Gli inizi
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Gli inizi
1 Gli inizi La seconda guerra mondiale e il periodo dell’immediato dopoguerra provocarono il maggiore esodo di popolazione della storia moderna. Nel maggio 1945 si valutava in oltre 40 milioni il numero degli esuli in Europa, senza contare i tedeschi fuggiti davanti all’avanzata dell’armata sovietica, ad est, e nella stessa Germania gli stranieri costretti ai lavori forzati. C’erano, inoltre, all’incirca 13 milioni di persone di origine tedesca (Volksdeutsche), espulse nei mesi successivi dall’Unione sovietica e poi note col nome di espulsi (Vertriebene). Altri 11,3 milioni di lavoratori forzati e di sfollati furono trovati dagli alleati adibiti a lavori vari sul territorio dell’ex Reich tedesco 1. In aggiunta a queste persone, oltre un milione di russi, ucraini, bielorussi, polacchi, estoni, lettoni, lituani e persone di altre nazionalità fuggirono dal dominio comunista, quando apparve chiaro che il nuovo leader, Josef Stalin, stava imponendo un nuovo totalitarismo. Nel frattempo, la guerra civile in Grecia e altri conflitti nell’Europa sudorientale, scoppiati dopo la ritirata nazista, cominciavano a generare decine di migliaia di rifugiati. Anche fuori d’Europa, durante la guerra si erano avuti massicci esodi di popolazione. Fra di essi quello di milioni di cinesi, trasferiti in zone controllate dalle forze giapponesi in Cina 2. Furono, però, i movimenti di popolazione da un capo all’altro del continente europeo, tragicamente devastato dalla guerra, a preoccupare di più le potenze alleate. Molto tempo prima della fine della guerra, queste erano già consapevoli del fatto che la liberazione dell’Europa avrebbe comportato la necessità di far fronte a massicci sconvolgimenti. Nel 1943 fu quindi creata l’Amministrazione delle Nazioni Unite per i soccorsi e la ricostruzione (Unrra), sostituita nel 1947 dall’Organizzazione internazionale per i rifugiati (Iro). Nel presente capitolo si esamina l’attività di questi organismi, diretti predecessori dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr o, con sigla italiana, Acnur). Si descrive quindi l’evoluzione che ha portato alla creazione, nel 1950, dell’Unhcr, come pure all’adozione, nel 1951, della Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati, divenuta da allora la pietra angolare della protezione internazionale degli esuli. Nel capitolo si analizza, infine, la risposta dell’Unhcr alla sua prima grande sfida: l’esodo di 200mila persone dall’Ungheria, a seguito della repressione da parte delle forze sovietiche della rivoluzione del 1956. L’Unrra Nel novembre 1943, ancor prima della fine della seconda guerra mondiale e dell’istituzione formale, che sarebbe avvenuta solo nel giugno 1945, delle Nazioni Unite, gli alleati (compresa l’Unione sovietica) creavano l’Amministrazione delle Nazioni Unite per i soccorsi e la ricostruzione (Unrra). Dotata di un ampio mandato – collaborare ai soc- I RIFUGIATI NEL MONDO Questi rifugiati dell’Europa orientale, ospitati in un campo in Germania, erano fra milioni di senzatetto alla fine della seconda guerra mondiale. (UNHCR/1953) corsi e alla ricostruzione delle regioni devastate –, l’Unrra non fu creata specificamente come agenzia per i rifugiati: assisteva tutti coloro i quali erano stati costretti dalla guerra ad abbandonare le loro case, e non solo i rifugiati fuggiti dai loro paesi. Nel 1944-45, l’Unrra fornì aiuti d’emergenza a migliaia di rifugiati e sfollati nelle regioni controllate dagli Alleati, anche se l’Unione sovietica non le consentiva di operare nei territori sotto il suo controllo. Fino alla fine della guerra in Europa, nel maggio 1945, l’Unrra lavorò in stretta collaborazione con le forze alleate, che fornivano l’appoggio logistico e materiale. A metà del 1945, l’Unrra disponeva di oltre 300 squadre sul terreno. Finita la guerra, l’Unrra si concentrò in larga misura sul rimpatrio: la maggioranza dei profughi di guerra, infatti, erano impazienti di tornare alle loro case. Anche i paesi che avevano dato asilo a un gran numero di rifugiati, come la Germania, l’Austria e l’Italia, desideravano un loro rapido rimpatrio. Inoltre, gli accordi conclusi nelle conferenze di Yalta e Potsdam, nel 1945, prevedevano il sollecito rientro dei cittadini sovietici nel loro paese. Fra maggio e settembre del 1945, l’Unrra collaborò al rimpatrio di qualcosa come sette milioni di persone 3. Come ha osservato uno storico, tuttavia, l’Unrra fu costantemente frustrata dalla propria subordinazione alle forze alleate: L’Unrra si vide svuotata di prestigio e privata di ogni capacità di azione autonoma... Nel vuoto creato nei primi tempi dalla palese impreparazione dell’organizzazione davanti all’immensità del compito, i militari si incaricarono di buona parte dell’attività a favore dei rifugiati. I soldati, però, sembravano altrettanto poco qualificati per occuparsi dei profughi, e in particolare di quelli di loro, sempre più numerosi, che non potevano o non volevano rimpatriare. Bruschi e ansiosi di smaltire il loro lavoro, gli amministratori militari vedevano in molti casi i rifugiati come un fastidio di cui sbarazzarsi 4. L’operazione rimpatrio divenne sempre più controversa, in particolare col crescere dell’opposizione al rimpatrio stesso. Fra coloro che, durante tale periodo, erano stati rapidamente rimpatriati vi erano circa due milioni di cittadini sovietici, molti dei quali, specie gli ucraini e gli abitanti dei paesi baltici, non volevano ritornare. Molti di loro finirono poi nei campi di lavoro staliniani. Gli abitanti dei paesi dell’Europa orientale furono fatti rimpatriare meno rapidamente. Pure molti di loro non desideravano far ritorno in paesi che si trovavano ora sotto un governo comunista. Molti, però, furono rimandati in patria, con scarso rispetto per i desideri da loro espressi. 14 Gli inizi Riquadro 1.1 Nansen e McDonald L’Unhcr iniziò ad operare dopo la seconda guerra mondiale, ma delle iniziative internazionali concertate per assistere i rifugiati erano di fatto state avviate già fra le due guerre. Fra il 1919 e il 1939, violenti conflitti e turbolenze politiche avevano sradicato, nella sola Europa, oltre cinque milioni di persone, fra cui russi, greci, turchi, armeni, ebrei e repubblicani spagnoli. Nel periodo fra le due guerre, due dei più importanti pionieri dell’azione internazionale in favore degli esuli furono i primi due Alti Commissari per i rifugiati, nominati dalla Società delle Nazioni: il norvegese Fridtjof Nansen (1921-30) e lo statunitense James McDonald (1933-35). Pur avendo punti di vista differenti sul modo di affrontare il problema, entrambi esercitarono una profonda influenza sulle successive iniziative internazionali per la protezione dei rifugiati. Fridtjof Nansen Lo sforzo internazionale di assistere i rifugiati ebbe avvio nell’agosto 1921, quando il Comitato internazionale della Croce rossa chiese alla Società delle Nazioni di soccorrere oltre un milione di russi, costretti all’esodo a causa della guerra civile, molti dei quali soffrivano per la carestia. La Società rispose nominando Fridtjof Nansen, famoso esploratore polare, in qualità di “Alto Commissario per conto della Società delle Nazioni per il problema dei rifugiati russi in Europa”. Più tardi, le sue competenze furono estese ai rifugiati greci, bulgari, armeni e ad altri gruppi. Nansen si assunse la gravosa responsabilità di definire lo status giuridico dei rifugiati russi e di organizzare il loro inserimento lavorativo nei paesi ospitanti, oppure il loro rimpatrio. Per svolgere tale enorme compito, la Società delle Nazioni gli assegnò 4mila sterline. In breve tempo, Nansen riunì dei collaboratori, costituendo quella che sarebbe diventata la struttura di base dell’Unhcr: l’Ufficio dell’Alto Commissario a Ginevra, con rappresentanti locali nei paesi ospitanti. Per reperire adeguate possibilità di lavoro per i rifugiati, Nansen operò in stretta collaborazione con l’Organizzazione internazionale del lavoro, aiutando qualcosa come 60mila rifugiati a trovare un’occupazione. Nansen dedicò particolare attenzione alla protezione giuridica, convocando una conferenza internazionale che portò alla creazione di documenti di viaggio e d’identità per i rifugiati, noti come “passaporti Nansen”. Dopo il fallimento delle trattative con l’Unione sovietica per il rimpatrio degli esuli russi, Nansen propugnò l’adozione di ulteriori misure, per garantire ai rifugiati uno status giuridico certo nel paese ospitante. Quei primi atti giuridici costituirono poi la base delle due Convenzioni sulla materia, adottate nel 1933 e nel 1951. Nel 1922, Nansen dovette far fronte a un’altra crisi: l’esodo di quasi due milioni di rifugiati durante la guerra greco-turca. Si recò immediatamente nella regione, per partecipare al coordinamento degli interventi internazionali di assistenza. Durante la visita in Grecia, Nansen sottolineò il dovere di neutralità dell’Alto Commissario nelle controversie politiche. Benché a titolo personale attribuisse alla Turchia la responsabilità della crisi, distribuì gli aiuti sia ai rifugiati greci che a quelli turchi e incontrò esponenti di entrambe le parti. In ultimo, la Società delle Nazioni lo incaricò di occuparsi dell’insediamento, nella Tracia occidentale, dei rifugiati di etnia greca provenienti dalla Turchia. Nansen spese buona parte degli ultimi anni di vita cercando di lanciare un prestito per il reinsediamento dei rifugiati armeni presenti nell’Unione sovietica: un obiettivo che però non riuscì a realizzare, a causa di una forte opposizione anticomunista. Nel 1922, in riconoscimento della sua opera, Nansen ricevette il premio Nobel per la pace. