Gli inizi

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Gli inizi
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Gli inizi
La seconda guerra mondiale e il periodo dell’immediato dopoguerra provocarono il
maggiore esodo di popolazione della storia moderna. Nel maggio 1945 si valutava in
oltre 40 milioni il numero degli esuli in Europa, senza contare i tedeschi fuggiti
davanti all’avanzata dell’armata sovietica, ad est, e nella stessa Germania gli stranieri
costretti ai lavori forzati. C’erano, inoltre, all’incirca 13 milioni di persone di origine
tedesca (Volksdeutsche), espulse nei mesi successivi dall’Unione sovietica e poi note
col nome di espulsi (Vertriebene). Altri 11,3 milioni di lavoratori forzati e di sfollati
furono trovati dagli alleati adibiti a lavori vari sul territorio dell’ex Reich tedesco 1.
In aggiunta a queste persone, oltre un milione di russi, ucraini, bielorussi, polacchi, estoni, lettoni, lituani e persone di altre nazionalità fuggirono dal dominio comunista, quando apparve chiaro che il nuovo leader, Josef Stalin, stava imponendo un
nuovo totalitarismo. Nel frattempo, la guerra civile in Grecia e altri conflitti
nell’Europa sudorientale, scoppiati dopo la ritirata nazista, cominciavano a generare
decine di migliaia di rifugiati. Anche fuori d’Europa, durante la guerra si erano avuti
massicci esodi di popolazione. Fra di essi quello di milioni di cinesi, trasferiti in zone
controllate dalle forze giapponesi in Cina 2.
Furono, però, i movimenti di popolazione da un capo all’altro del continente
europeo, tragicamente devastato dalla guerra, a preoccupare di più le potenze alleate.
Molto tempo prima della fine della guerra, queste erano già consapevoli del fatto che
la liberazione dell’Europa avrebbe comportato la necessità di far fronte a massicci
sconvolgimenti. Nel 1943 fu quindi creata l’Amministrazione delle Nazioni Unite per
i soccorsi e la ricostruzione (Unrra), sostituita nel 1947 dall’Organizzazione internazionale per i rifugiati (Iro). Nel presente capitolo si esamina l’attività di questi organismi, diretti predecessori dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati
(Unhcr o, con sigla italiana, Acnur). Si descrive quindi l’evoluzione che ha portato alla
creazione, nel 1950, dell’Unhcr, come pure all’adozione, nel 1951, della Convenzione
delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati, divenuta da allora la pietra angolare della protezione internazionale degli esuli. Nel capitolo si analizza, infine, la risposta dell’Unhcr alla sua prima grande sfida: l’esodo di 200mila persone dall’Ungheria,
a seguito della repressione da parte delle forze sovietiche della rivoluzione del 1956.
L’Unrra
Nel novembre 1943, ancor prima della fine della seconda guerra mondiale e dell’istituzione formale, che sarebbe avvenuta solo nel giugno 1945, delle Nazioni Unite, gli alleati (compresa l’Unione sovietica) creavano l’Amministrazione delle Nazioni Unite per i
soccorsi e la ricostruzione (Unrra). Dotata di un ampio mandato – collaborare ai soc-
I RIFUGIATI NEL MONDO
Questi rifugiati dell’Europa orientale, ospitati in un campo in Germania, erano fra milioni
di senzatetto alla fine della
seconda guerra mondiale. (UNHCR/1953)
corsi e alla ricostruzione delle regioni devastate –,
l’Unrra non fu creata specificamente come agenzia
per i rifugiati: assisteva tutti coloro i quali erano
stati costretti dalla guerra ad abbandonare le loro
case, e non solo i rifugiati fuggiti dai loro paesi.
Nel 1944-45, l’Unrra fornì aiuti d’emergenza a
migliaia di rifugiati e sfollati nelle regioni controllate dagli Alleati, anche se l’Unione sovietica non le
consentiva di operare nei territori sotto il suo controllo. Fino alla fine della guerra in Europa, nel
maggio 1945, l’Unrra lavorò in stretta collaborazione con le forze alleate, che fornivano l’appoggio
logistico e materiale. A metà del 1945, l’Unrra
disponeva di oltre 300 squadre sul terreno.
Finita la guerra, l’Unrra si concentrò in larga
misura sul rimpatrio: la maggioranza dei profughi
di guerra, infatti, erano impazienti di tornare alle
loro case. Anche i paesi che avevano dato asilo a un
gran numero di rifugiati, come la Germania,
l’Austria e l’Italia, desideravano un loro rapido rimpatrio. Inoltre, gli accordi conclusi nelle conferenze
di Yalta e Potsdam, nel 1945, prevedevano il sollecito rientro dei cittadini sovietici nel loro paese.
Fra maggio e settembre del 1945, l’Unrra
collaborò al rimpatrio di qualcosa come sette
milioni di persone 3. Come ha osservato uno storico, tuttavia, l’Unrra fu costantemente frustrata
dalla propria subordinazione alle forze alleate:
L’Unrra si vide svuotata di prestigio e privata di ogni
capacità di azione autonoma... Nel vuoto creato nei
primi tempi dalla palese impreparazione dell’organizzazione davanti all’immensità del compito, i militari si incaricarono di buona parte dell’attività a favore dei rifugiati. I soldati, però,
sembravano altrettanto poco qualificati per occuparsi dei profughi, e in particolare di quelli di
loro, sempre più numerosi, che non potevano o non volevano rimpatriare. Bruschi e ansiosi di
smaltire il loro lavoro, gli amministratori militari vedevano in molti casi i rifugiati come un
fastidio di cui sbarazzarsi 4.
L’operazione rimpatrio divenne sempre più controversa, in particolare col crescere dell’opposizione al rimpatrio stesso. Fra coloro che, durante tale periodo, erano stati
rapidamente rimpatriati vi erano circa due milioni di cittadini sovietici, molti dei
quali, specie gli ucraini e gli abitanti dei paesi baltici, non volevano ritornare. Molti di
loro finirono poi nei campi di lavoro staliniani. Gli abitanti dei paesi dell’Europa
orientale furono fatti rimpatriare meno rapidamente. Pure molti di loro non desideravano far ritorno in paesi che si trovavano ora sotto un governo comunista. Molti,
però, furono rimandati in patria, con scarso rispetto per i desideri da loro espressi.
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Gli inizi
Riquadro 1.1
Nansen e McDonald
L’Unhcr iniziò ad operare dopo la
seconda guerra mondiale, ma delle
iniziative internazionali concertate per
assistere i rifugiati erano di fatto state
avviate già fra le due guerre. Fra il
1919 e il 1939, violenti conflitti e
turbolenze politiche avevano sradicato,
nella sola Europa, oltre cinque milioni
di persone, fra cui russi, greci, turchi,
armeni, ebrei e repubblicani spagnoli.
Nel periodo fra le due guerre, due dei
più importanti pionieri dell’azione
internazionale in favore degli esuli
furono i primi due Alti Commissari per i
rifugiati, nominati dalla Società delle
Nazioni: il norvegese Fridtjof Nansen
(1921-30) e lo statunitense James
McDonald (1933-35). Pur avendo punti
di vista differenti sul modo di
affrontare il problema, entrambi
esercitarono una profonda influenza
sulle successive iniziative internazionali
per la protezione dei rifugiati.
Fridtjof Nansen
Lo sforzo internazionale di assistere i
rifugiati ebbe avvio nell’agosto 1921,
quando il Comitato internazionale della
Croce rossa chiese alla Società delle
Nazioni di soccorrere oltre un milione di
russi, costretti all’esodo a causa della
guerra civile, molti dei quali soffrivano
per la carestia. La Società rispose
nominando Fridtjof Nansen, famoso
esploratore polare, in qualità di “Alto
Commissario per conto della Società delle
Nazioni per il problema dei rifugiati russi
in Europa”. Più tardi, le sue competenze
furono estese ai rifugiati greci, bulgari,
armeni e ad altri gruppi.
Nansen si assunse la gravosa
responsabilità di definire lo status
giuridico dei rifugiati russi e di
organizzare il loro inserimento
lavorativo nei paesi ospitanti, oppure il
loro rimpatrio. Per svolgere tale enorme
compito, la Società delle Nazioni gli
assegnò 4mila sterline. In breve tempo,
Nansen riunì dei collaboratori,
costituendo quella che sarebbe
diventata la struttura di base
dell’Unhcr: l’Ufficio dell’Alto
Commissario a Ginevra, con
rappresentanti locali nei paesi
ospitanti. Per reperire adeguate
possibilità di lavoro per i rifugiati,
Nansen operò in stretta collaborazione
con l’Organizzazione internazionale del
lavoro, aiutando qualcosa come 60mila
rifugiati a trovare un’occupazione.
Nansen dedicò particolare attenzione
alla protezione giuridica, convocando
una conferenza internazionale che
portò alla creazione di documenti di
viaggio e d’identità per i rifugiati, noti
come “passaporti Nansen”. Dopo il
fallimento delle trattative con l’Unione
sovietica per il rimpatrio degli esuli
russi, Nansen propugnò l’adozione di
ulteriori misure, per garantire ai
rifugiati uno status giuridico certo nel
paese ospitante. Quei primi atti
giuridici costituirono poi la base delle
due Convenzioni sulla materia, adottate
nel 1933 e nel 1951.
Nel 1922, Nansen dovette far fronte a
un’altra crisi: l’esodo di quasi due
milioni di rifugiati durante la guerra
greco-turca. Si recò immediatamente
nella regione, per partecipare al
coordinamento degli interventi
internazionali di assistenza. Durante la
visita in Grecia, Nansen sottolineò il
dovere di neutralità dell’Alto
Commissario nelle controversie
politiche. Benché a titolo personale
attribuisse alla Turchia la responsabilità
della crisi, distribuì gli aiuti sia ai
rifugiati greci che a quelli turchi e
incontrò esponenti di entrambe le
parti. In ultimo, la Società delle
Nazioni lo incaricò di occuparsi
dell’insediamento, nella Tracia
occidentale, dei rifugiati di etnia greca
provenienti dalla Turchia. Nansen spese
buona parte degli ultimi anni di vita
cercando di lanciare un prestito per il
reinsediamento dei rifugiati armeni
presenti nell’Unione sovietica: un
obiettivo che però non riuscì a
realizzare, a causa di una forte
opposizione anticomunista.
Nel 1922, in riconoscimento della sua
opera, Nansen ricevette il premio Nobel
per la pace. Dopo la sua morte,
avvenuta nel 1930, la sua azione fu
portata avanti dall’Ufficio internazionale
Nansen. A partire dal 1954, l’Unhcr
conferisce ogni anno una medaglia che
porta il suo nome a individui o gruppi
di persone che si siano particolarmente
messi in luce per la loro opera a
beneficio dei rifugiati.
