Parte terza. I trasporti.

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Parte terza. I trasporti.
1906 = l’ ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE di
MILANO ed il
TRAFORO DEL SEMPIONE
PARTE TERZA’
I TRASPORTI
AERONAUTICA- AUTOMOBILI – FERROVIE -NAVI
L’AERONAUTICA
Tra i vari sistemi di trasporto quello che seppur al momento risultava essere più un
mezzo per far viaggiare la fantasia che altro, riusciva a sollevare tanto entusiasmo
tra i visitatori era quello degli aerostati. Perciò è da qui che cominceremo il nostro
viaggio nel mondo meraviglioso dei trasporti d’inizio secolo, anzi tra il meglio per
tecnica e possibilità di sviluppo.
La partecipazione si limitò a poche nazioni: Francia, Germania soprattutto ed Italia evidentemente anche se
piuttosto deficitaria. Anche Belgio, Russia e Giappone ma con modeste
rappresentanze. La parte del leone la faceva la Germania con un indirizzo militare
all’esposizione piuttosto inquietante, mentre l’orientamento francese era rivolto
maggiormente all’industria ed alla attività sportiva.
Va detto, per evitare equivoci, che l’aeronautica del tempo non esprimeva il concetto
di ciò che intendiamo noi oggi. Erano gli albori di una ricerca oscillante tra il più leggero
ed il più pesante dell’aria.
Ed anche per quanto riguarda il primo si era ancora all’inizio di una tecnologia che
cercava faticosamente la possibilità di rendere veramente “dirigibili” quelli che a quel
momento erano poco più che mongolfiere. Sarà però una competizione che in pochi
anni avrà sviluppi incredibili. La contesa tra più leggero e più pesante andrà avanti di
pari passo: Già nel 1908 la Germania inizierà gli studi e la costruzione di quei dirigibili
chiamati Zeppelin dal nome del suo ideatore, una tecnologia che si svilupperà sempre
più nel campo del più leggero sino alla tragedia che colpirà l’ultimo enorme dirigibile,
l’Hindenburg. Il 6 maggio del 1937 dopo l’aver attraversato l’Atlantico e mentre cercava
di ormeggiarsi al pilone d’attacco, l’enorme aeronave con 97 persone a bordo l’elio di cui era gonfio prendeva
improvvisamente fuoco bruciandolo interamente nel giro di pochi minuti. Finiva così con la disfatta del più leggero
dell’aria la competizione iniziata circa 30 anni prima.
Ma noi siamo ancora nel 1906 e le cose stanno in modo molto diverso, perciò seguiamo, nel racconto del cronista
d’allora alcuni emozionanti episodi con protagonisti gli aerostati, il massimo della tecnologia aeronautica di quel
momento
Il parco Aerostatico all’Esposizione era uno dei più attrezzati e frequentati. Si pensi che per il gonfiaggio dei palloni
era stata derivata una grossa tubazione di gas di città dal vicino gasometro comunale, mentre poca attenzione era
stata riservata al padiglione aeronautico. Non dimentichiamoci che il volo o meglio il sollevarsi del primo aeromobile
più pesante dell’aria era avvenuto poco meno di tre anni prima ad opera
dei fratelli Wright (17 dicembre 1903).
Tra queste “ macchine volanti” vennero indette diverse gare con
regolamenti e controlli ferrei oltre a notevoli premi.
A tale proposito proponiamo l’articolo che un cronista entusiasta degli
“aerostati” ci ha lasciato. Una descrizione accurata di una competizione
tra due giganti dell’aria di allora che val la pena di riportare interamente
per poter godere interamente di quel senso d’entusiasmo che solo un
contemporaneo poteva restituirci: quel senso di avventura e di passione
per un mezzo all’ora all’avanguardia nella conquista del cielo.
Ma l’autore non tralascia nel contempo si lamentarsi della poca
attenzione che il governo pone nella ricerca e nel sostegno dell’uso
sportivo degli aerostati. In pratica pare di capire che in Italia ne
esistevano due di un certo livello: uno “la Fides” dell’associazione
aeronautica Romana e “il Regina Elena”, di costruzione francese, così
battezzato per ovvie ragioni, acquistato per l’occasione dalla neonata
associazione
Aeronautica
Milanese,
costituita,
in
occasione
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dell’Esposizione, da alcuni munifici, appassionati e spericolati cittadini. Ed ecco quindi la possibilità di una
entusiasmante gara di “massima durata”.
La gara degli aerostati
E’ la sera del 12 maggio e più precisamente le 9,45 quando il Regina Elena si stacca da terra verso il nero della
notte seguito dal Fides tra gli evviva di una folla entusiasta. C’è da dire che il Regina Elena” era considerato il più
grande aerostato in Italia con i suoi 1.600 mc ed un involucro che sebbene fosse di cotone aveva la leggerezza e la
tenacia della seta! La navicella, poi, era talmente grande che poteva contenere un uomo comodamente disteso!
Insomma dall’orgoglio che traspare dalle parole dell’articolista sicuramente milanese, doveva trattarsi veramente di un
bel pallone, pardon, aeronave!
La zavorra era notevole (circa 400 kg) che assieme al peso dei due componenti l’equipaggio, i coraggiosi signori
Usuelli e Minoletti, portavano ad un notevole carico. Inoltre v’erano anche non meglio identificate “munizioni per
bocca”(testuale nel testo), che come vedremo in seguito dovevano comprendere anche una bottiglia di champagne,
una strumentazione non meglio specificata ed in fine 4 pile a secco per
l’illuminazione.
Dopo circa 15 minuti il Regina Elena raggiunse la quota di circa 1500 metri
stabilizzandosi e permettendo così ai due piloti(?) di godere di uno splendido
panorama notturno . Oltre al brillare delle stelle ed al chiarore lunare restarono
incantati dai tantissimi “lumi dei paesi e della città di Milano”! Chissà il loro
stupore se si alzassero ora in pallone!
Comunque spinta dal vento, verso l’una l’aeronave sorvolava le risaie pavesi
sino a ritrovarsi al chiarore dell’alba sopra Castelletto Pavese. Tale fu
l’entusiasmo (forse per essere ancora vivi?) che pare i due temerari
stappassero una di quelle munizioni per bocca!. Ma la notte pur non essendo
particolarmente fredda aveva, con l’abbassarsi della temperatura, ridotto la
spinta del pallone tanto che l’aeronave si ritrovò veramente sopra il paese ma a
non più di cento metri!! Ma la fortuna non abbandonò i due audaci. Così mentre
già temevano di restare infilzati dalla guglia del campanile, sorse un allegro e
baldo sole che scaldando l’aria dilatò nuovamente il pallone facendolo risalire,
forse anche un po’ troppo: 3.000 metri! Qui stabilizzatosi, dopo una decina di
minuti venne preso dal vento e spinto con
decisione verso Alessandria che superarono
velocemente arrivando a Torino. Ma “il Regina
Elena”, diversamente da quello che poteva far supporre il suo nome, non si fermò
nemmeno qui, proseguendo pericolosamente verso il Monviso.