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1930, la sua azione fu portata avanti dall’Ufficio internazionale Nansen. A partire dal 1954, l’Unhcr conferisce ogni anno una medaglia che porta il suo nome a individui o gruppi di persone che si siano particolarmente messi in luce per la loro opera a beneficio dei rifugiati. James McDonald Negli anni ’30, la comunità internazionale dovette affrontare l’enorme problema dell’esodo di rifugiati dalla Germania nazista. La Società delle Nazioni, pur rifiutando di finanziare direttamente l’assistenza, nominò lo statunitense James McDonald, professore e giornalista, al posto di “Alto Commissario per i rifugiati (ebrei e altri) provenienti dalla Germania”. Fra il 1933 e il 1935, McDonald si battè contro le restrizioni all’immigrazione poste in atto in tutto il mondo, per organizzare il reinsediamento dei rifugiati ebrei. La sua azione fu particolarmente utile per coordinare le attività delle agenzie volontarie, che fornirono la maggior parte dei finanziamenti necessari per l’assistenza. Nei due anni in cui fu Alto Commissario, contribuì a sistemare 80mila rifugiati in Palestina e in altre parti del mondo. Nel settembre 1935, McDonald affrontò il suo compito più impegnativo allorché i nazisti adottarono le leggi di Norimberga, che privavano gli ebrei della cittadinanza e del diritto di voto. Per di più, i nazisti incoraggiavano i tedeschi a licenziare i dipendenti israeliti e a boicottare le imprese ebree. Via via che si inaspriva la persecuzione, un’ondata di rifugiati cominciò ad abbandonare il paese. Scoraggiato per l’azione poco incisiva della Società delle Nazioni, McDonald si dimise il 27 dicembre 1935. In una lettera cui la stampa internazionale diede ampio rilievo, avvertiva: Quando le politiche nazionali minacciano di demoralizzare degli esseri umani, le considerazioni ispirate alla correttezza diplomatica devono cedere il passo, davanti a quelle dettate dai principi umanitari. Sarei un vile se non richiamassi l’attenzione sulla situazione reale, e se non mi appellassi all’opinione pubblica mondiale perché agisca, tramite la Società delle Nazioni e i suoi stati membri, per evitare le tragedie in corso e quelle che incombono su di noi i. Malgrado gli sforzi di McDonald, il suo appello per un intervento diretto in Germania rimase inascoltato, mentre la Società delle Nazioni continuava a considerare il trattamento riservato dalla Germania agli ebrei come una questione puramente interna. Nonostante il fallimento dei suoi tentativi, McDonald si affermò come un sostenitore ante litteram dell’esigenza di una risoluta azione politica per affrontare alla radice le cause degli esodi di rifugiati. 15 I RIFUGIATI NEL MONDO Sebbene, in un primo tempo, i paesi occidentali non si rendessero conto di quello che succedeva a molti di quanti erano stati rimpatriati con la forza, il governo degli Stati Uniti, in particolare, venne a criticare sempre più tali rimpatri. Nel 1946 era ormai in corso un vivace dibattito circa l’opportunità o meno che l’Unrra prestasse assistenza a chi non desiderava rimpatriare. I paesi del blocco orientale sostenevano che l’assistenza doveva essere fornita solo agli esuli che tornavano alle loro case. I paesi del blocco occidentale, dal canto loro, ribadivano l’esigenza che i singoli individui fossero liberi di decidere se rimpatriare o meno, e che tale scelta non dovesse pregiudicare il loro diritto all’assistenza. Da parte sua, il governo americano denunciava la politica di rimpatrio dell’Unrra e i suoi programmi di aiuto alla ripresa e alla ricostruzione nei paesi del blocco orientale, affermando che servivano solo a rafforzare la dominazione politica sovietica sull’Europa orientale 5. La riluttanza dei rifugiati a far ritorno ai paesi d’origine continuò a costituire un grosso problema, che avrebbe caratterizzato gli anni del dopoguerra. Anche in seno alle Nazioni Unite, il rimpatrio divenne un serio problema politico, uno dei temi più controversi discussi dal Consiglio di sicurezza, nei suoi primi anni di esistenza. Il dibattito stava al centro del profondo conflitto ideologico che in quel tempo divideva l’Est e l’Ovest. Si trattava di sapere se ognuno dovesse avere il diritto di scegliere il proprio paese di residenza, di fuggire l’oppressione e di esprimere le proprie opinioni. Alla fine, il governo statunitense, che forniva il 70% del bilancio dell’Unrra e buona parte dei suoi dirigenti, rifiutò di prorogarne il mandato al di là del 1947 e di erogare ulteriori finanziamenti. Al suo posto, e di fronte alla risoluta opposizione dei paesi del blocco orientale, gli Stati Uniti esercitarono forti pressioni per la creazione di una nuova organizzazione per i rifugiati, con un diverso orientamento. L’Organizzazione internazionale per i rifugiati L’Organizzazione internazionale per i rifugiati (Iro) fu istituita nel luglio 1947 come agenzia specializzata non permanente delle Nazioni Unite. Al momento della creazione, si prevedeva che il suo programma triennale sarebbe stato interamente realizzato entro il 30 giugno 1950. Sebbene le sue attività fossero limitate all’assistenza ai rifugiati europei, l’Iro fu il primo organismo internazionale a occuparsi in modo completo di tutti gli aspetti del fenomeno dei rifugiati. Nelle sue funzioni rientravano il rimpatrio, l’identificazione, la registrazione e la classificazione, l’assistenza, compresa quella sanitaria, la protezione giuridica e politica, il trasporto, il reinsediamento dai paesi d’asilo verso i paesi terzi e il reinserimento.Tale molteplicità di funzioni, tuttavia, mascherava un chiaro mutamento di indirizzo: da una politica di rimpatrio, come quella attuata dall’Unrra, a una di reinsediamento. L’Atto costitutivo dell’Iro affermava, fra l’altro, che l’obiettivo principale dell’organizzazione era quello di “incoraggiare e assistere il sollecito ritorno [dei rifugiati] nel paese di cui hanno la cittadinanza, o in quello in cui risiedevano abitualmente” 6. Tale affermazione era ridimensionata, però, dalla risoluzione dell’Assemblea generale istitutiva dell’Iro, che dichiarava che “nessun rifugiato o esule [che formuli valide obiezioni] può essere costretto a tornare nel proprio paese d’origine” 7. 16 Gli inizi In Germania, nel 1950, profughi in fila negli uffici dell’Organizzazione internazionale per i rifugiati, nella speranza di essere reinsediati in un nuovo paese. (IRO/1950) Questo spostamento di accento, dal rimpatrio al reinsediamento, suscitò le critiche dei paesi del blocco orientale, i quali sostenevano che il reinsediamento costituiva un mezzo per procurarsi una fonte di manodopera prontamente disponibile, come anche per offrire rifugio a gruppi sovversivi che avrebbero potuto minacciare la pace nel mondo. In concreto, l’Iro collaborò al rimpatrio di appena 73mila persone, contro oltre un milione che aiutò invece a reinsediarsi in paesi terzi. La maggioranza di questi si trasferirono fuori d’Europa: negli Stati Uniti, che accolsero più del 30% del totale; in Australia, Israele, Canada, nonché in vari paesi latinoamericani. Apparve chiaro che gli anni ’50 avevano aperto una nuova era di emigrazione. Una delle motivazioni per cui venivano ammessi i rifugiati stava nei benefici economici che potevano portare con sé, rivitalizzando le economie attraverso la disponibilità di lavoratori. I governi occidentali sostenevano che la dispersione dei rifugiati in tutto il mondo avrebbe favorito una più equa distribuzione della popolazione, decongestionando l’Europa e recando benefici alle “democrazie d’oltremare”, sottopopolate e meno sviluppate 8. L’Iro non fu in grado, tuttavia, di dar soluzione al problema dei rifugiati. Alla fine del 1951, rimanevano in Europa all’incirca 400mila esuli, e l’organizzazione chiuse i battenti ufficialmente nel febbraio 1952 9. Esisteva un ampio accordo sulla necessità di continuare la cooperazione internazionale per far fronte al fenomeno dei rifugiati, ma un profondo disaccordo sugli obiettivi da raggiungere. I paesi del blocco comunista 17 I RIFUGIATI NEL MONDO Gli esuli provenienti da campi profughi in Austria, Germania e Italia s’imbarcano su una nave noleggiata dall’Organizzazione internazionale per i rifugiati, per cominciare una nuova vita negli Stati Uniti. (UNHCR/1951) non risparmiavano le recriminazioni per il modo in cui l’Iro era stata, a loro modo di vedere, strumentalizzata dai paesi del blocco occidentale. Gli Stati Uniti, da parte loro, si erano stancati di fornire quasi i due terzi dei finanziamenti di un’organizzazione che costava più di tutte le altre istituzioni delle Nazioni Unite messe asssieme. La creazione dell’Unhcr La fine degli anni ’40 aveva visto un irrigidimento della polarizzazione della guerra fredda, che avrebbe dominato le relazioni internazionali per i quattro decenni successivi. Il blocco di Berlino del 1948-49 era stato seguito, in rapida sequenza, dall’esplosione della prima bomba atomica sovietica, dalla fondazione di due stati tedeschi separati, dalla creazione dell’Organizzazione del trattato nordatlantico (Nato), dalla vittoria di Mao Zedong in Cina e dall’inizio, nel 1950, della guerra di Corea. Era apparso sempre più chiaro che il problema dei rifugiati non era un fenomeno temporaneo del dopoguerra. Nuove crisi generavano nuovi esodi di rifugiati, come era avvenuto a seguito dell’avvento al potere dei comunisti, in paesi che andavano dalla Cecoslovacchia alla Cina. Nello stesso periodo, la cortina di ferro fra l’Europa orientale e quella occidentale limitava il movimento delle persone fra i due blocchi. 18 Gli inizi Le tensioni ideologiche proprie della guerra fredda caratterizzarono i negoziati per la creazione, nell’ambito delle Nazioni Unite, di un nuovo organismo per i rifugiati. Questa era stata proposta da varie parti, e anche dal Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr). L’Unione sovietica, seguita dai suoi stati satelliti, boicottò completamente buona parte delle trattative, ma anche fra le potenze occidentali esistevano profonde divergenze. Gli Stati Uniti volevano un’agenzia temporanea, dal mandato rigorosamente definito, con modesti finanziamenti e obiettivi limitati: più esattamente, la protezione dei rimanenti rifugiati dell’Iro, fino al loro reinsediamento a tempo indeterminato. In particolare, volevano rifiutare al nuovo organismo una propria funzione nelle operazioni di soccorso d’emergenza, privandolo del sostegno dell’Assemblea generale e negandogli il diritto di chiedere contributi volontari. Per contro, gli stati dell’Europa occidentale che sopportavano il maggior peso dei rifugiati – insieme con il Pakistan e l’India, che ospitavano milioni di rifugiati a seguito della partizione dell’India, avvenuta nel 1947 – erano a favore di un’istituzione forte, permanente e multifunzionale. Si battevano, inoltre, per un Alto Commissario indipendente, dotato del potere di raccogliere fondi e di distribuirli ai rifugiati. Il risultato di tale dibattito fu un compromesso. Nel dicembre 1949, l’Assemblea generale dell’Onu decise, con 36 voti contro cinque e 11 astensioni, di istituire l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) per un primo periodo triennale, a partire