James McDonald
Negli anni ’30, la comunità
internazionale dovette affrontare
l’enorme problema dell’esodo di rifugiati
dalla Germania nazista. La Società delle
Nazioni, pur rifiutando di finanziare
direttamente l’assistenza, nominò lo
statunitense James McDonald,
professore e giornalista, al posto di
“Alto Commissario per i rifugiati (ebrei e
altri) provenienti dalla Germania”. Fra
il 1933 e il 1935, McDonald si battè
contro le restrizioni all’immigrazione
poste in atto in tutto il mondo, per
organizzare il reinsediamento dei
rifugiati ebrei. La sua azione fu
particolarmente utile per coordinare
le attività delle agenzie volontarie,
che fornirono la maggior parte dei
finanziamenti necessari per
l’assistenza. Nei due anni in cui fu
Alto Commissario, contribuì a
sistemare 80mila rifugiati in
Palestina e in altre parti del mondo.
Nel settembre 1935, McDonald
affrontò il suo compito più
impegnativo allorché i nazisti
adottarono le leggi di Norimberga,
che privavano gli ebrei della
cittadinanza e del diritto di voto.
Per di più, i nazisti incoraggiavano i
tedeschi a licenziare i dipendenti
israeliti e a boicottare le imprese
ebree. Via via che si inaspriva la
persecuzione, un’ondata di rifugiati
cominciò ad abbandonare il paese.
Scoraggiato per l’azione poco incisiva
della Società delle Nazioni, McDonald
si dimise il 27 dicembre 1935. In una
lettera cui la stampa internazionale
diede ampio rilievo, avvertiva:
Quando le politiche nazionali
minacciano di demoralizzare degli
esseri umani, le considerazioni
ispirate alla correttezza diplomatica
devono cedere il passo, davanti a
quelle dettate dai principi umanitari.
Sarei un vile se non richiamassi
l’attenzione sulla situazione reale, e
se non mi appellassi all’opinione
pubblica mondiale perché agisca,
tramite la Società delle Nazioni e i
suoi stati membri, per evitare le
tragedie in corso e quelle che
incombono su di noi i.
Malgrado gli sforzi di McDonald, il
suo appello per un intervento diretto
in Germania rimase inascoltato,
mentre la Società delle Nazioni
continuava a considerare il
trattamento riservato dalla Germania
agli ebrei come una questione
puramente interna. Nonostante il
fallimento dei suoi tentativi,
McDonald si affermò come un
sostenitore ante litteram
dell’esigenza di una risoluta azione
politica per affrontare alla radice le
cause degli esodi di rifugiati.
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I RIFUGIATI NEL MONDO
Sebbene, in un primo tempo, i paesi occidentali non si rendessero conto di quello che
succedeva a molti di quanti erano stati rimpatriati con la forza, il governo degli Stati
Uniti, in particolare, venne a criticare sempre più tali rimpatri.
Nel 1946 era ormai in corso un vivace dibattito circa l’opportunità o meno che
l’Unrra prestasse assistenza a chi non desiderava rimpatriare. I paesi del blocco orientale sostenevano che l’assistenza doveva essere fornita solo agli esuli che tornavano alle
loro case. I paesi del blocco occidentale, dal canto loro, ribadivano l’esigenza che i singoli individui fossero liberi di decidere se rimpatriare o meno, e che tale scelta non
dovesse pregiudicare il loro diritto all’assistenza. Da parte sua, il governo americano
denunciava la politica di rimpatrio dell’Unrra e i suoi programmi di aiuto alla ripresa
e alla ricostruzione nei paesi del blocco orientale, affermando che servivano solo a
rafforzare la dominazione politica sovietica sull’Europa orientale 5.
La riluttanza dei rifugiati a far ritorno ai paesi d’origine continuò a costituire un
grosso problema, che avrebbe caratterizzato gli anni del dopoguerra. Anche in seno
alle Nazioni Unite, il rimpatrio divenne un serio problema politico, uno dei temi più
controversi discussi dal Consiglio di sicurezza, nei suoi primi anni di esistenza. Il
dibattito stava al centro del profondo conflitto ideologico che in quel tempo divideva
l’Est e l’Ovest. Si trattava di sapere se ognuno dovesse avere il diritto di scegliere il proprio paese di residenza, di fuggire l’oppressione e di esprimere le proprie opinioni.
Alla fine, il governo statunitense, che forniva il 70% del bilancio dell’Unrra e
buona parte dei suoi dirigenti, rifiutò di prorogarne il mandato al di là del 1947 e di
erogare ulteriori finanziamenti. Al suo posto, e di fronte alla risoluta opposizione dei
paesi del blocco orientale, gli Stati Uniti esercitarono forti pressioni per la creazione
di una nuova organizzazione per i rifugiati, con un diverso orientamento.
L’Organizzazione internazionale per i rifugiati
L’Organizzazione internazionale per i rifugiati (Iro) fu istituita nel luglio 1947 come
agenzia specializzata non permanente delle Nazioni Unite. Al momento della creazione, si prevedeva che il suo programma triennale sarebbe stato interamente realizzato
entro il 30 giugno 1950.
Sebbene le sue attività fossero limitate all’assistenza ai rifugiati europei, l’Iro fu il primo
organismo internazionale a occuparsi in modo completo di tutti gli aspetti del fenomeno
dei rifugiati. Nelle sue funzioni rientravano il rimpatrio, l’identificazione, la registrazione
e la classificazione, l’assistenza, compresa quella sanitaria, la protezione giuridica e politica, il trasporto, il reinsediamento dai paesi d’asilo verso i paesi terzi e il reinserimento.Tale
molteplicità di funzioni, tuttavia, mascherava un chiaro mutamento di indirizzo: da una
politica di rimpatrio, come quella attuata dall’Unrra, a una di reinsediamento.
L’Atto costitutivo dell’Iro affermava, fra l’altro, che l’obiettivo principale dell’organizzazione era quello di “incoraggiare e assistere il sollecito ritorno [dei rifugiati]
nel paese di cui hanno la cittadinanza, o in quello in cui risiedevano abitualmente” 6.
Tale affermazione era ridimensionata, però, dalla risoluzione dell’Assemblea generale
istitutiva dell’Iro, che dichiarava che “nessun rifugiato o esule [che formuli valide
obiezioni] può essere costretto a tornare nel proprio paese d’origine” 7.
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Gli inizi
In Germania, nel 1950, profughi in fila negli uffici dell’Organizzazione internazionale per i rifugiati, nella speranza di essere
reinsediati in un nuovo paese. (IRO/1950)
Questo spostamento di accento, dal rimpatrio al reinsediamento, suscitò le critiche dei paesi del blocco orientale, i quali sostenevano che il reinsediamento costituiva un mezzo per procurarsi una fonte di manodopera prontamente disponibile, come
anche per offrire rifugio a gruppi sovversivi che avrebbero potuto minacciare la pace
nel mondo. In concreto, l’Iro collaborò al rimpatrio di appena 73mila persone, contro oltre un milione che aiutò invece a reinsediarsi in paesi terzi. La maggioranza di
questi si trasferirono fuori d’Europa: negli Stati Uniti, che accolsero più del 30% del
totale; in Australia, Israele, Canada, nonché in vari paesi latinoamericani.
Apparve chiaro che gli anni ’50 avevano aperto una nuova era di emigrazione.
Una delle motivazioni per cui venivano ammessi i rifugiati stava nei benefici economici che potevano portare con sé, rivitalizzando le economie attraverso la disponibilità di lavoratori. I governi occidentali sostenevano che la dispersione dei rifugiati in
tutto il mondo avrebbe favorito una più equa distribuzione della popolazione, decongestionando l’Europa e recando benefici alle “democrazie d’oltremare”, sottopopolate e meno sviluppate 8.
L’Iro non fu in grado, tuttavia, di dar soluzione al problema dei rifugiati. Alla fine
del 1951, rimanevano in Europa all’incirca 400mila esuli, e l’organizzazione chiuse i
battenti ufficialmente nel febbraio 1952 9. Esisteva un ampio accordo sulla necessità di
continuare la cooperazione internazionale per far fronte al fenomeno dei rifugiati, ma
un profondo disaccordo sugli obiettivi da raggiungere. I paesi del blocco comunista
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I RIFUGIATI NEL MONDO
Gli esuli provenienti da campi profughi in Austria, Germania e Italia s’imbarcano su una nave noleggiata
dall’Organizzazione internazionale per i rifugiati, per cominciare una nuova vita negli Stati Uniti. (UNHCR/1951)
non risparmiavano le recriminazioni per il modo in cui l’Iro era stata, a loro modo di
vedere, strumentalizzata dai paesi del blocco occidentale. Gli Stati Uniti, da parte loro,
si erano stancati di fornire quasi i due terzi dei finanziamenti di un’organizzazione che
costava più di tutte le altre istituzioni delle Nazioni Unite messe asssieme.
La creazione dell’Unhcr
La fine degli anni ’40 aveva visto un irrigidimento della polarizzazione della guerra fredda, che avrebbe dominato le relazioni internazionali per i quattro decenni
successivi. Il blocco di Berlino del 1948-49 era stato seguito, in rapida sequenza,
dall’esplosione della prima bomba atomica sovietica, dalla fondazione di due stati
tedeschi separati, dalla creazione dell’Organizzazione del trattato nordatlantico
(Nato), dalla vittoria di Mao Zedong in Cina e dall’inizio, nel 1950, della guerra
di Corea. Era apparso sempre più chiaro che il problema dei rifugiati non era un
fenomeno temporaneo del dopoguerra. Nuove crisi generavano nuovi esodi di
rifugiati, come era avvenuto a seguito dell’avvento al potere dei comunisti, in paesi
che andavano dalla Cecoslovacchia alla Cina. Nello stesso periodo, la cortina di
ferro fra l’Europa orientale e quella occidentale limitava il movimento delle persone fra i due blocchi.
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Gli inizi
Le tensioni ideologiche proprie della guerra fredda caratterizzarono i negoziati per la
creazione, nell’ambito delle Nazioni Unite, di un nuovo organismo per i rifugiati. Questa
era stata proposta da varie parti, e anche dal Comitato internazionale della Croce rossa
(Cicr). L’Unione sovietica, seguita dai suoi stati satelliti, boicottò completamente buona
parte delle trattative, ma anche fra le potenze occidentali esistevano profonde divergenze. Gli
Stati Uniti volevano un’agenzia temporanea, dal mandato rigorosamente definito, con
modesti finanziamenti e obiettivi limitati: più esattamente, la protezione dei rimanenti rifugiati dell’Iro, fino al loro reinsediamento a tempo indeterminato. In particolare, volevano
rifiutare al nuovo organismo una propria funzione nelle operazioni di soccorso d’emergenza, privandolo del sostegno dell’Assemblea generale e negandogli il diritto di chiedere
contributi volontari. Per contro, gli stati dell’Europa occidentale che sopportavano il maggior peso dei rifugiati – insieme con il Pakistan e l’India, che ospitavano milioni di rifugiati a seguito della partizione dell’India, avvenuta nel 1947 – erano a favore di un’istituzione
forte, permanente e multifunzionale. Si battevano, inoltre, per un Alto Commissario indipendente, dotato del potere di raccogliere fondi e di distribuirli ai rifugiati.