Forse le preghiere che sicuramente avranno recitato con fervore e facilitati dalla
loro vicinanza al Cielo, vennero esaudite. Il vento cambiò nuovamente direzione
spingendo l’enorme pallone ed i due audaci piloti (si fa per dire) verso le Alpi, ma
sopra Pinerolo, data l’ora ormai tarda (le quattro del pomeriggio) per non rischiare
oltremodo, agli aviatori non rimase che “operare lo strappamento e discendere”.
In conclusione “i signori Usuelli e Minoletti, hanno compiuto una traversata di ben
20 ore e mezza e hanno percorso una trajettoria di circa 200 chilometri”. Chi vinse
la gara lo ignoriamo perché della sorte dell’altro aerostato non si fa menzione.
Forse perché era romano e la sua gara risultò migliore? Campanilismo anche
allora? Chissà!
Bisogna dire che se in questo caso la fortuna ed anche l’abilità dei “piloti” si
risolsero con un successo, altre volte la tragedia era in agguato, come nella
descrizione che un cronista fa di una alzata per una gara.
Eccolo qui di seguito riportato.
“Giovedì 17maggio, si è compiuto in condizioni particolarmente interessanti (!) la
partenza di due palloni: Fides e Sparviero. –(tutto procede regolarmente …) – Ma
proprio all’atto della partenza,quando già il pallone Sparviero (900 metri cubi) era libero dai sacchetti ed i soldati che
lo tenevano aspettavano il comando “lasciate”, si scatenò un fortissimo vento. E subito fra gli uomini e cielo s’impegnò
una formidabile lotta, alla quale assistette il pubblico con segni di viva commozione (?). Battuti dal vento i due grando
globi si piegavano sino a terra , trascinando tra il cordame i soldati e quanti volonterosi si erano aggiunti per
aumentare la resistenza. Il pubblico, per non stare preso sotto la mole che si precipitava ad aggredirlo, fuggiva in tutte
le direzioni. Sotto il comando del tenete Signorini, i soldati che trattenevano il Fides (1250 metri cubi) procedettero ad
una rapida manovra: afferrarono la rete dell’aerostato, tolsero di sotto la navicella e l’involucro stesso trassero di
nuovo a terra immobilizzandolo.” E lo Sparviero, l’altro concorrente? Cosa fa? Desiste anche lui? Macchè! “ Sfidando
il temporale che s’avanza,il signor Halleche, proprietario e pilota dello Sparviero, volle partire. E a lui si unì il tenente
Giannetti. Due volte furono fatti i tentativi di partenza, due volte il pallone ricadde. Poi fuggì via rasentando gli edifici
dell’Aeronautica e gli alberi del viale, mentre il pubblico batteva le mani………… Tre quarti d’ora dopo partiva il Fides!
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Come si vede l’episodio riportato poteva finire veramente in tragedia, ma per motivi francamente incomprensibili e
con uno stile di titolazione distante mille anni e non poco più di cento da noi, titolava l’articolo con un piatto “ Una
ascensione diurna interessante” Mah!
Ma la tragedia capitò qualche tempo dopo con la
caduta nell’Adriatico proprio del “Regina Elena” guidato
oltre che da i soliti Minoletti e Usuelli anche da un terzo
componente, un certo Nazari. Da quel tragico
ammaraggio si salvò il solo l’Usuelli.
Comunque i tentativi in atto per rendere governabili
questi palloni non si fermavano e coinvolgevano tutti,
non solo i tecnici.
Di un tale tentativo a dir poco estemporaneo, si parla
nello stesso articolo che riporta il volo del “Regina
Elena”.
Qui si infatti si cita che un certo commendator
Bertelli, presentò all’Esposizione un aeromobile
,,,,,,,,,“dirigibile” da lui chiamata “Aerostave”, una
“aeronave più pesante dell’aria ambiente capace di
auto-lanciarsi, di reggersi e spostarsi nell’aria e
prendere terra a volontà dell’aviatore”
E’ giusto a questo punto, per soddisfare la legittima
curiosità del lettore, di ascoltare la descrizione che
all’epoca, riportata dall’autore dell’articolo, ne fece
l’inventore stesso, non fosse altro per comprendere appieno l’idea che si aveva allora circa le tecnologie in questo
campo. E’ necessario un impegno notevole della fantasia, ma ne vale la pena!
Ecco la descrizione.
“L’aeronave avrà forma allungata pisciforme asimmetrica, sarà
composta da due involucri e da una fascia elastica disposta in
modo da limitare le perdite del gas ai soli casi di dilatazione
straordinaria. Una velatura sostenuta da braccia di bambù e fissata
con tiranti d’acciaio alla navicella, è destinata ad utilizzare la
pressione del vento. Completano l’aerostave una navicella in legno
curvabile a forma di spola, un motore a benzina destinato a
muovere l’elica ed un dispositivo elettromagnetico perfettamente
automatico………agente su organi speciali d’equilibrio, un peso ed
una coda orizzontale”
Una fantasia scatenata del migliore Jules Verne di “Robur il
Conquistatore” o di “Il padrone del mondo”. (N.B.- tale
fantascientifica aeronave si può forse intravvedere nel disegno del
Padiglione dell’Aeronautica. Potrebbe essere quella specie di siluro che spunta dalla parte sinistra. Forse…)
Grazie al cielo all’Esposizione parteciperà anche un “certo” ing. Forlanini che oltre sulla fantasia, poteva contare su
di una robusta preparazione scientifica. Pioniere della ricerca sui mezzi più pesanti dell’aria (suoi sono gli studi su di
una macchina molto simile all’elicottero tanto che già nel 1877 era riuscito a far innalzare un piccolo prototipo con
propulsione a vapore, sino a 13m ) si interessò, tra l’altro, anche dei mezzi nautici ideando il predecessore
dell’aliscafo. La sua fama ed importanza vennero riconosciuti ampiamente nel mondo non solo scientifico, tanto da
essergli dedicato l’aeroporto principale di Milano – Linate: l’aeroporto appunto “Forlanini”.
Per quanto concerne gli apparecchi “più pesanti
dell’aria” non vi sono Nemmeno accenni. L’unico
riscontro si ha nel regolamento del “Concorso per
apparecchi più pesanti dell’aria”. In esso erano previste
quattro categorie: a) Macchine per volare montate (con
pilota) = b) Mode3llidi macchine per volare dotate di
motore = c) Aeroplani montati senza motore = d) Modelli
di aeroplani senza motore con lancio meccanico.