dal 1° gennaio 1951 10. Doveva trattarsi di un organo sussidiario dell’Assemblea generale, come previsto dall’articolo 22 della Carta dell’Onu. Lo Statuto dell’Unhcr, adottato dall’Assemblea generale il 14 dicembre 1950, rifletteva nel contempo il consenso degli Stati Uniti e degli altri paesi occidentali, contrapposti a quelli del blocco orientale, e le divergenze che sussistevano fra gli Stati Uniti e i paesi dell’Europa occidentale circa le rispettive priorità immediate. Secondo uno studioso, “Le gravi limitazioni del campo d’azione e dei poteri dell’Unhcr erano principalmente il risultato del desiderio degli Stati Uniti e dei loro alleati occidentali, di creare un organismo internazionale per i rifugiati che non costituisse una minaccia per la sovranità nazionale delle potenze occidentali, né imponesse loro nuovi impegni finanziari” 11. L’articolo 2 dello Statuto dell’Unhcr afferma che l’attività dell’Alto Commissariato “ha carattere totalmente apolitico; è umanitaria e sociale e riguarda, di norma, gruppi e categorie di rifugiati”. La distinzione qui fatta fra preoccupazioni politiche e umanitarie è stata di cruciale importanza. Molti funzionari dell’Unhcr sostengono che proprio l’accento posto sul carattere apolitico della sua attività ha consentito in larga misura all’organizzazione di operare sia durante l’era, carica di tensioni, della guerra fredda che in successive situazioni di conflitto armato. Altri osservatori argomentano che, se è vero che la distinzione si sarebbe rivelata per molti versi utile, di fatto è stata sin dall’inizio alquanto fuorviante, essendo stata concepita principalmente per attenuare i gravi effetti della bipolarizzazione dei primi anni ’50, come pure per impedire una completa paralisi delle Nazioni Unite quando affrontavano in quel periodo il fenomeno dei rifugiati 12. Alcuni analisti hanno, inoltre, sostenuto che, essendo l’Unhcr un organo sussidiario dell’Onu, soggetto al controllo formale dell’Assemblea generale, non può mai essere del tutto indipendente dagli organi politici delle Nazioni Unite 13. Il dibattito, tuttora in corso, sulla questione è in larga misura imperniato sul fatto che si è omesso di definire chiaramente in che cosa consiste una “azione umanitaria” e in che cosa una “azione politica”. Ma in che misura poteva un’organizzazione proteggere e assistere i rifugiati, rimanendo apolitica? Il dibattito al riguardo non era nuovo. La questione era stata oggetto di discussione anche durante il periodo della Società delle Nazioni, quando Fridtjof Nansen e James McDonald, due Alti Commissari competenti per determinati gruppi di rifugiati, avevano adottato approcci diversi [cf. riquadro 1.1]. 19 I RIFUGIATI NEL MONDO Riquadro 1.2 L’assistenza delle Nazioni Unite ai rifugiati palestinesi Nel novembre 1947, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvò la divisione della Palestina in uno stato ebraico e uno stato arabo. Cinque mesi e mezzo dopo, il Regno Unito, che aveva avuto il mandato di amministrare il territorio per tutto il periodo di esistenza della Società delle Nazioni, si ritirava. La popolazione araba della Palestina e gli stati arabi respinsero il piano di spartizione, che attribuiva alla popolazione ebrea oltre la metà del territorio, sebbene la popolazione araba fosse, all’epoca, più numerosa. Nel conflitto fra ebrei e palestinesi che ne seguì, gli ebrei annetterono altri territori. Il 14 maggio 1948 era proclamato lo stato d’Israele e quando, nel 1949, fu concluso un armistizio, Israele controllava i tre quarti del territorio dell’ex mandato britannico. Nel periodo precedente la proclamazione dello stato d’Israele e nei nuovi scontri fra arabi ed ebrei che immediatamente la seguirono, circa 750mila palestinesi furono espulsi o costretti a fuggire dalle zone sotto controllo israeliano. Le Nazioni Unite cercarono di negoziare il loro ritorno a casa, che fu però bloccato da Israele. Nuovi insediamenti israeliani furono rapidamente creati su vaste estensioni di terreno di proprietà palestinese, e gli immigranti ebrei che via via arrivavano venivano alloggiati in case pure appartenenti a dei palestinesi. La maggioranza dei rifugiati palestinesi si sistemò in aree urbane nei paesi arabi o rimpatriò, ma circa un terzo dei rifugiati rimase invece nei campi profughi della regione. Da allora, quei campi sono il simbolo della tragedia dei rifugiati palestinesi. L’istituzione dell’Unrwa In un primo tempo, l’assistenza ai rifugiati palestinesi fu fornita da organizzazioni non governative, sotto 20 l’egida del Soccorso delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (United Nations Relief for Palestine Refugees – Unrpr). In seguito, nel dicembre 1949, l’Assemblea generale dell’Onu decise di istituire l’Agenzia di soccorso e lavori delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi del Vicino Oriente (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East – Unrwa). La decisione di istituire l’Unrwa fu soprattutto un’iniziativa del governo statunitense, che presiedeva la Commissione di conciliazione delle Nazioni Unite per la Palestina. Fu presa quando apparve chiaro che difficilmente il governo del nuovo stato d’Israle avrebbe permesso il rientro di un gran numero di rifugiati nel suo territorio. Il governo degli Stati Uniti propose la creazione, da parte dell’Assemblea generale, di un’apposita agenzia per continuare a fornire assistenza ai rifugiati, ma che, in primo luogo, si incaricasse di avviare progetti di sviluppo su vasta scala: da qui il termine “lavori” nel nome. Gli stati arabi accettarono la proposta solo dopo che fu loro assicurato che l’istituzione dell’Unrwa non avrebbe compromesso il diritto dei rifugiati di far ritorno alle loro case, sancito nella risoluzione 194(III), dell’11 dicembre 1948, dell’Assemblea generale. Ciò era chiaramente affermato nel mandato istitutivo dell’Unrwa, approvato con la risoluzione 302(IV), dell’8 dicembre 1949, dell’Assemblea generale. Nel contempo, alle Nazioni Unite si negoziava la creazione di quello che sarebbe poi divenuto l’Unhcr. Una volta istituita l’Unrwa, tuttavia, gli stati arabi insistettero perché i rifugiati palestinesi da essa assistiti fossero esclusi dal mandato dell’Unhcr e dalla Convenzione dell’Onu sui rifugiati del 1951. Essi temevano, infatti, che la definizione del rifugiato come singolo individuo, contenuta nel progetto di convenzione in discussione, potesse insidiare la posizione dei palestinesi, il cui diritto al ritorno, come gruppo, era stato riconosciuto in precedenti risoluzioni dell’Assemblea generale. Altri temevano, inoltre, che il carattere apolitico del costituendo organismo non fosse compatibile con quello, altamente politicizzato, della questione palestinese. Per questi motivi, sia lo Statuto dell’Unhcr del 1950, sia la Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati del 1951 escludono “le persone che attualmente ricevono... protezione o assistenza” da altri organismi o agenzie dell’Onu. L’area geografica di attività dell’Unrwa è limitata a Libano, Siria, Giordania, Cisgiordania e striscia di Gaza. Solo quando escono da tale zona, i rifugiati palestinesi rientrano nel mandato dell’Unhcr e nella Convenzione del 1951. A differenza dell’Unhcr, l’Unrwa non disponeva di un vero e proprio Statuto e, nel corso degli anni, elaborò una propria definizione operativa del rifugiato, contenuta nelle “Istruzioni unitarie per la registrazione” (Consolidated Registration Instructions). Queste definivano come rifugiati palestinesi coloro che avevano risieduto abitualmente in Palestina per almeno due anni prima del conflitto del 1948, che a seguito di questo avevano perso sia la casa che i mezzi di sussistenza e che avevano trovato rifugio, nel 1948, nelle zone di attività dell’Unrwa. Hanno diritto all’assistenza anche i loro discendenti. Diversamente dall’Unhcr, il ruolo dell’Unrwa non comprende la ricerca di soluzioni permanenti per i rifugiati di sua competenza. Inoltre, il mandato dell’agenzia riguarda principalmente la fornitura dei servizi Gli inizi essenziali e non la protezione internazionale, che viceversa costituisce il fulcro dell’azione dell’Unhcr. I primi anni dell’Unrwa L’Unrwa sorse come agenzia temporanea, con un mandato rinnovabile periodicamente. All’inizio degli anni 50, quando ancora rifiutavano di finanziare l’Unhcr, gli Stati Uniti erano il principale donatore dell’Unrwa e lo sono rimasti anche in seguito. Nel 1950, l’Unwra aveva la responsabilità di circa un milione di rifugiati, che vivevano in Giordania, Libano, Siria, Cisgiordania e nella striscia di Gaza. Il suo primo compito fu di continuare il programma di aiuti d’emergenza in corso, avviato dagli organismi che l’avevano preceduta, come anche di aiutare i rifugiati a lasciare le tende per sistemazioni meno precarie. Dal 1950 al 1957, l’agenzia finanziò dei programmi regionali di sviluppo economico, destinati a sviluppare l’agricoltura e a promuovere la cooperazione internazionale, per integrare i palestinesi nell’economia della regione. A metà degli anni 50, l’Unrwa si sforzò di realizzare due grossi programmi di reinsediamento in paesi terzi. In entrambi i casi, sia i paesi di destinazione, sia gli stessi rifugiati li respinsero, insistendo sul diritto al ritorno. Il fallimento di tali iniziative condusse a un riesame delle finalità dell’Unrwa per cui, dal 1957 al 1967, l’agenzia abbandonò i grandiosi piani di sviluppo regionale, concentrandosi invece sugli aiuti umanitari, l’istruzione e l’assistenza sanitaria nei campi profughi. Nel 1967, a seguito della “guerra dei sei giorni” arabo-israeliana, un gran numero di palestinesi fuggì o fu espulso, venendo a costituire un nuovo gruppo di profughi che comprendeva esuli della Cisgiordania, rifugiatisi in Giordania e Siria, e della striscia di Gaza, che trovarono riparo in Egitto e Giordania. Come nel 1948, una volta fuggiti, il governo israeliano vietò il loro ritorno in quelli che furono chiamati “Territori occupati”. Dei 350mila palestinesi fuggiti in conseguenza della guerra del 1967, circa la metà furono classificati “sfollati”. Non essendo stati costretti all’esodo nel 1948, non rientravano nel mandato dell’Unrwa, il che li rendeva ancora più vulnerabili. Benché il mandato stesso non fosse stato modificato per farvi rientrare tale nuova categoria, l’agenzia fornì loro nondimeno alcuni servizi d’emergenza, con l’appoggio dell’Assemblea generale dell’Onu. Gli altri furono