Il risultato di tale dibattito fu un compromesso. Nel dicembre 1949, l’Assemblea
generale dell’Onu decise, con 36 voti contro cinque e 11 astensioni, di istituire l’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) per un primo periodo triennale, a partire dal 1° gennaio 1951 10. Doveva trattarsi di un organo sussidiario
dell’Assemblea generale, come previsto dall’articolo 22 della Carta dell’Onu. Lo Statuto
dell’Unhcr, adottato dall’Assemblea generale il 14 dicembre 1950, rifletteva nel contempo il consenso degli Stati Uniti e degli altri paesi occidentali, contrapposti a quelli
del blocco orientale, e le divergenze che sussistevano fra gli Stati Uniti e i paesi
dell’Europa occidentale circa le rispettive priorità immediate. Secondo uno studioso, “Le
gravi limitazioni del campo d’azione e dei poteri dell’Unhcr erano principalmente il
risultato del desiderio degli Stati Uniti e dei loro alleati occidentali, di creare un organismo internazionale per i rifugiati che non costituisse una minaccia per la sovranità
nazionale delle potenze occidentali, né imponesse loro nuovi impegni finanziari” 11.
L’articolo 2 dello Statuto dell’Unhcr afferma che l’attività dell’Alto Commissariato “ha
carattere totalmente apolitico; è umanitaria e sociale e riguarda, di norma, gruppi e categorie di rifugiati”. La distinzione qui fatta fra preoccupazioni politiche e umanitarie è
stata di cruciale importanza. Molti funzionari dell’Unhcr sostengono che proprio l’accento posto sul carattere apolitico della sua attività ha consentito in larga misura all’organizzazione di operare sia durante l’era, carica di tensioni, della guerra fredda che in successive situazioni di conflitto armato. Altri osservatori argomentano che, se è vero che la
distinzione si sarebbe rivelata per molti versi utile, di fatto è stata sin dall’inizio alquanto
fuorviante, essendo stata concepita principalmente per attenuare i gravi effetti della bipolarizzazione dei primi anni ’50, come pure per impedire una completa paralisi delle
Nazioni Unite quando affrontavano in quel periodo il fenomeno dei rifugiati 12. Alcuni
analisti hanno, inoltre, sostenuto che, essendo l’Unhcr un organo sussidiario dell’Onu,
soggetto al controllo formale dell’Assemblea generale, non può mai essere del tutto indipendente dagli organi politici delle Nazioni Unite 13. Il dibattito, tuttora in corso, sulla
questione è in larga misura imperniato sul fatto che si è omesso di definire chiaramente
in che cosa consiste una “azione umanitaria” e in che cosa una “azione politica”.
Ma in che misura poteva un’organizzazione proteggere e assistere i rifugiati, rimanendo apolitica? Il dibattito al riguardo non era nuovo. La questione era stata oggetto
di discussione anche durante il periodo della Società delle Nazioni, quando Fridtjof
Nansen e James McDonald, due Alti Commissari competenti per determinati gruppi
di rifugiati, avevano adottato approcci diversi [cf. riquadro 1.1].
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I RIFUGIATI NEL MONDO
Riquadro 1.2
L’assistenza delle Nazioni Unite
ai rifugiati palestinesi
Nel novembre 1947, l’Assemblea
generale delle Nazioni Unite approvò
la divisione della Palestina in uno
stato ebraico e uno stato arabo.
Cinque mesi e mezzo dopo, il Regno
Unito, che aveva avuto il mandato di
amministrare il territorio per tutto il
periodo di esistenza della Società delle
Nazioni, si ritirava. La popolazione
araba della Palestina e gli stati arabi
respinsero il piano di spartizione, che
attribuiva alla popolazione ebrea oltre
la metà del territorio, sebbene la
popolazione araba fosse, all’epoca, più
numerosa. Nel conflitto fra ebrei e
palestinesi che ne seguì, gli ebrei
annetterono altri territori. Il 14
maggio 1948 era proclamato lo stato
d’Israele e quando, nel 1949, fu
concluso un armistizio, Israele
controllava i tre quarti del territorio
dell’ex mandato britannico.
Nel periodo precedente la
proclamazione dello stato d’Israele e
nei nuovi scontri fra arabi ed ebrei
che immediatamente la seguirono,
circa 750mila palestinesi furono
espulsi o costretti a fuggire dalle
zone sotto controllo israeliano. Le
Nazioni Unite cercarono di negoziare
il loro ritorno a casa, che fu però
bloccato da Israele.
Nuovi insediamenti israeliani furono
rapidamente creati su vaste
estensioni di terreno di proprietà
palestinese, e gli immigranti ebrei
che via via arrivavano venivano
alloggiati in case pure appartenenti a
dei palestinesi. La maggioranza dei
rifugiati palestinesi si sistemò in
aree urbane nei paesi arabi o
rimpatriò, ma circa un terzo dei
rifugiati rimase invece nei campi
profughi della regione. Da allora,
quei campi sono il simbolo della
tragedia dei rifugiati palestinesi.
L’istituzione dell’Unrwa
In un primo tempo, l’assistenza ai
rifugiati palestinesi fu fornita da
organizzazioni non governative, sotto
20
l’egida del Soccorso delle Nazioni
Unite per i rifugiati palestinesi
(United Nations Relief for Palestine
Refugees – Unrpr). In seguito, nel
dicembre 1949, l’Assemblea generale
dell’Onu decise di istituire l’Agenzia
di soccorso e lavori delle Nazioni
Unite per i rifugiati palestinesi del
Vicino Oriente (United Nations Relief
and Works Agency for Palestine
Refugees in the Near East – Unrwa).
La decisione di istituire l’Unrwa fu
soprattutto un’iniziativa del governo
statunitense, che presiedeva la
Commissione di conciliazione delle
Nazioni Unite per la Palestina. Fu
presa quando apparve chiaro che
difficilmente il governo del nuovo
stato d’Israle avrebbe permesso il
rientro di un gran numero di rifugiati
nel suo territorio. Il governo degli
Stati Uniti propose la creazione, da
parte dell’Assemblea generale, di
un’apposita agenzia per continuare a
fornire assistenza ai rifugiati, ma
che, in primo luogo, si incaricasse di
avviare progetti di sviluppo su vasta
scala: da qui il termine “lavori” nel
nome. Gli stati arabi accettarono la
proposta solo dopo che fu loro
assicurato che l’istituzione dell’Unrwa
non avrebbe compromesso il diritto
dei rifugiati di far ritorno alle loro
case, sancito nella risoluzione
194(III), dell’11 dicembre 1948,
dell’Assemblea generale. Ciò era
chiaramente affermato nel mandato
istitutivo dell’Unrwa, approvato con
la risoluzione 302(IV), dell’8
dicembre 1949, dell’Assemblea
generale.
Nel contempo, alle Nazioni Unite si
negoziava la creazione di quello che
sarebbe poi divenuto l’Unhcr. Una
volta istituita l’Unrwa, tuttavia, gli
stati arabi insistettero perché i
rifugiati palestinesi da essa assistiti
fossero esclusi dal mandato
dell’Unhcr e dalla Convenzione
dell’Onu sui rifugiati del 1951. Essi
temevano, infatti, che la definizione
del rifugiato come singolo individuo,
contenuta nel progetto di
convenzione in discussione, potesse
insidiare la posizione dei
palestinesi, il cui diritto al ritorno,
come gruppo, era stato riconosciuto
in precedenti risoluzioni
dell’Assemblea generale. Altri
temevano, inoltre, che il carattere
apolitico del costituendo organismo
non fosse compatibile con quello,
altamente politicizzato, della
questione palestinese.
Per questi motivi, sia lo Statuto
dell’Unhcr del 1950, sia la
Convenzione delle Nazioni Unite sui
rifugiati del 1951 escludono “le
persone che attualmente ricevono...
protezione o assistenza” da altri
organismi o agenzie dell’Onu. L’area
geografica di attività dell’Unrwa è
limitata a Libano, Siria, Giordania,
Cisgiordania e striscia di Gaza. Solo
quando escono da tale zona, i
rifugiati palestinesi rientrano nel
mandato dell’Unhcr e nella
Convenzione del 1951.
A differenza dell’Unhcr, l’Unrwa non
disponeva di un vero e proprio
Statuto e, nel corso degli anni,
elaborò una propria definizione
operativa del rifugiato, contenuta
nelle “Istruzioni unitarie per la
registrazione” (Consolidated
Registration Instructions). Queste
definivano come rifugiati palestinesi
coloro che avevano risieduto
abitualmente in Palestina per
almeno due anni prima del conflitto
del 1948, che a seguito di questo
avevano perso sia la casa che i
mezzi di sussistenza e che avevano
trovato rifugio, nel 1948, nelle zone
di attività dell’Unrwa. Hanno diritto
all’assistenza anche i loro
discendenti.
Diversamente dall’Unhcr, il ruolo
dell’Unrwa non comprende la ricerca
di soluzioni permanenti per i rifugiati
di sua competenza. Inoltre, il
mandato dell’agenzia riguarda
principalmente la fornitura dei servizi
Gli inizi
essenziali e non la protezione
internazionale, che viceversa
costituisce il fulcro dell’azione
dell’Unhcr.
I primi anni dell’Unrwa
L’Unrwa sorse come agenzia
temporanea, con un mandato
rinnovabile periodicamente. All’inizio
degli anni 50, quando ancora
rifiutavano di finanziare l’Unhcr, gli
Stati Uniti erano il principale
donatore dell’Unrwa e lo sono
rimasti anche in seguito.
Nel 1950, l’Unwra aveva la
responsabilità di circa un milione di
rifugiati, che vivevano in Giordania,
Libano, Siria, Cisgiordania e nella
striscia di Gaza. Il suo primo compito
fu di continuare il programma di aiuti
d’emergenza in corso, avviato dagli
organismi che l’avevano preceduta,
come anche di aiutare i rifugiati a
lasciare le tende per sistemazioni
meno precarie. Dal 1950 al 1957,
l’agenzia finanziò dei programmi
regionali di sviluppo economico,
destinati a sviluppare l’agricoltura e a
promuovere la cooperazione
internazionale, per integrare i
palestinesi nell’economia della
regione. A metà degli anni 50, l’Unrwa
si sforzò di realizzare due grossi
programmi di reinsediamento in paesi
terzi. In entrambi i casi, sia i paesi di
destinazione, sia gli stessi rifugiati li
respinsero, insistendo sul diritto al
ritorno.
Il fallimento di tali iniziative
condusse a un riesame delle finalità
dell’Unrwa per cui, dal 1957 al 1967,
l’agenzia abbandonò i grandiosi
piani di sviluppo regionale,
concentrandosi invece sugli aiuti
umanitari, l’istruzione e l’assistenza
sanitaria nei campi profughi.
Nel 1967, a seguito della “guerra dei
sei giorni” arabo-israeliana, un gran
numero di palestinesi fuggì o fu
espulso, venendo a costituire un
nuovo gruppo di profughi che
comprendeva esuli della
Cisgiordania, rifugiatisi in Giordania
e Siria, e della striscia di Gaza, che
trovarono riparo in Egitto e
Giordania. Come nel 1948, una volta
fuggiti, il governo israeliano vietò il
loro ritorno in quelli che furono
chiamati “Territori occupati”.
Dei 350mila palestinesi fuggiti in
conseguenza della guerra del 1967,
circa la metà furono classificati
“sfollati”. Non essendo stati costretti
all’esodo nel 1948, non rientravano
nel mandato dell’Unrwa, il che li
rendeva ancora più vulnerabili.