Tralascio la descrizione del criterio di graduatoria che per
le categorie b) e d) si risolvevano nel calcolo algebrico
della miglior “Sostenibilità”.
Ma nel concetto innovativo dei trasporti non vi era solo
l’aeronautica, ma stava prendendo più piede un altro
mezzo di trasporto, che se anche circoscritto ad ambienti
elitari per via del suo costo, mostrava già un futuro
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impiego molto promettente. L’automobile (allora considerato di genere maschile!).
AUTOMOBILI
L’automobile era veramente uno “status simbol” dell’epoca.
Basta osservare l’immagine della Regina Margherita in visita
all’Esposizione, per comprendere appieno quale fosse il
mondo di tale nuovo mezzo. Anche qui, come per gli
aerostati, la Germania era l’unica a considerarli in ottica
bellica
E dovevano essere veramente gigantesche, se si poteva
leggere nella cronaca che erano “automobili colossali, tanto
che s’è dovuto stabilire per contratto scritto che il governo
tedesco non sarà tenuto al rimborso dei danni che esse
arrecheranno”( insomma si dava per scontato che qualche
guaio, date le dimensioni, l’avrebbero causato. Purtroppo di
tali automobili non vi sono fotografie.)!
La Germania già all’epoca, quando si trattava di armi, non
badava a spese.
L’automobile (al maschile!) nella coscienza delle
cosiddette menti illuminate, già la si vedeva soppiantare le
carrozze ed i cavalli, mezzi all’ora normalmente in uso per trasporti soprattutto di persone. Per i materiali il discorso
pareva ancora lungo e forse impossibile nel sostituire il treno. Tanto che si diceva che se nel 1899 a Versailles, per la
nomina del Presidente della Repubblica, non vi era alcuna presenza di
automobili, nell’ultima nomina solo sette erano le carrozze, mentre il resto era
tutte automobili. Stando così le cose era facile ipotizzare che alla prossima le
carrozze non vi sarebbero state del tutto.
Quindi il nuovo mezzo incontrava sempre maggior successo, il confronto con il
treno restava sempre primario con detrattori e sostenitori in continua discussione
come succedeva per il mezzo più leggero o più pesante dell’aria. Ma già si
intravvedeva una specie di compromesso, perché si intuiva che i due mezzi,
almeno per il momento, non potevano venire in contrasto, ma essere
complementari: uno, il treno, per il trasporto delle merci, l’altro per uso privato e
su medie distanze.
Scriveva, tra l’altro il giornalista Mario Morasso “…….Del resto meglio di ogni
ragionamento, sarà offerta qui (inteso come all’Esposizione) la lezione più
convincente ai nostri occhi. Qui noi potremo vedere ciò che è stato compiuto dagli
immani macchinari, che pesano più di duecento tonnellate, col sussidio di quella
formidabile organizzazione di esseri e di cosa che è un impianto ferroviario, è
effettuato ben più facilmente e agilmente dallo svelto meccanismo dell’automobile
che pesa al massimo 12 tonnellate (!) e può essere anche ridotto a 500
chilogrammi. L’effetto raggiunto dall’immane sforzo ferroviario, spendendo milioni e milioni, può essere conseguito da
una elegante vettura a motore, in qualunque momento e su qualsiasi strada. Gli ultimi records danno per l’automobile
una velocità di centoottantacinque chilometri all’ora. Nessuna
locomotiva ha fatto altrettanto. Da questa colossalità di struttura e
d’impianti deriva la insufficienza
della ferrovia.……… a corrispondere
subito ai nuovi accresciuti bisogni.
Invece l’automobile ha immediata
capacità di assumere tutti i nuovi
uffici che si vogliono attribuire senza
richiedere sacrifici e travagli di sorta.
Ma anche l’automobile, pur così
eclettica nella considerazione del
Morasso, aveva il suo tallone
d’’Achille nelle strade che per lo più
erano rimaste come concetto sia
realizzativo, che di manutenzione,
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all’epoca delle carrozze e dei cavalli.
Per quelle vetture, oggi possiamo dire, “primitive”, era una situazione molto limitativa e poteva oltre che limitarne
l’impiego, ritardarne lo sviluppo.
Questo problema risultava così ostativo al loro uso che l’Esposizione ritenne necessario introdurre una mostra
apposita sul problema stradale.
Nelle due immagini si possono vedere come veniva presentato il problema della viabilità. Stando all’immagine della
viabilità ordinaria bisogna dire che forse ilo problema non riguardava solo le automobili!
Comunque all’Esposizione, venne presentato un tratto di strada su cui furono realizzati vari tipi di finitura: dal
Maccadam all’asfaltatura, sino all’impiego, alquanto bizzarro, di diversi tipi d’essenze di legno!
Ma come si è detto in precedenza, aldilà dell’uso guerrafondaio della Germania, le automobili rimanevano un
oggetto di svago e di competizione sportiva.
Perciò una gara tra vetture non poteva certo mancare all’interno dell’Esposizione. E fu una gara di tutto rispetto,
affrontata dai concorrenti non solo con spirito sportivo, ma con vera e
propria audacia. In effetti il percorso era più che impegnativo (vedere
l’immagine della viabilità ordinaria!), fatto su strade dove si rischiava in ogni
momento di finire o fuori strada o bloccati da guasti meccanici!
Ma il coraggio e lo spirito non mancarono ai ben 48 automobilisti (o
meglio “chaffeurs”) che presero il via la mattina del 14 maggio.
Durante la notte tutti si affaccendarono attorno alle macchine per gli ultimi
controlli, poi alle tre, vennero fatti uscire dal parco chiuso e dopo una rapida
“punzonatura” avviate in lenta fila verso Rogoredo, il punto di partenza. Ma
come precedentemente fatto anche questa volta preferisco lasciare la
parola al cronista testimone diretto dell’evento sportivo.
“……alle 4 e ventotto precise la prima vettura partente, una Daimler,
guidata da Allen D. Grigg è fatta avvicinare e si ferma sotto la scritta
“controllo”. L’onorevole Crespi da il comando di partenza con il cronometro
alla mano. Passa un minuto primo, passano altri secondi. Lo chauffeur è presso alla manovella per mettere il motore
in marcia ( attimi di suspence, Parte, non parte….). Sono gli ultimi secondi, l’on. Crespi (probabilmente s’era stancato
di aspettare!) da l’ordine. La manovella gira, e la vettura si muove tra i saluti dei presenti, mentre lo cahaffeur salta
sulla macchina già in moto.”
Dopo poco partirà la seconda e via, via tutte le altre 48.