costretti alla fuga, per la seconda volta in 20 anni. In Cisgiordania e a Gaza, l’occupazione israeliana creò un nuovo rapporto, estremamente delicato, fra l’Unrwa, i rifugiati palestinesi e il governo israeliano. Sviluppi successivi Ci vollero 20 anni perché, nel dicembre 1987, i palestinesi dei Territori occupati scendessero nelle strade, in una rivolta aperta e spontanea. Un mese dopo lo scoppio di quella che fu conosciuta come intifada (rivolta), il Segretario generale delle Nazioni Unite propose un limitato ampliamento del mandato dell’Unrwa, per includervi funzioni di “protezione passiva” nei territori della Cisgiordania e della striscia di Gaza occupati da Israele. Successive risoluzioni dell’Assemblea generale hanno avallato questo approccio, che ha avuto come risultato il varo di un programma di assistenza legale, l’assunzione di altro personale, sia locale che internazionale, nonché la dislocazione di osservatori dei diritti umani. La Dichiarazione di principi del settembre 1993 sull’autonomia palestinese nei Territori occupati, sottoscritta dal leader palestinese Yasser Arafat e dal primo ministro israeliano Yitzak Rabin, mirava a garantire un graduale passaggio dei poteri all’Autorità nazionale palestinese. Un mese dopo, per sostenere il processo di pace, l’Unrwa lanciava un “programma di attuazione della pace”, che comprendeva il miglioramento dei servizi sanitari e dell’istruzione, la costruzione di alloggi d’emergenza e di altre infrastrutture, nonché la concessione di prestiti alle piccole imprese. I rifugiati sono ormai alla terza o perfino alla quarta generazione. Nel 1999, nella regione erano circa 3,6 milioni, su un totale di circa sei milioni di palestinesi dispersi in tutto il mondo. In particolare, sono qualcosa come 1,5 milioni in Giordania e all’incirca 1,3 milioni in Cisgiordania e nella striscia di Gaza. Quasi un terzo dei rifugiati vive in 59 campi profughi, mentre gli altri risiedono in villaggi e città nelle zone di attività dell’Unrwa. Malgrado le difficoltà di finanziamento, nel corso degli anni questa ha realizzato circa 650 scuole, che contano oggi oltre 450mila allievi, otto centri di formazione professionale, 122 centri sanitari e molti altri progetti che rispondono a diversi bisogni della comunità. Le necessità dei rifugiati, tuttavia, rimangono molto rilevanti e, finché non si sarà trovata e attuata una soluzione politica permanente e globale della questione palestinese, lo status giuridico e il futuro della maggioranza dei rifugiati rimarranno incerti. 21 I RIFUGIATI NEL MONDO Le funzioni preminenti dell’Unhcr erano di duplice ordine: primo, fornire ai rifugiati una protezione internazionale; secondo, cercare soluzioni permanenti al problema dei rifugiati, assistendo i governi nel facilitarne il rimpatrio volontario o l’assimilazione in seno a nuove comunità nazionali. Anche se alla nuova organizzazione fu concesso il diritto di raccogliere contributi volontari, gli Stati Uniti riuscirono a ottenere che la premessa per tali appelli fosse l’approvazione dell’Assemblea generale. Di conseguenza, l’Unhcr è venuto a dipendere da un modesto bilancio amministrativo, assegnato dall’Assemblea generale, e da un limitato “fondo d’emergenza”. Nei primi tempi, il governo americano rifiutò di contribuire a tale fondo, dato che, in quella fase, non considerava l’Unhcr l’organismo più idoneo attraverso il quale convogliare mezzi finanziari. Decise, invece, di finanziare lo United States Escapee Program (Programma Usa per i fuggiaschi) e il Comitato intergovernativo per le migrazioni europee. Quest’ultimo fu fondato nel 1952, per collaborare al trasferimento dei migranti e rifugiati dall’Europa verso paesi d’immigrazione extraeuropei, e divenne successivamente l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Nell’ambito del sistema delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti finanziarono inoltre l’Agenzia di soccorso e lavori delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi del Vicino Oriente (Unrwa) [cfr. riquadro 1.2] e l’Agenzia delle Nazioni Unite per la ricostruzione della Corea, che fornì assistenza a milioni di persone strappate alle loro case dalla guerra di Corea. Sin dall’inizio, l’Unhcr fu limitato dall’inadeguatezza del suo bilancio. Ogni progetto di assistenza ai rifugiati doveva essere finanziato mediante contributi volontari, perlopiù di stati. Non fu dotato dei mezzi per attuare un programma di rimpatrio, come quello realizzato dall’Unrra, né un programma di reinsediamento, come quello svolto dall’Iro.All’Unhcr fu chiesto, invece, di assicurare la protezione internazionale e di cercare soluzioni al fenomeno dei rifugiati, con appena un esiguo bilancio. Secondo le parole del primo Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Gerrit Jan van Heuven Goedhart, esisteva il pericolo effettivo che il suo ente si limitasse ad “amministrare la miseria” 14. Con un bilancio annuale non superiore ai 300mila dollari, la speranza che, nel giro di pochi anni, l’Unhcr fosse in grado di dare una soluzione definitiva al problema dei rifugiati europei si rivelò illusoria. Malgrado gli sforzi dell’Alto Commissario van Heuven Goedhart per persuadere i governi delle dimensioni del fenomeno, questi si limitavano a erogare finanziamenti minimi. Cionondimeno, l’Unhcr collaborò in modo sempre più efficace con le agenzie volontarie. Il primo cospicuo stanziamento messo a disposizione dell’Unhcr non venne da un governo, ma dall’americana Fondazione Ford, che nel 1951 fece una donazione di 3,1 milioni di dollari. Il denaro fu utilizzato per un progetto pilota, che per la prima volta metteva l’accento sull’integrazione nei paesi europei d’asilo come soluzione al problema dei rifugiati. Successivamente, nel 1954, fu istituito un nuovo Fondo delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unref), per l’esecuzione di progetti in paesi quali l’Austria, la Repubblica federale di Germania, la Grecia e l’Italia. Gli Stati Uniti contribuirono a tale fondo, mentre in precedenza avevano rifiutato di finanziare l’Unhcr a seguito di una decisione del 1950 del Congresso, che aveva posto il veto all’impiego di fondi americani per qualunque organizzazione internazionale che operasse nei paesi al di là della cortina di ferro. Verso la metà degli anni ’50, anche la rigida opposizione iniziale dell’Unione sovietica all’Unhcr cominciò ad attenuarsi. A quell’epoca, la guerra fredda si era ormai propagata ben al di là delle frontiere dell’Europa, e nuovi paesi esercitavano un’influenza sull’attività della Nazioni Unite. L’Unione sovietica aveva contribuito a facilitare l’ammissione nell’organizzazione di vari paesi in via di sviluppo, i quali riconoscevano ora la potenziale utilità dell’Unhcr per i loro problemi di rifugiati. 22 Gli inizi Riquadro 1.3 La Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati La Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati fu adottata dalla Conferenza delle Nazioni Unite sullo status dei rifugiati e degli apolidi, svoltasi a Ginevra dal 2 al 25 luglio 1951. Fu aperta alla firma il 28 luglio ed entrò in vigore il 22 aprile 1954. La Convenzione sancisce i diritti e i doveri dei rifugiati, come pure gli obblighi degli stati nei loro confronti, fissando le norme internazionali circa il trattamento che va loro riservato. Comprende, inoltre, principi volti a promuovere e tutelare i loro diritti in vari settori: lavoro, istruzione, residenza, libertà di movimento, accesso alla giustizia, naturalizzazione e, soprattutto, la garanzia di non essere costretti a tornare in un paese nel quale rischino la persecuzione. Due delle più importanti misure sono quelle degli articoli 1 e 33: Articolo 1 – Definizione del termine “rifugiato” A(2) [Chiunque]... avendo un fondato timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale od opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui è cittadino e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale paese; oppure che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del paese in cui risiedeva abitualmente..., non può o non vuole tornarvi a causa di tale timore... Articolo 33 – Divieto di espulsione o di respingimento (refoulement) 1. Gli stati contraenti non possono in alcun modo espellere o respingere (refouler) un rifugiato verso le frontiere di territori in cui la sua vita o la sua libertà siano in pericolo per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale od opinioni politiche... La definizione di rifugiato contenuta nella Convenzione del 1951 era limitata a coloro che lo erano divenuti “a seguito di avvenimenti verificatisi anteriormente al 1° gennaio 1951”. Questa limitazione temporale, tuttavia, fu successivamente soppressa dall’articolo I(2) del Protocollo aggiuntivo del 1967 [cfr. riquadro 2.2]. Nell’aderire alla Convenzione, inoltre, gli stati avevano la possibilità di fare una dichiarazione che limitava i loro obblighi ai soli rifugiati divenuti tali a causa di eventi verificatisi in Europa. La Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati – assieme al Protocollo del 1967 – costituisce tuttora il più importante strumento di diritto internazionale, e l’unico di portata universale, in materia. Al 31 dicembre 1999, 131 stati avevano aderito sia alla Convenzione del 1951 che al Protocollo del 1967, mentre 138 stati avevano ratificato uno di tali strumenti o entrambi. 