Benché il mandato stesso non fosse
stato modificato per farvi rientrare
tale nuova categoria, l’agenzia fornì
loro nondimeno alcuni servizi
d’emergenza, con l’appoggio
dell’Assemblea generale dell’Onu. Gli
altri furono costretti alla fuga, per la
seconda volta in 20 anni. In
Cisgiordania e a Gaza, l’occupazione
israeliana creò un nuovo rapporto,
estremamente delicato, fra l’Unrwa, i
rifugiati palestinesi e il governo
israeliano.
Sviluppi successivi
Ci vollero 20 anni perché, nel
dicembre 1987, i palestinesi dei
Territori occupati scendessero nelle
strade, in una rivolta aperta e
spontanea. Un mese dopo lo scoppio
di quella che fu conosciuta come
intifada (rivolta), il Segretario
generale delle Nazioni Unite propose
un limitato ampliamento del mandato
dell’Unrwa, per includervi funzioni di
“protezione passiva” nei territori
della Cisgiordania e della striscia di
Gaza occupati da Israele. Successive
risoluzioni dell’Assemblea generale
hanno avallato questo approccio, che
ha avuto come risultato il varo di un
programma di assistenza legale,
l’assunzione di altro personale, sia
locale che internazionale, nonché la
dislocazione di osservatori dei diritti
umani.
La Dichiarazione di principi del
settembre 1993 sull’autonomia
palestinese nei Territori occupati,
sottoscritta dal leader palestinese
Yasser Arafat e dal primo ministro
israeliano Yitzak Rabin, mirava a
garantire un graduale passaggio dei
poteri all’Autorità nazionale
palestinese. Un mese dopo, per
sostenere il processo di pace,
l’Unrwa lanciava un “programma di
attuazione della pace”, che
comprendeva il miglioramento dei
servizi sanitari e dell’istruzione, la
costruzione di alloggi d’emergenza
e di altre infrastrutture, nonché la
concessione di prestiti alle piccole
imprese.
I rifugiati sono ormai alla terza o
perfino alla quarta generazione.
Nel 1999, nella regione erano circa
3,6 milioni, su un totale di circa
sei milioni di palestinesi dispersi
in tutto il mondo. In particolare,
sono qualcosa come 1,5 milioni in
Giordania e all’incirca 1,3 milioni
in Cisgiordania e nella striscia di
Gaza. Quasi un terzo dei rifugiati
vive in 59 campi profughi, mentre
gli altri risiedono in villaggi e
città nelle zone di attività
dell’Unrwa. Malgrado le difficoltà
di finanziamento, nel corso degli
anni questa ha realizzato circa 650
scuole, che contano oggi oltre
450mila allievi, otto centri di
formazione professionale, 122
centri sanitari e molti altri
progetti che rispondono a diversi
bisogni della comunità. Le
necessità dei rifugiati, tuttavia,
rimangono molto rilevanti e,
finché non si sarà trovata e
attuata una soluzione politica
permanente e globale della
questione palestinese, lo status
giuridico e il futuro della
maggioranza dei rifugiati
rimarranno incerti.
21
I RIFUGIATI NEL MONDO
Le funzioni preminenti dell’Unhcr erano di duplice ordine: primo, fornire ai rifugiati una protezione internazionale; secondo, cercare soluzioni permanenti al problema dei rifugiati, assistendo i governi nel facilitarne il rimpatrio volontario o l’assimilazione in seno a nuove comunità nazionali. Anche se alla nuova organizzazione fu
concesso il diritto di raccogliere contributi volontari, gli Stati Uniti riuscirono a ottenere che la premessa per tali appelli fosse l’approvazione dell’Assemblea generale. Di
conseguenza, l’Unhcr è venuto a dipendere da un modesto bilancio amministrativo,
assegnato dall’Assemblea generale, e da un limitato “fondo d’emergenza”.
Nei primi tempi, il governo americano rifiutò di contribuire a tale fondo, dato che,
in quella fase, non considerava l’Unhcr l’organismo più idoneo attraverso il quale convogliare mezzi finanziari. Decise, invece, di finanziare lo United States Escapee Program
(Programma Usa per i fuggiaschi) e il Comitato intergovernativo per le migrazioni
europee. Quest’ultimo fu fondato nel 1952, per collaborare al trasferimento dei
migranti e rifugiati dall’Europa verso paesi d’immigrazione extraeuropei, e divenne
successivamente l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Nell’ambito
del sistema delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti finanziarono inoltre l’Agenzia di soccorso e lavori delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi del Vicino Oriente (Unrwa)
[cfr. riquadro 1.2] e l’Agenzia delle Nazioni Unite per la ricostruzione della Corea, che
fornì assistenza a milioni di persone strappate alle loro case dalla guerra di Corea.
Sin dall’inizio, l’Unhcr fu limitato dall’inadeguatezza del suo bilancio. Ogni progetto di
assistenza ai rifugiati doveva essere finanziato mediante contributi volontari, perlopiù di
stati. Non fu dotato dei mezzi per attuare un programma di rimpatrio, come quello realizzato dall’Unrra, né un programma di reinsediamento, come quello svolto dall’Iro.All’Unhcr
fu chiesto, invece, di assicurare la protezione internazionale e di cercare soluzioni al fenomeno dei rifugiati, con appena un esiguo bilancio. Secondo le parole del primo Alto
Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Gerrit Jan van Heuven Goedhart, esisteva il
pericolo effettivo che il suo ente si limitasse ad “amministrare la miseria” 14.
Con un bilancio annuale non superiore ai 300mila dollari, la speranza che, nel giro di
pochi anni, l’Unhcr fosse in grado di dare una soluzione definitiva al problema dei rifugiati
europei si rivelò illusoria. Malgrado gli sforzi dell’Alto Commissario van Heuven Goedhart
per persuadere i governi delle dimensioni del fenomeno, questi si limitavano a erogare finanziamenti minimi. Cionondimeno, l’Unhcr collaborò in modo sempre più efficace con le
agenzie volontarie. Il primo cospicuo stanziamento messo a disposizione dell’Unhcr non
venne da un governo, ma dall’americana Fondazione Ford, che nel 1951 fece una donazione di 3,1 milioni di dollari. Il denaro fu utilizzato per un progetto pilota, che per la prima
volta metteva l’accento sull’integrazione nei paesi europei d’asilo come soluzione al problema dei rifugiati. Successivamente, nel 1954, fu istituito un nuovo Fondo delle Nazioni Unite
per i rifugiati (Unref), per l’esecuzione di progetti in paesi quali l’Austria, la Repubblica federale di Germania, la Grecia e l’Italia. Gli Stati Uniti contribuirono a tale fondo, mentre in precedenza avevano rifiutato di finanziare l’Unhcr a seguito di una decisione del 1950 del
Congresso, che aveva posto il veto all’impiego di fondi americani per qualunque organizzazione internazionale che operasse nei paesi al di là della cortina di ferro.
Verso la metà degli anni ’50, anche la rigida opposizione iniziale dell’Unione
sovietica all’Unhcr cominciò ad attenuarsi. A quell’epoca, la guerra fredda si era ormai
propagata ben al di là delle frontiere dell’Europa, e nuovi paesi esercitavano un’influenza sull’attività della Nazioni Unite. L’Unione sovietica aveva contribuito a facilitare l’ammissione nell’organizzazione di vari paesi in via di sviluppo, i quali riconoscevano ora la potenziale utilità dell’Unhcr per i loro problemi di rifugiati.
22
Gli inizi
Riquadro 1.3
La Convenzione Onu del 1951
sui rifugiati
La Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati fu adottata
dalla Conferenza delle Nazioni Unite sullo status dei rifugiati e degli
apolidi, svoltasi a Ginevra dal 2 al 25 luglio 1951. Fu aperta alla firma
il 28 luglio ed entrò in vigore il 22 aprile 1954.
La Convenzione sancisce i diritti e i doveri dei rifugiati, come pure gli
obblighi degli stati nei loro confronti, fissando le norme internazionali circa il trattamento che va loro riservato. Comprende, inoltre,
principi volti a promuovere e tutelare i loro diritti in vari settori: lavoro, istruzione, residenza, libertà di movimento, accesso alla giustizia,
naturalizzazione e, soprattutto, la garanzia di non essere costretti a
tornare in un paese nel quale rischino la persecuzione. Due delle più
importanti misure sono quelle degli articoli 1 e 33:
Articolo 1 – Definizione del termine “rifugiato”
A(2) [Chiunque]... avendo un fondato timore di persecuzione per
motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale od opinioni politiche, si trova fuori del paese
di cui è cittadino e non può o, a causa di tale timore, non vuole
avvalersi della protezione di tale paese; oppure che, non avendo
una cittadinanza e trovandosi fuori del paese in cui risiedeva abitualmente..., non può o non vuole tornarvi a causa di tale timore...
Articolo 33 – Divieto di espulsione o di respingimento
(refoulement)
1. Gli stati contraenti non possono in alcun modo espellere o
respingere (refouler) un rifugiato verso le frontiere di territori in
cui la sua vita o la sua libertà siano in pericolo per motivi di razza,
religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo
sociale od opinioni politiche...
La definizione di rifugiato contenuta nella Convenzione del 1951 era
limitata a coloro che lo erano divenuti “a seguito di avvenimenti verificatisi anteriormente al 1° gennaio 1951”. Questa limitazione temporale, tuttavia, fu successivamente soppressa dall’articolo I(2) del
Protocollo aggiuntivo del 1967 [cfr. riquadro 2.2]. Nell’aderire alla
Convenzione, inoltre, gli stati avevano la possibilità di fare una
dichiarazione che limitava i loro obblighi ai soli rifugiati divenuti tali
a causa di eventi verificatisi in Europa.
La Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati – assieme al Protocollo del
1967 – costituisce tuttora il più importante strumento di diritto
internazionale, e l’unico di portata universale, in materia. Al 31
dicembre 1999, 131 stati avevano aderito sia alla Convenzione del
1951 che al Protocollo del 1967, mentre 138 stati avevano ratificato
uno di tali strumenti o entrambi.
23
I RIFUGIATI NEL MONDO
La redazione della Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati
I diritti e gli obblighi enunciati nella Convenzione del 1951 relativa allo status dei
rifugiati stanno al centro dell’attività dell’Unhcr. I negoziati per la sua elaborazione
si svolsero in parallelo con quelli per la creazione dell’Unhcr. La Convenzione fu
adottata da una conferenza internazionale sette mesi dopo, il 28 luglio 1951.
Fu la definizione del temine “rifugiato” che suscitò particolari controversie.
Poiché la Convenzione creava nuovi obblighi, vincolanti in base al diritto internazionale, gli stati partecipanti al lavoro redazionale miravano a restringere tale
definizione alle categorie di rifugiati verso le quali sarebbero stati disposti ad
assumere obblighi giuridici. Gli Stati Uniti erano favorevoli a una definizione
restrittiva, in considerazione degli obblighi giuridici derivanti da una definizione più estensiva. I paesi dell’Europa occidentale, al contrario, optavano per una
definizione ampia, sebbene anche fra loro esistessero divergenze circa il suo esatto tenore.
