare, erano a rischio i bambini le cui madri avevano più di quarant’anni d’età, i neonati che pesavano meno di 5,47 libre alla nascita ed i nati nelle zone rurali (nel 1988 la mortalità infantile nelle aree rurali fu di 108 Ivi, p.219. 71 27,8 morti su 1.000 nati vivi; nelle città ,invece, fu di 23 morti su 1.000 nati vivi)109. 109 Ivi, p.219. 72 QUINTO CAPITOLO LA MATERNITA’, CROCE E DELIZIA DEL GENERE FEMMINILE Come ho asserito precedentemente, il comunismo aveva cercato di confiscare il corpo delle donne allo scopo di edificare una società socialista e assicurarne la continuità. Questo era stato reso possibile grazie all’introduzione nel 1966 del decreto n. 770, che aveva soppresso di colpo l’aborto legale, fino a quel momento consentito. L’atteggiamento dello stato nei confronti delle donne e della maternità può essere suddiviso in tre fasi. Innanzitutto, subito dopo il 1966 le donne venivano osannate come madri perfette, mentre la propaganda sommergeva l’intera società con slogan sul ruolo speciale e sulla nobile missione delle donne. Nella seconda fase, negli anni Settanta, le donne erano necessarie come forza lavoro nel paese e quindi venivano incoraggiate a partecipare alla sua vita politica, sociale ed economica, pur rimanendo nell’ambito della politica riproduttiva dello stato. Questo è il periodo in cui aveva iniziato a diffondersi la falsa uguaglianza di cui ho parlato prima. La terza fase, individuata da Kligman, comincia negli anni Ottanta e nasce dall’incapacità del governo di ridurre la pratica degli aborti illegali e di favorire le nascite. Questa fase inoltre vede l’avvento di 73 una repressione su ampia scala mascherata da propaganda in favore della natalità110. O poveşte de o fată (Storia di una ragazza)111 di Mihaela Ursa ed il già citato A – ha di Otilia Vieru-Baraboi descrivono, sia pure da un punto di vista radicalmente diverso, il ruolo della madre visto attraverso gli occhi della figlia. L’immagine che prende forma dai ricordi di Ursa è quella della mamma-eroina. La scrittrice ricorda gli sforzi di sua madre nel tentativo di coniugare vita pubblica e privata, vale a dire, allevare i figli e infondere loro i giusti valori e prendere parte attiva al mondo lavorativo. Quello che emerge è l’ammirazione che la scrittrice nutre per gli sforzi di sua madre: si precipita a casa per allattare la figlia, era una perfetta educatrice, tuttavia quello che traspare dalle righe del racconto è l’impegno che sua madre aveva dovuto assumersi nell’allevarla ed il fatto che sembrasse accettare un fardello simile senza lamentarsi. Da questa prospettiva, l’immagine di questa madre si conformava e aderiva alla propaganda comunista. Completamente diversa è l’immagine della madre che traccia Otilia Vieru-Baraboi: quella di una donna, fisicamente e mentalmente, malata. 110 111 Ivi, p.134. M. Ursa, O poveşte de o fată, Sandro Teti Editore, 2011,pp.277-294 74 Costretta a letto, coltivava la sua delusione verso il suo rapporto personale con Ceaucescu, che le aveva promesso un viaggio al Felix Springs and Spa a scopi terapeutici. Questa delusione era così forte da costringere l’intera famiglia a inventare persino storie e personaggi immaginari. Ad un certo punto della narrazione, l’autrice stessa confessa di aver avuto seri problemi a distinguere la delusione dalla realtà. Si tratta quasi di un’incarnazione su piccola scala dell’irrazionalità che aveva sopraffatto la società romena durante il regime di Ceaucescu, quando il timore di essere consegnati alla Securitate era una possibilità imminente. L’atteggiamento della società nei confronti dei malati rappresenta anche una dimostrazione della realtà; nella società comunista il corpo era valutato positivamente a patto che fosse sano e abile: “dal momento che solo le persone sane uscivano per fare una passeggiata nelle strade appena asfaltate del paese, operai delle fabbriche del futuro dove veniva progettato il prototipo dell’uomo moderno, mia madre doveva essere nascosta. La sua paralisi incurabile costituiva un gesto di sfida nei confronti della medicina di stato.”112 Quando il corpo disabile è quello di una donna la sfida è doppia: è infatti giudicata una madre inadeguata ed una lavoratrice altrettanto inadatta. L’autrice tiene a precisare che sua madre non era affatto quella mammaeroina la cui immagine veniva proposta dalla propaganda del partito. 112 O. Vieru-Baraboi, op. cit.,p.299. 75 Oltre al ruolo che il corpo disabile assumeva all’interno di un regime socialista così fortemente impegnato nell’ingegneria sociale, la condizione che affliggeva la madre di Otilia Vieru-Baraboi le offriva però una posizione di vantaggio rispetto alle altre donne: la possibilità di aborti legali. 76 CONCLUSIONI Dopo ventitré anni di vita sotto il regime di Ceaucescu e quarantadue anni di comunismo la libertà e la democrazia sono ritornate in Romania. Tuttavia, anche dopo la caduta del comunismo, la posizione ambigua del regime sulle questioni di genere, un regime che proclamava la parità fra i sessi, ma relegava il potenziale delle donne al ruolo di madri e operaie, sta continuando a condannare atre generazioni di donne per le quali concetti come ‘questioni di genere’ e ‘femminismo’ suonano tanto strane quanto difficili da impiegare, perché comportano una presa di posizione, che è proprio quello che il comunismo ha sabotato. L’esperienza romena nel periodo della dittatura di Ceaucescu ha dimostrato che il comportamento privato delle donne riesce comunque a prevalere nonostante politiche pubbliche fortemente restrittive, prescindendo da rischi personali o costi per la salute. Subito dopo la caduta del regime vennero immediatamente revocati i severi divieti riguardanti l’accesso ad interruzioni di gravidanza, ma molto resta tutt’oggi da fare per quanto riguarda la disponibilità e l’accesso ai moderni contraccettivi, dimostrato che una contraccezione efficace è , probabilmente, l’unico metodo per evitare la 77 dipendenza dall’aborto. TABELLE E GRAFICI 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 BIBLIOGRAFIA Ceaucescu, Scritti Scelti,Editori Riuniti, Roma, 1978 Compagne di viaggio.Racconti di donne ai tempi del comunismo, a cura di Radu Pavel Gheo e Dan Lungu, Sandro Teti Editore, 2011 Dennis Deletant, Romania under Communist Rule, The Center for Romanian Studies, 1999 Emanuela Costantini, I figli del Regime. La Politica Demografica del Regime Ceaucescu e le sue conseguenze, Edizioni Rux, Perugia (in corso di pubblicazione) Francesco Guida, Romania, Unicopli, 2009 Gail Kligman, The Politics of Duplicity, University of California Press Berkeley 94720, Berkeley, 1998 Georgeta Dan – Spinoiu, Factori obiectivi si subiectivi in integrarea profesionala a femeii, Editura Academiei Republicii Socialiste Romania, Bucarest,1975 Henry p. David, Family Planning and Abortion in the Socialist Countries of Central and Eastern Europe, The Population Council, New York , 1970 101 Henry P. David, Robert J. 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