Il percorso della prima giornata prevede di toccare in sequenza: Milano,
Lodi, Brescia, Vicenza, Cittadella, Padova, Ferrara, Cento ed arrivo a
Bologna, per un totale di Km. 432,7. Prima a tagliare il traguardo alle ore
15 9’ 36”, dopo circa 11 ore e 40 minuti, è una San Giorgio con il n° 27
guidata da MacDonald. L’ultima arriverà ben 3 ore dopo. In tutto si
ritireranno 7 vetture.
La seconda tappa del 15 maggio seguirà il seguente percorso: Bologna,
Forlì, Passo dei Mandrioli, Bibbiena, Arezzo, Perugia, Narni, Roma, per
ben 455,7 Km.! La prima automobile taglierà il traguardo alle 13,58’
tenendo una media ben superiore ai 40km/h stabiliti dall’organizzazione
per diminuire i rischi di incidenti. Ma la Isotta-Fraschini, guidata da Trucco
tenne una media di ben 45,5 km/h!!.
I Reali, anche loro in gara, giunsero al Ponte Salario, dove era stato
posto l’arrivo solo alle 15,40’, preceduta di poco
dai marchesi Scalabrini.
Questa fase della corsa, vide un incidente occorso all’automobile Isotta-Fraschini n°8
guidata da Giovanzana, che investita in una curva dalla DeDion n°9 guidata da DeDion,
subì la deformazione dell’asse anteriore e dello sterzo, ma dopo due ore, riparato il danno
riprese la gara riuscendo ad arrivare in tempo utile.
Il giorno 16 maggio vedeva la strada da percorrere dipanarsi da Roma passando per:
Terracina, Capua, Aversa per terminare a Napoli, per un totale di circa 246 km. Purtroppo
questa tappa fu funestata da un incidente mortale.
Infatti presso Sessa Aurunca, la n°15, una Benz guidata da Romolo De Pasquali, per
l’improvvisa rottura dello sterzo, si ribaltava. Soccorso in condizioni gravi il pilota decedeva
poco dopo.
Ma la gara non si fermava. Da Napoli, il punto più lontano raggiunto, risaliva la penisola.
Notizie di cronaca spicciola non se ne hanno, solo il percorso tappa per tappa. Eccolo.
Quarta giornata – Napoli, Cassino, Roma
Quinta giornata – Roma, Viterbo, Siena, Arezzo Firenze.
Sesta giornata – Firenze, Genova
Settima giornata – Genova, Torino.
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Ottava giornata – Torino, Castelmonte, Ivrea, Biella, Romagnano,
Gravellona, Arona, Novara, Milano.
All’arrivo al Parco, il giorno 21, dopo otto giorni di grande competizione,
fu la n° 27 la San Giorgio guidata da Macdonald che s’era già aggiudicata
la prima tappa, a tagliare il traguardo per prima dopo una tappa di ben
467 km.
La proclamazione del vincitore venne fatta il giorno 28. Al primo posto si
classificò Lancia su su Fiat (possiamo dire un binomio già vincente
allora!), aggiudicandosi la Coppa d’Oro e ben £.25.000 di premio.
Al secondo classificato, Maggioni su Zust, £. 6.000 più Coppa del
giornale “Automobile”, ed infine al terzo, Cagno su Itala, venne assegnato
un premio di £ 3.000. Comunque premi e riconoscimenti vennero
concessi a tutti i partecipanti, compresi i meccanici a cui fu attribuito il
10% dei premi.
La massacrante gara di 4.000 chilometri complessivi e per una media oraria imposta dall’organizzazione, di circa
40Km/h, vide all’arrivo solo 16 macchine delle 48 che avevano preso il via il primo giorno!! Una selezione tremenda!
Ma come sempre esiste anche un lato positivo per tutti. Dopo la premiazione, nel Salone dei Festeggiamenti si
tenne un gran pranzo ed un ballo con la partecipazione di tutti i concorrenti.
Come abbiamo visto, le automobili suscitavano un grande interesse tra la gente in generale specialmente quando
entravano in competizione tra di loro. Le marche di produzione erano molte e varie. Alcune di esse diverranno famose
come la Isotta-Fraschini dominando la scena automobilistica per alcuni decenni, altre scomparvero come la Zust, la
San Giorgio, l’tala, la Florentia o la DeDion. mentre per alcune la capacità progettuale ed industriale le porterà sino a
noi, come la Lancia e la Daimler, la Benz, la Peugeot ed infine la Fiat.
Ma la dimensione dell’automobili ormai non rimaneva soltanto nell’ambito dell’impiego sportivo, ma diventava
sempre più un mezzo importante per la sua versatilità d’impiego. Mario Morasso da osservatore attento intravvedeva
in tale mezzo l’aprirsi di una nuova e propria era. Il fatto che la speculazione finanziaria fosse scesa in campo
finanziando una moltitudine inusitata di nuove fabbriche, sottolineava un forte interesse per il nuovo automezzo sul
quale puntava rischiando non poco. Era tale il proliferare di fabbriche di automobili che ci si cominciava a chiedere
quale mercato avrebbe potuto assorbirle tutte. Molti paventavano perciò una tragica caduta dei prezzi per la
saturazione del mercato con drammatici fallimenti a catena. Altri come il Morasso vedevano più lontano.
Comprendevano che il mercato si sarebbe fatto sempre più vasto. Mano a mano che l’utilità del nuovo mezzo di
trasporto avrebbe dimostrato tutta la sua multiforme operatività, vi sarebbe stato un abbandono dell’uso delle
carrozze ed una diminuzione di quello del treno, con ciò aumentando la clientela per l’automobile.
L’incremento produttivo lo si può constatare osservando i seguenti dati: se nel 1900 l’Italia aveva esportato circa 6
auto per un ricavo di circa £ 36.000, nel 1905 l’esportazioni erano salite a 257 per un totale di 2.784.000 lire.
Oramai si poteva parlare di una vera e propria industria
automobilistica che in Francia, ad esempio, con l’indotto dava
lavoro a ben 500.000 addetti. In Italia se ne stimavano circa
20.000, di cui ben 500 nella sola Torino.
Con una produzione prevista per il 1906 di circa 3.000 auto, si
poneva un problema essenziale, quello della mano d’opera
specializzata, che al momento rimaneva piuttosto scarsa.
Altro problema piuttosto limitativo restava il costo medio
dell’automobile. Tale costo adeguato all’attualità risultava essere di
circa € 44.500. Un costo oggi non eccezionale ma se paragonato
alla paga media mensile di un operaio ad esempio della fabbrica
dell’ITALA, di € 389 mensili l’automezzo che concorreva a
fabbricare diventava e restava soprattutto un sogno.