Alla fine si giunse a una formula di compromesso. I governi si misero d’accordo
su una definizione generica, universalmente applicabile, del termine “rifugiato”,
centrata sul concetto del “fondato timore di persecuzione”. Nel contempo, imponevano due importanti limitazioni al campo d’applicazione della Convenzione. In
primo luogo, di essa non potevano beneficiare le persone divenute rifugiate a seguito di avvenimenti posteriori al 1° gennaio 1951, anche se altrimenti rispondevano
alla definizione. In secondo luogo, nell’aderire alla Convenzione, gli stati avevano la
possibilità di includere una dichiarazione che limitava ai soli rifugiati europei gli
obblighi da essa derivanti.
L’adozione di tale definizione del termine “rifugiato” costituì un rilevante mutamento d’indirizzo, in quanto significava che da allora in poi i rifugiati sarebbero stati
riconosciuti tali non solo per gruppi, come negli anni precedenti, ma anche a titolo
individuale, caso per caso. Inoltre, ora la definizione era generica e non legata a specifici gruppi nazionali, quali i russi dell’Unione sovietica o i greci della Turchia,
come negli anni fra le due guerre.
Sebbene la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo proclamasse il diritto dell’individuo di chiedere e ottenere asilo, l’importanza per gli stati di preservare il proprio
diritto sovrano di consentire l’ingresso nel loro territorio fece sì che gli stati che avevano
elaborato la Convenzione dell’Onu sui rifugiati non fossero disposti a riconoscere nella
nuova Convenzione, giuridicamente vincolante, un diritto incondizionato all’asilo. Essa
non contiene, pertanto, alcun riferimento a un “diritto all’asilo”. Tuttavia, una delle sue
disposizioni essenziali prevede l’obbligo per gli stati firmatari di non espellere o rimandare indietro un rifugiato verso un paese nel quale rischi la persecuzione. Il principio è
noto con l’espressione francese non refoulement (non respingimento), utilizzata nell’articolo 33 della Convenzione. Altre disposizioni in essa contenute riguardano i diritti dei
rifugiati in relazione a questioni come il lavoro, la casa, la scuola, la previdenza sociale, i
documenti personali e la libertà di circolazione [cf. riquadro 1.3].
Analoghi diritti erano contenuti nella Convenzione del 1933 relativa allo status
internazionale dei rifugiati, che fu il primo strumento internazionale a menzionare
24
Gli inizi
il principio per cui i rifugiati non potevano essere rimandati con la forza nel paese
d’origine 15. Essa era stata, però, ratificata solo da otto stati. Un altro strumento internazionale d’interesse in questo campo era la Convenzione del 1938 relativa allo status dei rifugiati provenienti dalla Germania, che era stata vanificata, però, dallo
scoppio della seconda guerra mondiale ed era stata oggetto di solo tre ratifiche. La
forza, invece, della Convenzione Onu del 1951 sta nel gran numero di ratifiche che
conta in tutto il mondo [cf. cartina 1.1].
Stati firmatari della Convenzione Onu del 1951 sui
rifugiati e/o del Protocollo del 1967, al 30 giugno 2000
0
1000
Cartina 1.1
2000
Chilometri
LEGGENDA
LEGGENDA
Firmatari della Convenzione e/o del Protocollo
Firmatari della Convenzione e/o del Protocollo
Nota:
I confini riportati sulla cartina sono quelli utilizzati dalla Sezione cartografica dell’Onu di New York, e non implicano un avallo o un’accettazione ufficiale da parte delle Nazioni Unite.
Nota:
I confini riportati sulla cartina sono quelli utilizzati dalla Sezione cartografica dell’Onu di New York, e non implicano un avallo o un’accettazione ufficiale da parte delle Nazioni Unite.
25
I RIFUGIATI NEL MONDO
La crisi ungherese del 1956
Per l’Unhcr, il primo grande test fu l’esodo dei rifugiati dall’Ungheria, dopo la repressione sovietica della rivolta del 1956. Molti di loro seguirono lo stesso itinerario verso
l’Austria già percorso, nel 1944-45, dagli ungheresi che fuggivano davanti all’avanzata dell’armata rossa. Mentre la grande maggioranza dei rifugiati – all’incirca 180mila
– riparò in Austria, altri 20mila circa fuggirono nella Jugoslavia socialista, che nel
1948 aveva troncato i rapporti con l’Unione sovietica. Tale esodo costituì per l’Unhcr
una prima esperienza di intervento, di fronte a un massiccio afflusso di rifugiati che
fuggivano dalla repressione politica. Per l’organizzazione fu, inoltre, la prima esperienza di collaborazione con il Comitato internazionale della Croce Rossa (in
Ungheria) e con la Lega delle società della Croce Rossa (in Austria).
Nel 1956-57, l’Unhcr realizzò una grande operazione di soccorso umanitario,
assistendo i rifugiati in Austria e in Jugoslavia e collaborando al loro reinsediamento
in 35 paesi di tutto il mondo, come anche al rimpatrio volontario in Ungheria di alcuni di loro. La crisi fu gestita da Auguste Lindt, che era succeduto, il 10 dicembre 1956,
a van Heuven Goedhart nella carica di Alto Commissario. Quella operazione segnò l’inizio della trasformazione dell’Unhcr, da piccolo organismo dell’Onu che si occupava degli ultimi rifugiati della seconda guerra mondiale, a organizzazione molto più
vasta, dotata di più ampie competenze. L’Unhcr sarebbe uscito dalla crisi, che divenne uno dei simboli più importanti della guerra fredda, molto rafforzato e con un prestigio internazionale notevolmente accresciuto.
Le origini profonde della crisi ungherese stavano nel disgelo che era succeduto,
nell’Europa orientale e nell’Unione sovietica, alla morte di Stalin, nel marzo 1953. Il
regime stalinista asceso al potere in Ungheria, nel 1947-48, era tra i più stalinisti
dell’Europa orientale. Nel 1949 inscenò una serie di processi farsa, che rispecchiavano quelli di Mosca del 1936, e che per molti dirigenti comunisti si erano conclusi con
una sentenza capitale. In seguito, nel 1954, l’anno dopo la morte di Stalin, il capo della
polizia segreta e il primo segretario del partito comunista, il partito al governo, furono a loro volta arrestati e processati, con l’accusa di abuso di potere e di aver proceduto ad arresti immotivati.
Nel febbraio 1956, il famoso discorso di Nikita Krusciov in occasione del 20° congresso del Partito comunista dell’Unione sovietica, in cui riconosceva che Stalin aveva
commesso gravi errori, ebbe l’effetto di un terremoto, non solo nell’Unione sovietica
ma in tutto il mondo comunista. Il suo preciso impegno a ripensare i rapporti
dell’Urss con i paesi satelliti ebbe conseguenze drammatiche nell’Europa orientale, e
più particolarmente in Polonia e Ungheria. In Polonia, le manifestazioni e gli scioperi di giugno portarono a un cambio di governo e ad una liberalizzazione, attentamente
ponderata del regime che fu accettata con riluttanza da Mosca.
In Ungheria, per contro, i tentativi di riforma avrebbero avuto una tragica conclusione. In un primo tempo sembrò che il regime riconoscesse la necessità di riforme. Diede il proprio avallo ad alcune concessioni alle masse contadine e ad un’atte26
Gli inizi
Nel 1956, in cerca di scampo dalla repressione sovietica della rivolta, un gruppo di ungheresi attraversa
il confine austriaco. (RDZ/1956)
nuazione del regime del terrore, nominando nel contempo, a denti stretti, primo
ministro Imre Nagy, critico dell’industrializzazione forzata e della collettivizzazione.
Le manifestazioni popolari dell’ottobre 1956 rivelarono, tuttavia, la disapprovazione
generalizzata del regime e l’odio nei confronti della sua polizia segreta. Il movimento culminò, il 23 ottobre, in una massiccia rivolta, quando qualcosa come 300mila
persone scesero in piazza, scontrandosi con le truppe ungheresi e sovietiche. Il 27
ottobre, in risposta agli appelli della popolazione, Nagy formò un governo di coalizione, da cui erano esclusi i comunisti e gli oltranzisti, promettendo inoltre libere elezioni. Il 1° novembre, dovette rassegnarsi a proporre di ritirare l’Ungheria dal Patto
di Varsavia e a dichiararne la neutralità.
Mentre in un primo momento si era allontanato da Budapest, il 4 novembre l’esercito sovietico attaccò in forze la capitale. Nei combattimenti generalizzati di
piazza che seguirono, la resistenza all’Armata rossa – che disponeva di 200mila soldati e oltre duemila carri armati – fu schiacciata con decisione. Migliaia di ungheresi furono deportati o, come Nagy, giustiziati. Più di tremila persone trovarono la
morte nelle strade di Budapest, nei 10 giorni di quello che sarebbe diventato il più
violento scontro armato in Europa, fra la seconda guerra mondiale e le guerre in
Jugoslavia degli anni ’90.
27
I RIFUGIATI NEL MONDO
Riquadro 1.4
Il programma tedesco di indennizzi ai rifugiati
Poco dopo la creazione, nel 1949, della
Repubblica federale di Germania, si
cominciò a discutere la questione degli
indennizzi alle vittime delle
persecuzioni naziste. Il termine
“riparazione” o, in tedesco,
Wiedergutmachung (alla lettera,
“ripristino”) fu usato di rado, perché
era generalmente riconosciuto che
nessun risarcimento in denaro avrebbe
mai potuto compensare gli orrori
dell’olocausto.
Le prime leggi della Repubblica federale
definivano come “perseguitati”, ai fini
dell’indennizzo, coloro i quali avevano
sofferto per motivi di razza, religione od
opinioni politiche. Altri, anche se erano
stati in un campo di concentramento o
avevano dovuto lavorare come schiavi,
non erano classificati come
“perseguitati”, ma come persone
“danneggiate per motivi di nazionalità”
(Nationalgeschädigte in tedesco).
I “perseguitati per la nazionalità” erano
decine di migliaia: polacchi, ucraini,
bielorussi, serbi, cechi, slovacchi e
altri, che erano stati internati o
deportati per lavorare come schiavi
nelle fabbriche tedesche. Nella
maggioranza dei casi, la vita dei
superstiti era distrutta: la salute
rovinata, le famiglie esuli e disperse, le
case sinistrate o distrutte. Dopo la
guerra, molti si erano trasferiti in
Nordamerica, Sudamerica, Sudafrica o
Australia, ma i nuovi paesi di residenza
non avevano accolto le loro richieste di
risarcimento, dato che al momento
delle persecuzioni non ne erano
cittadini.
I primi negoziati in materia
d’indennizzo si incentrarono sui
perseguitati per motivi religiosi. La
Conferenza sulle rivendicazioni
materiali ebree nei confronti della
Germania (“Conferenza sulle
rivendicazioni”), creata nel 1951, riunì
numerose organizzazioni israelite e, da
mezzo secolo a questa parte, si è
battuta risolutamente in favore delle
vittime ebree del nazismo. Altre vittime
– ad esempio, i rom (nomadi) o i
comunisti – e i “perseguitati per la
nazionalità” non disponevano di
analoghe organizzazioni.