23 I RIFUGIATI NEL MONDO La redazione della Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati I diritti e gli obblighi enunciati nella Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati stanno al centro dell’attività dell’Unhcr. I negoziati per la sua elaborazione si svolsero in parallelo con quelli per la creazione dell’Unhcr. La Convenzione fu adottata da una conferenza internazionale sette mesi dopo, il 28 luglio 1951. Fu la definizione del temine “rifugiato” che suscitò particolari controversie. Poiché la Convenzione creava nuovi obblighi, vincolanti in base al diritto internazionale, gli stati partecipanti al lavoro redazionale miravano a restringere tale definizione alle categorie di rifugiati verso le quali sarebbero stati disposti ad assumere obblighi giuridici. Gli Stati Uniti erano favorevoli a una definizione restrittiva, in considerazione degli obblighi giuridici derivanti da una definizione più estensiva. I paesi dell’Europa occidentale, al contrario, optavano per una definizione ampia, sebbene anche fra loro esistessero divergenze circa il suo esatto tenore. Alla fine si giunse a una formula di compromesso. I governi si misero d’accordo su una definizione generica, universalmente applicabile, del termine “rifugiato”, centrata sul concetto del “fondato timore di persecuzione”. Nel contempo, imponevano due importanti limitazioni al campo d’applicazione della Convenzione. In primo luogo, di essa non potevano beneficiare le persone divenute rifugiate a seguito di avvenimenti posteriori al 1° gennaio 1951, anche se altrimenti rispondevano alla definizione. In secondo luogo, nell’aderire alla Convenzione, gli stati avevano la possibilità di includere una dichiarazione che limitava ai soli rifugiati europei gli obblighi da essa derivanti. L’adozione di tale definizione del termine “rifugiato” costituì un rilevante mutamento d’indirizzo, in quanto significava che da allora in poi i rifugiati sarebbero stati riconosciuti tali non solo per gruppi, come negli anni precedenti, ma anche a titolo individuale, caso per caso. Inoltre, ora la definizione era generica e non legata a specifici gruppi nazionali, quali i russi dell’Unione sovietica o i greci della Turchia, come negli anni fra le due guerre. Sebbene la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo proclamasse il diritto dell’individuo di chiedere e ottenere asilo, l’importanza per gli stati di preservare il proprio diritto sovrano di consentire l’ingresso nel loro territorio fece sì che gli stati che avevano elaborato la Convenzione dell’Onu sui rifugiati non fossero disposti a riconoscere nella nuova Convenzione, giuridicamente vincolante, un diritto incondizionato all’asilo. Essa non contiene, pertanto, alcun riferimento a un “diritto all’asilo”. Tuttavia, una delle sue disposizioni essenziali prevede l’obbligo per gli stati firmatari di non espellere o rimandare indietro un rifugiato verso un paese nel quale rischi la persecuzione. Il principio è noto con l’espressione francese non refoulement (non respingimento), utilizzata nell’articolo 33 della Convenzione. Altre disposizioni in essa contenute riguardano i diritti dei rifugiati in relazione a questioni come il lavoro, la casa, la scuola, la previdenza sociale, i documenti personali e la libertà di circolazione [cf. riquadro 1.3]. Analoghi diritti erano contenuti nella Convenzione del 1933 relativa allo status internazionale dei rifugiati, che fu il primo strumento internazionale a menzionare 24 Gli inizi il principio per cui i rifugiati non potevano essere rimandati con la forza nel paese d’origine 15. Essa era stata, però, ratificata solo da otto stati. Un altro strumento internazionale d’interesse in questo campo era la Convenzione del 1938 relativa allo status dei rifugiati provenienti dalla Germania, che era stata vanificata, però, dallo scoppio della seconda guerra mondiale ed era stata oggetto di solo tre ratifiche. La forza, invece, della Convenzione Onu del 1951 sta nel gran numero di ratifiche che conta in tutto il mondo [cf. cartina 1.1]. Stati firmatari della Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati e/o del Protocollo del 1967, al 30 giugno 2000 0 1000 Cartina 1.1 2000 Chilometri LEGGENDA LEGGENDA Firmatari della Convenzione e/o del Protocollo Firmatari della Convenzione e/o del Protocollo Nota: I confini riportati sulla cartina sono quelli utilizzati dalla Sezione cartografica dell’Onu di New York, e non implicano un avallo o un’accettazione ufficiale da parte delle Nazioni Unite. Nota: I confini riportati sulla cartina sono quelli utilizzati dalla Sezione cartografica dell’Onu di New York, e non implicano un avallo o un’accettazione ufficiale da parte delle Nazioni Unite. 25 I RIFUGIATI NEL MONDO La crisi ungherese del 1956 Per l’Unhcr, il primo grande test fu l’esodo dei rifugiati dall’Ungheria, dopo la repressione sovietica della rivolta del 1956. Molti di loro seguirono lo stesso itinerario verso l’Austria già percorso, nel 1944-45, dagli ungheresi che fuggivano davanti all’avanzata dell’armata rossa. Mentre la grande maggioranza dei rifugiati – all’incirca 180mila – riparò in Austria, altri 20mila circa fuggirono nella Jugoslavia socialista, che nel 1948 aveva troncato i rapporti con l’Unione sovietica. Tale esodo costituì per l’Unhcr una prima esperienza di intervento, di fronte a un massiccio afflusso di rifugiati che fuggivano dalla repressione politica. Per l’organizzazione fu, inoltre, la prima esperienza di collaborazione con il Comitato internazionale della Croce Rossa (in Ungheria) e con la Lega delle società della Croce Rossa (in Austria). Nel 1956-57, l’Unhcr realizzò una grande operazione di soccorso umanitario, assistendo i rifugiati in Austria e in Jugoslavia e collaborando al loro reinsediamento in 35 paesi di tutto il mondo, come anche al rimpatrio volontario in Ungheria di alcuni di loro. La crisi fu gestita da Auguste Lindt, che era succeduto, il 10 dicembre 1956, a van Heuven Goedhart nella carica di Alto Commissario. Quella operazione segnò l’inizio della trasformazione dell’Unhcr, da piccolo organismo dell’Onu che si occupava degli ultimi rifugiati della seconda guerra mondiale, a organizzazione molto più vasta, dotata di più ampie competenze. L’Unhcr sarebbe uscito dalla crisi, che divenne uno dei simboli più importanti della guerra fredda, molto rafforzato e con un prestigio internazionale notevolmente accresciuto. Le origini profonde della crisi ungherese stavano nel disgelo che era succeduto, nell’Europa orientale e nell’Unione sovietica, alla morte di Stalin, nel marzo 1953. Il regime stalinista asceso al potere in Ungheria, nel 1947-48, era tra i più stalinisti dell’Europa orientale. Nel 1949 inscenò una serie di processi farsa, che rispecchiavano quelli di Mosca del 1936, e che per molti dirigenti comunisti si erano conclusi con una sentenza capitale. In seguito, nel 1954, l’anno dopo la morte di Stalin, il capo della polizia segreta e il primo segretario del partito comunista, il partito al governo, furono a loro volta arrestati e processati, con l’accusa di abuso di potere e di aver proceduto ad arresti immotivati. Nel febbraio 1956, il famoso discorso di Nikita Krusciov in occasione del 20° congresso del Partito comunista dell’Unione sovietica, in cui riconosceva che Stalin aveva commesso gravi errori, ebbe l’effetto di un terremoto, non solo nell’Unione sovietica ma in tutto il mondo comunista. Il suo preciso impegno a ripensare i rapporti dell’Urss con i paesi satelliti ebbe conseguenze drammatiche nell’Europa orientale, e più particolarmente in Polonia e Ungheria. In Polonia, le manifestazioni e gli scioperi di giugno portarono a un cambio di governo e ad una liberalizzazione, attentamente ponderata del regime che fu accettata con riluttanza da Mosca. In Ungheria, per contro, i tentativi di riforma avrebbero avuto una tragica conclusione. In un primo tempo sembrò che il regime riconoscesse la necessità di riforme. Diede il proprio avallo ad alcune concessioni alle masse contadine e ad un’atte26 Gli inizi Nel 1956, in cerca di scampo dalla repressione sovietica della rivolta, un gruppo di ungheresi attraversa il confine austriaco. (RDZ/1956) nuazione del regime del terrore, nominando nel contempo, a denti stretti, primo ministro Imre Nagy, critico dell’industrializzazione forzata e della collettivizzazione. Le manifestazioni popolari dell’ottobre 1956 rivelarono, tuttavia, la disapprovazione generalizzata del regime e l’odio nei confronti della sua polizia segreta. Il movimento culminò, il 23 ottobre, in una massiccia rivolta, quando qualcosa come 300mila persone scesero in piazza, scontrandosi con le truppe ungheresi e sovietiche. Il 27 ottobre, in risposta agli appelli della popolazione, Nagy formò un governo di coalizione, da cui erano esclusi i comunisti e gli oltranzisti, promettendo inoltre libere elezioni. Il 1° novembre, dovette rassegnarsi a proporre di ritirare l’Ungheria dal Patto di Varsavia e a dichiararne la neutralità. Mentre in un primo momento si era allontanato da Budapest, il 4 novembre l’esercito sovietico attaccò in forze la capitale. Nei combattimenti generalizzati di piazza che seguirono, la resistenza all’Armata rossa – che disponeva di 200mila soldati e oltre duemila carri armati – fu schiacciata con decisione. Migliaia di ungheresi furono deportati o, come Nagy, giustiziati. Più di tremila persone trovarono la morte nelle strade di Budapest, nei 10 giorni di quello che sarebbe diventato il più violento scontro armato in Europa, fra la seconda guerra mondiale e le guerre in Jugoslavia degli anni ’90. 27 I RIFUGIATI NEL MONDO Riquadro 1.4 Il programma tedesco di indennizzi ai rifugiati Poco dopo la creazione, nel 1949, della Repubblica federale di Germania, si cominciò a discutere la questione degli indennizzi alle vittime delle persecuzioni naziste. Il termine “riparazione” o, in tedesco, Wiedergutmachung (alla lettera, “ripristino”) fu usato di rado, perché era generalmente riconosciuto che nessun risarcimento in denaro avrebbe mai potuto compensare gli orrori dell’olocausto. Le prime leggi della Repubblica federale definivano come “perseguitati”, ai fini dell’indennizzo, coloro i quali avevano sofferto per motivi di razza, religione od opinioni politiche. Altri, anche se erano stati in un campo di concentramento o avevano dovuto lavorare come schiavi, non erano classificati come “perseguitati”, ma come persone “danneggiate per motivi di nazionalità” (Nationalgeschädigte in tedesco). I “perseguitati per la nazionalità” erano decine di migliaia: polacchi, ucraini, bielorussi, serbi, cechi, slovacchi e altri, che erano stati internati o deportati per lavorare come schiavi nelle fabbriche tedesche. Nella maggioranza dei casi, la vita dei superstiti era distrutta: la salute rovinata, le famiglie esuli e disperse, le case sinistrate o distrutte. Dopo la guerra, molti si erano trasferiti in Nordamerica, Sudamerica, Sudafrica o Australia, ma i nuovi paesi di residenza non avevano accolto le loro richieste di risarcimento, dato che al momento delle persecuzioni non ne erano cittadini. I primi negoziati in materia d’indennizzo si incentrarono sui perseguitati per motivi religiosi. La Conferenza sulle rivendicazioni materiali ebree nei confronti della Germania (“Conferenza sulle rivendicazioni”), creata nel 1951, riunì numerose organizzazioni israelite e, da mezzo secolo a questa parte, si è battuta risolutamente in favore delle vittime ebree del nazismo. Altre vittime – ad