Pertanto, scrive il Morasso “La mostra di Milano viene in un
momento decisivo, quando l’industria automobilistica si trova ad
uno dei punti culminanti del suo sviluppo; ha quindi un significato eccezionale, che del resto è stato inteso così dai
fabbricanti come dal pubblico”.
Ma sarà due anni dopo che l’opportunità di poter acquistare una automobile anche per ceti medio bassi diventerà
realtà, con l’ingresso sul mercato della famosa Ford T . L’industriale Henry Ford, applicando un nuovo rivoluzionario
sistema di produzione, la famosa catena di montaggio, riuscì ad abbassare di molto i costi di produzione, rendendo la
sua automobile disponibile a tasche meno dotate aprendo così ad un mercato enorme.
A sostegno delle molte opportunità che si aprivano all’impiego del nuovo mezzo, sempre il Morasso nel suo articolo
fa un lungo ed indicativo elenco di impieghi già in uso all’epoca, cominciando da quello civile come portalettere e
giornali, in sostituzione degli omnibus degli alberghi, al servizio dei pompieri od al trasporto della spazzatura, ai barili
di birra o alla pulizia delle strade.
Anche l’uso militare viene considerato e non solo per trasportare generali e alti ufficiali, ma anche per un impiego
bellico.
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Inoltre, a differenza del treno e della carrozza, il vantaggio dell’automobile era di non essere vincolata a delle rotaie
o a strade e terreni percorribili per le seconde. Per sottolineare questa prerogativa viene citato il dramma dell’eruzione
del Vesuvio che a suo tempo fu causa del rinvio dell’inaugurazione della Mostra di Milano.
In effetti impiegando in quella circostanza l’automobile “ il Re i ministri i generali e molti animosi poterono accorrere
prontamente sui luoghi del disastro,attraversare le nuvole di cenere, e i nembi di lapillo, quando ferrovie e carrozze
erano arrestate e la navigazione stessa era impraticabile, quando il telegrafo era interrotto, si fu per l’automobile.
L’automobile andò là dove non si poteva andare più con alcun mezzo: andò da per tutto, come le gambe.”
C’è da chiedersi di quale incredibile macchina si trattasse, perché pare simile più ad un carro armato che ad una
automobile di più di cent’anni fa! Va considerato che il fiorito e sperticato elogio risentiva ampiamente del vento di
quello spirito romantico della belle epoque, che ancora soffiava gagliardo.
Comunque sia, l’esperienza positiva dell’impiego dell’automobile in tale circostanza, pare avesse rinfrancato il
cronista circa i futuri interventi in situazioni di gravi calamità, dando ancora più lustro al nuovo e moderno automezzo.
Ci piace comunque chiudere la parte riguardante l’automobile con una considerazione che oltre ad essere più che
condivisibile pare anticipare quella che sarà la vera anima dell’automobile. La libertà. Scrive infatti ancora il Morasso
a conclusione di un lungo articolo, intravvedendo forse nell’occasione dell’Esposizione il momento di inizio di un
cambiamento epocale nella società:
“Il viaggio in automobile è la libertà, il viaggio in ferrovia, la schiavitù. Con l’automobile l’individuo si sottrae ,
appunto in ciò a cui egli aspira ad essere più libero, i suoi movimenti alla soggezione della collettività; con la ferrovia è
precisamente la tirannia collettiva che si impone irremissibilmente all’individuò”.
L’italiano è ostico, ma il concetto chiaro!
FERROVIE
Pur essendo l’Esposizione dedicata al traforo del Sempione
e quindi in un ottica prettamente ferroviaria, l’interesse per le
comunicazioni per mezzo dei treni risulta, in confronto ad
esempio all’automobile ed all’aeronautica, piuttosto scarso se non
per quanto riguarda le innovazioni tecnologiche e strumentali
delle locomotive soprattutto a vapore. Le disquisizioni in questo
campo con articoli piuttosto ostici sono numerosi ma per
un’analisi per una visione più vasta sia dell’attualità che del futuro
del trasporto ferroviario non portano alcun contributo sia
sicuramente a noi che ai lettori d’allora. Insomma l’autore degli
articoli aveva a ben vedere un’ottima ragione per firmarsi con lo
pseudonimo che più adatto non si poteva : il macchinista. Tocca a
noi volendo fare una panoramica veloce sulla storia del “treno” raccogliere quelle poche notizie che sia Il macchinista
che altri hanno sparso nei vari articoli.
Così veniamo a sapere che nel 1829 veniva terminato il tratto di
ferrovia tra Liverpool e Manchester e nell’anno successivo entrava
in funzione.
Certo da quella locomotiva costruita da Stephenson nel 1929 di
miglioramenti ne vennero fatti molti, rendendo il servizio sempre più
rapido e sicuro, il trasporto era concepito peri soli materiali. Le
persone
preferivano
ancora
viaggiare
sulle
carrozze.
Saltuariamente e per motivi relativi quasi sempre di lavoro o per
raccomandazioni ( !) qualche passeggero si sistemava alla bene
meglio su vagoni quasi sempre completamente scoperti.
Queste richieste divennero col tempo sempre più numerose e
fatte anche da gente che nulla avevano da spartire con merci o
società legate alle ferrovie. Insomma qualcuno cominciava a
rendersi conto che pur scomodo il trasporto per ferrovia era
sicuramente più veloce e sicuro. Le società videro inizialmente in
questo fenomeno una opportunità per arrotondare gl’introiti, ma dopo non molto sull’onda del successo si
organizzarono per un vero e proprio trasporto passeggeri con carrozzo apposite.
C’è da dire che non tutti pur con queste modifiche ed agi, utilizzarono il treno. Si racconta, ad esempio che il Conte
di Cavour, l’artefice dell’unità d’Italia, aveva un tale terrore del treno che ancora nel 1858 preferì fare il viaggio Torino
– Parigi in carrozza, piuttosto che rischiare col treno!
Vi è in un articolo una tabella interessante. indica il progresso ottenuto nel tempo per quanto riguarda le motrici a
vapore. Così se nel 1925 la velocità oraria era di 9,650 km/h, nel 1929 era salita a 25.30km/h, nel 1831 a 34,32, nel
‘38 a 51,49 e l’anno successivo a 62 km/h. Per raggiungere velocità più elevate tra i 70 e gli 80km/h si dovrà
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aspettare sino al 1868. All’epoca della stesura dell’articolo la velocità era salita a ben 108km/h. Una velocità di tutto
rispetto!
Ma a conti fatti la convenienza per il solo trasporto passeggeri con treni articolati con molti vagoni, era solo per
grandi tratte. Ad esempio il percorso Torino - Venezia con l’interposta città di Milano risultava altamente lucroso, ma
quando si trattava di tratte brevi il discorso cambiava.