La prima legge della Repubblica
federale di Germania in materia di
indennizzi, emanata nel 1953,
28
assicurava un limitato risarcimento ad
alcuni “perseguitati per la nazionalità”,
la cui salute era stata seriamente
danneggiata e che erano diventati
rifugiati entro determinati termini. Altri
provvedimenti, adottati nel 1956, non
concessero ulteriori aiuti a tale
categoria.
Nel 1957, alcuni paesi occidentali
intavolarono trattative col governo di
Bonn per ottenere l’indennizzo dei loro
cittadini. Si parlò di un “fondo
mondiale” destinato anche ai
“perseguitati per la nazionalità”, ma fu
deciso che la questione dei risarcimenti
avrebbe dovuto aspettare la conclusione
formale del trattato di pace. Nel
frattempo, la Germania avrebbe
discusso con l’Unhcr in merito ai
rifugiati che avevano sofferto a causa
della loro nazionalità.
Nel 1960, la Germania concluse un
primo accordo con l’Unhcr. Questo
avrebbe gestito un “fondo sofferenze”
con una dotazione di 45 milioni di
marchi, messo a disposizione dal
governo per i “perseguitati per la
nazionalità” divenuti rifugiati prima del
1° ottobre 1953. Nei cinque anni
seguenti, l’Unhcr versò indennizzi
compresi fra 3mila e 8mila marchi, in
favore di circa 10mila persone.
Nel frattempo, altri potenziali
beneficiari erano fuggiti in Occidente, e
nel 1965 il fondo era ormai esaurito.
Un anno dopo, l’Unhcr concludeva col
governo tedesco un accordo
supplementare, che spostava al 31
dicembre 1965 la data limite e
prevedeva un’ulteriore dotazione di 3,5
milioni di marchi. Le richieste di
risarcimento continuarono, tuttavia, a
superare i fondi disponibili e anche il
finanziamento aggiuntivo andò
rapidamente esaurito.
La ripartizione delle modeste somme
messe a disposizione dell’Unhcr
rappresentò un arduo compito. Il
personale dell’organizzazione passava al
vaglio le domande dei superstiti, giunte
da tutte le regioni del globo. Molti
allegavano foto di prima della
deportazione e dei lavori forzati in
Germania. Altri inviavano certificati
medici, bilanci familiari scritti a mano,
conti non pagati. Gli importi
relativamente esigui disponibili erano
assolutamente sproporzionati rispetto
alle persecuzioni subìte, ma
l’indennizzo era comunque considerato
di grande importanza per dimostrare
alle vittime che non erano state
dimenticate.
Nel 1980, la Conferenza sugli indennizzi
avviò negoziati con la Repubblica
federale di Germania in vista
dell’istituzione di un nuovo fondo per
gli ebrei perseguitati, fuggiti in
Occidente solo dopo il 1965. Inoltre,
l’Unhcr richiese ulteriori fondi per i
“perseguitati per la nazionalità”,
divenuti rifugiati dopo il 1965.
Le trattative ebbero come risultato la
creazione di tre nuovi fondi, con una
dotazione totale di 500 milioni di
marchi, a beneficio delle vittime
definite dalla normativa tedesca, con
esclusione dei “perseguitati per la
nazionalità”. Per quest’ultima categoria
fu istituito un nuovo fondo dotato di 5
milioni di marchi, amministrato
dall’Unhcr, ma apparve ben presto
chiaro che non sarebbe stato
sufficiente. L’emigrazione dall’Europa
orientale, specie dalla Polonia, era in
aumento, e la nuova ondata di rifugiati
ne comprendeva molti che avevano
diritto al risarcimento. Nel 1984, la
Germania aumentò il fondo gestito
dall’Unhcr di altri 3,5 milioni. A
maggio dello stesso anno, erano state
ricevute oltre 1.100 nuove domande e
se ne attendevano altre, tutte
presentate da superstiti divenuti
rifugiati dopo il 1965.
Le lettere pervenute all’Unhcr
dimostravano che i richiedenti
soffrivano ancora per gli effetti delle
persecuzioni. Molti erano in condizioni
di salute talmente precarie da non
poter lavorare. Nessuna somma di
denaro avrebbe potuto riparare il danno
subìto, ma le vittime volevano un
riconoscimento delle loro sofferenze,
anche se in molti casi avevano già
superato l’età della pensione.
L’assistenza dell’Unhcr ai rifugiati
tramite il “fondo sofferenze” è
terminata nel 1993. A quella data, il
governo federale tedesco aveva versato,
tramite il fondo amministrato
dall’Unhcr, un totale di 59 milioni di
marchi a rifugiati ed ex rifugiati,
vittime della barbarie nazista.
Gli inizi
L’esodo dei rifugiati
Ancor prima della repressione della rivoluzione ungherese, in Austria erano cominciati ad arrivare dei rifugiati. Il 5 novembre, la situazione era ormai abbastanza seria
perché il governo austriaco facesse appello all’assistenza dell’Unhcr. Ben presto
giunsero offerte di asilo, permanente o temporaneo, da alcuni paesi: Canada, Cile,
Danimarca, Francia, Norvegia, Regno Unito, Svezia. L’8 novembre, il presidente
Dwight D. Eisenhower annunciava che gli Stati Uniti erano disposti ad accogliere
subito 5mila rifugiati. La cifra fu successivamente portata a 6mila e, in dicembre, il
governo americano annunciò la possibilità di esaminare, in Austria, le domande di
altri 16.500 ungheresi, in vista dell’ammissione negli Stati Uniti 16.
Alla fine, qualcosa come 200mila rifugiati ungheresi avrebbero abbandonato la
loro patria. A fine novembre, si erano registrati in Austria 115.851 arrivi. Uomini,
donne e bambini fuggivano, terrorizzati e disperati, trascinando valigie e carriole.
Seguivano la stessa strada, verso la località frontaliera di Hegyeshalom, che era stata
percorsa 12 anni prima da decine di migliaia di ebrei ungheresi, deportati dai nazisti. Nelle parole di un rifugiato: “Abbiamo lasciato tutto, come si farebbe avendo la
casa in fiamme” 17. Fra il dicembre 1956 e il gennaio 1957 affluirono in Austria altri
56.800 esuli. In seguito, gli arrivi nel paese subirono un drastico calo, principalmente a seguito dell’inasprimento dei controlli alle frontiere da parte del nuovo
regime di János Kádár, insediato a Budapest dai sovietici.
Di fronte a tale afflusso, il governo austriaco inviò all’Unhcr un appello urgente per un aiuto finanziario e per il reinsediamento in paesi terzi del maggior numero di rifugiati possibile. L’Austria si riprendeva appena dalle sofferenze della seconda guerra mondiale, quando il paese era stato teatro di aspri scontri fra i nazisti e
l’esercito sovietico che avanzava. L’occupazione alleata dell’Austria, che come la
Germania era stata divisa in quattro zone, era formalmente terminata nel maggio
1955. Quattro mesi dopo, le forze di occupazione si erano ritirate e, all’inizio del
1956, le autorità ungheresi avevano rimosso buona parte dei reticolati alla frontiera tra i due paesi. Pertanto, l’Austria aveva ritrovato da poco la propria sovranità e,
durante la crisi, aveva ribadito la sua posizione di neutralità, fra i due blocchi della
guerra fredda.
L’operazione di soccorso umanitario a beneficio dei rifugiati fu guidata dalla
Croce rossa, in stretta collaborazione con l’Unhcr. Sarebbe stata la prima di una lunghissima serie di emergenze in cui le due organizzazioni avrebbero lavorato fianco a
fianco, sul terreno. La base giuridica per l’intervento dell’Unhcr fu fornita dalla risoluzione 1006, del 9 novembre 1956, dell’Assemblea generale dell’Onu. In dicembre,
pochi giorni dopo la sua nomina ad Alto Commissario, Auguste Lindt si recò nella
capitale austriaca, per valutare personalmente le necessità più urgenti dei rifugiati
ungheresi che, in quel periodo, entravano in Austria al ritmo di 3mila ogni notte 18.
Alcuni esuli, inoltre, trovarono un’alternativa all’asilo in Austria riparando in
Jugoslavia, un paese comunista, ma il cui leader, Josip Broz Tito, aveva nel 1948 rotto
i ponti con Stalin. Dopo la morte di Stalin i rapporti con l’Urss erano migliorati e i
suoi successori, Nikita Krusciov e Nikolai Bulganin, si erano recati nel maggio 1955
a Belgrado, indicando così l’accettazione sovietica della via autonoma seguita dalla
Jugoslavia. In tale contesto, la decisione di Tito di ammettere i rifugiati ungheresi fu
particolarmente coraggiosa 19.
29
I RIFUGIATI NEL MONDO
La Jugoslavia era stata l’unico paese comunista a partecipare alla conferenza
internazionale di Ginevra che aveva redatto la Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati. Nell’aprile 1953, il primo Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, van Heuven Goedhart, si era personalmente recato nel paese per presentare al
governo jugoslavo l’attività dell’Unhcr. Si trattava della prima visita del genere a un
paese comunista 20. Il ponte così gettato fra l’Unhcr e la Jugoslavia si sarebbe rivelato molto utile durante la crisi ungherese. Nel dicembre 1956, Tito chiedeva direttamente l’assistenza dell’organizzazione per far fronte all’afflusso dei rifugiati.
In un primo tempo, il governo jugoslavo sostenne che tutti i rifugiati dovevano
essere reinsediati e che lo stato doveva essere indennizzato di tutte le spese sostenute. Queste condizioni, tuttavia, finirono con l’essere abbandonate. Fra novembre e
dicembre 1956, arrivarono in Jugoslavia circa 1.500 ungheresi, mentre nel solo
gennaio 1957 ne giunsero oltre 13mila 21. Nel paese vivevano già decine di migliaia
di persone di origine ungherese, soprattutto nella regione della Vojvodina, il che
facilitò l’accoglienza dei rifugiati. Ironia della sorte, negli anni ’90, con la disgregazione della Jugoslavia, molti abitanti di discendenza ungherese avrebbero fatto il
viaggio nella direzione opposta.
Per far fronte all’emergenza, in Jugoslavia fu creato, il 21 febbraio 1957, un comitato di coordinamento in cui erano rappresentati il governo, l’Unhcr, la Lega delle società
della Croce Rossa, la Cooperative Action for American Relief Everywhere (Care), il Church
World Service, come anche la British Voluntary Society for Aid to Hungarians. Nel marzo 1957,
allorché l’Alto Commissario Lindt si recò a Belgrado, elogiando il governo per il trattamento riservato ai rifugiati ungheresi, l’Unhcr aveva già erogato 50mila dollari alla Croce
Rossa jugoslava, e assegnato altri 124mila dollari al proprio ufficio di Belgrado 22.
L’applicabilità della Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati
Mentre, in genere, gli ungheresi che avevano abbandonato il loro paese nel 1956
erano considerati, dai governi dei paesi occidentali, come “rifugiati”, non fu subito chiaro se i diritti e gli obblighi enunciati nella Convenzione del 1951 si applicassero alla crisi ungherese, dato che vi si indicava chiaramente che essa si applicava solo ad “avvenimenti verificatisi prima del 1° gennaio 1951”.