esempio, i rom (nomadi) o i comunisti – e i “perseguitati per la nazionalità” non disponevano di analoghe organizzazioni. La prima legge della Repubblica federale di Germania in materia di indennizzi, emanata nel 1953, 28 assicurava un limitato risarcimento ad alcuni “perseguitati per la nazionalità”, la cui salute era stata seriamente danneggiata e che erano diventati rifugiati entro determinati termini. Altri provvedimenti, adottati nel 1956, non concessero ulteriori aiuti a tale categoria. Nel 1957, alcuni paesi occidentali intavolarono trattative col governo di Bonn per ottenere l’indennizzo dei loro cittadini. Si parlò di un “fondo mondiale” destinato anche ai “perseguitati per la nazionalità”, ma fu deciso che la questione dei risarcimenti avrebbe dovuto aspettare la conclusione formale del trattato di pace. Nel frattempo, la Germania avrebbe discusso con l’Unhcr in merito ai rifugiati che avevano sofferto a causa della loro nazionalità. Nel 1960, la Germania concluse un primo accordo con l’Unhcr. Questo avrebbe gestito un “fondo sofferenze” con una dotazione di 45 milioni di marchi, messo a disposizione dal governo per i “perseguitati per la nazionalità” divenuti rifugiati prima del 1° ottobre 1953. Nei cinque anni seguenti, l’Unhcr versò indennizzi compresi fra 3mila e 8mila marchi, in favore di circa 10mila persone. Nel frattempo, altri potenziali beneficiari erano fuggiti in Occidente, e nel 1965 il fondo era ormai esaurito. Un anno dopo, l’Unhcr concludeva col governo tedesco un accordo supplementare, che spostava al 31 dicembre 1965 la data limite e prevedeva un’ulteriore dotazione di 3,5 milioni di marchi. Le richieste di risarcimento continuarono, tuttavia, a superare i fondi disponibili e anche il finanziamento aggiuntivo andò rapidamente esaurito. La ripartizione delle modeste somme messe a disposizione dell’Unhcr rappresentò un arduo compito. Il personale dell’organizzazione passava al vaglio le domande dei superstiti, giunte da tutte le regioni del globo. Molti allegavano foto di prima della deportazione e dei lavori forzati in Germania. Altri inviavano certificati medici, bilanci familiari scritti a mano, conti non pagati. Gli importi relativamente esigui disponibili erano assolutamente sproporzionati rispetto alle persecuzioni subìte, ma l’indennizzo era comunque considerato di grande importanza per dimostrare alle vittime che non erano state dimenticate. Nel 1980, la Conferenza sugli indennizzi avviò negoziati con la Repubblica federale di Germania in vista dell’istituzione di un nuovo fondo per gli ebrei perseguitati, fuggiti in Occidente solo dopo il 1965. Inoltre, l’Unhcr richiese ulteriori fondi per i “perseguitati per la nazionalità”, divenuti rifugiati dopo il 1965. Le trattative ebbero come risultato la creazione di tre nuovi fondi, con una dotazione totale di 500 milioni di marchi, a beneficio delle vittime definite dalla normativa tedesca, con esclusione dei “perseguitati per la nazionalità”. Per quest’ultima categoria fu istituito un nuovo fondo dotato di 5 milioni di marchi, amministrato dall’Unhcr, ma apparve ben presto chiaro che non sarebbe stato sufficiente. L’emigrazione dall’Europa orientale, specie dalla Polonia, era in aumento, e la nuova ondata di rifugiati ne comprendeva molti che avevano diritto al risarcimento. Nel 1984, la Germania aumentò il fondo gestito dall’Unhcr di altri 3,5 milioni. A maggio dello stesso anno, erano state ricevute oltre 1.100 nuove domande e se ne attendevano altre, tutte presentate da superstiti divenuti rifugiati dopo il 1965. Le lettere pervenute all’Unhcr dimostravano che i richiedenti soffrivano ancora per gli effetti delle persecuzioni. Molti erano in condizioni di salute talmente precarie da non poter lavorare. Nessuna somma di denaro avrebbe potuto riparare il danno subìto, ma le vittime volevano un riconoscimento delle loro sofferenze, anche se in molti casi avevano già superato l’età della pensione. L’assistenza dell’Unhcr ai rifugiati tramite il “fondo sofferenze” è terminata nel 1993. A quella data, il governo federale tedesco aveva versato, tramite il fondo amministrato dall’Unhcr, un totale di 59 milioni di marchi a rifugiati ed ex rifugiati, vittime della barbarie nazista. Gli inizi L’esodo dei rifugiati Ancor prima della repressione della rivoluzione ungherese, in Austria erano cominciati ad arrivare dei rifugiati. Il 5 novembre, la situazione era ormai abbastanza seria perché il governo austriaco facesse appello all’assistenza dell’Unhcr. Ben presto giunsero offerte di asilo, permanente o temporaneo, da alcuni paesi: Canada, Cile, Danimarca, Francia, Norvegia, Regno Unito, Svezia. L’8 novembre, il presidente Dwight D. Eisenhower annunciava che gli Stati Uniti erano disposti ad accogliere subito 5mila rifugiati. La cifra fu successivamente portata a 6mila e, in dicembre, il governo americano annunciò la possibilità di esaminare, in Austria, le domande di altri 16.500 ungheresi, in vista dell’ammissione negli Stati Uniti 16. Alla fine, qualcosa come 200mila rifugiati ungheresi avrebbero abbandonato la loro patria. A fine novembre, si erano registrati in Austria 115.851 arrivi. Uomini, donne e bambini fuggivano, terrorizzati e disperati, trascinando valigie e carriole. Seguivano la stessa strada, verso la località frontaliera di Hegyeshalom, che era stata percorsa 12 anni prima da decine di migliaia di ebrei ungheresi, deportati dai nazisti. Nelle parole di un rifugiato: “Abbiamo lasciato tutto, come si farebbe avendo la casa in fiamme” 17. Fra il dicembre 1956 e il gennaio 1957 affluirono in Austria altri 56.800 esuli. In seguito, gli arrivi nel paese subirono un drastico calo, principalmente a seguito dell’inasprimento dei controlli alle frontiere da parte del nuovo regime di János Kádár, insediato a Budapest dai sovietici. Di fronte a tale afflusso, il governo austriaco inviò all’Unhcr un appello urgente per un aiuto finanziario e per il reinsediamento in paesi terzi del maggior numero di rifugiati possibile. L’Austria si riprendeva appena dalle sofferenze della seconda guerra mondiale, quando il paese era stato teatro di aspri scontri fra i nazisti e l’esercito sovietico che avanzava. L’occupazione alleata dell’Austria, che come la Germania era stata divisa in quattro zone, era formalmente terminata nel maggio 1955. Quattro mesi dopo, le forze di occupazione si erano ritirate e, all’inizio del 1956, le autorità ungheresi avevano rimosso buona parte dei reticolati alla frontiera tra i due paesi. Pertanto, l’Austria aveva ritrovato da poco la propria sovranità e, durante la crisi, aveva ribadito la sua posizione di neutralità, fra i due blocchi della guerra fredda. L’operazione di soccorso umanitario a beneficio dei rifugiati fu guidata dalla Croce rossa, in stretta collaborazione con l’Unhcr. Sarebbe stata la prima di una lunghissima serie di emergenze in cui le due organizzazioni avrebbero lavorato fianco a fianco, sul terreno. La base giuridica per l’intervento dell’Unhcr fu fornita dalla risoluzione 1006, del 9 novembre 1956, dell’Assemblea generale dell’Onu. In dicembre, pochi giorni dopo la sua nomina ad Alto Commissario, Auguste Lindt si recò nella capitale austriaca, per valutare personalmente le necessità più urgenti dei rifugiati ungheresi che, in quel periodo, entravano in Austria al ritmo di 3mila ogni notte 18. Alcuni esuli, inoltre, trovarono un’alternativa all’asilo in Austria riparando in Jugoslavia, un paese comunista, ma il cui leader, Josip Broz Tito, aveva nel 1948 rotto i ponti con Stalin. Dopo la morte di Stalin i rapporti con l’Urss erano migliorati e i suoi successori, Nikita Krusciov e Nikolai Bulganin, si erano recati nel maggio 1955 a Belgrado, indicando così l’accettazione sovietica della via autonoma seguita dalla Jugoslavia. In tale contesto, la decisione di Tito di ammettere i rifugiati ungheresi fu particolarmente coraggiosa 19. 29 I RIFUGIATI NEL MONDO La Jugoslavia era stata l’unico paese comunista a partecipare alla conferenza internazionale di Ginevra che aveva redatto la Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati. Nell’aprile 1953, il primo Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, van Heuven Goedhart, si era personalmente recato nel paese per presentare al governo jugoslavo l’attività dell’Unhcr. Si trattava della prima visita del genere a un paese comunista 20. Il ponte così gettato fra l’Unhcr e la Jugoslavia si sarebbe rivelato molto utile durante la crisi ungherese. Nel dicembre 1956, Tito chiedeva direttamente l’assistenza dell’organizzazione per far fronte all’afflusso dei rifugiati. In un primo tempo, il governo jugoslavo sostenne che tutti i rifugiati dovevano essere reinsediati e che lo stato doveva essere indennizzato di tutte le spese sostenute. Queste condizioni, tuttavia, finirono con l’essere abbandonate. Fra novembre e dicembre 1956, arrivarono in Jugoslavia circa 1.500 ungheresi, mentre nel solo gennaio 1957 ne giunsero oltre 13mila 21. Nel paese vivevano già decine di migliaia di persone di origine ungherese, soprattutto nella regione della Vojvodina, il che facilitò l’accoglienza dei rifugiati. Ironia della sorte, negli anni ’90, con la disgregazione della Jugoslavia, molti abitanti di discendenza ungherese avrebbero fatto il viaggio nella direzione opposta. Per far fronte all’emergenza, in Jugoslavia fu creato, il 21 febbraio 1957, un comitato di coordinamento in cui erano rappresentati il governo, l’Unhcr, la Lega delle società della Croce Rossa, la Cooperative Action for American Relief Everywhere (Care), il Church World Service, come anche la British Voluntary Society for Aid to Hungarians. Nel marzo 1957, allorché l’Alto Commissario Lindt si recò a Belgrado, elogiando il governo per il trattamento riservato ai rifugiati ungheresi, l’Unhcr aveva già erogato 50mila dollari alla Croce Rossa jugoslava, e assegnato altri 124mila dollari al proprio ufficio di Belgrado 22. L’applicabilità della Convenzione Onu del 1951 sui rifugiati Mentre, in genere, gli ungheresi che avevano abbandonato il loro paese nel 1956 erano considerati, dai governi dei paesi occidentali, come “rifugiati”, non fu subito chiaro se i diritti e gli obblighi enunciati nella Convenzione del 1951 si applicassero alla crisi ungherese, dato che vi si indicava chiaramente che essa si applicava solo ad “avvenimenti verificatisi prima del 1° gennaio 1951”. Indipendentemente, comunque, dalla loro posizione legale, tutti coloro che erano partiti dopo il 23 ottobre 1956, data della sollevazione popolare di Budapest, furono nella pratica considerati, dall’Unhcr e dai governi occidentali, come rifugiati, purché l’esame dei singoli dossier non fornisse indicazioni per escluderli da tale categoria. A questo riguardo, si ebbe una similarità con la prassi seguita a suo tempo della Società delle Nazioni, quando lo status giuridico di una persona era determinato in base all’appartenenza a uno specifico gruppo di rifugiati. Per una trattazione giuridica di questa come di molte altre questioni insorte nei primi due decenni di vita dell’Unhcr, la voce più autorevole era quella di Paul Weis, rifugiato originario di Vienna e, all’epoca, consulente giuridico dell’Alto Commissario. Su richiesta di quest’ultimo, Weis definì, in un promemoria fondamentale del gennaio 1957, la posizione dell’Unhcr 23. Lo fece non solo per l’esigenza di un chiarimento della questione, ma anche a causa di perplessità, nutrite pure da paesi solitamente accoglienti come la Svezia, circa una estensione delle competenze dell’Unhcr anche ad avvenimenti contemporanei. 