Si pensò cosi di rendere automobile la carrozza che trasportava persone. Quella che venne definita una carrozza
automotrice. Ma i tentativi di utilizzare il vapore furono subito superati.
Troppo l’ingombro del sistema caldaia + carbonaia, tanto da ridurre
drasticamente il posto per i viaggiatori. Si pensò al motore a scoppio,
ma anch’esso non diede i risultati sperati per via del forte tonnellaggio
delle vetture e della sua scarsa potenza ed efficienza. Un conto era
muovere una automobile, un altro portarsi appresso parecchie
tonnellate.
Si pensò al motore elettrico che dava buone garanzie e poteva
sviluppare la potenza necessaria. Il problema però erano gli
accumulatori la cui scarsa efficienza non consentiva adeguata
autonomia.
Nell’ambito dell’esposizione venne presentata dalle Officine
Meccaniche di Milano, una carrozza automotrice composta da due
segmenti. Il primo è la parte motrice, il secondo agganciato e con
sgancio automatico è “la cassa passeggeri” che come termine non prefigura nulla di confortevole! Questa carrozza
passeggeri, invece, aveva un compartimento di
1° classe con 16 posti e di 3°classe con ben altri
50 posti.
La “bagagliera” e la cabina del personale,
erano situate nella parte più vicina alla motrice.
L’autore dell’articolo teneva a specificare che
tutto il complesso era munito di freni
Westinghouse, riscaldamento a vapore e
illuminazione ad acetilene.
Dall’Ungheria proveniva un’altra vettura
automotrice di concezione ibrida: motore a
scoppio ed elettrico. Il funzionamento era
semplice. Il motore a scoppio metteva in funzione
una dinamo che a sua volta produceva l’energia
per due motori elettrici, superando così
brillantemente il problema degli accumulatori.
Tale carrozza pesava la bellezza di 12
tonnellate, aveva spazio per 17 persone in 1°
classe e 25 in terza, tutte, si teneva a sottolineare, “comodamente sedute”. In condizioni ottimali poteva raggiungere i
60km/h!
Il vantaggio delle vetture automotrici ibride rispetto a quelle a vapore, era evidente. Queste non dovevano essere
messe in pressione un’ora e mezza prima della partenza, l’alimentazione, pur continua. non doveva essere eseguita a
mano ed in continuazione, non vi era, poi, la continua sorveglianza del fuoco.
E comunque l’utilizzo di un mezzo più semplice, veloce, rapido nel fermarsi come nel ripartire, era indispensabile
per contrastare la sempre più crescente concorrenza con l’automobile nei tratti
brevi. Inoltre, per le principali città che iniziavano ad essere centro attrattivo di
lavoratori giornalieri, il treno tradizionale aveva sicuramente limiti
tecnico/operativi importanti, oltre a costi gestionali proibitivi.
Fu il Governo nel 1897 a dare il via alle sperimentazioni di automotrici a
trazione elettrica, prospettando tre diverse soluzioni con l’intenzione di
verificarne la miglior efficacia.
Trazione elettrica con automotrici ad accumulatori sulla Ferrovia
Milano-Monza.
• Trazione, sempre con automotrici ad accumulatori, sulla linea
Bologna San Felice sul Panaro Trazione elettrica a corrente continua a 650 volt sulla linea Milano
Varese, con alimentazione a terza rotaia
Trazione elettrica trifase ad alta tensione sulla linea della Valtellina.
•
•
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Quest'ultimo esperimento fu una vera e assoluta novità mondiale che produsse l'interesse di molte ferrovie
estere. (tratto da wikipedia)
Interessante le notizie circa l’entrata in servizio (16/10/1902) di
una automotrice elettrica sulla linea Milano – Varese prlungata
l’anno successivo (15/6/1903) con il tratto Varese – Porto Ceresio.
Era una linea elettrica alimentata da una terza rotaia posta
lateralmente ai binari, la cui elettricità era erogata dalla centrale di
produzione di Tornavento.
Su questa linea, le carrozze
automotrici a seconda del, tipo (pesavano dalle 41 alle 45
tonnellate) potevano raggiungere, con rimorchio, tra i 60 ed i
90km/h.
Il costo della linea Milano/Porto Ceresio fu di £. 11.432.350 che,
rapportati all’attualità, corrispondono a circa € 38.300.000. Mentre,
l’autore ci tiene a sottolinearlo, la manutenzione dall’automotrice si
aggirava sulle .2.500 lire all’anno (circa € 8.370 attuali) Importi
tutto sommato sorprendentemente contenuti.
Come abbiamo detto la cronaca e gli scritti relativi alla parte d’esposizione dedicata al trasporto ferroviario risultano
nella raccolta della rivista specializzata dei Fratelli Treves piuttosto scarni. Solo colui ch si firmava credo con unacerta
falsa modestia, “il macchinista” discettava di tecniche, legate ai vari sistemi di controllo ed alimentazione delle
locomotive. Nessun sguardo generale sulla situazione ferroviaria nazionale, ne tantomeno prospettive future. Uno
specialista del vapore, della pressione e dei pistoni. Punto! Peccato , veramente poca cosa, Comunque siamo riusciti
a scoprire un episodio per lo meno curioso in tutta questa retorica ingegneristica. E’ una notiziola a margine, data
però col solito tono sussiegoso che a noi nipoti di un altro tempo risulta essere più un escamotage truffaldino che una
nota di colore. Eccola.
Pare che a quel tempo, l’aggancio e lo sgancio automatico dei vagoni
ferroviari rappresentasse un grosso problema sino ad allora rimasto insoluto.
Per porvi rimedio od almeno tentare di farlo. l’Organizzazione bandì un
concorso (come vedremo inseguito furono molte le occasioni per concorsi,
gare ed altro tipo di competizione) Tra i partecipanti sono giunti a noi nomi ed
immagine di quelli di due italiani che si mostrano sorprendentemente
indifferenti nell’immagine che riportiamo.
Sapevano già della beffa o no? Non lo sapremo mai della beffa sappiamo
tutto.
Al giudizio finale questi nostri antichi inventori risultarono vincitori del
cospicuo premio di ben £ 5.000, (circa € 20.100 attuali) ma subito dopo, non
si sa per quale motivo, o forse all’ora si seppe o almeno si sospettò,
risultarono vincitori sì ma a pari merito con una ditta concorrente tedesca
dall’altisonante ed impronunciabile nome di “Deutesch Kussulung
Gesellschaft”..
Bene, penserete, il premio, come si fa in questi casi, venne diviso
equamente tra i vincitori. Nossignori. La giuria, non si capisce secondo quale
criterio, non divise il premio ma semplicemente non l’assegnò. Se la cavò con
due menzioni onorevoli e passò la somma al Collegio Nazionale degli
Ingegneri che avrebbe dovuto successivamente indire un nuovo bando di
concorso!