Indipendentemente, comunque, dalla loro posizione legale, tutti coloro che erano
partiti dopo il 23 ottobre 1956, data della sollevazione popolare di Budapest, furono nella pratica considerati, dall’Unhcr e dai governi occidentali, come rifugiati,
purché l’esame dei singoli dossier non fornisse indicazioni per escluderli da tale
categoria. A questo riguardo, si ebbe una similarità con la prassi seguita a suo tempo
della Società delle Nazioni, quando lo status giuridico di una persona era determinato in base all’appartenenza a uno specifico gruppo di rifugiati.
Per una trattazione giuridica di questa come di molte altre questioni insorte nei
primi due decenni di vita dell’Unhcr, la voce più autorevole era quella di Paul Weis,
rifugiato originario di Vienna e, all’epoca, consulente giuridico dell’Alto
Commissario. Su richiesta di quest’ultimo, Weis definì, in un promemoria fondamentale del gennaio 1957, la posizione dell’Unhcr 23. Lo fece non solo per l’esigenza di un chiarimento della questione, ma anche a causa di perplessità, nutrite
pure da paesi solitamente accoglienti come la Svezia, circa una estensione delle
competenze dell’Unhcr anche ad avvenimenti contemporanei.
30
Gli inizi
Per Weis il punto di partenza logico era la definizione di “rifugiato” che figura
nell’articolo 1A(2) della Convenzione del 1951, e in particolare il problematico collegamento, in esso contenuto, della definizione stessa ad “avvenimenti verificatisi
prima del 1°gennaio 1951”. Egli fece rilevare che, nel resoconto della sua prima
seduta del 17 febbraio 1950, il Comitato ad hoc sull’apolidia e problemi connessi,
che aveva redatto il progetto di convenzione, aveva argomentato che tale espressione era “intesa nel senso di eventi di grande rilevanza, che comportassero cambiamenti territoriali o profondi cambiamenti politici, come pure programmi sistematici di persecuzione”. Dichiarò, inoltre, che da tale interpretazione e dalle discussioni svoltesi nei vari organi che avevano redatto la definizione della Convenzione,
risultava chiaro che la data in cui una persona era divenuta rifugiata era irrilevante.
Weis continuava sostenendo che, in Ungheria, era chiaro che vi erano stati “profondi cambiamenti politici”, nella fattispecie la creazione, nel 1947-48, di una repubblica popolare dominata dal partito comunista. La rivolta dell’ottobre 1956 e il conseguente esodo di rifugiati erano, in tal senso, “un effetto ritardato di quel precedente mutamento politico”. Purché rispondessero ai requisiti dell’articolo 1A(2),
gli esuli erano quindi indubbiamente dei rifugiati.
Per quanto riguarda poi lo Statuto dell’Unhcr, secondo Weis si doveva chiaramente ritenere che i rifugiati provenienti dall’Ungheria, e che rispondevano alle
condizioni dell’articolo 6B, rientrassero nel mandato dell’organizzazione. Tale articolo ne estende la competenza a “ogni altra persona che si trova fuori del paese di
cui ha la nazionalità... a causa di un fondato timore di persecuzione, per motivi di
razza, religione, nazionalità od opinioni politiche e non può... tornare nel paese
dove risiedeva abitualmente”. Weis ammetteva che sembrava “sconcertante” che lo
Statuto dell’Unhcr contenesse, agli articoli 6A(ii) e 6B, due definizioni quasi identiche dei rifugiati che rientrano nelle competenze dell’organizzazione, salvo per il
fatto che la prima di tali disposizioni contiene il limite temporale del 1° gennaio
1951. Lo attribuiva al fatto che, in seno agli organi deliberanti responsabili della stesura della Convenzione e dello Statuto, si erano contrapposte due posizioni diverse
circa la definizione del termine “rifugiato”: quella universalistica, che auspicava una
definizione ampia e generica, e quella più prudente, favorevole a una definizione
che elencasse le varie categorie di rifugiati. Alla fine, la definizione che ne risultò
era stata un compromesso, elaborato da un gruppo di lavoro informale.
In ultima analisi, secondo Weis dalla storia di quelle deliberazioni risultava chiaro che, se è vero che anche coloro che erano divenuti rifugiati a seguito di avvenimenti posteriori al 1° gennaio 1951 rientravano nelle competenze dell’Unhcr, l’Alto
Commissario poteva sempre interpellare il Comitato consultivo (poi Comitato esecutivo) o sottoporre la questione all’Assemblea generale dell’Onu, come chiaramente indicato dagli articoli 1 e 3 dello Statuto. Nel caso dei rifugiati ungheresi,
questa aveva esplicitamente stabilito la competenza dell’Alto Commissario 24.
Il reinsediamento dei rifugiati ungheresi
Le risorse del Fondo delle Nazioni Unite per i rifugiati, istituito nel 1954, resero
possibile l’operazione d’emergenza dell’Unhcr in favore dei rifugiati che avevano
cercato scampo dalla repressione della rivolta ungherese. Inoltre, l’Alto Commissario
lanciò un appello per raccogliere contributi straordinari, e la risposta fu generosa.
31
I RIFUGIATI NEL MONDO
Nel novembre 1956 fu creato un comitato misto, di cui facevano parte l’Unhcr, il
Comitato intergovernativo per le migrazioni europee, il governo austriaco, lo
United States Escapee Program e alcune agenzie volontarie. Nell’inverno del 1956 e
per tutto il 1957, queste ultime svolsero un ruolo fondamentale collaborando all’assistenza umanitaria e al reinsediamento dei rifugiati ungheresi.
Sin dall’inizio fu considerato prioritario, come soluzione del problema, il reinsediamento dei rifugiati in paesi terzi. L’Austria, che nei primi tempi aveva sopportato un onere schiacciante, aveva bisogno di essere rapidamente aiutata. Inoltre, tutto
il mondo occidentale era sdegnato per la piega presa dagli avvenimenti d’Ungheria,
e provava un acuto senso di colpa per non aver fatto di più per aiutare il popolo
ungherese, nella sua lotta per la democrazia.
In misura forse difficilmente immaginabile alla fine del 20° secolo, i governi
occidentali subirono notevoli pressioni, da parte delle popolazioni, perché dessero
immediata accoglienza ai rifugiati. Per la registrazione degli esuli che arrivavano in
Austria non fu creato un ente centrale, a causa dell’esigenza largamente condivisa di
un rapido reinsediamento. In un promemoria del 20 novembre 1956, ad esempio,
la Delegazione dell’Unhcr a Vienna informava l’Alto Commissario che non era assolutamente possibile svolgere le normali procedure di selezione, per determinare lo
status di rifugiato 25. Fu quindi concordato con le autorità austriache che l’istruttoria dei singoli casi avrebbe avuto luogo nei paesi di reinsediamento.
La rapidità con cui i rifugiati furono trasferiti in paesi terzi può essere giudicata dalle cifre degli arrivi negli Stati Uniti. Un primo gruppo di 60 esuli ungheresi
giunse in aereo il 21 novembre 1956 26. Una grande base dell’esercito, Camp Kilmer,
nel New Jersey, fu messa a disposizione per dar loro una sistemazione temporanea.
Fino a tutto febbraio 1957, altri 9mila rifugiati attraversarono l’Atlantico con aerei
della US Air Force e ancora 7mila a bordo di navi della US Navy. A metà del 1958,
gli Stati Uniti avevano già reinsediato circa 38mila esuli ungheresi. Gli altri principali paesi di reinsediamento furono: Canada (35mila), Regno Unito (16mila),
Repubblica federale di Germania (15mila), Australia (13mila), Svizzera (11.500) e
Francia (10mila). Gruppi meno numerosi furono accolti nei paesi e territori più
svariati: Cile, Irlanda, Islanda, Nuova Caledonia, Paraguay, Repubblica dominicana e
Sudafrica.
Il rimpatrio in Ungheria
Anche nel contesto della polarizzazione propria della guerra fredda, il reinsediamento non era l’unica soluzione possibile per i rifugiati. Alcuni di loro, e in particolare quelli separati dai familiari, optarono per il rimpatrio, peraltro incoraggiato
dal governo ungherese. A partire dal 1957, il regime di Kádár, insediato col favore
dell’intervento militare sovietico, cominciò a mostrare cauti segni di una modesta
autonomia, tacitamente tollerata dall’Unione sovietica. In tal senso, fu notevole la
differenza fra l’Ungheria post-1956 e la Cecoslovacchia post-1968, vittima di un
intervento militare sovietico ancor più repressivo.
Già a fine novembre 1956, il nuovo governo ungherese aveva concesso una limitata amnistia a coloro che erano fuggiti a seguito della sollevazione 27. Malgrado
acute tensioni politiche, l’Alto Commissario Lindt prese contatto col nuovo governo. Come osservò più tardi un consulente giuridico dell’Unhcr: “L’umanità e il
32
Gli inizi
Riquadro 1.5
I rifugiati cinesi a Hong Kong
Situata sulla costa meridionale cinese,
sotto amministrazione coloniale
britannica dal 1842, Hong Kong
divenne luogo di rifugio durante
periodi di turbolenza nella Cina
continentale. La sua popolazione fu
ingrossata a dismisura da coloro che
cercavano di sfuggire alla ribellione
di Taiping negli anni 1850, alla
rivolta dei Boxer attorno al 1900, alla
rivoluzione che si concluse con la
fondazione della Repubblica cinese
nel 1912, e alla guerra sinogiapponese del 1937-45. Dopo la
sconfitta delle forze britanniche ad
opera dei giapponesi nel dicembre
1941, la popolazione di Hong Kong
scese da oltre un milione a circa
650mila, ma molti di quanti erano
fuggiti durante l’occupazione
giapponese ritornarono quando, nel
1945, fu ripristinata
l’amministrazione britannica.
Nel 1949-50, agli abitanti ritornati si
aggiunsero centinaia di migliaia di
nuovi arrivati, in fuga davanti
all’avanzata trionfale delle forze
comuniste nella Cina continentale.
Molti di loro tornarono poi alle loro
case sul continente, quando fu
ristabilita la pace. Nel 1953-54, la
popolazione di Hong Kong cominciò a
stabilizzarsi attorno ai 2,25 milioni di
abitanti. Tale aumento, di più di tre
volte in soli otto anni, mise a dura
prova le infrastrutture locali.
Nel corso delle Assemblee generali del
1951-52, il rappresentante cinese
presso le Nazioni Unite sollevò il
problema dei nuovi arrivati. Come
risposta, nel 1954, l’Alto Commissario
van Heuven Goedhart inviò una
“missione d’inchiesta”, finanziata dalla
Fondazione Ford, per indagare sulla
situazione dei rifugiati cinesi a Hong
Kong. Secondo il rapporto della
missione, presentato nel 1954, non
tutti i nuovi arrivati potevano essere
considerati rifugiati con “un fondato
timore di persecuzione” i. Nel rapporto
si individuavano circa 285mila persone
venute a Hong Kong per “ragioni
politiche”, corrispondenti al 53% degli
immigrati arrivati fra il 1945 e il 1952.