30 Gli inizi Per Weis il punto di partenza logico era la definizione di “rifugiato” che figura nell’articolo 1A(2) della Convenzione del 1951, e in particolare il problematico collegamento, in esso contenuto, della definizione stessa ad “avvenimenti verificatisi prima del 1°gennaio 1951”. Egli fece rilevare che, nel resoconto della sua prima seduta del 17 febbraio 1950, il Comitato ad hoc sull’apolidia e problemi connessi, che aveva redatto il progetto di convenzione, aveva argomentato che tale espressione era “intesa nel senso di eventi di grande rilevanza, che comportassero cambiamenti territoriali o profondi cambiamenti politici, come pure programmi sistematici di persecuzione”. Dichiarò, inoltre, che da tale interpretazione e dalle discussioni svoltesi nei vari organi che avevano redatto la definizione della Convenzione, risultava chiaro che la data in cui una persona era divenuta rifugiata era irrilevante. Weis continuava sostenendo che, in Ungheria, era chiaro che vi erano stati “profondi cambiamenti politici”, nella fattispecie la creazione, nel 1947-48, di una repubblica popolare dominata dal partito comunista. La rivolta dell’ottobre 1956 e il conseguente esodo di rifugiati erano, in tal senso, “un effetto ritardato di quel precedente mutamento politico”. Purché rispondessero ai requisiti dell’articolo 1A(2), gli esuli erano quindi indubbiamente dei rifugiati. Per quanto riguarda poi lo Statuto dell’Unhcr, secondo Weis si doveva chiaramente ritenere che i rifugiati provenienti dall’Ungheria, e che rispondevano alle condizioni dell’articolo 6B, rientrassero nel mandato dell’organizzazione. Tale articolo ne estende la competenza a “ogni altra persona che si trova fuori del paese di cui ha la nazionalità... a causa di un fondato timore di persecuzione, per motivi di razza, religione, nazionalità od opinioni politiche e non può... tornare nel paese dove risiedeva abitualmente”. Weis ammetteva che sembrava “sconcertante” che lo Statuto dell’Unhcr contenesse, agli articoli 6A(ii) e 6B, due definizioni quasi identiche dei rifugiati che rientrano nelle competenze dell’organizzazione, salvo per il fatto che la prima di tali disposizioni contiene il limite temporale del 1° gennaio 1951. Lo attribuiva al fatto che, in seno agli organi deliberanti responsabili della stesura della Convenzione e dello Statuto, si erano contrapposte due posizioni diverse circa la definizione del termine “rifugiato”: quella universalistica, che auspicava una definizione ampia e generica, e quella più prudente, favorevole a una definizione che elencasse le varie categorie di rifugiati. Alla fine, la definizione che ne risultò era stata un compromesso, elaborato da un gruppo di lavoro informale. In ultima analisi, secondo Weis dalla storia di quelle deliberazioni risultava chiaro che, se è vero che anche coloro che erano divenuti rifugiati a seguito di avvenimenti posteriori al 1° gennaio 1951 rientravano nelle competenze dell’Unhcr, l’Alto Commissario poteva sempre interpellare il Comitato consultivo (poi Comitato esecutivo) o sottoporre la questione all’Assemblea generale dell’Onu, come chiaramente indicato dagli articoli 1 e 3 dello Statuto. Nel caso dei rifugiati ungheresi, questa aveva esplicitamente stabilito la competenza dell’Alto Commissario 24. Il reinsediamento dei rifugiati ungheresi Le risorse del Fondo delle Nazioni Unite per i rifugiati, istituito nel 1954, resero possibile l’operazione d’emergenza dell’Unhcr in favore dei rifugiati che avevano cercato scampo dalla repressione della rivolta ungherese. Inoltre, l’Alto Commissario lanciò un appello per raccogliere contributi straordinari, e la risposta fu generosa. 31 I RIFUGIATI NEL MONDO Nel novembre 1956 fu creato un comitato misto, di cui facevano parte l’Unhcr, il Comitato intergovernativo per le migrazioni europee, il governo austriaco, lo United States Escapee Program e alcune agenzie volontarie. Nell’inverno del 1956 e per tutto il 1957, queste ultime svolsero un ruolo fondamentale collaborando all’assistenza umanitaria e al reinsediamento dei rifugiati ungheresi. Sin dall’inizio fu considerato prioritario, come soluzione del problema, il reinsediamento dei rifugiati in paesi terzi. L’Austria, che nei primi tempi aveva sopportato un onere schiacciante, aveva bisogno di essere rapidamente aiutata. Inoltre, tutto il mondo occidentale era sdegnato per la piega presa dagli avvenimenti d’Ungheria, e provava un acuto senso di colpa per non aver fatto di più per aiutare il popolo ungherese, nella sua lotta per la democrazia. In misura forse difficilmente immaginabile alla fine del 20° secolo, i governi occidentali subirono notevoli pressioni, da parte delle popolazioni, perché dessero immediata accoglienza ai rifugiati. Per la registrazione degli esuli che arrivavano in Austria non fu creato un ente centrale, a causa dell’esigenza largamente condivisa di un rapido reinsediamento. In un promemoria del 20 novembre 1956, ad esempio, la Delegazione dell’Unhcr a Vienna informava l’Alto Commissario che non era assolutamente possibile svolgere le normali procedure di selezione, per determinare lo status di rifugiato 25. Fu quindi concordato con le autorità austriache che l’istruttoria dei singoli casi avrebbe avuto luogo nei paesi di reinsediamento. La rapidità con cui i rifugiati furono trasferiti in paesi terzi può essere giudicata dalle cifre degli arrivi negli Stati Uniti. Un primo gruppo di 60 esuli ungheresi giunse in aereo il 21 novembre 1956 26. Una grande base dell’esercito, Camp Kilmer, nel New Jersey, fu messa a disposizione per dar loro una sistemazione temporanea. Fino a tutto febbraio 1957, altri 9mila rifugiati attraversarono l’Atlantico con aerei della US Air Force e ancora 7mila a bordo di navi della US Navy. A metà del 1958, gli Stati Uniti avevano già reinsediato circa 38mila esuli ungheresi. Gli altri principali paesi di reinsediamento furono: Canada (35mila), Regno Unito (16mila), Repubblica federale di Germania (15mila), Australia (13mila), Svizzera (11.500) e Francia (10mila). Gruppi meno numerosi furono accolti nei paesi e territori più svariati: Cile, Irlanda, Islanda, Nuova Caledonia, Paraguay, Repubblica dominicana e Sudafrica. Il rimpatrio in Ungheria Anche nel contesto della polarizzazione propria della guerra fredda, il reinsediamento non era l’unica soluzione possibile per i rifugiati. Alcuni di loro, e in particolare quelli separati dai familiari, optarono per il rimpatrio, peraltro incoraggiato dal governo ungherese. A partire dal 1957, il regime di Kádár, insediato col favore dell’intervento militare sovietico, cominciò a mostrare cauti segni di una modesta autonomia, tacitamente tollerata dall’Unione sovietica. In tal senso, fu notevole la differenza fra l’Ungheria post-1956 e la Cecoslovacchia post-1968, vittima di un intervento militare sovietico ancor più repressivo. Già a fine novembre 1956, il nuovo governo ungherese aveva concesso una limitata amnistia a coloro che erano fuggiti a seguito della sollevazione 27. Malgrado acute tensioni politiche, l’Alto Commissario Lindt prese contatto col nuovo governo. Come osservò più tardi un consulente giuridico dell’Unhcr: “L’umanità e il 32 Gli inizi Riquadro 1.5 I rifugiati cinesi a Hong Kong Situata sulla costa meridionale cinese, sotto amministrazione coloniale britannica dal 1842, Hong Kong divenne luogo di rifugio durante periodi di turbolenza nella Cina continentale. La sua popolazione fu ingrossata a dismisura da coloro che cercavano di sfuggire alla ribellione di Taiping negli anni 1850, alla rivolta dei Boxer attorno al 1900, alla rivoluzione che si concluse con la fondazione della Repubblica cinese nel 1912, e alla guerra sinogiapponese del 1937-45. Dopo la sconfitta delle forze britanniche ad opera dei giapponesi nel dicembre 1941, la popolazione di Hong Kong scese da oltre un milione a circa 650mila, ma molti di quanti erano fuggiti durante l’occupazione giapponese ritornarono quando, nel 1945, fu ripristinata l’amministrazione britannica. Nel 1949-50, agli abitanti ritornati si aggiunsero centinaia di migliaia di nuovi arrivati, in fuga davanti all’avanzata trionfale delle forze comuniste nella Cina continentale. Molti di loro tornarono poi alle loro case sul continente, quando fu ristabilita la pace. Nel 1953-54, la popolazione di Hong Kong cominciò a stabilizzarsi attorno ai 2,25 milioni di abitanti. Tale aumento, di più di tre volte in soli otto anni, mise a dura prova le infrastrutture locali. Nel corso delle Assemblee generali del 1951-52, il rappresentante cinese presso le Nazioni Unite sollevò il problema dei nuovi arrivati. Come risposta, nel 1954, l’Alto Commissario van Heuven Goedhart inviò una “missione d’inchiesta”, finanziata dalla Fondazione Ford, per indagare sulla situazione dei rifugiati cinesi a Hong Kong. Secondo il rapporto della missione, presentato nel 1954, non tutti i nuovi arrivati potevano essere considerati rifugiati con “un fondato timore di persecuzione” i. Nel rapporto si individuavano circa 285mila persone venute a Hong Kong per “ragioni politiche”, corrispondenti al 53% degli immigrati arrivati fra il 1945 e il 1952. La cifra saliva a 385mila se si includevano i cosiddetti “rifugiati già sul posto” (sur place, cioè coloro che in origine erano venuti per altri motivi, ma che per ragioni