Così andava a quei tempi!
NAVIGAZIONE
Può sembrare contraddittorio il fatto che in una
esposizione nata per celebrare il traforo del Sempione e
quindi in senso lato i trasporti per via di terra, si inserisca in
modo sostanzioso anche la navigazione.
Un motivo, non certo il principale, ma sicuramente
importate era il fatto che l’iniziativa di dare vita ad una
Esposizione Internazionale a Milano era nata proprio in capo
alla Lega Navale, con lo scopo di far conoscere i grandi
progressi della marina italiana negli ultimi anni. Una Marina
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sempre più concorrenziale con le principali nazioni europee ed americane.
In oltre, in un’ottica più ampia del complesso delle vie di commercio che hanno validità anche ai giorni nostri, una
intelligente e coerente collaborazione fra sistemi di trasporto non può che portare ad una importante sinergia con
risultatiti positivi per l’economia generale di tutto il paese. E’ sintomatico in tal senso che l’autore degli articoli che s’è
attribuito, dio solo sa perché, uno pseudonimo più da cabaret che
da tecnico, Jak La Bolina (!), indica in Genova e Venezia i due
porti di Milano.
Milano, quindi, come snodo importante per i percorsi
commerciali verso le regioni europee del nord, deve essere
evidentemente servita da reti ferroviarie rapide e sicure per il
trasporto delle merci che possono via nave provenire dall’estero,
ma non solo. Anche dai porti nazionali più a sud.
Ma seguendo la descrizione del buon Jak entriamo nel merito
della mostra della Marina.
La Galleria ha una superficie di circa 12.000 mq con copertura
a volta con costolature in acciaio e vetro. Un faro di ben 60 mt.
sarà la modesta torre Eiffel milanese. Comunque con un comodo
ascensore, che permetterà di raggiungere la balconata senza
rimetterci la salute, si potrà godere di uno spettacolare
panorama. Di notte poi con i suoi riflettori, darà un tocco
suggestivo alla vita notturna dell’Esposizione.
All’ingresso vi è una Mostra retrospettiva della Marina Italiana, dove vengono rappresentati i passaggi più
significativi nel tempo sia nei riguardi delle tecniche costruttive delle navi che di
tutte le strutture a terra.
Anche la Marina Militare gode di una ampia presenza e non solo quella
italiana. Ma al di là dei modelli di corazzate, incrociatori ecc. che paiono
bellissimi giocattoli e poco più, vi sono, questi sì reali, cannoni da marina di vari
calibri e dall’aria sinistra.
Italia, Francia, Inghilterra espongono i loro pezzi d’artiglieria più qualificati, ma
è la Germania che come al solito pare esagerare. Basta osservare i due enormi
cannoni che sovrastano i partecipanti all’inaugurazione della mostra tedesca
per non provare ammirazione per la capacita tecnologica di tale nazione, senza
però nascondere un brivido, sapendo noi oggi quello che sarebbe successo di lì
a qualche anno. Lo scoppio della Grande Guerra!
Ma tralasciando il tono pomposo e fastidiosamente retorico del
nostro Jak La Bolina, è invece interessante l’argomento trattato in
un suo secondo articolo. Dopo aver fatto un breve excursus circa la
nascita della navigazione “moderna” (riferito al periodo in cui scrive,
evidentemente) partendo addirittura dal battello di Fulton, il
Clermont (1807), osserva quanta strada si è fatta d’allora
nell’evoluzione dei mezzi e nei sistemi di propulsione degli attuali
navigli. Elenca a mo’ d’esempio il piroscafo italiano Ferdinando I°
(1810) di 233 tonnellate e 250 CV, l’Enterprice inglese (1823) di
479 tonnellate e 120 CV che con 17 passeggeri a bordo compì il
tragitto Inghilterra -India viaggiando 64 giorni a vapore, 39 a vela e
con 10 di sosta negli scali intermedi.
Oggi, si compiace l’autore, il tragitto Londra - Australia dura solo
(!) 30 giorni con tre scali all’andata e due al ritorno. Attualmente,
s’inorgoglisce, anche l’Italia possiede piroscafi da 5.000 tonnellate capaci di trasportare sino a 1.200 passeggeri nelle
varie classi “con la gratificazione del lusso sfarzoso per il ricco”, ma con la stessa gratificazione, qui individuata
nell’igiene (?!), per il povero! Ammette ancora il nostro però, che tali piroscafi non possono ancora competere con
quelli in costruzione, tipo il Mauretania (1907) ed il Lusitania (1906) della compagnia Cunard, da 32.000 tonnellate di
stazza e velocità di circa 24 miglia/h.
Il Lusitania, citato con rispetto ed invidia, sarà, nove anni dopo, il protagonista principale dell’evolversi del primo
conflitto mondiale con l’entrata in guerra degli Stati Uniti.
Credo sia interessante ricordare brevemente come si svolsero i fatti.
La storia racconta che, in previsione di un eventuale possibile conflitto con la Germania, il governo britannico decise
di utilizzare (1912) alcune navi civili per trasportare, segretamente, materiale bellico dagli Stati Uniti.
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Così in pieno conflitto, nel 1915, il
Lusitania,
proveniente
da New York, oltre ai 1.964 passeggeri,
compreso l’equipaggio,
portava,
a
loro
insaputa,
una
notevolissima quantità di
munizioni ed armi.
Bisogna dire che la Germania, a
conoscenza dell’utilizzo,
diciamo improprio di tali navigli, aveva
posto
un
embargo
all’Inghilterra avvertendo i paesi non
belligeranti, del rischio
che le loro navi potevano correre
superando il blocco.
Ma, ignorando l’avvertimento, Il 15
maggio
il
Lusitania
superò il blocco venendo avvistato da un
sottomarino
tedesco
nelle acque irlandesi. Colpito da un siluro
non
ebbe
scampo.
Affondò velocemente perché il danno
provocato dal siluro fu
ampliato enormemente dall’esplosivo
imbarcato. I morti furono
1.201, di cui 123 statunitensi. E furono
proprio queste vittime,
cittadini di uno stato neutrale, a dare la giustificazione per l’ingresso degli Stati Uniti nel conflitto, con le conseguenze
che sappiamo.
Ma evidentemente, tutto questo il buon Jak La Bolina logicamente lo ignorava.
Prosegue ancora il suo articolo celebrando i vari imprenditori della navigazione come i fratelli Cunard che fondarono
la prima linea con l’America, Isuray creatore della White Star, e gli italiani Rubattino e Florio che si uniranno per
contrastare l’egemonia straniera fondando la società di “Navigazione Generale”.