La cifra saliva a 385mila se si
includevano i cosiddetti “rifugiati già
sul posto” (sur place, cioè coloro che
in origine erano venuti per altri
motivi, ma che per ragioni politiche
non volevano ritornare nelle località di
provenienza). Il numero era ancora più
alto se si consideravano tutti i
familiari dei rifugiati, in particolare i
coniugi, come pure i figli nati a Hong
Kong. Includendo tutte queste
categorie, circa il 30% della
popolazione presente al momento della
missione poteva essere classificata
“rifugiata”. Ciò sembrò avallare
l’ipotesi, allora largamente diffusa in
Europa e nel Nordamerica, secondo cui
chiunque abbandonava uno stato
comunista era potenzialmente un
rifugiato.
Questa concezione relativamente
lineare era complicata principalmente
da due fattori. Innanzitutto, la Gran
Bretagna non riconosceva l’esistenza a
Hong Kong di un vero e proprio
problema di rifugiati. La grande
maggioranza dei nuovi arrivati,
indipendentemente dai motivi per i
quali era entrata nella colonia, si era
integrata e poteva circolare
liberamente. Fra di loro, meno di un
terzo dei capifamiglia era registrato
presso un ente per i rifugiati. I
britannici ritenevano che, malgrado il
problema del sovraffollamento e la
scarsezza di certi servizi essenziali, la
popolazione cinese non subisse
discriminazioni. L’unica eccezione al
buon inserimento dei nuovi arrivati
nella comunità locale era costituita
dall’insediamento di Rennies Mill,
abitato principalmente da
simpatizzanti del Guomindang
provenienti dal nord della Cina, che
rimanevano separati dalla maggioranza
dei cantonesi di Hong Kong.
Il secondo fattore era la singolare
situazione giuridica dei nuovi arrivati.
Se è vero che centinaia di migliaia di
loro avevano lasciato la Cina per motivi
politici, in teoria nulla impediva loro di
tornarvi in condizioni di sicurezza, nel
senso che avrebbero potuto recarsi a
Taiwan, dove aveva sede il governo
della Repubblica cinese (riconosciuto
dalle Nazioni Unite fino al 1971). Si
poteva dunque affermare, a rigor di
logica, che i nuovi arrivati a Hong
Kong non erano rifugiati, in quanto
godevano della protezione del paese
d’origine e potevano farvi ritorno. In
pratica, tuttavia, il numero di nuovi
arrivati dalla Cina continentale, accolti
dal regime nazionalista di Taiwan, era
relativamente modesto, anche se la
missione d’indagine aveva riferito che
oltre la metà dei nuovi arrivati aveva
espresso il desiderio di esservi
reinsediata. Ciò era forse dovuto al
timore delle autorità di Taiwan che i
nuovi venuti potessero cercare di
sovvertire il governo nazionalista. In
fin dei conti, il regime di Taiwan
accolse, fra il 1949 e il 1954, oltre
150mila rifugiati provenienti da Hong
Kong e Macao.
Il Regno Unito aveva intanto
riconosciuto il governo della
Repubblica popolare cinese, insediato a
Pechino, e trattava direttamente con
esso nel tentativo di frenare l’esodo di
popolazione dal continente verso Hong
Kong. Avvenne così che
l’atteggiamento del governo coloniale e
la singolare situazione di alcuni
residenti di Hong Kong, cittadini delle
due Cine allo stesso tempo, impedì un
intervento più incisivo da parte
dell’Unhcr. Nondimeno, nel 1957,
l’Assemblea generale dell’Onu chiese
all’Unhcr di interporre i propri buoni
uffici per reperire finanziamenti
destinati all’assistenza dei rifugiati
cinesi di Hong Kong: fu quello un
primo passo verso un intervento
dell’Unhcr in favore di rifugiati
extraeuropei ii. I fondi raccolti
dall’Unhcr nel 1959-60, durante l’Anno
mondiale del rifugiato, furono
convogliati in particolare verso
programmi edilizi, realizzati da
organizzazioni volontarie a Hong Kong.
33
I RIFUGIATI NEL MONDO
coraggio di quel gesto contribuirono notevolmente a spezzare il quasi completo isolamento dell’Alto Commissariato nei confronti dei paesi socialisti, come anche a
facilitare il ricongiungimento familiare e il grande movimento di rimpatrio che
ebbero luogo nei mesi e negli anni successivi” 28.
Lindt si adoperò con ogni mezzo perché l’Unhcr potesse svolgere un ruolo positivo nel rientro volontario dei rifugiati, anche mediante specifiche procedure messe a
punto a tale scopo, sia in Austria che in Jugoslavia. Le missioni per il rimpatrio degli
ungheresi erano sempre accompagnate da funzionari dell’Unhcr che parlavano la lingua, e i rifugiati che desideravano tornare in patria erano accompagnati alla frontiera
da personale dell’organizzazione. Nel gennaio 1958, quando su invito del governo
ungherese Lindt si recò in visita a Budapest, incontrò alcuni rimpatriati 29. Nel complesso, rientrarono in Ungheria circa 18.200 rifugiati, poco più del 9% del totale.
Il problema dei minori non accompagnati
Una questione particolarmente controversa fu quella dei “minori non accompagnati”, allora spesso chiamati “minori separati”. Quando dei bambini rifugiati fuggono isolatamente oppure, durante la fuga, si ritrovano separati dalla famiglia, sono
estremamente vulnerabili. Per tali bambini e ragazzi, l’accertamento dello status di
rifugiato è difficile ma importante, dato che un minore rientra nel mandato
dell’Unhcr solo se può essere considerato rifugiato.
Nel novembre 1956, le autorità ungheresi chiesero al governo austriaco di far
rimpatriare i minori non accompagnati di età inferiore ai 18 anni. La questione fu
discussa in una riunione d’emergenza, convocata a Ginevra il 13 dicembre, fra
l’Unhcr e il Cicr. Fu deciso che i ragazzi di età inferiore ai 14 anni dovessero essere
rimpatriati, se entrambi i genitori si trovavano in Ungheria e se ne chiedevano il
ritorno. In seguito, la distinzione basata sull’età fu abbandonata. Le richieste dovevano essere presentate per iscritto al Cicr che, a differenza dell’Unhcr, era rappresentato sia in Austria che in Ungheria.
Sin dall’inizio, era previsto che potessero insorgere problemi se i genitori non
potevano essere rintracciati, se solo uno di loro era in vita, ovvero se il minore era
orfano. In tali casi, si doveva prendere in considerazione il vero interesse del ragazzo. Le autorità giudiziarie del paese interessato erano ritenute competenti in materia 30. Sussisteva, però, un difficile problema, se entrambi i genitori chiedevano il
ritorno in Ungheria del minore, ma questo vi si opponeva. In molte occasioni, negli
anni successivi, l’Unhcr si sarebbe trovato di fronte ad analoghi problemi, riguardanti i minori non accompagnati.
Colmare il fossato fra Est e Ovest
Nell’aprile 1961, Lindt riferì al Comitato esecutivo dell’Unhcr che, grazie ai progressi realizzati per dare soluzione al problema dei rifugiati ungheresi, “non era più
necessario trattare tali rifugiati come un gruppo a parte” 31. A seguito dell’operazione d’emergenza in aiuto ai rifugiati ungheresi, la notorietà internazionale
dell’Unhcr era notevolmente cresciuta. Se negli anni ’50 ci fu un momento particolarmente qualificante per l’organizzazione, fu la crisi dei rifugiati ungheresi.
34
Gli inizi
In particolare, a partire dal 1956 l’atteggiamento del governo degli Stati Uniti
nei confronti dell’Unhcr cambiò in meglio. In realtà, la cosa più singolare della crisi
fu l’acquiescenza passiva dei paesi occidentali, davanti a quello che consideravano
un fatto compiuto sovietico. Sotto tale aspetto, come per molte delle crisi altamente mediatiche in cui l’Unhcr sarebbe stato coinvolto negli anni successivi, i governi
di Londra, Parigi, Washington e di altre capitali furono sollevati nel constatare che
“si stava facendo qualcosa”.
La crisi ungherese fu importante per l’Unhcr perché, per la prima volta, apriva
all’organizzazione le porte del mondo comunista, sia in Jugoslavia che nella stessa
Ungheria. Ciò fu largamente merito del modo in cui l’Alto Commissario Lindt gestì, sul
piano politico e diplomatico, la crisi. Uno dei principali risultati conseguiti da Lindt fu
quello di fornire assistenza a paesi del mondo comunista, assicurandosi al tempo stesso
il sostegno del mondo occidentale e, in particolare, degli Stati Uniti. Al precedente scetticismo americano nei riguardi dell’Unhcr succedette il riconoscimento della necessità
di un organismo internazionale dotato di specifiche competenze per i rifugiati.
La crisi dei rifugiati ungheresi fu la prima grande emergenza in cui l’Unhcr si
trovò impegnato. Mise in risalto l’esigenza di mantenere un sistema internazionale
per far fronte, sul nascere, alle emergenze di rifugiati. Durante la crisi, l’Unhcr aveva
svolto un ruolo d’importanza fondamentale come organismo coordinatore, mantenendo il collegamento non solo con i governi, ma anche con organizzazioni intergovernative e non governative. La crisi aveva anche dimostrato, con notevole chiarezza, lo stretto legame esistente tra le varie funzioni dell’Unhcr: non solo la protezione internazionale e gli aiuti materiali, ma anche la ricerca di soluzioni permanenti al fenomeno dei rifugiati.
Il modo in cui l’Unhcr aveva gestito l’emergenza ungherese ebbe grande peso per
influenzare, l’anno successivo, una risoluzione dell’Assemblea generale che riconosceva la dimensione planetaria del problema dei rifugiati 32. Tale risoluzione prevedeva la creazione di un fondo d’emergenza. Istituiva, inoltre, il Comitato esecutivo del
programma dell’Alto Commissariato, incaricato di approvare il programma annuale
di aiuti materiali e di fornire pareri all’Alto Commissario, dietro sua richiesta, in
merito a questioni riguardanti le funzioni di protezione e assistenza dell’organizzazione. Queste due modifiche organizzative testimoniavano una più vasta accettazione della funzione permanente dell’Unhcr, ulteriormente consolidata, nel 1959-60,
dall’Anno mondiale del rifugiato. Fra l’altro, questo pubblicizzò non solo l’attività
dell’Unhcr in Europa, ma anche il suo intervento in aiuto dei rifugiati cinesi fuggiti
a Hong Kong [cfr. riquadro 1.5] e dei rifugiati algerini in Marocco e Tunisia.
L’attività dell’Unhcr in favore dei rifugiati cinesi a Hong Kong segnò un’importante svolta nell’evoluzione del lavoro dell’organizzazione. Fu in difesa di tale gruppo specifico che, nel novembre 1957, l’Assemblea generale dell’Onu chiese
all’Unhcr di interporre i propri “buoni uffici” per reperire fondi destinati ad aiutare un gruppo di rifugiati extraeuropei 33. Per quanto, in fin dei conti, gli aiuti necessari fossero relativamente modesti, dato che i rifugiati si integrarono rapidamente
nell’economia del territorio britannico, in piena espansione, la richiesta costituì un
precedente importante per l’intervento nei paesi del Terzo Mondo. Per la prima
volta, l’organizzazione era preparata ad affrontare delle crisi di rifugiati di grandi
proporzioni, non solo in Europa ma anche in altri continenti.
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