politiche non volevano ritornare nelle località di provenienza). Il numero era ancora più alto se si consideravano tutti i familiari dei rifugiati, in particolare i coniugi, come pure i figli nati a Hong Kong. Includendo tutte queste categorie, circa il 30% della popolazione presente al momento della missione poteva essere classificata “rifugiata”. Ciò sembrò avallare l’ipotesi, allora largamente diffusa in Europa e nel Nordamerica, secondo cui chiunque abbandonava uno stato comunista era potenzialmente un rifugiato. Questa concezione relativamente lineare era complicata principalmente da due fattori. Innanzitutto, la Gran Bretagna non riconosceva l’esistenza a Hong Kong di un vero e proprio problema di rifugiati. La grande maggioranza dei nuovi arrivati, indipendentemente dai motivi per i quali era entrata nella colonia, si era integrata e poteva circolare liberamente. Fra di loro, meno di un terzo dei capifamiglia era registrato presso un ente per i rifugiati. I britannici ritenevano che, malgrado il problema del sovraffollamento e la scarsezza di certi servizi essenziali, la popolazione cinese non subisse discriminazioni. L’unica eccezione al buon inserimento dei nuovi arrivati nella comunità locale era costituita dall’insediamento di Rennies Mill, abitato principalmente da simpatizzanti del Guomindang provenienti dal nord della Cina, che rimanevano separati dalla maggioranza dei cantonesi di Hong Kong. Il secondo fattore era la singolare situazione giuridica dei nuovi arrivati. Se è vero che centinaia di migliaia di loro avevano lasciato la Cina per motivi politici, in teoria nulla impediva loro di tornarvi in condizioni di sicurezza, nel senso che avrebbero potuto recarsi a Taiwan, dove aveva sede il governo della Repubblica cinese (riconosciuto dalle Nazioni Unite fino al 1971). Si poteva dunque affermare, a rigor di logica, che i nuovi arrivati a Hong Kong non erano rifugiati, in quanto godevano della protezione del paese d’origine e potevano farvi ritorno. In pratica, tuttavia, il numero di nuovi arrivati dalla Cina continentale, accolti dal regime nazionalista di Taiwan, era relativamente modesto, anche se la missione d’indagine aveva riferito che oltre la metà dei nuovi arrivati aveva espresso il desiderio di esservi reinsediata. Ciò era forse dovuto al timore delle autorità di Taiwan che i nuovi venuti potessero cercare di sovvertire il governo nazionalista. In fin dei conti, il regime di Taiwan accolse, fra il 1949 e il 1954, oltre 150mila rifugiati provenienti da Hong Kong e Macao. Il Regno Unito aveva intanto riconosciuto il governo della Repubblica popolare cinese, insediato a Pechino, e trattava direttamente con esso nel tentativo di frenare l’esodo di popolazione dal continente verso Hong Kong. Avvenne così che l’atteggiamento del governo coloniale e la singolare situazione di alcuni residenti di Hong Kong, cittadini delle due Cine allo stesso tempo, impedì un intervento più incisivo da parte dell’Unhcr. Nondimeno, nel 1957, l’Assemblea generale dell’Onu chiese all’Unhcr di interporre i propri buoni uffici per reperire finanziamenti destinati all’assistenza dei rifugiati cinesi di Hong Kong: fu quello un primo passo verso un intervento dell’Unhcr in favore di rifugiati extraeuropei ii. I fondi raccolti dall’Unhcr nel 1959-60, durante l’Anno mondiale del rifugiato, furono convogliati in particolare verso programmi edilizi, realizzati da organizzazioni volontarie a Hong Kong. 33 I RIFUGIATI NEL MONDO coraggio di quel gesto contribuirono notevolmente a spezzare il quasi completo isolamento dell’Alto Commissariato nei confronti dei paesi socialisti, come anche a facilitare il ricongiungimento familiare e il grande movimento di rimpatrio che ebbero luogo nei mesi e negli anni successivi” 28. Lindt si adoperò con ogni mezzo perché l’Unhcr potesse svolgere un ruolo positivo nel rientro volontario dei rifugiati, anche mediante specifiche procedure messe a punto a tale scopo, sia in Austria che in Jugoslavia. Le missioni per il rimpatrio degli ungheresi erano sempre accompagnate da funzionari dell’Unhcr che parlavano la lingua, e i rifugiati che desideravano tornare in patria erano accompagnati alla frontiera da personale dell’organizzazione. Nel gennaio 1958, quando su invito del governo ungherese Lindt si recò in visita a Budapest, incontrò alcuni rimpatriati 29. Nel complesso, rientrarono in Ungheria circa 18.200 rifugiati, poco più del 9% del totale. Il problema dei minori non accompagnati Una questione particolarmente controversa fu quella dei “minori non accompagnati”, allora spesso chiamati “minori separati”. Quando dei bambini rifugiati fuggono isolatamente oppure, durante la fuga, si ritrovano separati dalla famiglia, sono estremamente vulnerabili. Per tali bambini e ragazzi, l’accertamento dello status di rifugiato è difficile ma importante, dato che un minore rientra nel mandato dell’Unhcr solo se può essere considerato rifugiato. Nel novembre 1956, le autorità ungheresi chiesero al governo austriaco di far rimpatriare i minori non accompagnati di età inferiore ai 18 anni. La questione fu discussa in una riunione d’emergenza, convocata a Ginevra il 13 dicembre, fra l’Unhcr e il Cicr. Fu deciso che i ragazzi di età inferiore ai 14 anni dovessero essere rimpatriati, se entrambi i genitori si trovavano in Ungheria e se ne chiedevano il ritorno. In seguito, la distinzione basata sull’età fu abbandonata. Le richieste dovevano essere presentate per iscritto al Cicr che, a differenza dell’Unhcr, era rappresentato sia in Austria che in Ungheria. Sin dall’inizio, era previsto che potessero insorgere problemi se i genitori non potevano essere rintracciati, se solo uno di loro era in vita, ovvero se il minore era orfano. In tali casi, si doveva prendere in considerazione il vero interesse del ragazzo. Le autorità giudiziarie del paese interessato erano ritenute competenti in materia 30. Sussisteva, però, un difficile problema, se entrambi i genitori chiedevano il ritorno in Ungheria del minore, ma questo vi si opponeva. In molte occasioni, negli anni successivi, l’Unhcr si sarebbe trovato di fronte ad analoghi problemi, riguardanti i minori non accompagnati. Colmare il fossato fra Est e Ovest Nell’aprile 1961, Lindt riferì al Comitato esecutivo dell’Unhcr che, grazie ai progressi realizzati per dare soluzione al problema dei rifugiati ungheresi, “non era più necessario trattare tali rifugiati come un gruppo a parte” 31. A seguito dell’operazione d’emergenza in aiuto ai rifugiati ungheresi, la notorietà internazionale dell’Unhcr era notevolmente cresciuta. Se negli anni ’50 ci fu un momento particolarmente qualificante per l’organizzazione, fu la crisi dei rifugiati ungheresi. 34 Gli inizi In particolare, a partire dal 1956 l’atteggiamento del governo degli Stati Uniti nei confronti dell’Unhcr cambiò in meglio. In realtà, la cosa più singolare della crisi fu l’acquiescenza passiva dei paesi occidentali, davanti a quello che consideravano un fatto compiuto sovietico. Sotto tale aspetto, come per molte delle crisi altamente mediatiche in cui l’Unhcr sarebbe stato coinvolto negli anni successivi, i governi di Londra, Parigi, Washington e di altre capitali furono sollevati nel constatare che “si stava facendo qualcosa”. La crisi ungherese fu importante per l’Unhcr perché, per la prima volta, apriva all’organizzazione le porte del mondo comunista, sia in Jugoslavia che nella stessa Ungheria. Ciò fu largamente merito del modo in cui l’Alto Commissario Lindt gestì, sul piano politico e diplomatico, la crisi. Uno dei principali risultati conseguiti da Lindt fu quello di fornire assistenza a paesi del mondo comunista, assicurandosi al tempo stesso il sostegno del mondo occidentale e, in particolare, degli Stati Uniti. Al precedente scetticismo americano nei riguardi dell’Unhcr succedette il riconoscimento della necessità di un organismo internazionale dotato di specifiche competenze per i rifugiati. La crisi dei rifugiati ungheresi fu la prima grande emergenza in cui l’Unhcr si trovò impegnato. Mise in risalto l’esigenza di mantenere un sistema internazionale per far fronte, sul nascere, alle emergenze di rifugiati. Durante la crisi, l’Unhcr aveva svolto un ruolo d’importanza fondamentale come organismo coordinatore, mantenendo il collegamento non solo con i governi, ma anche con organizzazioni intergovernative e non governative. La crisi aveva anche dimostrato, con notevole chiarezza, lo stretto legame esistente tra le varie funzioni dell’Unhcr: non solo la protezione internazionale e gli aiuti materiali, ma anche la ricerca di soluzioni permanenti al fenomeno dei rifugiati. Il modo in cui l’Unhcr aveva gestito l’emergenza ungherese ebbe grande peso per influenzare, l’anno successivo, una risoluzione dell’Assemblea generale che riconosceva la dimensione planetaria del problema dei rifugiati 32. Tale risoluzione prevedeva la creazione di un fondo d’emergenza. Istituiva, inoltre, il Comitato esecutivo del programma dell’Alto Commissariato, incaricato di approvare il programma annuale di aiuti materiali e di fornire pareri all’Alto Commissario, dietro sua richiesta, in merito a questioni riguardanti le funzioni di protezione e assistenza dell’organizzazione. Queste due modifiche organizzative testimoniavano una più vasta accettazione della funzione permanente dell’Unhcr, ulteriormente consolidata, nel 1959-60, dall’Anno mondiale del rifugiato. Fra l’altro, questo pubblicizzò non solo l’attività dell’Unhcr in Europa, ma anche il suo intervento in aiuto dei rifugiati cinesi fuggiti a Hong Kong [cfr. riquadro 1.5] e dei rifugiati algerini in Marocco e Tunisia. L’attività dell’Unhcr in favore dei rifugiati cinesi a Hong Kong segnò un’importante svolta nell’evoluzione del lavoro dell’organizzazione. Fu in difesa di tale gruppo specifico che, nel novembre 1957, l’Assemblea generale dell’Onu chiese all’Unhcr di interporre i propri “buoni uffici” per reperire fondi destinati ad aiutare un gruppo di rifugiati extraeuropei 33. Per quanto, in fin dei conti, gli aiuti necessari fossero relativamente modesti, dato che i rifugiati si integrarono rapidamente nell’economia del territorio britannico, in piena espansione, la richiesta costituì un precedente importante per l’intervento nei paesi del Terzo Mondo. Per la prima volta, l’organizzazione era preparata ad affrontare delle crisi di rifugiati di grandi proporzioni, non solo in Europa ma anche in altri continenti. 35