Interessante per noi conoscere con i dati riportati, il consumo di combustibile, all’epoca quasi esclusivamente
carbone, necessario al funzionamento delle navi. E’ impressionante apprendere che nel 1899 l’Oceanic di 17.254
tonnellate di stazza e 27.000 CV di potenza, consumava 20,5 tonnellate di carbone all’ora!
C’è da chiedersi cosa ne avrebbero detto e cosa avrebbero fatto, se fossero esisti i “Verdi” circa il pericoloso
inquinamento. Ma all’epoca evidentemente non c’erano, con buona pace di capitani e compagnie di navigazione. Un
po’ meno per la salute della gente.
I navigli all’epoca non erano differenziati secondo il tipo di trasporto. Così una nave trasportava indifferentemente
sia passeggeri che merci, con risultati carenti per tutti. Solo più tardi, le navi cominciarono ad essere fabbricate con
caratteristiche specifiche per il tipo di trasporto a cui sarebbero state adibite.
Ecco quindi le navi carbonaie, le petroliere (erano all’epoca 133 a solcare i mari e di nazionalità diverse). Già erano
state varate navi refrigerate per il trasporto di carni e derrate deperibili provenienti soprattutto dal Sudamerica. Ed era
un commercio di tutto rispetto, se si pensa che nel 1906 il totale della carne importata da Australia, Zelanda e Plata
(Argentina) fu di 612 milioni di chilogrammi!
C’erano anche i posacavi. Uno dei 43 in esercizio, il Città di Milano, era della Pirelli.
Il prezzo di una nave variava di molto: poteva andare dai 300 milioni per un “postale”, chiamato “il levriero dei mari”
dal buon Jak, al milione e ottocentomila per un grosso piroscafo da carico di 10.000 tonnellate. Il naviglio era per ciò
molto variegato, ma era soprattutto il costo di ammortamento ventennale che doveva essere preso in considerazione.
E questo costo era segnato massimamente dal prezzo del carbone.
Pertanto per ridurre il costo di gestione si doveva intervenire sul tipo di propulsione. Si pensò così di utilizzare il
motore a 4 tempi, quello stesso impiegato nelle automobili. Perciò diverse società di cantieristica navale iniziarono ad
introdurre tale tipo di propulsore con varianti apposite, ottenendo subito un discreto successo.
Con l’entrata sul mercato di tale tipo di motore, il timore che anche il prezzo del petrolio potesse salire, fa scrivere al
giornalista, un appello accorato al fisco che anche allora par di capire ci andasse pesante con le tasse.
Eccolo l’appello
“E a questo punto, mi sia lecito esprimere il voto che il fisco nazionale ricordi in primo luogo, che se il nostro
sottosuolo non contiene litantrace, rinserra petrolio; in secondo luogo l’industria della macchina a combustione interna
è si fiorente tra noi che nella loro esportazione occupiamo il terzo posto. Ciò stabilito sembra legittimo augurare che,
siccome il carbon fossile non paga dazio, così non ne debbano pagare né il petrolio da nave, né la benzina da
autoscafo.|
Come si vede, niente di nuovo sotto il sole.
Ma la Mostra della Marina aveva anche lo scopo di mostrare
progetti per l’ampliamento dei porti ad esempio con modelli in
scala come quello di Genova o promuovere non solo la
conoscenza delle attuali attività di trasporto fluviale, ma il loro
futuro sviluppo.
Interessante l’articolo sempre del nostro amico Jak La Bolina,
che illustra l’attuale situazione di trasporto fluviale
Lungo la via d’acqua Milano - Venezia la Società Anonima di
Navigazione Milano e Venezia nel 1903 aveva trasportato
90.000 tonnellate di carbone. Poca cosa se si pensa che il
fabbisogno minimo all’epoca, per la Val Padana assommava a
1.500.000 tonnellate all’anno! Perciò si pensava alla
realizzazione di un canale navigabile come quelli realizzati nel
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nord Europa, collegante sempre Milano con Venezia. Si ipotizzava, partendo da Milano, un tratto sino a Lodi per
immettersi nell’Adda, poi sino al Po e quindi a Cavanella. Di qui, tramite canali esistenti sino a Venezia. V’erano
previsti nel progetto anche vari tipi di trazione dei navigli. Così da Milano a Pizzighettone, sarebbe stata elettrica, poi
solita sino a Cavanella e da qui ancora elettrica sino a Chioggia.
Un progetto interessante e ambizioso, come quello che quasi cento anni dopo tenterà nuovamente il collegamento
Milano – Venezia passando per Cremona….. Sappiamo come sono andate le cose! Ma questo, ancora una volta, Jak
La Bolina, non lo saprà mai.
Un’ultima annotazione che lasciamo volentieri alla penna del cronista e che riguarda gli allora “canotti
automobili”, oggi li chiameremmo genericamente motoscafi, una categoria di giocattoli per signori che iniziava a
coniugare il piacere d’andar per acqua (mare, ma soprattutto lago) con il lusso che tali categorie sapevano di
meritarsi, ma non solo quelli venivano esposti: anche mezzi bellici e sportivi.
“…….Destano tutti una curiosità vivissima che nessuna carrozza conobbe intorno a sé. Già di vetture e
vetturette, carri ed omnibus d’ogni foggia e d’ogni forza se ne vedono per le strade in ogni
momento…….Invece i canotti sono molto rari. Bisogna giungere al mare o sui nostri laghi per vederne, ed
anche là se ne vede la parte più nota……. Le navicelle complete d’eleganza e di confort simili a yacht in
miniatura, le siluranti svelte come vespe e invisibili come gusci, la piccola Fiat X ,vittoriosa da Algeri a
Malion……. Sembrano pronte a correre per raggiungere o fuggire….. ( ma poi si torna ai canotti da diporto) I
finestrini ostentano il morbido fruscio delle sete chiare, il gran pavese ride gaio con ogni colore; e tutti
sognano, passando, una piccola villa sulle rive del lago, il silenzio discreto e la luna bianca.”
(Anche oggi, anche oggi! Certi sogni non cambiano mai, nemmeno dopo cent’anni!)
NB: Tutte le immagini sono tratte dalla collezione della rivista “Milano e l’Esposizione Internazionale del Sempione 1906” edita da “Ftratelli Treves, Editori
in Milano - via Palermo,12 – anno 1906
Gli autori delle fotografie riportate, non necessariamente nella presente Terza Parte, sono di: Varischi, Artico &C.-Milano = Alfieri-Lacroix = Croce =
Luca Comerio = Ferrario = Elio
Gli autori delle tavole disegnate, riportate non necessariamente nella presente Terza Parte, sono di: Elio = Amato = A .Molinari = R. Salvadori = G.
Amato.
Le immagini contrassegnate con (*) sono tratte dall’”Enciclopedia dei Ragazzi “ edito da Mondadori - 1948
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